3GIORNI - 3COREOGRAFI - 1CAPOLAVORO La sacre du printemps di Igor Stravinsky Proiezione video dei 3 balletti ispirati a ‘La sagra della primavera’ con le coreografie di Vaclav Nijinskij - Maurice Béjart - Pina Bausch SALE APOLLINEE del Teatro La Fenice martedì 29, mercoledì 30, giovedì 31 ottobre 2013 ore 16.30 INGRESSO LIBERO Coordinamento del progetto ed elaborazione dell’Unità Didattica Multimediale a cura dell’area formazione & multimedia della Fondazione Teatro La Fenice info: [email protected] Struttura del balletto L'opera è strutturata in due macro-movimenti, ciascuno diviso in sei episodi Le sacre du printemps - La sagra della primavera di Igor Stravinsky Parte I L'adorazione della Terra Introduzione Gli auguri primaverili – danze delle adolescenti Gioco del rapimento Danze primaverili Gioco delle tribù rivali – corteo del saggio – il saggio Danza della terra La sagra della primavera (titolo originale Le sacre du printemps) è un balletto rappresentato per la prima volta a Parigi il 29 maggio 1913 al Théâtre des Champs-Elysées dai Balletti russi di Sergej Diaghilev, su musica di Igor Stravinsky, con scenografie di Nikolaj Konstantinovič Roerich e per la coreografia di Vaclav Nijinskij. La traduzione di "sagra" calcata su "sacre" non è fedele all'originale, perché il significato del termine francese è "rituale": una traduzione basata solo sul significato sarebbe dunque "Il rituale della primavera". Parte II Introduzione Cerchi misteriosi delle adolescenti Glorificazione dell'Eletta Evocazione degli antenati Azione rituale degli antenati Danza sacrificale (l'Eletta) Soggetto Il balletto inscena un rito sacrificale pagano nella Russia antica all'inizio della primavera, nel quale un'adolescente veniva scelta per ballare fino alla morte con lo scopo di propiziare la benevolenza degli dei in vista della nuova stagione. L'aperto richiamo alla Russia è comunque decisivo per chi volesse meglio comprendere il carattere del lavoro: risalendo oltre la civiltà dell'uomo moderno, distruggendo l'ordine delle forme tradizionali, Stravinsky intese ricreare un mondo barbarico e primitivo, in un clima rituale pagano che sfocia in una rissa demoniaca. Organico orchestrale: Utile senz'altro uno sguardo anche all'organico strumentale previsto in partitura: 1 Ottavino (flauto piccolo) 3 Flauti (il terzo raddoppia un secondo ottavino) 1 Corno inglese 4 Oboi (il quarto raddoppia un secondo corno inglese) 1 Clarinetto piccolo in Re che raddoppia un clarinetto in Mi bemolle 2 Clarinetti in Si bemolle 1 Clarinetto basso in Si bemolle 1 Clarinetto in La che raddoppia un secondo clarinetto basso 1 Controfagotto 4 Fagotti (il quarto raddoppia un secondo Controfagotto) 8 Corni francesi (il settimo e l’ottavo raddoppiano una tuba tenore in Si bemolle) 1 Tromba piccola in Re 4 Trombe in Do (la quarta raddoppia una tromba bassa in Mi bemolle) 3 Tromboni 2 Tube basso 2 Tube tenori in Si bemolle 1 Sezione di Archi completa 1 Sezione di Percussioni composta da una grancassa, tam-tam, triangolo, tamburello basco, guiro, cimbali antichi il La bemolle e Si bemolle. 1 Set di Timpani composto da un timpano molto piccolo per ottenere sonorità acute fino al Si, due timpani piccoli e due grandi, per la maggior parte dell’opera viene impiegato un solo timpanista. Contesto e struttura dell'opera In quello stesso anno, il 1913, in cui a Parigi venne messa in scena la Sagra, la temperie culturale circostante non mostrava certo segni d'immobilità: Rachmaninov stava terminando la sua seconda Sonata per piano, Proust lavorava a Dalla parte di Swaann, Mann aveva appena chiuso La morte a Venezia e Freud pubblicato Totem e tabù. La Russia, intanto, dichiarava guerra alla Bulgaria e di lì a poco sarebbero scoppiate la Grande Guerra e la rivoluzione bolscevica, dalla quale Stravinsky sceglierà di tenersi sempre a debita distanza, emigrando prima in Svizzera, poi in Francia e infine, definitivamente, in America. Trama La sagra della primavera, essendo un balletto, ha uno sviluppo sintetizzabile in pochi punti: si tratta del risveglio della natura dopo il letargo invernale, evidente metafora della scoperta della sessualità adolescenziale. L’azione descritta da musiche e coreografie è quella di un rito pagano di propiziazione. La Primavera, dopo il freddo e interminabile Inverno, per ridonare fertilità e vita all'arida terra russa richiede in cambio il sacrificio di una giovane fanciulla. Figure come quella del saggio, della vecchia, della schiera di fanciulle danzanti e dell’Eletta, destinata all'estremo sacrificio, popolano il balletto. Andamenti e temi dell'opera variano a seconda degli scenari proposti: si passa dalla pacatezza degli auguri, ai ritmi tribali delle danze, passando per la drammaticità delle evocazioni e dei riti di preparazione del sacrificio. Tratto da: http://www.fanpage.it/i-cent-anni-della-sagra/#ixzz2dRBxOdrY 1 Igor Stravinsky, la vita e le opere di Laura Cesari meccanicizzata. Debussy scrisse a Stravinsky a proposito di Petruska: «V'è dentro una specie di magia sonora, di misteriosa trasformazione di anime meccaniche che divengono umane per un sortilegio di cui fino ad oggi mi sembrate essere l'unico cultore ...». La prima de Le sacre du printemps (29 maggio 1913) è una data fondamentale nella storia della musica, anche per l'influenza che esercitò su molti degli artisti presenti. Fu anche un grosso scandalo: pubblico e critici furono colpiti dall'incisività di quella musica, dal ritmo scatenato, dagli ossessivi blocchi sonori e della violenza politonale dell'armonia. Nel 1914 Stravinsky compose l'opera in tre atti Le rossignol da cui trarrà un balletto. Nello stesso anno abbandonò Pietroburgo e si stabilì a Norges sulle rive del Lago di Ginevra. Compose due opere da camera, Renard nel 1916 e L'histoire du soldat nel 1918, in cui si fondono linguaggi diversi, dall'impressionismo al politonismo al jazz e alla musica da cabaret. Nel linguaggio stravinskyano si susseguono delle «maniere» che possiamo definire in parallelo con quelle dell'amico Picasso. I balletti appartengono alla maniera impressionista-russa alla quale succederà la maniera «neoclassica», inaugurata con la suite Pulcinella del 1919, su musiche di Pergolesi. Ora Stravinsky si rifà al passato ricreandolo in una musica moderna, ironica, intelligente, riproponendolo in modo stilizzato e dissonante. Nabokov definisce questo «ritorno» stravinskyano al passato come una «cristallizzazione di un nuovo stile». Egli rievoca gli stili del passato attraverso l'uso della «parodia» l’espressione stilizzata, intesa non come imitazione burlesca di uno stile ma, come scrive Mila, «come categoria spirituale che, indipendentemente dall'intento comico (può esserci soprattutto sotto forma di ironia, o può non esserci), si serve del ripensamento di uno stile del passato come di una maschera per travestire i segreti della vita i n t e r i o r e . Tr av e s t i r l i , n o n soffocarli o occultarli. Ciò fa parte di quel complesso di sobrietà espressiva e di pudori dei propri sentimenti che caratterizza l'arte contemporanea e la sua reazione all'ostentazione serrata del secolo scorso ... non fino al punto di eliminare ogni partecipazione dell'anima al lavoro dell'artista il che sarebbe davvero la morte dell'arte ma certo un rifiuto alla confessione diretta ... l'espressione estrinseca viene rapidamente eliminat a ... l'espressione Igor Stravinsky nasce a Oraniembaum, presso Pietroburgo, il 17 giugno 1882. Il padre è un rinomato cantante, basso-baritono al teatro Imperiale di Pietroburgo. Uomo colto e raffinato, possiede una ricca biblioteca a cui Igor attinge fin dall'infanzia. Egli non è un fanciullo prodigio; a nove anni inizia con una mediocre maestra lo studio del pianoforte e i suoi studi musicali si sviluppano tardi e lentamente. È però attratto dagli spartiti del padre, li legge con facilità a prima vista e frequenta molto i teatri. Nella residenza estiva di Oranieambaum ascolta i canti dei contadini russi e assiste alle loro danze. Verso i diciotto anni inizia da solo lo studio del contrappunto (arte di sovrapporre due o più linee melodiche), affascinato dai suoi meccanismi e dalla sua perfezione tecnica. Scriverà: «Questo lavoro mi divertiva, mi appassionava perfino, senza mai stancarmi. Questo primo contatto con la scienza del contrappunto mi aprì di colpo un campo molto più vasto ... queste occupazioni eccitavano la mia immaginazione e il mio desiderio di comporre, gettavano le basi di tutta la mia futura tecnica e mi preparavano solidamente allo studio della forma, dell'orchestrazione e della strumentazione che iniziai più tardi con Rimskij-Korsakov». Frequentando l'Università (si laureerà in giurisprudenza) stringe amicizia con uno dei figli di Rimskij-Korsakov, compositore e insegnante di grande fama. Lo incontra nell'estate del 1902 e gli sottopone alcuni tentativi di composizione. Rimskijj, constatato che la scarsa preparazione teorica non consente a Stravinsky l'accesso al Conservatorio, lo prende come allievo fino al 1908, anno della sua morte. Il lavoro con Rimskijj, grande orchestratore dalla tavolozza ricca di colori fiabeschi, è di grande utilità: è in questo periodo che nascono le prime composizioni, arrivate fino a noi, di Stravinsky, in cui sono già avvertibili alcuni dati fondamentali del suo futuro linguaggio (alcune invenzioni ritmiche, l'uso particolare dei timbri strumentali che si distinguono nell'orchestrazione). Particolarmente interessante di questo periodo, in cui Stravinsky assimila in modo disordinato stili diversi (Richard Strauss, Dukas, Čajkovskij ecc.) è il breve vocalizzo per soprano e pianoforte Pastorale del 1908, che anticipa il linguaggio neoclassico con la sua politonalità (impiego simultaneo di due o più tonalità diverse in una composizione) asciutta e disincantata. Fra le composizioni di questo periodo ve n'è una per orchestra Feux d'artificie ( 1908) in cui si fa già notare l'uso violento del ritmo e degli ottoni. Nel 1908 è presente ad una esecuzione di questo brano il grande coreografo Diaghilev, fondatore dei celebri Balletti Russi. Egli affida a Stravinsky la strumentazione di due brani di Chopin per il balletto Les Silphides e successivamente la composizione di un intero balletto, L'uccello di fuoco, che va in scena a Parigi. con grande successo nel 1909. Inizia così la collaborazione fra il coreografo e il musicista, inserito nello stimolante mondo culturale parigino (sarà amico di Cocteau e Picasso), da cui nasceranno nel 1911 Petruska e nel 1913 Le sacre du Printemps. Rivivono in essi con mentalità moderna, i miti dell'antichità russa e vi si afferma in piena originalità il linguaggio musicale di Stravinsky, con il suo sobrio lirismo e la sua potenza dinamica. A proposito dell'Uccello di fuoco, Vlad scrive: «I temi sono laconici, il discorso musicale si presenta a blocchi squadrati con scultorea potenza; i piani tonali si contrappongono e si urtano nella loro lucente diatonicità; il ritmo tende già ad assumere un autonomo valore discorsivo; alle sintetiche misture di timbri si sostituisce la crudezza dei timbri puri: è come se l'orchestra venisse analizzata in ogni sua componente». In Petruska, nel suo ricco colorismo ritmico, si prefigura il dramma dell'individuo (identif icato nell'umanissimo personaggio del burattino) nella nostra civiltà 2 rimane, si, come essenza dell'arte, ma è ... espressione intrinseca ...». Come Picasso, Stravinsky è un genio «sperimentatore»: qualsiasi linguaggio figurativo musicale essi avvicinino si trasforma in un linguaggio inconfondibile e inimitabile. Le radici russe sono però ancora profonde nelle due opere liriche Le Nozze del 1917 e Mavra del 1922. Opere neoclassiche sono pure i balletti Apollo musagete del 1929 (per orchestra d'archi, basato su astratte figurazioni dalla musica asciutta e scarna). Orpheus del 1947, che si riallaccia al clima del