Editoriale 3 4 ruote storiche: Lancia Beta Story (2ª parte) 4 Registrazione Tribunale di Palermo n. 6 del 20.02.2006 Iscrizione al Registro degli Operatori di Comunicazione (R.O.C.) n. 14355 Questo periodico è associato all’Unione Stampa Periodioca Italiana Editore Euroblu Service srl Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo P.IVA: 05431650828 Tel. 091. 6110517 - fax 091. 6116039 [email protected] Direttore Responsabile Franco Trifirò [email protected] lancia beta story 4 Ruote storiche al lavoro: Fiat 618 Ardita 22 Più uniche che rare: Matra Simca Bagheera 30 Eventi: Il Treno e l’Autobus 44 Indirizzario Ricambisti e Specialisti 50 Indirizzario Musei italiani 56 Indirizzario Associazioni, Clubs e Scuderie 57 Annunci e fotoannunci 74 Quotazioni 88 Grafica ed impaginazione Maurilia Moscarelli Hanno collaborato Roberto Gianusso, Francesco Patti Redazione Euroblu Service Srl Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo Tel. 091 6110517 - fax 091 6116039 [email protected] fiat 618 Ardita 22 Foto Archivio Storico FIAS N.B.: in questo numero sono state utilizzate alcune immagini di provenienza ignota. Gli eventuali autori possono contattare la Direzione per gli eventuali diritti di riproduzione. Stampa Officine Grafiche Riunite Spa Via Prospero Favier, 10 - 90124 Palermo matra simca bagheera 30 Esclusivista Pubblicità Euroblu Service srl Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo Tel. 091 6110517 [email protected] UFFICIO ABBONAMENTI Piazza Castelnuovo, 12 - 90141 Palermo Tel. 091 6110517 - Fax 091 6116039 [email protected] annunci e fotoannunci 74 Regolamento Annunci e Abbonamenti 128 sommario ANNO III - N. 16 gennaio 2008 editoriale il cuore e la ragione di Franco Trifirò Lei è sempre lì. E’ austera nella sua elegante mise demodé per la quale il tempo, i cui segni dell’inesorabile scorrere sono ben visibili sulla sua “pelle”, ha contribuito ad accentuare il fascino di anziana signora borghese. E proprio come tale lei si atteggia: è difatti assolutamente indifferente alle “giovani” iperplastificate che quotidianamente le si piazzano accanto o vanno e vengono freneticamente, su e giù lungo la strada dove lei dimora da anni. “Lei” è una Fiat 1500 C, dal colore grigio topo oramai sbiadito e reso opaco dal lungo tempo trascorso sotto il sole e la pioggia. L’ho “adocchiata” oramai da diversi anni, posteggiata lungo la strada che mi porta quotidianamente al posto di lavoro: mio padre ne aveva comprata una uguale nel 1965 ed a quella automobile, utilizzata per diversi anni dalla mia famiglia come “auto della domenica”, sono indelebilmente associati i più bei ricordi degli anni della mia fanciullezza. Ecco perché è diventata per me una inconscia abitudine, quando transito da quella via, ricercare con lo sguardo “la vecchia signora”, vedere se è ancora lì, se ha resistito ancora, se le manca qualcosa. Fino a qualche mese addietro era posteggiata sempre in posti diversi, lungo la “sua”strada: segno questo di una certa vitalità sua o del suo possessore. Da qualche tempo a questa parte non più così: lei è sempre lì, al solito posto. Ma non è affatto abbandonata: i vetri sono sempre ben puliti (la pezzuola gialla, vecchia almeno quanto lei, è sempre riposta in bella vista, ben ripiegata come si usava una volta, sopra il cruscotto) ed è munita di contrassegno assicurativo in corso di validità. Segni evidenti che il proprietario (o la proprietaria) continuano a prendersene cura amorevolmente, non cedendo alle facili lusinghe delle continue campagne di rottamazione. Non per quello che vale economicamente (certamente pochissimo) ma sicuramente per quello che ha rappresentato e rappresenta per loro (ed indirettamente anche per me). Con il cuore e non per la ragione della convenienza. 