SCHEMA BOLLETTINO LIDU Piazza dell'Aracoeli, 12 - 00186 Roma - tel *30 06 6784168 Bollettino del 16 febbraio 2015 A cura di Manlio Lo Presti ESERGO Chi sei? Io sono quel che io posso. PAUL VALERY, Istanti, Edizioni di Barbablu, 1986, pag. 59 www.piuchepuoi.it °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° CHI SIAMO La Lidu è la più antica Organizzazione laica che difende i diritti dell’Uomo. Si è aperta la campagna tesseramenti 2015. Sosteniamola affinché non si spenga una delle poche voci indipendenti esistenti in Italia ________________________________________________ _____ L.I.D.U. Lega Italiana dei Diritti dell’uomo TESSERAMENTO 2015 Socio Giovane quota minima € 10,00= (fino a 30 anni) Socio Ordinario quota minima € 50,00= Socio Sostenitore versamento minimo € 200,00= Socio Benemerito versamento minimo € 500,00= data ultima di versamento per il rinnovo 30 GIUGNO NOTA Poiché la L.I.D.U. è un'Associazione Onlus e la quota associativa è stata fissata ad euro 50,00- ogni versamento maggiore della quota suddetta, verrà considerata come versamento liberale e potrà essere dedotta, nei termini di legge, dalla dichiarazione dei redditi. La condizione necessaria è che il versamento debba essere effettuato direttamente alla L.I.D.U. nazionale, in qualsiasi forma, salvo che in contanti. L'attestato del versamento dovrà essere richiesta alla Tesoreria nazionale. si può effettuare il pagamento della quota dovuta a mezzo: contanti; assegno; bollettino di c/c/postale n° 64387004 bonifico bancario IBAN IT 90 W 05216 03222 000000014436 bonifico postale IBAN IT 34 N 07601 03200 000064387004 Intestati a: F.I.D.H. Fédération International des Droits de l’Homme - Lega Italiana onlus ------------------------------------------------------------------------------------------------------------------ 5 x 1000 Come previsto dalla legge è possibile destinare il 5 x 1000 del reddito delle persone fisiche a fini sociali. La nostra Associazione è ONLUS e può beneficiare di tale norma. Per effettuare la scelta per la destinazione, occorre apporre la propria firma e indicare il Codice Fiscale 97019060587 nell'apposito riquadro previsto nei modelli dell'annuale denuncia dei redditi. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° COMUNICAZIONI LIDU COMMISSIONE INTERNAZIONALE LIDU Seduta del 29 Novembre 2014 Presenti: Il Presidente Bosco, la Segretaria Capo, Bertolucci, Cantoni, Da Riva Grechi, De Santis, Murdolo, Murace. Assenti giustificati: Cataleta, Rossi, Stango, Valentinetti. In apertura della seduta viene letto e approvato il verbale della seduta precedente. 1) Nella prima parte la Commissione prende in esame “La violazione della libertà religiosa in Uzbekistan”. In Uzbekistan le violazioni della libertà di religione sono sistematiche; lo Stato punisce duramente chi compie attività religiosa in modo indipendente. Secondo i dati del Rapporto del 2014 della Ong americana “United States Commission on Internatonal Religious freedom”, lo stato uzbeco incarcera le persone che non si conformano alle pratiche religiose ufficialmente prescritte o che vengono definiti “estremisti”, inclusi circa 12.000 musulmani; la Ong statunitense raccomanda che anche per il 2014 l’Uzbekistan venga classificato come “Country of Particolar Concern” in base all’IRFA del 1998 (“International Religious Freedom Act”). Una legge uzbeka del 1998 limita strettamente i diritti di tutti i gruppi religiosi e facilita il controllo governativo su di essi. La legge suddetta criminalizza ogni attività religiosa non registrata; richiede l’approvazione ufficiale del contenuto, produzione e distribuzione di pubblicazioni religiose; vieta ai minori di partecipare ad organizzazioni religiose, ma il requisito della registrazione si rivela di assai difficile adempimento, poiché per ottenerla il gruppo religioso deve dimostrare di avere una rappresentanza permanente in 8 delle 13 provincie del Paese. Inoltre nel 2014 è entrato in vigore un nuovo decreto di proibizione di materiali illustrativi suscettibili di distorcere o di incoraggiare le credenze degli individui a mutare di religione. 1) Nella seconda parte gli astanti analizzano i Diritti Umani nella Repubblica Democratica del Congo . La situazione esistente conduce il Parlamento Europeo ad esprimere una profonda preoccupazione nella Risoluzione del 5 Marzo 2014 . In essa si evidenzia che le forze ribelli nella parte orientale del Paese commettono ogni tipo di atrocità ai danni della popolazione civile ricorrendo continuamente al reclutamento dei bambini come soldati. Nel rapporto di “Human Rights Watch” del (2014) si evidenzia che nello scorso Marzo il capo dei ribelli M23, Bosco Ntaganda, si arrese consegnandosi all’Ambasciata degli Stati Uniti in Ruanda, ed è ora in attesa di giudizio da parte della Corte Penale Internazionale. Ma altri ne hanno preso il posto continuando a commettere gli stessi crimini, e comunque gravi violazioni dei Diritti Umani avvengono anche a Kinshasa e in altre zone controllate dal governo. Vengono segnalati minacce, violenze ed arresti arbitrari contro attivisti dei Diritti Umani, giornalisti e uomini politici di opposizione nonché partecipanti a manifestazioni antigovernative. Il Rapporto conclude evidenziando l’importante ruolo della “Corte Penale Internazionale” per aver condannato Katanga il quale nel 2003 massacrò gli abitanti di un villaggio del Congo. Egli è in prigione già da sette anni condannato per crimini contro l’umanità, per il ruolo svolto nell’attacco al villaggio di Bogara, nella Repubblica democratica del Congo. Alla fine dell’esposizione interviene il Gen. Murace il quale fa un analisi storica-economica del Paese affermando che esso è ricco di materie prime, in particolar modo di petrolio, e le aziende che sono state installate nel Congo sono tutte in mano al Belgio e ad altri Paesi occidentali. Prende la parola alla fine dell’esposizione l’Avv. Da Riva Grechi il quale sostiene che in Congo nessun cittadino locale può ribellarsi al sistema vigente e nessuno di essi può installare un attività commerciale. 2) Come ultimo punto i membri prendono in esame “le Sparizioni Forzate in Ruanda”. Colpisce un certo numero di Diritti Umani tra cui: il Diritto alla sicurezza della persona, il diritto di non essere arbitrariamente privato della propria libertà, il riconoscimento della dignità umana, il diritto di non essere sottoposto a torture ed altri trattamenti crudeli inumani e degradanti. Per questo il 6 Febbraio 2007 è stata aperta alla firma a Parigi la Convenzione delle Nazioni Unite per la protezione di tutte le persone dalle sparizioni forzate. Fu il risultato di una lotta venticinquennale portata avanti dai familiari delle persone scomparse, dell’impegno di alcuni esperti ed attivisti dei diritti umani, nonché della buona volontà di un certo numero di Stati, tra cui l’Italia. La Ong “Human Rights Watch”(nel 2014) aveva denunciato un’ondata di sparizioni forzate in Ruanda, chiedendo l’apertura di un inchiesta La suddetta Ong aveva raccolto varie testimonianze dettagliate a proposito di sparizioni in parecchie regioni del Paese e anche nella capitale Kigali in certi casi era stata riferita la diretta partecipazione di agenti dello Stato a tali operazioni. In un rapporto citato da “Jambonews” le Nazioni Unite hanno osservato che il sentimento d’insicurezza risultante da questa pratica non è limitata solo ai parenti delle persone scomparse ma è estesa a tutti coloro che possono essere potenziali vittime e a tutta la Società. Nei Paesi in cui il fenomeno si manifesta, i difensori dei Diritti Umani sono in continua preoccupazione come anche i familiari degli scomparsi, i testimoni e gli avvocati. Gli stati in questione prendono a pretesto dei loro comportamenti la lotta al terrorismo. RASSEGNA STAMPA http://www.dailycases.it/ La Lidu esprime orrore su barbara esecuzione del pilota Giordano arso vivo da Isis Pubblicato da Redazione - giovedì, 5 febbraio 2015 · In una lettera della Lega Italiana dei Diritti dell’Uomo il presidente Alfredo Arpaia invita il re Giordano a non mandare a morte a sua volta i terroristi prigionieri in Giordania, nel rispetto della Dichiarazione dei Diritti Umani Roma, 4 febbraio -” La LIDU, lega Italiana dei Diritti dell’Uomo esprime sdegno ed indignazione per la brutale, efferata, barbara esecuzione del pilota Giordano, il tenente Moaz al-Kassasbeh eseguita in spregio ad ogni convenzione giuridica ed umanitaria mediante il rogo, pratica medievale che ripugna ad ogni essere umano. Chi compie simili atti si pone chiaramente al di fuori del consorzio degli uomini, e persino delle belve feroci. La Dichiarazione dei Diritti Umani dell’ ONU afferma il Diritto alla Vita, mentre vieta esplicitamente la tortura ed ogni trattamento disumano o degradante; noi, peraltro, in accordo con la Costituzione della nostra Repubblica, siamo decisamente avversatori della pena di morte. Tutti questi principi sono stati violati: ma riteniamo che il comminare a propria volta, con una sorta di ‘Lex Talionis’, la pena di morte ai terroristi dell’ISIS prigionieri in Giordania non sia giustificabile né sul piano del Diritto né su quello della opportunità politica. Questo, difatti è l’obbiettivo del terrorismo: renderci uguali a loro, indurci ad abbandonare i nostri Principii per piegarci ai loro, portare lo scontro su di un livello in cui conti solo la brutalità e la forza. Se cadessimo i8n questo errore, la battaglia sarebbe già perduta in partenza”. Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato: oltre 250 mila i minorenni coinvolti Pubblicato da Redazione - sabato, 14 febbraio 2015 UNICEF e Rappresentante Speciale del Segretario Generale per i bambini nei conflitti armati: conflitti sempre più brutali e intensi lasciano i bambini a maggior rischio di reclutamento Roma, 14 febbraio – I bambini sono sempre a rischio di reclutamento e di utilizzo da parte di gruppi armati, poiché i conflitti in tutto il mondo diventano sempre più brutali, intensi e diffusi, hanno dichiarato oggi l’UNICEF e il Rappresentante speciale delle Nazioni Unite per i bambini nei conflitti armati in occasione della Giornata internazionale contro l’uso dei bambini soldato. “Mentre i governi hanno fatto progressi a riconoscere che i bambini non devono essere parte degli eserciti, il reclutamento dei bambini soldato rappresenta ancora un problema enorme, in particolare nei gruppi armati”, ha detto Leila Zerrougui, Rappresentante Speciale del Segretario Generale per i bambini nei conflitti armati. “Su 59 parti in conflitto individuate dal Segretario Generale per gravi violazioni contro i bambini, 57 sono state richiamate perché stanno reclutando e utilizzando bambini soldato”. L’UNICEF e l’Ufficio del Rappresentante speciale lanciano un appello per un intervento urgente per porre fine alle gravi violazioni contro i bambini, incluso il loro reclutamento e utilizzo da parte di gruppi armati. Le parti in conflitto devono rispettare gli obblighi previsti dal diritto internazionale. “Il rilascio di tutti i bambini da parte dei gruppi armati deve avvenire senza ulteriori ritardi. Non possiamo aspettare la pace per aiutare i bambini intrappolati nel mezzo delle guerre”, ha detto il Vicedirettore generale dell’UNICEF Yoka Brandt. “E’ assolutamente necessario per il futuro dei bambini della loro società Investire in interventi per tenerli lontani dalle linee del fronte, anche attraverso il sostegno economico e all’istruzione”. Decine di migliaia di ragazzi e ragazze sono associati alle forze e ai gruppi armati in conflitto in oltre 20 paesi in tutto il mondo. Molti sono stati vittime, o testimoni o sono stati costretti a partecipare in atti di indicibile brutalità. -In Afghanistan: nonostante i progressi compiuti per porre fine al reclutamento e all’impiego di bambini nelle forze nazionali di sicurezza i, i bambini continuano ad essere reclutati dalle parti in conflitto, quali la Haqqani Network e i talebani. Nei casi più estremi, i bambini sono stati usati come attentatori suicidi, per la fabbricazione di armi e per il trasporto di esplosivi. – Nella Repubblica Centrafricana: ragazzi e ragazze di appena otto anni sono stati reclutati e utilizzati da tutte le parti coinvolte nel conflitto per prendere parte direttamente alle violenze interetniche e religiose. – Nella Repubblica Democratica del Congo: le Nazioni Unite hanno documentato nuovi casi di reclutamento di bambini da parte di più gruppi armati che operano nella parte orientale del paese. I bambini, in alcuni casi, anche di 10 anni di età, sono stati reclutati e utilizzati come combattenti, o in funzioni di supporto, come facchini e cuochi. Le ragazze sono state usate come schiave sessuali o sono stati vittime di altre forme di violenza sessuale. – In Iraq e Siria: gli avanzamenti dell’ISIL e la proliferazione di gruppi armati hanno reso i bambini ancora più vulnerabili al reclutamento. Bambini di 12 anni sono in fase di addestramento militare e sono stati usati come informatori, per presidiare i posti di blocco e per sorvegliare punti strategici. In alcuni casi, sono stati utilizzati come attentatori suicidi e per effettuare esecuzioni. L’UNICEF lavora con i partner per sostenere i bambini, una volta che vengono rilasciati dai gruppi armati. Ciò include ricongiungerli con le loro famiglie e fornire loro assistenza sanitaria, generi di prima necessità e sostegno psicologico, nonché l’accesso ai programmi di istruzione e di formazione. Proprio di recente in Sud Sudan è iniziato il rilascio graduale di circa 3.000 bambini del South Sudan Democratic Army (SSDA) Cobra Faction. Più di 500 bambini sono stati rilasciati nelle ultime due settimane e stanno ricevendo sostegno per tornare alla vita normale. Ulteriori rilasci sono previsti nel corso del mese prossimo. Disabilità, un libretto che ci causa tanti guai Marco Gentili, Co-presidente dell’Associazione Luca Coscioni affetto da Sla, lancia una petizione su change.org per l’aggiornamento del nomenclatore tariffario per protesi e ausili fermo da 14 anni Di Marco Gentili Roma, 14 febbraio – Spreco di denaro pubblico. Disagi per chi avrebbe bisogno di un aiuto. Mortificazione della ricerca tecnologica. Crisi delle aziende. Questa lunga serie di costi sociali nasce da un volumetto piccolo piccolo: il “Nomenclatore tariffario per protesi e ausili”, un prontuario. Questo prontuario elenca quali strumenti – dalle carrozzine, alle stampelle, passando per ginocchi artificiali e protesi di ogni tipo – ciascun disabile può (e deve) ottenere gratuitamente dallo Stato. Parliamo degli ausili e delle prestazioni connesse che il Servizio sanitario nazionale eroga gratuitamente alle persone con invalidità accertata. Il “Nomenclatore tariffario per le protesi” è stato varato nel 1999. Doveva essere un elenco provvisorio: è vigente