Rinascimento e a Monteverdi e, l'opera-oratorio Oedipus rex del 1927 su testo di Cocteau. Nel 1930 Stravinsky si avvicina a contenuti religiosi e compone la Sinfonia dei Salmi per coro e orchestra, su testi biblici, opera di severità commossa e di ricca monumentalità, ispirata alla musica gregoriana ed orientale. Il balletto Jeu de cartel del 1937 si avvale di diverse fonti musicali :dai valzer a Verdi, Beethoven, Čajkovskij, Ravel a Rossini. Vlad scrive: «La musica di Stravinsky si è svincolata da ogni residua necessità significativa, diretta o indiretta che sia. Essa diventa del tutto libera per abbandonarsi al puro gioco, al puro divertimento. In Jeu de cartel Stravinsky realizza il massimo disimpegno esistenziale». Dopo la Rivoluzione Russa Stravinsky diventa cittadino francese. Nel 1939 si reca per una serie di lezioni negli Stati Uniti, dove sorpreso dalla guerra, si stabilisce, prendendo nel 1945 la cittadinanza americana. Questo trasferimento introduce nella sua ispirazione elementi nuovi. Il suo forzato cosmopolitismo soffoca le antiche radici etniche; egli si impossessa, attraverso la suddetta categoria fondamentale della «parodia», della cultura musicale occidentale del presente e del passato, rivivendola «... in un travaglio di intensa partecipazione personale». Coronamento e capolavoro del periodo «neoclassico» è The rake's progress (La carriera di un libertino) del 1951. Il cammino a ritroso nel tempo, che si sviluppa soprattutto attraverso le opere di ispirazione religiosa, avvicina sempre più Stravinsky alle origini della polifonia e del contrappunto fino ai Fiamminghi e all'Ars Nova e lo porta a una sensazionale svolta che si manifesta nella Cantata per soprano, tenore, coro femminile e piccolo complesso orchestrale del 1952. Mila scrive: «... attraverso queste tendenze arcaiche avviene la più sorprendente delle trasformazioni stravinskyane ... egli si accosta dapprima parzialmente e con certe limitazioni al metodo di composizione dodecafonico (dodecafonia = modello compositivo creato da Schönberg e da lui definito «metodo di composizione con dodici note non imparentate tra loro. La musica si emancipa sia dal concetto della dissonanza che da quelli di un centro tonale) ... con questa ultima trasformazione è riuscito a mantenersi all'avanguardia del movimento contemporaneo, senza rinunciare peraltro alla sua inconfondibile personalità. Questa rimane integra, anche se rinsecchita e quintessenziata nel tempo, con le sue caratteristiche di lucidità e nettezza inesorabile, di sarcastica intelligenza e di assoluta precisione del segno, con un predominio incontrastato della forma sull'espressione». Possiamo quindi def inire Stravinsky come un «rivoluzionario neoclassico» che ha spezzato ogni canone interpretativo che pretendeva di incasellarne la molteplice produzione. Egli ha sperimentato tutte le strade, assimilandole nella sua lucida personalità, in una concezione pessimistica dell'uomo che può trovare salvezza solo nell'esasperazione di un'abilità artigianale portata alla massima perfezione, interpretando perciò le contraddizioni della nostra civiltà tecnologica. Egli scrisse: «Il fenomeno della musica ci è dato al solo scopo di stabilire un ordine nelle cose, ivi compreso, e soprattutto, un ordine fra l'«uomo» e il «tempo». Per essere realizzato esso esige pertanto necessariamente e unicamente una costruzione. Fatta la costruzione, raggiunto l'ordine, tutto è detto. Sarebbe vano cercarvi o aspettarsi altro. È proprio questa costruzione, questo ordine raggiunto che produce in noi un'emozione di un carattere del tutto particolare, che non ha niente in comune con le nostre sensazioni correnti e le nostre reazioni dovute a impressioni della vita quotidiana. Non si potrebbe meglio precisare la sensazione prodotta dalla musica che identificandola con quella prodotta dalla contemplazione delle forme architettoniche. Lo capiva bene Goethe che diceva l'architettura essere una musica pietrificata». Questi ed altri concetti di estetica musicale Stravinsky espresse in alcune pubblicazioni, fra le quali ricordiamo «Chroniques de ma vie» del 1936 e «Poetique musicale» del 1942. L'ultima importante opera della maturità stravinskyana sono i tre madrigali del 1960 Monumento per Gesualdo da Venosa ad CD annum. Pressoché inattivo negli ultimi anni della sua vita, Igor Stravinsky mori a New York il 6 giugno 1971 e volle essere sepolto a Venezia, al San Michele, vicino alla tomba di Diaghilev. Era legato alla città di Venezia da un rapporto «magico» e vi trascorse in varie occasioni lunghi periodi. Nel 1925 eseguì al Teatro La Fenice la Sonata per pianoforte in occasione del Festival della Società internazionale di musica contemporanea. Alla Fenice ebbe luogo la prima della Carriera di un libertino, l'11 settembre 1951 e a San Marco quella del Canticum Sacrum del 13 settembre 1956, entrambe dirette dallo stesso Stravinsky. Tratto da: Guida all’ascolto per studenti di scuola media superiore e università, sale apollinee martedì 7 aprile 1987. ore 16,30, a cura di Laura Cesari, invito all’opera, 1792-1992, El amor Brujo, El Corregidor y la Molinera, La vida breve di Mauel de Falla, L’histoire du Soldat di Igor Stravinskij, Teatro La Fenice. Igor Stravinsky, Venezia 1925 3 Un rito ancestrale di Paolo Petazzi fiasco alla coreografia di Nijinskij, ritenendola inutilmente complicata. Molti anni prima delle Chroniques aveva invece espresso giudizi positivi; ma qui ora interessa la descrizione del suo ideale di coreografia: Nelle Chroniques de ma vie Stravinsky racconta, sulla genesi del Sacre: Mi raffiguravo l'aspetto scenico dell'opera come una serie di movimenti ritmici di estrema semplicità, eseguiti da compatti blocchi umani, d'effetto immediato sullo spettatore, senza minuzie superflue e complicazioni che tradissero lo sforzo. Mentre a San Pietroburgo stavo terminando le ultime pagine dell'Uccello di fuoco, un giorno, in modo assolutamente inatteso, perché il mio spirito era occupato allora in cose del tutto diverse, intravidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito pagano: i vecchi saggi seduti in cerchio che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. Fu il tema del Sacre du printemps. Confesso che questa visione mi impressionò fortemente, tanto che ne parlai subito al pittore Nikolaj Roerich ... A Parigi parlai pure con Diaghilev, che si entusiasmò subito. Igor Stravinsky Nikolaj Roerich Sembra che la coreografia sia stata oggetto di totale incomprensione e abbia avuto un peso determinante nell'insuccesso della serata; ma non è difficile riconoscere anche nella musica caratteri che, al suo primo apparire, potevano suscitare scandalo: nella sua brutale violenza, nello scatenamento di forze selvagge i contemporanei poterono ravvisare lo sconvolgimento di tutti i canoni di bellezza e di gusto tradizionali, tanto da fare del Sacre quasi l'emblema delle avanguardie musicali del tempo. Si parlò di partitura «fauve» per la violenza dei colori, per il massiccio impatto fonico di alcune pagine, e si avvertì come una scossa la prepotente immediatezza con cui irrompeva il gusto per un primitivismo barbarico che nel volgere di qualche anno sarebbe divenuto di moda. Fin dalla prima esecuzione in concerto il Sacre conobbe soltanto successi trionfali. Più dei balletti precedenti il Sacre definisce con matura originalità il carattere del nazionalismo stravinskiano, il vagheggiamento in una dimensione mitica e ancestrale della «vera Russia», mondo arcaico fuori dalla storia, quella «vera Russia» di cui ci parla in una preziosa testimonianza Ferdinand Ramuz, «quella che si vede nascere confusamente e magnificamente carica di impurità nel Sacre» e che poi sarebbe apparsa nel suo volto 'contadino' e 'cristiano' nelle Noces. All'evocazione di questo mito culturale mira dunque il nazionalismo stravinskiano, radicando la propria prospettiva nella cultura del Decadentismo. Stravinsky sostenne di aver citato un solo tema popolare, la celebre melodia lituana intonata all'inizio dal fagotto (piegato ad un esito sonoro dal colore originale: si dice che Saint-Saens fosse rimasto particolarmente sconcertato e irritato perché non aveva riconosciuto il fagotto nelle prime battute). Richard Taruskin ha dimostrato che nella partitura sono invece numerosi i temi o i frammenti motivici che rimandano a fonti popolari, per lo più radicalmente rielaborate, non oggetto di compiaciuta citazione (come era accaduto talvolta nel nazionalismo musicale russo ottocentesco). Non è difficile comprendere le ragioni della significativa dissimulazione di Stravinsky, che manipolò spesso i suoi ricordi in funzione delle esigenze del momento: si preoccupava di porre in ombra le profonde radici nazionali del balletto, in senso musicale e culturale, evitando anche di ricordare il rapporto fra la concezione del Sacre e il mito dell'antichità pagana quale appariva agli occhi degli artisti russi più sensibili e inquieti nel periodo compreso fra la rivoluzione del 1905 e quella del 1917. Negli anni fra le due guerre Stravinsky dissimulava queste radici per proporsi come autore 'europeo' e accreditava una immagine del Sacre nato dal nulla, nascondendo anche i rapporti del suo linguaggio armonico con qualche aspetto della musica di RimskijjKorsakov e il suo uso della scala ottatonica (sottoposta a nuove, più complesse manipolazioni). Naturalmente la comprensione del contesto musicale e culturale in cui il Sacre nacque non toglie nulla alla modernità di questo capolavoro, alla capacità di Stravinsky di reinventare e ricondurre a rigorosa astrazione i materiali folclorici che aveva tenuto presenti, nel soggetto come nella musica. Serge Diaghilev La visione di Stravinsky, l'interesse di Roerich e l'entusiasmo di Diaghilev non erano un fatto isolato nella cultura russa dell'inizio del secolo XX, dove era diffuso il vagheggiamento di un mondo ancestrale, pagano, in cui cercare le radici profonde e autentiche ed una spontaneità primigenia. Gli studi di Richard Taruskin (nei due grandi volumi Stravinsky and the Russian Traditions, 1996, il cui capitolo sul Sacre è stato tradotto in italiano) hanno richiamato l'attenzione su questo contesto culturale, di cui fanno parte anche, tra i poeti familiari a Stravinskij, Balmont, Blok e Sergej Gorodetskij. Una poesia di quest'ultimo, pubblicata in una raccolta del 1906, descrive il sacrificio di una fanciulla ad una antica divinità pagana, e potrebbe aver suggerito a Stravinsky l'idea di concludere con un sacrificio il rito della primavera. Un contributo decisivo alla definizione di molti dettagli del grande rito venne dagli studi etnografici di Nikolaj Roerich, pittore e archeologo (1874-1947), che preparò con Stravinsky la sceneggiatura, valendosi con cura scientifica di fonti autorevoli, e che creò scene e costumi per la prima rappresentazione. Il risultato fu, da molti punti di vista, anche etnograficamente attendibile (se si eccettua la conclusione con il sacrificio umano). La realizzazione del Sacre, progettata fin dal 1910, fu rimandata, perché Stravinsky diede la precedenza a Petruska e cominciò a comporre il suo terzo balletto solo nel 1911, al ritorno in Russia dopo la prima a Parigi di Petruska. La prima rappresentazione del Sacre du printemps, diretta da Pierre Monteux a Parigi il 28 maggio 1913, si risolse in uno dei più celebri scandali della storia della musica. Il compositore attribuì le responsabilità del 4 La stilizzazione compiuta sui vocaboli di un folclore in parte citato e in parte inventato proietta l'assimilazione dei dati della tradizione popolare fuori della storia, a definire con inaudita violenza e con implacabile 'oggettività' una condizione fatale, insieme primordiale ed eterna, fuori del tempo. In questo senso può essere riletta la celebre osservazione di Adorno, là dove parla di sacrificio antiumanistico alla collettività: sacrificio senza tragicità, immolato non all'immagine nascente dell'uomo, ma alla cieca convalida di una condizione che la vittima stessa riconosce. [ ... ]. Non si giunge a nessuna antitesi estetica tra la vittima immolata e la tribù, ma piuttosto la danza di quella porta a compimento la sua identificazione non osteggiata e diretta con questa. [ ... ]. Dell'eletta come essere singolo non si rispecchia nulla nella musica se non il riflesso inconscio e casuale del dolore. La sconvolgente forza del Sacre nasce anche dal modo in cui tutti gli aspetti del linguaggio contribuiscono ad esaltare l'invenzione ritmica. Il gigantesco organico orchestrale è trattato in modo da scatenare sonorità di inaudita violenza: talvolta appare come un mastodontico strumento a percussione e genera pietrificati blocchi sonori. L'invenzione ritmica presenta una ricchezza e intensità senza precedenti nella musica occidentale, tali da suscitare molti decenni dopo l'interesse e l'ammirazione di Pierre Boulez, che al Sacre ha dedicato una famosa analisi. Osserva fra l'altro Boulez: Con Stravinsky la preminenza del ritmo è rivelata dalla riduzione di polifonia e armonia a funzioni subordinate. L'esempio estremo e più caratteristico di questa situazione è dato dalle Danses des adolescentes dove un solo accordo contiene, letteralmente, l'intera invenzione. Ridotta alla sua espressione più semplice l'armonia serve da materiale per un'elaborazione ritmica che viene percepita attraverso gli accenti [ ... ]. Prima di chiederci che accordo stiamo ascoltando avvertiamo l'impulso prodotto da quell'accordo. La Glorifìcation de l'élue o la Danse sacrale, sebbene si presentino in vesti meno semplificate, ci colpiscono all'inizio nello stesso modo; poiché, oltre ai frammenti melodici (che la ripetizione ci consente di afferrare e di neutralizzare con la stessa velocità) ciò che sentiamo è l'impulso ritmico allo stato puro. Boulez parla di frammenti melodici, e anche rispetto alla incisiva brevità delle melodie di Petruska la partitura del Sacre tende a compiere una netta riduzione, puntando su cellule elementari, che a volte sono quasi risucchiate nell'andamento complessivo. Anche per questo i singoli episodi in cui si articolano le due parti del balletto appaiono assai meno individuati dei quadri di Petruska, nel senso che mirano a fondersi in una successione di sezioni strettamente legate: non c'è del resto una vera e propria narrazione nella evocazione del rito ancestrale. Le due parti presentano a grandi linee un percorso simile, dalla calma sospesa dell'inizio, attraverso un alternarsi di contrasti tra zone di quiete ed episodi di crescente tensione, fino al culmine di intensità segnato dalle sezioni finali, dove sembra giungere al limite estremo il progressivo scatenamento di energie. Danza dell'Eletta, disegno di Valentine Hugo 1913 Tratto da: Programma di sala, Stagione Sinfonica 2012-2013, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia 5 ciò «riduceva la danza a un doppione ritmico della musica e ne faceva un'imitazione»); nelle prove Nijinskij ricorreva al rallentamento della musica per poter comporre su di essa i passi: ma ciò li rendeva estremamente complicati e ineseguibili al tempo giusto: procedimento che Stravinsky giudicò semplicemente «incosciente ». [3] Comunque l'inghippo consenti a Stravinsky di perfezionare il suo lavoro, anche perché Nijinskij richiese un numero esorbitante di prove. La partitura fu terminata l'anno successivo, il 29 marzo 1913, e il 29 maggio, presso il Théatre des Champs-Elysées, si svolse la prima rappresentazione; l'orchestra fu diretta da Pierre Monteux, l'interprete principale (la vergine eletta) fu Marie Piltz. Quella serata viene ricordata come uno degli scandali più clamorosi della storia della musica: fin dalle prime battute dell'Introduzione gran parte del pubblico cominciò a manifestare una disapprovazione che, nel corso di tutta l'esecuzione, crebbe progressivamente per divenire una vera e propria «bagarre »; alle urla e agli insulti contro la musica si sommarono le urla e gli insulti di coloro che la difendevano (tra questi c'erano Florent Schmitt e Ravel). Camille Saint-Saens fu tra quelli che abbandonarono infuriati la sala. Nel tumulto non si riusciva a sentire una sola nota dell'orchestra, che continuava a suonare imperterrita. Nijinskij da dietro le quinte urlava strani numeri ai ballerini, che non riuscivano più a tenere il tempo. Diaghilev manovrava le luci nel vano tentativo di far tornare la calma in sala. Intervenne anche la polizia, espellendo i più facinorosi. Di tutto ciò Stravinsky rimase indignato e costernato, mentre Diaghilev si mostrò eccitato e soddisfatto: «Esattamente quello che volevo», fu il suo commento dopo la travagliata esecuzione. Le rappresentazioni successive, a cui Stravinsky non poté assistere per un attacco di febbre tifoide, riscossero un grande successo, sebbene non mancassero le disapprovazioni per un'opera talmente sovversiva. Lo storico del balletto Cyril Beaumont così spiega l'atteggiamento del pubblico: «Coloro i quali erano venuti a teatro sicuri di trovarsi davanti alla grazia piacevole di movimenti leggeri ed eleganti e si ritrovarono immersi invece in un vortice di ritmo, pieno di vitalità e dominante su tutto, costoro lo trovarono quasi spietato, n'ebbero irritato il sistema nervoso a cagione di quel continuo tambureggiare di selvaggi tam-tam e furono alla fine aspramente contrari alla nuova produzione di Nijinskij ... Altri al contrario, anche se perplessi di fronte a quel tentativo di tradurre coi mezzi della coreografia l'animo dell'uomo primitivo, apprezzarono la sincerità del compositore e del coreografo, applaudendo con fervore ». [4] In effetti questa musica, che per Stravinsky doveva rappresentare «la-violenta primavera russa che pareva cominciasse in un'ora e che sconvolgeva tutto », [5] non poteva che sconvolgere anche il pubblico borghese e suscitare in esso violente reazioni. E persino la madre del compositore confessò di non averla fischiata solo perché non ne era capace. [6] I più conservatori parlavano di «massacre du printemps », ma anche musicisti più progressisti, come per esempio Skrjabin, si dichiararono «orripilati ». Puccini e Debussy la criticarono con rispetto e correttezza, mentre Prokofiev e Ravel ne rimasero estasiati. Sta di fatto che La sagra della primavera scardinò sia i tradizionali canoni compositivi sia i fondamenti della fruizione estetica consuetudinaria. A solo due anni di distanza dalla rappresentazione di Petruska, che già pareva essere un'esperienza rivoluzionaria decisiva, Stravinsky seppe andare oltre e proporre modi più radicali e trasgressivi di concepire l'armonia, il ritmo, il timbro strumentale e orchestrale. Innanzitutto il procedimento politonale, che in Petruska appariva solo occasionalmente e motivato più che altro da ragioni scenico-drammatiche (lo sberleffo di Petruska, le intersezioni tra i vari numeri delle scene di piazza), nella Sagra diventa un fattore strutturale costitutivo dell'intera organizzazione compositiva, al pari di quello modale che ne caratterizza l'orizzontalità «La sagra della primavera» di Carlo Migliaccio L'idea originaria della Sagra della primavera era venuta in mente a Stravinsky già nel 1910 a Pietroburgo mentre stava per terminare L'Uccello di fuoco: Un giorno - in modo assolutamente inatteso [ ... ] - intravvidi nella mia immaginazione lo spettacolo di un grande rito sacro pagano: i vecchi saggi, seduti in cerchio, che osservano la danza fino alla morte di una giovinetta che essi sacrificano per rendersi propizio il dio della primavera. [1] Subito ne parlò a Diaghilev che, entusiasta, pensò immediatamente a una realizzazione coreografica, e, d'accordo con lui, si rivolse al pittore Nicolas Roerich, già scenografo de Il principe Igor, esperto di archeologia e di paganesimo. Ma la realizzazione di tale progetto, che Diaghilev pensava già di attuare nella successiva stagione, fu parecchio tormentata. Stravinsky stesso, come abbiamo visto, non si sentiva mai totalmente convinto e sicuro, ritenendo una simile gestazione «lunga e laboriosa». Nel frattempo cominciò a dedicarsi a Petruska, disorientando non poco il suo impresario. Ma appena Petruska fu archiviato, Stravinsky si mise subito a contatto con Roerich, che si trovava a Talaskino, residenza estiva della principessa mecenate Teniseva. Tanta era la fretta di cominciare che, pur di non ritardare il viaggio di due giorni, a causa di un contrattempo ferroviario, Stravinsky riuscì a corrompere un macchinista e accettò di viaggiare in un carro bestiame in compagnia ... di un toro. In una lettera a Diaghilev, Roerich così descrive il soggetto: «Nel balletto La sagra della primavera, così come lo abbiamo concepito io e Stravinsky, il mio scopo è presentare un certo numero di scene che manifestano gioia terrena e trionfo celestiale secondo la sensibilità degli Slavi ... La prima scena deve trasportarci ai piedi di una collina sacra, in una pianura rigogliosa, dove le tribù slave sono riunite per celebrare i riti di primavera. In questa scena c'è una vecchia strega che predice il futuro, un matrimonio dopo un ratto, danze in tondo. Poi viene il momento più solenne. Il vecchio saggio è condotto dal villaggio per imprimere il suo sacro bacio sulla terra che ricomincia a fiorire. Durante questo rito la folla è in preda ad un terrore mistico ... Dopo questo sfogo di gioia terrestre, la seconda scena suscita intorno a noi un mistero celestiale. Giovani vergini danzano in circolo sulla collina sacra, fra rocce incantate; poi scelgono la vittima che vogliono onorare. Immediatamente ella danzerà davanti ai vecchi vestiti di pelli d'orso per mostrare che l'orso era l'antenato dell'uomo. Poi i vecchioni dedicano la vittima al dio Jarilo». [2] Per tutto il 1911 Stravinsky compose molte scene del balletto, oltre alle Due poesie di Bal'mont e alla cantata Le roi des étoiles; ma nonostante il progresso nella composizione, si dovette rimandare l'allestimento a causa di un inghippo non indifferente: la mancanza del coreografo. Fokine infatti aveva quasi interrotto i rapporti con Diaghilev ed era impegnato in altri allestimenti. L'impresario puntò su Nijinskij, del quale da tempo voleva saggiare le doti di maestro di balletto. Si scaricò così su di lui un peso più grande delle sue possibilità, in quanto il lavoro prevedeva una complessità non paragonabile con quella della sua prima coreografia, l'Aprèsmidi d'un faune. Da quanto ci riferisce Stravinsky, alla sua genialità di interprete non corrispose un'uguale maestria coreografica. Innanzitutto non aveva la minima cognizione musicale, neanche delle più semplici nozioni di ritmica. Stravinsky si prodigò pazientemente a insegnargliene i fondamenti, ma senza successo. Inoltre, sempre secondo il compositore, Nijinskij aveva un concetto rudimentale del rapporto musica-danza, basato sulla coordinazione costante della pulsazione ritmica (e 6 melodica. L'accordo ribattuto della «Danza degli adolescenti» è formato dalla sovrapposizione di due accordi distanti un semitono, Mi maggiore e Mi bemolle maggiore; a questo secondo accordo viene aggiunta una settima minore (Re bemolle), fondendo così a livello armonico quella che è la cellula melodica ricorrente del pezzo (Si bemolle - Re bemolle - Mi bemolle). L'accordo, che si trova una battuta prima dell’inizio della « Danza della terra », è costituito dalla sovrapposizione di tre triadi (Do minore, Si minore, La bemolle maggiore) di cui due sono a distanza di semitono. Tale aggregazione potrebbe produrre un effetto di confusione armonica, in quanto sono presenti quasi tutti i suoni della scala cromatica. Ma l'alchimia armonico-timbrica, per la quale gli intervalli ampi sono prevalenti nel registro grave degli archi mentre i piccoli nel registro acuto, fa si che l'accordo si carichi di una profondità