4 ruote storiche Lancia Beta Story 2ª parte: Beta Coupè, Spider, HPE di Francesco Patti 4 ruote storiche 4 ruote storiche Beta CoupÉ La «Beta Coupé» venne presentata al Salone di Francoforte del 1973. Il corpo vettura non aveva praticamente nulla in comune alla berlina da cui derivava. Più stretta di 4 centimetri, più corta di ben 29, più bassa di 12 e con il passo accorciato di 19, la «Coupé» possedeva un’impronta estetica del tutto individuale. Il frontale aveva una calandra verticale color argento a maglie alveolari che niente condivideva con la mascherina spiovente della berlina; i quattro fari tondi risultavano prospicienti anziché incassati. Vista di fianco, la «Beta Coupé» metteva in evidenza il prolungato volume anteriore che conteneva il propulsore. I deflettori alle porte erano un tocco caratteriale che sottolineava la sportività della «Coupé» rispetto alla «Beta» d’inizio genesi. Distintiva la forma trapezoidale dei finestrini anteriori. I vetri posteriori si aprivano con movimento a compasso in prossimità di una piccola griglia di estrazione aria. La fiancata era percorsa da due scalini che creavano una fascia in leggero rilievo estesa per l’intera lunghezza della vettura. La coda comprendeva due grandi fanali divisi orizzontalmente (arancione la metà superiore, rossa quella inferiore) affiancate da una sezione verticale chiara per le luci di retromarcia. Una cornice cromata era sul bordo del cofano bagagli. Sul paraurti anteriore in lamiera lucida erano applicate della fasce in gomma che s’interrompevano per l’alloggiamento della targa e per le aperture dei gruppi luce di posizione-indicatore di direzione. Al centro del paracolpi posteriore erano inserite le luci di targa. Anche all’interno non si riscontravano parentele con la berlina. I sedili, avvolgenti e ben profilati, avevano (sia davanti sia dietro) appoggiatesta sviluppati in altezza e di bizzarra sagoma. La loro esecuzione prevedeva tessuto per la zona centrale e delicato velluto sulle fasce di contenimento. La plancia era sontuosa ma gradevole oltre che razionalmente progettata. Veramente difficile poi trovare una dotazione di strumenti ricca come nella «Beta Coupé». Oltre a tachimetro e contagiri, vi erano livello benzina, termometro acqua, manometro olio, termometro olio, indicatore livello olio e voltmetro. E alcuni di questi indicatori incorporavano addirittura una spia per integrare le segnalazioni! La grafica complessa, con fondi a circonferenze concentriche gialle e bianche, lunghe lancette nere ed estese linee radiali scure non privilegiò di certo la leggibilità e pertanto dopo breve tempo questo cruscotto venne sostituito con uno di medesima impostazione ma con strumenti a cifre bianche e fondo uniformemente scuro. Val la pena notare come la grafica originale sia oggi identificata dai lancisti più fervidi e competenti con l’appellativo di “giamaicana” proprio in ossequio alla particolare e vivace policromia. Dal bordo inferiore della tavola portastrumenti sbucavano i pomelli per l’azzeramento del contachilometri parziale, per regolare la luminosità del quadro e per visualizzare il livello di olio motore nella coppa. Davanti al passeggero era collocato un cassetto portaoggetti illuminato e dotato di sportello con serratura. Nella zona centrale, sotto al posacenere, era inserito un raffinato pannello in legno che inglobava un piccolo orologio analogico, con lancetta per i secondi, e cinque interruttori che andavano tirati per attivarne la funzione e che recavano una corona circolare che faceva da spia o da illuminazione notturna. Essi servivano per accendisigari, lunotto termico e massima velocità del tergicristallo; gli 4 ruote storiche Un prolifico casato come quello originato dalla Lancia «Beta» è un vanto di cui poche auto possono adornarsi. La singolare fastback del 1972 è stata infatti la mamma di numerosi modelli, il primo dei quali fu la coupé, da cui, successivamente, ebbero origine la spider e un’innovativa station wagon-coupé denominata «HPE». 4 ruote storiche altri due erano a disposizione (uno era comunque demandato all’eventuale installazione delle luci di emergenza). Più giù si trovavano i cursori orizzontali per la quantità e la temperatura dell’aria nell’abitacolo e quelli più piccoli, verticali, per il ventilatore a due velocità e la deviazione del flusso. L’insieme era agevolmente visibile anche al buio grazie ad una deliziosa plafoniera che si accendeva con le luci di posizione. Più in basso si aprivano due bocchette d’aerazione. Le uscite per l’aria immessa in vettura erano completate da due bocchette laterali e da quattro larghe feritoie orientate verso il parabrezza. Sul dorso della plancia era una griglia di predisposizione per un altoparlante. Accanto alla leva di apertura del cofano motore era alloggiata una piccola torcia. All’interno dei passaruota erano fissate due tasche portaoggetti rigide. Il volante, regolabile e di grande diametro, aveva