Andrea Carlevaris
Frammenti
Ricordi e riflessioni tra il 1940 ed il 1946
Rondinella,
un anno fa lasciasti il tuo
Andrin, l’attesa t’ha sfiaccata,
sei morta per istrada, nol
rivedrai mai più
Trascrizione fedele dei diari autografi spediti al figlio Fausto
dalla sorella dell’autore, Adele, residente in Australia.
Marter di Roncegno, agosto 2005
Lavoro di trascrizione al computer della nuora Loredana
Domenica 25 Agosto 1940 - XVIII
Oggi comincio con queste righe il terzo
volume dei miei ricordi, e più che ricordi del mio diario. E’ il terzo volume, ma la mia
fede per Adele è sempre uguale, come in quel lontano 4 agosto del 1039, quando le
offrii in cambio del suo sorriso il mio cuore. Per concretare questa mia offerta e per
farle vedere che il mio amore per lei non era un fuoco di paglia, ecco che mi sono messo
a scrivere per lei giorno per giorno il mio diario, vero e sincero, intercalato ogni tanto di
qualche mio scritto, di qualche appunto, di qualche poesia. Il fuoco ora brilla più
vivido che mai e viene alimentato dal mio entusiasmo che mi spinge ad amarla, e,
ancora più in lei a rispettarla in una muta e contemplativa adorazione. Forse essa mi
tradirà non so ma anche se ciò fosse non la potrò mai più dimenticare. Nessuno sono
certo ha tanto sofferto quanto soffrii per la sua partenza. Era la prima volta che una
donna, una ragazza mi aveva amato sinceramente, e il suo distacco mi strappò il cuore.
Poi venne il dolore, la bocciatura, l’incomprensione. Vivevo per le sue lettere, avevo
vergogna di me, mi sembravo vecchio, ma essa mi incoraggiava, mi sosteneva. Le sue
lettere ridonavano la vita ad un morto. Tutto devo a lei ora che mi ha sostenuto nella
dura salita del mio calvario, del mio dolore, che ora, dopo il conseguimento del
diploma, si è un po’ calmato, ma che si rimetterà soltanto quando sarò vicino a lei,
l’angelo del mio cuore. Ed ora, che Dio me la conservi e mi dia la forza di portar a
termine anche questo terzo volume.
Questa notte gli inglesi sono venuti a farci una visitina. Hanno lanciato delle bombe
nelle vicinanze di Milano, mentre a Torino invece hanno gettato del caffé, dello
zucchero e del sapone, con dei manifestini, ove stava scritto ignominiosamente:
“Sudicioni, eccovi del sapone, lavatevi la vostra sudicia faccia!”, frase altamente
offensiva, peggiore di una calunnia, vero schiaffo morale all’Italia. – Il pomeriggio
ho dovuto recarmi al Presidio, perché punito di 4 giorni di consegna causa un cuscino
scambiato con un mio compagno. – Così, finalmente dopo tanto tempo ho riposato un
po’. Al Presidio, ho dormito quasi tutto il pomeriggio. Un po’ mi sono rimesso.
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Lunedì 26 Agosto 1940 – XVIII° - Le giornate che si passano sotto le armi sono
molto dure. Si resiste, ma qualche volta non se ne può più, e allora si scappa giù con
frasi cattive, quasi a vendicarsi dei soprusi e delle camorre patite, perché a parte gli
scherzi, chi sta bene sotto le armi è il ruffiano che sa adulare il suo superiore, e poi
magari è capace di sparlazzarlo in pubblico, così è che egli con le sue adulazioni si
rende simpatico al superiore, e chi invece ha un animo retto e leale e non sa fare il
ruffiano, viene stangato perché insofferente alla disciplina ed antipatico al superiore.
Io sono uno di questi ultimi, non mi sono mai ruffianato con nessuno, e neanche ne ho
la voglia. Ecco perché la mia vita militare è un po’ dura. La dolce visione di Adele mi
fa passare tutto e così mi attacco alla vita, al lavoro, allo studio, con un ardore
irrefrenabile, mentre la meta si avvicina ogni giorni di più: il congedo. – Oggi ho ricevuto
una bella cartolina illustrata di Adele. E’ una pittura del Pratesi e rappresenta un
golfo. In primo piano ci sono “bragozzi a vela”, mentre in fondo sullo scorcio delle
montagne e sullo sfondo del cielo azzurro si disegna netta e precisa una vela bianca
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come il simbolo della fede che Adele porta per me. A destra c’è uno scorcio di scogli su
cui ha scritto: “Ricordo” e, purtroppo, ricordo anch’io quei luoghi così deliziosi e belli
quando li contemplavo in sua compagnia.
Martedì, 27 Agosto 1940 – XVIII° - Giornata triste e monotona questa di oggi.
La notte ho dormito poco perché si è avuto l’allarme aereo. Era d’Ispezione un sergente
milanese. Un villano. Me la sono presa con lui. Suona l’allarme. Comincia a
bestemmiare ad imprecare perché si vada al refettorio. Ci andiamo, ma prima di
andarci, siccome avevo da fare urgenti bisogni sono andato al gabinetto. Appena ne
esco, ecco questi chiedermi dove fossi stato, e pigliandomi per il braccio tutto rosso
dall’ira mi spinge a tutta forza verso il refettorio. “Scusate” gli dico, “ma da quanto so
le mani sui militari non bisogna metterle.” Comincia, per tutta risposta, a gridare come
un forsennato, che mi metterà dentro, e tante altre cose. Per tagliare corto gli dico:
“Finitela di gracchiare, così la paura vi passerà.” Fu come un secchio d’acqua gettato
sul fuoco. Si calmò subito e non mi disse più nulla, ma voltò per altri luoghi, gridando
ad altri miei camerati, che ne sono certo lo avrebbero squartato dalla rabbia. Ecco la
boria dei milanesi, degli uomini superiori, che cade nel m omento del pericolo come un
castello di sabbia, costruito dai piccoli al mare, mettendo a nudo la loro anima vile,
ipocrita, egoistica, adulatrice. – Se ne vedono tante nella vita militare, e , soltanto così si
impara a conoscere la vita, gli uomini e le cose. E’ una salutare lezione questa che mi
porterà (via) in parte la mia giovinezza, ma in compenso mi darà l’esperienza della
vita e del saper trattare con gente ipocrita e vile.
Mercoledì, 28 Agosto 1940 – XVIII° - Nulla di notevole quest’oggi. Aspettavo
tanto una lettera di Adele, invece non è venuta. In compenso però ho ricevuto una lettera
del babbo, che mi ha fatto un po’ di bene. Parla di me con tanto entusiasmo, ed io,
naturalmente contento e soddisfatto di questa sua valutazione che tanto mi riguarda,
gli risposi adeguatamente, come un figlio può rispondere ad un padre.
Giovedì 29 Agosto 1940 – XVIII° - Oggi finalmente ho ricevuto la lettera di
Adele. Era breve, poche righe, ma in quelle poche righe c’era tutto quello che voleva
esprimervi. Sta male poverina e la mia lettera l’ha fatta ancor più triste. Io come
sempre le ho risposto subito e quantunque provassi una stretta al cuore per la lettera
ricevuta, gli scrissi una lettera briosa, che credo le farà un po’ bene.
Il pomeriggio sono andato a salutare il mio camerata Di Leo Franco trasferito per
punizione all’Aeroporto di S. Damiano in provincia di Piacenza. La sera sono rimasto
di servizio e, quando ritornai al Presidio, stanco, ma felice del mio dovere compiuto e
contento di aver ricevuto posta da Adele, ringraziai Iddio, pregandolo di conservarmi
sana tanto la mia famiglia che Adele. Soddisfatto, mi addormentai col sorriso sulle
labbra.
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Venerdì, 30 Agosto 1940 – XVIII - Quest’oggi ho ricevuto lettera da casa. Mi
scrive la mia cara mamma. Vuole per forza che faccia il sottotenente. Cara mammina,
io lo farei, ma non mi sento. L’Ufficiale non fa per me, non posso essere brillante, ma
già che lo vuoi cercherò di accontentarti. Nella lettera ho trovato una fotografia di
Minetta, la cara sorellina tanto brava ed intelligente. Ora, mentre scrivo queste righe
(sono di servizio ed è tardi) odo una radio che lancia suoni melodiosi dalla casa vicina.
Mi ritorna alla mente la mia casa e le belle serate, quando a casa ascoltavo le
magnifiche sinfonie di Bach, Beethoven, Mozart, Rossigni, bevendo nota per nota il
calice dell’armonia e della bellezza musicale. Tutti mi ritorna dinnanzi agli occhi mia
madre e le mie sorelle intente ai suoi lavori, io vicino alla radio ascoltante le sinfonie,
mentre la fantasia seguiva una dolce visione: quella di Adele.
Goethe e l’estetica. –
Non è improbabile che i primi interessi per i problemi dell’arte nascessero in Goethe
dalla consuetudine giovanile con Herder, problemi dell’arte nel senso che si dà oggi a
questa espressione, e quali il berlinese Baumgarten, appena due decenni avanti, aveva
per la prima volta compresi sotto il nome di Estetica.Qualche anno prima dell’incontro con l’Herder, all’epoca universitaria di Lipsia, la
curiosità di Goethe era stata attratta dalle varie Poetiche del tempo, ma tutte, come
ricorderà in “Poesia e Verità”, l’avevano lasciato insoddisfatto. Nessun principio era
stato possibile trovare per la poesia, considerata troppo sfuggevole e spirituale; se ne
parlava continuamente, in analogia con la pittura sempre con una strana mescolanza
di utilità pratica e di scopi morali.Più tardi nelle appassionate conversazioni della Clinica di Strasburgo, dove Herder
era malato, le idee vaghe e confuse che Goethe aveva intorno all’arte dovettero
cominciare a farsi chiare ed approfondirsi. Uno degli avvenimenti più importanti della
sua vita, questo incontro con Herder, discepolo di Kant ed ammiratore di Hamann, il
Mago del Nord, com’era chiamato. Haman, filosofo mistico, nemico del razionale e
dell’illusionismo, definiva la conoscenza come una intuizione appassionata ed il
pensiero riteneva sempre collegato alla fantasia ed al sentimento.Goethe, accennando nella sua tarda età alla “Critica del Giudizio” di Kant, dirà
che la poesia vi è trattata solo tollerabilmente. Con Haman ebbe anche rapporti diretti,
e si prometteva di curarne la raccolta completa degli scritti, che in gioventù l’avevano
molto impressionato. Forse un riflesso del pensiero del Mago del Nord è in quelle sue
parole dove afferma che quanto più un’opera d’arte è completa, tanto meno essa
soggiace al dominio dell’intelligenza; l’arte intesa come un fatto misterioso che sfugge
ad ogni indagine puramente razionale. E’ là dove scrive: “Chiamalo come vuoi, amore,
felicità, passione, Iddio! Parole non possiedo, il sentimento è tutto.” –
Sentimento, non sentimalità (leggi “sentimentalità”, n.d.t.), che da questa aborriva,
e troverà in Manzoni, “nel pittura dei particolari luminoso come il cielo d’Italia”
sempre sentimento, mai sentimalità (come sopra, n.d.t.). Dissentiva da Schiller,
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l’esperto Kantiano che nella sua dottrina estetica considera l’arte come alta perfezione
umana per cui solo l’artista è completamente uomo, quando si affanna a voler
distinguere poesia ingenua da poesia di sentimento; intesa come ingenua o primitiva
quella nata dalla realtà, di sentimento quella che nell’età moderna scaturisce dalle
idee: “Ma dalla poesia di sentimento non poteva trovare una base e questo lo porta ad
un indicibile smarrimento.” Indice, secondo Goethe, di quanto preconcetti e sistemi
filosofici potessero far deviare anche un uomo dotato come Schiller.
Senza un fondo di realtà, nessuna poesia può sussistere: “Argomenti della poesia”
– confidava allora Eikermann – soni i fatti della realtà, le contingenze della vita
quotidiana. Un caso particolare diventa poetico, universale perché l’ha trattato un
poeta. Tutte le mie poesie sono d’occasione, la realtà le ha ispirate e nella realtà hanno
fondamento e substrato.”
Realtà contingente che al fuoco della sua fantasia assurge ad eternità di mito; e da
un ricordo studentesco di Lipsia nasce la scena della cantina di Auerbach, dalla
notizia della morte di Byron il canto di Euforione nel Faust. –
All’originalità del segreto da cui il poeta trae i suoi argomenti, ed alla fedele
rispondenza con la storia in quella da essa ricavati, annetteva pochissima importanza.
Riteneva fatica inutile indagare se un soggetto fosse stato o no già trattato da altri.
Importante solamente che l’argomento scelto si adattasse alle proprie necessità
poetiche, che potesse efficacemente realizzare, dar sostanza al particolare stato
d’animo del poeta.
Si meravigliava, o lo riteneva un difetto, che il nostro Manzoni si fosse tanto
preoccupato della fedeltà storica e sorrideva di taluni esteti tedeschi i quali perdevano
il loro tempo a dividere soggetti poetici da soggetti non poetici, ignari che qualunque
argomento possa trasformarsi in arte, solo che lo investa la passione del poeta. Se poi
il risultato resta lontano dalla poesia, il difetto non va cercato nella materia assunta,
ma nell’artista che non ha saputo trasfigurarla ed assorbirla.Né grande simpatia mostrò per la critica storica che al suo tempo veniva
affermandosi come nuova dottrina di indagine, essa – diceva – per amore di un minimo
vero distrugge il grande fascino del mito, la bellezza delle illusioni l’avrebbe chiamata
Di fronte alle pretese e capacità della critica in genere, il suo atteggiamento fu sempre
diffidente, atteggiamento dell’artista geloso del proprio mondo, quale è quello
irrazionale dell’arte, cui ripugna qualunque intrusione di argomentazione logica ché la
fantasia ha le sue proprie leggi alla quale la ragione non può né deve contrastare. E se
la fantasia non creasse cose che rimangono un eterno problema per la ragione, troppo
limitato sarebbe il suo campo d’azione. Stabiliva così la differenza tra poesia e prosa,
la quale è sempre dominata dalla ragione.
Grande impressione aveva ricevuto dalla lettura dei “Promessi Sposi”, specie per
quel continuo passaggio dalla maraviglia alla commozione – dalla commozione alla
maraviglia e per quel senso di angoscia che pervade il romanzo. Lamentava di non
esser più giovane per poter scrivere un libro di estetica, secondo una nuova teoria: come
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Manzoni usa di “quest’angoscia, con quanta felicità la risolve in commozione per
portarci alla meraviglia.”.
La parola “estetica” è usata da Goethe con vario significato, non sempre nel senso
moderno di dottrina filosofica, spesso invece di critica, ed in un colloquio con Sorel
addirittura per significare l’arte osserva che nel regno dell’estetica, cioè dell’arte, i
pensieri sono più o meno di tutti, a differenza di quello della scienza le cui teorie
restano sempre ed esclusivamente di chi le formula per primo.
Ammiratore di Carlyle, autore di una vita di Schiller, arrivò a dire che i tedeschi
erano ben lontani da raggiungere un uomo come lui nel campo dell’estetica, anche se
erano stati proprio i tedeschi a rivelare veramente l’arte sovrana di Shakespeare.“Debbo ridere degli esteti – si sfogava con Eckermann – “degli esteti che tormentano
con parole astratte a comprendere in un concetto l’inesprimibile quello che noi rendiamo
col termine “bello”. Era certo che i critici suoi contemporanei avrebbero stentato a
comprendere la sua ardita concezione di Elena nel Faust, difficilmente spiegabile al
lume della pura ragione “Ciò che a me non può accadere” – l’assicurava Eckermann –
da quando ho compreso un paesaggio di Rubens con le ombre doppie; ora il valore
della finzione mi è venuto chiaro: So che non vanno considerate piccole contraddizioni,
quando sono esse che raggiungono un sì alto grado di bellezza.”.
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Sabato 31 Agosto - Siamo all’ultimo giorno del mese. E’ l’ottavo che passo via da
casa, mentre i giorni sono tanti, che mi sembrano un’eternità. Sono questa mattina dal
dentista che purtroppo dopo due ore di anticamera, senza farmi la minima cura mi ha
fatto il biglietto per ritornare lunedì prossimo. Così sono andato a fare un giretto per la
città. – Ci è tanto da vedere. Ma così in divisa non si può. Bisogna ritornare subito in
Ufficio. Ciò che feci dopo avere veduto un tre quattro vetrine fu di rimettermi nei passi e
ritornare indietro. Quante belle cose ho visto per la mia Adele, ma bisogna aver
pazienza e guardare tutti quei regali con un senso di rispetto infinito perché si sa che
noi in divisa non arriveremo mai a metterci sopra la mano. Eppure la gioia di vedere
soddisfatta la nostra ragazza ci suggerisce: “Pazienza, sarà per un’altra volta.”. – Il
pomeriggio ho lavorato fortemente e, la sera con il mio compagno Bradicich, me ne
andai al “Fossati” a vedere un varietà ed il film “A Mezzanotte”, tutto poliziotti,
uccisioni, corse di gangster, sorprese. – Così finì per me l’agosto.-
Domenica 1 Settembre 1940 – XVIII – Questa mane sono andato in via Vitruvio
20 dal Sergente Maggiore Malavasi per darle una mano nel suo trasloco. E’ tanto
buono questo Sergente che alle volte mi sembra mio padre stesso. Era così contento nel
vedermi affaccendarsi per lui nel fare i suoi bagagli e posso dire che da solo ne ero
soddisfatto. Nella sua nuova abitazione misi tutto a suo posto, come fossi una
massaia. Ne rimase soddisfatto. Quando finii voleva rimanessi ancora lì, ma non
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potevo, perché in Ufficio mi attendeva il “mastino” personificato nel Maresciallo
Muscariello:
Verso le 15 del pomeriggio me ne andai a girare per Milano con Bradicich. Mi
avevano appioppati tre giorni di consegna. L’ultimo lo dovevo scontare, ma io me ne
fregai, e, perciò me ne andai a Bovisa a passare un po’ di orette all’aria aperta ed in
movimento. Camminammo così tutto il pomeriggio girando di qua e di là. Più tardi,
dopo avere assorbito un po’ di latte per sfamarci, ci recammo al “Duse” a vedere “Le
tre ragazze in gamba crescono” un film già visto, ma che m’ha appassionato per la
musica ed il canto puro e cristallino della giovanissima Deanne Durbin. – La sera, con
i piedi indolenziti, ci prese il sonno al fulmicotone. Appena stesi in branda, già
dormivamo.
Lunedì 2 Settembre. Nel mio diario di sabato ho scordato accennare all’incendio
sviluppatosi a Milano e che arrossò la calotta celeste per un buon tratto. Aveva
bruciato un grande deposito di legname dalla parte di Porta Vicentina. In questi ultimi
tempi si odono certe cose che più che disgrazie, sono atti di sabotaggio. Prima il
dinamitificio di Piacenza, poi di Bologna, ora il deposito di legnami, non so…penso.
Questa mattina altro battibecco col Maresciallo. Voleva che lasciassi un lavoro
riguardante i stralci (?) soli per fare una sua lettera. Io non ho voluto. Prima volevo
finire il mio e poi avrei cominciato il suo. Cominciò allora a gridare come un ossesso.
“Senta” gli dissi “non stia a gridare a tanto, perché così dimostra di avere scarsa
cultura e corto cervello. Soltanto gli uomini ignoratisi lasciano prendere dall’ira.”. Non
disse una parola. Mi voltò le spalle e se ne andò lasciandomi al mio lavoro. Io lo
seguii con un sottile risolino sarcastico. Quanta montatura! Maresciallo! Imbecille,
villano, ignorante, altro che Maresciallo, ecco il titolo che ci vorrebbe a questa gente qui
a più di quaranta vorrebbe passare sottotenente per meriti speciali per poi andare con
delle ragazzine di 17-18 anni per poi raccontare ai colleghi le loro avventure. Che
figura ci farà, non pensa quando troverà una ragazza intelligente e colta che gli farà
vedere come è fatto, e credo che quel giorno e in quello stesso istante in cui essa gli
getterà in faccia il suo disprezzo, non ne sarà scosso, ma riderà perché senza morale,
senza educazione e senza intelligenza. Ecco quello di cui può essere orgoglioso: viltà e
tradimento.
Martedì 3 Settembre 1940 – XVIII°. Nulla di nuovo da segnalare in questa
giornata, passata così monotonamente. La sera sono andato a bere un litro di latte alla
Latteria al Ristoro. E’ un simpaticissimo ritrovo ove si trovano alle volte diversi avieri
che passano le ore dinanzi a un bicchiere di latte chiacchierando del più e del meno. Così
ho fatto anch’io questa sera. Ero stanco, e, non sapendo dove andare per riposarmi un
po’, mi recai con Bradicich lì a bere il mio solito bicchiere di latte.
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Mercoledì, 4 Settembre 1940 – XVIII° - Erano le 16 quando il postino mi portò
la cartolina postale di Adele. Sino a quell’istante ero melanconico. Da quel momento
cominciai a ridere ed a scherzare. Eran poche quelle righe, ma erano egualmente tanto
belle per me. Poca cosa, poca roba, ma che per me purtroppo ha un grande valore.
Risposi subito e la sera, essendo di servizio, fantasticai tanto nel rivederla quasi presso
a me. Passai così una delle ore più belle della vita militare.
Giovedì 5 Settembre 1940 – XVIII° - Ricevetti questa mattina una lettera del
padre. Mi ha fatto tanto bene, sono contento, soddisfatto, ho anch’io il mio padre che mi
scrive ed ora posso dire anch’io “mio padre mi scrive”. Sì, mio padre, appunto mio
padre che cercherò di cambiarlo. Sono stato così contento quest’oggi, che la sera per
bagnare questa mia felicità, sono andato a bere un litro di latte.-
Venerdì 6 Settembre. – Siamo in settembre, ma qui fa ancora un caldo terribile.
Le giornate sembrano afose come in piena estate. Ora, mentre scrivo sono le 21. Tutto è
chiuso causa l’oscuramento, sudo terribilmente, ma non mi importa più nulla. Adele, la
mia cara Adele, decisamente comincia a dimenticarsi di me. Mi aveva promesso una
sua lettera lunedì, ma io non ne vedo arrivare nulla. I giorni passano, l’orgasmo ci
prende, diventiamo nervosi, potrei credere tante cose sul suo conto, ma non posso, le
voglio troppo bene e so se poi fossero vere che mi farebbero tanto male, meglio non
pensare certe cose e strozzare il singulto d’un singhiozzo che sta per uscirci. Così è la
vita!
Sabato 7 Settembre 1940 – XVIII°. - Questa mattina ero un po’ mesto. Non so
cosa avevo, forse la stanchezza. Però l’umore allegro mi ritornò quando arrivò il
Sergente Maggiore Malavasi. Si cominciò a scherzare, raccontare delle barzellette, ecc.
La mattinata così passò come una folgore. Dopo il rancio, stanco com’ero e per di più
soffocato dall’afa della giornata, mi coricai sul tavolo del maresciallo Muscariello.Dormii così su quelle tavole dure meglio che in un letto. Dopo due ore mi svegliarono.
Ero tutto bagnato dal sudore. Presi l’asciugamano ed andai a rinfrescarmi sotto il
rubinetto dell’acqua. – La sera, poi, andai con Bruna. Da quando tornai dalla licenza
dell’esame è questa la prima volta che vado con Bruna. Era tanto soddisfatta nel
vedermi. Mi baciò e posso dire con sincerità che finalmente accanto a lei potei sognare
un po’. Ero così felice. Mi sembrava di esser ritornato ai vecchi miei tempi, senza le
stellette, quando giovane ancora, rincorrevo sui verdi prati, tappezzati di rubini
floreali, le farfalle multicolori, oppure andavo in cerca dei grilli, stuzzicando con fili
di paglia, simili all’argento, le cavità aperte sulla rugosa crosta terrestre. Frugavo, ma
per quanto conficcassi il bastoncino argentato, questi non era capace di far uscire
neanche l’ombra di un grillo. Stanco, e quasi contento di aver lasciato una vita di più a
questo mondo, mi beavo del suo canto, stendendomi sull’erba, sognando.
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Domenica 8 Settembre 1940 – XVIII. Ieri sono stati promossi primi avieri due
miei camerati, Novelli e Covelli. Il primo triestino, caratino il secondo. Mi hanno
invitato con loro questa mane e di buon ora siamo andati a fare uno spuntino. Abbiamo
anche bevuto un po’ e posso dire che ritornando in Ufficio ero alquanto brillo. Per
istrada poi, abbiamo incontrato Bradicich. Altro bicchiere di cognac che mi diede il
colpo di grazia.- Non essendo però nessuno in ufficio mi riposai, e, così nel pomeriggio,
mi passò tutto.
Al Vigorelli c’era nel pomeriggio una riunione dei maggiori assi del ciclismo italiano
odierno: Coppi, il ventenne vincitore del Giro d’Italia, Bartali, Bini, Bizzi, Guerra,
Battesini, Favalli, Introzzi, ecc. Si correva un’americana di 80 km. La gara fu
combattuta, ma negli ultimi 30 giri la coppia Guerra-Battesini diede un distacco alla
diretta avversaria Bartali-Bergonci vincendo così l’americana. Degna di menzione è
questa vittoria che va a tutto onore di Guerra. A 39 anni ci sono pochi uomini che
abbiano la forza di portare a termine vincendola una gara di 80 km alla media oraria
di 47.500 km. Bravo Guerra! Ti lodo per mio conto. Soltanto tu puoi aver il nome di
uomo! La sera poi, essendo venuto tardi all’appuntamento di Camilla non c’era più.
Fui contento, perché almeno così non facevo un torto ad Adele. Non sapendo dove
andare, mi recai all’”Aurora”a vedere il film “Servizio di lusso” film americano dalla
trama fessa e balorda.-
Lunedì 9 settembre 1940 – XVIII° - Questa mane alzandosi si è provato un po’
di frescura: il caldo opprimente ha lasciato il posto alla pioggia. Arrivato in ufficio
scrissi a mia madre, poi mi recai dal dentista: Qui come al solito, le stesse facce nel cui
volto si legge il terrore e la paura degli strumenti odontoiatrici. – Della giornata nulla
di notevole da raccontare, poiché passò monotona, tranquilla ed eguale. La sera, invece,
nel ritornare al Presidio presi una famosa bagnata che mi appiccicò tutti gli abiti
indosso.
Martedì 10 Settembre 1940 – XVIII° - I miei abiti questa mane erano ancora
bagnati. Dovetti vestirli così. Al ginocchio intanto udivo uno strano dolore. Credevo mi
fosse occorso qualche male, ma man mano che la giornata passava e le nubi si
diradavano lasciando passare il sole gli indumenti si asciugavano, mentre il dolore
poco alla volta scemava. Fu così che a mezzogiorno dopo finito il rancio, dovemmo
accompagnare io e Novelli un piccolino che viene a mangiare da noi perché alcuni
ragazzini lo volevano picchiare. Fu così, per puro caso, che ci fece far conoscenza con
un tipo, il più somigliante alla falsariga di Eva, ch’io abbia mai visto. Il vero tipo
della donna assassina ed affascinante. Si chiamava Alice. Parlai con lei, le divenni
simpatico, tanto che promise di vedermi domani. -
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La Felicità di Karen
Bramson
La commedia pone un quesito spinoso ed assai controverso. Scoprendo un adulterio
che rivelato, annienterebbe la felicità e spezzerebbe la vita di una persona cara sia per
questa il proprio figlio, si deve e si può, a qualunque costo denunciarlo! La commedia
pone questo quesito e lo risolve con bravura drammatica e dialettica affermando che
non si deve che il silenzio in tal caso e pietà, non viltà espressione di vero amore, che
supera le leggi della dignità, dell’onore offeso.
Il pittore Svend ama di un tenero e fiduciosissimo amore la propria moglie Edith;
la quale, disamorata di lui, intrattiene relazione peccaminosa, con il migliore amico del
marito, seguendo con le regole tradizionali del più tradizionale teatro, nonché della
vita. Edith, che pure ci è descritta quale donna di mentalità avanzatissima, assertrice
della reciproca libertà e dell’eguaglianza dei sessi, non lascia il marito per l’amante,
come a tutta prima sembrerebbe logico e onesto che dovesse fare, obbedendo così al
richiamo egoistico della propria felicità, che per solito dimentica e sprezza l’infelicità
altrui.- Non segue l’amante, che la vorrebbe con sé tutta la vita, non segue l’amante che
pure ama disperatamente. E soffre. Una sofferenza più grande sarebbe per lei
infrangere la fiducia e la felicità del marito. Senonché il padre del marito, colonnello
Hassel, la scopre un giorno con l’amante in un atteggiamento che non può lasciare
dubbi di sorta e, offeso, dolente per la sorte del proprio figlio, sdegnato con la nuora,
vorrebbe denunciare la tresca. Ma la nuora lo affronta esortandolo al silenzio per
salvare la felicità di Svend. E così pure il suo vecchio amico Calmar ed il pastore Ralf.
Ma dalla discussione acerrima con Calmar e col pastore, discussione in cui i due
opposti modi di vedere – silenzio pietoso o denuncia spietata – si urtano come due
spade in duello, indovinate che cosa viene a galla? Che Calmar fu per venti anni buoni
l’amante della defunta moglie del colonnello, e tacque, quel caro uomo, per non
infliggere all’amico il dolore più grande. E ora dichiara, oltre a tutto, di aver sofferto,
sofferto per amore, per rinuncia, per aver vissuto nell’indegnità anni ed anni. Ed è qui
la giuntura fragile della commedia. Per salvare la felicità del figlio, o meglio, per
convalidare la tesi, bisogna che anche il padre scopra che la sua felicità è stata
un’illusione, che la sua fronte portata sempre così alta, risulti ornata metaforicamente,
che con i rami della famiglia sono cresciuti anche i rami delle corna. Ma questa è una
visione catastrofica della vita umana, è come affermare che poiché esistono certe
malattie, nessuno, proprio nessuno deve esserne immune. Infine, nella commedia, è
proprio l’assertore della teoria del silenzio pietoso, amorevole e beninteso, che rivela
tutto, agendo così in contrasto con la sua tesi. Forse perché valeva di più la felicità del
figlio che non quella del padre? E non è più grave percuotere sul finire una vita che fu
felice nell’illusione, che non quella appena nata e cresciuta, capace di rifarsi attraverso
il dolore e il tempo?
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La commedia si conclude com’era inevitabile si concludesse a rinforzo della tesi. Il
padre, dopo il dolore provato per la tremenda rivelazione della sua vita passata,
chiede scusa al figlio (di aver) anche solo insinuato dei sospetti, di aver turbato la sua
felicità e l’aiuta a chiudere gli occhi, a vivere nell’illusione. Il figlio che, turbato nella
sua fiducia, cominciava a essere roso dal dubbio, e come Ivan il terribile, era giunto a
scrutare nel sonno la propria sposa, è felice e contento.
Per un senso di comune ottimismo a tutti gli uomini, amiamo sperare che questa
teoria non prenda troppo piede sia presso le donne che presso gli uomini. (10 – IX – 40)
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Mercoledì 11 Settembre 1940 – XVIII° . - Le nubi quest’oggi hanno lasciato il
posto al sole che ha fatto un po’ capolino. I milanesi, come lucertole si sono riversati
per le vie milanesi a bersi il sole, sulle panchine. – Tutti felici giocondi. Ritarda
l’autunno ogni pensa felice e spensierati, parlano e scherzano. Solo io, forse fra tutti
quanti ho la mente sconvolta. Adele non mi scrive da parecchio tempo. Il mio turno di
Capo Posto, comincia alle ore 17 e, forse la tradizione si ripeterà, avrò sue notizie.
Giovedì 12 Settembre 1940 – XVIII°. - Anche la giornata d’oggi è caratterizzata
dal cielo sereno e dal disco infuocato, alto nel cielo, che ci benedica ancora un po’ del
suo calore. Questa notte ho dormito assai poco, ma sono egualmente contento. Sonno non
ho. Sono anzi orgoglioso di fare il mio servizio. Scatto dinnanzi ai miei superiori che mi
sorridono compiacenti e soddisfatti. Tutto procede bene quando sono di guardia. Ogni
servizio funziona ottimamente. Pensieri non ne ho perché sono sempre in movimento e
così il tempo vola. Mi sembra così di aver fatto anch’io il mio dovere di italiano e di
cittadino. Alle 16 il postino mi porta una lettera senza il mio nome. Indirizzata
soltanto all’Av.Sc. 1ª Z.A.T. Fortuna che è arrivata. Guardo nel retro della busta il
mittente: Francovich. Apro e leggo. Sono contenti di essermi interessato di loro: Mi
danno dei consigli circa la compagnia di frequentare e mi parlano di Oreste: A questo
nome mi ritornano alla mente i bei giorni dell’infanzia spensierata in cui ci si picchiava
sempre, ma egualmente, poi si ritornava amici. Più ce ne davamo, più amici eravamo.
Dolci ricordi questi che mi si sono affiorati alla mente. Risposi subito a questa lettera,
e credo saranno contenti nel leggerla. Però d’Adele ancora nulla: Ritornando questa
sera al Presidio ero preso per istrada, da una strana malinconia, che come l’esperienza
mi dice, porterà disgrazia, e, perché no, dolore imminente.
Venerdì 13 Settembre 1940 – XVIII. - Non ero mai superstizioso, ma oggi invece
sentivo, come qualcuno me lo dicesse che qualcosa che mi avrebbe fatto male sarebbe
accaduto, tanto da ricordarmi sempre di questa giornata. Infatti più tardi, il postino
mi portò la lettera tanto attesa di Adele. Non la avessi mai aperta. In quella lettera
stava espresso tutto il mio dubbio che per tanti giorni mi aveva torturato il cervello. Con
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belle maniere mi faceva capire che s’era innamorata di un altro, e, che……no, non
posso andare avanti con questo racconto, mi fa troppo male, non arrivo a trovare le
parole per esprimere questo dolore improvviso, è stato troppo forte, meglio troncare con
questa descrizione e continuarla un’altra volta, quando la ferita sarà un po’
rimarginata. Solo così, tralasciando il ricordo che mi fa tanto male, potrò scordare un
po’ ciò che mi fa tanto soffrire.: il mio amore per Adele, la luce eterna che brillerà
ancora per me, anche se lontano e dimenticato. –
Sabato 14 Settembre 1940 – XVIII°. - Il dolore è ancora opprimente, non mi
vuol lasciare. Ho sofferto tanto tutta la giornata. Non credevo che l’amore possa far
tanto soffrire. Un peso enorme mi pareva m’opprimesse la testa, mentre le cervella mi
sembrava che da un istante all’altro dovessero scoppiarmi. E’ una specie di incoscienza
che ti fa tanto male, che ti sembra sollevarti da questa terra ed essere solo un pensiero
che ti fa soffrire e che non cessa mai. Io che avevo tanta fiducia in Adele. Tutto è
sparito in una volta sola. Tutto, sogni, progetti. Ma forse è meglio, una ragazza così,
se non la troverò più, ma la sua anima, però non si depurerà più. Ormai è travagliata
da una passione che non la lascerà più.- Le piace possedere tutti gli uomini che gli sono
simpatici e lo so che per quanto mi giurasse eterno amore e portasse la mia immagine
sul suo ciondolo, mi ha tradito diverse volte. Io lo sentivo, e, tutte le volte ch’ero triste, e
piangevo essa se ne andava a divertirsi con gli altri, ma non ero capace di dirgli nulla.
Quelle sue lettere in cui si lagnava che non le volevo bene, non era forse uno sfogo alla
sua delusione trovata in un uomo? Io non ho chiesto mai nulla. Mi bastava soltanto
vederla ed un suo bacio ciò mi rendeva felice. Null’altro chiedevo da lei. Perché ha agito
così con me? “Mi gira intorno, sento che mi perderò”. Dunque, dacché il mio amore non
le era forza per lottare, vuol dire che non ama. Perché allora dovrei legarla a me, se
poi non farebbe che maledirmi per la sua infelicità. Meglio troncare giacché ha
dimostrato di saper tradirmi.- Ho ricevuto oggi una lettera del padre con 50 Lire. La
sera, poi sono andato con Bruna. Così in parte m’è passato il dolore. –
La cura moderna delle ferite.Le disillusioni offerte dalla grande guerra del 1914-’18 nel campo sanitario
militare dimostrano una volta di più che in medicina, è così in ogni branca di scienza
applicata, non sempre l’esperienza acquisita anteriormente né le conoscenze teoriche
prima possedute sono sufficienti a farci prevedere le condizioni nelle quali si svolgerà
la battaglia sanitaria in una successiva guerra. Ogni guerra offre una situazione per
così dire inedita; fattori morbosi, che si credevano sopiti, risorgono, organizzazioni che
parevano prima efficaci risultano del tutto impari e necessità nuove, determinate da
nuove tecniche di guerra e da nuove circostanze ambientali, rappresentate dal clima,
dall’alimentazione, dalle razze umane in lotta fra loro. Per tenerci al solo campo
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chirurgico, il tetano, la gangrena gassosa delle ferite, le infezioni chirurgiche più
correnti fecero disastri in causa dell’insufficiente quantità di siero antitetanico a
disposizione, della ignoranza sulla vera natura della gangrena, dell’eccessiva fiducia
riposta in mezzi antisettici che invece si dimostrarono inefficaci o addirittura poco
favorevoli alla cicatrizzazione.
Istruiti dalla dura lezione, si arrivò, almeno in quei riguardi, a provvedersi a
tempo; e al giorno d’oggi si può fare sicuro assegnamento sulla terapia
antigangrenosa.
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Domenica 15 Settembre 1940 – XVIII°. - Ho trovato un po’ di refrigerio questa
mattina facendo il solito bagno domenicale, ma il pensiero di Adele mi assilla ancora.
Come ho trascorso questa giornata così sacra all’umanità, e, si può domandare queste
cose ad un uomo che soffre per il tradimento dell’amata? Credo di no. Dunque non è
logico chiedere nulla, basta sapere che ho trascorso una delle domeniche più terribili
della mia esistenza. Sono rimasto dalla mattina sino alla sera tardi in ufficio. Volevo
studiare il tedesco, ma non potevo. La mia mente riandava con il pensiero a venerdì 13
ed alla lettera rivelatrice. Quanto male mi ha fatto. Mi voleva veramente bene Adele,
oppure m’ha preso sempre in giro? Sentivo quando la baciavo, le sue labbra staccarsi
repentinamente dalle mie, quasi sentisse ripulsa, ma non ci badavo. Avevo troppa stima
di lei e le volevo troppo bene. Non potevo pensare certe cose di lei ed ora invece tutto mi
torna alla mente rischiarato da una nuova luce rivelatrice. I suoi baci, il suo amore
incorruttibile nient’altro che menzogne. Ma non la maledico, no. Le voglio ancora bene, e
poi, un po’ di dolore fa bene! –
Lunedì, 16 Settembre 1940 – XVIII. - Nulla di notevole quest’oggi. Ho ricevuto
una lettera da casa alla quale ho risposto subito. La sera poi sono andato con Bruna.
Ci siamo dette tante cose. Essa non finiva di baciarmi. Così trascorsi due orette fra la
realtà (e) il sogno con la mia cara camerata, poiché, veramente è una camerata sincera
nel più profondo del cuore.-
Martedì, 17 Settembre 1940 – XVIII°. - Giornata solita anche questa di oggi. Di
Adele non parlo più perché m’ha tradito orribilmente. Mi ritorna però ora alla mente la
virginea figura di Bianca. Forse questo è il mio più vero e sincero amore. Uno di questi
giorni le scriverò.
Mercoledì, 18 Settembre 1940 – XVIII. - Quest’oggi non ho fatto nulla perché il
mio sergente Maggiore era d’Ispezione alla Presidiaria. Perciò non ho avuto nessun
grattacapo.
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Giovedì, 19 Settembre 1940 –XVIII°. - Sono stanco, tanto stanco, ho una strana
sensazione di malessere. Rivedevo Bianca e le belle serate in cui passavamo il tempo
uno vicino all’altro facendo le parole crociate. Non ne potevo più, ecco perché scrissi
queste due lettere, una per lei e una per sua madre che qui trascrivo.
“Cara signora, ritorno a Voi. Sono il così detto “Figliuol Prodigo” a cui sono sicuro
non si negherà buona accoglienza neanche alle sue lettere. Dico appunto “figliuol
prodigo” poiché ultimamente sono “scappato”, come dicono, all’inglese, cioè senza
salutarVi appunto, come fece il “Figliuol Prodigo” della famosa parabola di Cristo.
Non potevo, Signora, venire a salutarVi e, Vi dico in confidenza che se fossi venuto, ne
avrei sofferto un po’.Il motivo certamente Voi lo sapete; è la mia solita melodia, vecchia e disusata, ma
sempre così fervida, vera e cristallina, che una volta udita non la si può più scordare:
“Bianca”.
Quante corde del mio animo intimo ha saputo toccare questo nome: Tutte hanno già
suonato. Alcune limpidamente tal altre fisicamente come l’acqua ristagnante d’una
broda, ma posso dire che tutti i suoni, tutte le melodie, tutte le ariette fragili e diafane,
sono state musicate e fatte suonare sempre su un medesimo motivo, su una stessa
tonalità.
Posso dire, per la verità, che quest’arpa ha avuto altri suoni, incrinati da maliziosi
occhini di altre Eve, ma questi suoni sono stati steccati nella maggior parte nelle loro
battute melodiose dagli innumerevoli diesis o bemolle sparsi per la strada. La mia
melodia, quella pura cantata a gran voce, invece, è stata per me un continuo conforto,
uno sprone a combattere e riuscire in tutto. Era una melodia casta, pura, senza bemolle,
senza diesis, nitida come il sole che irraggia un cuore amato nei primi approcci della
primavera, e Voi signora avrete già capito che questa melodia, che alle volte mi torna
alla mente è inspirata e dedicata a Bianca, che oserei quasi chiamarla un giglio,
candor di fior purezza di sentimento.
Questa melodia che mi apriva i posti più reconditi del cuore mi faceva sognare e,
sognavo tanto, cara signora, che alle volte rivenendo, la realtà mi smarriva,
smarrendomi così anche dinanzi agli occhi di Bianca.
Il sogno Signora, che con il ricordo della dolce Visione di occhi e capelli ricciuti è la
sola cosa che ora mi resta di un mondo vissuto, che ho dovuto lasciare per ovvie
ragioni.L’altro giorno sono caduto in una trappola, tesami dal mio sogno che mi mise la
mente in orgasmo, divagando su cose, che sono irreali, che non possono esistere, ma che
soltanto un cuore ed una mente pregna di poesia e d’ispirazione crede vere.
Ho sognato…e, Voi già saprete chi, anzi non ho saputo far meno di descrivere
questo mio sogno a colei che ne fu la protagonista, non oso perciò mandarglielo, anzi lo
invio a Voi Signora e, se credete opportuno potrete farglielo vedere, a meno che non si
arrabbi. Sono, Signora, lo so, un burlone impertinente, ma ora, Vi posso dire non parla
la mente, ma il cuore, e se la mia debolezza è il sogno, che vede cose irreali, io non ne ho
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colpa. Scusatemi questa lettera scritta così malamente, amelodica, ma non ne potevo
far a meno. Ciò che vi dissi è la pura verità. Vs. Andrea”
P.S. Signora, Bianca riderà sono certo nel leggere le galoppate della mia fantasia,
ma non me la prendo a male, perché so che alle volte anch’essa è presa dallo stesso
male che talvolta mi soggioga, eco perché legge sempre ed è così astrusa con Voi. Segue
una chimera che non può mai raggiungere.
E’ tanto bello sognare, Signora: Si resta almeno per un istante felici. Soltanto gli
esseri infi(n)gardi e fannulloni non comprenderanno mai il valore del sogno e della
fantasia, che alle volte vengono eccitate dal lavoro e dalla gioia di aver saputo fare il
proprio dovere. Ecco perché i maggiori sognatori sono stati sempre dei formidabili
lavoratori.
Si ricordi, Signora, che anche Ireneo è un sognatore, mi assomiglia tanto, ecco perché
andiamo d’accordo. Ora lui può realizzare quel sogno che un giorno ci avevamo
reciprocamente confessato: visitare l’Africa. Non sognerà più, mentre io sognerò ancora
finché non rivedrò le spiagge ed i lidi sfocati di Africa, con i suoi canti, le sue nenie, le
sue oasi, i suoi tradimenti, le sue insidie, i suoi dolori e le sue gioie. E, forse anche quel
giorno verrà: sarà la seconda promessa mantenuta a Bianca. Quel giorno sono sicuro,
il sole riderà più festoso che mai, mentre canoe cariche di un popolo nero e festante
verrà a porgermi il primo saluto. Allora un canto gioioso s’innalzerà al cielo, mentre la
mia gioia piena s’involerà in un saluto a Bianca. Ireneo era da me. E’ tanto contento.
Lo capisco. Beato lui. Saluti. Vs. Andrea”
Ed ora riscrivo la lettera per Bianca scritta in un momento di piena estasi.