misteriosa, come è il rito che sta per evocare. In altri punti (per esempio all'inizio dei «Cerchi misteriosi degli adolescenti») la politonalità fa collimare l'intervallo di semitono non tra le fondamentali dei due accordi, ma tra le medianti, ossia le terze, quegli intervalli che caratterizzano la modalità: per cui la tensione che si crea è ancor più esasperata. Dal punto di vista metrico-ritmico, Stravinsky sembra non concedere più nulla alla regolarità della scansione; e anche quando appare una normale successione di crome in 2/4 (come nella già citata «Danza degli adolescenti») questa viene contraddetta dalla disposizione degli accenti, posti prevalentemente sui tempi deboli. Come in armonia troviamo spesso l'ambiguità tra modo maggiore e minore, nel ritmo troviamo l'ambiguità tra tempo forte e tempo debole, sia quando quest'ultimo viene accentuato, sia quando le successioni di misure binarie e misure ternarie propongono un continuo mutamento di scansione, tale da spiazzare ogni tentativo dell'ascoltatore di cogliere una certa uniformità metrica. Di ciò l'esempio più eclatante si trova nella «Danza sacrale dell'eletta», in cui le battute sono così disposte: 3/16; 2/16; 3/16; 3/16; 2/8; 2/16 ... L'alternanza 3 - 2, pur non essendo regolare, è pressoché costante; in questo modo quello che era un «levare» nella battuta precedente, diviene «battere» nella successiva, e così via. L'audacia di queste frequenti sovrapposizioni raggiunge il culmine in un accordo che Ernest Ansermet giudica «il massimo di tensione armonica che la coscienza musicale possa esprimere». [7] 7 Talora una stessa battuta di ritmo ternario (6/8) viene improvvisamente interpretata, a parità di valori, come binaria (3/4), per esempio alla fine del «Gioco del rapimento». Se tutti questi sfasamenti ritmici inibiscono ogni possibilità di seguire degli schemi regolari, nel contempo l'effetto prodotto non è per nulla artificioso, meccanico e innaturale. E si racconta che persino Stravinsky inizialmente eseguisse al pianoforte questi brani senza rendersi conto dell'effettivo valore metrico. Tutta la partitura sembra generata da un'energia vitale spontanea più che da un vero e proprio progetto programmato. Lo conferma lo stesso compositore: trillo del flauto introduce le «Ronde primaverili », in cui quel motivo pucciniano viene ripreso dall'orchestra in una parossistica pienezza timbrica e politonale, con l'opportuna aggiunta dei pesanti colpi di tam-tam a scandire il tempo. A una frammentaria ripresa del Jeu du rapt e della melodia introduttiva dei clarinetti, segue il «Gioco delle città rivali », basato sul frenetico e violento scontro tra due melodie: quella iniziale di corni e fagotti e quella annunciata timidamente a canone dai legni. Il massimo della tensione si raggiunge quando a questo tumulto si sovrappone, in tonalità diversa, la melodia del «Corteo del saggio », affidata alle tube, alla quale poi tutta l'orchestra si adegua in un assordante insieme sonoro (proprio come i gruppi rivali si aggregano al corteo). Un brevissimo Lento fa da transizione alla «Danza della terra»: nel silenzio generale il saggio dà il via al rito dell'adorazione della terra. Sono quattro semplici battute con pochi strumenti, eppure l'effetto è stupefacente e a stento si riconoscono i singoli timbri: fagotto e controfagotto suonano un pedale sulle note acute (con basso Si bemolle), sul quale si odono dei rintocchi di timpani, controfagotto (sul Fa acuto) e contrabbasso (sul Fa acuto con sordina); a questo strano impasto fa dapendant, agli archi, quello strano accordo politonale in più-che-pianissimo di cui abbiamo parlato in precedenza. A conclusione della prima parte abbiamo la «Danza della terra», in cui la sfrenatezza ritmica prevale su qualsiasi connotazione melodica e armonica. È la danza che preannuncia la danza mortale dell'eletta. Non seguii nessun sistema particolare nella composizione del Sacre du printemps. ( ... ) Mi era di aiuto il solo orecchio. Sentivo e scrivevo ciò che sentivo. [8] Anche dal punto di vista timbrico le innovazioni sono rilevanti: l'orchestra impiegata è mastodontica, nonostante le iniziali titubanze di Diaghilev a concederla. Sono previsti fra l'altro ben otto corni, il flauto in Sol, due tube tenori, una massiccia sezione di percussioni. L'impiego di questa imponente massa orchestrale, spesso sfruttata nella sua totalità e in più-che-fortissimo, è però di tipo radicalmente antiromantico e antiimpressionista: per la funzione melodica vengono preferiti i legni e gli ottoni agli archi; questi ultimi vengono impiegati spesso in modo percussivo, con arcate brevi e secche su note ribattute, o addirittura percuotendo le corde con il legno dell'archetto. Anche i singoli strumenti vengono usati in senso del tutto antitradizionale, non senza difficoltà per gli esecutori: il fagotto nel registro acuto, il flauto nel grave, note tenute sugli armonici, ecc. Gli impasti sono inusuali, talora stridenti, in opposizione al flou impressionista. Anche in questo caso l'intento è di far risultare un timbro scabro e selvaggio, lontano dalle abitudini del nostro orecchio e della nostra cultura. La seconda parte riguarda «Il sacrificio », momento culminante di tutto il rito tribale. L'Introduzione presagisce e anticipa il senso di morte e di mistero che avvolge tale rito. Lo avvertiamo, oltre che nelle inusuali combinazioni timbriche, soprattutto in quella amorfa melodia oscillante tra Si bemolle, Do bemolle e Do naturale che due trombe fanno risuonare con sordina, come da una lontananza remota. I «Cerchi misteriosi degli adolescenti», formati per scegliere la destinata al sacrificio, sono costituiti da una successione di melodie distese e cantabili, che dànno appunto l'idea dell'innocenza adolescenziale. Tra queste melodie si insinua, sul tremolo dei violini, la sinistra successione melodica dell'Introduzione, come una minaccia che incombe. Il crescendo ed accelerando conclusivo coincide con la separazione dal gruppo degli adolescenti della vergine, che viene subito coinvolta nella «Glorificazione dell'eletta», basata sullo squillo acuto dei flauti, già anticipato nella «Danza della terra», e sull'immediata risposta dell'orchestra con tre note discendenti. Dopo 1'« Evocazione degli anziani» e 1'« Azione rituale degli anziani» (in cui singolare è il duetto tra corno inglese e flauto in Sol) si arriva alla conclusiva «Danza sacrale - L'eletta»: è il pezzo che più caratterizza l'intero balletto. Formalmente è diviso in cinque parti (A- B - A - C - A (Coda)) individuate ciascuna da diverse componenti ritmiche: A = successione di battute binarie e ternarie (di cui abbiamo parlato sopra); B = ritmo più calmo e regolare, inframmezzato da una nervosa quintina discendente; C = percussioni concertanti. Ciò che prevale è l'elemento percussivo, mentre quello melodico viene inesorabilmente sopraffatto da un'orgia di suoni e di scansioni, proprio come la vergine eletta viene sopraffatta dal sempre crescente ed esaltato entusiasmo mistico della tribù. E, alla fine, la povera fanciulla esala l'ultimo respiro in un arpeggio rapido ascendente acutissimo (e in più-che-fortissimo) di ottavini, flauti, violini e viole: è questa la perfetta resa sonora dell'anima che abbandona il corpo, coerentemente con le concezioni arcaiche dell'anima come «soffio vitale» che, all'ultimo respiro, abbandona il cadavere sfuggendo dalla bocca. [10] La sagra della primavera, «Quadri della Russia pagana» come sottotitolo, non ha un vero e proprio svolgimento drammatico. Si divide in due parti: «L'adorazione della terra» e «Il sacrificio». La prima parte inizia con un a- solo del fagotto nel registro acuto. La melodia è un canto lituano, unico canto originale folklorico di tutto il pezzo; il sapore arcaico di questa Introduzione è dato, oltre che dal timbro, anche dall'irregolarità metrica della melodia e dal contrappunto dissonante degli altri strumenti che, a poco a poco, si aggiungono al fagotto: rispettivamente corno, clarinetti, corno inglese, oboi, violini, flauti, fino alla piena orchestra, riprendendo frammenti del canto lituano e aggiungendo in sovrapposizione nuovi incisi melodici; dice Stravinsky: Era nelle mie intenzioni che il Preludio dovesse rappresentare il risveglio della natura, lo stridere, il rosicchiare, il dimenarsi di uccelli e bestie. [9] Alla fine di questo Preludio tace di colpo l'intera orchestra, lasciando solo il fagotto a terminare la sua melopea. Il pizzicato dei violini introduce quell'elemento melodico (Si bemolle - Re bemolle - Mi bemolle) che, come un meccanismo d'orologeria, costituisce la base del primo quadro: «Gli auguri primaverili - Danza degli adolescenti». Sull'ostinato ritmico stabilito dagli archi vengono esposti tre temi abbastanza regolari, il primo inizialmente affidato ai fagotti e poi ripreso a canone, il secondo introdotto dai corni, il terzo, che anticipa le «Ronde primaverili », dalle trombe. È questo un motivo che Stravinsky paragona a «Tu che di gel sei cinta», l'aria di Liu della Turandot di Puccini. Un possente crescendo orchestrale porta al secondo quadro, «Il gioco del rapimento », un pezzo di virtuosismo orchestrale e di grande effetto sonoro. Un tema dei clarinetti sul 8 Anche l'argomento quindi, al pari delle innumerevoli trasgressioni musicali, rappresenta qualcosa di estremamente distante dalla mentalità e dalla morale corrente: il sacrificio crudele di un'adolescente che offre la sua giovinezza alla natura e alla primavera. Già con questa scelta Stravinsky scandalizzò non solo il pubblico della belle-époque parigina di inizio-secolo, ma anche tutta una società e una cultura che in quegli anni era in procinto di compiere un ben più crudele sacrificio di vite umane. A un mondo, quello tardoborghese, giunto al suo epilogo, Stravinsky propone il suo inizio, il mondo arcaico e primitivo, gli antipodi del progresso e della sua tragica acme, quasi per porre la società e la cultura di fronte alla propria cattiva coscienza. La sua provocazione coinvolge degli strati molto profondi di un inconscio collettivo che l'esteriorità dei gusti musicali e della morale intendono rimuovere. E il suo atteggiamento è nel contempo impassibile e disinteressato, scevro di ogni palese presa di posizione di carattere etico: la Sagra è il primo esempio di quella fredda oggettività, tipica della musica stravinskiana successiva, tema di tante discussioni e di tanti malintesi ideologici. [11] NOTE [1] I. Stravinsky, Cronache della mia vita, cit., p. 32. [2] Citato in E. W. White, Stravinsky, trad. di Maurizio Papini, Milano 1983", p. 243. [3] I. Stravinsky, Cronache della mia vita, cit., p. 48. [4] Citato in White, cit., pp. 45-46. 