supporti metallici alle razze che confluivano nel pulsante del clacson a forma di “T” capovolta (l’avvisatore acustico funzionava solo a circuito elettrico inserito). Il devioluci, privo di simboli, era a tre levette. Davanti alla leva del cambio, con pomello in legno e voluminosa cuffia attorno all’asta cromata, era fissata la targhetta con lo schema delle marce fissata su un ripiano per piccoli oggetti. I pannelli delle portiere disponevano di due fasce imbottite fra le quali era inserita un’area di tessuto con medesimi fattura e colore del rivestimento dei sedili. Generosa nelle dimensioni anche la maniglia di chiusura (impreziosita da un quadratino di metallo lucido) che confluiva in un ampio poggiabraccia. Fra i sedili posteriori era incassata una plafoniera con interruttore a tre posizioni, identica a quella anteriore. Nel vano bagagli, di circa 330 litri, era alloggiata la ruota di scorta. Meccanicamente la «Coupé» conservava lo schema della «Beta» a cinque porte: motore anteriore longitudinale, trazione anteriore, sospensioni McPherson, quattro freni a disco, cambio a cinque marce. La coupé torinese era offerta nelle due motorizzazioni di 1600 cm³ con potenza di 108 CV e 1800 cm³ capace di 120 CV. L’esame dinamico promuoveva la «Beta Coupé» con un’eccellente tenuta di strada e una buona frenata. La taratura delle sospensioni era tendenzialmente rigida, ma va considerato che le sportive di quegli L’interno della 1300 1ª seie: il sedile posteriore era privo di poggiatesta e non aveva nè le poltroncine separate nè la plafoniera posteriore. valore di coppia salire di oltre il 15% (da 15,3 a 17,7 kgm) con un sensibile abbassamento del regime di erogazione (2800 giri invece dei 4500 del milleotto). Esternamente non venne apportata alcuna modifica alla «1600», mentre la «2000» si distingueva per i fari a vetro unico di forma ottagonale, la mascherina nera di diversa trama con cinque listelli lucidi allineati in basso, il cofano motore con la zona centrale rialzata e un’unica larga presa d’aria in plastica nera in luogo delle due più piccole colore argento della «1600». In più, sempre per la 2 litri, equipaggiamento con servosterzo (denominato idroguida in casa Lancia). Fra gli optional, la possibilità di avere il tetto apribile scorrevole e il lunotto termico a resistenze chiare. L’interno perde le fasce in velluto dei sedili. Pochi mesi più tardi la «Beta Coupé» è incaricata del gravoso compito di colmare la grande lacuna dell’incipiente uscita dai listini della «Fulvia Coupé». Per questo motivo si appronta una versione di cilindrata 1,3 litri alla quale non viene ufficialmente attribuito il nome di famiglia ma semplicemente quello di «1300 Coupé» con l’intento di tutelare quanto meno idealmente una propria individualità e una sorta di continuità con l’indimenticabile «Fulvia», saldamente legata al cuore degli appassionati Lancia in virtù dei suoi ampi successi commerciali e sportivi. Persino i primi depliant ufficiali ritraevano la nuova nata con una «Fulvia Coupé» 3ª serie sullo sfondo dell’immagine. La piccola coupé si riconosceva per numerosi particolari esterni di colore nero: calandra, bracci dei tergicristalli, piastre portafari, gocciolatoi, retrovisore esterno, modanatura posteriore, griglie sul cofano motore e sui montanti posteriori. Dentro fu eliminato l’orologio, e il sedile posteriore era a panchetta e senza poggiatesta. Via anche la plafoniera fra i posti dietro e niente intermittenza al tergicristallo. Semplificati pure i sedili, bordati con un profilo in skai, e i pannelli porta, di spessore più esiguo. Dalla strumentazione vennero tolti il termometro olio e l’indicatore livello olio, sostituiti dalle spie per lunotto termico e luci di emergenza (queste ultime non previste per le auto destinate all’Italia). Un’altra piccola differenza era l’interruttore del lunotto termico, spostato dove sulle «Beta Coupé» più potenti era il pulsante per la verifica della quota dell’olio. La lista degli accessori a richiesta era nutrita e qualificata, a cominciare dal condizionatore, una rarità per l’epoca su un’auto sportiva e per di più di cilindrata così contenuta. Inoltre, sempre a scelta del cliente, selleria in 4 ruote storiche anni erano filosoficamente concepite con poche intersezioni al confort di marcia. Difficoltoso l’accesso ai posti posteriori per via dei