UN LABORATORIO GEMMOLOGICO NELLA STORIA DELLA BANCA REGIONALE EUROPEA D DII S AERGIO UTORE CAVAGNA Spesso la curiosità ci spinge ad indagare tra le cose che, pur appartenendo al passato, riescono ancora ad evocare particolari sapori di un tempo. Ne esistono alcune che, trasformate ed arricchite dalle nuove tecnologie, possono essere a noi legate: le apparecchiature di un laboratorio nato tanti anni fa. Ben pochi sanno che sotto gli auspici della Banca del Monte di Milano (poi Banca del Monte di Lombardia dopo la fusione col Monte di Pavia, ed ora, a seguito dell’unione con la Cassa di Risparmio di Cuneo, Banca Regionale Europea.) nasceva nel 1933 il “Laboratorio di controllo per le pietre preziose e le perle”. La necessità di aprire un laboratorio gemmologico proprio agli inizi degli anni ’30 era legata a precise esigenze di aggiornamento dei mezzi gemmologici di identificazione e all’occorrenza di nuove strutture, dando spazio, per la prima volta in Italia, anche alla gemmologia. Si deve tenere presente, infatti, che ogni gemma, non manifestando esteriormente la forma cristallina di appartenenza deve, salvo alcune eccezioni la cui identificazione è facilitata dalle caratteristiche interne od esterne, essere sottoposta ad analisi con idonee apparecchiature. A rendere impellente la presenza di un laboratorio di analisi gemmologica era il nascere di preoccupazioni, da parte di operatori del settore, dovute all’inizio della commercializzazione delle perle di coltura. Il loro arrivo introdusse nella tranquilla atmosfera di un settore legato a doppio filo con la gioielleria più esclusiva, un’improvvisa turbolenza destinata ad avere pesanti ripercussioni tanto in campo commerciale che tecnico. Questa necessità operativa, reclamata a gran voce anche da importatori e gioiellieri, spinse il Consiglio d’Amministrazione dell’allora Monte ad istituire uno dei primi laboratori gemmologici italiani. La storia del laboratorio affonda le proprie radici nel lontano 1932 quando Giuseppe Gelli, responsabile del settore preziosi della Banca, nonché maestro e predecessore dell’autore di questo articolo, fu inviato a Parigi presso il laboratorio della locale Camera di Commercio per prendere coscienza e conoscenza delle apparecchiature utilizzate per l’analisi gemmologica. Nel 1933 il Laboratorio di Milano iniziò la propria attività con una completa attrezzatura fotocopiata da quella di Parigi. È operativo dal 1933. Fu costituito in seguito all’esi genza di valutare le perle di coltura, oltre ai diamanti e alle altre pietre preziose. Da allora dispone degli strumenti di analisi tecnologi camente più avanzati. A fianco, dall’alto: riflettometro Fuess a semisfera; endoscopio per l’identificazione delle perle attaverso il foro passante. 44 • R A S S E G N A N. 2 0 INVERNO 2005-2006 Sopra, dall’alto: microscopio mineralogico Reicher con camera fotografica per macro fotografie su lastra; microscopio con annesso spettroscopio e portalastre. Le finalità del Laboratorio, precisate nello stesso statuto, prevedevano lo studio e l’applicazione “dei procedimenti scientifici, i mezzi meccanici e gli strumenti più idonei per l’esame, la quantificazione e l'identificazione delle pietre preziose e le perle”. Accanto allo statuto, venne anche approvato un primo regolamento dove erano stabiliti gli organi di controllo e di direzione, nonché le norme per la gestione di questa nuova istituzione. Alla famiglia di questo laboratorio è appartenuta, fino al 1948, anche la prof.ssa Speranza Moneta Cavenago-Bignami, autrice del famoso libro “Gemmologia” e da tutti conosciuta come la “Signora della gemmologia italiana”. Nata tra le colonne del Piermarini, essendo stato suo padre un dipendente del Monte, la Cavenago-Bignami, dopo una breve parentesi brasiliana, durante la quale riuscì ad acquisire una formazione mineralogica, rientrò a Milano nel 1931 e si affiancò come assistente a Giuseppe Gelli. Con