da 14 anni. Non è mai stato aggiornato. La legge prevede un aggiornamento ogni due anni. Il motivo è semplice: la tecnologia avanza, migliora la qualità di protesi e ausili, quindi è necessario che il “prontuario” sia adeguato ai tempi, per fornire ai disabili le migliori condizioni possibili. Non solo. Cambia la tecnologia, mutano anche i prezzi, che in alcuni casi diminuiscono e in altri aumentano: l’aggiornamento del prontuario – va da sé – è indispensabile anche per il mercato: sia per i fornitori che vendono, sia per il servizio pubblico che acquista, sia per gli imprenditori che producono. E invece niente: da 14 anni, i prezzi sono rimasti sostanzialmente gli stessi. Mi chiamo Marco Gentili, sono il Copresidente dell’Associazione Luca Coscioni, sono nato Tarquinia, in provincia di Viterbo, il 5 settembre 1989. La mia condizione di disabilità è dovuta alla Sclerosi Amiotrofica Laterale Familiare, una malattia progressiva e devastante, che mi costringe su una sedia a rotelle e mi impedisce di parlare e limita molto la mia capacità di autonomia. Fin da adolescente ho coltivato l’interesse per la sfera politica e dal febbraio 2008 sono entrato a far parte, in prima linea, degli Studenti Luca Coscioni, battendomi così per la Libertà di Ricerca Scientifica e non solo. La costante volontà di essere attivo e propositivo mi ha ispirato a dar vita al progetto radiofonico Frazione Handicap dedicato a queste problematiche. Mi sono laureato il 1 marzo 2012 in Scienze Politiche e alle elezioni amministrative nella cittadina natale di Tarquinia ho conquistato l’incarico di Consigliere comunale. La promozione di vie di legalità, trasparenza e maggiore chiarezza nell’amministrazione comunale rappresenta uno dei miei principali obbiettivi. L’analisi del rapporto tra costituzione e ricerca sul caso delle cellule staminali è stato l’oggetto della mia tesi di Laurea Magistrale prima del Master in Istituzioni Europee per Consulenti d’Assemblea. In questi anni il mancato aggiornamento del nomenclatore tariffario ha inciso sulla vita di molti come sulla mia, privandola di ausili utili sia in termini di postura fisica, sia a livello comunicativo. In particolare la mia scoliosi, che mi provoca non pochi problemi di postura, difficoltà nel riposo notturno e spesso dolori lancinanti, è in parte frutto di una scarsa disponibilità degli ausili necessari, dovuta proprio al mancato aggiornamento del nomenclatore, che ricordo è fermo dal 1999. Dopo i vari annunci che si sono succeduti in questi ultimi mesi, ho aspettato con ansia la comunicazione, trasmessa in streaming, del Ministro Beatrice Lorenzin e della Dott.ssa Silvia Arcà del 4 febbraio 2015 in Commissione Igiene e Salute ma mi sono accorto con grande delusione e preoccupazione che, invece di spiegare un nuovo sistema più trasparente, accessibile on line, comprensibile nella possibilità di conoscere i modelli di ausili ottenibili e le modalità con cui ottenerli, un nomenclatore al servizio di noi, persone con disabilità e quindi spesso con difficoltà a muoverci, la grande parte dei discorsi si è concentrata sulla difesa delle gare d’appalto per la fornitura degli ausili di serie. Il vero fine degli acquisti deve essere quello di procurare un prodotto adeguato ai singoli bisogni della persona che lo utilizzerà, in modo tale da migliorare per questa la qualità della vita. Che siano messi a disposizione mezzi e strumenti di alta tecnologia e all’avanguardia è quindi importante ma occorre separare quelli standard, come i letti, i materassi, i sollevatori, i montascale, ecc. che NON devono essere scelti sulla base delle singole differenti situazioni delle persone a cui sono destinati e che, quindi, potrebbero anche essere acquistati in quantità con gare d’appalto, da quelli invece che devono essere scelti, nella gamma di ausili disponibili, per trovare quello più adatto alla persona. Mi sembra facile da capire che il mio bisogno di un letto o di una carrozzina standard per un breve spostamento, o di un ausilio per il bagno è ben diverso dal mio bisogno di una carrozzina su cui devo vivere tutta la giornata! Chi deve ogni giorno usare concretamente gli ausili per poter vivere il più autonomamente possibile sa bene che è poco razionale acquistare un ausilio di base per poi fare delle lavorazioni. Quali sono i veri motivi per cui, invece di adottare un sistema, vigente in tutta Europa, che permette di scegliere, nell’ambito degli ausili disponibili, quello più adatto magari fissando, per ogni categoria, un tetto massimo di spesa per ogni tipologia, si cerca di forzare il sistema dei grandi appalti pubblici per utilizzarlo in un ambito che non gli è proprio? Il modo più efficace per fornire ausili adeguati esiste, permette il controllo della spesa ed il controllo dell’oggetto che viene fornito (per essere sicuri che venga dato proprio quello che lo Stato paga) ed è la registrazione, per ogni tipologia di ausilio, in un – REPERTORIO – di tutti i modelli fornibili con costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, in modo tale che la scelta possa essere chiara e condivisa tra prescrittore ed assistito, anche e soprattutto nel pieno rispetto della dignità di chi, su quell’ausilio, deve passare la sua vita. Il sistema che stanno prefigurando il Ministro Beatrice Lorenzin e la Dott.ssa Silvia Arcà, in realtà, non rispettando le giuste esigenze delle singole persone, costringerà chi ha esigenze particolari e per questo vuole un prodotto adeguato a comprarselo da solo. Così facendo si curano certamente gli interessi delle lobby che lucrano sugli appalti, non certo quelli delle persone con disabilità. Mi rivolgo al Ministro della Salute Beatrice Lorenzin, quindi, chiedendole di approvare al più presto un decreto che contempli un sistema di fornitura aggiornato negli elenchi e giusto nelle procedure, e al Governo, nella persona di Matteo Renzi, chiedendo di far approvare questo decreto, giusto perché rispettoso dei bisogni e dei diritti delle persone con disabilità ed in tempi brevi affinchè non si perda più tempo utile. Fonte: Change.org °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.peacelink.it/ Perché il Mediterraneo non divenga il cimitero dell’Europa 12 febbraio 2015 - Davide Rigallo e Alfonso Sabatino Il Sindaco Giusi Nicolini ha affermato che Lampedusa non può diventare il cimitero del Mediterraneo. E nessuno vuole che il Mediterraneo, culla di civiltà millenarie, sia segnato in continuazione da tragedie umane: lunedì 9 febbraio sono morte 330 persone che si aggiungo al bilancio agghiacciante di altre tragedie che l’hanno preceduta. Come di solito si rimbalzano le responsabilità, si invocano interventi delle autorità europee e nazionali per soccorsi in mare più efficaci. Interventi certamente necessari e opportuni che non vengono però alla radice del problema. Intervenire in mare significa intervenire solo sull’ultimo tratto del percorso tragico che porta migliaia di persone a fuggire dalla fame, dalle carestie, dalle guerre, da dittature spietate e movimenti terroristici. Subito dietro le spiagge meridionali e orientali del Mediterraneo ci sono i conflitti interni della Siria e dell’Iraq, i macabri tagliagole dell’Isis, la fine di comunità storiche multietniche e multi religiose, per secoli espressione di civile convivenza tra professioni religiose islamiche, cristiane ed ebraiche, c’è la questione palestinese, ci sono il disordine del Corno d’Africa, la destabilizzazione della Libia e del Sahel, il terrorismo che devasta la Nigeria. Stati falliti e sistemi sociali allo sbando. C’è anche una pressione demografica colossale che preme sulle sponde del Mediterraneo a fronte della caduta del tasso di natalità europeo. Entro pochi decenni Africa e Medio Oriente potrebbero esprimere una popolazione quattro-cinque volte quella europea. L’Italia non è il solo paese di approdo di un enorme flusso umano che cerca asilo e accoglienza, pace, sicurezza, benessere, sopravvivenza, un futuro. Anche Grecia, Malta, Spagna sono sottoposte alle stesse pressioni migratorie. Ma soprattutto ci sono “cammini della speranza” gestiti dalla criminalità internazionale che portano sulle rive del Mediterraneo questa umanità dolente e disperata. Gruppi criminali, collusi con le forze di controllo locali, che percepiscono somme elevate per trasportare poveri esseri in fuga sulle rive del Mare Nostrum, che li raccolgono poi in vere e proprie carceri, soprattutto in Libia, prima di offrire loro precarie condizioni di attraversamento del mare su imbarcazioni fatiscenti oppure su traghetti di linea grazie ad autotrasportatori compiacenti, pronti a nasconderli tra la merce caricata, come rivelato dalla recente tragedia del traghetto Norman Atlantic. E ci sono connivenze e organizzazioni criminali che favoriscono i trasferimenti di immigrati attraverso l’Europa verso le destinazioni più attraenti per prospettive occupazionali o di asilo. Siamo di fronte a una tragedia umanitaria che stride con le Convenzioni internazionali sulla tutela dei diritti umani, firmate dai nostri Stati. Che stride con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea. Siamo di fronte a un vero e proprio traffico di esseri umani, uomini, donne, minorenni, di fronte al quale non è possibile volgere lo sguardo altrove o invocare soluzioni parziali. Non sono possibili soluzioni nazionali data la natura del fenomeno. Non basta organizzare efficaci salvataggi in mare. Vanno invocati interventi e responsabilità nazionali, europei, dei paesi di provenienza e mondiali. Come intervenire? Ci sono cose che si possono fare subito e altre che richiedono tempo. Certamente può essere riformata l’operazione europea “Triton” per farla aderire agli standard risultati più efficaci dell’operazione “Mare Nostrum”, già condotta dall’Italia. Ma non basta perché occorre intervenire a monte del fenomeno in Africa e in Medio Oriente, alle radici della crisi con una molteplicità di iniziative e strumenti tutti da costruire. I passi necessari possono essere elencati a fini di orientamento (o per un sogno ad occhi aperti): 1. Introdurre il voto a maggioranza nelle decisioni relative alla politica estera e di sicurezza dell’Unione Europea e ricondurre tale politica nelle competenze proprie della Commissione e del Parlamento europeo. Non sfugge a nessuno che occorre passare attraverso una riforma dei trattati, ma non si può ignorare la sfida e si può già intervenire con le competenze comunitarie disponibili (artt. 77-80 e artt.208-214 del TFUE). Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker si è impegnato per una politica di tutela dei diritti, di immigrazione inclusiva e di contrasto dei traffici illegali. Sollecitiamo un suo intervento. 2. Creare, con urgenza, un’Agenzia europea per il soccorso dei migranti che rischiano di morire negli attraversamenti in mare, alternativa o complementare a Frontex, come suggerito dal Consiglio Italiano per i Rifugiati (http://www.cir-onlus.org/index.php?option=com_content&view=article&id=1593:cir-frontexinadeguato-necessario-cambiare-l-europa-e-responsabile-delle-morti-inmare&catid=45&Itemid=143&lang=it) 3. Risolvere il problema della gestione delle frontiere esterne dell’UE, costituendo un corpo europeo di polizia di frontiera fondato su regole comuni e unitarie, rispettose degli articoli della Carta dei diritti dell’UE, che possa essere integrato da forze civili per l’assistenza umanitaria. 4. Progettare piani di pace e di assistenza allo sviluppo per il Medio Oriente e l’Africa. La normalizzazione politica (fine dei conflitti, garanzie costituzionali) e la stabilizzazione economica (cooperazione allo sviluppo) permetterebbero di porre sotto controllo i flussi migratori e offrirebbero, tra l’altro una grande leva di crescita per l’Europa con la partecipazione a progetti educativi, infrastrutturali, energetici, agroalimentari e industriali concordati con le autorità locali. Non deve essere esclusa la possibilità che le persone possano trasferirsi nelle due direzioni (libertà di movimento e di residenza) grazie ad appropriate politiche di rilascio dei visti. 5. Concordare tale piano con le autorità dei paesi arabi e africani disponibili, possibilmente attraverso una concertazione internazionale dell’UE con la Lega Araba e l’Unione Africana sui temi della sicurezza reciproca. Il modello è fornito dal processo di Helsinki che ha portato alla creazione dell’OSCE, organismo comunque da rafforzare. E’ chiaro che nel rapporto con la Lega Araba occorre coinvolgere Israele offrendole garanzie credibili per la sua sicurezza, di protezione e di cooperazione per le intese con i paesi arabi. Un discorso analogo va fatto con l’Unione Africana che già possiede un minimo di organizzazione ed è impegnata in operazioni di peace keeping sul proprio continente. Entrambe le iniziative dovrebbero trovare la legittimazione dell’ONU per favorire non solo la cooperazione bilaterale economica ma anche quella per la sicurezza, il contrasto della criminalità organizzata e della corruzione (oltre al traffico di esseri umani, c’è anche quello della droga, dello sfruttamento della prostituzione, degli organi umani, dei capitali illeciti e delle armi). Può essere un sogno ad occhi aperti, ma queste indicazioni provvisorie rispondono a una sfida reale in corso. L’alternativa è che il Mediterraneo divenga il cimitero dell’Europa. Torino, 12 febbraio 2015 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.si24.it/ Lampedusa, il commissario Ue sui diritti umani: “L’operazione Triton non è all’altezza” di Redazione. Categoria: Cronaca, Sicilia L’operazione Triton “non è all’altezza” dei compiti che deve svolgere e “l’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace”: lo sottolinea in una nota il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, dopo le nuove tragedie che si sono consumate nel Mediterraneo. “Un’altra sciagura che poteva essere evitata – ha continuato Muiznieks -. L’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace”, sottolinea il commissario. Muiznieks ha più volte affermato che l’Unione europea dovrebbe prendere come esempio Mare Nostrum, operazione per cui l’Italia va lodata, e che ha aiutato a salvare centinaia di vite. “Spero che l’Europa cambi approccio, dando maggiore peso ai diritti umani, e non solo alla sicurezza, e aumenti le vie legali cui le persone possono ricorrere per arrivare sul continente e chiedere asilo”. Sostegno alla posizione del commissario europeo, arriva dal direttore del Consiglio Italiano dei Rifugiati, Christopher Hein: “La macchina dei soccorsi non sta funzionando né potrà funzionare se non cambia strutturalmente l’impegno che l’Europa mette in campo: l’operazione Triton non ha come mandato il soccorso e la ricerca in mare. L’Agenzia Frontex – continua Hein - si occupa del controllo delle frontiere, sono i poliziotti d’Europa, non hanno come missione certamente quella del salvataggio. L’Europa di oggi non ha i mezzi, né evidentemente la volontà politica, di mettere in atto una strategia per il soccorso in mare”. Secondo il direttore del Consiglio dei rifugiati è necessario che “l’Europa si muova e modifichi il Regolamento di Frontex, includendo la ricerca e salvataggio in mare o si doti di un’Agenzia specifica che abbia questo obiettivo. L’Unione Europea non può richiamare solamente la responsabilità degli Stati membri, deve finalmente mettere in campo, accanto al collaudato sistema di controllo delle frontiere, un adeguato sistema di soccorso”. “Triton è un inizio, non e’ sufficiente”: cosi’ il ministro degli esteri Gentiloni sull’ultima strage di immigrati al largo di Lampedusa. “Non c”e dubbio che che Triton – ha detto in un’intervista a Sky Tg24 – nelle dimensioni è un’operazione più ridotta rispetto a Mare Nostrum”. “Come abbiamo sempre detto – ha sottolineato Gentiloni – il problema dell’immigrazione non riguarda solo l’Italia, o la Spagna, o la Grecia, ma è un problema che riguarda l’Europa intera. Lo sforzo umanitario che l’Italia ha fatto nel 2014 deve essere condiviso dall’Unione europea”. “Mare Nostrum – ha proseguito il ministro degli esteri – era un impegno notevolissimo, e dobbiamo europeizzarlo. Ma europeizzarlo non vuol dire fare passi indietro sul fronte dell’impegno umanitario. Ed europeizzare il problema non vuol dire ridurre la dimensione dell’intervento. Ci vuole uno sforzo in piu’ da parte dei 28″. 