sedili anteriori mobili solo nello schienale. L’equipaggiamento, oltre al volante ad inclinazione variabile e al cambio a cinque marce, includeva la fascia scura al parabrezza e i cerchi in lega (di serie sulla «1800»). Nutrita e qualificata la lista degli optional: cerchi in lega (solo per la «1600»), alzacristalli elettrici, interno in pelle, aria condizionata con vetri atermici, lunotto termico (disponibile anche con vetro azzurrato), vetri atermici, bracciolo lato guidatore, proiettori fendinebbia + luce retronebbia, vernice metallizzata. Inoltre, senza sovrapprezzo, si poteva avere la selleria in skai. Nell’autunno del 1975 la «Beta» si aggiornò nei propulsori, determinando la seconda serie del modello. Il motore di 1,6 litri di cilindrata venne leggermente ridotto nella cubatura e perse 8 CV di potenza, ma guadagnò in trattabilità abbattendo il regime di coppia massima da 4500 a 3000 giri/ min. L’unità di 1800 cm³ raggiunse quota 2 litri, mantenne pressoché invariata la potenza massima (119 CV a fronte dei precedenti 120), ma vide il 4 ruote storiche pelle, vetri elettrici, lunotto termico a fili invisibili (azzurrato o incolore), cerchi ruota in lega leggera ad otto razze, fendinebbia con retronebbia incassato al centro del paraurti, tetto apribile, alzacristalli elettrici. Oltre che dalla denominazione, il simbolo ß venne rimosso anche dalla targhetta sul cofano bagagli, proprio a rimarcare un’indipendenza dal resto della gamma. Il motore della «1300 Coupé» aveva cilindrata di 1297 cm³ in grado di sviluppare 82 CV a 5800 giri/min e coppia massima di 11 kgm a 3300 giri. La terza serie della sportiva Lancia è del 1978 e prevede l’unificazione estetica fra le varie cilindrate. Tutte le «Beta Coupé» (anche la «1300» divenne ufficialmente una «Beta») adottano il cofano della «2000», i quattro proiettori rotondi sono inseriti in alloggiamenti neri, e neri sono anche i tergicristalli. Nuovo lo specchietto retrovisore esterno, più grande, regolabile dall’interno e fissato al deflettore invece che alla portiera. L’impostazione della plancia rimane grosso modo invariata, ma la strumentazione è ridisegnata nella grafica (il fondo rimane scuro ma tornano le linee radiali su tachimetro e contagiri) e le scale degli strumenti secondari ricevono settori colorati. Riposizionati e di design più moderno anche i comandi dei servizi elettrici e della climatizzazione. In luogo dell’orologio analogico viene assunto un display digitale a cifre rosse. Nuovo pure il volante, i tessuti, la sagoma degli appoggiatesta, le bocchette d’aerazione e il devioluci, ora dotato di simboli e con tutte le velocità del tergicristallo integrate. Diversa anche la leva del cambio, con pomello sferico, e la plafoniera anteriore circolare e con spot di lettura a fianco. Di serie le cinture di sicurezza anteriori e le luci di emergenza. Tutte le cilindrate adottano l’accensione elettronica (Marelli sulla «1300», Bosch per le motorizzazioni di 1,6 e 2 litri di cilindrata). La «Beta Coupé 2000» introdusse la seconda serie del modello torinese. Si riconosceva per i proiettori anteriori a vetro unico. 10 Speedline con motivo a triangoli. Nel 1981 giunge il quarto ed ultimo ammodernamento della fortunata vettura italiana. Il mutamento più evidente è nella calandra con stile “a scudo”, ispirata alla «Delta» e prerogativa del family feeling di casa di quegli anni. Tutti i profili esterni divengono neri, maniglie di apertura porte comprese; viene rinnovato il disegno dei cerchi in lamiera stampata. Lungo i fianchi dell’auto è applicata una modanatura di protezione. Il tappo di rifornimento carburante è ora in vista e non più dietro uno sportellino. Sul bordo del cofano posteriore compare uno spoiler in gomma con l’indicazione di modello e cilindrata. I rinnovati paraurti assumono disegno avvolgente e si spingono a lambire gli archi passaruota. La modifica non riguarda la piccola «1300» che mantiene i precedenti paracolpi dipinti però interamente in nero. Sotto al paraurti posteriore vengono installate due luci retronebbia. Nell’abitacolo vi sono nuovi tessuti e la strumentazione (inalterata nella dotazione) ha una diversa grafica, con settori colorati ulteriormente evidenziati. Interventi anche ai motori: il piccolo 1300 cresce di due millimetri nell’alesaggio e raggiunge la cilindrata effettiva di 1366 cm³ a cui