5 Ib., p. 46. [5] Ib. p. 46 [6] Ib. [7] E. Ansermet, Les fondaments de la musique dans la conscience humaine, Neuchatel 1962, citato in White, cit., p. 246. [8] IGOR Stravinsky - R. Craft, Colloqui ... , cit., p. 336. [9] Ib., p. 331. [10] Simili descrizioni della morte sono frequenti nei poemi omerici. [11] Cfr. T. W. Adorno, Filosofia della musica moderna, trad. di Giacomo Manzoni, Torino 1975. [12] I. Stravinsky - R. Craft, Colloqui ... , cit., p. 123. [13] Cfr. ib. pp. 77 (sulla metrica), 86 (su Dallapiccola) e 170 (su Varèse). [14] Cfr. J. Cocteau, Le Coq et l'Arlequin, Ed. de la Sirène, Paris 1918. [15] Cfr. P. Boulez, Schonberg è morto (1952), in Relevés d'apprenti, Parigi 1966 (Note di apprendistato, trad. di Luigi Bonino Savarino, Torino 1968). La risonanza, nel bene e nel male, della Sagra della primavera cominciò come abbiam visto fin dall'esecuzione della prima nota dell'opera; ma in ogni caso ci si rese conto di trovarsi di fronte a un'opera straordinaria, e come tale fu considerata a livello interpretativo: molti tra i migliori direttori d'orchestra, da Ansermet in poi, hanno alloro attivo un'esecuzione della Sagra, che per le sue precipue difficoltà ritmiche inaugura quello che è un vero e proprio virtuosismo direttoriale. La coreografia di Nijinskij, per quanto geniale, fu subito archiviata per le difficoltà di realizzazione, mentre nel 1920 Diaghilev incaricò il giovanissimo Léonide Massine per una nuova, che lo stesso Stravinsky ritenne «eccellente », «incomparabilmente più chiara di quella di Nijinskij». [12] Altri grandi coreografi si sono cimentati nel riscrivere il capolavoro stravinskiano, tra cui Pina Bausch, che ne ha fatto una versione espressionisticamente drammatica, con gesti intensi, marcati, fortemente interiorizzati, con un serio impegno-di aderenza alla musica. Nel 1959 Maurice Béjart non ha risparmiato neanche la Sagra dalle sue estrose e personali reinvenzioni: il coreografo francese ha eliminato quello che era l'aspetto essenziale dell'originale stravinskiano nijinskijano, l'elemento archeologico e barbarico, per sostituirvi una ottimistica apoteosi della vita e dell'amore, in cui i tipici ritmi, aggressivi e crudeli, vengono banalmente interpretati come sensuali pulsazioni corporee: una realizzazione di grande originalità ed efficacia spettacolare, ma che si sarebbe forse meglio attagliata a un altro tipo di musica. Infine accenniamo alle influenze che la Sagra ha apportato alla musica contemporanea, influenze che lo stesso Stravinsky ha avuto più volte occasione di rilevare: [13]le prime avanguardie, e non solo quelle musicali, [14] ne hanno recepito lo spirito trasgressivo e antiborghese. D'altro lato le avanguardie post-weberniane hanno isolato alcuni elementi innovativi, come le irregolarità metriche e le sperimentazioni timbriche, concordando solo in parte con la stigmatizzazione ideologica di Adorno. Significativa è la posizione di Pierre Boulez, il quale, soprattutto in opere come Marteau sans maitre (1954) e la Seconda Sonata (1948), nonché nei suoi scritti teorici, ha rivalutato il vitalismo della Sagra all'interno di un ambito teorico strutturalistico, giungendo persino a rinnegare il padre del rigorismo dodecafonico novecentesco, Arnold Schoenberg, e capovolgendo così la concezione dualistica di Adorno. [15] Ciò infine dimostra che dal punto di vista o coreografico, o musicale, o filosofico le interpretazioni di un'opera possono essere le più svariate, talora totalmente opposte: è il destino questo degli autentici capolavori. Tratto da: I balletti di Igor Stravinsky, Carlo Migliaccio, Cicli musicali, Mursia 1992 9 Vaclav Nijinskij, biografia che portava i suoi ferventi adoratori a considerare ogni suo nuovo ruolo come un'ulteriore manifestazione di genialità. Secondo una delle più autorevoli biografe di Nijinskij, Vera Krasovskaja, la sua interpretazione di Albrecht in Giselle meglio di ogni altra parte esprimeva la sensazione di un eroe vinto, nella sua solitudine. Secondo altri, compresa Anna Pavlova che lo chiamava "il cagnolino di Diaghilev", Nijinskij espresse il meglio di sé in Petruska, Tyl Eulenspiegel e come Schiavo d'oro in Shéhérazade. È fuor di dubbio che Nijinskij fu un danzatore inclassificabile. Le sue gambe corte e muscolose, così come il suo volto orientale e la bocca femminile, lo rendevano inadatto ai ruoli di eroe romantico. Figlio dei ballerini polacchi Thomas Nijinskij ed Eleonora Bereda, Vaclav crebbe allevato dalla madre che nel 1898 lo fece entrare alla Scuola Teatrale Imperiale. Studiò nelle classi dei fratelli Legat, si guadagnò la borsa di studio Didelot, passò poi alla classe di Michail Obuchov e divenne presto l'argomento del giorno di Pietroburgo quando, nel 1906, con Vera Trefilova in alternanza con Anna Pavlova danzò nel divertissement del Don Giovanni di Mozart. L'anno successivo brillò nello spettacolo di fine corso nel Volo della farfalla di Fokine. Ancora prima che entrasse nella compagnia del Mariinskij, Obuchov mostrò in più occasioni il suo prestigioso allievo in vari passi a due e passi a quattro, mentre un critico già lodava «il suo salto enorme, il suo straordinario ballon col quale sembra volare in aria come un uccello». Nel maggio del 1907 Nijinskij entra al Mariinskij come solista. Il suo modo di accompagnare la partner nella danza con forza ed esuberanza gli guadagna la simpatia delle principali ballerine come Lidija Kjast, Tamara Karsavina, Julija Sedova. Alla fine della stagione ebbe il ruolo di Colin nella Fille mal gardée e del principe nel Principe giardiniere con Matilda Ksesinskaja, entusiasmando i critici per i suoi entrechats huit e per il suo ballon. Sulla base delle recensioni, all'inizio della sua carriera Nijinskij sembra impressionare i critici più per la sua tecnica brillante che per la teatralità dell'interpretazione. Nel novembre del 1907 conquistò i ballettomani di Pietroburgo con i suoi brisés volés nell'Uccello azzurro dalla Bella addormentata. Doveva essere questo il primo ruolo in cui l'approccio innovativo e rivoluzionario del diciottenne Nijinskij appariva evidente. Bronislava Nijinska racconta questa interpretazione descrivendola come uno dei momenti più importanti della storia del balletto: «Le sue ali da uccello facevano parte del suo corpo ... il movimento del suo corpo era quello di un uccello in volo ... ». Ancora la Nijinska è l'unica fra i contemporanei che analizza con profondità il nuovo stile di danzare del fratello che sarebbe diventato un tratto fondamentale del balletto classico del XX secolo: «Era impossibile cogliere il momento in cui terminava un passo per incominciare quello successivo. Tutta la preparazione veniva concentrata nel tempo più breve possibile proprio nel momento in cui il piede toccava il palcoscenico ... Dopo ogni entrechat sembrava che neppure scendesse a toccare terra, era un glissando continuo in cui tutti gli entrechats si mescolavano insieme in un volo verso l'alto». Dal novembre del 1907 al marzo del 1908 Fokine fece in modo di far provare a Nijinsky due nuovi ruoli: lo Schiavo bianco nel Padiglione di Armida e lo Schiavo nero nelle Notti egiziane (che sarebbe poi diventato Cleopatra). Curiosamente questi due ruoli, con cui Nijinskij avrebbe entusiasmato il pubblico parigino nel 1909, passarono inosservati in Russia. Forse questa abilità di Nijinskij di investire i ruoli delle sue fantasie sensuali era ancora sopita, oppure il Balletto Imperiale, con il suo ideale di asessualità, può avere respinto questo aspetto. Sulla scena del Mariinskij era considerato soprattutto un Nijinskij è una figura leggendaria del balletto russo: quello che la critica ha scritto su di lui riempirebbe un volume enorme. La sua vita e i suoi successi sono stati divulgati con profusione di dettagli così come la sua complessa relazione con Serge Diaghilev la cui intuizione e il cui fiuto guidarono il genio di Nijinskij. Penne di centinaia di critici e storici hanno descritto i suoi leggendari spett acoli. Ci sono continui tentativi di ricostruire le sue coreograf ie considerandole una manifestazione del suo genio; per quanto argomenti contrari siano stati avanzati da coloro che hanno avuto ruoli di rilievo nei Ballets Russes. Ironicamente questa valanga di scritti, critiche, tentativi di ricostruzioni ha reso semplicemente più sfuggente la figura di Nijinskij. Anche la sua data di nascita resta controversa: il suo certificato di nascita lo fa nascere a Kiev il 7 dicembre del 1889, ma la sorella Bronislava sostiene che Vaclav era nato il 28 febbraio del 1889. Tutta la sua vita, la gloria fulgente, la breve carriera, la follia avrebbero potuto costituire materia di un Stravinsky e Nijinskij dopo una rappresentazione di Petruska romantico melodramma alla Dumas. E proprio il melodramma è il tono dominante della biografia scritta dalla moglie Romola pubblicata nel 1933, Gli ultimi giorni di Nijinskij. Una interpretazione che attribuisce la follia del danzatore alla vendetta di Diaghilev e dei circoli omosessuali la cui potenza la scrittrice paragona a quella del Vaticano. Un tono melodrammatico che ritorna anche nella biografia scritta da Richard Buckle nel 1971. Al di là dei particolari fioriti dalla leggenda, tuttavia, testimonianze come quella di Fedor Lopuchov, che ricorda il suo compagno di classe come un ritardato mentale, un emotivo incapace di far di conto, non sono lontane dalla realtà. Confermate dai ricordi di personaggi famosi come Misia Sert che lo etichettò come un "geniale idiota". Immagine che non concordava con certi giudizi della critica che lo definivano un "vulcano di sensualità" o un "corpo irresistibile". Con la sua elettrizzante plasticità Nijinskij evocava sulla scena visioni d'inarrestabile passione, languido desiderio e ambivalenza sessuale. Il possente impatto della sua danza poetica creava un'atmosfera di soggezione e incredulità 10 impeccabile virtuoso. Soltanto alla luce dell'atmosfera stimolante delle saisons di Diaghilev il talento di Nijinskij avrebbe potuto brillare in tutto il suo splendore. La fonte subconscia che nutriva la creatività di Nijinskij era tanto irripetibile quanto morbosa. Venti anni dopo il suo ultimo spettacolo, in una rivelatoria introduzione al Diario di Nijinskij lo psicanalista Alfred Adler attribuì la schizofrenia del danzatore sia alla sua tendenza dominante a sfuggire la realtà sia al suo indulgere sulla vanità frustrata e sui suoi sentimenti di inferiorità. Come antidoto a una realtà spiacevole Nijinskij si rifugiava nel mondo immaginario della scena. Alexandre Benois sottolinea l'attenzione accanita con cui Nijinskij si vestiva per la scena: «Indossato il costume incominciava a diventare un'altra persona, quella che osservava nello specchio. Si reincarnava ed entrava completamente in questa sua nuova esistenza». La collaborazione con Fokine nel 1907 fece da elemento catalizzatore nello sviluppo artistico di Nijinskij. Due aspetti delle coreografie di Fokine sembravano aver colpito l'immaginazione di Nijinskij: la libertà dai rigidi schemi accademici e la ricchezza visiva che lo induceva a sentirsi parte di un complesso mondo immaginario. Nei ruoli di schiavo nel Padiglione di Armida nelle Notti egiziane Nijinskij colpì Diaghilev che subito comprese la natura del talento del danzatore: la capacità di caricare la perfezione tecnica di sensualità. I due schiavi sarebbero stati i primi di tutta una serie di interpretazioni, creature sottomesse, ma percorse da tempeste psicologiche, dipendenti dal capriccio di un'altra persona, creature delle quali Petruska sarebbe stato l'esempio più tragico. Chopiniana, la reverie di Fokine che ebbe la prima nel marzo 1908, avrebbe animato un altro lato dell'immaginazione di Nijinskij: la sua aspirazione a un amore puro e ideale, quello spiritualismo che lo avrebbe portato all'infatuazione per la filosofia francescana di Tolstoj e all'odio per la "demoniaca sensualità" e il bigottismo di Diaghilev. Nel maggio del 1909 Nijinskij ammutolì il pubblico parigino dello Chatelet con il suo inarrivabile virtuosismo nel Padiglione di Armida, che ricordava le leggendarie imprese di Vestris. Nel passo a due dell'Uccello azzurro dalla Bella addormentata (ribattezzato L’oiseau de feu) mostrò di nuovo le meraviglie della sua elevazione che gli guadagnò la reputazione di "angelo volante". La società parigina raffinata e snob fu impressionata dall'ambigua sensualità di Nijinskij. La cosa che colpiva di più, secondo quanto mi disse Elizaveta Timeh (attrice famosa, la prima Cleopatra di Fokine), era il fatto che «in nessun modo aveva un aspetto effemminato. Al contrario il suo corpo robusto dal collo possente e dalle gambe muscolose faceva pensare a una potenza sessuale che nella vita di tutti i giorni si mormorava non avesse». Durante la prima stagione parigina le recensioni erano colme di fantasiose immagini che paragonavano Nijinskij a una pantera, a una lince, a una tigre. Aveva conquistato il pubblico in un modo viscerale, con l'immaginazione e con il subconscio, un potere incredibile del quale probabilmente neppure