“Cara Bianca, ti vidi ieri in una nube d’oro, circondata da rubini e deliziosi
cherubini, mentre un canto angelico, delizioso veniva cantato per te dagli angeli celesti.
Mi trovavo a passeggio per le vie di Milano, tutto all’intorno a me un continuo
rumore di voce argentee voci di bimbe della tua età, che mi facevano sognare e in quel
sogno ti vidi, come quella lontana sera del 5 giugno, ti ricordi? Eri bambina allora,
forse ti sarai scordata ciò che ti dissi, ma io me lo ricordo sempre. La prima promessa
l’ho mantenuta: il diploma di ragioniere. Le altre forse verranno. Tutto questo passava
sulla mia mente come in un film di vita vissuta, vera e reale, che dico la verità mi
faceva male. Dove andare? Volevo scordare questi pensieri che mi si affacciavano alla
mente: decisi di andare in una trattoria: Ordinai un po’ di vino ed un “sandwich”, ma
non avevo voglia né di mangiare né di bere: caldi lacrimosi stillavano nel bicchiere.
Il mio amico s’incupiva e si intristiva sempre più. Mi sembrava d’esser condannato
eternamente alla malinconia.
Nell’uscir dall’osteria sentii suonare la campana della vicina chiesa della salute.
Mi sembrava un suono troppo sordo, adatto ai suppliziati. Sulla strada un po’ già
scura, la folla ancora vi ondeggiava. Mi fermai sul canto della via Gesù. Restai lì
fermo. Mi sembrava di vedere qualcosa laggiù, lontano nel tempo in cui mi piaceva
fissare i tuoi occhini, e, spontanee mi salivano alle labbra strane parole che
immagazzinate nel mio cervello uscivano come i mattoni, costruendo così un monologo
strano e pazzesco, quasi a mia insaputa.
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Sognavo troppo:
Leggende antiche narran di castelli
d’oro: fra suono d’arpe le fanciulle
danzan: fasto di servi: gelsomini
e mirti e rose odor spandono intorno.
Ebbene, uno scongiuro, e in un istante
tutto quello splendor, ecco svanisce!
Così, anch’io, con unica parola,
la florida natura, ecco ho distrutto
Quel suono lugubre risuonava nelle mie orecchie, mentre una voce d’oltretomba
sembrava ripetermi le ultime parole “Così anche tu la florida natura hai distrutto!” In
tale occasione Bianca, gli uomini si bruciano le cervella, ma io invece di recitare il solito
monologo “Essere o non essere” dell’”Amleto” di Shakespeare, recitai quei versi sopra
riportati. Fu così, che mi fermai all’angolo della via Gesù, e, mentre ero lì, solo come
San Giovanni nel deserto, ecco all’improvviso apparire il tuo fantasma che sempre mi
perseguita addolorandomi.
Portavi un abito di seta celeste ed un cappellino color di rosa.
Mi guardasti con tanta tenerezza da fugare ogni mio proponimento di miseria,
facendomi desiderare la rinascita a nuova vita.
Con un solo sguardo mi avevi salvato la vita, ti stavo davanti come risorto, come
abbagliato dalla tua fiorente primavera: Passasti e mi lasciasti vivere.
Alcuni godono al pensiero dell’amata che spargerà fiori sulla sua tomba e
l’innaffierà di lagrime, in quanto a me odiami pure, disprezzami, scorbacchiami (?),
ma lasciami sognarti e rivederti ancora.
Hai detto di sé, vedi ora rivivo. L’arteria della natura fa palpitare il mio cuore e se
io esulto mille echi mi rispondono, odo mille rosignoli. La primavera li ha mandati a
risvegliare la terra che dorme nel leggero sonno mattutino e la terra freme di piaceri e i
suoi fiori sono gli inni che nell’entusiasmo innalza il sole.
Ma quando il sole si tuffa nel mare sibilando e la gran notte s’avanza con i grandi
occhi pieni di desiderio un’inaudita gioia mi invade l’anima.
I venti freschi della sera, come fanciulle carezzevoli, danno refrigerio al mio cuore
ruggente e le stelle mi accennano: e allora mi elevo, mi slancio sopra la terra meschina,
sopra i piccoli pensieri degli uomini.”.
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Venerdì, 20 Settembre 1940 – XVIII°. - Ero assai stanco questa mattina quando
il caporale di giornata venne a far la sveglia. Fu così che rimasi un po’ di più in
branda. Venne il Sergente mi prese il nome, e, così, sono certo, la punizione mi fioccherà
improvvisa: Ma è proprio vero che quando uno ha sfortuna, è sempre sfortunato.
Infatti, domani sera dovevo andare con Bruna, e, invece, dovrò andare in
“villeggiatura” (prigione) oppure dovrò rimanere all’albergo”Miracca” (consegna).
Così ho dovuto oggi scrivere a Bruna perché domani non m’attendesse. Ecco ciò che
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scrissi: “Cara Bruna, so che ricevendo questa mia t’arrabbierai di nuovo, perché dirai
che prendo troppe punizioni. Infatti questa mattina ho dormito un po’ di più ed il
Sergente d’Ispezione mi ha preso il nome. Ciò vuol dire che prenderò alcuni giorni di
consegna o di prigione. Perciò, cara Bruna, domani sabato non ci potremo rivedere.
Appena saprò la misura della punizione te lo farò sapere, così ti potrò dare
l’appuntamento per il giorno susseguente al termine della punizione. Credi, sai, mi
dispiace tanto non poterti rivedere domani. Quando sono con te mi passa tutto, ma
bisogna aver pazienza, e quando uno è disgraziato, è disgraziato e basta. In attesa di
rivederti presto ti saluto, tuo aff.mo amico A.”
Non ho neanche ben finito di scrivere questo breve biglietto che il postino mi porta
una lettera di Bruna con dentro nella busta una cartolina con la seguente scritta:
“Carissimo, attendimi domani sera giovedì alla stessa ora. Saluti e baci. Bruna.”
Avendo ricevuto appena oggi la letterina, è naturale e logico che ieri sera non potevo
essere al solito posto ad attenderla. Chissà come mi avrà atteso, e, quali strani pensieri
si saranno affacciati alla sua mente, non vedendomi arrivare. Ma per quanto io possa
scusarmi essa non mi crederà. Mi dispiace tanto perché è una così buona e simpatica
ragazza.
Ora che riscrivo sono le 13. Ho finito di mangiare, se mangiare si può chiamare quei
due cucchiai di riso che ho messo in stomaco. Infatti oggi è venerdì c’è il baccalà, e,
questo non mi piace, ecco perché con un po’ di riso ed uva ho saziato un po’ il mio
stomaco.
Oggi è l’anniversario della lettera di Adele, ecco perché oggi ho scritto a sua sorella
nei seguenti termini:
“Cara signora, mi scuserete se vengo di nuovo a disturbarVi, ma Voi certamente
sarete al corrente della nuova relazione che Adele ha intrapreso con un altro uomo: Me
lo ha rivelato otto giorni fa, e precisamente il 13 di questo mese. Io l’ho capita, signora,
ho compreso ciò che m’aveva scritto, e gli ho risposto subito così come mi parlava il
cuore. Ognuna di quelle righe porta impresso il mio dolore e la delusione provata per
questa improvvisa rivelazione. Non ne potevo credere, signora, e quella lettera mi
sembrava una cosa inverosimile, ma ora che non vedo arrivare nessuna risposta alla
mia cui seguì subito il giorno dopo un’altra, ne sono tanto addolorato.Non credo che Adele abbia dimenticato il suo Andrin e le serate passate insieme, in
cui ci siamo fatte tante promesse, vedendo il nostro avvenire così radioso. Ed io, signora,
ho provato la gioia di colui che lotta per la propria donna e per il suo amore. Ero un
misero studentello quando son venuto sotto le armi, e tutto questo feci per lei, per
ritornare il più presto possibile dalla ferma di leva e poi darle una casa, un tetto, dove
poter finalmente riposarsi un po’, ma ora signora ho anch’io il mio titolo e la vita
futura, dopo il militare, credo sarà un po’ fortunata ed adeguata al titolo che ho. Voi
certamente non potrete mai sapere la gioia che mi invadeva quando la sera, dopo aver
fatto il mio lavoro e le esercitazioni (specialmente nel duro periodo dei quaranta giorni
di reclutamento, mi mettevo in un tavolino del refettorio e, invece di andare alla libera
uscita, studiavo mentre un sorriso mi sfiorava le labbra. Ero tanto contento allora,
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perché pensavo alla mia Adele ed al suo amore per me. Mi prendevano in giro i miei
compagni, perché studiavo troppo, ma cosa volete siano gli scherzi maliziosi dei
camerati in confronto alla contentezza che si prova quando dopo aver finito gli esami si
può presentarsi alla donna del cuore e dirle finalmente: “son promosso!” Ho fatto
tutto per lei, mai un torto, mai uno sgarbo, dunque perché ha cambiato idea così presto?
Adele parla della nostra sfortuna, di non poterci mai rivedere, ma signora, quando
due si vogliono veramente bene non devono aver paura della sfortuna e del destino,
perché si ha voglia di dire che quello che è destinato, è destinato, ma pur è vero che se
uno si lascia prendere dalla corrente di un fiume che lo trascina a valle e non tenta di
appressarsi alle sue sponde per salvare il suo stato, quello non è destino, ma bensì sua
volontà, perché il destino ognuno se lo costruisce da se, con le proprie forze e con le
proprie disgrazie.Ho provato tanto nella mia vita, signora, e per quello che ho visto e patito, ora
dovrei, se non altro, avere un po’ di pace, una gioia magari effimera, ma sempre una
gioia, invece……
Perché è stata così crudele con me? Non mi sono mosso dalla mia idea neanche un
millimetro, mentre essa invece, dopo avermi promesso di attendermi, si lascia far girare
la testa da un primo venuto, che le promette mari e monti, e, che poi, invece, bisognerà
vedere cosa sarà capace di mantenere. Io per ora non posso far niente per essa, perché
mi trovo qui, sotto le armi, ma una volta tornato a casa, sarei capace di mettere su una
bella casetta per me ed essa, perché l’entusiasmo non mi manca e quando si pensa che
questa casa sarà per la nostra compagna di tutta la vita, le forze si centuplicano, e,
anche il lavoro più pesante diventa una cosa da nulla, quando si sa che (dopo) le
fatiche, a casa, ci attende il sorriso della donna per cui si sgobba e si patisce.Avrei, cara signora, da scriverVi ancora tanto e tanto, ma perché voler aprire una
ferita che già sanguina abbastanza? E’ meglio perciò, signora, che vi saluto per non
parlare più di una cosa che fa tanto male. Spero, però, che una risposta ancora, forse
l’ultima, alla mia lettera, da Adele, la dovrei riceve(re). Di nuovo e tanti saluti a tutti
voi ed auguri per una futura prosperità più grande e piena. Andrino.”
E’ questo il testo che dovrei spedire: Non è gente, quella, che arrivi a comprendere
certe cose, appena ora lo vedo, perché come si sa l’amore è cieco. Ad ogni modo rifletterò
prima di spedire queste poche righe.
Sabato, 21 Settembre 1940 – XVIII. - Questa mattina finalmente ho ricevuto
risposta alla mia lettera di Venerdì 13 da Adele. Io gli risposi nella seguente maniera:
“Cara Adele, rispondo alla tua lettera di ieri ed alla tua cartolina.
La data come vedi è la stessa dell’anno scorso, 21 settembre. Ti ricordi? Ma che
differenza tra l’una e l’altra. La prima volta ci lasciammo con un sorriso di cui la
speranza ci illuminava il volto, ora invece ci lasciamo con il pianto di cui la
rassegnazione ci riga le gote.Mia cara Adele, tu dici di scordarti, ma non posso come non lo puoi tu scordarmi.
Ho visto sai nella tua cartolina che mi hai inviato. Prima avevi scritto “non ti scordar
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di me” e poi invece hai aggiunto “ri” (che vuol dire senza quel “non” ricorda) e
dimentica il passato. La prima volta avevi scritto ciò che ti dettava il cuore, dunque
perché hai voluto mentire questa voce?
Io, cara Adele, non ti ho da ridire nulla, ma se tu vorresti potremmo ritornare
ancora come prima. Non è forse bello attendere un po’ colei che si ama, l’amore si fa
così più tenace e forteTu dici che non meriti di essere ricordata da me per la tua infedeltà, ma Adele, senti
come vuoi che ti possa dimenticare? Anche se tu non vuoi che ti scriva più, mi ritornerai
sempre alla mente, ogni mattina, perché nel prendere la divisa per vestirmi, dovrò per
forza pensare a te, perché per te, solo per te venni sotto le armi.Io, se tu lo volessi, dimenticherò quella brutta parentesi, ma scordarti, Adele, mai
più. Mi hai fatto troppo bene perché possa scordarti, e, le lettere con quelle frasi, con
quelle parole dolci tracciate dalla tua cara mano, tu vuoi che te le restituisca. Non
posso, Adele, mi chiedi troppo lasciami almeno questo ricordo, in quanto alle mie, fai
quello che credi, o bruciale o restituiscile a mia madre, il resto, se proprio non vuoi
saperne più del tuo Andrin, gettalo via, meno il libro che mi ricorderà tante cose di te. Di
tutto quello che m’era più caro e sacro t’ho fatto dono, non voglio nulla indietro, tienilo
per te e le medaglie e le storie napoleoniche; te le avevo donato a te come la mia persona
più sacra e, giacché lo sarai sempre, tienile, perché meglio di te nessuno saprà
custodirle. Per ora Adele, non so cosa dirti, ma ti prego ancora una volta, pensa e non
parlare di “lasciarmi per il mio destino”, medita su tutto e ritorna ancora al tuo Andrin
che ti attende con le braccia aperte e ti perdonerà tutto.
Non dico “addio”, ma arrivederci, e, ricordati che attendo risposta, tuo Andrin.”.
Ho dovuto trascrivere questa lettera per poterla poi subito imbucarla, ma la
mattina, appena arrivato in Ufficio scrissi una cartolina ad Adele: “Rondinella, un
anno fa lasciasti il tuo Andrin, l’attesa t’ha sfiaccata, sei morta per istrada, nol
rivedrai mai più.”. –
Siccome però io sono un disgraziato, e la mia vita ed il mio agire non è altro che una
serie di atti in contrasto che si smentiscono volta per volta, ecco arrivarmi, appena
imbucato la cartolina, una lettera di Adele ed una sua cartolina.- La cartolina diceva:
“non ti ricordar di me e dimentica il passato.” Però ho osservato che la prima frase era:
“Non ti scordar di me.”. - ; si vede che poi, spedendo la cartolina si sarà accorta e si
sarà affrettata mettere sopra lo “sc” il “ri” e dove era il punto, di me una virgola
aggiungendo e dimentica il passato, venendo così a formare la frase “non ti s(ri)cordar
di me, e, dimentica il passato. ” E proprio oggi, singolare coincidenza, doveva arrivarmi
questa sua lettera. 21 settembre, data memorabile che non potrò più scordare. Era la
prima volta che provai una stretta al cuore, e, quel giorno credei che una parte del mio
cuore si staccasse. Da quel giorno l’ho sempre attesa fino ad oggi suo anniversario di
distacco, e, per ricordarmelo mi vuol lasciare, ma io non posso lasciarla, mi è troppo
cara. – La lettera che mi scrisse oggi è la seguente:
“Andrino, mi vorrai perdonare se vengo ancora a seccarti, che sono certa che ora i
miei scritti sono per te, come un balsamo nel cuore, ma mi perdonerai se sono così debole
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e se sono stata così imprudente a fare tutto ciò che ho fatto. Perdonami Andrino e cerca
di dimenticarmi e non più pensarmi, sono stata io a rovinare tutto, sono stata io ad
abbandonarti e merito da te la maledizione ed il malaugurio. Tu mi dici che mi auguri
con tutto il cuore che io sia felice, ma io comprendo Andrino tutto ciò che vuoi dirmi tu.
Mi dici nella tua ultima lettera che sentivi o cioè che avevi già il presentimento di ciò che
doveva accadere e fu tutta realtà. Sì, tutta realtà, ma una cosa solo tu hai sbagliato.
Tu mi dici che in quella famosa sera del tuo presentimento, forse io gli avrò dato il
primo bacio. No, Andrino io ancora non gli ho permesso che lui alzi un dito verso di me,
perché temo che qualora io gli darei questa confidenza torerebbe (leggi “torrebbe”,
n.d.t.) tutto mentre invece per ora non si fa altro che una piccola conversazione di pochi
minuti e nient’altro.
So che con queste chiacchiere vengo solamente ad annoiarti, ma ad ogni modo tu che
sei stato sempre buono verso di me, sarò certa che mi perdonerai. Andrino, tu mi chiedi
del libro di restituirtelo il libro è ancora come tu me lo hai mandato, sia il Diario, come
pure i “Brani napoleonici”, fammi sapere a chi devo consegnare questa roba, anche le
medaglie, le lettere e tutto quanto, così, ti prego di essere gentile con me anche per
l’ultima volta, l’ultimo favore che ti chiedo è questo di ritornarmi le mie lettere, che così
senza nessun ricordo potremo più facilmente scordare il passato, e, non pensarci più.
Non abbatterti, sii contento, cerca di essere allegro e dimenticarmi che non merito di
essere ricordata da te per la tua costanza.- E’ vero ciò che mi hai scritto. Io ti ho
promesso di attenderti anche 10 anni ma ho mancato di parola, non sono più degna di
te. Io riconosco il mio fallo, ma ora è tutto finito. Ricevi tanti saluti da mia mamma che
è all’oscuro di tutto. Ti prego Andrino di non scrivermi più e lasciarmi per il mio
destino. Addio. Addio, Adele.”
E’ questa la lettera a cui risposi riportando più sopra la risposta data. E’ ben
scritta, ma quantunque abbia cercato di far parlare il cuore, si vede che è pentita di
avermi combinato questo guaio. Io, per mio conto ho fatto l’ultimo tentativo e, se non
vorrà più saperne, si vedrà allora se il suo era vero amore oppure menzogna.
In quanto a me non me smanio più tanto, come in principio, anzi oggi nel
pomeriggio la rivista “Sole per tutti” ha dato un numero per noi militari. Ne ho goduto
tanto vedendo tutti quei quadri, ma quello che mi attraeva più di tutti erano le donne.
Mezze nude, con quei corpi perfetti, quelle gambe ben modellate, esse mi mettevano
l’acquolina in bocca. Sono stato tanto soddisfatto, perché per oggi, almeno ho ben
pascolato gli occhi.
Domenica, 22 Settembre 1940 – XVIII°. – Questa mattina è stata la prima volta
che me ne sono andato inquadrato alla Zona. Durante il percorso si è scherzato un po’.La mia punizione intanto non ha avuto corso, ecco perché ora sono le 9 (dopo aver
naturalmente preso un caffelatte, perché non ne potevo più dalla fame) ho scritto a
Bruna la seguente lettera perché mi attendesse domani:
“Cara Bruna, ti faccio sapere che la mia punizione non ha avuto corso. Credo che
ricevendo questa notizia gioirai un po’. Sai, mi dispiace di aver ricevuto in ritardo la tua
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lettera censurata, forse per questo ha ritardato. E’ questa la prima volta che mi
censurano una lettera, e, questa doveva essere giusto la tua. Avrai atteso di nuovo,
povera piccina, e mi dispiace tanto. Oggi, domenica, sono di nuovo di servizio. Se sei
libera domani, Lunedì, ti attenderò al solito posto ed alla stessa ora ti va? Dunque,
arrivederci a domani.
Saluti dal tuo aff.mo amico Andrea.”
La giornata oggi è magnifica. In ufficio c’è un lavoro continuo, simile al ronzare
delle api. Tutti sono in movimento, fanno la pulizia meticolosa degli uffici, poiché da
oggi in poi ci sarà un sorvegliante a detta pulizia, un Sergente, certo Lecardi, un gagà
tutto azzimato e tanto ignorante quanto profumato. L’incarico di capo-spazzino che s’è
preso è proprio adatto alla sua cultura. Crede che così potrà far carriera. Bella cosa
sollevarsi sulle rovine degli altri e questo sono certo lo farà perché darà punizioni a
tutto spiano. A me però mi fa un baffo, e, mentre gli altri puliscono io me ne sto qui sul
mio pulpito a scarabocchiare queste fesserie.
Non sono passati che pochi minuti quand’ecco arrivare il postino che mi porta tre
lettere ed una cartolina. La prima lettera che prendo e guardo è proprio quella di
Adele, essa dice:
“Caro Andrino,
mi scuserai se vengo a disturbarti con questa mia umile lettera. Ieri sera è stata tua
madre a prendere il libro che tu l’hai mandata a chiedermelo. Mi disse che è molto
addolorata a sentire tutto questo. Mi disse delle parole che mi fecero così male a sentire
che se non era per il pubblico mi mettevo a piangere come una pazza. Ti dico la verità
trovai una scusa dicendogli che non è stato che uno scherzo perché non sapevo come
spiegargli. Ora essa ti scriverà tutto ciò che io gli dissi, ma non sono che bugie. Ieri sera
mi coricai prima del solito e non ho dormito in tutta la notte. Ti chiamavo, ti vedevo
cuccio, cuccio in un angolo, mi facevi compassione, mi misi a piangere come una
bambina.
Andrino, non posso dimenticarti e non posso lasciarti perché ti voglio ancora bene, di
un bene senza fine, perché lo meriti di essere amato, perciò Andrino sono costretta ad
abbandonare tutto ciò che mi è venuto in mente di fare, ma è solamente perché sono
stanca di questa vita che conduco e mi ero rassegnata a tutto e scappare con lui mentre
invece un pensiero più forte di me mi trat(t)enne. Il tuo amore puro e costante non me
lo permette di fare un passo simile. Sento ancora di volerti più bene di prima. Sarò
forse impazzita, ma so che ora non mi vorrai più il bene che mi volevi, ma infine sono
stata io ad abbandonarti, ma con il scritto, perché col cuore sempre ti rievoco e ti penso
come non si può pensare più forte di così. Oggi attendevo con tanta ansia una tua
lettera, ma invece nulla. Ciò me lo potevo immaginare che tu non mi scrivevi, ma avevo il
presentimento che tu mi scrivessi e che tu non puoi abbandonarmi così, ormai non
m’importa più niente né della vita né dell’amore, il mio sogno finì ed io vivo felice così
senza più nulla al mondo. So che tutto ciò che ti scrivo ora è tutto vano.. Sono pentita di
averti fatto tutto ciò, ora, proprio ora che ti trovi sotto le armi. Certo, che un dolore più
forte di così non te lo potevo dare. Il libro l’ho consegnato a tua madre che mi venne a
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chiamare mentre stavo per fare un giro in giostra. Chissà mai cosa avrà pensato
trovandomi lì certo che, bene non poteva pensare di me, ma infine non è nulla di male,
ma non ero mai stata. Gigi ha comperato la giostra allora io volevo fare un giro e non
l’ho fatto perché tua madre mi ha chiamata. Ora ti scriverà che mi diverto alla pazza
gioia. Vorrei che tu venissi a Fiume per un permesso di poche ore per poterti spiegare
tutto meglio, ma questo sarrà (leggi “sarà”, n.d.t.) impossibile. Sono certa che tutto,
forse tutto si potrebbe recuperare ma per ora non c’è altro da fare che da rassegnarsi
per il brutto destino. Ricevi tanti saluti e attendo come la mamma un tuo scritto o una
tua venuta. Ti prego di scrivermi, Andrino.”
A questa lettera, che dico la verità mi ha fatto tanto bene, perché quantunque abbia
delle ragazze qui a Milano, essa è sempre l’unica, la sola, il genercì (?), come si usa
dire, risposi:
“Cara Adelina, ho ricevuto quest’oggi la tua lettera del giorno 20. Quanto bene mi
ha fatto questa lettera. Credo che una gioia più piena di questa non mi potevi dare.
Sento con gioia e piacere che mi vuoi bene, credevi di non amarmi più, ma ci voleva
proprio una specie di sciagura per farti capire che il nostro amore non poteva ormai
più rompersi. La sciagura è venuta, e, come tutte le sciagure di questo mondo, anche
questa, nuova per noi, ci ha fatto vedere che ci volevamo troppo bene e che il nostro
amore è indissolubile, come le pietre di casa costruita con stenti e fatiche.
In quanto a scusarti Adele, sei già scusata, perché ogni tua lettera, anche la più
amara è un raggio di sole per me, ecco perché non occorre ch’io ti scusi, perché sei
scusata sin dal momento che prendi la penna in mano.
Sì, Adele, ho mandato mia madre a chiedere il libro, perché credevo che tu non
vorresti più saperne di me. E’ la cosa più sacra che ho dopo di te, ed è logico dunque che
mi circondi di cose che parlano di te e che hanno respirato la stessa aria che respiravi
tu, così almeno avrei avuto la tua visione dinanzi agli occhi al solo prendere in mano
questo libro. Ecco perché te l’ho chiesto, ma ora che ritorni a me, e che mi vuoi ancora
bene mi dispiace di avertelo tolto. Però quando avrò la possibilità di ricevere una
licenza anche breve, ti porterò il secondo volume.
Vorrei sapere Adele, le parole che ti disse mia madre, perché io non credo sia capace
di offendere. In che modo t’ha fatto male, parlandoti forse del bene che ti voglio e di ciò
che pensavo di fare per te? Non prendertela per questo Adele, ti ho detto tante volte che
ti voglio contenta e felice, perché solo questo è il mio sogno per te, e, qualunque cosa mi
chiedi, guarderò di soddisfarla. Finché hai il tuo Andrin, non devi aver paura di nulla e
fiducia nella vita. In quanto al destino ce lo fabbrichiamo noi, con le nostre forze, tra i
dolori i disinganni, e le poche gioie. Dunque non pensare tanto a quel destino che dici
tanto brutto e crudele. Anch’io dovrei lagnarmi del mio destino. Se la mia domanda era
stata accettata per Natale venivo da te in divisa di Ufficiale. Ti pensi che gioia?
Invece… Bisogna avere pazienza cara Adelina, e non lasciarsi vincere dalle
apparenze. Tutti a questo mondo imprecano al loro destino, eppure tutti campano
egualmente..
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Ci saranno coloro che stanno meglio di noi, ma Adele per esser sempre contenti
bisogna guardare sempre più in basso, verso quelli che stanno peggio di noi. Ecco
perché io mi rassegno in tutte le sciagure.
Adele, mia cara, tu non puoi dimenticarmi è vero, ma neanch’io ti posso scordare:
Non so, ma nel ricevere, oggi, questa tua lettera sono tanto soddisfatto e contento.
In questi giorni e specialmente oggi mi sento in vena di suonare. Ieri e poi oggi è
venuto il Capitano Ghislanzoni e voleva per forza che gli suonassi qualcosa e questo
“qualcosa” se tu non lo sai è la musica “tzigana” e mi va tanto bene, perché metto in
me tutta la passione, il dolore e la gioia, e poi per la melodia basta che penso a te ed
ecco saltare fuori delle note magnifiche ed armoniose. E’ la mia specialità questa,
Adelina, perché tu, solo tu, me la puoi ispirare.
Adele, non pensare a ciò perché io ti scriverò sempre. Non posso farlo a meno. Come
vuoi che faccia questo? Sarebbe come tradirti, disertare la bella causa che mi son
prefisso di combattere e vincere, dunque lo vedi Adele, anche oggi ti rispondo come ti
risponderò sempre. Anzi scusami che per far presto ti scrivo nella carta d’Ufficio, ma
quando c’è premura ogni cosa è buona.
Saluti e baci per te, mio rinnovato amore, che credevo perso, ed invece lo vedo più
sincero e costante. Baci infiniti di gioia piena sulla tua rosea boccuccia. Tuo A.”
La seconda lettera inviatami, era di Bruna. Oltre a questa mi mandò una cartolina.
Nell’interno però al posto della solita lettera c’era un’altra cartolina, che diceva: “
Sono veramente dispiacente. Voglio sperare di rivederti presto. Ti ho atteso molto
giovedì. Pazienza ti porgo i miei più affettuosi saluti e bacioni. Tua aff.ma Bruna.”
Attaccata a questa cartolina trovai la seguente poesia di Francesco Berni:
Un uomo disgraziato
Come volete voi che io sia gaio,
ch’io canti e rida, e attenda a godere
se un’ora mai di bene non posso avere
se ognor mi viene addosso un nuovo guaio?
S’io vo’ mangiar mi si rompe il cucchiaio,
s’io voglio ber, mi si rompe il bicchiere,
s’io vo’ dormir, sul letto i gatti a schiere
gnaulan d’agosto, come di gennaio.
Se son lontan di casa mezzo miglio,
rompo un calcagno, o perdo il fazzoletto;
mentre una mosca in bocca s’io sbadiglio.
Se mi vien voglia di fare un sonetto
La penna è guasta, e se un’altra ne piglio,
il calama’ si secca per dispetto.
Se occhiali un dì mi metto
A fabbricar, che sì, che dessi ‘l caso,
che accecan tutti, o a tutti casca il naso.
Credo che m’ abbia mandato questa poesia, perché anch’io sono un uomo
disgraziato, poiché non mi va bene nulla. Ecco la solita cosa, per la quale credo
m’abbia fatto questo così detto regalo.
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La terza lettera che ricevetti era scritta con una calligrafia estranea, mai conosciuta,
mai vista, chi poteva scrivermi? Aprii e lessi:
“Egregio Sig. Andrea, oggi mi è pervenuto il suo gentile biglietto – e come suo
desiderio ci possiamo vedere domenica se lei crede alle ore 3 – davanti al mio portone.
Credo sarà un’ora comoda anche per lei. Ad ogni modo arrivederci a tale giorno. Molto
cordialmente la saluto Adele Fiorini.”.
Guardando la firma mi ritornò alla mente la figurina graziosa di questa signorina
conosciuta una sera d’agosto in via Garibaldi. Due giorni prima m’era tornata alla
mente la volevo rivedere. Le scrissi, ed ecco qui la sua accondiscendenza di venir a
passare il pomeriggio con me. Sono andato come mi scrisse ad attenderla sotto il suo
portone alle ore 15. Ho atteso dieci minuti. Poi finalmente arrivò. Era vestita
magnificamente col suo grazioso sorriso. Cominciammo a parlare del più e del meno,
andando così verso i giardini, dove si svolgeva la festa dell’uva. Una folla enorme
riempiva con la sua giocondità festante tutto. I viali, i prati, le panchine, i buffet, tutto
era carico di gente di tutte le qualità. Militari, borghesi, giovani, vecchi, tutti
frammischiati ed amalgamati da una cosa comune in quel pomeriggio: divertimento. Io
invece con Adele sotto braccio, me ne andavo a passeggio per i viali animatissimi,
inciampando ogni tanto in qualche persona troppo zelante e maleducata. Forse anch’io
ero in quel momento un po’ maleducato, ma non me ne accorgevo poiché avevo il dolce
passerino che con la sua vocina delicata e graziosa mi cinguettava al mio fianco. Ero
anch’io un po’ felice in quella pentola ribollente di festosità. Parlavo e parlavo. Quei
suoi occhi dolci mi facevano sognare e quel che sognavo raccontavo. Essa felice
ascoltava attentamente le mie parole. Mi guardava ed attendeva che parlassi quasi le
mie parole le recassero un po’ di gioia e di conforto. Ed io parlavo, parlavo. Rievocavo i
tempi antichi, il Medio Evo, quando la sola legge era la forza bruta, ed essa ridente mi
pregava di proseguire, chiedendomi continuamente degli schiarimenti in proposito. Io
glieli la davo. Passammo poi ai nostri tempi e rievocai, recitando alcuni brani di poesie
leopardiane e carducciane. Questo il massimo, il culmine per Lei. “Oh, come parla bene
Lei.” Mi disse e veramente queste parole venute su dal cuore fu la miglior lode ch’io
abbia mai ricevuta sin’ora, la più ingenua, ma la più am(a)bile. Stanchi poi ci
recammo verso sua casa, ma prima andammo a visitare la mostra della radio.
Osservammo un po’ quegli apparecchi modernissimi, ma scarsi causa il materiale e la
guerra, e poi pian piano ce ne andammo. Arrivati al suo portone di casa, ci
congedammo, ma prima di lasciarla definitivamente gli diedi un innocente bacio
d’amicizia sulla rosea gota. Contento di aver passato una giornata come questa e di
aver fatto una fotografia, me ne andai fantasticando alla Zona, dove mi misi a scrivere
una poesia per Adele, poesia che le promisi ai giardini, e, che più innanzi riporterò.-
Lunedì 23 settembre 1940 –XVIII° - Questa mane mi sono alzato un po’ presto.
Prima del solito. Ero ancora sotto l’espressione di un sogno dolce in cui non vedevo altro
che giardini carichi di fiori aulentissimi, con viali alberati, ed aiuole profumate. Lungo
questi viali passeggiavamo io e Adele. Arrivato più tardi in Ufficio, mi misi a scrivere
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la seguente lettera ad Adele Farini: “Come ti ho promesso ti invio una poesia scritta per
te: Non so se la gradirai, la scrissi così, come il cuore me la dettava. Tu certamente
avrai capito la gioia che godetti nel rimanere in tua compagnia e così io spero pure di
non averti annoiata.Le tue parole così dolci mi sembravano acqua zampillante che ricadendo in mille
goccioline davan tanti suoni diversi, tanto belli e melodiosi.
Ricadevan sul mio cuore queste tue paroline, eran così gioconde che nel mio animo
intimo, sembravano toccare dei tasti non ancora svelati, di dolcezza e di languore.
Quante volte avrei avuto voglia di prenderti e darti un bacio, ma restavo lì, (a)
fissarti, e tutto in me gioiva vedendoti un po’ felice. Quanti sentimenti infiniti per te
provavo in quell’istante. Quei tuoi occhi, quelle tue ciglia sbattenti, quasi a voler
rincorrere una chimera, mi riportavano per una via infinitamente bella verso un sogno
ch’era realtà.
Mi eri vicina e ciò mi bastava. Che t’avevo da chiedere di più? Mi bastava il tuo
sorriso per bearmi e vicino a te ritornavo bambino che ancor della vita non conosce le
amarezze che dan disillusioni e dolore, ma soltanto giuochi innocenti che illudono e
danno la gioia.
Dopo tanto tempo di vita maschia, parole mozze, brutte, mascoline, senza gioia,
senza un sorriso, ecco finalmente apparire fra tante nubi gravide di procella un raggio
di sole radioso ed auredante che mi ingentilì il cuore.
Mi ritornavan, accanto a te, i tempi delle veglie invernali, quando accanto al
caminetto scoppiettante amavo studiare e leggere le liriche del mio poeta preferito
Leopardi, il poeta del dolore. Forse lo amavo tanto questo poeta perché avevo provato
il dolore e, come me cercava dimenticarlo nello studio, il pane dell’anima.
Adele, forse ti avrò annoiato con queste chiacchiere, ma non posso far a meno di
svelarti ciò che provai vicino a te. Le grazie sono tre è vero, ma tu racchiudevi in te
stessa tutte le gentilezze, le armonie e le dolcezze di loro.
Forse hai già capito che sono un sognatore e che amo la gentilezza, la bontà e tutte
quelle manifestazioni che rendono un’anima gentile, ma quando ti avrò svelato parte
della mia vita intima, allora capirai perché mi piace tanto sognare estrisecandomi
(?)(probab. “astraendomi”, n.d.t.) dalla realtà, verso un mondo candido di sogno e di
sentimento.
Scusami sai se ti ho annoiato, ma non lo credo, perché vedo che sei tanto buona e
gentile, come ciò che sogno. Arrivederci a domenica.”Con la posta del pomeriggio mi arrivò una cartolina della mia cara nonnina.
Diceva: “Infinitamente ti ringrazio del gentil pensiero che hai verso la tua nonna;
sempre mi sei presente e prego il sommo Dio che ti guardi dai pericoli. Tutti ti baciano
con vivo affetto. Tua nonna.” M’ha fatto bene questa breve cartolina, con la quale la
mia nonnina mi fa capire che si ricorda di me. E’ tanto bello tenere corrispondenza con
tutti, passa il tempo e ci sembra di essere in continua conversazione, intima e cara. E’
l’unica cosa che ci dà delle soddisfazioni morali a noi militari, e, quando arriva il
postino quant’ansia, quanto orgasmo e poi alla fine quando per noi non c’è più nulla
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passa la gioia ed il sorriso che ci aveva increspato il labbro. E così si attende e si spera
nell’indomani. L’indomani arriva, ma posta non si vede, e, così si tira innanzi fra
l’indecisione e la speranza.- Domani 24 settembre è S. Tecla. E’ la festa della Signora
Giotto, la Signora tanto gentile che ci aiutò in vari frangenti. Perciò le scrissi la seguente
lettera augurandole un buon genetliaco:
“Sig.ra vengo con questa breve lettera (e Voi certamente di essermi fatto finalmente
vivo) ad augurarVi il Vostro genetliaco. Voi direte ma come posso ricordarmi. Sa,
Signora gli aiuti ricevuti in caso di bisogno non si scordano mai. Quella lontana e
terribile sera in cui Voi veniste ad aiutare mia madre, per salvarla dall’asfissia, io non
lo scorderò più, ecco perché Signora mi sono ricordato di Voi e, nel mio piccolo taccuino
ho segnato in rosso, per ricordarmi, il Vostro nome. Il giorno è venuto e siccome sono
militare e non ho la possibilità di offrirVi un mazzo di fiori, vogliate accettare questa
breve poesia scritta per l’occasione: Sperando che tutti voi vi troviate in buona salute, Vi
saluto augurandoVi cento di questi giorni!-“
Imbucai la sera la lettera prima di andare in via Pasquirolo dal fotografo per le
fotografie fatte ieri con Adelina. Erano le 19 l’ora del termine dei lavori d’ufficio ed una
fiumana di gente pullulava per ogni dove. Io mi trovavo smarrito tra questa gente,
perciò evitai le vie principali, cercando di nascondere la mia persona insignificante,
pigliando scorciatoie e calli buie ed umide. Alla fine arrivai in Ufficio, non vi era
nessuno. Ero solo. Avevo trovato un’oasi di pace dopo il trambusto. Ero nel mio
elemento: la solitudine e la pace. Mi misi a studiare ed a leggere, l’unica cosa che mi dà
un po’ di conforto. Le ragazze mi fanno sognare perché quando sento sotto le mie mani
quella pelle delicata, il mio essere si trasforma e sogna, perché la delicatezza e la
fragilità della donna mi fa fantasticare ed andar con la mente verso luoghi romiti e
strani. Ecco perché mi piace andar con le ragazze, ma fra tutte queste c’è una sola però
che regna assolutamente sul mio cuore e questa è Adele Moro, la dolce e cara biondina,
la mia Adele.-
Martedì, 24 Settembre 1940 – XVIII° - I nuvoli hanno invaso questa mane il
cielo di Milano. Si ha una strana sensazione di malessere e di noncuranza della vita.
Forse è il tempo che influisce sulla vita umana che oggi ci dà questa sensazione. Infatti
con quelle nubi nere di procella ed il tempo oscuro, per forza il nostro animo dev’essere
oscuro e tetro. Ho avuto tanto da fare questa mattina, perché sono solo. L’altro
dattilografo, il 1° Av. Covelli è stato messo in prigione. Così per otto giorni dovrò
sgobbare per due. Oggi mi è arrivata la lettera di mamma, e, mi scrive:
“Caro figlio, ho ricevuto la tua cara lettera e oggi una cartolina, avevo intenzione
mandarti soldi, ma già che non ti servono giusto bene, perché ai primi devo pagare
ancora circa L. 200.- alla Professoressa lezioni della Mina, queste benedette scuole
non hanno fondo, sono tanto stufa che soltanto sentire nominare “scuola”, sento un odio
verso questa perché se non avreste studiato tanto, oggi stareste tutti tre meglio, senza
tanti anni di sacrifici come per voi così per me. Pazienza, ora non si può tornare
indietro. Hai scritto di andarti a prendere il libro. Adele non voleva andare, così sono
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andata io. Era giusto sulla giostra però prima di cominciare, gli ho chiesto scusa, che
ho bisogno di parlare con essa, poi, in poche parole, le ho spiegato tutto, anzi gli dissi
che mi meraviglio di essa, visto come e cosa ti scriveva, pareva che la te ama
sinceramente, ma invece aveva cuore così crudele di iscriverti, ora che ti trovi sotto le
armi, senza compassione per te, che ama un altro. Allora essa mi risponde che è stato
uno scherzo, che non la sa sola come ha scritto, però che già la te ga tutto spiegato, io
poi ho domandato se lo ha finito di leggere il libro, mi risponde di sì, così ho chiesto per
me che anch’io ho piacere di leggerlo, quando finirò, se vorrò, glielo tornerò. Sua sorella
l’ha rimproverata, così buon quell’Andrino, che ogni giorno gli scrivi una cartolina, e mi
mostrò una lettera già pronta con tuo indirizzo scritta dalla Adele in quel pomeriggio
che sono stata io. Ascolta Andrino, io non voglio essere un bastone fra voi due, però ti
dico che non si deve mai prendere le cose tanto seriamente, senza conoscere le persone,
innamorarsi tanto pazzamente e senza sicuro se questa persona sia degna di te, se ti
porta rispetto, perché altrimenti se non sei sicuro, che vai avanti così, per ora se resta
stupidi e poi per tutta la vita bechi. Questa è vera verità, realtà. Io ho provato e della
mia esperienza ti scrivo così, io di essa non posso dire niente, questo lo devi sapere tu, tu
puoi continuare a scrivere, però non impegnarti fino che non vedi più chiaro. Tuo padre
ti ha scritto di non intrigarsi con le donne, magari che tu avessi fortuna, come aveva lui,
ti direi di sposarsi anche domani, perché io non aspetto tuo ritorno, per sfruttarti dei
guadagni, anzi ti auguro come desideri, tu, una brava mogliettina, una famiglia e un
buon impiego.- Andrino mio caro tu scrivi bene a riguardo tuo padre, anche io ero del
tuo parere, però quando lui vuole scolparsi con la propria figlia, se essa non va fuori
di casa, che lui non si mette d’accordo, anche a me hanno commosso le sue lacrime, però
sue pretese, di Satana, suo comportamento di un uomo più corrotto, più rozzo di questo
mondo, mi fa tanto ribrezzo solo pensando che dovrei tornare con lui, in lui non vi è un
poco di pentimento, sempre con quelle sue parole che lui è l’uomo, poi, ogni secondo
giorno dorme da essa, caro Andrino più di quello che ha fatto non poteva fare, io gli ho
perdonato, però per tornare con lui non posso dimenticare, perché gli volevo molto bene,
e visto che lui me trattava sempre come carne venduta, che da voi figli ed a nessuno non
potrò mai raccontare, umiliazioni grandi sopportate da lui, come mi trattava, ora
basta. Voi figli siete in dovere di essere buoni con lui, se voi sapeste che male mi fate
dicendomi di tornare con lui, non me lo direste mai più. Lui non si cambierà più. Perché
ho sempre a soffrire? Ora che mi sono rassegnata cominciate da capo. Credo che anch’io
ho bisogno di vivere in pace, tranquilla. Fino che vorrà passarmi va bene, se mi farà a
mancare forse che Dio provvederà per me e se non potrei avere un giorno proprio da
nessuna parte nulla, allora sono tanti mezzi per aiutarsi. Tu dici avere passione di lui,
ma non aveva lui passion come che non ha ancora oggi di noi. Vedrai, quando ti
formerai un giorno la propria famiglia, allora sarai più tranquillo e dimenticherai
anche queste bassezze del tuo padre. Ebbene ora stai tranquillo, contento, vai al cinema,
non smaniarsi per nessuno, neanche per me, perché sto bene e tutti noi compresi il
piccolo, così spero anche di te, coraggio sii forte, e buono allegro fino che sei così
giovane, ti auguro ogni bene e baciandoti caramente, tua mamma.”
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Povera la mia mammina si vede che soffre tanto e si smania per noi. Questo mio
padre non sa il male che fa e ciò che mi tortura per lui. Ma, è inutile, quando un uomo
è testardo rimarrà sempre testardo, però lo rispetto perché è mio padre, ecco quello che
mi fa male: sentire tutte queste cose di mio padre. Per assicurarla un po’, io le risposi:
“Cara la mia mammina, ho ricevuti pochi momenti fa la tua lettera ed eccomi qui a
risponderti subito. Mi volevi mandare dei soldi, hai fatto bene a non inviarmeli, perché
non ne ho per ora bisogno. Speriamo che questi soldi che paghi per Minetta siano gli
ultimi. Mamma, non devi dire e parlare così della scuola. Tu sai se non andavamo a
scuola, oggi non saremo capaci di ragionare come ragioniamo noi, perché solo con i
libri, le buone letture e lo studio costante si può fare una nostra personalità tutta
propria epurata da qualsiasi forma di brutalità morale, ecco perché ti vogliamo tanto
bene. Cosa farei se tu mi dovessi mancare? Non so, ma sento che ne morirei di
crepacuore. Sei sempre stata così buona con noi che una madre come te non se ne trova
uguale su tutta la faccia terrestre. Alle volte mi torna alla mente quella sera sì
lontana, che mi sembra ormai persa nel tempo, quando agonizzavi mezza asfissiata,
da quel giorno mamma, non ho fatto che vivere e comportarmi per bene solo per te e le
mie sorelline. Ho lottato tanto contro il padre perché si rimediasse, ma vedo che non si
può far nulla e questo mi tortura un po’ l’animo, ma bisogna aver pazienza, si vede il
destino ha voluto così.