corrisponde un progresso di 2 CV nella potenza (ora sono 84). Ma la novità di maggior rilievo è l’adozione di un’alimentazione ad iniezione elettronica Bosch sul propulsore due litri, la cui potenza massima sale a 122 CV. L’apoteosi prestazionale della «Beta Coupé» arriva nel 1983 e si chiama «Volumex». Il nome è legato alla sovralimentazione mediante compressore volumetrico, una soluzione molto cara alla Lancia, e che costituì un pregio tecnico di cui la Casa italiana fu la più audace sostenitrice negli anni Ottanta. A differenza del turbocompressore, il volumetrico era attivo ad ogni regime di funzionamento del motore ed era quindi esente da curve di potenza irregolari ed appuntite tipiche dei propulsori turbo. Le prestazioni del bialbero Lampredi di 1995 cm³ salgono al rispettabile valore di 135 CV. Esteticamente la «Beta Coupé Volumex» si riconosce dal rigonfiamento asimmetrico sul cofano motore, dal pronunciato spoiler anteriore in plastica, dal monogramma VX nella calandra e dai codolini allo spoiler posteriore. Dentro erano state apportate modifiche di dettaglio alla strumentazione con il fondo scala del tachimetro innalzato da 200 a 220 km/h e l’aggiunta di un settore verde nel contagiri per evidenziare la zona di miglior sfruttamento del propulsore. Optional esclusivi della «VX» erano il retrovisore esterno de- 4 ruote storiche L’unità motrice più piccola sale a 1301 cm³ e la potenza del 2000 scende a 115 CV ma registra un aumento di coppia. Tra gli optional anche il cambio automatico a tre marce per le due cilindrate superiori. Diverse furono le edizioni in serie limitata della «Beta Coupé», ma di queste solo una rimase entro i confini nazionali. Fu la «Laser», ricavata sulla terza serie e disponibile con le motorizzazioni di 1,3 e 1,6 litri di cilindrata. Si riconosce per calandra e paraurti neri e per l’adozione di una coppia di proiettori fendinebbia curiosamente protetti da una retina parasassi. Solo tre le tinte disponibili per la carrozzeria: rosso, azzurro e grigio scuro, tutte metallizzate e inframmezzate da un sottile profilo nero sulla fiancata che terminava con la scritta “Lancia ß Laser”. Le «Laser 1300» montavano i noti cerchi in lega ad otto razze di provenienza FPS o Cromodora, le «1600» avevano invece degli inediti 11 4 ruote storiche stro e i sedili anteriori sportivi Recaro che prevedevano una levetta in posizione più comoda per il ribaltamento degli schienali. Curiosa la presenza, fra gli attrezzi di bordo, di una maniglia alzavetri da utilizzare in caso di guasto agli alzacristalli elettrici. Di serie il volante con corona rivestita in pelle e cuciture in vista. La scheda di manutenzione prevedeva il controllo della lubrificazione del compressore verificando il livello dello specifico olio nel piccolo serbatoio trasparente inserito nel vano motore. Beta spIDER La terza serie della sportiva Lancia è del 1978 e prevede l’unificazione estetica fra le varie cilindrate. Tutte le «Beta Coupé» (anche la «1300» divenne ufficialmente una «Beta») adottano il cofano della «2000», i quattro proiettori rotondi sono inseriti in alloggiamenti neri, e neri sono anche i tergicristalli. Dire che dalla «Beta Coupé» si ricavava la «Beta Spider» è quanto mai esatto non solo sotto l’aspetto concettuale bensì anche dal punto di vista strettamente materiale. Il processo produttivo della «Beta Spider» era infatti decisamente articolato. Scocche 12 complete di «Beta Coupé» partivano da Torino alla volta degli stabilimenti Zagato dove venivano modificate nella zona posteriore. Da qui tornavano alle officine Lancia per il processo anticorrosivo. Quindi si imbarcavano nuovamente alla volta di Milano, per essere verniciate e arredate negli interni e nella componentistica. Un successivo viaggio le riportava allo stabilimento di Chivasso per l’installazione degli organi meccanici. Ma non ci sono solamente Lancia e Zagato fra i blasonati marchi di cui può fregiarsi la spider: diversamente della coupé, concepita dal Centro Stile Lancia, il disegno della versione aperta è legato al nobile nome di Pininfarina. Altra particolarità della «Beta Spider» era la possibilità di apertura modulare. Sopra i passeggeri anteriori era infatti installato un tetto rigido che poteva essere agevolmente rimosso. Il lunotto era invece inserito in una capote che, una B agendo su due ganci anteriori