Nijinskij era consapevole: divenne la prima superstar della danza. Stranamente, dopo il suo ritorno a Pietroburgo, Nijinskij sembrò perdere tutto il suo glamour di nuovo Vestris. Depresso e confuso, era profondamente urtato dall'atteggiamento della direzione del Mariinskij che vedeva di cattivo occhio la sua storia con Diaghilev e cercava di punire il favorito dell'impresario. Enfant prodige a Parigi, qui non aveva altri vantaggi di quelli di un membro del corpo di ballo e ciò che gli offrì il teatro non fu altro che ruoli sclerotizzati in vecchi balletti. Ma dopo Parigi appariva impacciato, secondo alcuni critici, nella routine dei teatri imperiali. Nella primavera del 1910 sembrò rinascere durante le prove dei ruoli pensati da Fokine per la nuova stagione parigina: Arlecchino in Carnaval, lo Schiavo d'oro in Shéhérazade. Era previsto anche che avrebbe danzato Albrecht in Giselle e due ruoli miniatura nel divertissement Les orientales (basato su musica di Grieg e Sinding) che fu dato in prima a Pietroburgo nel febbraio del 1910. La seconda stagione parigina pose l'accento sulla capacità di Nijinskij di trasmettere non tanto le caratteristiche di singoli personaggi, quanto stati d'animo non completamente determinati di questi personaggi: per esempio il sognante sonnambulismo nelle Silfidi, l'animalesca forza della natura in Shéhérazade. Come notava il critico Svetlov, tornato in Russia da Parigi, che cosa avrebbe riservato il Mariinskij a un Nijinskij lodato e osannato dalla critica in Occidente, se non un repertorio vecchio e mummificato? Cavalieri senza significato utili soltanto a fare da porteur alle prime ballerine? E infatti Nijinskij ritardava il suo rientro per l'inizio della stagione del 1910 al Mariinskij, tanto che il teatro gli sospese lo stipendio. Tornò soltanto nel gennaio del 1911, e fu per l'ultima volta, sul palcoscenico del Teatro Imperiale. Il suo Albrecht, in Giselle, provocò uno scandalo. La severa zarina madre Maria Fedorovna, la cui pruderie vittoriana era pari soltanto all'ignoranza, si alzò indignata alla vista della calzamaglia gialla di Nijinskij, sulla quale non aveva indossato i calzoncini corti del costume. Il rifiuto di indossare il costume gli costò il licenziamento, che egli commentò con un'amara riflessione sul pubblico russo per il quale «i teatri erano semplicemente osterie senza nessun riguardo per i loro veri scopi artistici». La carriera di Nijinskij a Pietroburgo durò soltanto tre anni. La rottura col Mariinskij lo legò sempre di più all'impresa di Diaghilev dal quale si trovò a dipendere in maniera totale. La separazione dalla madre, il trovarsi a vivere in un luogo alieno, sotto il controllo vigile di Diaghilev, e il fardello della sua sempre maggiore celebrità aumentarono vieppiù la sua natura introversa. Mentre si faceva sempre meno socievole, sfogava sulla scena La danza siamese, in Les orientales, 1909 11 tutt a la f or za, la sua sofferenza interiore. Per la terza stagione dei Ballets Russes (1911) Fokine creò per lui tre nuovi grandi ruoli in Narciso, Le spectre de la rose, Petruska. Con Petruska Fokine realizzò quasi una malevola psicoanalisi. Il ruolo, senza dubbio, era costruito con un occhio attento al bizzarro modo di comportarsi di Nijinskij fuori dalla scena: gesti meccanici, modi legnosi, volto impassibile. Inoltre il legame fra Petruska e il Mago ricordava troppo da vicino quello fra Nijinskij e Diaghilev. Il suo rancore represso, la sua autocommiserazione, tutti aspetti di un'anima intrappolata, venivano a galla e colpivano il pubblico con la forza del loro dolore. L'esperimento di Fokine ebbe successo. In Petruska Nijinskij mise in luce tutti i Petruska, 1911 diversi aspetti della sua genialità. Così la sorella descrisse l'interpretazione del fratello: «Quando Nijinskij balla, il suo corpo rimane quello di una marionetta, soltanto i suoi tragici occhi riflettono le sue emozioni: brucianti di passione o pieni di dolore». Si può appena immaginare l'impatto di Nijinsky in Petruska. Il complesso equilibrio fra sbalorditivo virtuosismo e aspetto impassibile dovevano avere un effetto surreale. Un aspetto completamente diverso della personalità di Nijinsky si metteva in luce in Le spectre de la rose. Spectre era una potente metafora dell'ambivalenza sessuale: un fiore rappresentato dal corpo atletico di un giovane. Il corpo muscoloso ma androgino di Nijinskij volava nell'aria, impersonando il potere inebriante del profumo o, in un senso più ampio, il vago desiderio di appagamento sessuale della fanciulla. Ma a parte queste implicazioni sessuali, la danza di Nijinskij, come ha scritto Edwin Denby, «sembrava irradiare un potere di misteriosa sicurezza, di calma come lo sono le rose fiorite in estate ... Per Nijinskij in questo balletto i salti e la danza erano il movimento di un'unica linea fluttuante, più veloce o più lenta, più leggera o più pesante ... senza rotture e senza sforzi. Non importava quanto alti fossero i suoi salti, ma l'armonia che emergeva da tutto il suo modo di ballare». Sin dal novembre del 1910 Nijinskij aveva incominciato a lavorare sul suo balletto L'aprèsmidi d'un Faune che diede il via alla sua breve e controversa carriera di coreografo, un tentativo di asserire la propria indipendenza da Diaghilev. È impossibile oggi giudicare il talento di Nijinskij come coreografo perché dei suoi quattro balletti Faune (1912), Jeux (1913), La sagra della primavera (1913) e Tyl Eulenspiegel (1916) soltanto il Faune ci è giunto nella sua forma originale. Gli altri sono andati persi a causa delle audaci innovazioni coreografiche di Nijinsky che si allontanavano troppo dai canoni estetici del tempo, oppure perché, come pura manifestazione della sua personalità, potevano vivere soltanto con l'immediata partecipazione del creatore. Inoltre, dopo la separazione, Diaghilev non fece nulla per mantenere in repertorio i balletti. I balletti originali di Nijinskij, prima di tutto La sagra della primavera e poi Jeux e Tyl Eulenspiegel sono tornati a vivere nella versione più o meno originale grazie al tenace lavoro di ricostruzione di due studiosi, Millcent Hodson e Kenneth Archer. Le memorie della sorella Bronislava sfatano la leggenda secondo cui Diaghilev era l'anima ispiratrice di queste creazioni di Nijinskij. Secondo Bronislava il giovane incominciò a lavorare sul Fauno nel 1909 e, dopo novanta prove, completò il suo balletto di dieci minuti nel 1912. Si trattava di un esperimento personale e iconoclastico che sfidava anche il credo estetico di Diaghilev. Le brame sessuali di una creatura bestiale e umana insieme riprendevano il leitmotiv dell'istinto primitivo e della passione animalesca già dipinti da Nijinskij nello Schiavo d'oro o in Narciso. Ma la novità, rispetto ai lavori di Fokine, stava nella espressività statica. Secondo quanto ricorda la sorella, Nijinskij intendeva risalire dai modelli della Grecia classica usati da Fokine a quelli dei bassorilievi statici della Grecia arcaica. E curiosamente non faceva ricorso al suo virtuosismo di danzatore. Anzi, la sua coreografia era del tutto priva di passi di danza e inoltre non si sviluppava come un semplice parallelo descrittivo o supplemento visivo della musica. Al contrario la discrepanza fra l'onda fluida della musica e l'enfasi dei gesti animaleschi con testa, mani, braccia, gambe e piedi di profilo e il torso di faccia era di grande audacia. Alla prima solamente lo scultore Rodin si rese conto della novità rivoluzionaria che il balletto di Nijinskij rappresentava. Ironicamente Diaghilev disapprovò il Faune, anche se dieci anni dopo avrebbe condotto la sua compagnia nella direzione delle intuizioni coreografiche di Nijinskij. Questa sfida di indipendenza artistica segnava l'inizio della rottura fra Nijinskij e Diaghilev, come annotò la sorella. Nel 1913 Nijinskij realizzò due nuovi balletti, Jeux e La sagra della primavera, la cui audacia fu causa della più aspra bagarre critica nella storia della danza. In entrambi i casi Nijinskij cercò di realizzare un balletto in cui la trama avrebbe dovuto essere, secondo le sue parole, «universale o inesistente». Nijinskij definì Jeux «una apologia in forme plastiche per un uomo del 1913»; in questo modo giustificava il suo scopo. Ma l'insieme di movimenti staccati e angolari era in continua discrepanza con la musica melodiosa e impressionista di Debussy. La coreografia faceva leva sul richiamo cinetico dei movimenti come loro unico scopo e il loro impatto era tale da andare oltre il contenuto del balletto, addirittura annullandolo. In realtà il progetto di coreografia di Nijinskij presagiva già lo slittamento del balletto moderno dal contenuto narrativo verso forme coreografiche indipendenti. Nella Sagra della primavera Nijinskij si portò ancora più avanti. Il libretto faceva riferimento ai riti della Russia pagana, e la musica d'avanguardia di Stravinsky consentiva al coreografo di realizzare il suo progetto iconoclastico che si allontanava drasticamente dalle forme di danza tradizionali, creando un vero e proprio nuovo vocabolario. Un 12 tentativo, il suo, ancora più difficile in quanto, contrariamente a Jeux, nella Sagra cercava un equilibrio fra musica e danza. La coreografia di Nijinskij era basata su posizioni en dedans dei piedi, pugni stretti, contrazioni del busto e pesanti camminate con le ginocchia ripiegate: in sostanza rigettava i principi della simmetria classica che erano la base della coreografia di Petipa e Fokine e in qualche modo anticipava la rivoluzione della danza moderna della Graham. Nel suo famoso articolo sulla Sagra, Jacques Rivière scrisse che «rompendo il movimento e tornando alla semplicità del gesto Nijinskij ha ridato espressività alla danza ... Fa parlare il corpo stesso. Questo si muove come un tutt'uno; il suo eloquio si esprime con improvvisi salti a braccia e gambe aperte ... È un balletto biologico, non è solamente la danza dell'uomo primitivo, è la danza prima dell'uomo». L'improvvisa decisione di Nijinskij di sposare Romola De Pulszky a Buenos Aires nel 1913 causò la rottura con Diaghilev. Il ballerino, che aveva ventiquattro anni, pagò un prezzo molto alto per la propria indipendenza, trovandosi all'improvviso carico di responsabilità: la carriera, la moglie incinta, la madre vecchia e il fratello malato di mente da mantenere a Pietroburgo. Tutte le sue insicurezze, il suo complesso di inferiorità, l'incapacità di prendere decisioni vennero a galla. Organizzò una compagnia con la sorella Bronislava, ma la prima tournée a Londra nel marzo del 1914 fu un fiasco. Con lo scoppiare della guerra fu bloccato a Budapest insieme alla moglie e alla figlia Kyra. Questo isolamento sino al 1916 può avere contribuito a distruggere il suo equilibrio interno. Una tregua temporanea con Diaghilev lo portò al Metropolitan di New York nell'aprile del 1916 per Petruska e Le spectre de la rose che danzò con un successo che aumentò ancora di più nell'ottobre con la prima del suo ultimo balletto di diciotto minuti Tyl Eulenspiegel, costruito come una commedia rablaisiana di maschere. Foto di scena, Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, 1913 La storia successiva di Nijinskij registra ancora il tentativo di realizzare un balletto astratto sulla musica di Bach, il suo ritorno in Petruska e Spectre il 26 settembre del 1917. Nel 1919 si esibì ancora in Svizzera di fronte a un pubblico ristretto in un balletto antimilitarista. Il resto, sino alla morte, l'11 aprile del 1950, non appartiene più alla storia della danza, ma ai rapporti psichiatrici. Molta nuova luce sulla follia di Nijinskij è stata fatta negli studi e nelle ricerche condotte nella seconda metà del Novecento e uno squarcio sulla sua vita è stato aperto dalla nuova pubblicazione dei diari del danzatore senza i pesanti interventi censori apportati dalla moglie nella prima edizione. Tratto da: I grandi danzatori