Mi fai sapere che Adele non voleva andare a prendere il libro e che così hai dovuto
andare tu. Mi dispiace tanto, giusto la sorellina più cara aveva vergogna presentarsi
dinanzi ad Adele, povera mia cara sorellina, la capisco, come capisco tutti voi, ma un
po’ di bontà, di commiserazione, di altruismo se lo può avere. Non è questo un
rimprovero che le faccio, perché le voglio troppo bene, no, non la posso rimproverare,
ma torno a dire un favore per suo fratello che tanto prega per lei lo poteva fare. Ma
per questo non occorre che si arrabbi, perché è un consiglio questo mio e non un
rimprovero.
In quanto fra me ed Adele, mamma cara, tutto è stato messo a posto, non è che uno
scherzo quello che mi aveva fatto. Mi ha domandato scusa, ed ora dice che non è più
degna di me, perché sa che mi ha fatto male. Io, mamma, le ho perdonato perché le
voglio un gran bene, ma però vorrei che anche tu fosti contenta, perché sai che la testa a
posto ce l’ho e prima di fare qualche passo penso e ripenso tante volte.
Già che ti fa male quello che ti chiedo in merito al babbo, mamma non te lo nominerò
mai. Siccome ho poco tempo, ti lascio, scriverò la prossima volta più a lungo.P.S. – Ho fatto conoscenza qui a Milano con un’altra Adele, Adele Farini, una
simpatica ragazza. Siamo andati domenica ai giardini dove vi era la festa dell’uva. Gli
ho parlato molto. Mi stava ad ascoltare sempre con meraviglia. Alla fine disse che non
ha inteso ancora mai nessuno parlare con tanta saggezza. Sei contenta? Vedi che tutti
mi lodano. Ma, non essere in pensiero, perché con una ragazza così garrula, come un
uccellino mi sento alquanto felice perché al suo fianco mi piace fantasticare tanto. Del
male non sarei capace di farle. Faccio per così dire l’amore platonico, così mi sembra di
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essere con la mia Adelina o con la sorellina. Così vivo sempre accanto ai miei cari che il
pensiero mi ricorda. Nella prossima ti invierò una nostra foto”. –
Così risposi anche a mia madre. Il resto della giornata lo passai un po’ in
difficoltà causa il sonno e la stanchezza. Scrissi una poesia contro l’Inghilterra e l’ho
inviata alla redazione di “Gente Nostra”. Se mi sarà pubblicata, forse riceverò 20
Lire.- Ora, prima di andare in branda eccomi ancora qui a scrivere questi miei ricordi,
che vecchio, un giorno, scorrerò.-
Mercoledì, 25 Settembre 1940 – XVIII°. - Solita giornata quest’oggi. La mattina
sono andato a fare una commissione all’Istituto delle Assicurazioni. Sono stato così in
giro per un’oretta. Al mio ritorno ho trovato una cartolina di Celso che diceva:
“Caro Andrino, con molto ritardo, ma sempre ricordandoti ti do mie notizie dato che
Adele giorni fa mi mandò il tuo indirizzo. Il mio stato di salute è ottimo come voglio sia
di te. Andrea ti prego fammi sapere qualche novità che già mi scrisse la mamma
inviandoti i miei più sinceri saluti da tuo cognato.”. –
Mi prende per cognato. Almeno fosse vero, sarebbe la più grande mia gioia, ma non
so sento che non sarà vero, ecco perché ho risposto nella seguente maniera:
“Caro Celso, ho ricevuto finalmente dopo ad aver chiesto ad Adele tue nuove, la tua
cartolina. Sono contento di saperti in buona salute, anch’io sto bene, ma naturalmente
sono un po’ giù.- Che vuoi, con tante disgrazie e sfortune che ho avuto e specialmente la
mia passione di pilota che non ha potuto essere esaudita mi ha messo un po’ giù il
morale, se non fosse per questo si starebbe assi bene qui a Milano, quantunque mi
manchi il sorriso di tua sorella.Sai Celso, a te lo posso dire, perché le sei fratello, le voglio un ben di vita. Forse ti
avrei detto che ho scritto per lei un libro, ebbene, è più di un anno che ci conosciamo, ma
io le voglio il bene che le volevo la prima volta che la vidi, ecco perché più in là di una
carezza e di un bacio non sono mai andato. E’ passato un anno e forse in questi 370
giorni non abbiamo passato insieme che quaranta giorni al massimo causa il mestiere
che fa, ma io non mi lagno egualmente. Le voglio bene ed il mio bene puro e costante mi
dà la forza di rassegnarmi a tutte le disgrazie e disillusioni che ho provato da quando
tu sei partito da Fiume: prima la partenza d’Adele. In questi giorni m’aveva scritto di
essersi innamorata di un altro, mi ha fatto tanto male sai, ma poi invece ho visto che
non era nulla di grave. Ora sto meglio. Come vedi mi trovo in un Uff. e precisamente
all’Uff. Disciplina. Si sgobba, ma almeno così passa il tempo. Il mese scorso abbiamo
avuto delle incursioni inglesi, ma ora non si vedono più. Hanno fifa. Per ora avendo
poco tempo ti saluto ed in attesa di una risposta cui risponderò più a lungo, una stretta
di mano da A.”
Il resto della giornata lo passai leggendo le poesie di Monti. La sera scrissi anch’io
qualche poesia balorda, tanto per passare il tempo.
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“Pensieri”
Più dolci per noi saranno
quando insieme saremo.
le voci allora udranno
“Allacciati per sempre vivremo.”
Per sempre mia cara bella
insieme noi marceremo.
Insegna nostra: “Fedeltà”
ogni cosa con lei vinceremo.
Ma ora che siamo lontani
preghiamo il nostro Gesù
così in un lontano domani
Non ci lasceremo mai più.Ma sempre uniti e fedeli
Ad umane cose penserem.
Così anche noi novel carmeli,
una nuova luce vedrem.
Luce sublime e santa,
luce umile e bella
Che nel nostro cuor canta,
rifulgendo più d’una stella.
Scrissi questa poesia il 3 novembre 1939.
Giovedì, 26 Settembre 1949 – XVIII°. - Questa mane ricevei una brutta notizia: la
morte della madre del mio compagno Geloni Alberto. Non potevo credere. Come, ieri era
con me sino alle ore 20 a scrivere una poesia per la nostra madre. Ho fatto subito una
copia per mia madre inviandogliela con la seguente lettera: “Cara mammolina, ti scrivo
oggi perché voglio mandarti una poesiola scritta per te. Ha una piccola storia di dolore
questa poesiucola. Infatti ieri sera, io ed un mio compagno, certo Geloni Alberto di
Carrara, si era soli in Uffico. Mi conosce come poetuncolo, perciò come alcuno gli
dicesse si mise a macchina e mi disse dettami qualcosa per la mia mammina. Io
naturalmente pensai a te e così venne fuori ciò che ti invio. Alla fine l’abbiamo letta e
quasi un presentimento ci dicesse qualcosa, ci venivano le lagrime agli occhi. Io restai
in servizio sino alle 23. Lui invece andò al Presidio. Alle 21,30 gli venne un
telegramma. Sua madre era morta. Alle 22 già partiva con lo strazio al cuore. Questo
me lo dissero questa mattina. Vedi cara mammina, come in lontananza si sentono le
sciagure. Se ti dovesse succedere la stessa cosa mamma, non so cosa farei, diventerei
pazzo ed andrei ramingo per le strade del mondo a cercare la tua anima. Madre mia,
guardati e cerca di conservarsi il più a lungo per noi, ci sei tanto necessaria. Quando tu
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ci mancherai, per me sarà l’oscurità eterna. Ti voglio tanto bene, mamma cara, accetta
per ora questa mia poesia che la scrissi per te dal profondo del cuore.”. Non
avevo ancora ben finito la mia lettera per mamma, quand’ecco il postino arriva e mi
porta una lettera del padre, che dice:
“Caro Andrino, perdona se ti rispondo appena ora alla tua penultima, sai che
lavoro dalle 7 del mattino fino alle 8 di sera. Poi vado a cena, e poi viene le 9 e anche
le 9 e ½ e poi quattro bicchieri in compagnia e un quattro quarti di vino e vengo a casa
mezzo ciucco e plutapan in letto, alla mattina mi sento tun tun in porta sono le 6 e 20
io mi sveglio e grido: “Ja”, non so chi mi sveglia, ma lo stesso non mi lagno pensando
che almeno si degnano di questo piccolo disturbo che reco alla mia famiglia, e così
avanti ogni giorno, affinché sarò delle mie giovani forze morali e materiali, e non
rimarrò che un immondizia, ma non mi dispero ugualmente, perchè sono ancora forte
per resistere a colpi più duri ancora che mi si presenteranno. Ti scrivo così perché credo
che il tuo giardino questa volta va davvero scemando, ma non ho perso ancora la
pazienza, forse i giudici della Pretura potranno imponerci (prob. “imporci”, leggi
“costringerci”, n.d.t.) ad ambedue me e la mamma, ma se poi non si arriva allora caro
Andrino ti assicuro che disferò la casa, perché anch’io ho diritto di vivere come i
cristiani, e non come i zingari, ed ora passiamo alle nostre conversazioni, dei tuoi 236
giorni di servizio militare. E’ vero, sono passati presto eppure sono lunghi, e lunga è
ogni cosa che si aspetta e che si spera, e, invece il tempo passa così veloce, che nessuno
di noi può crederlo, cammina più forte di qualsiasi vento, che porta via tutto quello che
trova davanti al suo cammino e noi viviamo di speranza, quella speranza che non
arriva mai. Tu non essere come la speranza, tu cerca di ritornare e se anche non torni
del tutto, almeno farti vedere ad ogni possibilità. Scrivi di venire per Natale o per
Capodanno, ma io non credo, secondo come saranno le cose, credo che ti manderanno in
Germania, e, allora sarà difficile venire a casa; lo studio del tedesco che ti va bene
cerca di farlo ancora meglio, sarà per te solo, tu avrai profitto.
Siccome sei sempre un po’ testardo, e vuoi fare le cose di tua testa perché ti viene in
mente quello che hai letto nei libri di Platone o di Socrate per sapere che il padre è il
più grande amico del figlio, per questo basta poca esperienza. Chi ti farà cose migliori
che il padre, ma ancor di più ti farà la madre, se al più non sono ammalate di
cervello? È vero? Dovrei avere anch’io un attaccabottoni, potrei scrivere meglio, ma mi
ingegno egualmente.
Al filo conduttore ed al letterato so che aspiri anche tu a qualche cosa di simile, ma
ci deve passare degli anni, non basta la cultura, né l’intelligenza è più necessaria
l’esperienza, forse un giorno potrai essere pure tu un letterato e il mio grande ragioniere
è davvero in gamba per la sua età, e spero che tu non ti ribellerai quando avrai una
famiglia e non sarai il pupazzo della tua donna che troverai un giorno, per farti una
vita piena di gioie e di sacrifici e di dolori ricordati bene che se così sarà in casa tua tu
sarai il Capo e un tuo ordine è un comando, e se così non va, tagliare corto.
Io credo che tu hai sgobbato studiando, lo so, che la fatica del cervello è quasi più
forte che quella dei muscoli, ma speri che un giorno ne avrai un buon profitto e cerca di
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sgobbare ancora, ma cerca pure di riposarti, un po’ perché ogni cosa che è sempre sotto
carica, inizia per andare in pezzi, e, perciò ti dico questo, anche un po’ di svago devi
trovare, non solo sgobbare, mi hai compreso, ed è proprio così, che la vita non è un
regalo è vero, ma è quello il male, ché molti se la prendono proprio per un regalo, altri
che stanno male per una disgrazia ed altri per un castigo e così via. Ti ho detto io
sempre che al mondo si viene per far bene e non per star bene, ed il fare bene ti porta il
stare bene, ma non devi trascurare il fare bene! Spero che ci si comprendiamo non è
vero? Il rimanente che mi scrivi è sempre dello stesso argomento, la corsa allo star bene
e così cammino dal passato, al presente e camminerà in futuro, e di ogni specie di
guerra sarà sempre affinché mondo sarà.
Ora basta caro Andrino. Sono anche stanco, mi si chiudono gli occhi, sono le due di
notte e mi butto in letto. Ti bacio. Tuo papà. Arrivederci.” –
Ho letto tanto caramente questa lettera di mio padre. Ha sempre però quel vizio di
bere. Se non fosse per quello, forse lo si potrebbe voltare, ma è troppo difficile e
convincerlo; ha sempre in testa le sue teorie che crede giuste, ma in gran parte invece
senza base. Peccato, perché è tanto buono.
Durante il rancio mi accapigliai quasi con un primo Aviere certo Balugini che si dà
delle arie da Comandante di Zona. Mi faceva bersaglio suo delle molliche di pane.
Però quando ne fui stufo gli dissi di finirla. Per tutta risposta mi gettò un pezzo
insolitamente grande che mi rovesciò in parte il vino. Vedendo ciò non ne potei più. D’un
balzo superai la distanza che ci separava pigliandolo per la gola con ambedue le
mani. Certamente lo avrei strozzato se gli altri non mi sarebbero venuti a levarmelo
dalle mani. Credo che questa lezione se la ricorderà per tutta la vita, e sono certo d’ora
innanzi non avrà più voglia di stuzzicare con scherzi subdoli gli altri che mangiano in
pace. –
Per calmare il bollore andai a riposarmi nel pomeriggio. Più tardi, il postino mi
portò una cartolina di Bruna. La sera, mentre ero di servizio alla Zona, mi vidi
arrivare nientemeno che quel scavezzacollo di Di Leo. Gli avevano dato 12 giorni di
licenza, e, invece di prendere la linea di Bologna, prese quella di Milano per recarsi a
casa. Andammo a fare un giro per la città parlando del più e del meno, poi lui se ne
andò alla stazione, mentre io mi recai a dormire. –
Venerdì, 27 - Settembre 1940 – XVIII° - Giornata monotona questa d’oggi in
confronto di quella movimentata di ieri. La mattina l’ho passata discorrendo quasi
continuamente col Serg. Magg. Malavasi fino a quando il postino non mi portò una
lettera, dalla tinta azzurra e, dalla scrittura femminile. Era la lettera di Adele Farini
in risposta alla mia di lunedì. Diceva:
“Andrea, ho ricevuto la sua lettera, contenta per la magnifica poesia. Non le
sembra che sia troppo bella per me? Lei come sognatore ha esagerato un po’ troppo nei
miei riguardi non le sembra? Ad ogni modo la ringrazio tanto-tanto per la gentilezza.
Sono troppe le parole che il mio intimo mi suggerisce e le lascio al nostro prossimo
incontro che come d’accordo è per domenica. Per ora tante cose belle. Adele.” – Avrei
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tanto da rispondere in merito a questa lettera, ma giacché ci rivedremo domenica, non
occorre più scrivere nulla perchè ce lo diremo a voce. Il pomeriggio ho suonato un po’ il
violino. Attendevo una lettera di Adele ma il postino arrivò e non mi portò nulla. – La
sera andai all’appuntamento di Bruna. Io gli parlai tanto di me. Mi disse che mi
voleva bene. Io gli risposi che io non gliene potevo ricambiare perché volevo troppo bene
ad Adele. Ella restò mortificata quantunque mi avesse detto di comprendermi. Così
parlando di me e della mia sincerità venne a dirmi che io ero ancora bambino e posso
dire che questo suo parlare quantunque mi pungesse la mia credulità d’esser uomo, mi
fece un po’ bene perché mi dimostrò che ero ancora troppo ingenuo. E ciò mi basta. La
fede per la mia Adele non crolla egualmente.-
Sabato, 28 settembre 1940 – XVIII°.
Oggi scorrendo i giornali ho letto il patto
dell’alleanza tripartita fra Italia – Germania e Giappone. Alleanza che durerà per 10
anni con facoltà di ognuna delle tre nazioni di prorogarla per un tempo uguale prima
della scadenza di detto termine. Questo in generale è un fatto atto a debellare la
prepotenza inglese, che secondo quanto scrivono i giornali dovrà avvenire. – Questa
mane intanto ho ricevuto una lettera di Adele che dice:
“Ieri con immensa gioia ricevetti la tua cara lettera dove sento con piacere che mi hai
perdonato, non so Andrino mio caro come ringraziarti, credevo che tu non potessi
perdonarmi dopo una sciagura tale fattati, ma che però durò pochissimo perché
l’amore che porto per te è grande e perciò non potevo abbandonarti in modo così crudele,
ma bensì dovetti abbandonare la mia follia e illusione perché ti voglio tanto bene.
Tu mi chiedi di dirti le parole di tua mamma, no Andrino, non sono parole di
offesa, ma mi parlava (di) ciò che tu pensavi per me nell’avvenire, perciò mi fecero
male, ma non mi feci comprendere, gli dissi che non era che uno scherzo per non
metterla in cattivi sospetti, ma te lo prometto che non vorrò più vederlo chi credeva di
portarti via il tuo amore, l’ho scacciato, gli ho detto di perdonarmi, ma non sono stata
che una gran sciocca, che credevo di volergli bene, invece per lui questo bene non riuscì,
lui mi disse che sono ancora bambina, mentre se lui sapesse il bene che ti voglio a te non
parlerebbe così; ad ogni modo lasciamo. Qui a Fiume siamo solo io e Maria, Gigi è
partito da tre giorni, è andato a Brescia, ma non ti posso assicurare in che paese con la
giostra, così se Gigi lavora da quelle parti andiamo anche noi, così sarò più vicina a te
per chiederti perdono a voce.
Altro non so cosa dirti che da ringraziarti sentitamente. Ricevi tanti saluti e baci tua
per sempre Adele. Scrivi subito.” – A questa sua lettera tanto gentile risposi così:
“Cara Adele, ho ricevuto la tua lettera quest’oggi. Scusami se ti scrivo, sai ancora su
questa carta, ma devi sapere che sono in bolletta e più che bolletta al verde. Infatti
siamo alla fine del mese. Ho imprestato 29 Lire a uno, 2 L. ad un altro, 12 al Sergente
Maggiore e 7 ad un mio compagno, il resto della mensilità l’ho bevuto. Perché sai, ma
me lo devi scusare, per dimenticare il male che m’avevi fatto bevevo ogni sera. Lo so che
il vino abbrutisce, ma come fare per dimenticare se non ubriacarmi? So che sentirai un
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po’ di nausea per me quando leggerai queste righe, ma ti voglio troppo bene, e, in
qualche modo dovevo dimenticare il dolore.
Ora, cara, non bevo più perché sei ritornata ancora a me.. La bufera ti voleva
abbattere ma la mia rondinella l’ha saputa superare. Straccia quella cartolina in cui
scrissi “Rondinella, ecc…non lo rivedrai mai più.”. Ora sei tornata, se sempre la mia
Adele.Adele cara, quante sciagure vi sono al mondo! Mercoledì è morta la mamma di un
mio compagno, certo Geloni di Carrara, ma come un presentimento glielo dicesse, poche
ore prima di ricevere il telegramma mi disse mettendosi a macchina: “Andrea, dettami
una poesia per le nostre madri.”. Io cominciai a dettargliela e man mano che scriveva
diventava più melanconico sicché alla fine si mise a piangere. Due ore dopo riceveva il
telegramma. Forse in quel momento che si scriveva, sua madre mandava l’ultimo
respiro, rendendo la sua anima a Dio. Come mia persona più cara Adele, te ne mando
una copia. Conservala è una poesia che mi ricorderà sempre quel giorno tanto triste.
Sento con piacere, che forse verrai dalle nostre parti. Forse ci potremo rivedere più
spesso. Speriamolo. Qui il tempo passa come al solito, monotono. Qualche domenica si
va al cinema o vedere la partita.
Ricevi per ora i miei saluti ed i miei baci più belli, tuo A.”
P.S. Ho ricevuto una lettera di Celso. Ti accludo qui una lettera che scrissi per sua
sorella, ma che poi non la inviai perchè sentivo che ti saresti pentita. A.”
Oggi finalmente, dopo aver trovato un po’ di tempo scrissi a mio padre la seguente
lettera:
“Caro papà ti rispondo appena oggi alla tua lettera, perché di tempo non ne avevo
tanto.- Vedo però che anche tu tardi a rispondere. Sai anche io lavoro come te e con la
differenza che mi alzo alle sei di mattina e smetto alle ventitrè, per andar a dormire
alle ore ventiquattro, poiché fin che arrivo al Presidio, che pronto la branda, che mi lavi
i piedi (che fetoni se li vedesti!) e i addormento, passa più di un’ora. Così mi lascio
cadere nelle braccia di Morfeo, appena verso le 24.- Mi dispiace nel sentire che bevi
tanto, non puoi ponderare un po’ questo tuo vizio? Quando avrai cinquant’anni sarai
un uomo finito ed io non voglio questo, voglio che mio padre a quell’età sia ancora in
gamba, e quando passerai per le vie di Fiume, voglio che tutti ti indichino: quello è il
padre di Andrea Carlevaris.
Mamma mi ha scritto che vorresti far la pace, ma che prima deve andare via Adele.
Mi dispiace papà sentire queste cose, perché tu sei un padre e come tale dovresti capire
certe cose, come per esempio l’amore che una madre porta per il proprio figlio, e, tu
vorresti che Adele lasciasse “ricciolino”? Pensa bene, papà, guarda come lavora, come
si comporta bene e non valutarla così imponderatamente come la credi tu, senza
guardare, senza pensare, perché sai in questi casi bisogna veder, capire, e seguire le
circostanze che condussero a fare certe cose, come lo storico segue, studia e conduce a
buon fine un filo conduttore, da cui poi tradurre tutte le cause e gli effetti per dar luce
ad un fatto storico che a prima vista sembrava orrendo e raccapricciante. Basti pensare
alla storia di Beatrice Cenci per tanto tempo creduta ucciditrice di suo padre, e, che
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invece recenti studi e indagini hanno assodato la sua completa verità, accusando invece
il suo fratello Bernardo e i suoi due figli. Dunque vedi, che non bisogna prendere le
cose a prima vista, perché ognuno ha le sue colpe è vero ma vi è poi la calunnia che le
accentua, e poi un padre, che ama i suoi deve sempre perdonare. Vedi, zia Peppina ne
ha combinate ancora di più eppure il nonno sul punto di morte le ha perdonato, dunque
perché non dovresti perdonare ad Adelina, la mia più cara sorellina, perché purtroppo
ho compreso le sue disgrazie e le sue sfortune. Questa è l’ultima volta che ti parlo di
ritornare a casa, come prima, poi non ti parlerò più di questo, perché mi fa male a
sentire tutte queste cose, ma ti racconterò della mia vita, delle mie avventure e del tempo
che passo e come lo passo qui a Milano.
Per ora non ho cosa dirti. Sto bene, così spero di te. Salutami tutti e tanti baci dal tuo
figliolo. Scrivi presto. Tuo figlio A.”
Così spedii la lettera, e, sperando che si cambi, attendo la sua risposta.La sera sono andato con Bruna, ma la lasciai subito perché dovevo prendere delle
fotografie fatte con Adele. Andai non erano pronte. Lunedì forse le potrò avere. Feci
ritorno in Ufficio dove rimasi fino le 23. Ero di servizio e avevo da studiare e scrivere
tanto.- Ho scritto alcune poesie. –
Domenica 29 Settembre 1940 – XVIII°. - Comincia a far freddo. Infatti questa
mattina un freddo pungente ti intirizzava (leggi “intirizziva”, n.d.t.) le membra. In
Ufficio c’era poco da fare. Il tempo non passava mai. Per trascorrerlo in qualche
modo mi misi a leggere “Un re prigioniero di Fantomas.”. Racconto fantastico, che ti fa
rabbrividire, ma che ti riconcilia con l’autore per la sua esuberante fantasia di mente e
per la facilità con cui ti racconta cose impossibili, che però, leggendo ti sembrano vere.
Alle 10 del mattino arrivò il postino che mi portò una letterina bordata di nero, segno di
lutto e una lettera di Adele. Alla vista di quella letterina listata a nero, provai una
certa apprensione perché non conoscevo la calligrafia e pensavo che fosse di qualche
mio parente. L’aprii con mano tremante e quando lessi ritrovai il respiro, era il mio
amico, il povero e caro Geloni, che mi ringraziava per la mia cartolina di cordoglio.
Pensai a lui con malinconia. La lettera che Bruna mi scrisse racchiudeva una cartolina
assai graziosa, su cui aveva scritto:
“Molto bella la poesiola a me dedicata. Ti ringrazio molto. La serberò per ricordo.
Anch’io vorrei dirti tanto, ma tante belle parole, ma poiché mi proibisci di volerti
maggiormente bene debbo con mio dolore soffocarle. Pazienza. Chiudo queste mie brevi
righe col salutarti caramente e col dirti: “Di tutte le glorie, la sola invidiabile, la sola
desiderabile è la parola Amore! Prima parola del creato in un sorriso de l’eterno è
nato, del creato, l’amore prima parola! Nella luce di Dio risplende e vola!”
Arrivederci a lunedì!” Povera ragazza, si illude. Mi vuole un ben di vita, ma io non
posso contraccambiarla, ho un po’ d’affetto per lei, ma quell’amore che sento e provo
per la mia Adele non posso provare per lei.- A lasciarla così bruscamente non sono
capace, perché so che soffrirebbe e forse mi maledirebbe, ma essa sa e gli ho detto
diverse volte che non posso provare un affetto per lei, perché io qui mi trovo
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momentaneamente. Essa ha detto di sì, che ha compreso, ma che le piace tanto trovarsi
in mia compagnia. Io, per mio conto non ho nulla da ridire, perché un po’ di gioia a
qualcuno se la può sempre regalare. Più simpatica invece mi sembra Adele Farini,
meno volgare, più gentile, più fragile, non so più bambina, più graziosa, e, poi mi
sgambetta sempre sorridente e cinguettando come un uccellino. Inutile, in lei si
rispecchia il cielo azzurro e la giocondità dei colli toscani. Ecco perché questo
pomeriggio sono andato allegro all’appuntamento di Adele. La attendevo da 10 minuti
circa, quando stufo mi recai su dalla portinaia. Qui attesi un po’, mentre la portinaia
un donna piccolina e dall’aria ospitale, mi offrì due bicchieri di vino. Poi arrivò Adele,
andammo a passeggio. Fuori soffiava un vento leggero che portava già i primi sintomi
della stagione invernale. I capelli di Adele svolazzavano qua e là portati dal vento
dando a quel viso una tonalità graziosa. Ci recammo ai giardini. Girammo un po’, e poi
stanchi ci sedemmo in una panchina. Un uccellino piccolino e intirizzito venne a
svolazzare sulle nostre teste in cerca di un po’ di calore. Ci guardò con quei suoi occhi
piccoli ma espressivi. Sembrava chiederci qualcosa. Restammo così sulla panchina a
discorrere per diverso tempo, sinché il freddo che ci invadeva ci fece alzare per
riscaldarci. Era già tardi, bisognava tornare a casa. L’accompagnai sino al suo
portone. Qui, la lasciai con un innocente bacio sulla sua rosea gota, in segno di amicizia
pura e sincera. Me ne tornai poi alla Zona e qui, ancora pieno della passata giornata,
scrissi una poesia per lei.
“Visione”
Anche oggi sotto la vivida luce
Studio, scrivo e commento
ma la mente ognor mi conduce
verso te, e qui ti sento.
Ti sento sopra il cuore
Che lacrime più non ha
Poiché il gran dolore
sparte tante ne ha.
Ti loderei in eterno,
Ma, stanco mi sento
Come il vecchio inverno;
Eppure son contento.
Scrissi questa poesia il 3 dicembre 1939. – Ero come al solito sul mio tavolo da
studio e sotto la luce troppo chiara della lampada elettrica studiavo, scrivevo e
commentavo i primi canti della Divina Commedia. Mi ricordo, e mi tornano alla mente
quei giorni tanto belli per me, ora che mi trovo sotto le armi ne desidererei passar degli
uguali, ma non si può. Si sogna come allora, ma non si può sognare indisturbati come a
casa, e poi il sogno tanto puro è stato incrinato dalla malizia provata in questi pochi
mesi di vita militare, malizia trovata in tutti gi uomini che conobbi e che sento s’è
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impossessata anche di me, ma la mia Adele mi rimane sempre nel petto come la sera di
quel 3 – XII in cui scrissi questa poesia.
Lunedì, 30 Settembre 1940 – XVIII°. - Il freddo di ieri sera ha continuato anche
questa mane e anzi ha cominciato a piovere. La mattina si è avuto tanto lavoro. Di
posta nulla. Il pomeriggio invece, ecco ricevere una lettera da casa, la quale dice:
“Carissimo Andrino, ho ricevuto le tue ultime due lettere e scusa che non ti rispondo
subito, ancora una settimana poi avrò più tempo, quando finirà la Mina gli esami.
Sono già tanto nervosa, solo di vederla sempre studiare e sempre fra i libri, tanto che
non ho voglia di nulla. Ieri ho ricevuto la tua seconda lettera, ai 28 onomastico del mio
defunto fratello, ero già tanto triste, ho acceso lumin, poi leggendo quella lettera ho
pianto. Povero ragazzo, che dolore doveva avere, lo comprendo perché ho provato anche
io così sorpresa dolorosa, già di tutti miei cari, ora non mi restate che voi, vedi che deve
essere qualcosa, presentimento che vi spingeva alle vostre madri, anche a me ha
meravigliato perché proprio in questi giorni (ti scrivo in confidenza ora mi passato) mi
tormentava sempre un’idea (sparire) solo dal pensiero quando finirà quel disgraziato
con quei avvocati, solo mio mi ha detto che lui è troppo signor, io vorrei essere già
deliberata da questo pensiero che tanto mi tormenta, vivere in pace finalmente, invece
con quel pensiero vado dormire e con medesimo mi sveglio e poi penso a voi, poi di
nuovo se dovrò pagare le spese come le pagherò, e questo senza bisogno, se lui mi dava
subito necessario per famiglia, ma pur devo lasciare andare le cose come vanno avanti,
e piegare le spalle sotto la mia croce. Andrino mio, ascolta ora e rispondime (dial. per
“rispondimi”, n.d.t.), se hai la tessera di anno passato, oppure la devo prelevare,
perché io ho trovato vecchie di 3 anni fa poi se ti ricordi di aver pagato la tessera a
scuola così rispondime (id.) subito perché Pip(p)o me andrà fare fino che si trova a
Fiume, poi vorrei mandarti altra cioccolata, ma tu non mi rispondi se hai ricevuto
l’ultima. Poi salva tutte quelle domande che hai fatto per corso ufficiali, e informite
(dial. per “informati”, n.d.t.) quando sarà prossimo corso, mi pare che in ottobre scade
quello di piloti d’aviazione, importante è se hai denunciato il titolo di studio. Ieri è
stato da noi il Di Leo, gli abbiamo dato diversi libri e quaderni mi ha detto anche, che
forse verrai dove si trova lui ora, ma io non li volevo dire che Ireneo me aveva detto che
anche loro saranno fra breve cambiati, come Ireneo. Così pensa prima di fare qualche
passo, poi tu dovrai fare ufficiale prima o dopo, così io credo che sarebbe meglio se
potresti fare prima, e iscriversi al primo concorso che si presenta, anche Franco mi ha
detto che si scriverà subito appena sarà promosso. Andrino, Paulino è venuto in licenza
per dieci giorni: Ha detto che tutti i soldati ricevono licenza e viaggio pagato(gratis)
così procura di poter avere licenza, non so se uguale è in aviazione, fammi sapere se
vieni, e porta quella maglia blu che ti laverò. Sono contenta che ti trovi bene e che sei
contento di servire la Patria, bravo stai allegro, e con amore fai tuo dovere per la
patria, e forse verrai un giorno con medaglia a casa, è vero?
Per ora non so cosa scriverti. Ora mi ricordo che era la Signora Corini, da noi, me ha
detto se tu saresti più serio con la Bianca, che sicuro la te volessi bene, ma che tu
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sempre la stuzzichi anche nelle lettere, e poi ti firmi Leonardo, e tante altre cose. Piccolo
nostro ha visto tua fotografia e mi disse gridando: “Eccolo” gli domando chi? Mi
risponde: “Zio Andrino” e ti mostrò con dito, si fa sempre più chiacchierone ieri
domandò dalla finestra al pappagallo “pappagallo come ti chiami?” Onerio” e tante
altre cose. Ora non so cosa scriverti noi siamo tutti sani e altrettanto spero di te, ti
saluto e bacio tua mamma. Arrivederci.” –
“Carissimo Andrino, approfitto di un momento per non essere anch’io da meno di
mamma e Adele. Ti ringrazio della letterina che mi hai inviato e non appena avrò finito
gli esami farò il mio bravo dovere verso il mio fratellino aviere. Domani ho la prova
scritta di italiano, giovedì di matematica. Poi ancora due volte per gli orali e mi
sottraggo così da quell’incubo che anche tu hai molte volte vissuto. Se non hai finito il
tedesco, finiscilo prima e poi ce lo mandi. Con tanti bacioni, tua sorella Mina.”
“Caro Andreolo, ti ringrazio della lettera, ma un altro giorno ti risponderò tutto, per
ora ti prego di studiare presto il tedesco perché appena Mina finisce l’esame,
studieremo insieme. Hai ancora 15 giorni di tempo. Poi me lo manderai per posta
oppure quando vieni in licenza, io ti rimanderò il 2° volume. Saluti e baci. Baci da
ricciolino. Adele”
“P.S. Andrino non badare alla premura del libro di tedesco, prima studia tu in
ordine tutto poi, quando hai bene studiato dopo mandilo (leggi “mandalo”, n.d.t.),
Adele è a estri, in una volta vuole tutto poi di nuovo trascura, lascia da parte. Tua
mamma.”
La sera sono andato da Adele a portarle la mia fotografia, anzi la nostra
fotografia ma non l’ho trovata. L’ho dovuta lasciare dalla portinaia, e, speriamo che
questa gliela consegni. Poi sono andato all’appuntamento di Bruna, ma l’ho dovuta
lasciare presto perché ero di servizio. Infatti, poi sono venuto in Ufficio dove ho
lavorato sino alle undici di sera. Cantando, nel ritornare dall’Ufficio, ho finito questa
giornata e con essa anche il mese di settembre. –
Martedì 1° Ottobre 1940 – XVIII° - Oggi primo giorno di ottobre, la giornata è
monotona come quella di ieri. Infatti il cielo coperto di nuvole non ha cessato un istante
di piovere. Questa mane, avendo poco lavoro ho risposto a mia madre, alla lettera di
ieri:
“Cara mammina, ho ricevuto la tua cara lettera, ma ti rispondo appena oggi. Avevo
da fare ieri. Sento che mia ultima lettera ti ha reso malinconica. Anch’io sai un po’ di
tempo mi sento melanconico, forse perché penso troppo a te, ma quando la domenica
vado con Adele mi passa tutto. E’ tanto intelligente sai, si parla di musica, di
poesia, d’arte, della sua Firenze (perché è fiorentina) della Loggia dei Lanzi, con le
famose statue del Perseo del Cellini, del Ratto delle Sabine del Ricci, del David di
Michelangelo, della Chiesa dell’Or San Michele fabbricata ed ideata dall’Orcagna,
con le famose statue del S. Giorgio di Donatello, di Adamo ed Eva del Sansovino, del
palazzo della Signoria, del palazzo Pitti con i quadri famosi di Raffaello,
Rembrandt, Perugino e tutta la schiera di quei grandi perdentisi nell’oscura pittura del
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XIX secolo, pittura laida, lercia, corrotta, volgare, che va dal Migliaro al Dall’Oca
Bianca. Poi si parla del Giardino dei Boboli in cui si svolgono le manifestazioni del
Maggio Fiorentino e così di seguito si passa il tempo sognando la bellezza, e
rievocando quadri famosi, opere mirabili, lavori formidabili e belli. Poi si parla di
letteratura, della vita odierna, della famiglia, della casa, dei doveri della donna, e
cos’, mammina, senza volere imparo a parlare correntemente la delicata e serica
parlata fiorentina. Vedrai quando torno a casa come parlerò, da vero letterato!
Quando ella comincia a parlare mi sembra che un uccellino mi cinguetti al mio fianco
tanto simpatica, melodiosa e cristallina è la sua vocina. Inutile mamma, è la parlata
fiorentina che fa questo effetto così dolce e bella, non per nulla è la lingua di Dante.
Mamma, vedi così passo il tempo ed è tanto bello sapere tutte queste cose,
specialmente nel campo dell’arte, che ti dà la gioia e ti fa capire che le bellezze non si
trovano soltanto sulla terra, ma anche nella fantasia e nelle opere che altri ci hanno
lasciato. – Mamma cara, è tanto bello sognare con una ragazza così graziosa che ti
rievoca i bei tempi di una volta e ti fa vedere il mondo più bello, più umano di quello
che è. Nella fotografia che ti invio non credo ti piaceremo, perché essa specialmente è
rimasta un po’ brutta e dimostra un ventiquattro-venticinque anni, mentre ne ha come
me, ma poverina piange sempre. Il padre le è morto sin da ragazza ed allora ha
dovuto sempre lavorare. E’ così ingenua poverina che quando le detti il primo bacio si
mise a piangere. Io gli chiesi perché, ed essa allora mi confessò che mai non ha sentito
parlare un ragazzino come me così saggiamente, perché in sua vita non ha avuto che
rimbrotti e sgridate, e, questa è la prima volta che sente un po’ di gioia perché mi vede
ragazzino sincero, bravo, educato ed a quanto dice lei colto. Quando io parlo d’arte o
della mia vita raccontando le avventure di ragazzino, quando si andava con la
bicicletta per le campagne a portare via i frutti, si mette a ridere tutta giuliva e quel
sorriso suona al mio orecchio come perle infinite e cristalline che cadono su una lastra
di marmo, piatta, liscia, bianca. Poi mi disse (questa domenica) che forse pianse per
aver provato un po’ di gioia, essa che leggeva libri d’arte e di poesie e che non credeva
che al mondo vi potesse essere un uomo, nel mio caso ragazzino, che rispecchiasse in se
tutte le cose lette in quei libri lirici in cui tutto è bello anche il sole che batte sul trogolo
del maiale. Tutto è poesia. “Ma io sono brutto”, gli ho detto, “Non si guarda
l’esteriorità, ma quello che quest’esteriorità può racchiudere, e, poi brutto non lo siete.”
Vedi che sa ragionare un po’, mammina, e, credo che per me non hai da essere in
pensiero.
Sento con piacere mammina cara, che ti confidi con me. Non devi più pensare a
quelle cose. Adesso che Minetta avrà finito gli esami, prendi dei libri, poi quando verrò
in licenza, ti mostrerò come bisogna leggere le poesie per poterle comprendere, così anche
tu potrai leggere qualche lirica e vedrai che la vita ti sembrerà un’altra cosa, che vale
proprio la pena di viverla. In quanto al babbo non pensarci su, fa però in modo che
finisca presto la casa, e, se non finirà, la farò io finire e ti prenderò con me, e, nelle
lunghe veglie delle serate invernali, ti leggerò alcune liriche vicino al caminetto
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accompagnato dal ticchettio monotono della legna, che umida, là nel caminetto,
piangono prima di essere ridotte in cenere.Quando penso a te, mammina, mi par di vedere la Niobe della mitologia classica,
la quale viveva per i suoi figlioli ed era tanto orgogliosa che alla fine, Latona gelosa
glieli rubò, dalla disperazione pianse tanto che fu tramutata in cigno. Così sei anche tu
mammina, e, vedo che vivi per noi e se un giorno ti dovremmo mancare, son sicuro che tu
non saresti tramutata in cigno, ma in cerea stella luminosa che anche di lassù nel cielo
ci saresti sempre da guida per l’eternità.
La tessera dell’anno passato non l’ho te l’ho detto già una volta se non sbaglio.
Mamma, informati quando scade il concorso per 250 Ufficiali Piloti e 300 Sergenti, e
se io come militare posso partecipare. Forse Pipo che è alla G.I.L. potrà sapere
qualcosa. Domandaglielo per favore, e, fammelo sapere il più presto possibile,
indicando a che Div., Sez. del Ministero dell’Aeronautica va spedita la domanda.
Perciò, mamma, mi occorre la dichiarazione di appartenenza alla G.I.L. Il titolo l’ho
denunciato.Vedo che Di Leo è stato da voi, l’ho mandato io. Vuol fare gli esami, che Dio gliela
mandi buona, perché in confidenza non sa un acca. Hai fatto bene a prestargli i miei
quaderni, forse qualche cosa gli sarà utile.- Potrei andare dove si trova lui, perché il
Reparto Servizi non viene trasferito. Vengono trasferiti soltanto quelli che hanno
qualche specialità, e, poi non mi piacerebbe andare in quell’Aeroporto perché manca
l’acqua, la cosa principale. Che vuoi sono abituato ogni sera a fare mezzo bagno. Si va
così leggeri poi in branda e anche un po’ per la stanchezza ci si addormenta subito.
Specialmente io che mi hanno affibbiato il nome di “talpa”. Infatti appena mi metto
sotto le coperte soffio come un mantice e in due secondi sono all’altro mondo.
In quanto alle licenze e se si paga il viaggio non ne so nulla. Ma spero di poter
venire verso la fine di questo mese a passare un due giorni in vostra compagnia. Ciò mi
farebbe molto bene. Se non mi paga nulla tenterò di venire prima, ma se invece bisogna
pagarlo, guarderò di venire verso la fine come dissi di questo mese. Che vuoi fare
l’Aviazione è l’arma elegante (se vedesti le ragazze che ci vengono dietro), ma anche la
più a posto, la più mattacchiona è vero, ma nelle cose militari la più seria, ecco perché
noi non sappiamo nulla né dei concorsi, né delle licenze se sono brevi o lunghe, se si
paga il viaggio sì o no, ecc. Se ti comporti bene, chiedi una licenza, esaminano le tue
mancanze e se lo meriti ti concedono la licenza ed appena allora ti dicono se devi
pagare il biglietto o no. Per ora io non ho fatto nessun giorno di prigione e spero se
domanderò un tre giorni di licenza me li concederanno.
Tu parli di medaglia, mamma cara, ma che vuoi, che in ufficio dove si combatte
continuamente con la macchina da scrivere si possa ricevere una medaglia? Io credo di
no, così anche tu. Oh, se andassi a fare il pilota, sono sicuro che più d’una e più d’un
apparecchio assaggerebbe la mia audacia ed il mio coraggio. Se mi getto al contrattacco
della mia macchina mi mettono dentro, altro che medaglia, e, perché per rottura di tasti.
Perciò è meglio non pensarci sopra e lasciare il mondo che venga come Dio ce lo manda.
In quanto a Bianca, mamma, te lo torno a dire, mi piace stuzzicarla, forse le vorrò un
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po’ di bene, ma per ora mi piace vederla ancora arrabbiata, con tutto il mio titolo di
studio, sento di essere ancora bambino, e io che credevo di essere già un uomo! Pazienza.
Non ho ancora finito di studiare il tedesco, anzi mi ci vorrebbe ancora un mese perché in
confidenza, questi ultimi dieci giorni non ho neanche aperto il poliglotta. Qui comincia a
far freddo e l’umidità si fa sentire. Sono già tre giorni che piove. Spero che voi vi
troverete tutti contenti e in attesa di una vostra risposta, vi saluto tutti, da te a Pippo.
P.S. Grazie alle sorelline per i loro brevi scritti. Qui ti invio una poesiola per Minetta.
Arrivederci.” –
La sera sono rimasto in ufficio a scrivere. Questa mattina sono andato a prendere il
salario con due miei compagni Morelli e Covelli. Ritornando abbiamo fatto un baccano
del diavolo scherzando con le ragazze che passavano dinanzi a noi. Andammo poi in
una latteria a bere un po’ di latte, qui parlammo con il proprietario che ci raccontò una
sua avventura provata al passo di Giovi presso Genova, durante una tormenta di neve.
Il nevischio aveva bloccato una colonna di automezzi con la maggior parte animali da
macello che tremanti dal freddo facevano un baccano del diavolo. Io rimanevo lì ad
ammirare questo oratore che prendeva ogni tanto delle papere. Invece di “folla” diceva
“flotta”, e tante altre parole del genere. – Forse se un giorno avrò del tempo cercherò di
raccontare ciò che mi rimarrà di questo racconto fattomi dal lattivendolo, omaccione
grosso e dai capelli brizzolati con una faccia di ragazzino ingenuo che crede tutto
quello che gli si racconta, senza capire gli scherzi e il doppio senso.