le apparecchiature del laboratorio del Monte, la professoressa eseguì una serie di ricerche scientifiche sul comportamento delle perle e delle gemme ai raggi X, poi esposte alla Società Italiana di Scienze Naturali. Altri studi ebbero per oggetto la luminescenza ai raggi catodici. Scorrendo le relazioni in carta ingiallita, gli appunti custoditi in gelosi raccoglitori, i certificati in parte privi della garante ceralacca e gli scritti orgogliosi di una curata grafia che disconoscono lo scorrere del tempo, si rimane attratti da quel fascino che ravviva ricordi di un momento magico della gemmologia italiana. Si può osservare un certificato, a forma di libretto, nel quale sono descritte le caratteristiche della pietra ed inseriti i negativi fotografici relativi. Presente questa volta la ceralacca con nastrino a suggellare e a garantire ciò che è stato dichiarato. Finalmente anche in Italia era iniziato lo studio e la ricerca, nel campo delle pietre e perle, con nuove metodologie e con nuovi mezzi. Il laboratorio dava inizio ad un perfezionismo gemmologico, scoprendo, a volte, inesatte classificazioni di pietre ritenute sempre di una data specie e poi rivelatasi di tutta altra qualità. E’ il caso di pietre montate in gioielli di famiglia le cui caratteristiche qualitative si sono poi rivelate diverse dopo scientifici controlli. Sono numerosi gli aneddoti curiosi che hanno dipinto, a tinte forti, la strada intrapresa dalla gemmologia, un percorso lastricato da montagne di delusioni, raramente intervallate da inaspettate scoperte di veri e propri tesori. E’ il caso di quel signore che, divenuto proprietario di una collana di perle ritenute di coltura, dopo l’esito dell’esame di laboratorio, si è accorto di avere tra le mani perle naturali. 45 • R A S S E G N A N. 2 0 INVERNO 2005-2006 Entriamo ora nelle gelose mura del laboratorio per ammirare, con dovuta emozione, quelle apparecchiature che per tanti anni hanno dato la possibilità di ottenere lusinghieri risultati e di iniziare studi e sperimentazioni nel campo gemmologico. Ecco proprio in un angolo primeggia i pezzi forti dell’analista: il microscopio mineralogico Reicher con camera fotografica per macro fotografie su lastra e altri microscopi che ostentano le lucenti parti in ottone. E che dire delle numerose bilance, dalle particolari prestazioni, allineate come ad un nastro di partenza e pronte a primeggiare sull’esattezza del proprio risultato? Non dobbiamo dimenticare l’endoscopio che, nonostante le sue parti in ottone contornate da scure veste, riesce ad attrarre l’attenzione per il suo particolare utilizzo nell’analisi delle perle forate. E, tanto per restare in tema, possiamo parlare del perlometro, un microscopio che esamina la perla. Parte fondamentale del perlometro è il cardiometro. Sentendo questo termine, si è indotti a pensare a qualcosa che abbia attinenza con il cuore, ma nulla è di tutto questo. Si tratta di un piccolo apparecchio che permette l’osservazione interna della perla nonché il rilevamento di misurazioni. L’osservazione interna della perla può evidenziare utili informazioni, cioè permettere di identificare l’eventuale nucleo della perla coltivata e lo strato esterno della perlagione. Nel caso della perla coltivata, è possibile individuare gli strati concentrici di formazione della perla. Ma l’utilità di tale strumento viene maggiormente apprezzata dall’apporto di un’altra funzione: la misurazione dello spessore dello strato di coltura della perla. Il viaggio tra gli strumenti d’epoca prosegue con la visione degli apparecchi gemmologici che riguardano le fonti di radiazione necessarie alla rilevazione della luminescenza ed in particolare della fluorescenza: raggi ultravioletti, raggi Roentgen e raggi catodici. Questi tipi di radiazioni possono produrre effetti diversi anche sullo stesso campione gemmologico. I gemmologi hanno sempre avuto bisogno dei raggi ultravioletti