11 febbraio 2015 °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.imolaoggi.it/ Funzionari e 007 europei corrotti dalla CIA con ingenti somme di denaro EUROPA UE, NEWS mercoledì, 11, febbraio, 2015 Le commissioni libertà civili, affari esteri e diritti umani del PE riprenderanno, alla luce delle nuove rivelazioni del Senato USA sull’uso della tortura da parte della CIA, le indagini sulle presunte accuse nei confronti della CIA riguardanti il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri in paesi UE, secondo quanto affermato nella risoluzione approvata mercoledì. I deputati hanno nuovamente fatto appello agli Stati membri affinché indaghino su tali accuse e perseguano i responsabili. Nel documento approvato con 363 voti favorevoli, 290 voti contrari e 48 astensioni, i deputati affermano che la relazione del Senato statunitense pubblicata a dicembre “rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell’UE, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence, sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della CIA, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull’offerta di ingenti somme di denaro da parte della CIA in cambio della loro collaborazione“. “Nessun leader europeo è indipendente dal controllo di Washington” Alla luce di tali nuove prove, il Parlamento incarica le commissioni libertà civili, affari esteri e diritti umani di riprendere le indagini sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della CIA e di riferire in merito all’Aula entro un anno. Tale richiesta comporterebbe, ad esempio, l’invio di una missione d’inchiesta parlamentare negli Stati membri dell’UE che presumibilmente ospitavano siti di detenzione segreta e la raccolta di informazioni ed elementi di prova pertinenti su possibili tangenti o altri atti di corruzione in relazione al programma della CIA. L’impunità deve finire Il clima d’impunità riguardante il programma della CIA “ha favorito il protrarsi delle violazioni dei diritti fondamentali”, come evidenziato anche dai programmi di sorveglianza di massa dell’Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti (NSA) e dai servizi segreti di vari Stati membri dell’UE, sostengono i deputati, sottolineando che “non ci può essere impunità” per queste violazioni. Il Parlamento invita gli Stati Uniti a indagare sulle molteplici violazioni dei diritti umani causate dai programmi della CIA, nonché a cooperare con tutte le richieste degli Stati membri in materia di informazione, estradizione o mezzi di ricorso efficaci per le vittime in relazione al programma della CIA. Per quanto riguarda l’UE, i deputati esprimono preoccupazione in merito agli ostacoli posti alle indagini parlamentari e giudiziarie, all’abuso del segreto di Stato e della classificazione di documenti, con la conseguente cessazione dei procedimenti penali. Hanno nuovamente chiesto agli Stati membri di indagare sulla presunta presenza, sul loro territorio, di prigioni segrete e di perseguire le persone coinvolte nell’ambito del programma della CIA. Il Parlamento esprime il suo orrore e la sua ferma condanna per le “raccapriccianti pratiche di interrogatorio” che hanno caratterizzato tali operazioni antiterroristiche illegali. Sottolinea inoltre la conclusione fondamentale del Senato degli Stati Uniti, secondo cui i metodi violenti applicati dalla CIA non hanno permesso di ottenere le informazioni necessarie a prevenire nuovi attacchi terroristici. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ilgiornale.it/ Bambini finiti al mercato degli schiavi con tanto di cartello del prezzo al collo Fausto Biloslavo - Ven, 06/02/2015 Bambini crocifissi, sepolti vivi, decapitati, stuprati e usati come scudi umani o trasformati in kamikaze. L'orrore dello Stato islamico, nella sua avanzata in Iraq non ha fine, come denuncia un rapporto della Commissione delle Nazioni Unite per i diritti sull'infanzia con sede a Ginevra. Gli esperti dell'Onu denunciano e bollano come aberrante «l'uccisione sistematica dei bambini appartenenti a minoranze etniche e religiose da parte del cosiddetto Isil (Stato islamico ndr), tra cui diversi casi di esecuzioni di massa di ragazzi, rapporti di decapitazioni, crocifissioni e di bimbi sepolti vivi». Il 15 e 16 agosto scorso i tagliagole vittoriosi del Califfato nella loro avanzata in Iraq hanno massacrato gli abitanti della minoranza yazida del villaggio di Kotcho. Secondo il ministro iracheno per i Diritti umani, Mohammed al Sudani, 500 persone, soprattutto uomini, sono stati passati per le armi. Le donne ed i bambini hanno subito una fine peggiore: sepolti vivi in fosse comuni. Il rapporto dell'Onu conferma, che «un alto numero di bambini è stato rapito» dai seguaci della guerra santa «e molti hanno assistito all'uccisione dei loro familiari e subito abusi sessuali». Il 23 giugno a Mosul, l'attuale «capitale» del Califfato in Iraq, lo Stato islamico aveva cominciato a riscuotere la jizya, la tassa della sopravvivenza imposta ai cristiani. Una famiglia non poteva pagarla e tre tagliagole hanno violentato la madre e la figlia davanti al padre, che si è suicidato. Nello stesso periodo sono stati documentati altri 11 casi di stupro oltre al sequestro di due suore e tre orfani. Le Nazioni Unite confermano che il Califfato ha messo in piedi dei «mercati» per gli schiavi da vendere, non solo donne, ma pure bambini «con tanto di cartellino con il prezzo» al collo. L'Onu rivela l'esistenza di una vera e propria «schiavitù sessuale dei bambini detenuti nelle prigioni di fortuna del cosiddetto Stato islamico, come l'ex carcere Badoush fuori Mosul». I minori, non solo cristiani, sono stati «sistematicamente uccisi, torturati, violentati, forzati a convertirsi all'Islam e tagliati fuori dall'assistenza umanitaria». Il disegno del Califfato è chiaro secondo l'Onu: «Sopprimere, espellere o ripulire in maniera permanente (le zone occupate, ndr) per distruggere le minoranze». I minori sono stati arruolati a decine come «soldati» del Jihad. Non solo addestrati alla guerra, ma utilizzati per esecuzioni di prigionieri. In altri casi i più piccoli sono stati usati come scudi umani per impedire alla coalizione anti Califfato di bombardare determinati obiettivi. Renate Winter, uno dei 18 esperti indipendenti della Commissione di Ginevra, spiega che esistono «segnalazioni di bambini, mentalmente instabili, utilizzati come kamikaze, probabilmente senza capire cosa stavano facendo». Un video mostra degli arteficieri iracheni mentre salvano un ragazzino-bomba dello Stato islamico, che si è arreso imbottito di esplosivo. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, destinatario del rapporto, ha espresso «profonda indignazione» per gli abusi sui minori in Iraq. Il destino peggiore è quello delle ragazze ridotte a schiave del sesso dai tagliagole della guerra santa in nome di un assurdo decreto conosciuto come «Jihad al Nikah». Dopo essere state abusate le loro stesse comunità di appartenenza chiedevano alle forze governative di Bagdad di «bombardare scuole ed ospedali, che servivano da prigioni di fortuna delle donne e ragazze violentate» si legge nel rapporto Onu. Il motivo è terribilmente chiaro: «Uccidendo le vittime dello stupro veniva “salvato l'onore” della (loro) gente nelle città assediate» dai tagliagole della guerra santa. www.gliocchidellaguerra.it Isis, la denuncia choc dell'Onu: "Bambini crocifissi e sepolti vivi" Le vittime sarebbero soprattutto tra yazidi e cristiani. E i minori con problemi mentali vengono usati come kamikaze Carola Parisi - Gio, 05/02/2015 L'Isis non ha pietà di nessuno. Neanche dei bambini. E sono moltissimi i minorenni iracheni rapiti dai militanti dello Stato islamico che vengono poi rivenduti come schiavi del sesso. È questa la drammatica denuncia contenuta in un rapporto del comitato delle Nazioni Unite sui diritti dell'infanzia. Ma non c'è solo questo terribile aspetto: le barbarie dei terroristi sembrano non conoscere fine. Tanti bambini vengono anche brutalmente uccisi tramite crocifissione o sepolti vivi. Minori addestrati a combattere e usati come scudi umani durante i conflitti a fuoco. I ragazzi iracheni di età inferiore ai 18 anni vengono, fin da piccoli, addestrati a combattere e sono sempre più utilizzati dagli jihadisti come "carne da macello" per proteggere le strutture dei terroristi contro gli attacchi aerei americani. Ci sarebbero video che documentano persino l'uso come kamikaze di bambini con problemi mentali. E le vittime sarebbero soprattutto tra yazidi e cristiani, ma anche sciiti e sunniti. "La portata del problema è enorme", ha detto a Reuters Renate Winter, una dei 18 membri della Commissione Onu che ha redatto il report. "Siamo profondamente preoccupati per la tortura e l'uccisione di quei bambini, in particolare quelli appartenenti a minoranze, ma non solo", ha aggiunto. E riguardo al filmato dell'ostaggio bruciato vivo in una gabbia, l'Onu ha riferito che i militanti dell'Isis hanno organizzato proiezioni pubbliche, nelle piazze delle città sotto il loro controllo, delle immagini del pilota giordano arso vivo. A Raqqa, città siriana eletta "capitale" del Califfato, tra gli spettatori c'era un bambino di non più di otto anni che sorridendo ha affermato: "Anche io voglio catturare e bruciare dei piloti". L'Ue buonista si rimpalla gli immigrati morti in mare Ennesima tragedia nel Mediterraneo. L'Ue non muove un dito. E la sinistra radical chic chiede il ritorno a Mare Nostrum Andrea Indini - Mer, 11/02/2015 "L'operazione Triton non è all’altezza dei compiti che deve svolgere". Dopo l'ennesima tragedia che si è consumata nel Canale di Sicilia, il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, affonda la missione che dovrebbe pattugliare il Mar Mediterraneo per far fronte all'emergenza immigrazione. "L'Europa - tuona - ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace". Non è il solo a pontificare. L'Alto rappresentante della Ue, Federica Mogherini, si è affrettata a convocare un vertice per "rivedere le politiche europee sull’immigrazione". Con la consapevolezza che nulla cambierà: migliaia di disperati continueranno a imbarcarsi per invadere l'Europa; chi non ce la farà, rimetterà l'anima a dio. Come regolarmente avviene dopo ogni tragedia, la politica si lancia in nuove promesse. E si rimpalla le responsabilità. L’aveva fatto dopo la strage dell’ottobre del 2013 a Lampedusa, con 368 migranti affogati davanti all’isola dei Conigli, con l’allora presidente dell’Ue Barroso che davanti a quelle bare disse "l’Europa non può girarsi dall’altra parte". L'aveva fatto dopo la visita del Papa sull’isola, quando Francesco chiese perdono per tutti i morti in fondo al mare e invitò l’Italia e l'Unione europea a muoversi. E lo fa anche stavolta, dopo che 29 disperati sono morti di freddo tra la Libia e la Sicilia e solo grazie alla follia dei soccorritori che hanno sfidato onde alte 9 metri altri 76 clandestini sono arrivati sani e salvi. Oltra a questi 29 cadaveri, che presto saranno sepolti in Italia, ce ne sono altri trecento in balia delle onde. "La tragedia consumatasi nel Mediterraneo è un’altra sciagura che poteva essere evitata - osserva Muiznieks - l'Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace". Il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa ha più volte affermato che l’Unione europea dovrebbe prendere come esempio Mare Nostrum, ma ha sempre taciuto che sulla coscienza di chi ha voluto quella missione ci sono tremila vite stroncate dalla furia del mare. Il punto resta sempre lo stesso: mezza Europa non vuole saperne di farsi carico del problema, l’altra metà - con l'Italia in testa - va ripetendo da tempo che le frontiere della sponda sud dei Paesi europei sono a tutti gli effetti frontiere dell'Unione, dunque tutti devono farsene carico. La Commissione Ue ha ricordato al governo Renzi che Triton "ha l’intento di sostenere lo sforzo dell’Italia, non di sostituirsi a lei né a Mare Nostrum". Dunque l’Italia deve metterci del suo. Perché i morti sono già tanti. Più del 2014: 50 contro le 12 vittime dell’anno scorso. Come di più sono i clandestini già arrivati: 3.538 secondo i dati dell’Unhcr a gennaio 2015, 2.171 a gennaio dello scorso anno. Numeri che fanno temere un altro anno pesante. Per quest'ultima tragedia la procura di Agrigento aprirà un altro fascicolo. L'ennesimo. È il solito teatrino delle istituzioni (italiane ed europee) che si rimpallano le responsabilità. A Bruxelles il ministro dell'Interno Angelino Alfano risponde che spetta alla Ue occuparsene andando a "piantare le tende in Africa". Anche in Italia il mood è lo stesso. Non si va oltre gli annuncia. Fioccano le frasi a effetto. "Agire ora è troppo tardi", dice il presidente del Senato Piero Grasso. Laura Boldrini fa eco: "Triton è inadeguata". E dal quartier generale del Partito democratico tornano a chiedere a gran voce il ritorno a Mare Nostrum. "Bisogna ripristinarlo - avverte Enrico Letta - anche se si perdono voti". In realtà, Mareo Nostrum non è la soluzione al problema, ma l'origine dell'emergenza. Continuare su questa linea significa aprire la strada ai trafficanti di uomini e mettere a rischio altre vite. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.secoloditalia.it/ Strage di Lampedusa, Gasparri: «Mare nostrum ha incoraggiato i trafficanti» Redazione Home livello 3, Politica Gasparri, immigrazione, Lampedusa, Mare Nostrum 11/02/2015 «Con la politica delle porte aperte avremo sempre tragedie nel Mediterraneo». Così Maurizio Gasparri dopo le notizia dell’ennesima strage al largo di Lampedusa. «Mare nostrum – prosegue il vicepresidente del Senato – ha alimentato il mercato dei trafficanti criminali, cresciuto proprio perché certi di un soccorso da parte nostra. Chi pensa a un Mare nostrum 2 sbaglia completamente e anche Triton di Frontex si è rivelata un fallimento». La presa di posizione di Gasparri arriva dopo le richieste della sinistra di tornare a Mare nostrum in seguito l’ennesima strage al largo delle coste di Lampedusa. «Serve fermezza – aggiunge il senatore di Forza Italia – per impedire che barconi fatiscenti partano dalle coste libiche e altrove. Le morti nel Mediterraneo si impediscono con una politica degli accordi come quella fatta dai governi Berlusconi che riuscì a bloccare le partenze. Renzi doveva dirlo chiaro e forte durante il semestre italiano di presidenza Ue e invece ha clamorosamente mancato questa occasione. L’Ue non c’è. La comunità internazionale – continua Gasparri – è silente di fronte a tragedie immani. Chi pensa di continuare sulla strada delle porte aperte incoraggia trafficanti e causa nuove morti». Gasparri replica al Pd che rimpiange Mare nostrum L’operazione «Triton non è all’altezza» dei compiti che deve svolgere e «l’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace». È quanto sottolinea in una nota il commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, dopo le nuove tragedie che si sono consumate nel Mediterraneo. il commissario europeo ha ha quindi sottolineato che la Ue dovrebbe prendere come esempio «Mare Nostrum, operazione per cui l’Italia va lodata, e che ha aiutato a salvare centinaia di vite». Una richiesta che la sinistra italiana accoglie entusiasticamente: «Ora si torni a Mare Nostrum, quella missione è la giusta via». Così Laura Garavini, dell’ufficio di presidenza del Gruppo Pd alla Camera, dopo la nota del commissario dei diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, che boccia l’operazione Triton. Parere reiterato dalla vicepresidente della Camera dei deputati Marina Sereni: «È possibile organizzare una presenza in mare che metta in primo piano il salvataggio delle vite umane. Ed è esattamente questo l’obiettivo che oggi l’Europa dovrebbe mettere al centro di un’azione condivisa». Mare Nostrum 2 si avvicina. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ansa.it/ Ue-Usa: ok Parlamento Ue a ripresa indagini su torture Cia Riferire in merito all'Aula entro un anno 11 febbraio, 15:05 BRUXELLES - Le commissioni libertà civili, affari esteri e diritti umani del Parlamento riprenderanno, alla luce delle nuove rivelazioni del Senato Usa sulle torture da parte della Cia, le indagini sulle presunte accuse circa il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri nei paesi Ue. E' quanto prevede una risoluzione approvata dalla plenaria di Strasburgo. I deputati hanno nuovamente fatto appello agli Stati membri affinché indaghino su tali accuse e perseguano i responsabili. Nel testo, approvato con 363 voti favorevoli, 290 voti contrari e 48 astensioni, si legge che la relazione del Senato statunitense pubblicata a dicembre "rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell'Ue, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence, sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della Cia, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull'offerta di ingenti somme di denaro da parte della stessa Cia, in cambio della loro collaborazione". Alla luce di tali nuove prove, il Parlamento incarica le commissioni libertà civili, affari esteri e diritti umani di riprendere le indagini sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della Cia e di riferire in merito all'Aula entro un anno. Sfide della cooperazione internazionale Analisi e valutazioni nell'ultimo testo di Massimo Tommasoli Emanuele Riccardi 15 febbraio 2015 MASSIMO TOMMASOLI, 'POLITICHE DI COOPERAZIONE INTERNAZIONALE. ANALISI E VALUTAZIONE', (CAROCCI - pp. 224 - 26 EURO). È un'analisi puntuale che coniuga le riflessioni sulle politiche di cooperazione internazionale con il piano dell'azione quella che Massimo Tommasoli - osservatore permanente presso l'Onu dell'International Institute for Democracy and Electoral Assistance - elabora nel suo ultimo volume edito da Carocci, frutto di riflessioni maturate nell'arco di trent'anni di ricerca. Lo studio tiene conto delle contraddizioni nella relazione tra retoriche affermate a livello di politiche e pratiche concrete di intervento, delle ambiguità, delle potenzialità che caratterizzano le strategie di cooperazione. L'analisi che l'autore conduce si basa sui risultati di programmi ispirati alle politiche di cooperazione in campi quali la lotta alla povertà, i diritti umani, la cooperazione universitaria e la cooperazione non governativa. Rivolto a studiosi, ricercatori e operatori nel campo della cooperazione internazionale, il libro analizza le dimensioni politiche della sostenibilità e la loro integrazione con l'assetto sociale, economico e ambientale nell'agenda dello sviluppo post-2015. In una prospettiva di antropologia dello sviluppo, le politiche di cooperazione internazionale vengono concepite da Tommasoli come "razionalità itineranti in grado di nascondere o cancellare la specificità regionale, istituzionale o organizzativa del processo di sviluppo". Queste pratiche esigono un'analisi dei problemi di sviluppo, indispensabile per formulare una proposta di adeguate soluzioni tecniche per affrontare e sciogliere i problemi locali. La partecipazione di tutti i partner interessati, donatori e riceventi, si mostra necessaria a garantire un successo duraturo della cooperazione. Il mancato coinvolgimento delle popolazioni beneficiarie e la tendenza a considerare i beneficiari dei propri interventi come gruppi omogenei, rendono questi processi talvolta inefficaci. Dalle origini della cooperazione internazionale alle critiche al sistema, dalle tensioni esistenti tra valori universalisti e approcci relativisti sulla base del tema dei diritti umani, il volume dedica ampio spazio all'analisi delle dimensioni sociali e culturali all'interno delle istituzioni della cooperazione internazionale, soffermandosi sull'impiego delle competenze socioantropologiche nell'analisi delle dimensioni sociali e culturali coinvolte in questi processi. Le agenzie internazionali che operano in questo settore hanno rivelato, negli ultimi anni, un certo interesse nei confronti dell'antropologia. Il ruolo degli antropologi, a lungo sottovalutato, è stato riconsiderato alla luce dei contributi che questi studiosi possono apportare alla comprensione del contesto socioculturale nel quale si intende operare. L'autore sposta l'attenzione verso una nuova dimensione della professione antropologica, che tenga conto della ricerca applicata che sta emergendo accanto a quella dell'insegnamento universitario, e invita a considerare quale sia la possibilità per l'antropologia, intesa come professione, di offrire un contributo nel quadro della cooperazione internazionale.(ANSA). °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° https://www.agi.it/ Ue: si' Europarlamento indagini violazioni diritti umani Cia 11 FEB 2015 (AGI) - Roma, 11 feb. - Le commissioni liberta' civili, affari esteri e diritti umani del Parlamento Europeo riprenderanno, alla luce delle nuove rivelazioni del Senato Usa sull'uso della tortura da parte della Cia, le indagini sulle presunte accuse nei confronti della Cia riguardanti il trasporto e la detenzione illegale di prigionieri in paesi Ue, secondo quanto affermato nella risoluzione approvata oggi. I deputati hanno nuovamente fatto appello agli Stati membri affinche' indaghino sutali accuse e perseguano i responsabili. Nel documento approvato con 363 voti favorevoli, 290 voti contrari e 48 astensioni, i deputati affermano che la relazione del Senato statunitense pubblicata a dicembre "rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell'UE, le loro autorita', nonche' funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence, sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della Cia, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull'offerta di ingenti somme di denaro da parte della Cia in cambio della loro collaborazione". Alla luce di tali nuove prove si legge in una nota - il Parlamento Europeo incarica le commissioni liberta' civili, affari esteri e diritti umani di riprendere le indagini sui presunti casi di trasporto e detenzione illegale di prigionieri in paesi europei da parte della Cia e di riferire in merito all'Aula entro un anno. Tale richiesta comporterebbe, ad esempio, l'invio di una missione d'inchiesta parlamentare negli Stati membri dell'UE che presumibilmente ospitavano siti di detenzione segreta e la raccolta di informazioni ed elementi di prova pertinenti su possibili tangenti o altri atti di corruzione in relazione al programma della Cia. Il clima d'impunita' riguardante il programma della Cia - prosegue la nota pubblicata sul sito dell'Eurioparlamento - "ha favorito il protrarsi delle violazioni dei diritti fondamentali", come evidenziato anche dai programmi di sorveglianza di massa dell'Agenzia per la sicurezza nazionale degli Stati Uniti (Nsa) e dai servizi segreti di vari Stati membri dell'Ue, sostengono i deputati, sottolineando che "non ci puo' essere impunita'" per queste violazioni. Il Parlamento invita gli Stati Uniti a indagare sulle molteplici violazioni dei diritti umani causate dai programmi della Cia, nonche' a cooperare con tutte le richieste degli Stati membri in materia di informazione, estradizione o mezzi di ricorso efficaci per le vittime in relazione al programma della Cia. Per quanto riguarda l'Ue, i deputati esprimono preoccupazione in merito agli ostacoli posti alle indagini parlamentari e giudiziarie, all'abuso del segreto di Stato e della classificazione di documenti, con la conseguente cessazione dei procedimenti penali. Hanno nuovamente chiesto agli Stati membri di indagare sulla presunta presenza, sul loro territorio, di prigioni segrete e di perseguire le persone coinvolte nell'ambito del programma della Cia. Il Parlamento Europeo esprime il suo orrore e la sua ferma condanna per le "raccapriccianti pratiche di interrogatorio" che hanno caratterizzato tali operazioni antiterroristiche illegali. Sottolinea inoltre la conclusione fondamentale del Senato degli Stati Uniti, secondo cui i metodi violenti applicati dalla CIA non hanno permesso di ottenere le informazioni necessarie a prevenire nuovi attacchi terroristici. Libia nel caos: rapito presidente Commissione Diritti umani 12:35 15 FEB 2015 (AGI) - Tripoli, 15 feb. - Il presidente della Commissione nazionale libica per i diritti umani, al Hadi Bin Taleb, e' stato rapito sabato da un commando di uomini armati a Tripoli. Lo scrive la stampa libica. Il funzionario libico e' stato sequestrato insieme al suo vice, Ali al Sati, nella zona di Ain Zara della capitale. Al momento il sequestro non e' stato rivendicato e non sono state avanzate richieste da parte dei rapitori ne' sono chiari i motivi alla base di questo gesto. La Commissione - che ha regolarmente criticato le milizie islamiste Alba lbica, accusate di crimini contro i diritti umani- ha chiesto a Unsmil, Ue, Amnesty International e Human Rights Watch di intervenire urgentemente per assicurare la liberazione dei due uomini. Intanto il ministro degli Esteri egiziano, Sameh Shoukry, ha escluso la possibilita' che Il Cairo possa intervenire militarmente in Libia dopo il rapimento e l'annuncio dell'uccisione di 21 lavoratori egiziani copti a Sirte, per mano dello Stato islamico. Shoukry, durante una conferenza stampa che si e' svolta sabato sera, ha detto che "al momento non ci sono prove concrete che i 21 lavoratori egiziani siano stato uccisi a Sirte dopo essere stati rapiti: "Abbiamo contattato gli ospedali libici e i capi tribu' e nessuno finora ci ha detto di aver avuto i loro corpi". L'uccisione dei 21 egiziani era stata annunciata dalla rivista dello Stato islamico ma non e' mai confermata da fonti indipendenti. (AGI) . °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.strettoweb.com/ Stragi nel Mediterraneo, le dichiarazioni della Presidente della Camera e del Commissario europeo dei diritti umani “L’operazione Triton è inadeguata“, su questo convergono Laura Boldrini e Nils Muiznieks L’operazione Triton “non è adeguata” a prevenire le tragedie dell’immigrazione nel Mediterraneo. Lo afferma Nils Muiznieks, commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, dopo la nuova “evitabile” tragedia nel canale di Sicilia. L’Unione europea, continua il commissario dell’istituzione di Strasburgo, ha bisogno di “un efficace sistema di ricerca e soccorso“. Anche per la presidente della Camera, Laura Boldrini, “di fronte a questa strage non si può non prendere atto che l’operazione Triton è inadeguata“. “Si confermano infatti – sottolinea la presidente – tutte le preoccupazioni che in molti avevamo espresso sulla fine di Mare Nostrum. Come hanno sottolineato sia il ministro degli Esteri, Paolo Gentiloni, quanto il commissario per i diritti umani del Consiglio d’Europa, Nils Muiznieks, l’Europa deve dotarsi di un sistema di monitoraggio e salvataggio ben più efficace di quello ora in vigore. Altrimenti ogni espressione di dolore per le tragedie avrà il segno dell’ipocrisia“. “Ma in attesa che l’Unione europea e gli Stati membri arrivino ad assumere le decisioni indispensabili, è urgente – sottolinea Boldrini – che nel Mediterraneo si ripristinino operazioni più estese di pattugliamento e di soccorso tali da consentire di salvare il più alto numero possibile di vite umane“. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.vita.it/ Marazziti: L'Europa non può essere il guardiano di un cimitero di Redazione 11 Febbraio Feb 2015 1600 11 febbraio 2015 Mario Marazziti, presidente del Comitato Diritti Umani della Camera lancia cinque proposte tra cui la creazione di un'Agenzia europea per l'immigrazione, l'accoglimento delle domande di asilo nei consolati e nelle ambasciate della Riva sud del Mediterraneo e la creazione di percorsi sicuri per i rifugiati siriani Mario Marazziti, dopo l’ultima tragedia del Canale di Sicilia: il naufragio di alcuni gommoni che avrebbero portato alla morte oltre 300 persone, secondo le informazioni fornite dai 9 superstiti, lancia alcune proposte per porre un freno all’immane tragedia che si consuma ai confini sud dell’Europa che secondo il parlamentare di Democrazia Solidale «non può essere il guardiano di un cimitero». Questi ultimi sono morti che si aggiungono a quelli di freddo («quanto freddo ci vuole per morire di freddo dopo che si fugge dalla guerra e dalla Libia?» chiosa in una nota Marazziti) e agli oltre 25mila morti di questi anni. «Sono solo quelli dei corpi che si ritrovano, delle testimonianze dei sopravvissuti. È verosimile che il bilancio dei morti veri, spariti per sempre, anche dalla memoria, sia almeno il doppio. È un cimitero che non è compatibile con l'essere europei, che è diventato sempre più "trendy" dopo la chiusura ufficiale di "Mare Nostrum" e l'avvio di Triton» scrive il parlamentare che è presidente del Comitato Diritti Umani della Camera. «La Guardia costiera e le autorità italiane stanno facendo un lavoro straordinario che riduce il numero delle vittime, ma occorre una svolta decisiva, anche dopo i fatti di Parigi» commenta Mario Marazziti. Per il parlamentare a ogni arretramento di un miglio nel Mediterraneo delle navi europee dalla Riva Sud del Mediterraneo (come previsto nel programma Triton, che ha natura meramente "difensiva"), corrisponde a un numero difficile da calcolare di nuove vittime. L'operazione Mare Nostrum ha portato al salvataggio di oltre 140mila migranti da parte della Marina Militare Italiana o di imbarcazioni collegate alla più grande operazione umanitaria del Mare Mediterraneo. «Nonostante questo sono state circa 3000 le vittime che non si è potuto evitare. Il bilancio è sicuramente oggi più drammatico e si avvia a esserlo in maniera esponenziale con la buona stagione che arriverà» continua Marazziti. «Chi si è opposto a Mare Nostrum ha una responsabilità gravissima». Marazziti invita a pensare al fatto che: «La politica "immigrati zero" della nuova star populista Salvini si traduce in morti in più: è inaccettabile. Che l'Europa e l'Italia non possano stanziare cento milioni per salvare centomila vite umane, mille euro a vita - tante sono quelle salite sulle navi militari italiane strappate al naufragio - è patetico e colpevole. In più, l'assenza dei viaggi legali per i siriani perseguitati, per gli sfollati delle guerre del Medio Oriente e del Nordafrica, sta diventando una fonte di finanziamento importante per la criminalità organizzata e per il terrorismo mondiale, Isis incluso». Mario Marazziti che ha avviato incontri con i colleghi del Comitato Diritti Umani del Bundedstag e del Parlamento europeo, come Frank Schwabe e Gabriela Heinrich per arrivare all’elaborazione di cinque proposte. Si tratta di: 1. Creazione di una Agenzia europea per l'immigrazione 2. Accoglimento delle domande di protezione e asilo dei profughi nei consolati e ambasciate europei sull'altra riva del Mediterraneo e nei paesi di transito, dalla Giordania ad Addis Abeba e Khartoum, al Marocco e Tunisia: e creazione di una banca dati comune che permetta di conoscere le identità prima del viaggio della speranza in mano ai trafficanti, riducendo la possibilità di infiltrazioni. 3. Creazione dei viaggi sicuri svuotando il traffico e i guadagni della criminalità organizzata e il finanziamento del terrorismo jihadista e del cosiddetto "stato islamico" 4. Percorso privilegiato per i profughi siriani, per ridurre la compressione di Libano, Turchia e Iraq, portando ad almeno 200mila i profughi siriani accolti in Europa, visto che raggiungono la cifra di oltre tre milioni fuori dai confini, e permettendo il transito ad altri con ricollocamento in America e altri paesi, esistendo una disponibilità non utilizzata finora ad accoglierli. 5. Creazione di un un Centro di Accoglienza europeo in Sicilia, che permetta con facilità i ricongiungimenti familiari e la ricollocazione per quote nei Paesi dell'UE superando le ristrettezze della Convenzione di Dublino, e introducendo almeno, fin da ora, il principio della reciprocità per permettere mobilità bi-direzionale tra alcuni paesi europei. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.notiziegeopolitiche. net/ UE. Il Parlamento vuole indagare sui prigionieri della Cia transitati in Europa feb 11th, 2015 | By redazione | Category: Qui Europa, Ultimissime Notizie Geopolitiche – Il 24 luglio scorso la Corte europea per i Diritti umani ha condannato la Polonia per il trattamento riservato nelle proprie strutture detentive a prigionieri catturati in Afghanistan destinati ad essere trasferiti a Guantanamo: secondo Strasburgo vi sarebbe stata “complicità” delle autorità polacche per casi di torture e di sparizioni presso un centro segreto della Cia situato in Polonia tra il 2002 e il 2005. Tuttavia il dramma dei prigionieri maltrattati e torturati nelle carceri alleate in Europa sembra essere assai più ampio e coinvolgere altri paesi: oggi le commissioni Libertà civili, Affari esteri e Diritti umani del Parlamento Europeo sono state incaricate dal voto parlamentare di riprendere le indagini sui prigionieri transitati in Europa per conto della Cia, alla luce delle recenti rivelazioni del Senato statunitense sull’uso della tortura da parte della Cia. La Risoluzione, approvata con 363 voti favorevoli, 290 voti contrari e 48 astensioni, è una richiesta ai 28 paesi membri di fare luce in merito alle accuse che risultano dalla relazione del Senato americano, la quale “rivela nuovi fatti che rafforzano le accuse secondo cui alcuni Stati membri dell’Ue, le loro autorità, nonché funzionari e agenti dei loro servizi di sicurezza e intelligence, sarebbero stati complici nel programma di detenzioni segrete e consegne straordinarie della Cia, talvolta mediante pratiche di corruzione basate sull’offerta di ingenti somme di denaro da parte della Cia in cambio della loro collaborazione”. Quasi sicuramente una commissione dell’Europarlamento verrà inviata negli Usa per prendere visione della documentazione e quindi riferire le risultanze all’Assemblea. “Il clima d’impunità riguardante il programma della Cia – prosegue la nota pubblicata sul sito dell’Europarlamento – ha favorito il protrarsi delle violazioni dei diritti fondamentali”. USA. La Cia fece uso della tortura. Organizzazioni per i Diritti umani sul piede di guerra dic 10th, 2014 | By redazione | Category: Qui America del Nord, Ultimissime Notizie Geopolitiche – Come ci si poteva aspettare, la lettura in Senato del rapporto della Commissione di intelligence sulle torture e sui crimini compiuto dalla Cia sta avendo ripercussioni politiche. Da rapporto è emerso che gli agenti della Cia hanno torturato i sospetti terroristi di al-Qaeda fin dall’11 settembre 2001, ma anche che tali misure si sono mostrate “inefficaci”, che “non sono servite a nulla”. Addirittura è emerso che il 20 per cento dei prigionieri era in stato di detenzione “per un errore di identità o a causa di cattive informazioni di intelligence”. Da parte sua la Cia, rappresentata in audizione dal direttore John Brennan, si è difesa affermando che le notizie ottenute attraverso le torture “hanno prodotto informazioni di intelligence e contribuito a evitare attacchi, a catturare terroristi e a salvare vite umane”, e che “uomini e donne dell’Agenzia hanno lavorato nel mondo 24 ore al giorno per prevenire attacchi terroristi”. La decisione di rendere pubblica l’audizione viene dallo stesso presidente Obama, forse in risposta al cattivo risultato delle elezioni di midd term che hanno consegnato il Senato ai Repubblicani, cioè al partito di John W. Bush, che rispose all’attacco terroristico alle World Trade Center con l’attacco ad al-Qaeda. Ed anche il capogruppo repubblicano al Senato, Mitch McConnell, si è schierato a sostegno di Brennan affermando che le torture “Sono servite a catturare pericolosi terroristi, oltre che uccidere Osama Bin Laden”. A poche ore dall’audizione diverse organizzazioni per i diritti umani, da Amnesty International a Human Rights Watch, hanno chiesto che i responsabili dei singoli fatti siano processati: Steven W. Hawkins, direttore di Amnesty International, ha detto che il rapporto “cristallizza un’evidenza ormai assoluta, ovvero che il governo americano ha fatto ricorso alla tortura. La tortura è un crimine e coloro che ne sono responsabili devono essere tradotti in giustizia”. (…) “In base alla Convenzione Onu contro la Tortura, non possono essere invocate circostanze eccezionali per giustificare le torture, e tutto coloro che sono responsabili per averle inflitte o autorizzate devono essere processati”. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.clandestinoweb.com / Diritto umano universale alla conoscenza, nuova sfida radicale di Domenico Letizia - Una nuova e fondamentale sfida transnazionale è quella di Non c’è Pace senza Giustizia, Nessuno Tocchi Caino e del Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Transpartito per la “codificazione del diritto umano universale alla conoscenza” sicché sia stabilito come diritto fondamentale il diritto di conoscere in che modo e perché i governi, a vari livelli, prendano determinate decisioni che influiscono sui nostri diritti umani e libertà civili, soprattutto per quanto riguarda questioni di “sicurezza nazionale”. Continua la battaglia tra lo Stato di Diritto e la Ragion di Stato e gli uomini liberi e consapevoli non possono che impegnarsi per l’affermazione dello stato di diritto, per l’affermazione dei diritti umani e della dignità di ogni individuo. I governi devono essere responsabili delle loro azioni e devono garantire un’adeguata informazione, che sia disponibile, accessibile e accurata secondo i principi dell’apertura e della trasparenza. Benché alcuni Paesi forniscano ai cittadini gli strumenti per accedere alle informazioni, ad esempio attraverso i Freedom of Information Acts, questa normativa, anche nei paesi cosiddetti democratici, spesso non risponde alle attese naturali e legittime dei cittadini, rivelandosi inadeguata e non disponibile. Il diritto a conoscere ciò che i membri del Governo orchestrano nel segreto delle stanze del potere a nome dei cittadini e con i denari dei contribuenti, potrebbe migliorare il rapporto tra eletti ed elettori, riuscendo anche ad alleviare la forza di tutte quelle organizzazioni politiche che fanno del populismo e della violenza la bandiera di guida dei sistemi sociali e politici. Il nuovo millennio si è presentato al mondo con la paura della guerra e del terrorismo, abbiamo assistito all’impiego di mezzi e strategie militariste e a un prolungato e arbitrario Stato di emergenza, in barba a tutte le convenzioni internazionali, proclamato per la pretesa necessità di difendersi in tal modo da minacce derivanti da terrorismo, immigrazione, droga e altri “nemici sociali”. Lo scandaloso rapporto sul programma di tortura della CIA pubblicato recentemente dal Senato americano è un passo importante che rafforza la qualità della democrazia americana. Invece, i cittadini britannici non hanno ancora il diritto di conoscere le responsabilità dettagliate del coinvolgimento del Regno Unito nell’invasione dell’Iraq nel 2003. Lo sconcertante e inaccettabile ritardo della pubblicazione del Rapporto Chilcot impedisce di conoscere i fatti, assegnare le responsabilità e trarre lezioni per il futuro come ha ben illustrato Matteo Angioli di Non c’è Pace senza Giustizia e del Partito Radicale (curatore del sito sulla verità della guerra in Iraq e delle responsabilità di Bush e Blair). In queste settimane il Partito Radicale sta lavorando alla creazione della Seconda Conferenza Internazionale per lo stato di diritto e il diritto alla conoscenza che si terrà a Bruxelles presso il Parlamento Europeo, a Marzo 2015. Saranno presenti relatori ed esperti internazionali nel campo dei diritti umani e delle relazioni internazionali. I partecipanti che si confronteranno nella Seconda Conferenza Internazionale esamineranno gli strumenti internazionali disponibili, giuridici e non, necessari a promuovere la centralità dello Stato di Diritto e l’universalità dei Diritti Umani, lanciando un manifesto-appello che dia nuova linfa vitale alla democrazia liberale asserendo con forza la centralità di uno Stato di Diritto democratico, federalista, laico, e l’universalità dei Diritti Umani. Obiettivo specifico è la codificazione del diritto umano universale alla conoscenza, richiedendo alle Nazioni Unite l’adozione di una risoluzione o dichiarazione politica che segua tale percorso. Come tutte le campagne radicali, che vivono dell’autofinanziamento dei cittadini, anche questa ha un costo, calcolato intorno ai 15.000 euro di partenza. Marco Pannella nei scorsi giorni ha lanciato un appello pubblico ai cittadini, appello che è apparso anche in qualche Tg nazionale, invitando a finanziare la campagna in corso. Non possiamo che invitare a visionare i siti radicali consultabili in rete e seguendo le istruzioni presenti sui siti, sostenere e finanziare la campagna radicale per il diritto alla conoscenza come diritto umano. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.huffingtonpost.it/ "Human Rights Human Wrongs", da Martin Luther King al bambino del Biafra. Mostra a Londra (FOTO) Silvia De Santis, L'Huffington Post Pubblicato: 12/02/2015 Oltre duecento immagini raccontano di razzismo, lotte, conflitti sociali da ogni angolo di mondo. Nella mostra fotografica in corso alla Photographer’s Gallery di Londra ci sono due punti di partenza: l’articolo 6 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani e il libro di Frantz Fanon “Pelle nera, Maschere Bianche”. Il primo afferma che “ogni individuo ha diritto, in ogni luogo, al riconoscimento della sua personalità giuridica”. Il secondo esplora gli effetti disumanizzanti del colonialismo sulla coscienza del popolo nero. “Human Rights, Human Wrongs è la “dimostrazione fotografica” della distanza che intercorre tra aspirazioni ideali e realtà dei fatti, lo scarto tra teoria e prassi. “L’obiettivo” spiega Mark Sealy, curatore “è fornire una nuova interpretazione ai conflitti e alle rivoluzioni così come ci sono state raccontate, scardinarli dal loro contesto particolare e metterli in relazione con altri eventi avvenuti a molti chilometri di distanza”. Per questo, Martin Luther King, le lotte per i diritti civili dei neri nell’America degli anni Sessanta, suggestivamente colte dagli obiettivi di Bruce Davidson, Charles Moore e Dan Budnik, sono raccontati qui attraverso immagini meno note dell’archivio Black Star, agenzia fondata nel 1935 a New York da tre ebrei tedeschi fuggiti dalla persecuzione nazista. E, soprattutto, sono considerate non già come eventi isolati, ma come parte di una sequenza più ampia, che include anche le lotte per l’indipendenza Africana avvenute nella Repubblica Domenicana del Congo o in Sudafrica. Allo stesso modo i moti del Sessantotto e le manifestazioni contro la guerra in Vietnam sono messe in relazione alle rivolte di Parigi e di Città del Messico. La mano repressiva dello Stato è intervenuta, allo stesso modo, in tutte le capitali del mondo. L’insolito approccio che guida la mostra intende porre degli interrogativi sull’effettiva aderenza alla realtà di immagini scattate esclusivamente da fotografi occidentali (quindi sempre interni alla tradizione eurocentrica) , e su informazioni pur sempre destinate ai circuiti dei media eurocentrici. L’immaginario che ci viene restituito è sempre figlio di un punto di vista geograficamente e culturalmente connotato. E allora, se la visione degli eventi è sempre stata mediata attraverso gli occhi di spettatori “outsider”, fino a che punto questa rappresentazione risponde al vero? È corretto credere incondizionatamente a immagini che, in certa misura, sono tarate su canoni e sensibilità eurocentriche? La Photographer’s Gallery di Londra si è posta queste domande, e ha messo in mostra quelle foto che in Occidente hanno finito per cristallizzarsi in stereotipi: il bambino del Biafra con gli occhi grandi e il corpicino esile, divenuto l’allegoria della carestia; i militari occidentali feriti, colti dall’obiettivo con le braccia allargate “come tanti Cristi in croce, in contrasto con la rappresentazione solita dei soldati africani, selvaggi da addomesticare, rinnegati che combattono fuori dalle regole” osserva Sealy. “Diritti umani, torti umani”, si intitola la mostra. Il decalage tra proclami e riconoscimenti. Perché a tradire l’articolo 6 della Dichiarazione dei Diritti Universali può anche essere una fotografia. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.ecodellojonio.it/ Dibattito Eco dello Jonio, presidente Chiaravalloti anticipa: “Terrorismo e diritti umani, difficile equilibrio” Pubblicato da Comunicato Stampa in Attualità, Breaking News, Comunicati stampa, Eventi, In Evidenza, Rossano 12/02/2015 13:44 Il difficile equilibrio tra la lotta al terrorismo internazionale e la tutela dei diritti umani da una parte e quello tra libertà di stampa, laicità e lobbying dall’altra, sarà al centro di un dibattito, che si annuncia interessante e vivace, tra la Presidente del Tribunale di Castrovillari Caterina CHIARAVALLOTI, il Direttore del Corriere della Calabria Paolo POLLICHIENI e la giornalista della redazione nazionale di France 3 Nathalie PEREZ, ospiti domani, VENERDI’ 13 FEBBRAIO, alle Ore 17.30, nella Sala Rossa di Palazzo San Bernardino nel Centro Storico di Rossano. All’evento, promosso dal settimanale “L’Eco dello Jonio” in occasione del suo primo anniversario, patrocinato dal Comune di Rossano, parteciperanno anche i sindaci dei comuni del territorio. Il recente attentato terroristico al settimanale satirico parigino Charlie Hebdo sarà il punto di partenza di un confronto a 360 gradi tra gli ospiti, moderati e provocati da Lenin MONTESANTO ed il pubblico. Nell’ultimo decennio – anticipa Caterina CHIARAVALLOTI, esperta di terrorismo e diritti umani – pochi temi hanno attratto l’attenzione della dottrina e della prassi internazionale come quello della tutela dei diritti umani nella lotta al terrorismo. Non si registra tuttavia uniformità di vedute su quale valore debba prevalere in caso d’insanabile conflitto nella lotta al terrorismo tra sicurezza degli individui e tutela dei diritti umani. Da un lato – spiega – è diffusa la convinzione che, in un’ottica di emergenza, la tutela dei diritti umani possa essere sacrificata alle esigenze di sicurezza nella lotta al terrorismo. Secondo altri, dal momento che tra i diritti umani rientra quello di essere protetto contro la violenza altrui, anche di tipo terroristico soprattutto quando gli atti terroristici attentano alla vita degli individui, gli Stati dovrebbero valutare caso per caso. Altri ancora – va avanti – sostengono che la violazione dei diritti umani da parte delle autorità preposte alla lotta al terrorismo, anche se apparentemente giustificata dallo scopo di contrastarlo, potrebbe creare ulteriori ragioni di tensione idonee a produrre di per sé atti di terrorismo: e dunque gli Stati dovrebbero sempre tenere comportamenti in linea con la tutela dei diritti umani, a prescindere dalle questioni di sicurezza. E’ evidente – continua – che di fronte ad un’emergenza eccezionale di carattere globale quale l’esplodere del terrorismo internazionale il sistema ONU abbia fatto ricorso a tutte le risorse disponibili. Nel fare ciò tuttavia il Consiglio di Sicurezza ha dimostrato la propria capacità di reazione ma anche alcune debolezze. Da un lato, con l’adozione di risoluzioni, è stato capace di imporre, secondo quanto solitamente avviene soltanto in seguito all’adesione a un trattato internazionale, una serie di obblighi a tutti gli Stati membri; dall’altro, nel realizzare un sistema destinato a incidere su diritti e libertà fondamentali non ha inizialmente considerato tali effetti sugli individui e non ha approntato un adeguato sistema di garanzie. Quando è stato obbligato dalle circostanze a ritornare sulle proprie decisioni non ha potuto che constatare che i propri atti avevano prodotto una serie di conseguenze alle quali non era possibile porre effettivamente rimedio. Da qui – conclude laCHIARAVALLOTI – un’affannosa ricerca di modifiche al sistema attraverso l’adozione di diverse risoluzioni che non sono tuttavia risultate idonee a superare le incongruenze e le violazioni di alcuni diritti e libertà fondamentali rispetto ai destinatari dei provvedimenti del Consiglio e dei suoi organi sussidiari. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://arabpress.eu/ Rapporto: record di esportazioni di armi europee verso Marocco e Algeria Di Roberta Papaleo il 12 febbraio 2015 Secondo un istituto di ricerca belga il flusso di armi europee non è rallentato dopo le primavere arabe Di Abdul Latif. Hespress (10/02/2015). Traduzione e sintesi di Lorenzo P. Salvati. Secondo uno studio pubblicato dal Flemish Peace Institut di Bruxelles, l’esportazione di armi europee vero il Medio Oriente è cresciuta nel periodo 2009-2012 per un giro di affari di oltre 40 miliardi di euro. Nella classifica dei Paesi arabi importatori occupano un posto di rilievo Algeria e Marocco, al quarto e quinto posto e preceduti soltanto da Arabia Saudita, Emirati Arabi e Oman il cui valore complessivo delle importazioni supera il 50% del totale. Secondo l’istituto di ricerca belga, il flusso di armi europee non è stato minimamente rallentato dagli eventi delle primavere arabe. Il pragmatismo delle politiche economiche di Bruxelles ha fatto sì che il trasferimento di strumenti militari proseguisse a ritmo sostenuto, attenendosi scrupolosamente alle direttive del codice di condotta UE per il commercio di armi che non prevede particolari controlli e limitazioni. Il rapporto sottolinea che “malgrado l’aumento dei fattori di instabilità, le violazioni accertate dei diritti umani, lo scoppio di conflitti armati e guerre civili, l’export di armi vero i Paesi a rischio è raddoppiato tra il 2007 e il 2012″. Questa crescita è collegata all’aumento delle spese militari degli Stati di Medio Oriente e Nord Africa, che hanno creato un mercato particolarmente florido per le industrie di difesa europee in piena stagnazione economica. Il rapporto sottolinea come le industrie militari delle nazioni UE, sostenute direttamente dai governi nazionali e dalla Commissione Europea, dipendano interamente dalle esportazioni verso i Paesi extraeuropei. La crisi economica e le politiche di austerity hanno avuto un impatto negativo sulle economie dell’eurozona e hanno causato una contrazione del budget militare complessivo del 20% tra il 2001 e il 2010. Lo studio conclude che lo scarso peso rivestito dall’Europa nelle crisi politiche arabe e la mancanza di severe regolamentazioni comunitarie sull’export di armi concorrono a minare la credibilità della politica estera e di sicurezza dell’Unione. Senza contare che, attraverso controlli poco rigorosi e l’assenza di misure idonee di trasparenza, i paesi esportatori si rendono complici diretti delle violazioni dei diritti umani. Abdul Latif è un giornalista free-lance residente in Belgio che scrive per Hespress. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.giornalettismo.com/ Ecco perché Mare Nostrum è meglio di Triton 12/02/2015 - di Redazione Meno spesa. Meno navi e aerei impegati. Meno salvataggi. Ecco perché la nuova missione per il controllo delle coste del mediterraneo si è rivelata un flop Una minore efficacia nella lotta al traffico di uomini dalle coste nordafricane a quelle italiane e un indebolimento delle operazioni di soccorso e ricerca dei migranti. È il deludente risultato dell’operazione Triton avviata il primo novembre 2014 e guidata dall’Unione Europea tramite Fontex (l’agenzia europea di controllo delle frontiere) con l’obiettivo di controllare i flussi nel mar Mediterraneo. Il programma Triton, avviato per sostituire la vecchia operazione Mare Nostrum, lanciata un anno prima (il 18 ottobre 2013) dal governo Letta allo scopo di porre fine alle stragi di migranti di quei mesi, in sostanza non ha contribuito a ridurre né il numero degli sbarchi né quello delle vittime e dei dispersi dei viaggi della speranza. TRITON, STOP CONTROLLI A 30 MIGLIA DALLA COSTA – Triton non nasce con il mandato esplicito di svolgere attività di ricerca e soccorso in mare, ma solo di pattugliare i confini marittimi. L’operazione costituisce, quindi, solo una soluzione parziale al problema perché a differenza di Mare Nostrum, non contempla gli interventi Sar (Search and Rescue). Ma non si tratta dell’unica novità. A differenza di Mare Nostrum (attuata dalle forze della Marina e dell’Aeronautica italiana con base operativa presso il Comando aeronavale della Guardia di Finanza a Pratica di Mare), per Triton (operazione di polizia Ue) è stata contemplata la leadership di Frontex tramite l’International Coordination. Si tratta di aspetti sui quali si è espresso a chiare lettere anche l’ammiraglio Giuseppe De Giorgi, capo di Stato maggiore della Marina militare. Intervenendo in audizione alla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani già lo scorso 9 dicembre De Giorgi spiegava che «l’area di pattugliamento di Triton si ferma alle trenta miglia dalla costa ed è inferiore rispetto all’area controllata da Mare Nostrum. [...] Tra i compiti di Triton, l’unico dichiarato è il controllo delle frontiere, mentre non vengono contemplati, come invece previsto da Mare Nostrum, [...] gli interventi Sar (Search and Rescue)». TRITON, BOOM DI SBARCHI – Si tratta delle stesse informazioni ribadite ancora oggi da De Giorgi, ancora una volta alla Commissione per i diritti umani. Convocato all’indomani della morte di oltre 300 migranti causata dal naufragio di quattro gommoni, l’ammiraglio ha definito «una sciocchezza» la critica rivolta a Mare Nostrum secondo cui l’operazione avrebbe attirato i profughi che scappano da teatri di guerra come la Siria, dalla povertà e dalle carestie, ed ha sottolineato come con la fine della vecchia missione gli arrivi sulle nostre coste sono aumentati (in uno stesso periodo) del 485%. «Tutto è stato ridotto – ha dichiarato De Giorgi – dato che tagliare i costi è stato il motivo della fine dell’operazione. Per ora rimane il pronto soccorso galleggiate per filtro sanitario sulla nostre nave anfibia, assieme al presidio di polizia. Non utilizziamo invece più le fregate, le navi che assicuravano una maggiore operatività e resistenza al mare. Il tonnellaggio, proporzionale all’efficacia, è passato da 22mila a 13mila, le miglia quadrate pattugliate da 22mila 350 a 6mila 900 (-65%), mentre i costi sono un terzo». TRITON, MEZZI RIDOTTI – Insomma, l’inefficacia di Triton, spiega il capo di Stato maggiore della Marina, è questione sia di costi e di mezzi. I mezzi del nuovo progetto europeo sono tre pattugliatori (messi a disposizione da Italia, Spagna e Islanda), quattro motovedette costiere (fornite da Malta, Olanda e Italia) e quattro aerei per il pattugliamento (di Islanda, Francia, Lettonia e Malta). A Mare Nostrum la Marina partecipava con una nave anfibia dotata di capacità sanitarie, due corvette, due pattugliatori, due elicotteri e tre aerei. «Si tratta di due concetti completamente diversi», ha aggiunto De Giorgi nel corso della sua audizione. «Mare Nostrum era mosso dall’aspetto umanitario e quello militare, cioè la cattura degli scafisti; con Triton si perdono entrambe queste attenzioni». Su 9.134 migranti soccorsi nel mese di novembre 2014, 3.810 sono stati soccorsi dalla Marina Militare (con la ‘coda’ di Mare Nostrum che si è ridotta gradualmente fino a fine anno), mentre 5.354 sono quelli intercettati da Triton (1.534 dalla Capitaneria di porto impegnata nella missione europea e 2.273 da mercantili). TRITON, COSTI RIDOTTI DA 9,5 A 2,9 MILIONI AL MESE – A parlare chiaro sono poi le statistiche dei soccorsi complessivi di Mare Nostrum . Durante l’intera durata di Mare Nostrum, dal 18 ottobre 2013 al 31 ottobre 2014, sono stati assistiti ben 156mila migranti, realizzati 439 salvataggi Sar, e sarebbero infine 366 gli scafisti consegnati alle forze dell’ordine. Triton ha invece soccorso, si stima, solo 6 mila migranti. Per quanto concerne i costi Mare Nostrum costava 9,5 milioni di euro al mese. È di 2,9 milioni al mese invece il costo di Triton. TRITON, BOCCIATURA DI MINISTRI E COMMISSARI EUROPEI – Una conferma della necessità di un inversione di tendenza arriva anche dal ministro degli Esteri Paolo Gentiloni, il quale (a margine di un evento a New York presso il consolato italiano organizzato da Aspen Institute Italia e da Womer for Wxpo) ieri ha spiegato che «ci vuole un dispiegamento di più forze e risorse» perché «nell’operazione di sorveglianza e di salvataggio in mare, l’impegno deve essere maggiore». Il ministro della Difesa Roberta Pinotti, intanto, pur sottolineando che «sarebbe sbagliato tornare indietro» su Triton, ha spegato che «se questa missione ha delle lacune e deve essere rinforzata è un lavoro che dobbiamo chiedere all’Europa». «Immaginare – ha detto – che sia solo l’Italia a gestire questo fenomeno è un errore». Ancor più netta Laura Boldrini, presidente della Camera, secondo la quale «di fronte a questa strage non si può non prendere atto che l’operazione Triton è inadeguata». «Si confermano – ha detto – tutte le preoccupazioni che in molti avevamo espresso sulla fine di Mare Nostrum». Stesso leit motiv nelle parole del Commissario europeo dei diritti umani Nils Muiznieks, il quale sostiene che Triton «non è all’altezza» dei compiti che deve svolgere e «l’Europa ha bisogno di un sistema di ricerca e salvataggio efficace». Infine, l’impegno di Federica Mogherini. L’Alto rappresentante della politica estera Ue ha chiesto un incontro per «la revisione delle politiche sull’immigrazione» con il commissario europeo per le migrazioni Dimitris Avramopoulos. Quando si dice: un coro di voci. La «vergognosa mistificazione» dei Trenta euro al giorno agli immigrati 11/02/2015 - di Valentina Spotti Per l'ennesima volta, il prefetto Mario Morcone precisa come funziona l'erogazione dei fondi a sostegno dei centri di accoglienza per i migranti che arrivano in Italia Certe false notizie sono dure a morire. E una volta che cominciano a circolare, alimentate dalla anche malafede, è difficile riuscire a fermarle una volta per tutte. È quello che ha provato a fare il prefetto Mario Morcone, capo del Dipartimento Libertà Civili e Immigrazione del ministero dell’Interno, che ieri è stato ascoltato dalla Commissione Diritti Umani del Senato per fare il punto sulla situazione degli sbarchi di migranti dopo l’ultima drammatica operazione di domenica notte, durante la quale le autorità italiane hanno soccorso un barcone nel Canale di Sicilia carico di persone stremate dal freddo e dalle condizioni proibitive del mare. La questione affrontata da Morcone, tuttavia, non riguarda gli sbarchi in senso stretto ma, piuttosto, quello che succede dopo le operazioni di soccorso vere e proprie. Si torna quindi a parlare di quei famosi “trenta euro al giorno” che lo Stato erogherebbe a ogni migrante arrivato su suolo italiano. TRENTA EURO AL GIORNO A OGNI IMMIGRATO Di questi famosi trenta euro se ne parla da mesi, ed è stata sollevata una polemica alimentata dalle velleità propagandistiche di certa stampa e dalla disinformazione: in diverse occasioni, infatti, è stato spiegato che quei trenta euro non vengono consegnati in contanti ai migranti, ma vengono versati ai centri di prima accoglienza che ospitano i richiedenti asilo. Centri che si trovano in tutta Italia e non soltanto a Lampedusa e che ricevono fondi dallo Stato per poter continuare a gestire le proprie attività. Così, nonostante la questione fosse già stata chiarita più volte, ieri Morcone è tornato sulla questione parlando di «una mistificazione vergognosa». Il sito stranieriinitalia.it riporta le parole del prefetto: Sui 30 euro [che è lo stanziamento giornaliero previsto per ogni profugo ndr] è stata fatta una mistificazione vergognosa. La verità è che ricevono 2,5 euro al giorno. Il resto va alle strutture che forniscono i servizi. Due euro e cinquanta al giorno, quindi. Non trenta. Esattamente come, lo scorso marzo, aveva spiegato il sito Bufale un tanto al chilo, che si era occupato della questione dopo che era esplosa sulla stampa e sui social media: [...] in prima cosa non si tratta di una “legge” sul territorio, ma stiamo parlando di bandi d’appalto che i comuni fanno dietro indicazione ministeriale sul territorio, i bandi sono al ribasso, me i 30 euro sono la cifra massima erogata pro capite. Ovvero, delle strutture concorrono per offrire ospitalità a questi immigrati (in strutture che devono rispettare determinati requisiti) , in cambio dallo stato queste strutture ricevono 30 euro a profugo che viene ospitato, 30 euro con cui devono farci stare dentro l’affitto del locale, le spese di gestione dello stesso, la pulizia, il vitto e 2,50 al giorno da dare al facente richiesta. [...] Oltre al fatto che queste cifre che vengono erogate dallo stato vengono SEMPRE da fondi in compartecipazione con gli altri paesi membri dell’Unione Europea, fondi che sono già stati stanziati per quelle finalità e non possono andare ad aiutare eventuali famiglie d’italiani in crisi. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.wired.it/ Diritto all’oblio, per Google la sentenza europea non è efficace Toni accesi nel rapporto del Comitato messo in piedi da Google: i link saranno rimossi solo a livello europeo dandone preavviso agli editori, per permettere eventuali appelli Diletta Parlangeli febbraio 6, 2015 Non è stato un lavoro semplice, e la fatica è stata messa nero su bianco senza neanche troppi giri di parole. Il rapporto sul Diritto all’Oblio del Comitato approntato da Google dopo la sentenza europea che individuava nei motori di ricerca responsabili del trattamento dei dati personali, è stato pubblicato dopo una serie di incontri che hanno visto riuniti i membri del Consiglio tra cui Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, e Frank La Rue, relatore speciale per i Diritti umani dell’Onu. La questione territoriale, proprio mentre di parla della territorialità onnicomprensiva che può avere un motore di ricerca, diventa punto fondamentale del rapporto. Sul tema geografico infatti, si parte dal presupposto “che molti motori di ricerca siano tarati su particolari Paesi”, vedi google.de in Germania o google.fr in Francia. “La sentenza su questo non è chiara, ma Google ha deciso di interpretarla deindicizzando i link da tutti i suoi motori di ricerca europei. Questo anche perché Google è cosciente del fatto che quando un utente europeo digita google.com è automaticamente reinderizzato alla versione locale. Inoltre, oltre il 95% delle queries in Europa è generato sulle versioni locali“. È stata naturalmente valutata le deindicizzazione a livello globale che avrebbe garantito la protezione più assoluta del diritto, si legge nel rapporto. Tuttavia, la maggioranza (quindi non tutto il Consiglio) ha convenuto che non si potesse andare contro l’interesse dei cittadini non europei di accesso alle informazioni secondo la legge dei loro Paesi. E ancora, “nonostante tutte le preoccupazioni del caso, sia di proporzionalità che di efficacia pratica, il Consiglio ha comunque convenuto che, allo stato delle cose, la rimozione dei link dai servizi Google diretti a livello europeo fosse la miglior soluzione per attuare la sentenza”. Quindi, la deindicizzazione riguarderà le versioni europee dei motori di ricerca. In coda al rapporto, i testi di alcuni dei consiglieri. Jimmy Wales, co-fondatore di Wikipedia, non la manda a dire, trovando inefficaci le soluzioni trovate, perché inefficace, a suo parere, sarebbe anche la sentenza: “Questa relazione è uno sforzo in buona fede che risponde a una legislazione europea confusa contraddittoria, che chiede a Google di rispettare questa legge. Sono contento che il rapporto specifichi che “la sentenza non stabilisce un generale Diritto all’Oblio”“, scrive. “Mi schiero completamente a sfavore di una situazione legale in cui una compagnia commerciale è forzata a ergersi a giudice di alcuni dei nostri più fondamentali diritti di espressione e privacy, senza nessuna procedura di ricorso presso gli editori, i cui lavori vengono soppressi”, continua. “Il Parlamento europeo ha bisogno di rivedere subito la legge fornendo una necessaria supervisione giuridica, in ottica di una forte protezione della libertà di espressione. Fino a quel momento, le raccomandazioni contenute in questo report sono profondamente sbagliate, perché sbagliata è la legge stessa”. Frank La Rue, avvocato specializzato nella difesa dei diritti umani, ragiona su un piano etico: “Nel caso del diritto penale, molti Paesi europei hanno stabilito l’eliminazione di informazione relativa una condanna, una volta finito il loro periodo di detenzione o punizione. Credo che questo sia valido in termini di reinserimento dell’individuo nella società, fatti salvi i casi in cui l’attività criminale abbia violato i diritti umani, in particolare se si tratta di crimini contro l’umanità, e quando diventa interesse pubblico che le informazioni non vengano mai eliminate”. Insomma, una risposta che sembri equa e definitiva è lontana all’orizzonte. Nel rapporto infatti, i saggi hanno raccolto alcune idee alternative, emerse da incontri e confronti accaduti nel corso dei mesi. Tra queste: la collaborazione tra diversi motori di ricerca per creare una piattaforma unica, con una procedura standard, per la richiesta di deindicizzazione; fornire un preavviso agli editori che consenta loro anche di sfidare la decisioni sulla base di procedure corrette dal punto di vista penale e civile; definire classi che non possono sortire richieste negoziabili di deindicizzazione; nel caso in cui si offra agli editori un preavviso, dare loro minor tempo per opporsi e altre ancora. Tutte le difficoltà incontrate sono facilmente riassumibili considerando il tema della Trasparenza, citato in uno dei capitoli. Va considerata quella verso il pubblico, in merito alla completezza di una ricerca per nome; verso il pubblico, in merito alle decisioni individuali ; ancora verso il pubblico, nel rispetto delle statistiche anonime e della politica generale di ricerca; e la trasparenza verso un soggetto dei dati in merito alle ragioni che neghino una sua richiesta. “È stato molto utile ascoltare in questi mesi una molteplicità di punti di vista diversi in tutta Europa e terremo questo rapporto in considerazione”, ha dichiarato David Drummond, Senior Vice President Corporate Development and Chief Legal Officer di Google. “Nello svolgere le attività volte ad ottemperare alla decisione della Corte di Giustizia Europea stiamo anche attentamente considerando le indicazioni fornite dai Garanti europei.” Uk-Nsa, illegale la condivisione dei dati su sorveglianza di massa Bocciatura per l’organo che nel Regno Unito condivise e ebbe accesso a informazioni dell’Nsa Maria Rosaria Iovinella 6 febbraio 2015 A giudizio dell’Investigatory Powers Tribunal la sorveglianza di massa del Gchq attraverso le informazioni raccolte dall’Nsa attraverso Prism e Upstream era illegale e contraria alle leggi sui diritti umani: lo stabilisce una sentenza dell’organo indipendente che monitora le agenzie di intelligence britanniche. L’accesso del del Gchq alle informazioni intercettate dall’Nsa violò quindi gli articoli otto e sei della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che tutelano il diritto alla vita familiare e privata e il diritto a un equo processo, fino al dicembre 2014. Per la prima volta quindi l’Ipt si esprime contro un’agenzia di intelligence in 15 anni: dal suo verdetto si evince che il regime di condivisione delle informazioni con l’Nsa sulle comunicazioni elettroniche non era a norma di legge. Una decisione che si pone nella scia e che al tempo stesso rende più chiara quella dello scorso dicembre quando si era stabilito che il corrente regime, aggiornato, di raccolta dati attraverso internet non viola i diritti umani nel Regno Unito. L’accesso alle informazioni era quindi, precedentemente, contrario alle garanzie e alle tutele offerte dal sistema giuridico britannico. Uno spartiacque temporale che, come la stampa britannica sottolinea, censura l’atteggiamento dell’agenzia per un arco di tempo di sette anni, se si considera che il programma Prism è diventato operativo nel 2007. A portare sul banco degli imputati il Gchq enti come Liberty, Privacy International, Amnesty International e altri sette gruppi a tutela dei diritti umani. La censura dell’organo britannico si abbatte anche sulla mancata chiarezza sulla condivisione dell’informazione con la controparte americana. Malgrado il verdetto, il Gchq sostiene che c’è differenza tra sorveglianza di massa, che sostengono di non effettuare, e intercettazioni di massa, ovvero volte al conseguimento di particolari informazioni per prevenire azioni terroristiche o attività criminali e che la sentenza non entra nel merito dell’intelligence sharing, ma sulla quantità di dettagli che, ai fini di garanzia, dovevano essere resi pubblici. Secondo il Telegraph, la decisione porterebbe alla cancellazione dei dati ottenuti in maniera illegale. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.crimeblog.it/ Nasce la Corte di Giustizia africana dei Diritti Umani: immunità per tutti i capi di stato Scritto da: Andrea Spinelli - venerdì 6 febbraio 2015 Si fondono la Corte Africana per i diritti umani con la Corte di Giustizia africana: i leader africani votano per darsi l'immunità ma il nuovo tribunale potrebbe aprire scenari inediti per i diritti umani nel continente Al 24esimo vertice dell'Unione Africana (UA) appena conclusosi ad Addis Abeba, in Etiopia, sono successe due cose fondamentali: Robert Mugabe è stato eletto Presidente di turno dell'UA e il Kenya ha ottenuto una forte accelerata per la creazione della Corte Africana di Giustizia e dei Diritti Umani. Nel continente africano infatti esistono oggi due differenti corti penali internazionali: la Corte Africana dei Diritti dell'Uomo e dei Popoli, fondata nel 1998, e la Corte di Giustizia dell'Unione africana, istituita nel 2003. L'intenzione dell'UA è di fondere i due tribunali in uno; la nuova Corte perseguirà ben 14 tipi di crimini diversi (per capirci, la Corte Penale Internazionale, CPI, che ha sede a L'Aja ne persegue "solo" tre: crimini di guerra, crimini contro l'umanità e genocidio) e addirittura si pensa di cedere alcune competenze nazionali al nuovo ente transnazionale. Dei 54 membri dell'Unione Africana solo 11 hanno firmato il Protocollo di Malabo, un documento che i membri dell'UA si sono impegnati a ratificare nel giugno 2014, dopo un vertice nella capitale della Guinea Equatoriale nel corso del quale si è deciso di avviare questo percorso di fusione delle due corti internazionali. I tempi per la nuova Corte saranno quindi tutt'altro che rapidi. Va inoltre sottolineato come già nel giugno 2014 i leader africani firmatari del Protocollo di Malabo avessero emendato nello Statuto della nuova Corte Penale una vera e propria "immunità" per Presidenti, Re e in generale per tutti i capi di Stato e le alte sfere dei vari governi africani: un'amnistia unicamente per i vertici, tra l'altro statutaria, che potrebbe rappresentare un vero e proprio colpo di spugna per i regimi più sanguinari del continente, Guinea Equatoriale ed Eritrea su tutti. Altri nodi importanti sono legati ai finanziamenti: la Corte Penale Internazionale de L'Aja costa ogni anno circa 126 milioni di euro, una cifra che è stato dimostrato essere troppo bassa per garantire una reale efficacia della Corte in campo internazionale. Per il momento la Corte di Giustizia africana dei diritti umani prevede un bilancio annuale di poco inferiore a 7 milioni di euro: se pensiamo che molti paesi devono ancora ratificare il protocollo, che vanno stabilite le composizioni delle due camere penali, che va istituito l'ufficio di una procura per i diritti umani, che vanno nominati giudici, stabilite le procedure, creati fondi fiduciari ed avviata una lunga serie di accordi con i paesi membri, è evidente che ci vorrà ancora del tempo. Intanto però in Africa l'immunità che i leader africani si sono garantiti presso la nuova Corte penale fa già ampiamente discutere: La vignetta del disegnatore keniota Gado non è tanto campata per aria: lo dimostrano già i processi egiziani a blogger, giornalisti, attivisti dei diritti umani, ma anche ai Fratelli Musulmani. Va inoltre spiegato che le basi statutarie sulle quali si fonderà la nuova Corte di Giustizia africana dei Diritti Umani sono basi fondamentalmente