Mercoledì 2 ottobre 1940 – XVIII°. - La solita pioggia monotona e malinconica
che ti rode e ti infiacchisce, cade anche quest’oggi insistentemente. La mattina è passata
monotona sino all’arrivo del postino che mi portò una cartolina di Fiume a firma Di
Leo Franco. La cartolina la feci vedere a Novelli, che cominciò a scherzare con me.
Così, con la carta carbone ci sporcammo tutto il viso. Bisognava vederci così neri come
africani, alla fine della lotta. Ci si andò poi a lavare la breve allegria passata così
spensieratamente non la si può dimenticare, perché è come una giornata bellissima
pregna di sole, quelle che come oggi si passano sotto le armi, appunto luminosa, perché
rara. Alle ore 17 sono montato di Capo Posto. Avevo una guardia, nativo di Potenza,
dalla cui faccia, incorniciata da due baffi spioventi, traspariva la cocciutaggine
l’ignoranza. Voleva far lo spiritoso ed il lavativo ad uno stesso tempo. Capii il suo
giuoco e lo feci smettere impaurendolo con una punizione, che dicevo gli avrei inflitto. –
Da allora mi ubbidì sempre a scattava ai miei ordini. C’era poi un carabiniere che non
capiva un’acca! Non arrivo a comprendere chi l’abbia fatto carabiniere. La notte poi
causa l’umidità e il freddo, non ho dormito che due ore. –
Giovedì 3 Ottobre 1940 – XVIII° - Questa mane verso le 10 di mattina mi
vengono chiamare per presentarmi in segreteria. Io salgo e vedo il Capitano Miracca,
che esaminava alcuni miei compagni circa la lunghezza dei capelli. Io, naturalmente,
lasciai che scrutasse e poi alla fine quando mi disse perché non me li ero tagliati io gli
feci capire che non potevo, perché ero di servizio. Cominciò allora a sbraitare ed a
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gridare, ed io sempre a dire la mia, finché alla fine si impappinò da solo e mi dette
ragione. Gli altri presero 5 di P.S. – Così scapolai la punizione soltanto per aver
saputo alzare un po’ la voce sopra quella del Capitano. –
Il pomeriggio ricevetti la tanto attesa lettera di Adele, la quale diceva:
“Caro Andrino, Ieri con immensa gioia ho ricevuto la tua cara lettera, la quale mi
fece molto bene, dove mi dici di scusarti se mi scrivi in quella carta di Ufficio. A me non
importa, gradisco molto volentieri ugualmente, basta siano scritte dalle tue care mani
bianche, delicate e tremanti. Sono molto dispiacente di sentire ciò che è accaduto al tuo
amico. Andrino, vedo dalla tua lettera che non sei più quello di pochi giorni fa. Non so
cosa ho Andrino, ma vedo ossia ho il presentimento che tu non mi vuoi più bene come
prima, sei cambiato da così a così. So che non mi puoi volere più bene dopo la sciagura
che ti ho fatto, ma dimmi Andrino, non vuoi più sapere di me? Dimmelo Andrino senza
rancore, dimmi amore mio la verità che non mi vuoi più bene, io lo so benissimo perché è
il cuore che me lo dice che non hai più fiducia in me, mentre invece puoi averne tanta
della fiducia perché io non ho fatto nulla di male che solamente ti ho smesso di scrivere
ecco tutto, ma io col cuore ti avevo sempre vicino e ti chiamavo “Andrino salvami tu”, e,
tu nella lontananza mi hai salvata, mi hai fatto respingere tutto non tu con le parole,
ma bensì il tuo amore, ora sono ritornata a te, ma, vedo alquanto tu non mi vuoi più
bene, ma almeno dimmelo Andrino mio caro, così potrò rassegnarmi a non credere al
tuo amore che mi sta tanto a cuore, perché non essere sincero Andrino? Ma, io so
benissimo senza che tu me lo dici, perché ti conosco troppo bene, perciò posso parlare
così, e, se mi dici che non è vero, tu mentisci, perché se ti ricordi quando sei venuto in
licenza tu hai detto a tua madre che se sapessi qualcosa di me soffriresti per te stesso,
ma non mi perdoneresti ed ecco perché io non credo che tu mi abbia perdonato. Per ora
non ho altro da dirti che salutarti e se mi permetti di baciarti. Tua se vorrai Adele.”
Questa sua lettera, si può interpretarla in molte maniere, perché quasi si può
dedurre che essa voglia lasciarmi per andare con quell’altro, ma io le voglio troppo
bene e le scriverò una lettera così, come me la detta il cuore senza sofisticare troppo
sulle sue righe. – Volevo scrivere subito la risposta, appena smontato da Capo Posto,
ma ero troppo stanco non l’ho fatto. Poi, più tardi alcuni miei compagni mi hanno
invitato ad una cenetta. Io sono venuto col violino. Abbiamo fatto un baccano del
diavolo ed alla fine, mezzo brillo tornai al Presidio. Per istrada, poco mancò non
venissimo alle mani. Era con noi certo Otello, un primo aviere decorato e promosso per
meriti di guerra. Un senza paura come me. – Per fortuna che io comprendevo con chi
avevano da fare, se no, la serata andava a finire malamente.-
Venerdì 4 Ottobre 1940 – XVIII°. - Questa mattina, appena arrivato in Ufficio,
risposi con la seguente alla lettera di Adele:
“Ho ricevuto ieri la tua lettera, mentre ero di Capo Posto. Ti ricordi ciò che ti dissi a
Fiume l’ultima volta che sono stato in licenza? Ti ricordi? : “Il Capo Posto lo faccio
volentieri perché so che mi porta sempre una tua gradita lettera. Così è stato ieri, ma ero
stanco e non potevo scriverti, poi sai mi hai fatto male scrivendomi così, tanto che prima
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di andare a dormire sono andato a bere un bicchiere di vino perché mi veniva voglia di
piangere. Adele mia cara, mi parli di sincerità, io con te sono stato sempre sincero. Ti ho
voluto sempre bene come te lo voglio tutt’ora. Te lo direi Adele, se non sentissi nulla per
te, ma ora che mi scrivi così ti voglio ancora più bene. Anche quando mi avevi scritto di
non volermi più bene e che il nostro destino è tanto crudele con noi, io ti ho avuta sempre
sul cuore. Lavoravo e scrivevo tutto il giorno, ma tu mi eri sempre in mente, e, quando la
sera andavo al Presidio a dormire, per dimenticare e far passare il dolore andavo a
bere e più d’una sera sono tornato brillo in branda. Tu sarai nauseata lo so nel sentire
tutte queste mie sbornie, ma ora Adele ti prometto che d’ora innanzi ritornerò com’ero
prima, il buon ragazzo che hai conosciuto e, ti prometto inoltre di non and(a)re più con
dei compagni non adatti a me. Finirò il romanzo “Vita di uno zingaro” che scrivo per te,
e, appena finito te lo manderò, ma ti prego Adele non scrivere più così, perché se scrivi
così mi dovrai per forza far soffrire. Ora che tu sei tornata al mio cuore non sento più
quella specie di vuoto ed il mio perdono per te è pieno e meritato. La sofferenza, Adele
cara, non la sento più. Sei ancora la mia cara bambina per la quale ho lottato già da
un anno e lotto ancora, sino a che il mio disegno di una casetta e di una testina bionda e
ricciuta sempre vicino a me non sarà raggiunto. Vedi ora ti scrivo su di una carta
adatta a noi, al nostro cuore che sogna sempre azzurro e sereno. Non essere in pensiero
continuo col tuo cuore per me. Pensa che ti voglio sempre bene, e, così non ti lagnerai
mai di me e del bene che ti voglio, e, ricordati che ho dimenticato il tuo piccolo errore che
non è stato che una leggera screpolatura e, ricordati che le sciagure, come quella
passata, cementano ancora di più due cuori, perché appena allora si arriva a
comprendere che la vita senza il cuore dell’amore sincero è squallida, tetra e monotona.
Saluti e baci dal tuo. P.S. fammi sapere come passi la vita a Fiume e se andate via
oppure restate ancora. Qui piove da una settimana.” –
La sera ero di servizio, e, guardando tra le carte sparse sul tavolo del Maggiore
Coreti, trovai il “Bollettino Ufficiale” su cui si trovava il concorso per fare l’allievo
ufficiale pilota. Allora scrissi subito alla mamma:
“Oggi, mi hanno fatto vedere il concorso per allievo Ufficiale Pilota. Lo sai
mamma, sono tanto contento, posso partecipare a questo concorso, ma mi occorrono tre
documenti, soltanto tre, di questi, però soltanto 1 dovrai farlo e precisamente il mio
stato di famiglia, che potrà esser fatto al municipio su carta semplice previa
presentazione del certificato di povertà fatto in questo Luglio, fa su carta bollata,
tanto una grande spesa non è, il 2° documento, poi è il certificato di nascita, che può
essere anche quello che presentai l’anno scorso al corso allievi Sergenti, e, poi da ultimo
il titolo di studio che deve essere originale, come vedi, mammina, non avrai tanto da
correre, tre documenti, dei quali due già pronti mentre uno, lo stato di famiglia, potrà
essere fatto subito al Municipio, però se domandano il motivo, devi dire “allievo
ufficiale pilota”.
Forse, avrò un po’ di fortuna. Se ci riuscissi, mammina mia che gioia, non più chiuso
in ufficio, ma libero, pensa libero su nell’azzurro del cielo, con il mio bravo
apparecchio. Ma per ora non bisogna farsi illusioni, ma soltanto sperare. Mandami i
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documenti il più presto possibile. Oggi ho mandato due libri ad Adelina, fammi sapere
se li riceve e se ha già ricevuto un pacco di altri due libri”Santajusta” e quell’altro non
ricordo. La cioccolata l’ho ricevuta, me la puoi mandare. Saluti a tutti e baci dal tuo
figlio che sta abbastanza bene. Adesso ho una buona scusa per venire a casa, prepara i
documenti cercherò di approfittare. Saluti e baci di nuovo a tutti voi e d uno sulla punta
del nasino a “ricciolino”. –
Sabato, 5 Ottobre 1940 – XVIII°. – Giornata bella quest’oggi. C’era poco lavoro e,
perciò non avendo cosa fare lessi tutto d’un fiato “La Madonna dei sette dolori” di
Mario Mariani. E’ un magnifico libro ben scritto e che ti mette la realtà sotto gli occhi
così come veramente esiste. Peccato che sia troppo realista, ma la sua descrizione di
cose ed ambienti è fantastica.- La sera si va all’Olimpia a vedere la compagnia
Spadaio.- Una folla enorme attende l’apertura del teatro e manca ancora mezz’ora per
l’inizio dello spettacolo. Finalmente i battenti si aprono, e la marea si getta addosso al
botteghino dei biglietti. Ognuno sforza e vuol arrivare primo. Così faccio anch’io. Il mio
posto non lo voglio mollare e spingo, spingo, finché odo uno schianto improvviso ed il
tintinnio di schegge di vetro che cadono in terra. Hanno rotto un vetro. Io prendo i
biglietti, ma per distaccarmi dalla massa che mi pigia come in un frantoio, devo
lasciare un bottone della mia giacca. Lo spettacolo, intanto comincia, e Spadaio fa
apparizione con la sua compagnia. – I quadri coreografici passano dinanzi ai nostri
occhi, ma di novità e di bellezza io non ne trovo nulla, anzi, quasi direi che abbia fatto
schifo e così, con questa convinzione, me ne torno in caserma. –
Domenica 6 Ottobre 1940 – XVIII. – Il tempo oggi è alquanto instabile. La
mattina l’ho passata a scrivere poesie ed a leggere alcuni giornali. Il pomeriggio invece
sono andato con Adele a girare per il circondario cittadino, e, alla fine, stanchi, ci
riposammo in una panchina del Parco che trovasi nei pressi del Castello Sforzesco.Qui
parlammo di tutto un po’ ma io specialmente parlai della mia vita, e raccontai tante
cose lette nei libri e venute fuori dalla mia fantasia, che essa ne rimase ammirata. Alle
19 di sera l’accompagnai a casa. Gli chiesi di venire più tardi con me al cine. Acconsentì.
Così la sera andammo al “Tonale” a vedere (in via Torino) il film “Quando donna
vuole”. Era un film americano, il cui protagonista un contadino vuol fare il marinaio
per forza ma purtroppo si accorge che il mare gli fa male, e così non gli resta che
ritornare al suo mestiere, dopo aver sposato la donna che voleva lasciare. Terminata la
pellicola l’accompagnai a casa e prima di lasciarla la baciai mentre essa mi diceva:
“Sai che ti voglio bene!” Queste sue parole mi scossero. Povera ragazza! S’è
innamorata di me, proprio di me a cui piacciono tanto le donne ma fra le quali però
emerge sempre una: Adele Moro.
Lunedì 7 Ottobre 1940 – XVIII. - Questa mattina, ricevetti una lettera da mia
madre. Diceva: “Ti ringrazio della lettera e fotografia, sei rimasto assai bene, però la
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tua compagna mostra troppo vecchia al tuo fianco, ti fanno sempre queste ragazze,
compassione, stai attento, che tante volte è un vero pretesto di allacciare uomini,
piangere di miserie e di sofferenze. Tu che sei ragioniere cerca una ragazza onesta,
brava e un po’ colta, tuo paio. Andrino mi scrivi di informarmi dei corsi di Ufficiali
dell’aviazione, da chi? Al municipio, nessuno sa nulla, per la lettera andrò io sola al
Comando prossima settimana. Ti chiedo già terza volta, hai ricevuto la cioccolata? Ti
vorrei mandare altra, ma attendo tua risposta. Prova scrivere al Franco, lui saprà
sicuro, oppure suo padre, perché quando era da noi aveva detto che è tempo fino al 30
ottobre. Padre di Franco è stato dalla Adele in ufficio, per dirgli che si ha
raccomandato per la Mina presso la Scuola, perché ha grande conoscenze, così ha
fatto pure per Franco. Vedremo se la passa, non me ne interessa più nulla, ogni testa
suo cervello, io ho fatto quello che potevo, ora sta su voi prontarsi (leggi “approntare”,
n.d.t.) l’avvenire. La mamma di Ireneo mi aveva detto che Ireneo resterà sotto, che
avanzerà subito, appena che arriverà in Africa. Poi mi scrivi che mi imparerai leggere
le poesie, troppo gentilezze per me, ti ringrazio, ma non farai nulla, perché mio cervello
non è più per faticar sui libri. Io leggo solo “La vedetta” e ogni settimana compro l’
“Alba” di quel povero vecchio che sono presso di lui abbonata; ecco quel giornale mi
piace, prima di tutto è assai istruttiva corrispondenza “Sottovoce” poi sono belle
novelle e poi mi piace leggere dei “Musicisti sventurati”, mi dispiace che mi sono andati
persi primi articoli di Beethoven, ma devono essere libri, comprerei volentieri, anzi ti
prego se hai occasione di andare fuori quando hai libera uscita, e parlare direttamente
con la scrittrice e Direttrice di “Alba” Angela Sorgato, via Percalli 9. Se hai foto Adele
con piccolo falle vedere forse la pubblicherà, poi i miei elogi per giornale “Alba”, poi
domanda se mi può mandare libro prima di “Musicisti sventurati”. Domanda quanto
costa, io ti spedirò per 20. – L. 50 – “Chopin” poi di Beethoven. Ecco cosa a me piace
ancora leggere.
Caro Andrino, ti scriverei ancora, ma sono oggi così triste, e stufa, perché quelle
lingue cattive ancora non hanno finito, e, sono contente che suo figlio e fratello ha
un’altra, questo volevano già da 20 anni, ed ora sono contente, quelle due larve, e
quella vecchia che non me poteva vedere, le mie sofferenze tutto causa di essa e non le
sarà mai perdonato, come neanche alla sua figlia Peppina, sempre una peggio di me
va parlare, tutti han con quella povera Adele che è mio idolo, vorrebbe vederla finita in
strada come essa. Scusa Andrino che ti ho scritto di quelle bestie. Andrino domanda
licenza almeno due giorni. Che vuoi fare con due giorni? Due giorni stai in viaggio.Attendo tua risposta e ti saluto e bacio, tua mamma”.
Ecco la mia mammina, mi ha risposto. Ora le piace anche leggere un po’. Così voglio
vedere la mia mammina, mi dispiace soltanto che mia zia e la nonna non la lasci mai in
pace. – Io gli rispondo così:
“Cara mammina, ho ricevuto oggi la tua lettera e come vedi ti rispondo subito. Sono
contento di ricevere queste lodi da te: “Sei rimasto assai bene.”. Grazie mammina mia,
queste tue parole mi inorgogliscono un po’. Mamma, ho compreso il tuo consiglio, ma le
ragazze le conosco abbastanza bene e te lo posso dire che non è pretesto quello, perché
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quando vedo che c’è qualcosa di grave allora le lascio in asso, come ho fatto con
Camilla ed Alice (sentendo tanti nomi di ragazze, mammina, tu dirai che sono un
donnaiolo, ma non è vero mammina, anzi non lo sono affatto, cerco di diventare
antipatico a tutte coloro che mi presentano e di cui faccio la conoscenza, ma che colpa
ne ho io se ho la parola un po’ difficile con cui creo paesaggi fantastici e storie
inverosimili e che perciò mi rendono simpatico con sempre in volto quel sorriso
canzonatorio da ragazzino di strada. Tutte mi dicono che sono un carattere diverso che
non hanno mai visto. Non mi piace azzimarsi, non posso vedere i gagà, le donne che
fumano, che si pitturano, mi piace scherzare con tutti, mi piace la libertà, la vita
zingaresca, la poesia, la musica, l’arte e quel che conta di più, dicono, vedo tutto,
conosco le strade di Milano come fossi un puro milanese, so quante Gallerie d’Arte ha
la città, quante biblioteche, quanti musei, quanti fessi, quanti cretini, quante sgualdrine,
quante belle donne, quante brutte, come arma, l’aviazione, la cavalleria, la fanteria,
l’artiglieria, le donne d’Italia (a proposito ti mando qui un mio epigramma sul loro
conto), quante panchine ha il Parco, quante i Giardini Pubblici, che Bar, il leone è stato
regalato da S.E. Mussolini allo zoo di Milano, che l’orso è stato portato dal Tibet
dalla spedizione Tucci, che la Scala si apre per i concerti popolari, che Spadaro non
ha più la sua celebrità (sono andato a vederlo sabato, e ha fatto schifo) e inoltre
quello che più conta quante Gallerie d’Arte ha Milano, ma con tutto ciò sono simpatico
a tutti e perché, perché vedo ed osservo tutto e trovo quasi sempre una frase pungente,
ed ironica su tutte le cose, che mi si presentano sotto gli occhi (per es. ieri in compagnia
di Adele, ho visto due innamorati baciarsi in mezzo alla via, “che sporcaccioni” ho detto
ad Adele, che sorrise già alla mia uscita, “potevano portare il paravento!).Nel sentire tutta questa sfilza di cose (che se avrei il tempo te ne avrei ancora da
enumerare) tu ti (di)sgusterai, perché penserai, ecco il mio Andrino, che si rovina, sono
certo che dirai ciò, ma no, mammina, anzi più sto a Milano, più arrivo a comprendere
la loro vita e più mi piace fantasticare, quando sono solo e fra di me dico sempre
perché fanno questo, perché fanno quell’altro (specialmente mi torna sempre in bocca
questo: “perché sono gagà e perciò tutti sono affini alle cucurbitacee (famiglia delle
zucche vuote)?” e non lo so mamma, ma mi sembrano troppo retrogradi, come la
squadra dell’Ambrosiano che è portata ai sette cieli e non sa per altro che rompere le
gambe).
In quanto ai corsi non occorre che t’informi più perché me li hanno fatto vedere qui.
Ti prego di farmi i documenti soltanto nel più breve tempo possibile. Credo che avrai
ricevuto la mia ultima lettere che parla del corso.
Mamma cara, vedrai che Minetta passerà. Tu dici ogni testa il suo cervello è vero
mamma, ma quando si hanno delle teste come le nostre che non pensano che per te e per
farti contenta, allora, non c’è che dire ogni testa ha la sua idea. Guai se tutti avessimo
le stesse idee. Io, forse, soltanto io ti assomiglierò per quanto riguardo le idee della
casa, della famiglia, ma a tua differenza mi piace essere libero, indipendente ed
osservare tutto, non come te che stai sempre a casa. Vai qualche volta al cinema e non
pensare alle parole degli altri, né alle calunnie di nonna e di zia.- Perché ricordati
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questo: “è meglio avere invidia che misericordia, e, poi, dico anch’io come Mussolini
“molti nemici, molto onore!”, non ti pare. Se sei una persona in gamba avrai sempre da
fare con della gente calunniosa che ti sparlazza, ma se invece sei di quelli “che per se
furon” cioè pusillanimi, stai pur certa che nessuno ti sparlazzerà. Io so che ad Adelina
non passa neanche per l’anticamera del cervello ciò che vanno strombazzando per i
quattro venti, perché le proprie azioni, ricordati, sono la migliore difesa alla lingua
sporca di qualunque individuo, specialmente quando queste nostre azioni sono sempre
rette e pulite. Quindi perché hai da lagnarti? Devi ridere invece ed essere allegra come lo
sono io. In quanto a leggere i libri te li imparerò vedrai mammina cara. E, cercherò
anche di andare là dove mi hai detto dalla signora Sorgato. Adelina è il tuo idolo, per
me modello di volontà, costanza e voglia di lavorare ecco perché voglio tanto bene ad
essa a “ricciolino” ed a tutte quelle donne che portano il nome di Adele, perché mi
ricordano sempre la mia Adelina e la mia Adele Moro.
Per adesso non ho cosa da dirti che salutarti e baciarti. Delle mie poesie non dici mai
niente, come sono, ti piacciono? Arrivederci, tuo figlio.” – La sera rimasi in Ufficio a
scrivere. –
Martedì 8 Ottobre 1940 – XVIII°. - Giornata piovosa e tetra quest’oggi. La
mattina non avendo cosa fare la passai scrivendo alcune poesie, una delle quali la
mandai Adele Farini, perché appunto la scrissi per lei. La lettera con cui accompagnai
questa poesia diceva:
“Scusami se vengo importunarti con questa mia, ma qui ti invio una di quelle poesie
che piacciono tanto a te.
Forse adesso non ti sarà gradita come le altre, ma accoglila con un dolce sorriso, ti
prego, con quel tuo sorriso tanto grazioso che, mettendo in mostra le tue perle
cristalline, mi schiude nuovi orizzonti, belli, puri, soavi e mi fanno sognare tanto e bene.
L’ho scritta per te sai. Ho sognato tanto vicino al tuo fianco, là, nei giardini ed al
cinema, ma quello che più mi ha colpito sono state le tue parole: “Ti voglio bene.”.
Hanno toccato la mia corda intima, m’hanno estasiato. “Come tu, proprio tu, a cui
raccontai tutta la mia vita sbarazzina ti innamori di me” ecco le parole che mi
affiorarono al cuore. Provai un po’ di gioia, la prima donna che mi parla così, e una
dolcezza si impossessò di me, mentre una forza invisibile mi spingeva verso te, verso la
tua bocca a ringraziarti baciandoti. Scusami, Adele, ma quel bacio lì nel portone era
candido e soave, era quel bacio una luce argentea, che m’ispirò questa poesia. Accoglila
sorridendo e scusandomi di nuovo, ti bacio, se mi permetti, la tua gota.”. Ricevetti nella
mattina due cartoline, una di Bruna e l’altra di Novelli.Nel pomeriggio ebbi una questione con un milanese, certo Spada, questione che mi
fece aprire gli occhi circa la grave lacuna e più che lacuna dimenticanza per la
matematica. Mi rimetterò a studiare.- Nello stesso pomeriggio ricevetti una lettera di
Bruna che diceva: “Carissimo amico, ti prego di scusarmi se non ti ho scritto come ti
avevo promesso. Il motivo: non mi sentivo bene. Ho avuto in questi giorni sempre la
febbre. Ora mi sento un po’ meglio. Voglio sperare di rimettermi presto. E tu come stai?
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Hai avuto altre punizioni? Spero di no. In attesa d’un tuo caro scritto ti porgo i miei
più cari ed affettuosi saluti. B.”
La sera andai all’ “Augusteo” a vedere il film “Mischa il fachiro”, già visto a
Fiume, ma tanto bello che lo volli rivedere ancora e fu lì, che dopo tanto tempo mi
ritrovai finalmente bambino, solo, ridendo di gusto ad ogni spiritosaggine del pseudo
fachiro indiano.
Mercoledì, 9 Ottobre 1940 – XVIII°. - Finalmente il sole ha fatto un po’ il
capolino. La mattina il postino m’ha portato la lettera del babbo che diceva:
“Caro Andrino nella tua penultima lettera mi rimproveri che ritardo a risponderti, e,
difatti è vero, ma tu devi capire che io non ho la possibilità che hai tu. Tu sei in ufficio e
ti scivola qualche ½ ora per scrivere una lettera, invece io dopo il lavoro, mi ci vuole
un’ora e mezzo e anche due, rileggere le tue righe e poi rispondere, sai che per me non va
preso, la mano pesante, la penna mi si confica nella carta, ma ugualmente combino
abbastanza bene non ti pare?
Mi dici che ti dispiace che bevo tanto, ma non è proprio il vizio è che non so dove
andare e così vado in bettola e coi racconti vi si dimenticano almeno per un momento i
dispiaceri ed i dolori.
Ora passiamo avanti, non parliamo di cose che fanno più male che bene, quando
verrai a casa parleremo fra noi da uomini non ti fare briga ora, appunto perché son
padre, e, quello che tutti voi siete, siete per mio volere ed è proprio per ciò che io voglio
essere il padre e il capo della famiglia, e non il servo né lo strumento da sfruttare
senza avere nessuna soddisfazione, fuori che quella di dire che siete studiati. Questo a
me non basta. In quanto a capire e pesare le cose e le circostanze che indussero a fare
certe cose, bisogna esaminare da ambe le parti, fare un riassunto, e vedere dove sta il
male, per cicatrizzarlo. Invece in casa nostra tutto al contrario, io sono in casa solo la
cassaforte da vuotare e null’altro, ma non mi importa, perché soni i miei figli che
usufruiscono e non mi dispiace, mi dispiace solamente che sono considerato così male.
Ho interrogato diversi per i libri che mi hai chiesto, ho pregato molti che so ne hanno,
ma nessuno vuol vendere, né imprestare e ho parlato a quel Sirobogna che vende i libri
a rate, lui mi ha detto che ti conviene prenderli a Milano, che costeranno di meno come
se io li comperassi qui, così guarda tu se puoi acquistarli, io ti manderò i soldi che ti
saranno necessari, ti pare che vada meglio così.
Al dottore ci hai ancora da pensare, ma non è detto che non arrivi, hai vissuto fra
signori e poveri, ma ti dico la verità che hai ancora molto da imparare, non prendertela
a male.
Con il Maresciallo fai finta di essere pari a lui, quando verrai a casa, e lui ti
incontrerà, sarà lui a levarsi il cappello dinanzi a te, non smaniarti ora che sei
soldato.- Per ora ti bacio e ti abbraccio tuo papà.”.
Il pomeriggio è passato fra gli scherzi con i miei compagni, e, la sera, melanconico,
non sapendo dove andare, mi recai al cinema “Garibaldi” a vedere i due film “Piccoli
naufraghi” e “Notte di carnevale”. Il primo è italiano, il secondo americano. Il primo
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bellissimo per l’interpretazione spontanea dei ragazzi, il secondo invece magnifico nella
fattura musicale, ma assai desiderabile invece nel complesso recitativo. Ho atteso oggi,
ma invano posta di Adele, la mia cara Adele. Purtroppo non è venuto niente.
Ritorni con la mente, ora, alla lettera scrittami da mio padre. Non cambierà mai
quel suo carattere, vuol sempre aver ragioni. I suoi atti sono sempre giusti e ben fatti.
Non ha fatto mai errori in vita sua: ecco la sua tesi sbagliata. Si lagna con me perché
nell’ultima lettera gli scrissi che non mi scrive subito, ed eccolo ora discolparsi dicendo,
come scusa plausibile, che ho più tempo di lui a disposizione. Ciò è vero, ma è pur vero
se egli fosse un vero padre, dedicherebbe molto volentieri un’ora delle sue orgie
bacchiche al suo figliolo, ma invece ei preferisce andare in trattoria, per scordare i
dolori ed i dispiaceri, ma i dolori ed i dispiaceri gli scorderebbe o almeno gli saprebbe
sopportare molto volentieri scrivendo al proprio figliuolo, almeno io la penso così e
vedo così l’amor paterno, ma se lui vuol dimenticare nel bere, scordando i propri
figliuoli, è padrone di farlo, mi dispiace tanto, perché è mio padre e bisogna rispettarlo,
ed io lo rispetto ancora tanto, perché gli voglio anche un po’ di bene perché è mio padre e
mi ha messo al mondo.- Ci sarebbe da dire tante altre cose sul seguito della lettera, ma
è meglio tacere, perché ciò fa anche un po’ male. –
Giovedì 10 Ottobre 1940 – XVIII°. - Oggi mi è venuta la voglia di andare a casa.
Ho fatto il nulla osta, e il Colonnello l’ha subito firmato. In tutto il giorno non ricevetti
neanche una lettera. La sera andai da Adele per dirle che partivo. Mi dette una lettera,
che poi in Ufficio, siccome di servizio, lessi più tardi.
Venerdì 11 Ottobre 1940 – XVIII° - Il Nulla Osta portato alla firma ieri non è
stato firmato dal Capo di Stato Maggiore. Erano le undici, nel frattempo il postino mi
portò una cartolina di Ireneo che si trova a Bendasi, erano dunque le undici e nulla era
stato ancora firmato, quando io stufo presi il nulla osta e lo portai dal colonnello il
quale lo firmò, alle 12 la licenza era già pronta. Alle 13.45 partivo per Fiume. In
treno non sapendo cosa fare mi misi a leggere il libro “Cuore in esilio” della Casale.
Intanto il treno camminava. Dopo un’ora esatta si arrivò a Brescia, la leonessa
d’Italia mentre i paesaggi passavano dinanzi ai miei occhi, belli e magnifici. Oh la
nostra Italia come è bella. Sembra di essere in un paese di sogno quando si iraggia
come oggi con un sole magnifico che tutto indora e tutto abbellisce. Si passò così dinanzi
a Verona dopo aver passato Brescia, Peschiera con la sua famosa fortezza sul
Mincio, Padova, Venezia, con la magnifica laguna, poi Trieste, ed infine alle 1 e 30 di
notte Fiume. La mia città quando scesi dal treno era immersa ancora nel primo sonno.
Per le strade deserte senz’anima vi(v)a il mio passo rimbombava rompendo
aritmicamente col passo sonoro sul selciato cittadino il silenzio notturno. Bussai alla
porta. Mia madre venne ad aprirmi e felice e commossa mi baciò. Poi mi dette una
notizia che mi rese felice: Mina è maestra. – Che gioia, Minetta, maestra, la mia cara e
piccola sorellina è maestra! Ecco la mia gioia più grande. Io ragioniere, a perdere sotto
le armi con il semplice grado di Aviere Scelto i giorni migliori della mia vita. Almeno mi
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mandassero al fronte a combattere. Il mio sangue bolle, non ne può più. Ora sono a
casa ed il sorriso di mia madre mi dà un po’ di pace. Racconto a mia madre ed alle
sorelline, parte della mia vita militare, ridono a certe mie uscite. Ecco così mi piacciono i
miei: vederli ridere e sempre allegri. – Il babbo si alza e freddamente mi dà un bacio
mentre lagrime ch’io credo di coccodrillo, gli scendono giù dagli occhi. –
Sabato 12 Ottobre 1940 – XVIII°. - Questa mattina mi sono alzato nella mia
casa, sì nella mia casa, e per di più appena alzato ho trovato mia madre sorridente che
si apprestava a prepararmi il caffé. – Dopo tanti giorni eccomi qui a bere il mio caffè
latte con comodo, senza aver paura di perdere il turno e con quello la misera razione di
brodaglia che danno sotto le armi.- Verso le dieci del mattino sono andato a far firmare
la licenza. Sono stato a trovare la Signora Corich, la signora Corini e la mia Adele. Mi
sono presentato a lei così, all’improvviso, e dall’espressione del volto a quanto ho
capito le dispiacque nel vedermi. Ciò mi fece male. Incontrai poi un mio amico che mi
diede delle informazioni poco ragguardevoli a suo riguardo. Provai un tal dolore ed un
tal sdegno che gli dissi di prepararmi le lettere, che in serata, io gliene avrei portate le
sue. Ciò dissi anche a mia madre, ma essa mi sconsigliò “perché”, mi riferì, “la gente
sempre calunnia”. – Così la sera invece di tornare con le lettere, dopo aver risolto un
battibecco col padre, tornai con la faccia mesta a lei e col dolore delle ciniche frasi di
mio padre. Essa mi rasserenò e così tornai a sorriderle e quando ci lasciammo provai un
po’ di dolore, ma non era quel dolore provato già una volta, qualcosa che io solo non so
definire, mi rendeva diffidente. Forse sentivo che essa non mi vuole più il bene d’una
volta. Per istrada non mi venne neanche in mente. Vicino a lei qualcosa ancora sentivo,
ma via da lei, mi sentivo tanto, tanto distante e provavo quella stessa cosa che un uomo
prova per una donna che non desidera per altro che per fargli dimenticare un dolore. –
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“ Il violino ”
Quando non ti conoscevo
più volte il suono gridava
dal mio povero violino.
Io non lo vedevo
eppur piangeva, strillava
come un povero bambino.
Era il mio animo caduto
che si lasciava trasportare
dal dolore immenso, muto
tra le corde, per cantare.
Cantava sogni per infranti
dolori immensi, tersi
e le corde doloranti
mandavan suoni persi.
Era il mio solo conforto.
Ora che tu m’hai incontrato,
il mio amor per te porto
solo, infinito, incontrastato.
Scrissi questa poesia il 13 novembre 1939 per la mia Adele.-
Domenica 13 Ottobre 1940 – XVIII°.- Ho dormito un po’ questa mattina.
Appena alzato ho avuto subito la dolce visione di mia madre. Che buona è mia madre,
la più cara, la più santa donna che abbia mai la terra. M’ha tutto preparato il caffé,
il vestito, io che ormai ho fatto il callo a fare tutto da me mi sembrava d’essere in
paradiso. La mattina così fra una scappatine e l’altra l’ho passata così e così. Ho
preso in un momento di gioia mia madre e ho cominciato a ballare con lei. Teneva in
mano il tegame del caffé, ed ecco che ne spande un po’. Tiene il broncio, è la cosa più
brutta che mi si può fare, ma come, io non devo mai, sì proprio mai essere allegro. E
subito la mia gioia si tramuta nel mio solito sentimento saliente la malinconia.
Rimango così tutto il pomeriggio a casa, mia madre crede ch’io dormo invece nel letto su
cui non posso prender sono, mi rivolto in tutte le parte pervaso da strani pensieri che mi
fanno impazzire. Penso ad Adele, la mia Adelina ed attendo la sera per il nostro
incontro. Finalmente arriva anche l’ora, è l’ultima volta che ci vediamo, lo so, lo sento, e
la stringo a me, al mio petto. La bacio ed insieme ci confidiamo le nostre pene, e vedo
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con somma meraviglia che anch’essa soffre del mio stesso male: la lontananza e la
mestizia. Quanto ho amato la mia Adele in questa sera e lasciandola all’ultima ora di
notte provai una strana sensazione, mista di piacere e di dolore, di godimento e di
sofferenza, mentre deliravo per l’imprevisto e l’incognita del nostro avvenire. Forse non
la vedrò mai più! E con questa frase in una visione ultima di dolore spasimante
m’addormentai. Dopo pochi momenti mi svegliai. Non potevo dormire. La mia mente
era popolata da strane visioni, che mi fecero lacrimare e, come sempre l’unico, il solo, il
vero mio compagno, fu anche per questa notte il pianto.
Lunedì, 14 Ottobre 1940 – XVIII°.- Sono questa mane al Presidio per ritirare la
licenza, e non essendo ancora pronta, mi sono recato da Adele. Abbiamo parlato tanto e
di noi che per poco, quasi ritardavo. Così arrivai appena in tempo a casa per il pranzo.
Il pomeriggio dovevo andare a salutarla ma, non so per uno di quei istanti di
abbattimento e di prostrazione morale, non andai in nessun luogo, neanche a salutare
mia nonna e Adele. Mi misi a letto e fantasticai tanto sul mio conto sulla mia vita
misera che finora non mi ha dato ancora un po’ di gioia vera. Pensai ad Adele, la
paragonai alle altre ragazze vedendo l’enorme differenza tra lei e le altre. Pensavo al
suo modo di fare con me ed analizzavo tutte le sue manifestazioni, tutti i suoi gesti al
momento che arrivai da lei sorprendendola mentre si faceva bella allo specchio. Sì quel
suo fare quasi di stizza m’aveva colpito. Allora più nitida mi apparse l’accusa del mio
amico: “Va ogni sera con un altro!” e questa frase mi bruciava ancor di più nel mio
sospetto un po’ geloso. Forse è vero tutto quello che m’ha raccontato l’amico, eppure
sentendo di amarla, di volerle un bene infinito, non ero capace di muovermi a salutarla,
quasi una forza arcana mi trattenesse per un braccio dicendomi: “Non andare, resta
qui, ti farà meno male!” E così infatti feci. Così arrivò il tempo della partenza, e
andandomene, dopo aver salutato mia madre e mio padre dissi tra me: “Non crederò
più a nessuno!” Mi farò un’idea tutta mia: “Osare e volere!”. Fantasticavo ancora,
quando il treno filava verso Milano. La luna su nel cielo rideva col suo raggio d’oro
che a poco a poco ripiombava nel silenzio.Ho tralasciato a questo punto il mio diario per ricominciarlo oggi, 19 ottobre,
cercando di ricordarmi qualcosa.Martedì, appena arrivato, per quanto insospettito sul modo di agire, mi prese il
rimorso di avere lasciato Adele a quel (modo) e perciò le scrissi una lettera. Poi, per
passare il tempo comperai un libro: “La sperduta di Allah” di Guido Milanesi.
Mercoledì, invece scrissi a mia madre la seguente lettera, in tono umoristico:
“Cara mamma, ti faccio sapere che ho fatto un bel viaggio: Tutto è andato bene.
Fino a Desenzano del Garda la luna splendeva alta nel cielo e perciò mi sono dilettato
a guardare dal finestrino il bellissimo panorama che si svolgeva davanti a me, ma
dopo Desenzano verso Brescia le nubi hanno coperto la sua faccia di rame, e, così
nell’oscurità non potendo vedere nulla, sono andato nel mio scompartimento per
dormire un po’, ma neanche a farlo apposta, vicino a me c’era un uomo grosso come
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una montagna che soffiava come un mantice, mentre il suo naso a peperone lasciava
uscire un flebile e dolce suono a quanto udivo, mi sembrava quello di un contrabbasso
che aveva perduto la menzione del ritmo e dell’armonia. Inutile dirti mammina, che non
ho potuto chiudere occhio, quel suo motivo di room….room…era così bello che puoi
immaginare ne restai tanto estasiato e per udirlo non chiusi occhio per tutto il tempo
rimanente che mi portò a Milano, dove una acquerugiola così soave ti penetrava nelle
carni. Però prima di scendere dal treno lo squadrai da capo a piedi e gli chiesi:
- Suonate il trombone forse?
- No, e perché, mi rispose –
- Pensavo di sì, perché fate così bene il do di naso, e con un sorriso carico di scherno
lo lasciai lì meravigliato. Sono sicuro che più tardi si accorse di ciò che racchiudevano le
mie parole, perché mi sembrò dopo avere fatto pochi passi che un coltello mi ferisse la
schiena, mi voltai, ma per fortuna lui che aveva capito, mi lanciava soltanto lampi di
odio e di stizza che io sentii fissi su di me e che mi sembravano lame di coltello, per
fortuna non erano lame di coltello quei “rai fulminei” se no, cara mammina, ora sarei
su in paradiso o nell’inferno, non so dove, ma di sicuro in purgatorio no a ballare con le
mie alette fabbricatemi sulla gobba e svolazzando attorno ad angeli o diavoli a
prendere in giro per tutto il mondo infero! Dunque, mamma, hai visto che questo non è
che uno scherzo, ma ti dico la verità che causa quel trombone non ho chiuso occhio, ma
non fa nulla, basta essere allegri, così voglio anche con te e ricordati sempre di essere
ferma nelle tue cose. Spero che avrai ricevuto il telegramma. Ho sgobbato ieri tutto il
giorno, ma non fa nulla, in compenso questa notte ho dormito così sodo, e se un cannone
da 420 mi avesse sparato sulle orecchie, sono sicuro che non mi avrebbe svegliato. Come
vedi sto bene e non essere in pensiero. Ti volevo fare la descrizione del magnifico
panorama di Venezia sotto la luna, ma come vedi mi manca lo spazio, ti basta questo,
che il mare sembrava un prato di velluto su cui si specchiava come in uno specchio,
arcano e misterioso, le facciate dei palazzi con le loro volte ed i loro ogivali. Per ora ti
saluto e bacio, tuo figlio.”
Il giorno dopo, giovedì 17, ricevetti una lettera di Adele, a cui risposi subito. In
questa lettera m’ha descritto la sua terribile attesa. Le ho fatto troppo male, e, ora
purtroppo mi sento d’esser stato vigliacco. Ho scritto poi una lettera al padre, e, la
sera andai al teatro “Supercinema” a vedere la rivista “Piedigrotta 1940” composta
da famosi cantanti tra i quali Enzo Aita, Miriam Ferretti, la Silvani e Carlo Moreno.
Così finalmente sono stato soddisfatto perché dopo ben 9 mesi via da casa, ho udito un
po’ di bella musica!
Il venerdì, invece è stato tanto mesto. Ho scritto delle poesie e una lettera ad Adele,
ed oggi, sabato eccomi qui. Ho ricevuto oggi un’altra lettera di Adele. Anche da questa
lettera traspare la sua mestizia ed il suo dolore: Mi dispiace tanto, ma quantunque il
rimorso di non aver fatto il mio dovere nel salutarla mi rimprovera, sento di non poter
credere a quelle sue parole. Il tempo che è il miglior testimone, mi saprà dire se ho
fatto bene o male, a credere o non credere.
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L’autocalunnia
E qui, il lettore furbo dirà subito: ho capito: il primo articolo è di M.M., il secondo
di un buon patriota il quale gli picchiò – grazie a Dio – dolcemente sulle dita.Mi duole per il lettore furbo, ma il primo art. è del comm. Ettore Ianni e il secondo è
dell’esule in patria M.M.
Il primo articolo vide la luce nel “Corriere della Sera” il secondo nel “Secolo”.
Il lettore però deve considerare che eravamo nel 1908, cioè ancora in uno di quei
begli anni in cui il patriottismo del “Corriere della Sera” era tedesco e in cui l’organo
magno dell’opinione pubblica milanese gongolava per le visite di Guglielmo II a
palazzo Morosini e misurava i destini d’Italia sull’altezza dei granatieri di
Pomerania.Ad ogni modo l’arte dell’allora cavalier E. Ianni era una “gaffe” e la direzione del
giornale lo capì così bene che gli impose di non rispondermi. Ettore Ianni se la legò al
dito.
Passò molto tempo.
Passò molto tempo e venne la catastrofe europea. I Triplicasti tentennavano e i
primi articoli che indicavano all’Italia, come imprescindibile dovere umano e
rivoluzionario, l’entrata in guerra a fianco dell’intesa uscirono nel “Secolo”, a firma
del sottoscritto. Erano in data tre, quattro Agosto 1914.
Per portarli in Italia – eran proibite le comunicazioni – io dovetti traversare, a mio
rischio e pericolo, la mobilitazione tedesca.
Io, - è una constatazione storica che ha una certa importanza – sono stato, in ordine
di tempo, il primo interventista.
Questo fatto che mi ha procurato non pochi improperi da parte dei compagni
socialisti i quali non seppero capire il valore rivoluzionario della guerra e attribuiscono
oggi ancora alla guerra gli errori della loro incapacità politica, questo fatto lo ricordo
soltanto per rammentare che in quei giorni il “Corriere” nicchiava, nicchiava…
E nicchiò ancora per mesi. Salvo poi ad impadronirsi della guerra quando la guerra
scoppiò.
Allora, mentre alcuni giornali dovevano riunirsi in tre per avere un corrispondente al
fronte – io dovetti rappresentare il “Secolo”, il “Messaggero”, “Il Giornale del
Mattino” – il “Corriere” ebbe a Udine tre corrispondenti. E spadroneggiò.