russi, Gennady Smakov, a cura di Sergio Trombetta, Gremese Editore 2004 Foto di scena, Théâtre des Champs-Elysées di Parigi, 1913 13 Quelle opere, in nuove vesti orchestrali e coreografiche, sono rimaste e rimarranno perché valide, ispirate, belle sia ai fini della pura audizione come a quelli della visività. Oggi si assiste ancora al caso frequente di altrettanto illustri commissioni: Luigi Dallapiccola compone per Milloss Marsia e Hans Werner Henze Ondine per il Royal Ballet. Altre volte una partitura offre lo spunto, il pretesto per un balletto, come Diaghilev si servì di musiche non scritte espressamente per la danza e che si rivelarono adatte in modo sorprendente all'uso che egli ne fece o meglio che ne fecero i suoi coreografi. Bisogna dire, a questo proposito, che già Isadora Duncan adoperò isolatamente grandi musiche del passato, sinfoniche o cosiddette classiche per le sue visioni danzate. L'esempio così romanticamente esaltante della Duncan, con tutto il decadentismo che comportava, non passò senza lasciare traccia. Il dubbio mondo greco che ella volle risuscitare lo rianimò pure Fokinee, in altra maniera, con Dafni e Cloe ed egli confessò quel movente ispiratore. Nulla avviene a caso in arte, senza preparazione; vi è sempre il frutto di un divenire, di un processo evolutivo, di assimilazioni vicine e lontane che si perdono e che solo vagamente si riescono ad individuare. Diaghilev sentì che bisognava rompere definitivamente con il balletto logoro e stanco del tardo romanticismo, con il suo bagaglio stereotipato nella musica, nella figurazione danzata, nelle scene e nei costumi; non fece una rivoluzione come si è ancora indotti a pensare. È una evoluzione naturale e diretta che si ripercuoterà persino sulla moda. Le acconciature bakstiane di Shéhérazade non sono forse nelle fogge e nello stile di tanta parte della moda 1910? L'orientalismo o il bizantinismo, tanto in voga allora, si riflessero negli atteggiamenti di tanta letteratura e di tanto cinema e Ida Rubinstein, creatura dannunziana, ne fu il riflesso più lampante. I principali lavori musicali (quelli di Stravinsky e Prokofiev) recarono quel mondo policromo. L'uccello di fuoco, Chout sono vivide favole che dell'Oriente recano il colore e il preziosismo affascinante come di una stoffa arabescata o di un sottile profumo. Le fasi in cui si svolse il balletto russo furono due: la prima precedente la prima guerra mondiale e l'altra del dopoguerra (un terzo periodo, che chiamerei di ripresa, è stato affidato, scomparso Diaghilev, alle amorevoli cure del colonnello De Basil). Un gusto più propriamente francese o parigino e più direttamente a contatto con tendenze di musichall (in cui la pantomima si sposa al circo e la danza diviene alleata dell'acrobatismo: vere e proprie contaminazioni) si farà strada in quell'epoca di esperimenti e di espedienti, di tentativi e, per queste stesse nature, fatalmente caduchi. Riprendere oggi come spettacolo Parade di Satie pare impresa difficile. Riascoltata in concerto, senza il sussidio del celebre décor di Picasso e della coreografia di Massine, essa perde le sue più autentiche significazioni e non resta che il brusìo di una boutade sonora, mentre Le sacre du printemps, s'è visto, anche se il modello massiniano pare insuperato, per la straordinaria aderenza al testo musicale e didascalico, ha ancora nuovi interpreti. [...] Tutto questo limitatamente alla musica, ma se il nostro discorso dovesse spostarsi ed investire i problemi delle arti figurative e della scenografia teatrale in particolare, noi troveremmo, in un ventennio scarso dal 1909 al 1929, i più grandi nomi che si siano associati in un teatro musicale: Picasso con Falla e Massine (Tricorno 1919), Bakst con Ravel e Fokinee (Dafni e Cloe 1912), Alexandr Benois con Stravinsky e Fokinee (Petrushka 1911), Braque con Auric e Bronislava Nijinska (Les facheux 1924), De Chirico con Rieti e Balanchine (Le bal, librettista Boris Kochno, 1929), Matisse con Stravinsky e Massine (Chant du rossignol 1920), Roerich con Stravinsky e Nijinskij (Le sacre du printemps 1913) sono solo degli esempi. I balletti russi di Diaghilev Quel movimento artistico e culturale che va sotto la denominazione di balletto russo e che caratterizzò la vita teatrale in modo così definitivo al principio del secolo va inteso non solo come evoluzione dell'arte della danza ma anche delle ar ti dello spettacolo in genere, della decorazione teatrale e della musica. Una delle principali caratteristiche di questo movimento è per l'appunto l'aver dato alle arti cosiddette sorelle una più stretta collaborazione, un'unione più intima («Tous les arts se tiennent par la main... » disse Noverre e Lifar, quasi un' eco alle parole del grande teorico francese, pose «Tersicore nel corteo delle Muse»). Dunque, non fu solo evoluzione del balletto come rappresentazione, ma specif icatamente della musica in funzione di una p r e s t a b i l i t a a z i o n e Locandina per la stagione 1910 dei Balletti russi all’Opéra Ballets, coreografica, della pittura in acquerello di Léon Bakst relazione al contributo scenografico indispensabile in un'opera ballettistica. Ed è questo il punto interessante della questione. Del resto, in un'epoca come la nostra così incline al piacere dello spettacolo e della vista, organo più sensibile e ritentivo dell'udito, se un teatro musicale esiste (e pur se l'opera, particolarmente da noi, ne è sempre l'incontestata beniamina) il balletto, per la sua congenialità al nostro spirito di moderni, va riguardato con particolare attenzione. Lungi dall'asservire la musica alla danza (semmai sarà bene insistere ancora sul processo associativo che avviene ogni volta in cui una musica si adegua ad una rappresentazione danzata o viceversa) è importante stabilire come l'intuito, la scelta, il gusto di un Diaghilev imposero al mondo coreografico del nostro secolo una fisionomia che è la stessa alla quale si rifà tanta parte del teatro di danza contemporaneo. Stravinsky, su commissione, compone L'uccello di fuoco, Petrushka, La sagra della primavera per la compagnia dei Balletti Russi. 14 ad eccezione del suo maestro Rimsky-Korsakov che probabilmente lo dissuase dal continuare; non è detto che non abbia tentato la pittura; non fu critico, non coreografo, né tanto meno teatrante; eppure fu proprio lui l'iniziatore attivo di un movimento critico ed estetico che doveva rinnovare il teatro, inserendosi nella coscienza viva dell'artista moderno. Bisogna anche soggiungere che, a beneficiare di tale evoluzione, non fu direttamente il pubblico russo bensì quello occidentale. Sta bene che la maggioranza degli artisti della troupe di Diaghilev (danzatori, coreografi, cantanti, compositori, pittori) era di provenienza russa e molto del decorativismo come del contenuto drammatico s'ispirava al mondo orientale da L 'oiseau de feu a Les noces; ma il movimento si sviluppò in Occidente per cui si parla di balletto russo riferendosi particolarmente a quella stagione, quel ventennio dal '10 al '30. I russi di oggi ne sono estranei. Essi sono tornati o sono rimasti ai macchinosi balli dell'ultimo Ottocento, alla tradizione rigorosa del ballo grande, ai tre capolavori di Čajkovskij ; tutt'al più si spingono a Glazunov e al Prokofiev tradizionalista del cosiddetto periodo sovietico (Romeo e Giulietta, Cenerentola, Fiore di pietra). Niente o quasi niente Stravinsky, naturalmente, ma qualcosa di Sostakovitch e Khachaturian, con parsimonia. I balletti come le coreografie, le scene e i costumi sono ancora quelli e l'estetica è la stessa: da Lago dei cigni (Čajkovskij) a La fontana di Bakchisarai (Asafiev), da Romeo e Giulietta (Prokofiev) a Mirandolina (Vasilenko), da Fiamme di Parigi (Asafiev) a Giselle, Raimonda, Cenerentola. Si direbbe che la riforma diaghileviana non sia avvenuta, non li abbia toccati, e difatti non la riconobbero. Agli occidentali toccò in sorte l'eredità dello straordinario rinnovamento spirituale e artistico che fu russo perché partì dalla Russia con artisti russi di nascita e di formazione, ma che finì per investire ogni angolo e ogni aspetto della vita occidentale (i testi di Renard e di Les noces tradotti da Ramuz mescolano l'esprit de finesse tipicamente francese allo spirito popolare e fiabesco dei russi). Tecnicamente formidabile, il balletto sovietico di ieri ha ignorato il balletto russo dell'altro ieri rimanendo sulle posizioni di un intransigente conservatorismo. Tale gusto involve tutto quanto a cominciare dalla stessa tecnica accademica che è spettacolosa ma che non conosce gli acquisti di quella moderna per giungere alla composizione coreografica che segue i grandi, illustri modelli del passato e, quando li modifica, non li migliora ma li appesantisce di contaminazioni; così la scenografia che allontana ogni vero pittore, come fece tanta parte dell'Ottocento, ritornando alla cartapesta e al realismo scenico. Il rinnovamento di Diaghilev è servito al balletto dei nostri giorni, come l'espressionismo di danza centro-Europa, con le ben combattute battaglie degli assertori della danza libera, è servito da Laban alla Wigman, da Jooss alla Graham all'espansione della danza moderna. Balletto e Modern Dance spesso si sono presi a braccetto: George Balanchine fraternizza con Martha Graham ed insieme compongono Episodes sulla musica scabra, asciutta di Webern. E per l'appunto c'è un modo, ci sono altri modi di intendere un teatro moderno di danza, forse più spoglio, più essenziale di quello del balletto comunemente inteso classico-accademico, narrativo e astratto. Questa ventura ce la offre il grande momento del balletto americano. Sergej Diaghilev e Serge Lifar al Lido, 1928 E la constatazione della grande fioritura e fortuna di una stagione che dura ancora e i cui frutti, in modo vario e diverso, giungono a noi ancora oggi. C'è in tutto questo un principio di ciò che oggi si intende comunemente per teatro totale. Prima di allora non si era assistito ad una collaborazione così stretta e determinante delle arti concorrenti all'unità dello spettacolo. Diaghilev partì dalla pittura e vi ritornò. Capì che con una bella musica, belle scene e bei costumi poteva fare dei bei balletti riscattando un genere teatrale caduto nella cartapesta di una scenografia macchinosa . E sul finire del secolo scorso che Serge de Diaghilev (Novgorod 19 marzo 1872 - Venezia 19 agosto 1929) fa il suo ingresso nella vita artistica. Nel 1899 egli fonda la rivista «Mir Iskustva» (Il mondo dell'arte) che comprende un certo numero di discepoli ed amici fra i quali Walter Nouvel. Esattamente dieci anni dopo, molti di essi formeranno lo stato maggiore dei pittori-scenografi della compagnia dei Balletti Russi: Benois, Bakst, Roerich, Korovine, Golovine, Serov, e tanti altri. In sostanza che cos'era e chi era questo singolare e misterioso personaggio? Un impresario, fu detto, e fu anche e soprattutto questo, ma non abbastanza avveduto commercialmente come occorrerebbe ad un impresario. Oggi un impresario di tal fatta sarebbe un anacronismo. Non fu comunque un creatore. Scrisse qualche articolo, una monografia, ma non è ricordato per questo; compose della musica ma nessuno l'ascoltò Tratto da: Storia della danza e del balletto, Alberto Testa, Gremese editore 1994 15 29 maggio 1913 Théâtre des Champs-Elysées di Parigi La prima rappresentazione della Sagra diede luogo ad flop e generò pareri contrastanti tra il pubblico. Forse il più grande fiasco di tutti i tempi alla sua prima rappresentazione, avvenuta a Parigi al Théâtre des Champs-Elysées il 29 maggio 1913, con i Balletti russi di Sergej Diaghilev, per la direzione di Pierre Monteux, su coreografia di Nijinskij, cui Stravinskij imputò la causa dell'insuccesso. In realtà sia il balletto che la musica erano qualcosa di radicalmente nuovo: gli spettatori della prima rappresentazione semplicemente non riuscivano a sopportare né i