inseriti nella cornice del parabrezza, e due ganci erano da manovrare anche per l’abbassamento della capote. Sul finire del 1975 giunge la seconda serie, che reca le modifiche estetiche e tecniche praticate alla «Coupé». Dal frontale alveolare d’esordio con fari tondi per le due versioni si passa alle cinque barrette e ai fari ottagonali per la sola 2 litri. In più già qualche tempo prima erano state adottate le portiere della coupé (dotate quindi di cornici) e si inseriscono dei rinforzi longitudinali che congiungono parabrezza e roll-bar. Dietro cambia anche il paraurti, che perde il caratteristico scalino centrale per l’alloggio delle targhe quadrate. Lievi differenze anche ai fanali posteriori. Nel 1978 giunge la 3ª serie, con le modifiche viste sulla coupé. Quindi unificazione di cofani e calandre per le due cubature (la «Beta Spider» non ebbe mai il propulsore di 1300 cm³) e plancia e interni rinnovati. Ci fu anche una quarta serie, con frontale aggiornato con la mascherina di famiglia, ma essa non venne mai ufficialmente commercializzata in Italia e prese la via dei mercati esteri. 4 ruote storiche Beta volta abbassata, scopriva il cielo sopra gli occupanti dei sedili posteriori. Di fatto la «Beta Spider» riuniva le soluzioni delle vetture targa e cabriolet. Sino alla portiera, il disegno della spider è identico a quello della «Beta Coupé», ad esclusione degli sportelli, privi di montanti. Dopo iniziano i tratti caratteriali. Un largo montante con feritoia di estrazione aria fa da roll-bar e si interpone fra le due sezioni apribili della vettura. La zona posteriore è completamente dissimile dalla «Coupé» e spicca per l’esteso volume del bagagliaio con cofano ad andamento piatto anziché inclinato. In coda sono diversi anche i gruppi ottici e il paraurti. Nella fascia sottoporta era fissato un profilo plastico. L’abitacolo non ha differenze sostanziali con la «Coupé» (strumentazione “giamaicana” compresa, ad inizio serie), se non per l’ovvia assenza dell’interruttore del lunotto termico nel pannello centrale. Diversi erano anche i rivestimenti e la profilatura dei sedili (quelli posteriori senza poggiatesta). La «Beta Spider» venne ufficialmente presentata a Ginevra nel 1974. La sua meccanica ricalcava quella della coupé, comprese le cilindrate di 1600 e 1800 cm³. La «Beta» aperta era più lunga della coupé di 4 centimetri. Il tetto amovibile si asportava 13 4 ruote storiche HpE La sigla “HPE” nacque come acronimo di High Performance Estate, riferendosi non certo alla bella stagione bensì alla tipica dicitura anglosassone per individuare automobili dalle spiccate capacità di carico. Sta di fatto che la «HPE» si propose come vettura dall’elevata versatilità in grado di abbinare un design in cui si mischiavano armoniosamente tratti stilistici da berlina, da coupé e da station wagon. E tecnicamente l’«HPE» era realmente un misto fra berlina e coupé, dato che aveva le sospensioni anteriori della coupé mentre pianale e sospensioni HPE prima serie 14 al retrotreno provenivano dalla «Beta» berlina. La parte anteriore dell’auto riproponeva fedelmente la «Beta Coupé» ma, indipendentemente dalla motorizzazione, i proiettori erano a vetro unico, come quelli introdotti sulla prima «Beta Coupé» con propulsore 2 litri. La sezione posteriore era del tutto nuova grazie all’ampio portellone con estesa superficie vetrata che consentiva di disporre di un grande vano per i bagagli. Elegante l’accenno di spoiler sul tetto. I finestrini laterali allungati si aprivano a compasso, e le feritoie per la fuoriuscita dell’aria dell’abitacolo erano inserite sul montante posteriore in un largo e caratteristico decoro scanalato che si raccordava adottò la seconda edizione della strumentazione, quindi niente “giamaicana”) con un ovvio diverso disegno del divano posteriore, sdoppiato e privo di poggiatesta. Fra gli accessori di serie vi era il tergilunotto e il livellamento automatico del fascio luminoso, il cui principio di funzionamento era lo stesso adottato sulla «Beta» berlina tramite un tirante in funzione del carico sulla vettura. I rivestimenti dei sedili erano in tessuto skai con seduta in velluto. Il debutto ufficiale della «HPE» avvenne al Salone di Ginevra del 1975 e pochi mesi più tardi la nuova Lancia giunse nelle concessionarie con i motori di 4 ruote storiche alla “veneziana” frangisole