Si diceva ad Udine che il Comando Supremo era costituito da Padre, Senaria, Luigi
Bazzini e L. Cadorna.
Sta di fatto che di quel monopolio delle notizie e primizie di guerra il “Corriere” è
sempre rimasto poi grato a Cadorna.
Una mano lava l’altra: il “Corriere” dichiarava Cadorna il più grande stratega
dopo Cesare e Cadorna concedeva interviste a Bazzini e permetteva a Bazzini di
telegrafare, mentre gli altri corrispondenti dovevano mandare le notizie per lettera e
teneva all’oscuro delle operazioni undici corrispondenti, mentre Luigi Bazzini era
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sempre in un osservatorio di divisione a seguire ogni azione con tre generali attorno che
gli spiegavano i particolari, l’andamento, l’esito.
Ciò non ostante pare che la nostra guerra segnasse il tramonto del divo Bazzini,
pare anche che alcuni miei articoli piacessero di più di quelli di Luigi Bazzini, pare che
sulle Alpi e sull’Isonzo si spacciasse più di Al Fronte.
Immaginiamo se il “Corriere” poteva perdonarmi una faccenda simile!
Molto più che a Udine s’erano elevate spesso da parte degli altri corrispondenti
proteste contro l’egemonia del “Corriere” e io ero stato fra quelli che strillavano più
forte per una ragione, del resto semplicissima: che ero il più colpito trovandomi a dover
fare il servizio per il solo giornale milanese del mattino, concorrente del giornale più
favorito – l’ “Avanti!” si disinteressava della guerra, “Il Popolo d’Italia” non aveva
ancora sviluppato i suoi servizi.
Venne la chiamata della mia classe e io andai a fare ventidue mesi di trincea e
trenta di fronte. I giornalisti un po’ in vista della famiglia del “Corriere”
s’imboscarono baldamente.
Io tornai con una medaglia d’argento e due croci di guerra. Non ho mai portato
nastrini, non ho mai riscosso le duecentocinquanta lire annue spettatemi per la
medaglia d’argento.
“Fece quel che potè
E porta seco un sacco di semente”
Trovai però a casa quelli che eran già tutti intenti a “valorizzare la vittoria” come
van blaterando, ma sfruttare per i loro interessi, la vittoria conquistata dagli altri.
Me ne tenni lontano.
Ma lo spettacolo non mi meravigliava.
Conosco la storia abbastanza per sapere che non appena si faccia un pochino
d’Italia c’è chi ha il formidabile appetito necessario a tentare di mangiarsela.
Era, d’altra parte, accaduto un fatto straordinario.
Mentre io ero in trincea – dal Dente del Pasubio al Col Berretta – due libri miei,
pubblicati senza che io nemmeno lo sapessi, avevano, sempre a mia insaputa, ottenuto
un buon successo di vendita.
Non di critica.
Io non ero a casa e non potevo andare mendicando di redazione in redazione – come
si avviliscono a fare tutti i miei colleghi – la mezza colonnina di recensione.Non facevo parte di nessuna società di mutuo incensamento, di nessuna combriccola
letteraria. La stampa italiana quindi non poteva occuparsi di “La Casa dell’uomo” di
“I Colloqui con la Morte”, di “Sotto la Naja”. Né ha potuto occuparsene mai.
Sebbene i due ultimi libri – nel paese in cui ogni villan fottuto si crede un genio ho
anch’io il diritto alla coscienza del mio valore – sebbene i due ultimi libri siano i soli due
libri di sana viva prosa italiana che abbia partorito da noi la grande guerra e sebben
sian destinati, - ne sono certo – quando saran placate le ire, ad andar per le scuole.
In compenso se ne occupavano favorevolmente e con acume il “Times” e “Die
Frankfurter Zeitung”.
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Strano, eh!
Gli è che io, ripeto, in quei giorni avevo, povero alpino scarpone, da far mezza
dozzina di pattuglie, volontario, da piantare un posto sicuro, contravvenendo agli
ordini superiori, per partecipare all’azione di Carzano, da condividere, potendo farne a
meno, per quarantadue giorni, l’epopea del mio battaglione a Col Berretta, da
attraversare due volte, all’Asolone, le linee nemiche per andare a riconquistare
un…cannocchiale.
Capricci.
La critica italiana doveva, in quel tempo, occuparsi di chi, comodamente vicino al
termosifone, descriveva la guerra traverso le ottave dell’Ariosto.
Ma io, quando tornai, grazie al favore del pubblico, potei vivere di letteratura.
Indipendentemente.
E potei anche seguitare a credere come credo tutt’oggi che seicentomila eroi che sono
morti per difendere e per integrare l’Italia non avessero come ideale patrio la razione.
Ma, a casa, trovai chi era in grado di prestare ai morti un pensiero proficuo pei vivi.
Tra questi E. Ianni deputato dei combattenti.
Vennero però le giornate in cui Luigi Alberti mi saliva le scale di Filippo Turati.
E in quelle giornate il cav. Pepino Imbastaro, ancor vivo e sano, allora segretario
particolare del comm. on. E. Ianni, venne da mea dirmi di dargli i miei volumi che li
avrebbe portati all’illustre critico, ecc, ecc.
Io risposi a P. Imbastaro: dì a E. Ianni che non s’occupi di me né in bene né in male
perché la questione politica e letteraria potrebbe facilmente mutarsi in questione
personale.
Pochi giorni dopo capitò da me l’avv. Ostuni a dirmi che il milionario comm. Ugo
Ojetti gli aveva parlato molto bene dell’opera mia. E io risposi all’avv. Ostini – ancor
vivo e sano - : ti prego di dire al milionario Ugo Ojetti che io parlo molto male e di lui e
dell’opera sua: vedrai che muterà sempre.
Questi episodi li riporto soprattutto perché Arnaldo Fraccaroli in una discussione di
due mesi fa – al tempo della… (e qui, dal libro cui copio queste righe manca una
pagina, comincio perciò da dove inizia la pagina seguente).
… Ma il “Corriere” sapeva benissimo che io non ero iscritto al partito comunista e
sapeva anche che io non sono mai stato iscritto a nessun partito, per una ragione molto
semplice: che io sono marianiano.
Il mio socialismo io l’ho ripescato nel V° libro del “De Repubblica” di Platone e
non in “Il Capitale” di Carlo Marx.- Io, d’altra parte, non sono storicista, ma
volontarista e credo ai diritti dell’intelligenza e dell’iniziativa.Penso poi che il divenire sarà frutto della meccanica, della chimica e delle libertà
del costume che modificherà le leggi e i senso morale delle generazioni che ci seguiranno.
Il mio socialismo insomma è marianismo: non è etichetta, non è disciplina, non è
obbedienza ai deliberati di nessun congresso.
Per questo chi mi ha, forse, insultato e avversato di più, in Italia, sono stati i così
detti compagni ai quali io sento di non dover nulla. Ho poi dichiarato le cento volte e le
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cento volte di tenermi molto lontano dalla piccola vicenda e dalla piccola faccenda
della politica cotidiana perché non ho nessuna intenzione di disturbare nelle loro
meschine gare arriviste tutti quei mestieranti della politica che, non sentendosi capaci di
piantar patate, intendono campare alle spalle del prossimo che lavora insegnandogli
la via del dovere o della felicità.
Tutte cose notissime.
Ma il “Corriere”, nel periodo in cui s’adoperava ancora l’olio di ricino e il revolver,
mi indicava a qualche superfascista maniaco quale iscritto al partito comunista:
sapendo di mentire.- E dava l’indirizzo di casa.
Sistema sbrigativo di…polemica letteraria.
E poi siamo arrivati alla campagna…morale.
La moralina, lo ha già osservato Federico Nietzsche, è un siero di schiavitù. Ogni
tirannide inocula la moralina alle folle. Non c’è dunque da meravigliarsi se anche in
questo nostro tempo – che è dopo il tempo dei Borgia, il più immorale che io conosca, si
parla tanto di morale.
Tanto nel costume quanto nelle altre cose credo che il miglior correttivo e il miglior
freno – strane, eh! – sia proprio la libertà.Citerò un passo di Remy de Gourmont, uno scrittore francese, vero critico,
spregiudicato ed eclettico, capace d’intendere ed amare l’anarchismo di Laurent
Tailhade e la teologia di Leon Bloy, la malinconia panteistica di Giulio Laforgue ed il
vizio di Paul Verlaine, il neo-paganesimo di Pierre Louys ed il neo-misticismo di Joris
Karl Huysmann: “C’est peut” e tra la morale sociale qui a crée le crime e la morale
sexuelle qui a crèe le plaisir d’un pacha doit être vertuer au milieu de trois conts
femmes!”
Togliete il peut-être e avrete la mia filosofia. La morale è un fiore che sboccia
soltanto sulla pianta della libertà. Con gli articoli del codice e i pregiudizi di un
costume contro natura voi non fate che acuire, nella costrizione e nell’astinenza, un
desiderio ch’è istintivo e che, per logica reazione, esplode poi in eccessi che si chiamano
vizio e libidine. Se lasciaste invece libero l’amore, gli uomini, sazi di un frutto vario e
saporoso quanto si vuole, ma che si può cogliere dovunque, volgerebbero, appagati
secondo natura e sensi, la mente ad opere più nobili ed alte.
Questo valga di risposta a tutti quei critici i quali vedono di malocchio il
fondamento edonistico di tutta l’opera mia e mi rimproverano di occuparmi troppo e
troppo spesso di morale sessuale e di libertà sessuale. Io sono certamente un edonista,
ma gli edonisti non hanno mai trascurato i problemi dello spirito. Io considero sciocca
l’opinione di Peguy, Maurras e Barres secondo i quali il solo modo di rendere felice il
genere umano è quello di assicurargli una discreta dose di dolore.
Ma, in tutti i casi, penso che l’umanità possa occuparsi seriamente di altri problemi
essenziali della sua conservazione – conservazione individuale e conservazione della
specie.- Non appena un uomo abbia un pezzo di pane e una donna pensa subiti al
bello, al giusto, al buono e magari all’immortalità dell’anima.57
E io sostengo che noi non abbiamo ancora dato a tutti gli uomini un pezzo di pane e
una donna.
Del resto a che pro insistere!...
I miei avversari non han mai voluto polemizzare; sanno benissimo che rimarrebbero
stritolati.
Essi preferiscono indicare la mia vita al revolver dell’ultrafascista e la mia opera
al procuratore del Re.
E, in questo, sono più che canaglie, imbecilli.
Io soppresso, l’opera mia sequestrata, le mie idee si metterebbero subito in rango
nella testa d’un altro. Io sono un umile soldato di una corrente di pensiero che durerà
quanto dura il sole e che non si uccide, né si sequestra.Ma, tanto imbecilli da non essere in malafede è impossibile che lo siano.
E. Ianni, per es., ha una discreta cultura da alunno di liceo. Tutti i miei avversari,
per conservare una completa indipendenza di giudizio di fronte all’opera mia, non la
leggono. E. Ianni non ha letto niente di mio. Io non ho mandato i tre volumi di
prammatica l “Corriere”, io non ho fatto telefonare da Parella, io non ho implorato il
suo autorevole parere, quindi egli deve ignorarmi.
Se avesse letto i miei libri saprebbe che le tanto deplorate “Adolescenti”
rappresentano una canzone di gioventù e d’amore molto meno realistica di “Terra
Vergine” di G. d’Annunzio, di “Il processo di Frine” di E. Scarfoglio, di “Desinenza in
a” di Carlo Dossi, tre capolavori che spero abbia il buon gusto d’ammirare. E saprebbe
anche che, tutto quel disgraziato volumetto che il defunto cardinal Ferrari volle
processato per forza, io non ho mai, in nessun altro libro, fatto decadentismo erotico.
Non è il mio genere.
Tutti i miei libri sono libri di pensiero, di pietà, di dolore, di battaglia, di satira
sociale.
L’amore, se c’entra, c’entra come fenomeno sociale e non come lascivia.
E il comm.on. E. Ianni lo sa benissimo come lo sanno gli altri miei avversari, non
foss’altro per sentito dire, da quelli che mi leggono.
Ma l’onorevole comm. E. Janni con quella sua faccia da lumacone fegatoso
combatte con i metodi della critica italiana che accoglie purtroppo, nelle sue file, troppi
farabutti.
E, per questo, egli, non osando attaccarmi di fronte, invoca la morale e crede di poter
gabellare per pornografici a un pubblico che li legge libri come “Il ritorno di
Machiavelli”, “Povero Cristo”, “La casa dell’uomo”, “Così…per ridere…”, “Le
meditazioni di un pazzo”, ecc., libri che son sforzi di satira sociale dell’unico moralista
della letteratura italiana, o sforzi d’analisi filosofica dell’unico idealista del nostro
tempo nel n. paese.
Victor Hugo e Onorato di Balzac han già osservato che, quando non si sa più cosa
dire contro un autore, lo si taccia d’immoralità, ma a tacciar me d’immoralità ci vuole
veramente la faccia tosta d’E. Janni e dei criticonzoli della sua risma e della sua
scuola. Farabutti come lui.
58
Ciò non ostante io, che non ho niente a che vedere con la letteratura libertina e
lasciva, faccio alla cultura liceale d’Ettore Janni l’onore di ritenerla capace di
riconoscere anche i diritti della letteratura libertina. Se essa non avesse avuto ragione
d’essere e libertà d’esprimersi metà della letteratura del mondo non esisterebbe. Dal
“Convito” di Platone a quello di Senofonte, da “I mimi” di Eronda al “De rerum
naturae di Lucrezio, dalle “satire” di Orazio e di Giovenale al “Satyricon” di Petronio,
dai versi di certi provenzali e provenzaleggianti alle novelle di Giovanni Boccaccio a
quelle di Franco Sacchetti, da quelle di Gentile Sermini a quelle di Matteo Bandello,
dai versi di Francesco Villon all’opera di Francesco Rabelais, dall’ “Heptameron” di
Margherita di Navarra ai “Cantes Drolatiyues” di Onorato di Balzac tutto quello che
c’è di gaio, di allegro, di mordace, di saporoso nella letteratura del mondo dovrebbe
essere bruciato. E invece ha costituito la delizia di generazioni e generazioni – si
ristampavano le opere di Pietro Aretino e del cav. Marino, del Casti e del Batacchi –
col visto delle autorità superiori, nel tempo in cui comandavano i preti.E spero anche di non aver bisogno di insegnare ad E. Janni che i tre quarti della
letteratura contemporanea andrebbero alle fiamme. Non ho bisogno di insegnarlo a lui
che ha lodato, in nome dell’arte, libri ignobilmente osceni – e senza scusa e pieni di
simpatia per l’oscenità – come “Quanto mi pare” e “Oriente Veneziano” di G. Brunati,
a lui che ha avuto caro collega al “Corriere” Guido da Verona che è senza dubbio il più
erotico degli autori contemporanei e che traffica disinvoltamente con l’incesto ed il
lesbismo, a lui ch’era dannunziano nel periodo in cui G. D’Annunzio scriveva “La
Venere d’Acquadolce”, “Il piacere”, “Il trionfo della morte”, “Il fuoco”, a lui che
dovrebbe sapere che i due caratteri precipui dell’arte del D’Annunzio – grandissimo
artista egualmente – sono la libidine e la crudeltà.Né io posso insegnare a E: Janni che la polemica intorno alla morale letteraria à
stata fatta una decina di volte sempre con esito ben sfortunato pei moralisti: al tempo
per esempio di “I fiori del male”, al tempo di “Madame Bovary”, al tempo, in Italia,
di “Postuma” di L. Stecchetti.
Anzi E. Janni ricorderà che quella purissima anima e quel purissimo scrittore che si
chiamava G. Carducci, del quale dovremmo essere un po’ tutti allievi, intervenne in
difesa di L. Stecchetti e ricorderà anche che egli concludeva la sua “Novissima
Polemica” chiedendo ai così detti moralisti se eran imbecilli o se eran birbanti.La risposta è facile: qualche imbecille, ma tutti, imbecilli o no, perfettamente
canaglie.
Ma l’on. comm. E. Janni tre mesi fa subodorò il momento opportuno…..
Perché bisogna sapere che la stampa conservatrice è una vecchia baldracca la quale
invece di avere le perdite moraliste una volta al mese le ha, povera femmina, una volta
ogni tre o quattro anni.Victor Margherite anni or sono pubblicò un romanzo intitolato “Prostitute” che,
come realismo e pornografia, è dieci volte peggio di “Garçonne”. Nessuno ci badò.Per “Garçonne” è nato un putiferio.
59
Ed E. Janni, pronto, ha colto la palla al balzo e ha tentato di levare la castagna
dal fuoco con la zampa del gatto.Il fascismo non s’era ancora seccato della tutela del “Corriere”, il fascismo non
s’era ancora accorto che la tradizione liberale cavouriana che ha fatto creare lo spirito
d’Italianità a G. Mazzini per poi condannarlo due volte a morte, che ha fatto fare
l’Italia a G. Garibaldi per poi fucilarlo ad Aspromonte e relegarlo a Caprera, tentava,
dopo aver fatto fare la reazione a Mussolini, di imbavagliarlo, d’asservirlo, di
renderlo inutile.Ed era il momento in cui il fascismo amoreggiava col Vaticano e col partito
popolare.
Quale occasione!
Ed ecco E. Janni prendere la strada di “Garçonne” per arrivare a due autori italiani
– leggi me e Pitigrilli – e indicarli al gen. De Bono il quale, credo, ha ben altro da fare
che tenersi al corrente delle nostre beghe letterarie e non poteva sapere la
morale…..della favola. Non poteva sapere per es., che io avevo insultato E. Janni ne
l’appendice di “Le sorelline”, né poteva sapere che Pitigrilli, il quale, come me, s’è
sempre strafottuto delle recensioni dell’autorevole critico, aveva giocato al “Corriere” il
tiro di fargli inventare un altro Tutankamen.Ma anche stavolta il “Corriere” e l’on. comm. E. Janni son rimasti delusi.
Il Procuratore del Re non ha sequestrato “Le sorelline”.E. Janni però non si darà pace. Egli, da bravo lumacone fegatoso, continuerà a
lasciarsi dare di farabutto e di vigliacco da me senza rispondere e senza mandarmi i
padrini, ma continuerà anche, zitto nel suo guscio, a perseguire i suoi scopi ed a
aspettare le occasioni propizie.
E lo scopo è quello, per esempio, di lodare tutta la letteratura oscena di coloro che
son ligi alla stampa ben pensante e alla sua autorità di critico e lo scopo è quello di
denigrare, senza pensare che, ricoprendo egli funzioni direttoriali in un’altra casa
editrice che stampa i miei libri e che ha una quasi secolare tradizione d’onestà. E le
occasioni propizie che egli attende sempre son quelle che gli permettono di lanciare
contro me – tira il sasso e nascondi la mano – qualcun altro e molti altri.E questa morale…..della favola, le carogne tipo E. Janni la chiamano la Morale.”.
Copiai queste righe dal volume “La Madonna dei Sette Dolori” di M.M. (Mario
Mariani, n.d.t.), libro pieno di sincerità e preziosissimo sia per lo stile in cui è stato
scritto che per le verità in esso racchiuse. Mente alta e sublime la sua, che purtroppo
come si verifica spesso è stata abbattuta dalla critica che lo vedeva temibile rivale.-
Domenica 20 ottobre 1940 – XVIII°.-
Questo pomeriggio si svolgeva allo stadio di S. Siro la partita tra il Milano e la
Ambrosiano, le due vessillifere del calcio milanese. Tutti i miei compagni sono andati a
vedere questa partita, anch’io dovevo andare con loro, ma come potevo fare se dovevo
andare con Adele? Lasciarla lì, ad attendermi, no, non lo potevo fare, se non mancavo
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di tatto e di gentilezza, ed ecco, sacrificare la partita per passare una domenica in sua
compagnia, ad ascoltare la sua voce, dolce come un canto d’usignuolo, che mi tocca il
cuore, aprendomi nuovi orizzonti, mai intravisti sino allora.- Così, il pomeriggio andai
con lei a girare per Milano, ed, alla fine un po’ stanchi ci fermammo in una panchina
del parco. Qui cominciai a parlargli come al solito di poesia, di musica, gli lessi una
mia novella scritta nella settimana che le piacque tanto, e alla fine gli regalai una mia
poesia che scrissi in una sera di malinconia, poesia melanconica, non adatta per una
giovane come lei, ma che istesso le piacque tanto, e, che, oso dire, imitai dal Leopardi, il
poeta che tanto mi piace e mi soggioga.- Ascoltava essa, le mie parole, ed in un istante
mi prese le mani tra le sue, mi fissò ed in quello sguardo ed in quell’espressione c’era
tutta l’ammirazione e tutto ciò che il suo cuore voleva dire, ma la bocca non sapeva
parlare, invece il suo atteggiamento esprimeva tutto. Mi parve tanto bella in quel
momento e se non fosse stato per la gente, la avrei presa tra le braccia baciandola.
Adele, cara, mi sembrava una mia compagna a cui non sarei capace di fare del male, e,
tale la terrò sempre, perché mi fa apparire il mondo in una luce di gentilezza e di
candore, facendomi così innalzare quando mi trovo al suo fianco, verso un mondo tutto
di sogno, di chimere, di fantasia. Ecco perché la mia parola al suo fianco diviene
fluida, quasi sgorgasse da una sorgente perpetua, incantandola, e, se essa è
innamorata di me non s’è innamorata certamente del mio grugno, ma dal mio parlare,
che come io stesso lo sento, in sua presenza diviene forbito.- La sera andammo al cine
“Roma” a vedere il film “Cuore in tempesta” con Paola Barbara. Un film magnifico
svolgentesi sulle alpi dolomitiche. Le magnifiche cime cadorine si svolgevano dinanzi ai
nostri occhi, e, Adele godeva, appoggiandosi al mio braccio. Finito il film
l’accompagnai a casa e con un sol bacio ci separammo da veri amici.-
Lunedì 21 ottobre 1940 – XVIII°.-
Giornata grigia e piovosa. Posta niente, il pomeriggio, invece, prima di fare il capo
posto, ecco una lettera di Adele, la quale con belle parole mi dice: “Addio”,
ringraziandomi delle magnifiche giornate che gli feci passare. Ecco, ciò che si è ottenuto,
dopo aver per tanto tempo adorato ed amato una creatura per la quale si era cercato di
dare tutto. Io ho cercato di non credere a quella lettera e gli risposi facendole vedere
tutto quello che essa era per me. Ed ora, non mi resta che attendere la sua risposta e se
anch’essa sarà negativa, non mi resterà che vivere nel suo ricordo. La sera alle 17 sono
andato a fare il Capo Posto e per tutta la notte non ho dormito per un solo secondo.Martedì 22 ottobre 1940 – XVIII°.Oggi, finalmente ho ricevuto una cartolina da casa. La notte non potendo dormire,
ho scritto un po’, così il tempo mi è passato alquanto presto.La sera dopo il Capo Posto, il Maresciallo voleva che io facessi il servizio fino alle
ore 23, gli feci edotte le cause per cui non potevo rimanere di servizio in Ufficio, poiché
dopo un servizio armato di 24 ore, si ha bisogno di ben 48 ore di permesso; ma siccome
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io gli sono una spina nell’occhio, mi ha messo egualmente di servizio, così stanco, a
mala pena sono arrivato al Presidio. Però lui non sa con chi ha da fare, ed ecco che
domani, marcherò visita, rimanendo così per qualche giorno a riposo e lontano
d’ufficio, con sua immensa rabbia.-
Mercoledì 23 ottobre 1940 – XVIII°.-
Questa mattina come detto, marcai visita, e perciò, quando il Caporale di Giornata
venne a far la “Sveglia” io potei dormire fino all’ora della visita che fa per le 11 di
mattina. Mi dette due giorni di riposo. Tutto il giorno lo passai in branda tra il
mangiare e la lettura dei “Saggi critici” di G: Carducci, così mi sono anche affinato un
po’ lo spirito con la lettura di queste belle pagine che ci fanno conoscere di più la nostra
patria e i loro artisti. La sera me ne scappai fuori presidio, perché se mi avessero preso,
di certo qualche giorno di riga lo prendevo. Invece, tutto finì bene.-
Giovedì 24 ottobre 1940 – XVIII°.-
Come al solito, anche quest’oggi piove, ma io sono ben riparato e per di più in
branda a riposare. La sera invece, faccio una scappatine alla Zona. Prendo il violino e
si va con certo Casula a suonare in una famiglia. Qui, come il mio solito suono il mio
pezzo preferito: “lo Cardai” e, quando ho finito, vedo con mia grande sorpresa che una
signorina (più tardi seppi che si trattava di una signora sposata, a cui era morta una
bambina) piange. Gli chiedo perché ha pianto, ed, allora, mi dice che è molto romantica
e che tutte le cose belle la commuovono sino alle lagrime. Io, allora chiedo scusa se l’ho
fatta piangere ed essa, per tutta risposta mi dice di suonare ancora. Così l’accontentai,
ma questa volta suonando canzoni allegre, e, alla fine, quando finii, mi invitarono per
un’altra sera. Felice di aver passata una serata così, me ne tornai al presidio tra il buio
dell’oscuramento.-
L’autocalunnia.Dice San Grisostomo: niuno può essere offeso se non da se medesimo.E giuro che le offese dei miei avversari non mi arrivano nemmeno al tallone. Io
reagisco a freddo, per divertirmi. Sono talmente lontano dalla gazzarra degli arrivismi
e degli arrivisti che quando polemizzo lo faccio soltanto per studiare obiettivamente un
ambiente.Un finissimo monsignore del Rinascimento dotto d’Aristotele e della tomistica, mi
avrebbe compreso. Giovanni Della Casa infatti scopre, con felice intuito, il più satanico
orgoglio là dove sembra mostrarsi l’assenza di ogni orgoglio: “lo sprezzare la gloria e
l’onore che cotanto dagli altri è stimato è un gloriarsi ed onorarsi sopra tutti gli altri.”Io ho questa specie di….modestia. E ho poi, infinite cose, molto serie, da fare.-
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Sto cercando di creare una nuova filosofia della storia; l’antifilosofia della storia.
Uno scherzo di cui riparleremo fra due o tre anni.
Sto cercando di definire sempre più chiaramente le leggi e gli esempi del romanzo di
pensiero a fattura politica.Sto scrivendo un dizionario.
Studio pittura.
Nei ritagli di tempo faccio all’amore.
E nessuno riesce a disturbarmi la digestione.
Da due anni ingrasso. Portavo colletti numero trentasei, li porto numero
quarantuno.
Io ho saputo essere sempre maggiore d’ogni sventura poi che mi compiaccio
soprattutto del lavoro e della solitudine; né chieggo la lode dei contemporanei perché
voglio quella dei posteri.Stendhal dava appuntamento ai suoi ammiratori per il 1880; io do appuntamento
ai miei per il 1980. Io converso volentieri soltanto coi morti; con quegli spiriti sdegnosi
che m’hanno assomigliato e dai quali soltanto posso trarre vital nutrimento e fortezza
d’animo bastante a ben vivere e ben morire.
E m’è gioia persino la dura disciplina del dolore, amando io di poter dare a me
stesso, non agli altri che non curo, esempio certo di decoro e di dignità pur nella sorte
avversa. Ir(r)iso, sprezzato, calunniato so appagarmi non dell’altrui giudizio, parto
quasi sempre d’invidia o d’ignoranza, ma del mio ch’è severo come quel di nessuno
sapendo io sempre essere con me stesso più aspro di qualsiasi aspro censore; ciò per
mettere il mio ingegno sempre davanti a più perigliosi impedimenti.Questo scherzo di criticare la critica, dunque, io lo faccio non per risentimento, ma
per gioco: per dimostrare ai miei lettori che i così detti intellettuali del mio tempo valgon
molto meno delle prostitute e dei tagliaborse.E, dal momento che ho cominciato a giocare, seguito la partita con un altro. Bisogna
però scendere fra il rusco.Si tratta di Marco Ramperti. Chi non conosce Ramperti? E’ una specie di
scarafaggio del giornalismo che, come E. Janni, ha cominciato la carriera da
rivoluzionario e la finirà da cavaliere. Un essere maligno come tutti gli aborti di
natura, che non ha mai fatto niente ed ha sempre perso il tempo a sputar fiele contro
chi lavora o a darsi l’aria di uomo arrivato che può proteggere chi a lui si
raccomanda.Cinque anni fa, quando tornai dalla guerra e mi fu presentato, a una tavola di
trattoria, egli passava per il “letterato” dell’ “Avanti!” Tutte le sere che sedeva a
tavola questo signore sentiva il bisogno di raccontarci che un suo articolo era stato
commentato favorevolmente dal conte di Torino, che un altro era stato letto a Corte e
così via e così via. Per un socialista però, queste compiacenze dinastiche eran
sintomatiche, ma io, dopo aver letto qualche articolo suo ed essermi accertato che non
potevo andar d’accordo con il Conte di Torino, con quella franchezza che mi distingue,
una sera gli dissi che proprio con me a darsi l’aria di Padre Eterno perdeva il tempo,
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che io consideravo il giornalismo come una specie di scala di servizio del palazzo della
letteratura e che egli poi, - secondo il mio giudizio – giudizio cioè di un uomo che aveva
quindici anni di giornalismo sulle spalle, era fra le altre cose, era anche un giornalista
di quinto ordine.
In un paese infatti che conta ancora fra i suoi giornalisti Bergeret e Borghese,
Borsa e Coppa, Ambrosiani e Tilgher, i tre Alberini, i tre Scarfoglio, Simoni e
Missiroli, Treves e Mussolini, Schinetti e Janni e Ojetti – ottimi giornalisti anche questi
due, sebbene non siano punto scrittori ed io li detesti, per molte ragioni, cordialmente –
in un paese che fra i nati ieri alla popolarità conta, per es. Godetti, Ansaldo e Vincenzo
Cento, in un paese come questo nostro, un giornalista della levatura di M. Ramperti
potrebbe tutt’al più redigere il “Cestino da viaggio”.
Questo mio giudizio naturalmente fece di Rampertino un mio acerrimo nemico. Cosa
che mi onorò straordinariamente perché io ho sempre pensato che la lode migliore per
me sia l’inimicizia degli ignoranti.
Poi io ho scritto già moltissimi anni fa che per salire veramente bisogna
guadagnarsi almeno un nemico al giorno.E faccio del mio meglio per riuscirci.L’inimicizia di Ramperti si sfogò in frecciate al mio indirizzo sull’ “Avanti!” Poi,
un bel giorno, avendo il partito, che indubbiamente lo riteneva meno grand’uomo di quel
che ch’egli non si ritenesse, trascurato d’includerlo nelle liste elettorali, si stancò di fare
il socialista e passò al “Secolo” anche perché, per il partito, s’avvicinava l’ora del
“redde rationem”: o fare la rivoluzione o subire una reazione non molto delicata nelle
forme.Due cose abbastanza scomode per Rampertino che è un uomo pacifico.Al “Secolo” durante un mutamento di direzione, egli passò il rischio d’esser
licenziato. Dal licenziamento lo salvò Francesco Perotti allora redattore-capo del
giornale, uccisosi due mesi dopo. Di questo fatto io ero stato testimone perché Perotti mi
aveva incaricato, nel periodo in cui s’adoperava per lui, di dare a Ramperti
suggerimenti, consigli, notizie. In quei giorni Ramperti viveva sperduto nel buio; come
un topo di chiavica: E io dovevo andarlo a cercare per fargli coraggio.Ma, scongiurato il pericolo, ricomparve. Era stato nominato critico teatrale. Con una
scrollatine aveva scosso le gocce dell’acquata ed era di nuovo arzillo e borioso. Lasciò
intendere vagamente che tutti i così detti amici, avevan tramato contro di lui per
impedirgli d’occupare il meschinissimo ufficio di critico teatrale di “Il Secolo”, piccol
premio per le infinite sue benemerenze giornalistiche e letterarie e troppo angusto agone
per il suo genio.Non accennò neppur di passata che il posto, prima di cascar quasi per forza sotto
la sua penna, era stato offerto a Praga, a Lopez ed a Adriano Tilgher che l’avevano,
per svariate e diverse ragioni, rifiutato; non accennò nemmeno vagamente all’intervento
di Perotti, ma lasciò intendere d’aver mosso altissime leve, d’aver fatto agire influenze
misteriose… I fessi ebbero, insomma, l’impressione che la sua nomina fosse stata
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oggetto di laboriose trattative fra i gabinetti di Washington e di Parigi, che fosse stata
imposta dalla massoneria tedesca e caldamente appoggiata dal Mikado.Ma il bello vien dopo.Perotti, credo fosse costretto un giorno, per ragioni di spazio, a tagliare tre righe
d’un articolo (capolavoro, signori miei, capolavoro!) di Rampertino.Ed ecco Rampertino, dimentico di ogni dovere di gratitudine, si trasforma in nemico
acerrimo di F. Perotti e quando questi s’uccide interviene al funerale solo per sparlare
d’un morto seguendone il feretro.Voi non lo crederete, ma se egli, per tardiva resipiscenza, intendesse ora negare, io
potrei addurre parecchie testimonianze.Seguiva il corteo saltellando e, accostandosi ora all’uno ora all’altro degli amici del
morto, sussurrava con l’aria untuosa d’un sagrestano: Doveva finire così… non poteva
finire che così… S’è punito della sua cattiveria…Parola d’onore!
E, la sera, venne anche a voltar lo stomaco a me. Si sedette, nella solita trattoria,
alla mia tavola e tentò proprio con me che sapevo quel che sapevo e che avevo una
specie di venerazione per Perotti – ormai solo per la sua memoria – la stessa
campagna di diffamazione.
Scattai. Lo coprii d’ingiurie. Credo che chiunque al mio posto avrebbe fatto
altrettanto.
Andò a sedersi ad un’altra tavola. Ma l’odio crebbe. Non ci salutammo più per
mesi.Poi, un giorno, capitai assieme in un gruppo di comuni amici, ci ristringemmo la
mano. Senza convinzione.
Leonida Repaci ha dato in questi giorni alle stampe un romanzo “L’ultimo Cireneo”
che è molto più d’una promessa. Preoccupato di sottrarsi alla mia influenza, egli ha
scritto un romanzo di vecchia maniera che però ridonda di pregi. Le linee architettoniche
sono sobrie, i caratteri ben disegnati: c’è pensiero, c’è passione, c’è colore. Si tratta
insomma d’un bel libro anche dal punto di vista della lingua che è ricca e fluente se
pure non sempre forbita.
Ma per non scrivere il romanzo d’idee, il romanzo a tesi, il romanzo mariniano
insomma, egli che, per la coltura politica che possiede, sarebbe uno che potrebbe
trovarcisi, ha finito, forzato l’obiettivismo, a scrivere, sebbene socialista, un romanzo
che, a parer mio, appare antisocialista.Ciò non toglie che chi ha scritto “L’ultimo Cireneo” non abbia nessun bisogno di
andare a domandare a Rampertino che cosa ne pensa.E Repaci, che aveva avuto il buon senso di dar di cretino e d’ignorante parecchie
volte a Marco Ramperti, ha avuto il cattivo gusto d’andare a domandargli un
giudizio.E avendolo io rimproverato di questo, egli mi ha riferito di credere che Ramperti
possieda delle belle qualità di giornalista.65
Dunque bisogna che io provi anche al mio amico Repaci che razza di giornalista è
M. Ramperti.Prendo uno dei suoi ultimi articoli e precisamente uno di quelli che egli deve essersi
sforzato di scriver bene perché commentava “l’avvenimento del giorno”, un fatto che
teneva sospesa l’anima di tutti gli italiani: il match Spalla-Van der Veer.Comincia: “Ripenso, guatando l’onda crescente, ribollente, degli intervenuti
all’Arena…” – Guatando? Perché? Guatare per guardare oggi è del linguaggio dei
burattini.
E parla della folla: “Guarda essa ai gladiatori sanguinanti con occhi accesi, con
pulsante cuore, e l’alalà accogliente gli inni prediletti à l’altezza solenne e belluina di
un evoè”.
Ah canaglietta! Voi non sapete che cosa significhi questo perioduccio? Ve lo spiego.Significa: Il signor Gabriele d’Annunzio che possiede una culturetta d’imparaticci, tre
anni fa, volle regalare ai legionari fiumani e alla nuova Italia un grido di guerra e
andò a ripescare fuori, chi sa dove, l’alalà che è, in fondo, un piccolo inutile strillo, ma
io, M. Ramperti che ho succhiato su il greco dalle mammelle della mia nutrice
novarese, io che possiedo una strabiliante cultura classica, io adesso faccio vedere ai
lettori del “Secolo” che so raddrizzare le gambe anche al signor d’Annunzio, contro il
quale del resto ho già scritto il più ignobile articolo che sia mai stato scritto da penna
d’italiano, e rivelo agli ignoranti che il vero grido, il grido per eccellenza, quello che ha
l’altezza solenne e belluina richiesta, quello, insomma, che rispondeva allo scopo e che
si sarebbe dovuto scegliere è l’Evoè. E – nemmeno a farlo apposta – anche stavolta
l’ignorante, il solo ignorante di tutta la faccenda, è proprio il signor M. Ramperti.
So che molti – anche fra i legionari ed i fascisti – si grattano ancora il capo per
scoprire l’origine ed il significato dell’Eja e dell’Alalà. Eppure non si tratta di un
mistero eleusino. Se si dessero la briga di consultare un qualsiasi dizionario grecoitaliano la loro curiosità sarebbe subito soddisfatta.Eỹa significa: Eh! Eỹa δη significa: orsù. Аλαλά e anche Аλαλάλά è un grido di
guerra del quale parlan Plutarco e Senofonte, Sofocle ed Euripide.
Questo grido di guerra trisillabo o quadrisillabo sembra risalga alle remote origini
dei Pelasgi, ma è certo che era meravigliosamente belluino e che acquistò una
insuperabile solennità pel fatto che fu il grido di guerra che lanciarono i diecimila
prima di gettarsi alla pugna, che eccheggiò a Mantinea, a Maratona e a Salamina, che
fu il grido che i militi di Alessandro fecero risonare in Asia e in Africa e che non si
spense fin quando la astata falange macedone non cesse alla più massiccia forza
della legione romana.L’Evoè invece è un grido bacchico. Quando il mito ed il rito di Dioniso passò dalle
coste dell’Asia Minore in Grecia sembra che incontrasse opposizioni. E i primi tiasi –
danze bacchiche orgiastiche – furono anche belluini perchè le baccanti sembra si
lanciassero sui nemici di Dioniso con furore micidiale. Ma poi il furore si spense. A
ogni modo sembra accertato che le baccanti gridavan l’Evoè come invocazione a Bacco e
l’Alalà come grido di guerra.66
Il rito di Bacco fu accettato e poi il tiaso si trasformò in baccanale. E poi venne il
Rinascimento e Lorenzo de’ Medici, il Poliziano e il Redi accentuarono vieppiù il
carattere bacchico dell’Evoè che rimase un grido da ubriachi. L’Alalà invece era rimasto
il grido di guerra della civiltà ellenica balzante armata contro la barbarie orientale e
che fu soffocata soltanto dalla straripante aurora della forza e del diritto romano.Dopo lo sfarfallone dell’evoè, la cultura classica del nostro Ramperti, tratta da
una affrettata lettura del “Quo Vadis” di E. Scenckiewicz, continua a esibirsi in un
periodo molto più pesante del pugno di Spalla. Eccolo:
“non è qui alcun poeta sportman e fascista a celebrare il laudo nei modi dei cantori
antichi (Guido da Verona è a San Siro o corre in biga da sessanta cavalli…) ma il
popolo mareggiante e turbinante dietro i segni littori ma i campioni volti ai giudici
prima della tenzone col fiero omaggio della mano alzata; ma tutto che si dice, si grida,
si canta e l’aspro furore dei commenti, e il rombo delle acclamazioni – di rabbia
parebbe, più che di gioia – ai bei colpi vittoriosi, e quegli scoppi di sorpresa infantile,
d’improvvisa affettuosa ilarità che non mancavano neppure, se dobbiamo credere agli
storici, nelle antiche arene, anche nei momenti più selvaggio ardore, e in cui è tutta la
incongruenza, beata o nefasta, della nostra razza incorreggibile, danno al Circo
meneghino malgrado i calzoni rimboccati dei “cives” e i cappellini futuristi delle
matrone una vaga apparenza di Colosseo.”. –
Non siete morti? No. E allora state un po’ attenti. Anche in questo periodo c’è un
“ma” che, pur rifiutando rampertianamente di farsi precedere dalla virgola
indispensabile, divide il periodo in due parti. E voi v’accorgete subito che tutti gli
ammennicoli della seconda parte son necessari soprattutto, per la forza del ma, a
compensare la mancanza del poeta sportman che pare esser stato, a Roma, quasi il
“numero principale” del programma, nei giochi del circo.
Invece, nemmeno a farlo apposta, i romani ch’erano molto meno lirici dei greci, del
poeta ne facevano volentieri a meno. Pindaro è greco e, quando cominciano i ludi del
Colosseo, l’epinicio è morto da un pezzo.
Proseguiamo. Cito sempre testualmente.
“Ma più commosso è Van der Veer. L’olandese è terreo, e stringe per dominarsi, i
segmenti paralleli delle labbra, con uno sforzo che gli contrae tutta la mole del corpo.”.
I vezzosissimi “segmenti paralleli” delle labbra si stringono con il costrittore
orbicolare delle labbra. Ai movimenti delle labbra concorrono altri muscoli facciali, ma
nessun muscolo del tronco o delle arti. Qualunque movimento faccian le labbra e
comunque disperato, il corpo - che con le labbra non ha nessun rapporto – può restare
tranquillamente sdraiato in una poltrona. Ma il signor Ramperti fa concorrere tutta la
mole del corpo, in uno “sforzo che la contrae” a stringere quei benedetti segmenti
paralleli che non voglion di nulla.E andiamo avanti.
“Piet gonfia le mandibole come certi insetti guerrieri, ecc.”. Ahi!
La mandibola – lat. Mandibola – è il termine scientifico del volgare: mascella. Ma
la mandibola superiore e l’inferiore restan scientificamente e volgarmente ossa. Il
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mascellare superiore è costituito di due ossa le quali alla lor volta son costituite
ciascuna da un corpo piramidale a base triangolare formante la fossa canina, l’arcata
zigomatica e la prominenza dei zigomi e da quattro prolungamenti detti: apofisi
zigomatica, bordo alveolare, apofisi palatina. Il mascellare superiore sebbene serbi,
nel punto medio, una traccia di sutura detta sinfisi del mento è considerato come un
osso unico, termina ai due lati in due tranche che si articolano col mascellare superiore.
Il mascellare inferiore può compiere diversi movimenti: di lateralità, di elevazione,
di abbassamento, dall’indietro all’avanti, dall’avanti all’indietro. Nessuno di questi
movimenti però modifica la forma dell’osso. Cioè le ossa non si rigonfiano, né si
sgonfiano perché non diventano mai pneumatiche, nemmeno per far piacere agli
articolisti sportivi. Le ossa si gonfiano o si assottigliano soltanto per cause patologiche:
artrite, sarcoma, tubercolosi ossea, ecc. o Per cause esterne: un proiettile, un pugno di E.
Spalla, ecc. Ma il funzionamento meccanico normale del corpo e le emozioni non hanno
mai modificato la forma di nessuna delle duecentotre ossa che compongono lo scheletro
umano.
E appunto per questo tutti quelli che scrivono in lingua italiana, da quanto la
lingua italiana esiste, per significare quel che il signor Marco Ramperti voleva
significare, han detto e scritto gonfiar le guance e gonfiar le gote.Rigonfiamenti questi che avvengono per virtù del massetere, del buccinatore e d’altri
muscoli.E seguitiamo:
“Quando l’olandese che s’avventa uno strano “rictus” gli si disegna tra le nari
ottuse e le labbra sottili.”“Rictus” significa orlo delle labbra e, per estensione, bocca. “Rictus diducere”
(Giov.), “Risu diducere rictus auditoris” (Oraz.), “Rictus ad aures dehiscens” (Plin.)
“Rictus” – bocca spalancata – (Petrocchi).Nari ottuse. L’aggettivo è incerto. Ottuso significa aperto in geometria poiché
l’angolo ottuso è maggior di novanta gradi. Per una delle solite incongruenze della
lingua però l’aggettivo ottuso può significare anche: stretto, chiuso. L’intelligenza di
Ramperti, p.es., è ottusa.E, date queste due spiegazioni, la proposizione su citata va interpretata così:
Quando è l’olandese che s’avventa una strana bocca gli si disegna tra le nari aperte (o
strette) e le labbra sottili.Voi capite? – Sì – Beati voi, io no. Seguitiamo.
Il signor Ramperti s’ostina a scovare altri aggettivi strambi per le narici del buon
Piet. E scrive: “Il nostro batte il tempo, nervoso. L’altro dalle narici camuse, soffia
come un gatto.”.
Lasciam stare che il soffio di rabbia il gatto lo emette con la bocca e non con le
narici, soffermiamoci invece un po’ a considerare l’aggettivo camuso come qualificativo
di narice.