ideologiche (seppur in parte corrette): come si legge nel Protocollo di Malabo infatti, dopo aver accettato "la manovra imperialista" che negli ultimi 20 anni ha "costretto" i paesi africani ad accettare l'entrata sulla scena internazionale della CPI (che in Africa prese il posto, nel 2003, del Tribunale delle Nazioni Unite per i crimini commessi in Rwanda), il nuovo corso del panafricanismo, che si sviluppa nel segno (e nel culto) di gente come Mugabe, Obiang, Jonathan, Mayardit ed altri, tutti ricevuti recentemente alla Casa Bianca, rompe con il passato post-coloniale ed apre verso il futuro. Certo non prima di aver messo al sicuro i propri leader: come gli Stati Uniti non sono vincolati alla Corte Penale Internazionale anche i leader africani non vogliono e non possono, questioni di opportunità politica e, banalmente, di tutela legale per garantirsi l'impunità di fronte ai crimini efferati e tremendi, lasciare al caso i propri destini giudiziari: l'Africa oggi mostra una nuova alba che però rischia di partire già zoppa. Certo, una Corte Africana dei diritti umani in passato forse avrebbe cambiato il corso della storia: il processo contro Abdallah Banda, leader dei ribelli in Darfour, istituito dalla CPI "occidentale" nel 2004 fu ritardato per anni a causa dell'assenza di traduttori capaci, ma anche la lotta del popolo Ogoni contro il governo nigeriano (partner di Shell Nigeria) sarebbe forse andata diversamente. Oggi il rischio è diverso: grazie all'immunità statutaria leader africani come il guineano Teodoro Obiang Nguema Mbasogo o l'eritreo Isaias Afewerki si sono garantiti una vecchiaia tranquilla, senza il rischio di finire alla sbarra per aver commesso atrocità indicibili, ancora oggi ogni giorno, nei confronti del loro stesso popolo. Va invece applaudito ed osservato con attenzione il nuovo corso giuridico transazionale africano, che guarda alla Corte Penale Internazionale in modo intelligentemente critico, osservandone procedure e criticità; oltre alle difficoltà nel processo contro Abdallah Banda sono molti gli esempi dell'inefficacia della CPI: le atrocità e i crimini di guerra commessi da contractor occidentali nel Corno d'Africa, l'impossibilità di arrestare un capo di stato come Omar al-Bashir (sul quale pende un mandato di cattura internazionale emesso dalla CPI nel 2009), i molti processi mai celebratisi contro i più sanguinari oppressori d'Africa della storia recente. Non ultimo la tranquilla pensione che vivono personaggi come George W. Bush e Tony Blair, che nel 2003 condussero una campagna di informazione basata sulla totale e consapevole menzogna per spiegare al mondo il perchè fosse necessario bombardare l'Iraq di Saddam Hussein. La pubblicazione del rapporto Chilcot, un documento che sarebbe il vero atto d'accusa nei confronti dell'ex premier britannico Blair, potrebbe finalmente far muovere la complessa macchina giudiziaria della CPI, ma il governo ed il parlamento di Londra continuano a procrastinarne la pubblicazione (attualmente prevista, dopo innumerevoli proroghe, a dopo le elezioni di maggio). °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.forexinfo.it/ Diritto all’oblio: Google si ribella alla sentenza UE, i contenuti saranno rimossi solo in Europa in Scienza e Tecnologia di Vittoria Patanè | 6 Febbraio 2015 Google pubblica il rapporto sul Diritto all'Oblio sulla sentenza UE che impone di cancellare determinati contenuti in nome del Diritto all'oblio. Ecco cosa ne pensa Mountain View Google reagisce alla sentenza europea che stabiliva la responsabilità dei motori di ricerca nel trattamento dei dati personali. La risposta è stata un rapporto sul Diritto all’Oblio stilato dal Comitato di Mountain View e pubblicato dopo una serie di incontri ai quali hanno partecipato i membri del Consiglio tra cui Luciano Floridi, docente di Filosofia ed etica dell’informazione all’Università di Oxford, Jimmy Wales, fondatore di Wikipedia, e Frank La Rue, relatore speciale per i Diritti umani dell’Onu. Il rapporto si concentra soprattutto sulla questione territoriale e in particolare sulla territorialità onnicomprensiva. Partendo dall’assunto che "molti motori di ricerca siano tarati su particolari Paesi infatti, si specifica che: La sentenza su questo non è chiara, ma Google ha deciso di interpretarla deindicizzando i link da tutti i suoi motori di ricerca europei. Questo anche perché Google è cosciente del fatto che quando un utente europeo digita google.com è automaticamente reindirizzato alla versione locale. Inoltre, oltre il 95% delle queries in Europa è generato sulle versioni locali“. Ma prima di esporvi le analisi di Google, occorre fare una premessa. Google e il diritto all’oblio Una sentenza della Corte di Giustizia Europea arrivata lo scorso maggio ha stabilito che un cittadino residente nell’Unione Europea ha per legge il diritto di richiedere a Google la deindicizzazione dal motore di ricerca di determinati contributi che lo riguardano, nel caso essi siano considerati «non più rilevanti per la società», ma al contrario possono «alterare o ridurre il diritto, per i cittadini, all’autodeterminazione della propria immagine sociale» La sentenza si basa sul cosiddetto diritto all’oblio che garantisce il diritto a non essere più ricordato per fatti che in passato furono oggetto di cronaca. Facendo un esempio pratico. Se un cittadino in passato ha commesso un reato per il quale è stato condannato e ha espiato la propria pena, ha diritto a richiedere che quel reato non venga più divulgato dalla stampa e dagli altri canali di informazione per tutelare la propria dignità e la propria rispettabilità. Nel 2012 Viviane Reding, Commissaria UE per la Giustizia e i Diritti fondamentali, ha proposto una riforma globale per la tutela della privacy degli utenti sul web che dovrebbe essere trasformata in legge da tutti gli Stati Membri entro il 2015. La norma obbliga i fornitori di servizi online a passare dalla regola dell’opt-out (i dati dell’utente, a meno di una sua esplicita richiesta, appartengono al fornitore) a quella dell’opt-in (i dati appartengono solo all’utente, è lui a decidere come usarli). Il rapporto di Google All’interno del suo rapporto, Google, basandosi sulla questione geografica, afferma di aver valutato l’ipotesi di deindicizzare determinati contenuti a livello globale, ma la maggioranza del Consiglio, ha infine ripetuto che non si potesse andare contro l’interesse dei cittadini non europei (non tutelati dalla stessa normativa) di accesso alle informazioni secondo la legge dei loro Paesi: “nonostante tutte le preoccupazioni del caso, sia di proporzionalità che di efficacia pratica, il Consiglio ha comunque convenuto che, allo stato delle cose, la rimozione dei link dai servizi Google diretti a livello europeo fosse la miglior soluzione per attuare la sentenza”. Insomma determinati contenuti non saranno reperibili nelle versioni europee dei motori di ricerca, ma continueranno ad essere consultabili al di fuori dell’UE. Il rapporto contiene anche le riflessioni personali di alcuni consiglieri, alcuni dei quali si pongono in aperta polemica con la sentenza della Corte di Giustizia comunitaria. Jimmy Wales, , co-fondatore di Wikipedia, dichiara: “Questa relazione è uno sforzo in buona fede che risponde a una legislazione europea confusa contraddittoria, che chiede a Google di rispettare questa legge. Sono contento che il rapporto specifichi che “la sentenza non stabilisce un generale Diritto all’Oblio...Mi schiero completamente a sfavore di una situazione legale in cui una compagnia commerciale è forzata a ergersi a giudice di alcuni dei nostri più fondamentali diritti di espressione e privacy, senza nessuna procedura di ricorso presso gli editori, i cui lavori vengono soppressi. Il Parlamento europeo ha bisogno di rivedere subito la legge fornendo una necessaria supervisione giuridica, in ottica di una forte protezione della libertà di espressione. Fino a quel momento, le raccomandazioni contenute in questo report sono profondamente sbagliate, perché sbagliata è la legge stessa”. Più conciliante il parere di Frank La Rue, avvocato specializzato nella difesa dei diritti umani, ragiona su un piano etico: “Nel caso del diritto penale, molti Paesi europei hanno stabilito l’eliminazione di informazione relativa una condanna, una volta finito il loro periodo di detenzione o punizione. Credo che questo sia valido in termini di reinserimento dell’individuo nella società, fatti salvi i casi in cui l’attività criminale abbia violato i diritti umani, in particolare se si tratta di crimini contro l’umanità, e quando diventa interesse pubblico che le informazioni non vengano mai eliminate”. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° http://www.diritto.it/ Il sistema dei diritti Pubblicato in Sociologia e Psicologia del diritto il 09/02/2015 Autore: Sabetta Sergio Lo scienziato di maggior successo pensa come un poeta- guarda verso un orizzonte lontano che a volte si regge sulla fantasia- e lavora come un contabile. Il mondo vede solo quest’ultimo ruolo.” (E. O. Wilson- Il significato dell’esistenza umana). Già Hegel osservava il distinguersi dei valori e norme dagli atteggiamenti e modi di vita, tale da ridurre la virtù ad una valutazione puramente soggettiva (Abbagnano), l’emergere dei valori codificati pone la necessità di individuare il concetto di valore che diventa criterio di giudizio e quindi guida nelle scelte (Morris), quella che Dewey definisce un’attesa normativa che si risolve in una connessione tra valore e situazione (Frondizi), tuttavia tra valori soggettivi, sociali e normativi vi è una molteplicità che impone una continua scelta (Dewey), in economia il valore acquista il significato di un prezzo relativo (valore di scambio) che nella concezione marginalista diventa l’utile del valore d’uso, si ha quindi nella società moderna una tendenza alla quantificazione monetaria dei valori, una relativizzazione degli stessi. La stessa lista dei diritti umani è sottoposta a una contrapposizione tra teorie minimaliste e massimaliste, nella prima limitata alle forme più gravi di danno e violenza è giustificata sia dalla necessità di trovare un accordo universale, che dalla maggiore facilità di protezione concentrando attenzione e risorse, nella seconda al contrario si tende a caricare la lista dei diritti di un valore regolativo e programmatico (Cohen-Beitz), fino ad una critica radicale del concetto di diritti umani come giustificazione per atti di sopraffazione in ambito internazionale ma anche interno agli stati (Agamben), emergono le potenzialità sia di miglioramento della situazione dei singoli ma anche la possibilità che i diritti stessi siano interpretati in termini di arbitrio o di giustificazioni per atti di sopraffazione e violenza. Dobbiamo considerare che ogni diritto è frutto di una cultura che nel definire il contenuto lo cristallizza in un determinato spazio e tempo, se la cultura è il contesto entro cui si genera in forma e contenuto, dobbiamo valutare che la definizione formale viene a vivere solo in rapporto con gli altri diritti, in altri termini il diritto che volta per volta consideriamo diventa sostanziale in funzione dell’insieme degli altri diritti, ossia A = f(B, C, D,…), le modalità e le conseguenze che ne derivano da questi rapporti danno vita a strutture delle “possibilità” di rapporto nelle quali la definizione del diritto, così come canonizzata, viene successivamente interpretata in termini estensivi (+) o riduttivi (-), il diritto così considerato entra in rapporto con altri diritti anch’essi passibili di due differenti tipologie di interpretazione (+ o -), si potrà così avere un vicendevole rafforzamento o al contrario un depotenziamento, così come un contrasto che conduca alla valorizzazione di uno dei diritti a discapito dell’altro, vi è quindi la necessità di individuare il “valore”che in quel tempo si vuole attribuire al diritto in esame, ma la presenza simultanea di vari diritti nello stesso spazio e tempo viene a creare una dinamicità indeterminata, ossia della impossibilità di cristallizzare definitivamente il contenuto del diritto, rimarrà comunque un minimo contenuto di sistema. Se per Pound la funzione del diritto è evitare la disgregazione attraverso conflitti del sistema sociale, è Parsons che individua chiaramente nel sistema giuridico un meccanismo integrativo di cui il riconoscimento dei diritti ne fa indubbiamente parte, questa funzione si affianca alla necessità di strutturare in termini produttivi i rapporti umani secondo rapporti di forza consolidati storicamente, vi è pertanto la necessità di una visione di lungo periodo in cui obiettivi e strategie, nell’evidenziare azioni, piani, prospettive e indirizzi, diventino forma normativa tesa non solo al bilanciamento ma anche alla creazione del valore economico e dei correlativi valori di Libertà, Sicurezza, Benessere e Crescita, fattori critici che proprio per la loro delicatezza debbono essere misurabili non solo in termini quantitativi ma anche e innanzitutto qualitativi. Il drill-down deve esplicare legami e dipendenze fra i vari livelli normativi e operativi favorendone l’allineamento secondo una relazione logica di causa-effetto, senza perdere di vista l’analisi “what-if” sugli input al fine di prevedere gli impatti delle variazioni sui processi, a questo fine occorre una analisi sui dati che conduca all’individuazione di relazioni e tendenze nuove e significative, dove vi è la trasformazione dei dati in informazioni e pertanto la possibilità di affinare la capacità di capire i dati stessi, emerge la domanda del “perché” e di una possibile rappresentazione dell’analisi dei rischi ordinari o straordinari (M.Poli). In questo sistema di diritti ad onde sovrapposte tutti gli effetti delle riduzioni come degli ampliamenti si manifesteranno chiaramente solo dalla seconda generazione, in cui si manifesterà l’assuefazione con il riconoscimento implicito delle conseguenze e la sua naturale accettazione, salvo la presenza di forti stimoli esterni che inneschino nuovi cicli, il rapportarsi tra diritti verifica anche un altro effetto che è il mutare dell’essenza del diritto in esame il quale può manifestarsi in termini opposti alla declinazione formale e alla sostanza iniziale, d’altronde dobbiamo considerare anche il rapporto tra diritti fondamentali dell’uomo costituzionalizzati e i restanti diritti economico-sociali riconosciuti da codici e leggi, questi ultimi sottoposti a una continua evoluzione a seguito del progresso tecnologico che obbliga a revisioni periodiche, vi è quindi la possibilità del collasso dei diritti fondamentali così come teorizzati per lo scollamento tra il nucleo e gli strati giuridici esterni che li contengono e li vitalizzano. °°°°°°°°°°°°°°°°°°°° °°°°°°°°°°°°°°°°°°°°