interna al lunotto. Alle estremità laterali della coda erano i gruppi ottici. Il volume del bagagliaio si avvaleva di 370 dm3 di capacità (circa 40 più della coupé) che giungevano a ben 1100 abbattendo lo schienale. All’interno del portellone, alla base del lunotto era vincolata una tendina avvolgibile: essa poteva essere allungata sino al bordo superiore del sedile posteriore in modo da coprire i bagagli qualora questi non eccedessero in altezza, oppure poteva essere estesa parallelamente al vetro così da celare alla vista l’intero vano di carico. L’interno era il medesimo della «Beta Coupé» (ma sin dall’inizio si 15 4 ruote storiche 1600 e 1800 cm³ seppur un po’ addolciti nella curva di potenza. La seconda serie ebbe le già note modifiche alla mascherina e al cofano anteriore per la sola versione di cilindrata più elevata. Ovviamente anche la «HPE» seconda serie adottò il millesei di 1585 cm³ in luogo del precedente da 1592. Diversamente dalla consorella con carrozzeria coupé, per la «HPE» l’utente poteva scegliere fra due diversi disegni di cerchi in lega leggera. Oltre ai noti elementi ad otto razze, c’era un altro cerchio, denominato “turbo”, contraddistinto da numerose piccole aperture trapezoidali lungo la fascia perimetrale. In La «H.P. Executive Volumex» 16 entrambe le varianti i mozzi riportavano al centro la “L” iniziale di Lancia, presente sin dalla prima «Beta Coupé». Il restyling successivo, del 1978, riprese le modifiche esterne e interne contemporaneamente introdotte nella «Beta Coupé», cambio automatico AP in opzione compreso. La quarta serie, anch’essa immessa sul mercato insieme alla corrispondente coupé, si caratterizzò per i profili neri, il nuovo frontale e l’alimentazione ad iniezione elettronica sul motore due litri. Le indicazioni di modello e cilindrata vennero elegantemente riportate su una fascia satinata alla restauro non pone difficoltà sotto l’aspetto meccanico (condiviso con numerosi modelli Fiat del tempo) ma può essere più problematico per gli elementi di carrozzeria e la componentistica. Un paio di grosse aziende specializzate in ricambi d’epoca Lancia possono esser d’aiuto (anche se non sempre a prezzi popolari), ma per altri elementi occorre armarsi di grande pazienza. (la prima parte è stata pubblicata sul n° 12 Settembre 2007) 4 ruote storiche base del portellone. E la quarta serie portò novità anche nella denominazione, che passò da «HPE» a «H.P. Executive» determinando quindi una variazione di significato alla “E” della sigla. Arrivò pure la sovralimentata «Volumex», con il vistoso spoiler in plastica sotto il paraurti anteriore e un altro sul bordo del cofano bagagli. Impossibile, a differenza della «Coupé», avere lo specchio retrovisore destro e gli interni sportivi. Tutte le «Beta» sportive hanno quotazioni accessibili. Sia che si tratti di una prima serie, di una «Volumex» o di una meno carismatica terza serie, la spesa per entrare in possesso di un esemplare non è esosa. Il 17 4 ruote storiche 18 La HPE 3ª serie 4 ruote storiche 19 4 ruote storiche Una soPRAVVISSUTA Non sono molte le «Beta Coupé» giunte ai nostri giorni. Lamiere aggredite della corrosione e campagne di incentivi alla rottamazione hanno ristretto il numero di unità in giro. Gli esemplari della quarta serie sono poi forse ancor meno comuni, sia perché ritenuti poco accattivanti in quanto troppo “plasticosi” sia perché l’ultimo restyling giunse quando l’appeal della coupé torinese iniziava la fase calante. Pensate quindi quanto può essere significativo imbattersi oggi in una «Volumex», il cui arrivo sul mercato si collocò oltre due anni dopo il lancio dell’ultima serie. La vettura, in strepitose condizioni di conservazione, è di proprietà di Dante Tagliabue, un appassionato con la “L” maiuscola! Sì, la “L” della passione Lancia. Dante ha infatti un passato automobilistico perennemente costellato da «Beta». Fra coupé e spider sono diversi gli esemplari avvicendatisi fra le sue mani fin dal conseguimento della patente. La «VX» in suo possesso è sempre appartenuta a lui ed è stata immatricolata nel giugno 1985, quando la produzione era ormai cessata da diversi mesi. Si La «Beta Coupé Volumex» di Dante Tagliabue 20 trattava infatti di una vettura rimasta in giacenza presso una concessionaria di Cesano Maderno (MI) e dotata dei poco comuni proiettori fendinebbia