Camuso indica una ben determinata forma di naso, le narici son due forellini che
trovansi in qualunque naso. Sui banchi di scuola il signor Ramperti – studiando
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retorica – avrà imparato che si può scambiare la parte per il tutto e viceversa. E sta
bene. Ma sembra si sian dimenticati di insegnargli che non sempre l’aggettivo che si
addice al tutto si attaglia anche alla parte. Io posso dire che una ragazza ha il volto
bianco e che un beone ha la faccia paonazza, ma se poi aggiungo che la ragazza ha le
labbra bianche e il beone ha gli occhi paonazzi faccio ridere.
Ora volete sapere che cosa significano in povera, ma sana lingua nostrana le narici
camuse? Significano che il naso di Van der Veer figlia, fa i nasini. Sicuro! Siccome,
ripeto, “camuso” è un aggettivo che s’attaglia proprio soltanto, proprio esclusivamente
a una specie di naso, il dire che la narice è camusa vuol dire assicurare al lettore che
Van der Veer al posto dei due forellini delle narici ha invece due piccoli nasini di forma
camusa.
Adesso tiriamo un po’ le somme.
Secondo il signor M. Ramperti dunque il pugilista Van der Veer è un uomo che
stringe la bocca con uno sforzo contrattile di tutto il corpo, che un’altra bocca tra la
bocca ed il naso, che gonfia a piacere le ossa, che possiede un naso il quale fa i nasini;
un mostro insomma, un fenomeno addirittura.Io, se credessi alle sciocchezze che racconta il signor Marco Ramperti, correrei
immediatamente ad Amsterdam per osservare Van der Veer da vicino, io, se fossi
direttore d’una accademia scientifica, comprerei per milioni il corpo del pugilista
olandese onde conservarlo tutto intero – sotto spirito – allo studio e all’ammirazione dei
posteri.Ma, voi direte, il signor Ramperti è forse soltanto un po’ deboluccio in anatomia.
Lasciamo da parte l’anatomia.
Seguito a citare letteralmente: “C’è, adesso, una catena medianica di vibrazioni, dal
“ring” sino agli spalti più lontani…”
La catena medianica è un circolo chiuso, o spezzato, ottenuto con il contatto delle
mani di più soggetti, il “ring” è nel centro dell’arena che è un elisse; le vibrazioni che
partono dal centro dell’elisse e son dirette agli spalti più lontani – o viceversa – non
possono essere che rette – in geometria le corde dell’elisse.
Il periodo su riferito continua:…”sino agli alberi e ai tetti su cui la folla s’è
arrampicata, e il cui urlo arriva più fioco ma più rabbioso, come se la passione si
accresca del timore di non farsi sentire, o pulsi più forte, come l’onda al limite della
marea.”Chi capisce soltanto il nero delle righe, o leggendo a voce alta, il rumore delle
parole, può anche credere d’aver capito. Invece non si capisce niente. Qual è il soggetto
principale del periodo? Chi urla? La catena medianica? Gli alberi? La folla? I tetti?
Perché il “ma” non è preceduto da una virgola se l’esige sempre in lingua italiana?
Come può un urlo arrivare più fioco, ma più rabbioso? Ci si arrampica sui tetti o ci si
sale? E’ molto elegante il presente col congiuntivo retto dal come se? Ma queste son
bazzecole… Fermiamoci alla sostanza finale: “o pulsi più forte, come l’onda al limite
della marea.”Che cosa intenderà il signor M. Ramperti per “limite della marea”?
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Domando perdono ai lettori se son costretto a diventare asfissiante come la lesvisite
(?), ma, quando qualcuno mi rompe troppo le scatole, debbo difendermi. La colpa è
tutta del buon Marcuccio.
La marea è quel fenomeno che tutti conoscono – tranne, s’intende, Rampertino – e
che è dovuta all’attrazione della luna sulla “massa” delle acque. La marea ha – nelle
ventiquattro ore – due flussi e due riflussi. Nei mari italiani il dislivello segnato da
una marea in sei ore- è in media – secondo l’Ufficio idrometrico di Civitavecchia – di
circa m. 0,38.Eccezionalmente, a Venezia, il dislivello ha raggiunto talvolta tre metri.
Ammesso che il signor Ramperti intenda per “limite della marea”, la spiaggia, è
chiaro che il crescere e il calare dell’acqua sulla spiaggia si osserverebbe con la stessa
comodità con la quale si osserva il cammino della sfera d’un orologio. Se il Sig.
Ramperti, invece, intende per “limite della marea” quel punto dei mari o degli oceani
dove, a un dato momento, cessa un riflusso per cominciare un flusso o viceversa, allora
bisogna insegnarli che l’onda non po’ pulsare più forte perché ivi non c’è onda visibile.
Al largo, il fenomeno della marea accade senza che l’occhio del navigante possa, alla
superficie, scoprire mutamento alcuno. Per questo ho avvertito che l’attrazione della
luna si esercita sulla “massa” delle acque, e, aggiungo adesso, non a fior d’acqua. –
La marea ha una velocità di duemila chilometri l’ora. Se avesse tale velocità alla
superficie la navigazione contro marea sarebbe impossibile, ma con marea a favore si
abolirebbe vele e caldaie e un bastimento potrebbe farsi scaraventare in tre ore e mezzo
da Nuova-York a Lisbona. Che comodità!
Dunque l’onda che pulsa più forte al limite della marea resta un punto
interrogativo. Forse il signor Ramperti aveva intenzione di dire una baggianata, ma non
s’è spiegato.
Quando poi il signor Ramperti si lancia nei campi della psicologia ci regala una
immagine come questa: “la boxe è come l’amore: fa paura solo quando la si aspetta.”Mah? Sanno anche le scimmie che l’amore fa paura solo quando lo si perde.
Qualcuno potrebbe osservare: con un tale sistema d’analisi spietata il novanta per
cento degli scrittori vanno a gambe levate.Rispondo: Può anche darsi, ma non sarebbe poi gran danno. So che infiniti
giornalisti da una triturazione di questo genere si salvano. So che un articolo di Renato
Simoni o di E. Janni, di Olindo Malagodi o di Mario Missiroli, di Antonio, Carlo e
Paolo Scarfoglio, di Bergeret o Rastignac, di Pio Schietti o Mario Borsa, d’Innocenzo
Cappa o Ferdinando Paolieri, di Luigi Ambrosiani o di Mario Ferrigni, dei tre Alberini
o di Massimo Fowel, di Guglielmo Ferrero o di Luigi Bazzini, di Mario Sombrero o
Adriano Tilgher e di tanti e tanti altri il cui nome non mi balza sul momento dalla testa
alla penna si potrà forse discutere e stroncare, ma per stroncarlo ci vogliono altre
tenaglie; quelle del senso comune e della cultura elementare non servono.
E so che a scrivere come scrive il signor Ramperti si commette una disonestà: Per me
si tratta di vendita di fumo, di truffa. Un lettore del “Secolo” dopo la lettura
dell’articolo su riferito potrebbe, secondo me, querelarsi contro la direzione del giornale.
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E basterebbe che dinnanzi al giudice sostenesse le sue ragioni così: “Io sono un buon
commerciante e non ho ormai più tempo di istruirmi. Pago il giornale quattro soldi e
non pretendo che per quattro soldi mi si dia “La Divina Commedia”. Ma pretendo che
non mi si insegnino castronerie e non mi si induca in errore, pretendo che non mi si
assicuri che i tram elettrici sono ottimi arrostiti con contorno di patatine e che la guglia
del Duomo è squisita in salmì. Ho due figli e una figlia. Appena letto l’articolo del
Sig. Ramperti ho pregato Gigino di non gonfiare le mandibole ed egli, dopo una
clamorosa risata, mi ha detto: - Tò!... le ossa me le hai fatte tu e adesso credi di averle
comprate da Pirelli.Ho poi spiegato a Tonino, che è di liceo e che è anche, naturalmente, fascista, che
l’Evoè forse sarebbe più solenne dell’Alalà e Tonino mi ha risposto seccamente: “Io
sono fascista, ma non mi ubriaco mai.”Ho detto a Edmea che frequenta le normali: Tu, figliola, aspetti l’amore e quindi
hai paura dell’amore….E fai bene: guardatene… Edmea mi ha interrotto e con un
sorriso furbesco: - Paura? Perché?... Dì… Papaà…..Incretinisci?Seguitiamo.
Cioè…no…
Adesso basta.
Io mi stanco alla svelta di fare il professore di ginnasio. E ripetizioni gratuite ne do
soltanto alle signorine di buona famiglia.
Tutto l’articolo è una sbobba di strafalcioni simili; da cogliersi con le molle,
grossolani, marchiani, colossali.
Non un solo aggettivo è a posto. La grammatica è novarese, ostrogota. Non c’è
nessuno sprazzo di genialità, nessuna novità di forma, di vocaboli. Manca
l’architettura dell’articolo che è un genere di componimento speciale, che deve obbedire a
regole speciali. E’ una stupida filastrocca di stupide impressioni slegate e sconcordanti.
E l’uomo che ponza intrugli da truogolo di questo genere osava scrivere giorni fa che in
una sua critica, cacciandomici dentro per forza, per il puro gusto di scrivere una
malignità cretina: “queste son forme di arte superate persino da M.M.”
Vediamo. Prima di tutto nessuna forma d’arte può dirsi definitivamente superata;
può sempre comparire un uomo d’ingegno che la riprenda e la rinnovi con buon
successo.
Il preraffaellismo inglese serva d’esempio e parnassiani francesi che han ripreso e
con buona fortuna se si pensi anche soltanto a Stefano Mallarmée, i modi e le forme
della Pleiade che s’aggrappava attorno a Ronsard.
Fra gli scrittori francesi modernissimi Laurent Tailhade . Aristofanesche – fa
pensare a Villon e a Rabelais, fra gli italiani viventi Francesco Pastonchi va
considerato come un petrarchista.
Se non la parola l’idea di superamento divien familiare a tutti soprattutto nei
periodi di decadenza, in quei periodi cioè, ne’ quali non si supera nulla. Bisognerebbe
che noi avessimo la modestia e il buon senso di capire che in arte, in politica, in
letteratura, in filosofia l’umanità da tremila anni cammina come i gamberi ed anziché
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superare rotola in giù. L’Apollo del Belvedere val più del Mosè, il Mosè val più del
Pensatore. Prassitele, Michelangelo, Rodin costituiscono una scala di valori
discendenti. Sofocle, Shakespeare, Ibsen: stesso ordine. Gothamo Buddo, Platone,
Cristo: stesso ordine. Omero, Virgilio, Dante: stesso ordine. Oligarchia di tipo ellenico,
repubblica romana, comune libero, tirannie cinquecentesche, tirannie straniere, caos di
politica futuristica degli incompetenti, rigurgito di scomposti arrivismi, morte di ogni
ideale: stesso ordine.
E poi c’è chi blatera di progresso!
Il progresso esiste soltanto in meccanica e in chimica e saran la meccanica e la
chimica che salveranno forse l’umanità dalla fame e dallo scatenarsi delle più torbide
passioni.
Non insisto su questo concetto e per la sua evidenza e perché l’ho sviluppato e
dimostrato in maniera inconfutabile in “Le meditazioni di un pazzo”.
Ma per avere idee chiare intorno a faccenduole di questo genere non bisogna
studiare nei testi che hanno fornito una cultura a Marco Ramperti.
Chiudiamo la parentesi e torniamo alla letteratura.
Dopo i “Promessi Sposi” la letteratura italiana non ha più avuto – all’infuori dell’
“Innocente” di d’Annunzio – un solo libro che si possa decentemente chiamare un bel
romanzo.
Ciò non ostante tutti i cretinelli d’Italia parlano, ogni nuova primavera, di forme
d’arte superate come se l’arte e la letteratura obbedissero a leggi di moda annuale o di
stagione.Ed è per questo che… così… en passant… con la nonchalanche… dell’uomo
superiore, il buon Rampertino parla di “forme d’arte sorpassate persino da M.M. Il
“persino” vorrebbe essere insultante, ma invece è soltanto bestiale.
Rammentiamo al signor M. Ramperti quanto Giosuè Carducci, intrattenendosi dei
doveri del critico, scriveva a Giuseppe Guerzoni: - Un critico deve anzitutto conoscere
perfettamente la lingua, la letteratura, la storia del suo paese, da quanto uno che
abbia il dovere d’insegnarla. Ciò pare semplicemente naturale, non è vero?, se bene non
sia comune: voi signore, per esempio, non sapete la grammatica.Ma non basta. Come, volere o non volere, i modi e le forme del concetto e del lavoro
artistico a noi, per le tradizioni e per la educazione nostra, procedono in gran parte
dagli studi classici, così il critico per me deve avere più che sufficiente cognizione d’una
almeno delle lingue classiche e conoscenza ampissima poi della storia e dei modelli
d’ambedue le classiche letterature. E non basta. Noi siamo e vogliamo essere moderni:
ora la letteratura che da due secoli ha dato e dà le forme più logiche, più spigliate, più
facili al pensiero moderno è senza dubbio la francese, e per la letteratura di Francia,
son passate e sonosi mescolate le diverse correnti del genio moderno: per ciò il critico
deve conoscere di quella letteratura assai oltre ai romanzi e ai libri politici e di lettura
comune, e molto più che non serva alla elegante conversazione. E non basta. Della
letteratura tedesca e della inglese che ne pensa il critico? Egli sa di certo per quanta
parte l’elemento germanico entrò nelle nostre letterature da antico, e come Inghilterra e
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Germania poi intendano da oltre un secolo a modificare incessantemente la politica, la
filosofia e l’arte moderna. Una almeno delle due letterature gli convien dunque
conoscere, e un po’ più in là della superficie. E con tutto questo il critico deve possedere
l’instrumento della filosofia e l’uso della storia tanto da rendere ragione degli
svolgimenti e delle trasformazioni interiori ed esteriori della letteratura rispetto agli
svolgimenti e alle trasformazioni degli spiriti dell’individuo e della civiltà. E di tutto
questo deve aver avuto tempo e forza per essersene fatto con la meditazione una sintesi
propria.Ha capito il signor Ramperti? Si sente pronto a rispondere all’appello, dopo lette
le condizioni?
(Così finisce l’articolo di M.M. da cui si può dedurre la giustizia delle sue
obiezioni. Dopo 16 o 18 anni che queste asserzioni sono state fatte, oggi mi è capitato
sotto mano un articolo di questo Marco Ramperti che s’intitola “I feriti”. Il giornale
che lo ha pubblicato è la “Stampa” e, credo alla serietà di questo giornale, ma non alla
cultura del signor Ramperti, che da quanto ho letto non è nient’altro che un “trescone”
come diciamo noi, nel gergo militare. Posso dire che questo articolo m’ha nauseato, e
d’ora inanzi saprò anch’io valutare uno scritto come si deve, ma come non si crede a
colui che ha detto una bugia, così io non crederò più a questi articoli di Ramperti, anche
se mi farà sapere che ci ha messo tutto l’impegno e l’intelligenza della sua testa di
carota spremuta.).
Venerdì 25 ottobre 1940 – XVIII°.- Questa mane ho finito i due giorni di riposo e
me ne sono tornato in Ufficio, ovvero nella bolgia infernale capitanata dal Maresciallo
Muscariello. La giornata così è passata presto. Durante il riposo del mezzogiorno sono
andato a comperare un fascicolo delle canzonette più in voga, e, la sera, credendo che il
Maresciallo fosse già uscito, mi misi a suonare, egli mi sentì, si avvicinò ed ascoltò fin
quando finii. Quand’ebbi finito, cominciò a parlarmi cercando di apparire più bello
dinanzi ai miei occhi, mi parlò del suo carattere, di scusarlo se qualche volta grida, ma
che lui non ne ha colpa, perché così è la sua voce. Sembra burbera. Io, vedendo che
cercava con queste parole di scusarsi per quello che diceva non ci pensai su due volte, e,
siccome m’entusiasmo subito, cercai delle parole adatte per fargli capire che gli scusavo
tutto. Capì, e, così mi lasciò come un amico che sa di intavolare l’indomani il discorso
interrotto. Contento per esser addivenuto ad una tale soluzione, più tardi, andai a
vedere il film “Bel Amì” all’ “Aurora”.
Sabato 26 ottobre 1940 – XVIII°.- Giornata solita quest’oggi. Nel pomeriggio
sono andato a vedere se trovo i libri richiestimi da mia madre. Sono andato sino al corso
Italia, ma non ho trovato niente, e, così, ho dovuto ritornarmene alla Zona con le mani
vuote. La sera poi con i miei compagni sono andato a vedere al “Fossati” una varietà
racchia ed il film “Ponte di vetro”, film che tratta della nostra aviazione e, per di più
italiano. Anche oggi in quanto alla corrispondenza nulla di nessuno, neanche da Adele.
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La Filosofia. –
1) La filosofia è quella disciplina che cerca la causa delle cause, cioè il principio
primo ed unico di tutte le cose.- Pertanto essa va considerata non come un vuoto ed
inutile esercizio della mente, ma come una attività necessaria ed istintiva dello spirito
teso alla ricerca della propria funzione nel mondo e del proprio destino. Naturalmente
deriva da ciò che si è detto, che l’attività filosofica è in tutti gli uomini, poiché tutti sono
portati a porsi quei problemi che gli scienziati tentano di risolvere studiandoli più
particolarmente con metodo e con lungo studio.Per ora, da quanto vedo, (i sunti dai quali tolgo queste lezioni di filosofia, sono di
mia sorella Erminia, la maestrina) mi dovrò accontentare per ora dello studio della
filosofia occidentale, iniziatosi nel VII° secolo avanti C., in Grecia, e poi sviluppatosi,
con chiara concatenazione in tutta l’Europa fino ai giorni nostri; ciò è dovuto al fatto
che, mentre la filosofia dei popoli orientali corrisponde ad una cultura e ad una
sensibilità molto differenti da quelle occidentali, la filosofia greca è espressione di quel
complesso di principi di cultura e di opere che hanno preso il nome di civiltà
occidentale.2) Scuola Ionica (VII° - VI° a.C.).- I primi filosofi della scuola greca
accettarono senza criticarla la realtà oggettiva che i sensi offrivano loro, pertanto nella
ricerca del principio unico si accontentarono di sfruttare la natura per vedere quale dei
suoi elementi potesse essere preso come sostanza unica formatrice di tutto un complesso
naturale.
Quindi la loro interpretazione dell’universo fu basata soltanto sulla osservazione
della materia; così Talete di Mileto pensò che l’acqua potesse essere presa come
l’elemento unico della natura, mentre Anassimene accettò come tale, anzi preferiva come
tale l’aria in un suo doppio processo di rarefazione e di condensazione, capace di
dare ai corpi leggeri e quelli pesanti; ed infine Anassimandro sosteneva essere il
principio di tutte le cose la materia indeterminata (Apeiron): infatti egli pensava che
in tutte le modificazioni materiali che noi conosciamo deve esservi uno strato comune ed
indeterminato di materia.- Come si vede in questa concezione non vi è alcun elemento
critico, vi si può solo notare un ingenuo tentativo di penetrare la realtà infima delle cose
osservandone l’aspetto esteriore.Più acuto fu invece Anassagora il quale disse che per organizzare la materia vi
doveva essere un elemento fornito di caratteri di volontà, una specie di mente
organizzatrice e definitrice di tutti i principi materiali. Questo elemento Anassagora
chiamò “NOUS” cioè: Mente.- Si dovrebbe pensare che la concezione di Anassagora
fosse tale per cui egli distingueva nettamente il Nous dalla materia: invece si deve
concludere che egli non arrivò a tanto e che la sua mente organizzatrice è in fondo niente
altro che un elemento materiale e dipendente dalla materia.3) I Pitagorici – (VI° Secolo a. C.) .- Mentre i naturalisti della scuola Jonica si
erano accontentati di ricercare un elemento unico formatore della realtà materiale, le
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scuole dell’epoca più avanzata approfondirono la loro ricerca tentando una
interpretazione della realtà oggettiva che desse una visione universale ed eterna
dell’universo e non una limitata e transeunte.
Pitagora fu il primo filosofo che cercò di spiegare l’universo materiale secondo una
legge che trascendesse la particolarità dei fenomeni materiali.
Osservando la natura Pitagora poté considerare come una perfetta armonia
regolasse l’avvicendarsi dei fenomeni, e poté così concepire l’idea che fosse appunto
questa armonia il principio vitale delle cose: e, poiché l’armonia è il frutto delle leggi e
le leggi si esprimono in numeri, i pitagorici dissero che il numero è il principio di tutte le
cose.
A questa concezione i pitagorici pervennero dallo studio della musica (che è
l‘espressione dei rapporti numerici quantitativi) e della matematica portata da questi
filosofi appunto all’altezza di scienza, mentre gli egiziani l’avevano limitata ai
rapporti empirici di quantità.Il pitagorico formò una specie di scuola religiosa, con cerimonie segrete, e appunto
per questo Pitagora fu considerato un mago. Questo spiega perché il periodo di
misticismo come quello post-scettico, si tornerà appunto a Pitagora.4) Eraclito – (V° sec a. C).- Se i pitagorici erano riusciti ad interpretare la realtà di
una legge universale dei numeri, restava però ancora insoddisfatta la necessità di
comprendere quale dei contrastanti aspetti della natura fosse quello vero; in altri
termini ci si domandava se la realtà così come appariva al nostro sguardo
rappresentasse la verità o fosse una fallace impressione dei nostri sensi, ci si chiedeva
insomma se il continuo alternarsi delle cose fosse l’espressione della verità o se invece
non fossevi qualcosa di più profondo che sfuggiva ai nostri sensi e che la nostra
ragione doveva ricercare. Vi furono allora due correnti: l’una propizia a credere nelle
verità del continuo trasformarsi delle cose; l’altra a considerare come vero soltanto ciò
che è eterno ed immobile. Eraclito fu il rappresentante della prima corrente; Parmenide
della seconda.
Eraclito di Efeso pensò che il divenire (cioè il continuo alternarsi delle cose ed il
loro trasformarsi), fosse la legge vitale che dà al mondo la vita. Per Eraclito tutto è in
continua trasformazione, dalla morte nasce la vita e dalla vita nasce la morte, l’essere
è seguito dal non essere, anzi se le cose esistono, possono farlo soltanto perché il loro
contrario le spinge al movimento.
Naturalmente Eraclito pensava che il fuoco è l’elemento primordiale: difatti esso è
il più mobile di tutti gli elementi ed anche quando sembra che stia fermo lo è solo in
apparenza, in quanto per la continua combustione che gli permette di durare, esso è in
continuo movimento. Dal fuoco derivano poi l’aria, l’acqua, la terra in continuo
processo di trasformazione.______________ . _____________
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Domenica, 27 Ottobre 1940 – XVIII°.- Come al solito questa mane la pioggia ha
fatto la sua apparizione e con essa è arrivata una lettera di mia madre, la quale parla
di scusarla per il ritardo nel rispondere poiché aveva avuto tanto da fare con i pittori
che mettono in ordine la casa. Io naturalmente la ho assicurata dicendole che le sue
lettere sono tutte ben accette per me, ma quello che m’ha fatto più bene è stata la notizia
della messa a nuovo della nostra casa, e, mi par già di vedere la mia casa linda e
pulita messa a posto dalle preziose mani di mia madre. Ah casa mia, quando potrò
rivederti! Son già dieci mesi che son via da te e dai miei cari e, in tutto questo tempo non
sono riuscito mai a scordarmi la dolcezza che tu ci puoi concedere. Ora che siamo qui,
nelle grandi e fredde camerate sento la tua mancanza, e la sera quando si va sotto le
lenzuola rese umide da questo tristissimo clima milanese, sotto la ruvidezza del telone
della branda sento la nostalgia del mio soffice e caldo letto, lasciato lì a casa nella
mia stanzetta in attesa del mio ritorno.- Ma verrà il giorno che tornerò a rivederti ed
allora casetta mia non ti lascerò mai più.Il pomeriggio sono andato con Adele a fare un giretto per Milano: Come al solito le
ho parlato di me raccontandogli un po’ della mia vita e rievocando alcune poesie che
chissà come sbucate da un recondito canto della mia mente. Ci siamo seduti anche su di
una panchina, e qui siamo rimasti per tutto il pomeriggio.
La sera poi sono andato a vedere al “Garibaldi” il film “La grande prova”.
Lunedì, 28 Ottobre 1940 – XVIII°.-
Oggi ricorre il 19° annuale della Marcia su Roma e noi, tanto per celebrarla
degnamente abbiamo lavorato tutto il giorno: Ho ricevuto una lettera di Adele in
risposta alla mia dalla quale apprendo che Adele è ammalata e si trova all’ospedale.
Ciò mi ha fatto molto male, e dico la verità che quasi non ci credo, ma come una
ragazza forte, sana, robusta, tenace, lavoratrice come la mia Adele che si ammali e che
si trovi all’Ospedale, quasi non lo credo. Le risposi subito e in quelle poche righe cercai
di darle un po’ di conforto, di gioia e di coraggio. Credo che sarà contenta di ricever
questa lettera, e, intanto, non mi rimane che pregare per una sua pronta guarigione._____________ . _____________
5) Parmenide – (V° sec. A. C.).La teoria di Parmenide fu, come si è detto opposta a quella di Eraclito.
Dei tre filosofi che formarono la scuola eleatica, cioè Senofane di Calofane, Parmenide
di Elea e Zenone, Parmenide fu il più completo, e, può essere considerato come il vero
rappresentante della scuola; infatti Senofane si interessò solo del problema religioso
combattendo l’ antropomorfismo greco ed il politeismo, e Zenone non ebbe alcun
carattere originale, ma si contentò di dimostrare e di divulgare la teoria parmenidea.Parmenide si oppose al concetto che il divenire fosse la legge vitale dell’universo,
poiché questo principio gli apparve difettoso per due ragioni: primo) perché
contraddiceva al concetto di esistenza; secondo): perché l’esigenza della filosofia porta
alla ricerca di un principio unico e non di infiniti principi.76
“Ciò che è non può non essere.” Con quella frase Parmenide si opponeva alla
concezione eraclitea, sostenendo che l’universo è una massa unica ed immobile, senza
alcuna soluzione di continuità.Il movimento, per lui è inammissibile in quanto presuppone la pluralità degli
elementi. Così abbiamo una posizione nettamente antitecnica (? Forse intende
“antitetica” n.d.t.) tra le teorie di Eraclito e di Parmenide, mentre si deve dire che hanno
ciascuna la propria parte di ragione, di giusto essendo riuscite a penetrare più
profondamente che le altre nell’osservazione della realtà oggettiva. Difatti i filosofi che
seguirono subito dopo non scartarono le due teorie, ma cercarono di metterle insieme,
considerandole due verità ineliminabili dalla giusta conoscenza del mondo oggettivo.
Questi filosofi furono Empedocle e Democrito.6) Empedocle (V° s. a. C.). Le concezioni delle due scuole, quella Parmenidea e
quella Eraclitea, erano dunque opposte tra loro; ma d’altra parte non si poteva negare
che ciascuna di esse aveva intuito un aspetto giusto della realtà, di modo che era
necessario tentare una sintesi che tenesse conto dell’una e dell’altra interpretazione,
eliminando ciò che vi era di errato ed accettando ciò che vi era di giusto.
Questo tentativo fu fatto da Empedocle e da Demetrio (leggi: Democrito, n.d.t.).
Empedocle immaginò che tutta la realtà fosse composta di quattro elementi
primordiali: acqua, aria, terra e fuoco, e che essi, pur restando sempre gli stessi si
unissero e si separassero in una continua vicenda in virtù di due passioni: l’amore e
l’odio.
Così mentre la teoria di Parmenide era accettata in quanto i quattro elementi non
mutavano mai e quindi rappresentavano un principio di immobilità delle cose, d’altra
parte il continuo movimento causato dalla unione e dalla disintegrazione della materia,
accettava e giustificava la teoria del divenire eracliteo.
7) Democrito (V° sec. A. C.) Democrito fu il filosofo più importante della scuola
atomistica, fondata da Leucippo. Egli concepì la realtà del mondo oggettivo formato da
una materia unica, divisa in particelle infinite, indivisibili (atomi) che cadono nel vuoto
e che durante la caduta si uniscono e si fondono casualmente, creando quella
differenziazione della realtà che noi conosciamo per mezzo dei sensi. Dunque gli atomi
ed il vuoto sono i due unici elementi sui quali Democrito si basa nel tentativo di
eliminare l’antitesi tra essere e divenire.
Difatti, mentre l’unicità dell’elemento materiale ci porta a pensare a qualche cosa di
immobile e di fisso, il movimento continuo al quale gli atomi sono sottoposti ci dà la
spiegazione del continuo divenire delle cose, della differenza che vi è fra loro, del loro
nascere, crescere e perire.___________________ .
___________________
77
Martedì, 29 Ottobre 1940 – Giornata tetra quest’ oggi. Nulla da raccontare. La
sera ero di servizio come al solito sino a tarda ora. Ho letto “All’Italia” la bella
poesia di Giacomo Leopardi.-
Mercoledì, 30 Ottobre 1940 – XVIII°.- La giornata d’oggi si è voltata al bello.
Sembrava d’essere in primavera. Una lettera di Bruna. Il mio compagno d’ Ufficio,
Covelli, è andato a volare. Ho cominciato a leggere il libro-romanzo “La Bestia
Rossa” di F. Bravetta.
______________ . _____________
8) I Sofisti.- La filosofia presocratica aveva tentato la interpretazione del mondo
oggettivo secondo un principio unico, materiale e generalmente sensibile. Però nessuna
scuola era riuscita a stabilire un principio di certezza assoluta, tanto che dal numero
dei pitagorici all’atomo democriteo le teorie più opposte si erano alternate.
Eppure l’obiettivo era comune, e comune era il punto di partenza di queste varie
Scuole. Da tali considerazioni e da un esame più scaltrito della realtà nasce la
filosofia dei Sofisti, corrente importantissima sia per le sue concezioni filosofiche, sia
per l’importanza pratica che ebbe nella società del tempo.
Caposcuola sei sofisti fu Protagora, il cui allievo più famoso fu Gorgia.Protagora partiva dalla osservazione o meglio dalla critica delle scuole che lo
avevano preceduto e diceva: “Se pur tentando tutti di pervenire alla conoscenza di un
principio unico i filosofi hanno concluso ciascuno con l’accettare come vero un principio
del tutto differente da quello degli altri, vuol dire che la realtà non è nell’oggetto
sentito, ma nel soggetto senziente, in altri termini “L’uomo è misura di tutte le cose.”.
Questa frase di Protagora sposta completamente il problema della filosofia: difatti,
non è più la ricerca del principio unico ciò che interessa, ma invece la ricerca del come e
del perché l’uomo conosca; si è passati cioè dall’oggetto al soggetto, dallo studio del
mondo, allo studio di noi stessi.La prima conseguenza della concezione protagorea è che non vi è una conoscenza
comune a tutti gli uomini, in quanto che l’uomo se è misura di tutte le cose, ciascun
uomo conosce a suo modo, per conseguenza non esistono in alcun senso gli assoluti, ma
tutto è assolutamente relativo alla sensibilità ed al pensiero di ciascun uomo.Protagora genera così una specie di anarchia nella conoscenza degli uomini in
quantoche manca un criterio unico di verità.Il suo allievo Gorgia, mentre da un lato sviluppò ed esasperò il principio del
maestro, dall’altra parte tentò di organizzare per quanto più fosse possibile nel campo
pratico quella relatività della conoscenza che negava ogni possibilità di conoscenza
comune ed universale.
Gorgia difatti sostenne che: primo) non esiste la possibilità della conoscenza;
secondo) anche se conoscessimo non potremmo comunicare le cose da noi conosciute agli
altri; Terzo) anche se potessimo comunicarle agli altri questi non potrebbero sapere le
78
cose che da un punto di vista individuale.- Dunque, non vi è allora alcuna possibilità di
conoscenza comune tra gli uomini? Da un punto di vista teorico Gorgia dice che non è
possibile, da un punto di vista pratico egli sostiene che gli uomini capaci di ragionare
meglio degli altri o comunque di imporre la propria volontà riescono a raggruppare
intorno a sé tutti coloro che si lasciano indurre a seguire i principi dei maestri. Da
questa teoria è chiara la dottrina morale dei sofisti. Difatti, se ciascun uomo è misura
di tutte le cose, lo sarà anche dei principi morali e se non vi è alcun principio assoluto
di conoscenza non ve ne sarà alcuno assoluto di morale, sicché tutti potranno
liberamente considerare un’azione morale o immorale a seconda delle proprie tendenze,
e la forza potrà valere come elemento adatto per imporre la propria volontà. Così la
morale sofistica finisce con il risultare ispirata e principi di egoismo e di violenza,
priva di ogni elemento che superi la individualità di ciascuno e si imponga in nome di
valori trascendenti l’uomo!
9) La pedagogia nella scuola sofista.Da quanto è stato detto sulla filosofia e sull’etica dei sofisti si ricava facilmente il
carattere fondamentale del loro concetto di educazione. Diciamo subito che essi, non
potevano avere principi definiti ed assoluti in conseguenza del loro punto di vista
teoretico.
Educare per i sofisti non poteva significare spiegare dei principi attraverso i quali
l’individuo si formasse e si mettesse in grado di poter risolvere i problemi del suo
spirito, della sua coscienza, servendosi di leggi comuni a tutta la società in cui viveva.
Viceversa, essi vollero insegnare ad avere sempre ragione e quindi a considerare le
cose secondo il proprio interesse e secondo le necessità del momento.
Ne derivò una educazione utilitaristica che considerò la violenza come il migliore
mezzo di riuscita e si adattò a cambiare idee e spirito per secondare gli sviluppi politici
che più potevano convenire.Questa educazione che essi impartivano è legata alla decadenza verso cui ormai la
Grecia si avvicinava e che i Greci aggraveranno sempre più perdendo quella forza che li
aveva portati ad un altissimo grado di civiltà.
10) Socrate (IV° s. a. C.) Riassumendo in breve le caratteristiche della filosofia
sofistica noi vi troviamo un doppio valore:
a) essa spostava il problema sofistico dall’oggetto al soggetto facendo nascere il
problema della conoscenza, è questo il suo aspetto positivo in quanto si apre un
nuovo campo all’indagine filosofica;
b) si concludeva con una negazione della possibilità di conoscenza universale e
quindi negava nel momento stesso in cui la cercava ogni possibilità di soluzione
unitaria, e questo è il suo aspetto negativo, tanto più pericoloso in quanto ne
deriva l’impossibilità di leggi morali e pedagogiche—
79
Per Socrate quindi il problema era chiarissimo, bisognava arrivare ad una
conoscenza universale se si voleva poi concludere con una morale basata sui principi
solidi ed assoluti.
Per conseguenza la parte che ha più importanza nella filosofia socratica è quella
morale, mentre quella gnoseologica ha soltanto valore propedeutico. La personalità di
Socrate esercitò un grande fascino sugli studiosi e pensatori del suo tempo.Egli fu infatti di una dirittura morale assoluta e volle realizzare il grande tentativo
di riportare la Grecia alle antiche virtù. Morì per una condanna degli ateniesi i quali
non comprendendo il valore dell’insegnamento socratico, si sentirono offesi dal suo antiformalismo e lo accusarono di corrompere la gioventù, di minare l’autorità dello Stato,
di non rispettare gli Dei.Il metodo socratico si basò su un paragone che Socrate spesso portava: egli diceva
di voler fare come sua madre levatrice, estrarre cioè dalla mente degli uomini ciò che
essa conteneva per vedere se, e fino a qual punto, esse avevano idee comuni
(maieutica).Pertanto egli interrogava i suoi antagonisti in modo da mettere in risalto le loro idee
sbagliate per farli poi pervenire alle sue stesse conclusioni.L’ironia socratica e la maieutica sono i due elementi fondamentali del suo metodo
filosofico. Socrate non lasciò alcun scritto e perciò noi conosciamo il suo pensiero solo
indirettamente attraverso le opere dei suoi allievi; le fonti del pensiero socratico sono:
“L’apologia di Socrate” di Senofonte; i “Dialoghi platonici”, - “Il primo libro della
metafisica” di Aristotele.- Elementi del pensiero socratico si trovano pure nelle opere dei
filosofi della scuola cinica e pirenaica, sorte sotto l’influsso del suo pensiero.
Servendosi del metodo che abbiamo accennato, Socrate arriva alla scoperta del
“Concetto”, cioè di quell’elemento razionale contenente in sé i caratteri necessari ed
universali di ogni elemento differenziato.- Difatti egli sosteneva e dimostrava che se noi
interroghiamo un uomo sia pure ignorante, riusciamo a poco a poco a trovare nella sua
mente idee e conoscenze uguali a quelle degli altri, cioè i concetti.La scoperta socratica fu di grandissima importanza in quanto essa stabilisce il
valore positivo della conoscenza e dà possibilità di sviluppo al problema gnoseologico.
Guardiamo quale fu la risoluzione che Socrate dette al problema morale dopo aver
risolto quello gnoseologico. Poiché vi è una conoscenza comune che si realizza
attraverso i concetti vi è anche una morale comune basata sul comune concetto di virtù.
Le singole virtù corrispondono per Socrate ad altrettanti concetti: hanno quindi valore
necessario ed universale; pertanto, per vedere se un’azione è morale o no bisogna
risalire al concetto di bene ed ispirarsi ad esso. Che cosa è il bene per Socrate? E’ ciò che
conviene alla nostra felicità, è ciò che è accettato dalla nostra coscienza che, per essere
diretta secondo i fini emanati dagli dei non può accettare il male ma il bene; stabilito
questo ne risulta che per fare il bene basta sapere che cosa esso sia, in quanto nessuno
fuggirà la propria felicità per cadere nell’infelicità; nasce di qui il binomio socratico:
“Virtù è uguale a sapere”. Con la filosofia di Socrate si definiscono i due caratteri
essenziali del pensiero greco:
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1°) intellettualismo (considerare come perfetto ciò che è razionale)
2°) considerare la materia come principio di ogni male.______________ . _____________
Giovedì 31 Ottobre 1940 – XVIII.- Nulla di notevole da dire in questa giornata.
Ho finito il libro “La bestia rossa”, ed ho letto la poesia di Leopardi “Per il
monumento di Dante”. Ecco quello che mi fa tanto piacere le liriche del Leopardi, in
esse ritrovo la pace ed un’anima leale giusta che dice delle verità, troppe verità.-
Venerdì 1 Novembre 1940 – XIX.- Un altro mese oggi incomincia ad inserirsi nei
già tanti passati, e, ormai ad uno migliore quasi non vi penso più sono tutti uguali,
monotoni, lugubri, ed anche oggi in questo primo giorno nella ricorrenza di tutti i Santi
sono così abbattuto. Ma non mi importa è la mia solita veste.-
Sabato 2 novembre 1940 – XIX°.- Giornata solita quest’oggi per far passare la
malinconia sono andato al cine “Plinius” a vedere il film “Capitano Furia” ed uno
spettacolo di Varietà._____________ . ____________
11) Platone (IV° sec. A. C.) Platone fu allievo di Socrate e nel primo periodo
delle sue produzioni subì l’influenza del pensiero socratico, solo più tardi egli sottopose
a critica le conclusioni del maestro ed iniziò la formazione del suo sistema. Pertanto, le
sue opere vanno distinte in due gruppi:
1°) quello dei dialoghi nei quali è chiara l’imitazione di Socrate (per es. l’Eutifrone)
2°) quello nel quale Platone espone le sue idee originarie (per es. il Fedone).Tutto il sistema platonico si può distinguere nelle seguenti parti: 1°) la gnoseologia
2) la psicologia 3) la Politica e l’Etica 4 l’estetica.12) La gnoseologia.- Il problema della conoscenza nasce dalla critica che il
filosofo fa alla teoria socratica. Infatti Platone osservò che Socrate nello stabilire il
valore del concetto si era preoccupato di spiegare soprattutto la sua esistenza nella
mente di tutti gli uomini; non aveva però spiegato se e come detto concetto fosse nelle
cose del mondo oggettivo in modo che in seguito la sensazione imposta dall’oggetto al
soggetto, avvenisse la conoscenza.
Per eliminare questo inconveniente era necessario spiegare come fosse al tempo
stesso necessario che ogni oggetto differenziato partecipasse al concetto in
differenziabile; a questo Platone pervenne con la teoria della reminiscenza. Egli pensò
che nel mondo celeste, sede di tutte le cose pure e razionali, vi fosse il concetto (o idea
archetipo o modello primo) di ciascun elemento del mondo oggettivo.
L’idea archetipo si trova nel mondo oggettivo perché Dio ha permesso che il
Demiurgo una specie di semidio) reso non assolutamente perfetto dalla conoscenza
81
della materia, organizzasse il mondo della materia a somiglianza di quelle idee
archetipo che formavano la perfezione del mondo celeste.- D’altra parte vivevano le
anime, sostanze spirituali ed immortali, che furono condannate a vivere nel mondo
oggettivo, nel corpo umano, e di riconquistare ivi la perfezione perduta. Così, quando la
sensazione porta all’anima l’aspetto delle cose, l’anima riconosce in esse e se ne ricorda,
le immagini di quelle idee che già nel mondo celeste aveva viste e conosciute: in questa
reminiscenza consiste, per Platone, l’atto conoscitivo.13) La psicologia.- Si è visto nella teoria della reminiscenza che Platone concepì
l’anima come una sostanza celeste esistente prima del corpo e di natura perfettamente
razionale.- Deriva da questi caratteri che l’anima è immortale.- Difatti come Platone
dimostrò nel Dialogo “Il Fedone” se l’anima esisteva prima del corpo, vuol dire che la
sua natura è distinta da quella corporale e quindi non ne segue le sorti.L’anima perciò è sulla terra come di passaggio costretta a vivere nel corpo ed
anelante di uscirne per ritornare al Cielo; ma perché possa tornarvi è necessario ch’essa
sia perfettamente pura, e quindi quando durante la vita del corpo non riesce a
purificarsi è costretta a passare in un altro corpo e così sempre finché non sarà riuscita
a purificarsi.
Questa trasmissione (leggi: “trasmigrazione”, n.d.t.) dell’anima da un corpo
all’altro forma la teoria della metempsicosi.- Ma ci si potrebbe domandare: “Se
l’anima viene da un mondo di perfezione, come fa ad andare sempre più verso il male,
tanto da dover restare in terra a purificarsi anche dopo esser vissuta in un corpo?” Il
fatto è una conseguenza di quel carattere della filosofia greca al quale noi abbiamo
accennato, per cui la materia è principio di imperfezione. Difatti, quando l’anima
s’accosta alla materia ed entra a far parte del corpo, essa subisce l’influsso di
quest’ultimo seguendone gli istinti, e s’allontana dalla razionalità che era sua
prerogativa. Si vengono quindi a formare come degli strati dell’anima stessa, alcuni
più, alcuni meno influenzati dall’istinto materiale.
Secondo Platone questi stati sono tre; pertanto egli distingue tre speci di anime
conviventi nell’animo:
a) l’anima concupiscibile, che è quella che obbedisce agli istinti bassi del corpo;
b) l’anima irascibile, anch’essa mossa dalle passioni, ma soltanto da quelle nobili
(amor patrio, fierezza, ecc.);
c) l’anima razionale, che è la parte rimasta pura dell’anima primitiva calata dal
mondo delle idee. L’anima razionale fa sì che le parti si vadano sempre più
razionalizzando ed abbandonino o resistano agli istinti del corpo.14) Etica e Politica.- Il problema morale di Platone si risolve tutto in quello
politico. Ciò non significa che egli non considerò le leggi e i principi morali, li considerò
anzi moltissimo, ma ne fece elementi della vita pubblica. Il perfetto uomo è per Platone
il perfetto cittadino, perché attua nella vita politica quella razionalità pura che lo
guida come privato individuo.