che, nel caso specifico, vengono utilizzati con lunghezza d’onda di 366 nm (onda lunga) o di 254 nm (onda corta). I materiali gemmologici, sottoposti a tali raggi, possono essere più o meno eccitati in rapporto al tipo di lunghezza d’onda impiegata, emettendo una radiazione con lunghezza d’onda che appartiene allo spettro visibile, cioè visibile al nostro occhio. Le lampade oggi impiegate sono di facile utilizzo e di semplice costruzione. Non è così per il vecchio apparecchio (Quartzlampe-Gesellschaft) A fianco: il perlometro per l’osservazione interna della perla con annesso cardiometro che permette la misurazione dello strato esterno delle perle coltivate. 46 • R A S S E G N A N. 2 0 INVERNO 2005-2006 del nostro laboratorio che, col suo nero aspetto, sembra voler imporsi sugli altri strumenti. In effetti, si sente importante perché è coadiuvato da un grosso alimentatore che, per mezzo di un pulsante, trasmette le scariche elettriche utili all’accensione della lampada a scarica elettrica in gas di mercurio ad alta pressione. Altra fonte di radiazione è costituita dall’apparecchio radiologico munito di trasformatore d’alta tensione e dispositivo a tempo per pose e di un tronco di cono con vetro anti-X. Si tratta di un generatore di raggi X (Metalix). La produzione e la commercializzazione delle perle coltivate nei primi anni ’30, in effetti, spinsero ricercatori ed esperti a studiare nuove metodologie grazie alle quali poter identificare i prodotti naturali da quelli provenienti da allevamenti. La pratica più diffusa si rivelò essere quella dell’osservazione tanto della superficie quanto la struttura interne delle perle. L’endoscopio fu progettato proprio per questo genere d’indagine. Formato da tubi metallici, da semplici meccanismi e da ottiche complementari, lo strumento indirizzava un fascio di luce lungo l’interno di un ago, simile a quello per punture, all’estremità del quale era infilata la perla. Non esisteva solo il problema delle perle ma anche quello della radioattività. E’ ormai noto che alcuni elementi di alto peso atomico sono radioattivi; tra i più importanti si possono citare il radio, l’uranio ed il torio. Alcuni dei problemi concernenti la modifica dei materiali gemmologici erano già vivi agli inizi del ’900 allorché Sir William Crookes nel 1904 iniziò esperimenti concernenti l’azione prodotta sul diamante dalle particelle generate dal radio. Il diamante veniva ad assumere un colore verde unitamente a proprietà radioattive. Anche se sono stati rari i casi di presenza sul mercato di questo tipo di pietre, alcuni esemplari sono stati identificati mediante una prova fotochimica mettendo il diamante a contatto con una carta da stampa fotografica (più di dieci ore) la quale rimaneva impressionata dalla radiazione. E’ stato calcolato che la radiazione, emessa da questo tipo di diamante trattato, è quasi paragonabile a quella emessa da quegli orologi, ora non più prodotti, muniti di quadrante con ore e sfere fosforescenti che sono state ricoperte con composti al radio. Tutto questo è stato detto per rilevare che, fin dalla nascita del Laboratorio si era pensato a questi problemi della radioattività procurando un apparecchio utile per le misurazioni radioattive. Questo strumento, costruito dalla Gunther & Tagetmeyer di Braunschweig è costituito da diversi elementi ed in particolare da elettrometri racchiusi in una camera a cilindro di ionizzazione dove vendono posti i campioni da analizzare. Altri strumenti e apparecchiature di un tempo sono gelosamente conservati come preziosa e affascinante testimonianza del lavoro e delle ricerche di studiosi appartenenti ad un’epoca in cui la gemmologia italiana cominciava a muovere i primi passi. A fianco: certificato, a forma di libretto, rilasciato nel 1934, in cui sono descritte le caratteristiche della pietra ed inseriti i relativi negativi fotografici. 47 • R A S S E G N A N. 2 0 INVERNO 2005-2006