ottenibili a richiesta. In permuta venne data una «Beta Coupé 2000» 3ª serie e la «Gamma 2000» del papà, da cui Dante ha ereditato l’amore per le automobili Lancia. Ritirata l’auto nuova al lunedì, il venerdì successivo Dante è già in officina. Ma non c’è alcun problema da segnalare: occorre solo eseguire l’allora previsto tagliando dei 1500 km! Per i due anni seguenti l’auto viene utilizzata quotidianamente, totalizzando quasi 30 mila chilometri e divagando di tanto in tanto oltre i confine italiani. Poi Dante intuisce che un’auto particolare quale la «Beta Coupé Volumex» doveva essere oggetto di riguardi particolari e ne limita quindi l’utilizzo al solo tempo libero e, più in là, unicamente alle manifestazioni dedicate agli appassionati d’auto. I chilometri accumulati ad oggi dalla vettura (nel frattempo omologata ASI) sono appena 40 mila, nei quali non vi è stato bisogno di alcun intervento al di là dell’ordinaria manutenzione. ruote storiche al lavoro 22 Fiat 618Ardita di Roberto Gianusso ruote storiche al lavoro 23 ruote storiche al lavoro 24 a ll’inizio degli anni cinquanta il signor Bongiovanni, garzone di bottega, spinto dal miraggio del boom economico avviò una attività di commercio di prodotti alimentari all’ingrosso. Il lavoro del signor Bongiovanni consisteva nel ridistribuire prodotti alimentari che le grosse aziende di produzione spedivano presso il suo magazzino di Villanova di Mondovì. Mentre oggi si parla di magazzini centralizzati, distribuzione just in time, ed il termine logistica è usato sempre più frequentemente, negli anni venti, quando le industrie alimentari iniziavano a confezionare in scatola i loro prodotti, attività come quella che il signor Bongiovanni andavano per la maggiore. Il lessico italiano coniò un termine per indicare questo genere di attività: commercio di prodotti coloniali. Prodotti coloniali, poiché il confezionamento dei generi alimentari in grezze scatolette, era stato un procedimento generato dalla necessità di supportare le esigenze alimentari delle nostre truppe, in quegli anni impegnate in Africa sul fronte delle colonie. Uno dei primi prodotti alimentari confezionati e distribuite in scatola furono le acciughe, ed è per questo motivo che il lessico piemontese coniò il termine “anciuè”, cioè venditori di acciughe, per indicare coloro che svolgevano l’attività del signor Bongiovanni. Il signor Bongiovanni inizia la sua attività all’inizio degli anni cinquanta, inve- ruote storiche al lavoro stendo tutti i suoi risparmi nella costruzione di un moderno e funzionale magazzino e decide di risparmiare sull’acquisto dell’autocarro che dovrà utilizzare per servire i suoi clienti, rimandando l’acquisto di un autocarro nuovo a quando l’attività sarà più sviluppata. La scelta cade su un vecchio Fiat 618, con cassone montato all’origine presso le officine Fiat Lingotto di Torino, dove all’epoca è concentrata buona parte della produzione della casa torinese. Il Fiat 618, piccolo autocarro dalle grandi prestazioni era la versione utilitaria della più diffusa vettura di classe media Fiat 518, chiamata “Ardita”, per enfatizzarne le buone prestazioni. L’azenda del signor Bongiovanni è cresciuta molto negli anni successivi e autocarri più moderni, con una maggiore capacità di carico, hanno preso il posto del Fiat 618 che, messo definitivamente in congedo nel 1965, è rimasto a riposare in garage per più di trent’anni. Si usa dire che il primo amore non si scorda mai e, forte di questo principio, il signor Bongiovanni non ha mai dimenticato il suo primo autocarro, cosicchè nel 1997, dopo aver liquidato la propria azienda, decide di restaurare la sua piccola creatura, con l’aiuto del figlio appassionato collezionista e restauratore di auto d’epoca. Il restauro è radicale, il protagonista del nostro servizio viene completamente smontato, il telaio è stato sabbiato e riverniciato, i lamierati della cabina completamente sverniciati, rasati con stucco metallico e riverniciati come si usava fare negli anni trenta, il cassone ricondizionato da un falegname. Le parti meccaniche sono state revisionate minuziosamente con la sostituzione di tutti i particolari usurati e anche la pegamoide della selleria è stata sostituita, quasi a voler testimoniare la minuziosità del restauro. Ad avvenuto restauro il piccolo autocarro Fiat è stato omologato dal Regi- 25