82
Lo stato perfetto è la repubblica, in quanto essa stabilisce la possibilità di attuare il
regno della pura razionalità e può essere divisa in tre classi o stati sociali
(corrispondenti alle divisioni dell’anima).- In altri termini Platone pensa che l’anima
prevalendo con una delle sue parti sulle altre orienti l’uomo secondo determinati
obiettivi e tendenze; gli individui di uguali tendenze formano una classe sociale.- Per
conseguenza le classi sociali sono tre:
a) quella dei commercianti che tendente ai beni materiali (corrispondente
all’anima concupiscibile), sono adatti ad assicurare la vita materiale dei loro
concittadini procurando viveri e ricchezze;
b) quella dei guerrieri (corrispondente all’anima irascibile) che difendono lo stato
ed assicurano la legge essendo portati a sacrificarsi nobilmente ed a seguire i
nobili istinti;
c) quella dei filosofi o reggitori dello Stato (corrispondente all’anima razionale)
che sono capaci di guidare e d’essere giusti perché ricchi di razionalità.Consegue di qui che mentre i commercianti possono avere beni e famiglie, i guerrieri e
i filosofi devono vivere in comune ed i loro figli devono essere educati dallo Stato, ciò
perché se essi si interessassero dei valori materiali ne sarebbero influenzati e quindi si
allontanerebbero dalla purezza che il loro compito richiede.Dunque lo stato platonico risulta composto da una ristretta casta di dominatori e
da una più vasta di dominati, cioè a dire è una repubblica aristocratica.- Essa fu detta
la Repubblica utopistica perché la perfezione con cui era concepita risultava
inattuabile almeno per un lungo periodo di tempo, dato il carattere dell’uomo sempre
egoista e desideroso di bene.I principali dialoghi nei quali Platone trattò il problema politico sono: “La
Repubblica”, “Le leggi”, “Il politico” e “Crizia”.15) Estetica.- Leggendo i dialoghi Platonici si è portati a riconoscere in Platone
delle qualità di artista, innegabili ed effettivamente è così perché i Dialoghi hanno oltre
che al loro grande pregio filosofico anche delle qualità di comprensione umana e di
fantasia, di espressione che le (“ne”? n.d.t.) fanno tante opere d’arte. Difatti, Platone
nella sua gioventù tentò il teatro, senza però ottenere il riconoscimento del pubblico.
La sua dottrina dell’arte parte dal concetto che essa riproduce la natura, e poiché
già la natura imita il mondo delle idee, l’arte risulta una doppia imitazione, quindi
inutile all’uomo.
Pertanto l’artista è considerato come un parassita che va escluso dalla vita della
perfetta Repubblica.Platone ebbe con i suoi dialoghi, tanta fortuna nel suo tempo e in quelli successivi
che molti lo imitarono.Pertanto è stato difficile sapere quali erano i “Dialoghi” veri da quelli apocrifi.Ora invece con il progresso della critica si è riusciti a definirli: anzi, sulle basi dei
Dialoghi, gli studi hanno potuto tracciare lo sviluppo del pensiero platonico nelle sue
varie fasi.83
In conclusione, il sistema di Platone ha grandissimo merito. Esso è la prima visione
universale ed acuta di quei problemi filosofici che affaticheranno gli uomini nel corso
dei secoli. Ma appunto per questa grandezza egli vede un problema che appare
insolubile: il rapporto fra il mondo materiale e quello spirituale.- Per lui essi sono
inconciliabili tra loro, e quindi l’universo gli appare dualisticamente diviso fra materia
e spirito.________________ : ______________
Domenica 3 –
Novembre -
1940 – XIX°.-
Giornata autunnale quest’oggi. La mattina sono andato a fare un giretto per la
città. Sono stato anche da Adele. Di ritorno da piazza Duomo incontrai Gelati, e, con
lui me ne andai al Museo di Storia naturale sito nei Giardini Pubblici di Milano. Sono
stato un’ora chiuso fra quelle pareti cariche di scaffali di vetro e di scheletri racchiusi
nelle loro prigioni vetrarie, ma ugualmente ho veduto assai poco. C’è tanto da vedere e
d’imparare che così di sfuggita non si può neanche capire il significato di tutti quei
minerali, quelle mummie, quei corpi sezionati, che sono messi gli (leggi: “lì” n.d.t.) per
essere divorati dagli sguardi curiosi del pubblico acché impari a conoscere un po’ il suo
essere e la vita dei suoi simili, per apprendere alla fine che ha una ben altra missione
da compiere su questa terra, missione sacra che solo l’obbedienza alle leggi statali può
rendere bella e gravosa.- Il pomeriggio, ho dormito sul legno duro della mia scrivania,
e la sera sono montato di Capo Posto, alle ore 17.-
Lunedì, 4 Novembre 1940 - XIX°.- Questa notte non ho chiuso occhio. Chiamate
di qua, telegrammi di là m’hanno tenuto sveglio mio malgrado. Le ore non passavano
mai, ma, come Iddio volle venne anche la mattina. Sveglia alle Guardie, aprire il
portone d’ingresso ai camerati, ed ecco che il lavoro continua nello stesso ritmo del
giorno precedente; sempre così, uguale, continuerà in eterno. Alle 10 del mattino, arriva
il postino, mi porta una lettera, è di mia madre. Apro, guardo, sono i documenti che mi
mancavano. Brava la mia mammina, e, nella mia gioia interna, lancio un bacio a mia
madre lontana. Finalmente potrò fare l’Ufficiale! Domani, appena smontato, redigerò
la domanda e la manderò al Ministero. Faccio progetti tutto il tempo, finchè alle
quattro del pomeriggio mi arriva una lettera di Adele. Mi scrive dall’Ospedale. E’ stata
operata il giorno della Marcia su Roma. Povera Adele, chissà come avrà sofferto!
Poche righe, così semplici, in cui sta racchiusa tutta la sua anima! “Mi hanno operata
lunedì.. Ho sofferto un po’… Il mio indirizzo… la tua Adele se forse non ti sei
dimenticato.” Ecco le poche frasi che danno tutta l’idea del bene che mi vuole, ed io che
la tradisco! Oh come sono vile! Non sono capace di pensarla senza andare con le altre,
eppure quando vado con Bruna o con Adele, mi sembra di essere con lei e parlo così
languidamente di sogni e di chimere, perché mi sembra di essere con lei e di udire il suo
alito. Alle 17 appena smontato dal servizio armato sono corso subito in Ufficio a
scrivere a mia madre e rispondere ad Adele. Ho scritto quelle solite lettere che so le
fanno bene. Credo che sarà contenta e soffrirà meno. La sera andai da Adele, e, quasi
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riflesso in me stava il dolore di Adele, la mia cara inferma. Parlai ad essa così
languidamente, che ne restò soggiogata, tanto che più volte mi baciò. Alla fine la lasciai
e me ne tornai al Presidio lanciando baci e gentili pensieri alla mia cara degente, che là
a Fiume in un letto tutto bianco, soffre e forse mi invoca, mentre io qui quasi la
dimentico. Ah, come sono vile, me la sento nel cuore questa viltà, che purtroppo non mi
vuol lasciare, sarà forse il clima di Milano, o la reazione al continuo studio, oppure
una necessità della gioventù, non so che cosa sia, ma sento di non essere più l’Andrino
di una volta che era capace di attendere giorni e giorni una notizia della sua cara
Adele.-
Perché non scrivi!
Ti saluto mia bella e cara.
Attendo, e tu lo sai,
Di te una cosa rara,
Ma se non saprai
Ti dico pian pianino
Con anima giuliva
Attendo: (Sei birichina!)
E… sia! Tua missiva!
Scrissi queste poche righe il 13 novembre 1939.- Non m’aveva scritto da diversi
giorni, ed io attendevo la sua lettera come la manna, finché il 13 non ne potei più,
comprai una cartolina postale e gettai sopra queste poche righe. Perché le giungesse
prima, andai ad imbucarla in città e tra tutta quella gente che mi sembrava festante e
mi dava dolore. Vivevo solo per lei sotto il grave colpo della mia bocciatura ed ognuno
può comprendere, ne sono certo il male che provavo per il suo lungo silenzio. Per
istrada non mi sembrava di vedere altra figura che Adele, e, in tutti i luoghi dove mi
recavo non vedevo che Adele, Adele, e Adele. Essa era tutto per me. La gioia, la fortuna,
il destino ed anche il dolore. Sì, dolore, perché ho sofferto tanto per lei nel saperla
lontana da me ed è ancora ora mentre scrivo, adagiata su di un letto d’ospedale,
lontana, tanto lontana. Era una settimana, sarà un anno giusto che iscrissi quella
poesia, e, in quest’anno passato, divisi dall’avversa fortuna e dal destino crudele, non
ci siamo veduti che sedici giorni, eppure le voglio tanto bene, anche, se qui a Milano,
ora, vado con altre; vado con le altre sì, ma perché rimanga ancora in me quella
gentilezza mia innata e primitiva, con la quale voglio tornare a Lei. E, credo che Adele,
comprenderà perdonandomi.____________ . ___________
16) Aristotele (IV° sec. A. C.) La filosofia di Aristotile parte dalla critica del
sistema platonico che si era reso concluso con un assoluto dualismo fra il mondo delle
idee e quello della materia. Tale critica Aristotele fa nel primo libro della sua
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metafisica iniziando così la storia della filosofia, perché passa in rivista e critica tutte
le teorie filosofiche dalle origini ai giorni suoi.Lo Stagirita sostiene che essendo il Demiurgo una invenzione fantastica, il rapporto
tra il mondo delle idee e la natura non ha alcuna possibilità di esistenza; egli pensa
perciò che sia necessario ricorrere ad una interpretazione unitaria dell’universo, tale che
idea e materia risultino dalla stessa natura. Prima però di accingersi ad una
sistemazione definitiva delle sue idee, egli crea il mezzo che possa utilmente servire per
conseguire un fine basato su reali possibilità di certezza; tale mezzo è “la scienza del
ragionamento” ossia la logica.17) La logica.- La più alta capacità dell’uomo è quella di formare i concetti, di
questi si serve poi attraverso la facoltà ragionativi, per creare i sistemi logici, mezzi
della conoscenza.Mentre il concetto definisce un elemento del mondo, sia oggettivo che soggettivo, il
giudizio è già un rapporto fra il soggetto ed il concetto che l’uomo prende a conoscere,
difatti dire “La vita è bella” vuol dire avere già stabilito un rapporto tra il concetto di
vita e quello di bellezza.Il giudizio è dunque una prima forma di ragionamento ed il punto di partenza di
ogni sistema logico. Dall’insieme di tre giudizi nasce il sillogismo, però perché esso
esista è necessario che tra i tre giudizi che lo compongono vi siano i seguenti rapporti:
1°) che il primo giudizio abbia una comprensione più vasta del secondo
2°) che fra il primo e il secondo giudizio vi sia un termine comune
3°) che dalla comparazione fra il primo ed il secondo, il terzo sia dedotto con
caratteri di necessità e di verità.- (Esempio di sillogismo: “Tutti gli uomini sono mortali
(1° giudizio). Socrate è un uomo (2° giudizio): dunque Socrate è mortale (3° giudizio)
e conclusione).
Una catena di sillogismi fra loro legati, costituiscono il così detto sistema logico che
può avere due caratteri: deduttivo (quando dall’universale va al particolare), induttivo
(quando dal particolare va all’universale).Il sistema logico deduttivo è proprio della filosofia di indirizzo razionalistico, al
contrario il sistema logico induttivo è proprio delle filosofie d’indirizzo empiristico.
Servendosi della logica appunto l’uomo è in grado di realizzare tutte le sue
conoscenze, in modo da classificarle per unità sempre più vaste basate su pochi
caratteri essenziali. Quando si arriva alla classificazione in base ad un solo carattere
essenziale, abbiamo la categoria, che è perciò il punto massimo di estensione cui può
pervenire il concetto: per Aristotele le categorie sono dieci.18) La metafisica.- Partendo dalla critica del dualismo platonico, cui abbiamo già
accennato, Aristotele si trova di fronte alla esigenza di dare una interpretazione
monastica dell’universo tale che mondo oggettivo (materiale) e mondo spirituale siano
come lo sviluppo intimo di un unico processo informativo. Pertanto egli parte dall’idea
che ciascun elemento materiale ha in sé la propria forma, cioè a dire ha in sé
86
potenzialmente il maggior grado di perfezione cui sia capace di giungere: in un primo
momento questo grado di perfezione è solo potenziale, poi spinto da una forza continua
dalla quale è permeata tutta la natura (l’ energheia) a poco a poco si attualizza in
ogni cosa.
Così tutto l’universo è uno sviluppo continuo per cui la materia tende ad attuare la
propria forma e quindi a perfezionarsi. Come nel seme vi è già, potenzialmente, la
pianta futura, così nel bimbo senza coscienza a poco a poco si formano e si creano tutti
gli sviluppi dello spirito; l’uomo razionalmente è la forma dell’uomo primitivo; Per
mezzo della ragione l’uomo riesce a creare i concetti, poi crea tutte le forme della
propria conoscenza. Dunque nella filosofia aristotelica la conoscenza nasce dalla
sensazione ed è sviluppata ed organizzata dalle nostre capacità razionali.____________ . ___________
Martedì 5 Novembre 1940 – XIX°.- Giornata solita e nebbiosa, di quelle che
mettono in uggia la vita e ti inoculano nel sangue la mestizia e la malinconia. Così è
stato con me per tutta la giornata. Non avevo voglia di niente, mentre mi sembrava che
un peso enorme mi gravasse la testa. Mi sembrava tutto indifferente, ma come Dio
volle, venne la fine dei lavori e, siccome avevo un biglietto ricevuto in omaggio, andai al
cine “Eden” a vedere il film “La donna del mistero” che per me è stata una vera
porcheria. È un film tedesco questo, e, essi saranno capaci di fare dei film scientifici che
innalzano al sommo grado la freddezza, puramente meccanica, ma non saranno mai
capaci di fare dei film d’amore, perché a loro manca l’arte, il fuoco e quello che noi
italiani portiamo in sé: la gentilezza e l’ardore amoroso per tutto ciò che è bello e che
ammalia.- È mancato in tutto questo film, e, basta sapere che in tutto il teatro eravamo
in 10 né uno in più né uno in meno, e, credo che questo basti!
Mercoledì 6 Novembre 1940 – XIX°. Questa mattina il Serg. Magg. Malavasi
è venuto in Ufficio allegro. Il motivo: la sua promozione a Maresciallo. Gli feci gli
auguri e per bagnare i gradi, femmo un brindisi. Era così contento e mi sembrò pervaso
da una leggera emozione. Il pomeriggio, dopo il rancio, telefonai ad Adele, aveva
preso, da quanto mi disse un potente raffreddore. Glielo avevo intaccato io. Gli feci
anche udire un po’ di musica, e, da quanto ne seppi fu tanto entusiasta e soddisfatta.La sera prima della chiusura d’orario, vene dal centralino il piantone a chiamare il
Maresciallo Malavasi perché una “cugina” lo voleva al telefono. Questa parola
“cugina” ci fece tanto ridere che prendemmo in giro il Malavasi, e, quando questi
ridendo se ne fu andato si parlò del Maresciallo Muscariello, che anche questi doveva
avere la sua “cugina”, naturalmente come sempre origliava alla porta e quando io
lanciai un frizzo al suo indirizzo, si fece avanti e cominciò a chiedermi che cosa avevo
parlato di lui, perché, per che cosa. E così avanti, ma io seppi così bene destreggiarmi,
che alla fine si diede per vinto, e, così appena uscito si fece una risata alle sue spalle.
La sera di servizio lessi “Antonio Wilding” di R. Sabatini._____________ . ____________
87
19) La Fisica
Dio –
motore - perché muove tutte le cose con la sua perfezione
immobile - perché non compie alcun atto di volontà per far muovere
le cose
immoto - perché non è mosso dalle cose
quinta essenza o etere - ha movimento circolare e quindi perfetto perché non ha né
principio né fine
fuoco
aria
queste cose hanno moto perpendicolare e quindi
acqua
imperfetto perché ha fine e principio
materia inerte
La concezione dell’universo ha grande importanza nella filosofia di Aristotele
perché il suo tentativo di eliminare il dualismo platonico fa della natura il centro e lo
sviluppo di ogni possibilità di perfezione. Alla base del sistema del mondo materiale vi
è la materia inerte, cioè a dire senza capacità di movimento, poi vi sono per ordine di
leggerezza: l’acqua, l’aria e il fuoco; in questa parte della natura le cose si muovono
seguendo il movimento perpendicolare imperfetto poiché ha principio e fine.- Al di
sopra delle prime quattro essenze, vi è la quinta essenza o etere, più pura e più leggera
delle altre, in cui il movimento è circolare e quindi perfetto, perché non ha principio, né
fine.- Al di sopra della natura vi è Dio, motore immobile ed immoto che non compie
alcun atto di volontà per dare movimento alla natura, ma è pur sempre motore poiché
le cose contemplandolo sono attirate dalla sua perfezione.20) La Psicologia.- (dell’anima e perciò anche del pensiero e volontà).
Considerando la teoria gnoseologica e fisica del sistema di Aristotele è evidente che
studiare il problema dell’anima, significa dover arrivare ad una concezione dell’anima
del tutto differente da quella di Platone.
Difatti mentre Platone poneva l’anima come sostanza esistente nel mondo delle idee,
Aristotele, concependo tutto come una evoluzione continua, per cui la materia attrae la
propria forma, deve porre l’anima come un valore formale rispetto al corpo.In altri termini l’anima è la forma del corpo e tende al fine ultimo di diventare pura
razionalità. Questo non deve far credere che Aristotele si sia preoccupato solo
dell’anima umana; egli infatti considera in tutte le cose lo sviluppo tendente alla
razionalità che nell’uomo raggiungerà la sua forma migliore. Così egli pensa che alla
base di ogni processo spirituale vi sia la materia senza volontà che rappresenta uno
stadio iniziale; una forma successiva dell’anima è l’anima vegetativa che possiede solo
la volontà di assimilare, di crescere, poi a poco a poco di perire. Terza forma è quella
dell’anima sensitiva che possiede la capacità di sentire gli stimoli esterni (animali).
Quarta ed ultima forma è l’anima intellettiva capace di ragionare, di formare concetti,
di tendere alla conoscenza del mondo metafisico.88
Al di sopra di ogni capacità umana vi è Dio nella sua espressione di pura
razionalità.
Sempre nel binomio “materia-forma” e “potenza-atto”, deriva che l’anima per
Aristotele è mortale. Difatti se essa è lo sviluppo del corpo, alla disgregazione di
quest’ultimo deve anche essa disgregarsi.Dio – pensiero puro
Anima razionale (uomo)
anima sensitiva (animali)
anima vegetativa (piante)
materia senza volontà
Da quanto si è finora detto si può ricavare quale sia il concetto che Aristotele si è
fatto di Dio.Nella teoria della natura egli è il principio e la causa, anche se non volontaria di
ogni movimento; in quello dell’anima è invece il pensiero puro o la pura forma. E
poiché Dio non si può pensare nel tempo, ma “ab aeterno”, è evidente che egli è ed è
stato sempre una pura forma (sia esso motore immobile, sia pensiero puro) un atto
sempre identico che non è passato attraverso il processo che va da potenza ad atto.
Questa concezione di Dio è la fonte del dualismo aristotelico: infatti se a Dio è
sconosciuto il mondo (perché fatto di potenza ed atto) tra lui e il mondo non vi è alcuna
possibile identità, ma una netta distinzione. Così la filosofia metafisica di Aristotele,
che partiva proprio dall’esigenza di eliminare il dualismo platonico, finisce con
l’affermarlo in pieno._____________ . ____________
Giovedì 7 Novembre 1940 – XIX°. – Giornata solita quest’oggi. Sono rimasto
sino alle 11 di notte in Ufficio. Ho ricevuto una lettera di Ireneo. Si trova in Libia nelle
vicinanze di Bendasi. È in zona di guerra, eppure non si lagna. Bravo ragazzo è quello
lì. Io, invece, penso sempre alla mia Adele, e, più sere per scacciare la malinconia,
vado con Bruna o con la Farini. In questi giorni poi, che Adele è ammalata, sento un
dolore continuo alla testa, che alle volte mi fa male. Ho voglia di dormire e, quando la
sera mi metto in branda, non sono capace di prendere sonno. Così ogni sera; perciò, mi
perdo qui in Milano fino a tarda sera a scrivere, leggere e studiare. Passa così il tempo
triste e monotono in apprensioni ed ansie continue per i miei cari, mentre all’intorno
lungo i confini della nostra Italia, tuona il cannone.-
Venerdì 8 Novembre 1940 – XIX. – Questa sera, tornando dalla Zona verso le
22,30, sono stato per istrada sorpreso dall’allarme aereo. Appena le sirene hanno
cominciato a suonare si è verificato un fuggi fuggi generale. Come sempre, questi
milanesi hanno il coraggio nelle loro gambe. Mi divertivo a vedere fuggire quei “gagà”
che con le signorine dimostrano un coraggio collaudato al fulmicotone, mentre, quando
si tratta di dimostrarlo sul serio, allora avviene il bello. Taccagni, peggio degli ebrei, ai
denari danno tutta l’importanza; quel denaro maledetto, ch’io non posso vedere e che è
89
fonte di soprusi e di ingiustizie. Ed ecco perché Milano è una città industriale, più che
città oserei dire un lupanare, dove ogni industriale ha il suo nido di piacere, ed ogni
donna il suo nido d’amore, mentre la natura che gli diede la vagina per procreare, deve
guardare con stupore l’orrendo baratto che esse ne fanno, e più che organo creatore,
esso mi sembra una di quelle esclusività, tanto care all’industria milanese, fatta
appunto per succhiare il sangue delle vittime, vuotare portafogli, rovinare famiglie e
degradare al massimo il suo essere che è sempre indice di fragilità e di delicatezza. E,
quante cose ho visto in questa Milano, e, nel vedere correre tanto, tutta quella gente,
pensando a tutte queste cose, mi è venuto un risolino in bocca, perché so, che, quando
uno ha la coscienza netta e pulita non teme le cose materiali e gli atti degli uomini, né la
giustizia di Dio. Questo almeno lo penso io, e, lasciando che dinnanzi a me passassero
donne scalmanate per il panico, orrende nella loro maschera di cipria, di rossetto e
bistro, sconvolte dalle prime ore del sonno, pacifico, divagando su tutte queste, me ne
tornai placido e tranquillo al mio Presidio. Come nulla fosse, i miei camerati,
dormivano pacifici, col volto atteggiato al sorriso. Che contrasto fra il caos di quel
fuggi veduto poc’anzi. Là un frastuono, qui la tranquillità. Là il segno del mancato
dovere, qui quello del dovere assolto nel modo più bello e giusto, tanto più gioioso in
quanto si serve la Patria.-
Sabato 9 Novembre. Il mio compagno d’Ufficio, 1° Aviere Covelli, è andato in
licenza per 5 giorni. Suo fratello si sposa appunto oggi, così che, a me è stato
addossato tutto il suo lavoro, ma io non mi lagno, così passa il tempo più velocemente.
Ogni tanto però faccio qualche sbaglio: è un pensiero che rivolgo ad Adele, e, che mi fa
restare in ansia circa la sua degenza. Anche quest’oggi sono così stanco, ma non ho
voglia di riposare. La sera sono andato al Supercinema a vedere “La peccatrice” con
Paola Barbara. Un film che mi ha commosso veramente. Ah, il destino com’è crudele
con qualcuno! Povera donna, è stata tradita nella sua prima gioventù dal suo primo
amore. Posso dire, senza vergogna che ho pianto, ma il mio cuore piangeva ancora di
più per Adele, che forse in quel momento soffriva tanto inchiodata in un letto
d’Ospedale, da una ferita, forse infertagli da me, dal mio agire stupido ed insensato.
Adele mia, chissà perché non mi scrivi più, almeno potessi sapere cosa hai, ma nulla,
nulla, attendo, e le tue lettere non giungono mai. Me ne andai, così dal cine mesto ed
abbattuto. Andai per cercare di calmare la malinconia, e, invece, la rafforzai ancor di
più. È purtroppo così, quando si è lontani dai propri cari.-
Domenica, 10 Novembre 1940 – XIX. – Si trova quest’oggi a Milano il Principe
Umberto. Domani premierà i valorosi. Il pomeriggio, dopo aver invano atteso lettere da
casa e da Adele, andai all’Arena a vedere la partita Ambrosiana – Juventus. Tutto lo
stadio, immensa bacinella, era gremito sino all’inverosimile. C’era una folla enorme, ma
quando le squadre entrarono in campo non ci fu quell’entusiasmo che s’attacca ad
ognuno come una febbre. Silenzio, la folla stava in sospeso per l’esito della partita e,
quando questa ebbe termine con la vittoria dell’Ambrosiana della Juventus (?) un
90
leggero accenno di soddisfazione si levò dalle tribune centrali, e, questo perché la
Juventus era stata maestra di stile e superiore per tre quarti di tutta la gara. È questa
la delusione più amara provata in vita mia. – L’Ambrosiana a mio parere è una
squadra che val poco, ma che ha dalla sua la fortuna, e ciò conta molto. La sera, dopo
aver atteso invano Adele me ne andai con Bradicich al cinema “Garibaldi”, ma non vidi
nulla perché mi addormentai.-
Lunedì 11 Novembre 1940 – XIX. Oggi ricorre l’onomastico del nuovo Re; ha 71
anni. Il pomeriggio alle ore 17 montai da Capo Posto. La notte, (finalmente!) potei
dormire un po’! –
Martedì 12 Novembre 1940 – XIX°. –
Finalmente quest’oggi, dopo tanto tempo ho ricevuto una lettera da casa e che
lettera, un’assicurata con sessanta Lire. Cara la mia mammina, non mi importa tanto
per i soldi, ma per le gentili parole che essa mi scrive, dandomi consigli e parlando
della mia cara Adele. Con tutte quelle spese sostenute per mettere a nuovo la casa, mia
madre ha saputo inviarmi questo denaro, quanti sacrifici deve fare per me, ma saprò io
ricompensare questa mia madre che tanto ha sofferto e patito. Ed ora, mentre scrivo, mi
par di vedere ancora quella scena che non mi si potrà mai cancellare dalla mia mente,
in cui, credevo che mia madre spirasse. È una di quelle visioni che non si possono
scordare tanto presto, e sempre mi par di vedere l’acre e denso fumo, sprigionatesi dal
bagnetto che serviva a ricciolino e da cui sprigionatasi l’asfissia, e, con questa la morte.
Mia madre lì in terra, moribonda che implorava aiuto, ah, che giorno quello, e come da
allora, sono passate le giornate monotone per me alleviate soltanto dalle lettere di
Adele. Ora, è essa che sta male, la mia Adele, e, forse in questo stesso momento, mentre
io scrivo essa inchiodata su di un letto soffre le pene dell’inferno, ma guarirà e come
guarirà, e, intanto nell’attesa di ricevere sue notizie che mi caccino via i tristi pensieri,
pregherò per lei e per la sua pronta guarigione. A mia madre risposi dicendole di non
viziarmi troppo inviandomi tanto denaro e, la sera, non sapendo cosa fare mi misi a
leggere un romanzo di Greville: “La via dolorosa di Rissa”. – La sera stanco del
servizio andai dopo tanto tempo a dormire di buon’ora: erano le 21.(Qui finisce il secondo quaderno di diari, dal quale mancano le ultime pagine: gli
scritti si interrompono a pag. 1242; il terzo quaderno esordisce a pag. 1319 con i
sunti di filosofia, e il diario riparte dal 3 dicembre 1940 – n.d.t.).
34) La filosofia dei francescani: S. Bonaventura.- Già dall’esposizione della
polemica degli Universali si è dovuto comprendere che la scolastica si orientò verso due
opposte concezioni della vita. Una di indirizzo più particolarmente mistico e l’altra
invece tendenzialmente razionalistica. Questo accadde per influenza che a volte ebbero
sui pensatori del tempo la filosofia mistica dei neo-platonici e di S. Agostino o quella
di ispirazione aristotelica.91
Platone ed Aristotele già nel primo periodo della scolastica sono tornati in onore
studiati attraverso le traduzioni portate in Europa dagli Arabi e scovate nei conventi; e
in certo senso si rifà di loro quell’esame che la filosofia neo-platonica aveva fatto. Ora
però l’esame non è più fatto in base ad un concetto indefinito di religiosità, ma in base
ai ben definiti principi del cattolicesimo, e da qui nasce il problema che sarà poi risolto
da S. Tommaso: diffondere cioè in un unico sistema le conclusioni della filosofia antica
e la filosofia cristiana.
Le opposizioni fra fautori del pensiero aristotelico e quelli della filosofia platonica
si concretizzarono nella lotta svoltasi fra i due maggiori ordini monastici del MedioEvo: Francescani e Domenicani.
I Francescani derivavano da una concezione mistica della vita, da una tradizione
ascetica, quindi erano portati a vedere Platone (sopra tutto nella interpretazione che ne
avevano fatto i neo-platonici), come un modello ottimo cui ispirarsi nella formazione di
una filosofia cattolica. Essi avevano come centro di azione e di studi l’Università di
Oxford in Inghilterra.I Domenicani possedevano invece l’Università di Parigi e si ispiravano alla
filosofia di tendenza più spiccatamente intellettualistica di Aristotele. Naturalmente
dovendo restare sul dogma, si facevano della filosofia aristotelica solo una base
negandone l’immanentismo e l’immortalità (leggi: mortalità, n.d.t.) dell’anima e
lasciando intatta la concezione dualistica della Chiesa, facendo della fede il mezzo
supremo di conoscenza. Vedremo poi come S. Tommaso risolverà i problemi derivati da
queste premesse obbligate. Gli scrittori di ispirazione mistica invece più facilmente
caddero nell’eresia, in quanto il misticismo sul quale si fondava la loro dottrina, li
portava molto spesso a fare a meno dell’autorità della Chiesa.La filosofia dei Francescani si svolse in piena fioritura della Scolastica fra i secoli
XII° e XIV°. – Il più grande rappresentante dell’ordine fu Giovanni Fidanza che prese il
nome di Bonaventura, e che si riallacciò alla filosofia di Sant’Agostino sviluppandone
l’aspetto mistico.
Per Bonaventura come in Sant’Agostino nell’uomo si può leggere come in un libro la
presenza e la rivelazione della Trinità. Dio si esprime nella creatura per tre gradi e
modi.
Per modum vestigi, per modum immagini, per modum similitudinis.
Questi tre modi sono le tappe per mezzo delle quali l’uomo riesce a salire dalla
primitiva materialità alla somiglianza di Dio. Essi formano insomma la via per salire
a Dio (itinerarium mentis in Deum, è infatti il titolo dell’opera principale di
Sant’Agostino).Il vestigio è in tutte le creature, esso è come l’impronta visibile delle creazioni, da
questo primo punto per mezzo delle facoltà intellettive l’uomo riesce ad avere in sé
l’immagine, il riflesso di Dio, ed infine soltanto le creature più ricche di virtù e di
sentimento riescono a somigliare a Dio, ed essere simili a lui.-
92
Come si vede Buonaventura pone le facoltà mistiche al di sopra di quelle
intellettuali e, come S. Agostino, fa di esse l’unico mezzo per raggiungere la
perfezione.____________ . ___________
Sognando a Mestre.
a.
Guardando l’acqua vestre
Come un album bello
Vedo la pura Mestre
Che chiude in suo avello
Un volto bello e santo
Con occhi belli e puri
E ognun ne mena vanto
Porgendole gli auguri
Da quando è arrivata,
Mestre è rinata
Gioia e vitalità
Ha ridato alla città.
Scrissi questa poesia per la mia Adele il 18 dicembre 1939. Un anno fa. Da Padova
se n’era andata a Mestre. Per Padova avevo scritto una poesia che lodava questa città
in cui Adele era stata per pochi giorni, e, che la riportai nel mio 2° volume di questi miei
scritti e ricordi, poi un giorno ricevetti una sua lettera che mi faceva sapere ch’era a
Mestre, ed ecco scrivere una poesia che loda in parte Mestre, ma che è più un inno alla
mia bella. – I tempi di allora erano uguali a quelli di oggi: vivevo per lei e la sua
visione era il pane bianco che mi nutriva l’anima. Ora sono di nuovo lontano da lei, sto
egualmente male come stavo allora, ma con me soffre anche essa. Infatti la mia
povera Adele, (si trova nella mia città natale che mi ha dato tante sofferenze e tanti
dolori eppure l’amo tanto) soffre per la recente sua operazione ed un po’ anche per la
mia lontananza. Che differenza e che capovolgimento di situazioni. Un anno fa io a
Fiume a soffrire, ed ora la mia Adele, ma Fiume cara città mia perché ci fai tanto
soffrire? Anche da qui lontano il tuo figlio che ti dovrebbe maledire per il male che gli
hai fatto, ti ama e questo amore viene dal dolore ed ancora più perché in te racchiudi la
mia speranza che come una fiaccola arde nelle tue mura: Adele. Una volta spenta, per
me non ci sarà più speranza perché tutto all’intorno a me non vi saranno che tenebre,
tenebre, nient’altro che tenebre.
_______________ . _______________
93
35) La filosofia araba: Avicenna e Averroè.- La conquista della Spagna da parte
degli Arabi se fu un male perché rappresentò per un certo periodo una sconfitta
dell’Occidente di fronte all’Oriente, d’altra parte apportò molto bene in quanto fu
l’incentivo a rinnovarsi di alcune forme di cultura che si erano staccate dall’occidente
durante i secoli precedenti: soprattutto la filosofia greca con le sue espressioni classiche
era stata molto curata in Oriente mentre in Europa essa era giunta soltanto attraverso
le interpretazioni patristiche.La conquista della Spagna mise in contatto le due culture in modo che intorno ad
esse poté discutere e studiare la filosofia scolastica. Fra i più importanti filosofi degli
Arabi in Spagna, vi furono Avicenna ed Averroè, interpreti e traduttori delle opere di
Aristotele, i quali naturalmente vollero portare nella filosofia una tendenza assoluta
dell’intellettualismo sugli elementi mistici e dogmatici della scolastica. In verità la
Scolastica stessa non poteva limitarsi ad una sistemazione fideistica della realtà, ma
doveva porsi necessariamente il problema di una fusione dei due metodi, fusione che
diventava infine una amalgamazione fra la filosofia greca e quella cristiana.
Averroè volle apparire un semplice interprete di Aristotele: viceversa la sua
interpretazione da un lato falsa in taluni elementi la filosofia aristotelica, dall’altro
tenta una sistemazione originale di altri elementi non sfuggendo l’influenza della
filosofia neo-platonica.
Per Averroè l’intelletto si distingue in due parti: intelletto attivo che è capace di
formare concetti e sillogismi, insomma di ragionare, e intelletto passivo che ha
soltanto la capacità di ricevere in sé l’intelletto attivo. L’uomo ha soltanto l’intelletto
passivo, mentre quello attivo è di Dio; Dio stesso dà all’uomo, come per una
folgorazione parte di questo intelletto (cioè lo pone volta a volta in condizione di
pensare). Di conseguenza non esistono né intelletto, né anima individuale, ma una sola
anima in possesso di Dio.
Questa concezione era naturalmente contraria allo spirito stesso del cattolicesimo
che difatti si basa sull’immortalità dell’anima individuale e sulla sua sopravvivenza
nel mondo di là ove ciascuna avrà il premio o la pena a seconda che in vita abbia fatto
il bene o il male. Secondo il concetto di Averroè invece, essendovi un solo intelletto
universale (o anima) non esiste più la capacità individuale del libero arbitrio. Per
queste conseguenze la filosofia di Averroè sarà ripresa e criticata da S. Tommaso che
pure partì da Aristotele nel creare il suo sistema di filosofia cattolica.
36) La Filosofia dei Domenicani: S. Tommaso.- La filosofia dei domenicani trova
il suo maggior esponente in S. Tommaso d’Aquino, nato nel 1225 e morto nel 1274. le
sue opere fondamentali sono: “Summa contra gentiles” e “Summa teologica”.Nella grande lotta tra i mistici e gli intellettualistici, Tommaso, pur appartenendo
ai secondi si solleva al di sopra della lotta in quanto nel suo sistema egli fonde tutti i
motivi riuscendo a trovare il punto di contatto fra le opposte teorie e ad assorbire nel
pensiero cattolico i frutti della speculazione greca. La filosofia tomistica è di
ispirazione aristotelica. Essa parte dalla critica al pensiero dei filosofi arabi, i quali,
94
negando un valore attivo all’intelletto umano finivano col negare l’anima individuale.
Per Tommaso la conoscenza non avviene in seguito ad una illuminazione divina, ma
parte dalla sensazione; i sensi infatti, ci fanno conoscere in essi elementi concettuali ed
intellettuali.- Ora, perché l’intelletto compia questa funzione conoscitiva è necessario che
esso sia perfettamente individuato e perciò vi sono tanti intelletti (o anime) per quanti
soggetti conoscenti vi sono. Ma seguendo la filosofia aristotelica si sarebbe dovuto
concludere con il considerare l’anima mortale, cosa impossibile per un pensatore
cattolico. Difatti Tommaso sostiene che l’anima è immortale in quanto essa supera di
tanto per potenza il corpo da non dipendere da esso, e quindi, quando questo muore,
l’anima resta.Secondo il sistema aristotelico l’anima è distinta in tre parti: l’anima vegetativa,
l’anima sensitiva, l’anima razionale. S. Tommaso mantiene la distinzione però,
attribuisce le prime due forme all’evoluzione della materia, mentre la terza, quella
razionale, è dovuta a Dio, che la concede agli uomini quando nascono.
Fra l’anima intellettiva (o logica) e quella pratica (o morale) l’attività speculativa
è superiore a quella pratica, in quanto la conoscenza del bene e del male è una
funzione speculativa e non morale.Passando dall’individuo alla conoscenza dell’universo Tommaso sostiene che al di
sopra di tutte le cose vi sono le sostanze angeliche, puramente razionali; l’anima è
l’ultima di queste sostanze e la prima sostanza mondana perché congiunta con il corpo.
Al di sotto vi sono tutte le altre sostanze materiali. Tutte le sostanze derivano da Dio,
ma non per un processo emanentistico, bensì per una creazione spontanea della
suprema intelligenza: per questo appunto tutte le creature hanno in sé le stigmate del
creatore, ed è guardando in loro che si ha la rivelazione di Dio. Il concetto di Dio è il
punto più alto in cui si possa arrivare con la mente umana, ma per quello che riguarda
gli attributi e le funzioni del mondo divino la filosofia non è più adatta e deve perciò
affidarsi alla teologia che non agisce più per capacità di intelletto, ma per forza di
fede.37) Ultime forme e decadenza della Scolastica.- Con la filosofia tomista la
Scolastica raggiunge la formazione di un saldo sistema, e la sua più alta espressione.Il periodo seguente entra in piena decadenza né è più capace di conseguire altre
conquiste, le dispute diverranno infinite e cavillose, spesso si cade nell’eresia.Di buono vi è la rivelazione di una nuova esigenza dei tempi i quali tendono ad uno
studio più scientifico dell’uomo e della natura indipendentemente dai dogmi della
Chiesa. Si ha così il tentativo di una ricerca scientifica da parte di Ruggero Bacone,
inglese, il quale finì per essere incarcerato sotto l’accusa di magia. Anche Guglielmo
Occam può essere considerato un precursore del pensiero moderno ed infatti, difendendo
le tesi del nominalismo, cioè a dire del concetto considerato post-rem, sosteneva che le
cose non vanno dedotte dai principi universali, ma considerate nella loro particolare
individualità, quindi indipendentemente da ogni dogmatica scolastica.95
A questo punto la filosofia della Chiesa comincia a perdere terreno di fronte al
pensiero laico sempre più diffuso e più libero, sicché si preannunzia chiaramente
l’avvento del pensiero umanistico.______________ . ______________
Martedì, 3 Dicembre 1940 – XIX°. - Giornata triste quest’oggi per me. Uno
strano senso di malinconia e di abbattimento morale mai provato sino ad ora. Ero così
pensieroso d’altronde che sbagliai quasi tutte le lettere che mi dettero a scrivere.
Pensavo tanto ad Adele, e mi sembrava che la lontananza fosse troppa ed incolmabile
e che non dovremmo rivederci più. A mezzogiorno poi, quando si consumava il rancio,
chiuso nel refettorio, tanto oscuro, mi veniva voglia di piangere. I muscoli della faccia
si tendevano sforzando così il mio coraggio a non piangere. Masticavo i bocconi di pane
con rabbia, pensando ai miei cari ed alla mia Adele, ed ogni tanto mi affiorava un
dubbio: “Certo non la rivedrò più.”. I miei camerati, invece facevano un baccano del
diavolo, e fu questo baccano che mi condusse alla realtà. Allora mi rimisi il cuore in
pace pensando: “Finché c’è vita, c’è speranza.”. Così il pomeriggio il mio umore nero
s’era alquanto cambiato. Ricevetti nel pomeriggio una lettera di mio padre, che posso
dire, mi lasciò indifferente, perché da un lato mi dice di volermi bene e dall’altro che
vuol lasciare la casa. Se veramente mi vorrebbe un po’ di bene ritornerebbe a casa, ma
invece, si vede che parla così per dire qualcosa. La sera andai al teatro “Dal Verme” a
vedere il film “L’assedio dell’Alcazar” ed uno spettacolo di varietà. Il film mi è
piaciuto. Lo spettacolo invece ha fatto pietà. Tornati fuori, nell’oscurità abbiamo preso
la corriera “CS” invece di prendere la “P” che ci conduceva al presidio, e così abbiamo
rischiato quasi di andare ai “topi”. E, la giornata che s’era iniziata piuttosto
malinconicamente finì allegramente.-
Mercoledì 4 Dicembre 1940 – XIX°. – Una di quelle solite giornate monotone ed
anguste che si passano sotto le armi è stata quella di oggi. Il tempo non passava mai.
Cominciai a leggere la “Certosa di Parma” dello Stendhal e, così passò in parte la
giornata. La sera andai a fare un giretto per la città tanto per mettere un po’ in moto il
corpo. L’aria fredda agghiacciava le mani, il naso e le orecchie, ma io non ci badai
tanto. La sera andai giocondo e un po’ stanco in letto.____________ . ___________
38) L’Umanesimo.- La filosofia scolastica aveva raggiunto con San Tommaso il
suo scopo: creare cioè il sistema filosofico che esprimesse i principi della Chiesa senza
escludere, peraltro, l’esperienza del pensiero greco e di quello ellenistico. Nel tomismo
(filosofia di San Tommaso) queste esigenze infatti sono realizzate, in quanto vi si
fondono gli elementi logici e quelli mistici. Però lo spirito della scolastica era
necessariamente improntato ad una concezione dogmatica ed autoritaria, che non
permetteva una libera interpretazione dei vari problemi, ma legava alla concezione
infallibile ed inappellabile della Chiesa; orbene, se tale atteggiamento è coerente con la
96
dogmatica cattolica, è d’altra parte contrario allo spirito stesso dell’uomo, il quale con eterna inquietudine – cerca di conoscere e di sapere. E difatti in contrasto con questi
principi autoritari, già si era avuto in pieno medio-evo qualche tentativo basato sul
libero studio della natura e sulla libera valutazione dei problemi morali. Così Ruggero
Bacone aveva iniziato la ricerca scientifica secondo il metodo empirico di Abelardo
aveva posto in dubbio la verità stessa dei dogmi nel suo volume: “Sic et non” ponendo
sullo stesso piano di discussione sia gli argomenti favorevoli ai dogmi, sia quelli
contrari e lasciando al lettore la briga di rispondere e di decidere. La verità è che ormai
il pensiero andava reagendo all’eccesso dogmatico della filosofia scolastica, tentando
una interpretazione originale ed una rielaborazione dei vari problemi filosofici. Questo
processo si realizza attraverso il pensiero umanistico, il quale facendo rinascere allo
studio dei classici e dei pensatori greci finora conosciuti, soltanto attraverso le
deformazioni del pensiero arabo, ebbe la possibilità di intravedere il mondo naturale e
quello spirituale attraverso una luce non più ascetica, ma veramente viva e vitale. Il
mondo non apparve più come una valle di lagrime, ma come uno dei tanti elementi posti
da Dio innanzi all’uomo perché questi lo studi, lo conosca e lo domini: nasce così il
naturalismo, che cerca nella realtà naturale le leggi ed il significato dell’universo.- È
che in un primo periodo non poteva esservi una visione originale, soprattutto perché il
nuovo pensiero era talmente permeato di quello degli scrittori greci, da essere soltanto
una ripetizione o tutt’al più un tentativo di interpretazione.L’ammirazione fu tale che si fondarono dei gruppi e delle Accademie dedicate allo
studio particolarmente dell’autore preferito: si ebbe così l’Accademia Platonica di
Firenze (retta) da Marsilio Ficino, quella di Pomponio Leto a Roma, e l’Accademia
Pontoniana a Napoli.Ad ogni modo anche questo periodo di imitazione ebbe una sua grande importanza,
poiché divulgò nel loro testo originale le opere fondamentali del mondo greco-latino, e
mise gli studiosi in condizione di poter effettivamente considerare il valore che il mondo
greco-romano lasciava alla personalità, pur facendo rispettare l’autorità sia dello
stato, sia della fede.- Nasce così attraverso un contrasto tra i seguaci di Platone e
quelli di Aristotele, il duello tra personalità ed autorità, duello che sboccherà
finalmente nel pensiero moderno. Bisogna però considerare che il pensiero del periodo
umanistico e poi di quello rinascimentale, non fu mai una netta opposizione al concetto
di autorità sia politica, sia religiosa, anzi il tentativo fatto dai nostri pensatori nasceva
proprio dall’esigenza di armonizzare e di equilibrare i due valori opposti dell’autorità
e della personalità universale. Sarà nel mondo germanico che questi problemi, non
risolti per varie circostanze contingenti, di carattere storico dalla filosofia italiana,
troveranno l’interpretazione individualistica ed antiautoritaria.
Ad ogni modo resta ben chiaro che il periodo umanistico, portando alla conoscenza
del mondo classico, del suo modo di concepire la vita, delle sue conquiste nel campo del
pensiero genera una reazione in senso anti-dogmatico nella società studiosa del tempo.
Il pensiero è riconosciuto come una forza formidabile per cui l’uomo può pervenire non
solo alla conquista della natura, scoprendone le leggi, ma anche alla scoperta della
97
verità filosofica. Per conseguenza è a questo movimento che si devono far risalire due
caratteristici orientamenti del mondo moderno: l’amore per la ricerca scientifica e la
libertà di pensiero.____________ . ____________
Giovedì, 5 Dicembre 1940 – XIX°.- Questa mattina, mi sono deciso finalmente a
scrivere a mio padre. Gli ho scritto una lettera tutta in poesia e credo che si cambierà.Ricevetti nel pomeriggio una lettera di mamma, che si lagna tanto di mio padre. Io
le scrissi una lettera che certo le piacerà tanto e le darà un po’ di conforto. La sera
andai al Dopolavoro del Corso Sempione a udire un po’ di musica alla radio.-
Venerdì 6 Dicembre 1940 – XIX°.- Oggi ricorre la grande festa di S. Nicolò che
da noi viene celebrata regalando dei dolci e dei ricordi ai propri cari. Volevo fare un
regalo al mio nipotino, ma non avevo denari. Ho ricevuto però un regalo più gradito di
qualunque altro: una lettera di Adele. Come mi fanno bene queste sue lettere, anche se
sono falsate da un certo abbattimento morale. Sento che avrebbe tanto bisogno di un mio
consiglio. Io le ho risposto come al solito. La sera sono andato al teatrino dell’Azione
cattolica a far la prova d’un concerto.
__________ . __________
39) La pedagogia dell’Umanesimo(s. XV°)
Anche nel campo dell’educazione l’umanesimo e il Rinascimento portarono nuove
concezioni in antitesi con il mondo scolastico.
L’individuo è più libero e comincia a considerare come un dovere l’educazione della
propria personalità: l’autocoscienza del Campanella è una conquista non solo nel
campo filosofico, ma anche in quello pedagogico. L’antitesi è anche qui fra autorità e
personalità, fra tradizione che dovrebbe impedire uno sviluppo eccessivo del principio
di personalità e di libertà e la nuova concezione della vita che tende alla spontanea
formazione dell’individuo. Nascono di qui due opposti metodi di insegnamento, che si
scontrano soprattutto nel periodo della controriforma. I più importanti pedagogisti del
periodo umanistico sono Paolo Vegerio che sostiene il valore educativo dell’azione come
formatrice dello spirito e si opponeva alla vita contemplativa; Guarino da Verona che
si può considerare l’inauguratore dei Convitti; Matteo Vegio, autore dell’opera
“Dell’educazione dei fanciulli e dei loro buoni costumi”, nella quale il principio
fondamentale può essere questo: che il sapere e la virtù si acquistano spontaneamente
per mezzo della propria attività e razionalità. Superiore a tutti questi fu Vittorino da
Feltre (1378-1448). Egli insegnò nella Casa Giocosa di Mantova, ove fu prima
precettore ed educatore del figlio del Duca e poi instaurò una vera scuola cupa ma
serena, decorata con pannelli che rappresentano fanciulli in atto di giuocare. Questo
perché Vittorino pensava che la scuola non deve essere una mortificazione, ma una
gioiosa fusione di cultura fisica e mentale, di studio e di azione; il giuoco stesso è un
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mezzo di educazione.- In questa fusione si realizza quel motto che poi sarà
fondamentale: “mens sana in corpore sano”.Nella Casa Giocosa, Vittorino da Feltre si confondeva con gli alunni, li studiava, ne
esaminava il carattere e le aspirazioni, prevalendo (?)(probab. “pervenendo”, n.d.t.)
così alla moderna concezione dell’insegnante che deve educare lo spirito e non dare la
forma esteriore di una educazione e di una cultura superficiali. Fra i principali
pedagogisti di questo periodo vano ancora ricordati: Jacopo Sadoletti e Baldassare
Castiglioni.
Il primo sostenne la necessità di insegnare, prima e più del latino la lingua
materna, più spontanea e più adatta a suscitare e sviluppare le spiritualità del
ragazzo; il Sadoletti fu anche il primo a vedere la necessità di educare le donne al pari
dell’uomo. Il Castiglioni fu famoso per il suo libro “Il Cortigiano”, però più che un
vero valore pedagogico, l’opera ne ha uno storico in quanto espone i costumi e le
attitudini delle Corti del tempo. Infatti egli spiega ed insegna come un cortigiano debba
comportarsi a corte.
Ma l’Umanesimo ben presto degenerò in un formalismo esteriore, lontano da una
educazione veramente profonda, capace di formare la coscienza. Fra coloro che si
opposero a questo impoverimento dello spirito educativo umanistico sono: Erasmo da
Rotterdam, Francesco Rabelais, Michele Montagne.Erasmo da Rotterdam scrisse: “Metodo di studio” – “Educazione liberale dei
fanciulli” – “I Ciceroniani”. In queste opere egli condannò i mezzi violenti di
educazione, le punizioni eccessive, le mortificazioni che si impongono alle menti con
l’abuso dello studio a memoria.Più violento di lui fu Rabelais il quale nell’opera: “Gargantua e Pantagruel” pose
in berlina la educazione scolastica priva di un metodo inteso a suscitare la coscienza
del ragazzo educandone la natura, il carattere, le inclinazioni. Anche se il Rabelais
esagera nei programmi che vorrebbe fossero insegnati, egli ha il grande merito di
muovere (leggi: “promuovere”, n.d.t.) nell’insegnamento l’osservazione diretta e la
sincerità, al posto del noto formalismo e della cultura aridamente sillogistica.
Sostanzialmente il Montagne nei suoi “Saggi” espone le stesse cose ed i principi stessi
del Rabelais: egli voleva che l’educazione fosse estesa alla qualità più che alla
quantità e fosse frutto di esperienza piuttosto che di lettura: egli proponeva metodi di
educazione per lo più efficaci, perché vivi ed immediati come la diretta osservazione
delle cose che ci circondano.__________ . __________
Sabato 7 Dicembre 1949 – XIX°. Ricorre quest’oggi la festa del patrono di
Milano: S. Ambrogio. Abbiamo perciò lavorato la sola mattinata. Il pomeriggio sono
andato con Bruno all’Aeroporto di Taliedo a trovare il nostro ex compagno di
reclutamento Pukar. Siamo poi andati a girare per Milano o per meglio dire verso la
parte orientale, passando per il grande viale Abruzzi. Arrivati a Porta Ticinese,
abbiamo preso la vi(a) Mulino delle Armi recandoci alla fiera di O-Bei-O-Bei. Più
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che fiera si potrebbe dire un deposito di cianfrusaglie, poiché vi si trovano tutti i
rimasugli dalle ferruginose ai dischi d’età arcaica e primordiale. Abbiamo tanto riso
passando in rassegna tutte quelle cianfrusaglie; persino chiodi vecchi, ritorti e
arrugginiti venivano sottoposti all’occhio del cliente per essere venduti. Inutile poi far
sapere che avevamo anche un po’ di fame, e che dopo aver girato tanto, in una trattoria
che fu quasi una scoperta (le trattorie qui a Milano sono come delle colonie di
saccaromiceti marini: in una via ne trovi una accanto all’altra, in un’altra non ne sei
capace di trovarne una sola malgrado che il fiuto e la fame ti dia l’orientamento di un
punto cui puoi trovare da mangiare) dovemmo uscire con la bocca asciutta, perché era
sabato, e in questo giorno, a quanto ci ha fatto sapere l’ostessa si mangia poco, per non
dire nulla, causa il razionamento. Non per nulla scoraggiati andammo all’attacco di
una latteria, ma come prima per la trattoria, così ora per la latteria abbiamo dovuto
girare un bel po’, finché come Dio volle trovammo qualcosa da mettere in bocca. Così un
po’ sazi e dopo aver riso un po’ ai racconti di Pukar, io e Bruno ci siamo recati al
“Supercinema” a vedere “Ombre rosse” e la Compagnia di Varietà di Memè Bianche.
Il film non mi è piaciuto tanto, ma la Varietà mi ha entusiasmato. L’orchestra
magnifica mi ha fatto passare un’altra bella mezz’oretta, e così, soddisfatto della
giornata passata me ne tornai contento al Presidio.
__________ . __________
40) La riforma e la controriforma.- L’umanesimo italiano, pur sostenendo, come
abbiamo visto, la rivendicazione della personalità di fronte all’autorità scolastica, non
era mai uscito dai limiti di un intimo equilibrio tra autorità e personalità. Anche la
filosofia della natura (o naturalismo) consistente nella ricerca dei principi e delle leggi
naturali liberamente studiati ed interpretati non si può considerare come una aperta e
totale reazione al mondo scolastico. Anche qui il programma è lo stesso, porre cioè
l’individuo non più come elemento passivo di fronte alla verità definitiva della Chiesa,
ma come interprete cosciente e libero della realtà immanente e di quella trascendente.Insomma, l’uomo acquista una libertà di vedute che rafforza e sviluppa il senso della
sua individualità. Ma quell’equilibrio che il mondo latino cercava, fu annullato
dall’opera della riforma luterana. Lutero proveniva dall’ordine degli agostiniani
quindi in lui si amalgamavano i valori mistici, propri della dottrina di Sant’Agostino e
quelli individualistici derivanti dal neo-platonismo.
Di fronte al nuovo atteggiamento del pensiero, Lutero, portando agli estremi il
contenuto intellettualistico della sua preparazione, arrivò ad una esasperazione del
misticismo, considerando l’uomo singolo capace di interpretare liberamente la parola di
Dio e di arrivare ad ottenere la rivelazione.- Secondo la dottrina luterana la Chiesa non
ha alcuna autorità per imporre la propria interpretazione dei libri sacri a tutti i fedeli;
le opere (indulgenze, elemosine) non hanno alcun valore; per quanto riguarda la
salvezza dell’anima basta soltanto la fede; l’individuo interpreta liberamente da sé il
pensiero e la volontà di Dio; i sacramenti non hanno valore eccettuato il Battesimo e
l’Eucarestia.100
Per mezzo delle preghiere e della elevazione mistica l’uomo riesce ad uscire dal
peccato ed a essere degno della eterna salvazione.Come si vede, mentre parrebbe che la elevazione mistica della(?) fosse il punto
essenziale del sistema luterano, in fondo la sua molla principale è l’individualismo; ed
a tanto si è pervenuti non solo per effetto di slancio mistico, ma anche di razionalismo.
L’uomo è dunque libero di scegliere la sua fede, libero di lottare fra il bene e il male.
Ma anche in Lutero, come in S. Agostino si combatte il dilemma fra libero arbitrio e
“servo arbitrio”; difatti nel pensiero luterano vi sono già degli elementi confusi che
fanno pensare ad una idea della predestinazione (la teoria per cui si pensa che gli
uomini siano predestinati chi al bene e chi al male) pur restando l’individuo
responsabile della propria vita morale.
La teoria luterana fu esasperata in Svizzera da Zwinglio il quale sostenne che
l’uomo non riesce mai a salvarsi in quanto è predestinato al bene o al male; Calvino,
altro riformatore sostenne infine che fare il male o il bene non ha nessun valore rispetto
alla salvazione dell’anima, ma è soltanto un sintomo per mezzo del quale l’uomo
conosce i termini della sua predestinazione. La teoria religiosa di Calvino non fu tanto
importante, quanto l’applicazione politica che egli volle darle.- Difatti Calvino
organizzò a Ginevra il primo stato democratico basato sull’elezione dei governanti scelti
nell’ordine dei predicatori: però questo stato ebbe un’impostazione così
esasperantemente (leggi: “esasperatamente”, n.d.t.) confessionale, che divenne una vera
tirannia religiosa. Come abbiamo detto, la libertà di pensiero ha la sua origine nella
rivoluzione luterana; quindi la pedagogia che deriverà da questo indirizzo sarà basata
non più sugli elementi scolastici, ma sulla formazione della coscienza individuale della
libertà personale.
La riforma luterana mise in serio pericolo la salvezza della Chiesa Cattolica che fu
costretta a correre subito ai ripari: il movimento che derivò da questa azione fu detto
controriforma.Bisogna però considerare questo: mentre la riforma fu un vero movimento
rivoluzionario, la controriforma ebbe un carattere nettamente tradizionale, non privo di
un certo senso del progresso (leggi: “processo”, n.d.t.) di adattamento ai tempi.La dottrina non fu toccata, né poteva esserlo, non potendo cambiare ciò che derivava
dalla Rivelazione Divina; perciò la Chiesa si orientò sempre più verso il pensiero
tomista, facendone la sua filosofia ufficiale. Fu invece realizzato un vasto movimento
per riportare l’organizzazione ecclesiastica all’antico senso di purezza, di spiritualità,
di sacrificio. Pertanto furono rinsaldati i vincoli di disciplina nella gerarchia e fu
sempre più rafforzata l’autorità del papa. Per quanto fu possibile si tentò di limitare
l’attività e l’importanza della cultura laica eterodossa (opposta a ortodossa) a favore
del pensiero perfettamente ortodosso.
Fra gli ordini monastici di missionari e di predicatori sorti in questo periodo, quello
più importante fu l’ordine dei Gesuiti, fondato da Ignazio di Lojola, il quale aveva
come unico scopo quello di rafforzare l’autorità del papato e si dichiarava agli ordini
101
personali del Papa. Vedremo a suo tempo quali furono i principi pedagogici di
quest’ordine.__________ . __________
Domenica 8 Dicembre 1940 – XIX°
Bellissima giornata, ma fredda.- La mattina sono andato a fare un giretto fino
alla piazza del Duomo. Il pomeriggio invece sono stato alla Società di Azione
Cattolica. Qui ho giocato un po’ alla pallacanestro e poi, dopo aver assistito alla
celebrazione della S. Messa siamo andati al teatrino. In verità dico che alla
benedizione sono stato presente in corpo, ma non ispirito (leggi: “in spirito”, n.d.t.).
infatti io ho fatto tutto, meno che pregare. E, come avrei potuto pregare se provavo una
strana antipatia per quel rito ambrosiano di cui non sentivo si può dire il suo
significato. M’avevano dato un libretto, per seguire la funzione, ma io non ho fatto che
guardare i quadri, le statue, le pitture, la volta, l’altare, insomma, in una parola tutto
ciò che vuol dire arte per vedere se l’arcano artista, con il suo stile potesse avvicinarsi a
qualche celebre maestro. Ho veduto in alcuni quadri affacciarsi lo stile del Giorgine e
della scuola classica, ma, in quasi tutti i quadri si intravvedeva lo stile della scuola
lombarda. La Chiesa in cui si eseguiva la cerimonia era quella dell’Immacolata
Concezione, nel rione di Porta Garibaldi. In questa occasione prestarono giuramento gli
“allievi”. Gli “aspiranti” e gli “effettivi” (chi sono e chi fossero, non so e non mi piace
saperlo, perché non m’hanno mai fatto nulla). Finalmente dopo la cerimonia ci
recammo al teatrino per eseguire il concertino. Io suonavo il violino e facevo la parte di
secondo. Degli altri che suonavano con me l’unico di cui mi ricordo è il nome del
pianista, certo Brivio, giovane con un paio di occhiali e portato tutto per la musica.
Questo è stato l’unico musicista che m’ha fatto una bella impressione, specialmente
nella “Danza Ungherese” di Liszt.- Al concertino abbiamo eseguito l’ “Ave Maria” di
Schubert, la “Sinfonia del Nabucco”, la “Marcia Turca” di Mozart tolta dall’op. 4
“Il volo del calabrone” di Rimsky Korsakov e diverse marcette. Alla fine del concerto,
mi dettero una busta; più tardi l’aprii erano dentro venti Lire. Poche è vero, ma per un
militare queste vogliono dire molto. “Così”, pensai fra me, “non occorrerà che ne chieda
a mia madre”. E posso dire che una grande gioia si impadronì di me. Ci fu poi una
piccola farsa. La “piccola Adele” era venuta a udirmi; l’accompagnai a casa. Era
tanto contenta per avermi veduto suonare. Andai poi al cinema “Augusteo” a vedere il
film: “avventura coraggiosa”. Un posto era vuoto vicino a me, alla mia destra, mi
sembrava avere la mia Adele Moro accanto a me.__________ . __________
41) La filosofia del Rinascimento – Cusano – Pomponazzi – Telesio – Bruno –
Campanella .La filosofia del Rinascimento sviluppa i caratteri di quella umanistica in sistemi
che man mano si definiscono secondo principi contrari alla scolastica ed al suo
dogmatismo. Aristotele acquista un’influenza sempre maggiore tanto che il primo
102
sistema di qualche importanza in questo periodo (quello di Pomponazzi) è di diretta
ispirazione aristotelica.Piero Pomponazzi nel suo lavoro “De immortalitate animae” sostiene che l’anima
non può essere indipendente dal corpo e che quindi ne deve subire la sorte: cioè che
l’anima è necessariamente mortale. Questa conclusione è naturalmente contraria
all’ortodossia cattolica; per di più il Pomponazzi accentua il suo atteggiamento di
indipendenza di fronte al pensiero scolastico, sostenendo che non vi può essere nell’al di
là un’altra vita, ove l’uomo riceve pena o premio, perché se così fosse non si farebbe il
bene per il bene, ma per ottenere il premio delle nostre buone azioni, mentre invece la
virtù deve essere praticata per sé stessa, senza secondi fini. In questa concezione il
Pomponazzi precorre la concezione etica di Emanuele Kant.
Per scagionarsi dall’accusa di eresia ed evitare una condanna, il Pomponazzi
(dovette)sostenere l’assoluta indipendenza della fede dalla filosofia: l’uomo crede per
fede a tutto ciò che la Chiesa comanda; né la sua fede è intaccata dal fatto che il suo
pensiero arriva a conclusioni del tutto divergenti dalla ortodossia.Questa opposizione opportunistica, era un ripiego del tutto insostenibile, pure essa
fu tenuta da tutti i filosofi di questo periodo fino a Cartesio e Galileo.
Nicola Cusano espresse il suo pensiero nell’opera “De docta ignorantia”; per lui vi
sono facoltà fondamentali sulle quali si può basare la conoscenza: la facoltà
rappresentativa cui fanno capo le sensazioni e la facoltà intellettiva che organizza le
rappresentazioni cercando di arrivare così alla conoscenza dei valori assoluti.
Ma a questo l’intelletto non può giungere, poiché non può astrarsi del tutto dalla
pluralità degli oggetti differenziati.Per conseguenza deve riconoscere di non poter giungere alla perfetta conoscenza, se
non per forza mistica ed intuitiva. In questo sapere di non poter conoscere, sta la dotta
ignoranza dell’uomo. Rispetto alla natura, Cusano pensava che essa fosse infinita,
pertanto ciascun punto di essa poteva considerarsi un centro. Questo concetto è
fondamentale perché accresce il valore all’individuo e sarà sviluppato poi nella
filosofia di Bruno e Campanella.
Bernardino Telesio espone il suo sistema nell’opera “De rerum natura justa
propria principia” che vuol significare spiegazione della natura non secondo i principi
extra naturali (come potrebbe fare il Dio aristotelico indipendente dalla natura) ma
secondo le leggi della natura stessa. Ma siccome la natura è basata sul principio
materiale, la materia è l’elemento base di ogni sistema. Così la conoscenza non è che il
frutto di una sensazione, e l’anima non è che materia. Nessuna forza estranea
interviene nel formarsi e trasformarsi delle cose, se non il doppio principio naturale:
caldo e freddo, che genera nella sua continua alternativa (leggi: “alternanza”, n.d.t.) il
trasformarsi delle cose.
Il piacere non è che la dilatazione della materia, il dolore una contrazione di essa;
l’anima non può che essere mortale poiché fatta di materia.-
Telesio fu anti-aristotelico, appunto perché non ammette alcun ordine prestabilito né
alcun elemento estraneo alla naturale materia. Giordano Bruno fu lo spirito più
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tormentato ed acuto del suo tempo. L’intuizione che egli ebbe del mondo naturale e dei
problemi nuovi che andavano formandosi, rappresentò in sintesi lo spirito
rinascimentale, in drammatica contesa fra il concetto della personalità e quello della
libertà. Le sue opere fondamentali sono “Gli eroici furori” – “Lo spaccio della bestia
trionfante” – “Sull’infinito” e una commedia “Il candelaio” più alcune liriche.
Il Bruno in base alle teorie già divulgate di Nicola Cusano e di Telesio, concepì
l’universo come infinito ricavando da questo che non vi può essere un solo mondo né un
centro ed una periferia, ma una infinità di mondi in cui ogni punto può essere centro.La materia nella sua armonia realizza leggi e movimenti nei quali si vede
l’impronta di Dio, se non Dio stesso che realizza in essa i suoi fini di perfezione. Deriva
da qui il contrasto assoluto con le vecchie concezioni teologiche e scolastiche basate sul
concetto di autorità e sulla già definita interpretazione della natura e delle sue leggi
che la tradizione profetica e poi quella cattolica avevano dato. Per di più c’è la
possibilità di pensare che, poiché la natura partecipa così attivamente con la divinità,
sia divinità essa stessa e che quindi Bruno sia caduto in una concezione panteistica.La filosofia di Giordano Bruno si basava su di un concetto fondamentale:
opposizione alla dottrina che divide il cielo e la terra in modo tanto assoluto da non
poterne giustificare i rapporti necessari. Come abbiamo già detto, per Bruno esiste una
pluralità di mondi che si muovono nell’infinito spazio: la terra è uno di essi. Poiché
l’universo si muove nell’infinito esso non ha un centro, né una circonferenza, tutti i punti
possono essere centrali. Questo concetto è importantissimo perché pone l’uomo del
rinascimento in una posizione nuova di fronte a quella medio-evale: come tutte le
creature egli è il centro dell’universo: ormai l’uomo pensa di essere partecipe della
volontà divina non solo passivamente, ma come principio attivo che capisce e conquista
la propria perfezione realizzando uno sviluppo di quella natura divina della quale
Dio stesso lo ha fatto partecipe. Come si può giungere a conseguire questo autolivello di
perfezione? Per mezzo dell’eroico furore, cioè per mezzo di una intensa forza
sentimentale che permette all’uomo di entrare come in uno stato di grazia in cui più che
uomo egli è Dio.
Non bisogna confondere l’eroico furore con le concezioni scettiche e neo-platoniche
che abbiamo finora esaminato; qui non c’è contemplazione, ma azione e l’uomo non
resta del tutto staccato da Dio, ma gli si avvicina tanto da divenire simile a lui. Il
Bruno fu condannato al rogo come eretico e bruciato sulla Piazza di Campo de’ Fiori il
17 febbraio del 1600. la sua dottrina fu accusata di panteismo e di eresia. Per quanto
ciò appaia quasi del tutto chiaramente ad una sommaria esposizione del pensiero
bruniano, noi pensiamo che esso può essere considerato erroneamente. In Bruno il
Rinascimento trova non tanto l’eretico ed il panteista quanto colui che tenta di
equilibrare personalità ed autorità, cielo e terra, materia e spirito; ma forse i tempi non
erano propizi ad una simile esperienza.Tommaso Campanella.- Per quanto il Campanella non abbia avuto una visione del
problema filosofico così profonda come quella di Bruno, resta però importantissima
per alcune intuizioni che ebbe nel campo del problema della conoscenza. Egli pensa che
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l’uomo partendo dal senso e basandosi solo sull’esperienza, non può arrivare alla
conoscenza in quanto gli manca la possibilità di giustificare tutta quella complessa
vita che si svolge dentro di lui indipendentemente dalla esperienza e che gli dà innanzi
tutto la coscienza di sé o autocoscienza.Perciò la conoscenza deve essere lo sviluppo di rapporti esistenti tra il mondo
interiore e quello esteriore, cioè fra la capacità di riflessione che ciascuno di noi ha e la
sensazione che gli viene dallo stimolo esterno. Il Campanella chiamò sensus abditus la
riflessione, sensus additus la sensazione o senso esteriore.L’importanza di tutto questo sta nel fatto che egli sposta il valore della conoscenza
considerandola non più come l’aveva posta il naturalismo umanistico di Cusano e di
Telesio, come frutto delle sensazioni, ma come frutto dell’attività interiore del pensante;
per questo il Campanella è un anticipatore di alcuni elementi della filosofia moderna
tendente a rivalutare il valore creativo del pensiero.
Il Campanella fu anche ideatore di una società organizzata comunisticamente,
governata dai saggi, che devono possedere non soltanto una cultura, ma anche la
pratica conoscenza delle cose. La vita in questo stato utopistico avrebbe dovuto scorrere
nel lavoro e nella contemplazione dell’infinito mondo naturale: l’educazione da
impartire ai giovani avrebbe dovuto essere simile a quella della costituzione spartana.
Gli abitanti si sarebbero alternati una parte in città, una parte in campagna, dandosi il
cambio ogni due anni. La teoria politica del Campanella è contenuta nel suo libro “La
città del sole”, mentre l’opera sua più importante dal punto di vista teoretico è:
“Universalis philosophiae partes”. Il Campanella nacque a Stilo nel 1561 e morì in
Francia nel 1639.- Anch’egli come Bruno fu perseguitato per l’arditezza delle proprie
teorie e passò in carcere ben ventisette anni.__________ . __________
Lunedì 9 Dicembre 1940 – XIX°. - Nulla di notevole quest’oggi. Ricevetti una
cartolina da Ireneo e la sera andai al cine “Savoia” a vedere il film “Boccaccio” ed
una commedia. La commedia mi è piaciuta specie per la sua comicità e lo stile moderno
e dinamico. Il film invece non mi è piaciuto che in parte. Mal fatto, dalle parti slegate,
per me è stato un film rebus, e sì che dal “Boccaccio” c’era tanta cosa da ricavare ed
invece ne è venuto quel che è venuto. Il regista fu Augusto Gemina e brillante interprete
Clara Calamai che con la sua freschezza, la vivacità e la mimica perfetta ha in parte,
con la musica, fatto dimenticare le lacune e gli spropositi in esso racchiusi. In una
parola non mi è piaciuto che nel finale.
Martedì 10 Dicembre 1940 – XIX. –
Ricorre oggi la festa della nostra Patrona: La Madonna di Loreto. Non si è fatto
festa in tutta la giornata. Nel pomeriggio però si è lavorato poco in confronto della
mattina. Infatti, mentre i miei compagni sono andati armati ed inquadrati ad assistere
alla funzione religiosa nella basilica di S. Simpliciano, io ho dovuto scrivere tutta la
mattina con il Maresciallo Muscariello che a quanto pare si è cambiato ed è diventato
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un po’ buono e più comunicativo con me. La sera, finalmente, dopo aver sgobbato
abbastanza andai con Bradicich allo Smeraldo a vedere “Il colpevole sono io” e
l’orchestra del maestro Sciorilli. Esso mi apparì alquanto mingherlino, pallido, capelli
neri, viso ovale con due baffetti e strascicante nella gamba destra. Le sue creazioni,
tutte imperniate sulla sincope, mi sono assai piaciute.__________ . __________
42) La pedagogia della controriforma.Con la controriforma si tentò di eliminare il pericolo protestante che dilagava
sempre più, specie nei paesi del Nord. Le iniziative furono di duplice carattere:
1°) si attuarono riforme nelle istituzioni e nei costumi della Chiesa, in modo da
riportare il Clero alla antica virtù onde riguadagnare così la fiducia dei fedeli.2°) si cercò di arginare il diffondersi sempre più vasto dei metodi scientifici e
razionalisti i quali contribuivano tanto potentemente a sviluppare negli uomini
le tendenze individualistiche e critiche, avverse al dogma ed all’accettazione
dell’autorità ecclesiastica.Questo compito fu assunto quasi del tutto dall’ordine dei Gesuiti, fondato da
Ignazio di Lodola, ed ordinato militarmente, con il più cieco rispetto per la disciplina e
con l’assoluto abbandono della propria personalità dei seguaci dell’ordine stesso.
Con la ratio ed institutio studiorum, nel 1559 i Gesuiti stabilirono i principi cui
ispiravano il loro insegnamento. Essi volevano formare una classe dirigente educata
secondo i principi rigidamente ortodossi, pertanto ostacolarono ogni tentativo di
sviluppo critico, accontentandosi di una educazione formale. Dettero infatti grande
sviluppo allo studio a memoria e pochissimo a quello critico; nelle loro scuole si
parlava sempre in latino, ed era consentito agli allievi parlare la lingua materna solo
come premio nei giorni festivi.Per attirare gli allievi i Gesuiti ostentavano larghezza di idee e di principi, mentre
fondamentalmente erano conservatori.Nei loro collegi era invalso l’uso dei premi o delle pene per accendere l’emulazione
tra gli allievi, la delegazione (leggi: “delazione”, n.d.t.) era permessa; le azioni erano
giudicate secondo l’occasione o l’opportunità più che seguendo rigidi criteri morali.In complesso, insomma, i Gesuiti considerarono l’educazione come un mezzo al
mantenimento dei principi di autorità del cattolicesimo, piuttosto che come la formatrice
di coscienze e di caratteri.43) Le scuole di Porto Reale.- Del tutto opposto all’insegnamento dei Gesuiti fu
quello dei Padri di Porto Reale. Essi vollero preparare e sviluppare la formazione
degli allievi, educando il loro carattere a formarsi liberamente. Ebbero piccole classi di
pochi alunni, in modo che l’opera del maestro potesse essere più efficace.
L’insegnamento era fatto nella lingua materna, più adatta alla conservazione della
spontaneità da parte dell’allievo. Lo studio della grammatica non era pedante e fine a
106
se stesso, ma ravvivato da letture, in modo che lo scolaro potesse apprendere attraverso
gli esempi piuttosto che imparare a memoria.Fra i migliori maestri di Port-Royal furono il Nicole e l’Arnauld. Le piccole scuole
dei padri di Porto reale durarono solo poco tempo per la lotta che ad esse fecero i
Gesuiti i quali riuscirono a farle chiudere durante il regno di Luigi XIV°.Altre scuole d’ordine religioso dedicate all’insegnamento, importanti in questo tempo
furono: la Congregazione dell’Oratorio; fondata da San Filippo Neri in Italia nel
1554, con tendenze molto simili a quelle dei Portorealisti; i fratelli delle Scuole
Cristiane, ordine fondato da Giovani Battista Lasalle in Francia nel 1684.- In questo
ordine nel 1685 fu fondata dallo stesso Lasalle la prima scuola normale, seguita da
una scuola di tirocinio, per la formazione dei maestri.L’insegnamento del Lasalle fu ispirato ad un eccessivo senso mistico. La corrente
della controriforma trovò in Italia ardenti fautori in Carlo Borromeo, arcivescovo di
Milano, il quale fondò l’ordine degli abati.Egli curò molto l’insegnamento fra il popolo. Giuseppe di Colasanzio, (fu)
fondatore dell’ordine degli Scolopi (1537) ordine consacrato all’insegnamento gratuito
a favore dei fanciulli poveri.__________ . __________
Mercoledì, 11 Dicembre 1940 – XIX°. – Giornata piuttosto triste questa di oggi.
Infatti senza contare la lettera della sorella minore, Minetta m’è capitata una bella.La mattina ho fatto un biglietto di punizione per un certo Conte Sebastiano; lo
presentai al mio Colonnello Calandruccio e lui lo diede al Capitano Miracca per la
punizione, ma il bello è questo, che siccome il Conte è un beniamino del Capitano per
cui, avendo presentato il biglietto di punizione al Colonnello invece che al Maresciallo,
mi ha chiamato e, dopo avermi lanciato i più sgraditi rimproveri mi voleva mettere
dentro. Certamente il Conte aveva falsato le disposizioni della cosa come era avvenuta
in realtà e non aveva detto di avermi offeso sia militarmente che moralmente, per cui il
Capitano dandomi degli epiteti che non ricevetti mai fino ad ora mi fece tanto male
specialmente nel parlare del mio titolo di ragioniere che soltanto io so quanti sacrifici
mi è costato e poi sentir parlare così di lui senza poterlo difendere come si deve, perché
tra me Aviere Sc. al grado di Capitano, ci sono parecchi gradi che ci separano. Ecco
perché ho dovuto tacere, inghiottire amaro e impotente di far qualcosa sfogarmi in un
pianto di rabbia. Nel pomeriggio poi ricevetti una lettera, n cui mia sorella Erminia, mi
fa sapere che il babbo ha abbandonato la casa. Questa notizia mi ha fatto tanto male,
ma le ultime parole della lettera mi hanno fatto un po’ bene perché in esse sta racchiuso
un ordine, una missione sacra che io dovrò compiere: “Tu parli nell’ultima di Adele
Moro. Tu la stimi molto e se veramente è degna della tua stima, tendile la mano e
percorrete in serenità, insieme, la vostra via. L’onestà e la bontà di cuore oltrepassano
qualsiasi casta sociale. Pensa a lei e pensa a tua mamma. Hai due persone che
attendono solo da te le più care parole di conforto. Sii buono con loro, perché esse solo
da te attendono la felicità, io tu ed Adele abbiamo adesso una grande missione: quella
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cioè di far dimenticare tutto a nostra madre, tutti e tre insieme, di comune accordo, con
un’anima sola. Pensa che ti siamo vicini col cuore e ti attendiamo. Cerca di avere una
lunga licenza scrivi molto a mamma. Saluta Adele. Ti bacia di cuore la tua sorella
Mina”.
E, a cominciare da oggi, compierò questa missione confortando mia madre e
pensando alla mia cara Adele. Non vivrò che per loro, per i miei cari.
Giovedì 12 Dicembre 1940 – XIX°. – Quest’oggi risposi alla lettera di mia
sorella. Scrissi una lettera che, credo sarà ben gradita non solo a lei, ma anche a mia
madre. La sera, poi, sono andato con Bruno Bradicich a passeggio per pigliare così un
po’ d’aria e, prima di ritirarci, siamo andati in una trattoria ad ascoltare la radio.
Naturalmente dovemmo prendere qualcosa, io, siccome mi faceva male lo stomaco
presi un amaro.
Così passai il 333° giorno di “Naia”.__________ . __________
44) Filosofia moderna – La filosofia del metodo.- Il Seicento è caratterizzato
dalla filosofia del Metodo con la quale si inizia e si sviluppa la filosofia moderna che
noi dobbiamo considerare come l’esasperazione in senso intellettualistico ed
individualistico della filosofia dell’Umanesimo e del Rinascimento, sorta in Italia nel
secoli XIV° e XV°.Base della filosofia del metodo è la ricerca della verità indipendentemente dal
dogmatismo scolastico e da tutta l’eredità filosofica medio-evale.
Non era più possibile, secondo questi pensatori, arrivare alla verità partendo da
elementi che potevano essere errati e che generalmente si accettavano come veri, soltanto
per fedeltà o rispetto alla tradizione. Ciascun individuo, servendosi soltanto della
propria capacità e dei propri mezzi deve cercare di giungere alla conoscenza del vero,
eliminando in sé ogni possibilità di errore. Da quanto si è detto risulta che il nuovo
metodo deve essere composto da due parti:
1) Pars destruens, con la quale si distrugge tutta la conoscenza passata, poiché è
sempre possibile che vi siano errori.
2) Pars costruens, con la quale partendo da assoluti tutti i criteri di verità si
costruisce tutto il proprio sistema.
Le due correnti che caratterizzano questo periodo si servirono dello stesso metodo,
ma con intenti del tutto indifferenti fra loro: gli empiristi basarono la conoscenza
sull’esperienza, i razionalisti sulla ragione.
A) Francesco BACONE barone di VERULANIO.Francesco Bacone nacque a Londra nel 1561 e morì nella stesa città nel 1625. Sue
opere: “Novum Organum” e “De digitate et augmentis scientiarum”.
Fu il caposcuola del metodo empirico, la sua opera fondamentale “Novum
Organum” è così intitolata perché vuole opporre il nuovo metodo all’ “Oragnon” di
Aristotele.108
La prima parte del metodo baconiano è detta “teoria degli idola”, cioè a dire degli
errori che imprimono (?) (probab. “inibiscono”, n.d.t.) la capacità di conoscenza degli
uomini.Tali idola sono raggruppati in quattro specie:
idola specus, cioè gli errori che dipendono dalla personalità di ciascun individuo, la
cui anima è come una spelonca nella quale le luci si riflettono acquistando un
particolare aspetto;
idola phori, cioè gli errori derivanti dal linguaggio, illusioni dovute a rapporti con
altri uomini;
idola theatri, cioè gli errori dovuti all’influenza degli errori tradizionai;
idola tribus, cioè gli errori in cui cade tutto il genere umano per quella tendenza che
l’uomo ha di interpretare umanamente tutte le cose (per es. gli antichi concepirono
umanamente perfino gli dei).
Pertanto, se si vuol giungere ad una conoscenza sicura bisogna eliminare questi
idola, riducendo l’anima come una tabula abrasa (leggi “rasa”, n.d.t), cioè a dire
tornata liscia come se mai nulla avesse conosciuto.
A questo punto comincia la seconda parte del Metodo.
Bacone accetta solo ciò che dall’esperienza è dimostrato come vero: pertanto vi sono
due tavolette (tabulae) una di assenza, l’altra di presenza: su essa si notano i
fenomeni man mano che sono sperimentati; infine sulla tabula comparativa si
graduano i fenomeni secondo la loro frequenza.La conoscenza reale deriva appunto dall’accettare quei fenomeni che abbiamo
riconosciuti come veri in seguito all’esperienza.Questo, essendo il metodo di ricerca, Bacone avrebbe dovuto poi formare il sistema
nuovo nel quale trovassero organicità i vari problemi del pensiero, da quello metafisico
a quello morale: egli non lo fece, sicché creare un sistema empirico fu opera dei suoi
allievi.
Tra questi il primo in ordine di tempo ed il più coerente con i presupposti del
Maestro fu Tommaso Hobbes, nato nel 1588, morto nel 1679. Le sue opere sono: il
“Leviathan” – “De cive” – “Elementi di legge naturale e politica”.
Egli è autore di una prima dottrina politica contrattualistica (v. appunti dottrina
politica).
Nel campo più specificamente filosofico, l’Hobbes sostenne che i sensi sono la fonte
unica di ogni conoscenza e che l’universo, sia materiale sia spirituale, è formato da una
materia atomica dalla quale derivano tutti gli oggetti differenziati.Il fatto che Hobbes ponga a fondamento della sua dottrina empirica l’atomo, che
era un elemento non sperimentabile della materia, fa sì che egli sia caduto in
contraddizione con lo stesso postulato della sua corrente, sicché crea un sistema
filosofico di carattere empirico accettando come base un elemento non sperimentabile,
ma razionale.-
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B) CARTESIO.- Renato Descartes, nato nel 1596 in Turenna, studiò nel Collegio
Gesuita di La Fléche. Partecipò alla guerra dei Trent’anni, poi si ritirò in Olanda; morì
in Svezia, a Stoccolma, nel 1650. le sue opere principali sono:
“Il discorso sul metodo” – “Le meditazioni” – “Principia philosophiae” – “Le
passioni dell’anima”.
Nel campo scientifico pubblicò: “Le meteore”; “La geometria”; fu il fondatore della
geometria analitica.
Cartesio fu il capo della corrente razionalista, sorta in Francia e poi sviluppatasi in
Olanda ed in Germania. Il metodo cartesiano, come quello di Bacone, parte dal dubbio
che la cultura ed il pensiero del passato avessero causato degli errore allontanando
dalla verità e che quindi bisognava liberarsi di ogni conoscenza che non apparisse
assolutamente certa per evitare ogni possibilità di errori: per far questo era necessario
esaminare quali oggetti della nostra conoscenza potessero essere veri. Ora per far ciò
con sicurezza era necessario avere alcuni principi da seguire scrupolosamente nel
lavoro di ricerca, in modo da essere sicuri delle cose che si accettavano come vere.
Caretsio scelse questi quattro principi logici:
1) accettare soltanto ciò che appare chiaro e distaccato dalla mente (Principio
dell’evidenza
2) dividere il complesso (principio dell’analisi)
3) andare dal semplice al complesso (principio della sintesi)
4) catalogare ed osservare le cose in tutti i loro particolari (principio della
enumerazione).E poiché il dubbio investe anche i principi morali, Cartesio accetta la morale degli
antenati solo come provvisoria in attesa di crearsene una definitiva. Già da questi
elementi iniziali si può comprendere come Cartesio si sia basato sulla ragione quale
unico elemento di conoscenza umana: difatti la ragione è l’unica guida e l’unico mezzo
di misura per arrivare alla verità, perché, per il primo principio logico si può accettare
come vero soltanto ciò che ad essa appare chiaro e distinto.Ai quattro principi logici va fatta risalire anche la tendenza matematica del metodo
cartesiano: difatti oltre che l’evidenza, l’analisi, la sintesi, la enumerazione, sono gli
elementi che danno sicurezza alla deduzione geometrica.Deduzione presa da Cartesio come esempio di quella propria.Stabiliti i principi fondamentali di ricerca della verità, Cartesio inizia la sua opera
di costruzione sistematica. “Basandomi sulla chiarezza e sulla evidenza delle cose che
sono esaminate dalla ragione, io non posso essere sicuro, egli dice, di nessuna
sensazione perché appunto la ragione mi fa comprendere che i sensi mi ingannano e
quindi mi fanno credere nel falso, pertanto io debbo metter in dubbio tutto ciò che fa
parte della mia conoscenza. Ma pure se io dubito di tutto, una sola cosa è sicura: che
almeno il mio dubitare esiste; e siccome il dubitare è un atto del pensiero, esiste almeno
il mio pensiero, cioè a dire esisto io, almeno come pensiero, come attività pensante:
Cogito, ergo sum (penso e perciò sono): questa è la prima verità che appare chiara e
distinta alla mente di Cartesio: verità che non è tanto frutto di un ragionamento, quanto
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di una immediata intuizione; difatti per Cartesio è frutto di intuizione ogni idea chiara e
distinta, idea cioè che noi non inventiamo o creiamo, ma troviamo in noi, perché in noi
essa era innata.Con il “Cogito, ergo sum”, finisce la parte destruens del sistema cartesiano e
comincia quella costruens. Difatti il filosofo francese, dopo aver eliminato il dubbio,
che perciò è metodico e non sistematico, parte da questa prima certezza per dimostrare
non soltanto l’esistenza dell’individuo, ma anche l’esistenza di Dio, dell’anima e della
sua immortalità e di tutta la complessa attività delle cose.
Dimostrare l’esistenza di Dio era per Cartesio inevitabile perché egli doveva trovare
un qualche principio indipendente e al di fuori del nostro spirito, guida e giustificazione
dello spirito stesso.
La certezza in noi dell’esistenza di Dio può derivare, secondo Cartesio, da quattro
prove:
1) dall’idea di perfezione: difatti poiché noi abbiamo idea della perfezione,
dobbiamo convenire che essa non può esserci venuta né da noi stessi – perché dal meno
non può derivare il più – né dal nulla, perché dal nulla si viene al nulla, quindi non
può esserci venuta che da un essere maggiore di noi e perfetto, cioè Dio.2) Dall’imperfezione della mente umana: ed infatti, se osserviamo la nostra mente
vediamo che ci sono delle imperfezioni e che le relative perfezioni non dipendono dalla
nostra natura di uomini perché, se noi potessimo essere onnipotenti ed onniscienti, senza
dubbio vorremmo esserlo: dunque queste perfezioni sono soltanto in un essere diverso
da noi, indipendente dalla doppia natura umana e dalle sue debolezze.
3) Dalla coincidenza in Dio dell’essenza con l’esistenza: difatti mentre di tutte le
cose io posso conoscere l’essenza e non essere sicuro della loro esistenza (posso per es.
sapere le leggi che regolano un triangolo e non essere sicuro che un triangolo esiste) nei
caratteri essenziali di Dio vi è quello della sua esistenza (non posso pensare a nessuna
caratteristica di Dio senza che in essa sia incluso il senso della Sua esistenza).) Dal fatto che la ragione umana conosce la verità: difatti poiché noi siamo
imperfetti e pur conosciamo la verità, ciò dimostra che è Dio stesso a darcela e se
qualcuno oppone che, se è appunto Dio a farci conoscere il vero, non si comprende
perché noi così spesso ci sbagliamo, si deve rispondere che quell’errore non dipende da
Dio, ma da noi; è la nostra volontà la quale vorrebbe che l’intelletto conoscesse cose cui
esso non ha la capacità di giungere e quindi finisce con il farlo sbagliare (teoria
dell’errore).Dunque, riassumendo, per Cartesio il problema va risolto così: noi dobbiamo
liberarci dagli errori della scolastica e, servendoci solo della nostra ragione, cercare la
verità; ed è appunto servendoci della ragione che riusciamo a conoscere che vi sono in
noi idee innate, dateci da Dio e che intuitivamente riusciamo a scoprire in noi stesso; da
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