suoni né i movimenti dei ballerini (questi ultimi decisamente inusuali) relativi a riti pagani, passioni brutali e sacrifici umani, provocando una vera e propria rivolta nel teatro. I fischi furono talmente forti da coprire la musica, per quanto essa fosse forte. [1] Tra mugugni e mormorii il sipario si apre su una forte dissonanza tra la violenza della coreografia, che asseconda quella della partitura, e la calma creata dall'ambientazione scenica, l'atmosfera serena è favorita dall'insistente riamorare di forme pure e linee elementari considerate dall'antichità il simbolo della perfezione, circonferenza e sfera ricorrono nei simboli che ricoprono le casacche dei giovani e nella scena per i rituali diurni: un paesaggio di colline, masso sacro e lago dai contorni tondeggianti. Il motivo del cerchio, mutuato dal quadro "Idoli" di Roerich e dalle sue varianti, riappare nella disposizione dei giovani attorno al Saggio e nel moto circolare delle vergini. La religiosità arcaica evocata da scene e costumi alimenta, per contrasto, la violenza delle altre componenti dello spettacolo, ciò appare una provocazione e non resta che rispondere con bordate di fischi. […] “La sala è al completo. A un occhio esperto non possono sfuggire i presupposti per uno scandalo: pubblico mondano, scollature ornate di perle, aigrettes, piume di struzzo e, proprio affiancati a frac e tulle, ecco gli abiti da passeggio e i cenci sbrindellati degli esteti che acclamano il nuovo per il solo motivo che detestano chi siede nei palchi. ...Questa sala di lusso è il simbolo dell’errore commesso nel dare in pasto un’opera di forza e giovinezza a un pubblico decadente. Pubblico esausto, adagiato nelle ghirlande Luigi XVI, ..., nei cuscini di un orientalismo di cui dovremmo serbare rancore al balletto russo. In siffatto regime si digerisce distesi lungo un’amaca... si caccia via il vero novo fosse una mosca. Esso infatti disturba.” Jean Cocteau La prima parte del balletto: L'adorazione della terra, le fanciulle raggiungono un gruppo di giovani riuniti attorno alla luna per apprendere da lei l'arte di trarre auspici. Si interroga l'avvenire con i giochi del rapimento e delle città rivali, intercalandoli con ronde primaverili. Un vecchio, il Saggio dà il via al rituale adorando la terra e a lui si uniscono i giovani per danzare in cerchi concentrici e prostrarsi rendendo feconda la terra. Subito dopo si scatena la danza sfrenata ed orgiastica dell'intero villaggio. Incedere di profilo, pugni serrati, sussulti che squassano i corpi. Queste convulsioni sarebbero i giochi propiziatori. Qual è il senso di accentuare, al posto dell'elevazione, la caduta e il contatto col terreno? Il legame alla terra non può che esprimersi negando la verticalità della danza accademica, Nijinskij non può attingere a un linguaggio precostituito, ne costruisce uno suo adatto allo scopo. Ma il pubblico è abituato all'illusorio senso di leggerezza di un ballerino classico e alla grazia e gli sembra impossibile che proprio Nijinskij, il "figlio dell'aria" (Beaumont), abbia sostituito l'elevazione con l'ossessione per il terreno. Poi in scena Il sacrificio: le fanciulle ballano, sempre in cerchio, al calar del sole, per individuare chi tra loro sarà la vittima da sacrificare al dio Jarilo, affinché la terra conceda ancora una volta il risveglio della natura. Misteriosamente la fanciulla Eletta si trova all'improvviso in mezzo al cerchio per eseguire la sua danza sacra, al cospetto dei Saggi e degli Antenati, fino a cadere morta. Le idee di Nijinskij per impaginare il racconto forniranno al balletto del 900 gli stimoli necessari a un totale rinnovamento, Innovativa è la centralità del corpo di ballo rispetto a una solista che si individuerà solo alla fine. Ma il pubblico non è ancora pronto a rinunciare alla diva da ammirare, applaudire, venerare. Théâtre des Champs-Elysées di Parigi 16 Fanno ridere le danzatrici, le vergini che col polso destro sulla guancia, sorreggono la testa inclinata di lato, non meno ridicola appare la postura chiusa dei ballerini, concepita da Nijinsky lavorando sulla sorella -che poi non interpreterà l'Eletta, essendo incinta- questa posizione, in seguito trasferita all'intero corpo di ballo, è costruita sull'en dedans, i piedi rivolti in dentro, le ginocchia piegate alludono alla natura primitiva dei personaggi, ma, soprattutto, conferiscono ai corpi un senso di pesantezza, enfatizzato da salti a gambe tese, eseguiti senza plié, Il messaggio veicolato dalla pesantezza dei corpi e dalle cadute è chiaro: la gravità ci vincola alla terra e la dipendenza da essa è determinante per la sopravvivenza della specie al punto che il sacrificio estremo può benissimo rendersi necessario. […] [2] La Sagra venne però accolta dall'avanguardia musicale come un avvenimento fondamentale per la storia della musica così come poi si sarebbe rivelato: la prima parte del balletto si apre con la famosa melodia del fagotto al registro acuto, quasi per dire addio all'era della musica tradizionale per spianare la via a forme compositive del tutto nuove, come l'atonalità e la politonalità. Inoltre l'intero brano utilizza temi, scale e melodie tratte dal corposo repertorio folklorico russo, che l'autore rielabora attraverso procedimenti contrappuntistici di estrema complessità. Naturalmente, la forza esplosiva della Sagra è stata assimilata nelle attuali forme musicali ed il suo ascolto è ora molto più facile ed accettato, tant'è che solo 27 anni dopo (1940) fu inserito nel film disneyano Fantasia per illustrare l'evoluzione degli esseri viventi quando la Terra aveva circa un miliardo di anni, dall'esplosione dei vulcani ai dinosauri. [1] [1] tratto da wikipedia enciclopedia libera [2] Articolo pubblicato su www.balletto.net di Marino Palleschi, 8 febbraio 2005 Bozzetti della Prima, Nikolaj Roerich 1912 17 Maurice Béjart, biografia (romanzi, memorie, diari, commedie). Dopo essere stato insignito del premio Erasme nel 1974, l'Imperatore Hirohito gli conferisce l'Ordine del Sol Levante (1986) e il Re Baldovino lo nomina Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona (1988). La Japan Art Association gli conferisce il prestigioso Premio Imperiale (1993) e l'Inamori Foundation gli consegna il Premio Kyoto (1999). Nel 1994, è nominato membro libero dell'Accademia delle Belle-Arti dell'Istituto di Francia. Il 4 dicembre 1995 riceve il Prix Together for Peace Foundation dalle mani di Papa Giovanni Paolo II. La città di Losanna gli conferisce la Bourgeoisie d'Honneur il 3 dicembre 1996. Nel 2002 riceve anche il premio Grand siècle Laurent-Perrier e, lo scorso 31 ottobre, la nomina a Commendatore delle Arti e delle Lettere. Nell'agosto 2002 crea una nuova compagnia per giovani ballerini; è la Compagnie M per la quale crea un nuovo balletto, Mère Teresa et les enfants du monde, con la partecipazione di Marcia Haydé che è stata presentata per la prima volta a Losanna il 18 ottobre 2002 al Théatre de Beaulieu. Nel 2003 rende omaggio a Fellini per i dieci anni della sua morte con la coreografia Ciao Federico. Sempre nel 2003 riceve la nomina di «Commendatore delle Arti e delle Lettere» dalle mani dell'ambasciatore francese in Svizzera. Grazie alla sua diversità e alla sua complessità, l'opera di Maurice Béjart è tra le più singolari. Il coreografo non segue una linea unica. Rifiuta l'idea di 'stile'. Adatta sempre il modo alla materia. In altri termini, i modi artistici messi in scena sono in funzione del progetto in fase creativa. Una musica unica, Boléro, o più musiche, La route de la soie; la danza sola, Il mandarino meraviglioso; o l'uso di un testo, Enfant-roi; una storia, Le manteau; un tema, Mutationx; o l'astratto, Mouvement, rythme, étude. Per il suo modo di dire 'io' nel suo Schiaccianoci, di tradurre le preoccupazioni e gli interrogativi dei suoi contemporanei, Maurice Béjart tocca il grande pubblico della danza. Béjart si è spento il 22 novembre 2007 a Losanna. Maurice Béjart nasce a Marsiglia il 10 ge n n a i o 19 27. B a l l e r i n o , p o i coreografo, debutta a Parigi. Nel 1960 crea a Bruxelles la Compagnia «Ballet du XX siècle». Un quarto di secolo più tardi, trasferisce la sua Compagnia a Losanna per ribattezzarla «Béjar t Ballet Lausanne»; a Losanna pianta le sue radici professionali e personali. Béjart acquisisce gran parte della sua formazione di ballerino da Madame Egorova, da Madame Rousanne e Léo Staats. Inaugura questo suo bagaglio culturale classico a Vichy (1946), poi con Janine Charrat, Roland Petit e soprattutto a Londra con l'International Ballet. La tournée in Svezia con il Ballet Cullberg (1949) gli permette di scoprire le fonti dell'espressionismo coreografico. E il contratto per un film svedese lo mette a confronto per la prima volta con Stravinsky. È tuttavia su dei pezzi di Chopin che, di ritorno a Parigi, Maurice Béjart si fa l'esperienza, sotto l'egida del critico Jean Laurent. Il ballerino si sdoppia in coreografo. Nel 1955 con i Ballets de l'Étoile, esce dai soliti schemi con Symphonie pour un homme seul (musica di P. Henry e P. Schaeffer). Padroneggiando il suo linguaggio, si impone grazie a una serie di creazioni: Haut Voltage, Prométhée, Sonate à Trois (da Huis Clos di J.-P. Sartre). Notato da Maurice Huisman, il nuovo direttore del Théatre Royal de la Monnaie, crea una trionfale Sagra della primavera (1959). Ed è con la fondazione della compagnia internazionale Ballet du XX siècle (1960) che viaggia in tutto il mondo. Alla Sagra, aggiunge Boléro (1961), Messe pour le temps présent (1967) e L'uccello di fuoco (1970). Un gusto marcato per il cosmopolitismo culturale porta questo figlio del filosofo Gaston Berger a rivolgersi all'espressione delle diverse civiltà (Bhakti, Golestan, Kabuki, Dibouk, Pyramide) come illustrazione di un ricco repertorio musicale (da Boulez a Wagner). La sua fibra pedadogica lo spinge a creare l'Ecole Mudra a Bruxelles (1970), poi a Dakar (1977) e l'Ecole-Atelier Rudra a Losanna (1992). Il passaggio dal Ballet du XX siècle al Béjart Ballet Lausanne (1987) avviene senza discontinuità. Nel 1992, Béjart decide di ridurre le dimensioni della propria compagnia a una trentina di ballerini per «ritrovare l'essenza dell'interprete». Tra i numerosi balletti creati per questa compagnia, citiamo Ring um den Ring, Il mandarino meraviglioso, King Lear Prospero, A propos de Shéhérazade, Le Presbytère ... !, Mutationx, La route de la soie, Le manteau, Enfant-roi, La lumière des eaux, Lumière, Tokyo Gesture, Il flauto magico, Ciao Federico e La mero Regista di teatro (La Reine Verte, Casta Diva, Cinq Modernes, A-6-Roc), di opere (Salomé, La traviata e Don Giovanni), di film (Bhakti, Paradoxe sur le comédien ... ), pubblica diversi libri Tratto da: Programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia, Danza 2005, Stagione Lirica e Balletto 2004-2005 18 La sagra della primavera di Maurice Béjart Cos'è la primavera se non questa immensa forza primitiva a lungo addormentata sotto il manto dell'inverno, che improvvisamente esplode e abbraccia il mondo, sia a livello vegetale, animale e umano? L'amore umano, nel suo aspetto fisico, simboleggia l'atto stesso con cui la divinità crea il Cosmo e la gioia che ne ricava. Nel momento in cui le frontiere aneddotiche dello spirito umano cadono a poco a poco, e si può iniziare a parlare di una cultura mondiale, rifiutiamo qualsiasi folclore che non sia universale e tratteniamo solo le forze essenziali dell'uomo, che sono le stesse in tutti i continenti, sotto tutte le latitudini, in tutti i tempi. Che questo balletto sia dunque spogliato di tutti gli artifici del pittoresco, l'Inno a questa unione dell'Uomo e della Donna nel più profondo della carne, unione del cielo e della terra, ballo di vita e di morte, eterno come la primavera! [1] Maurice Béjart La Sagra di Maurice Béjart annulla ogni riferimento d'epoca e al folklore russo. Tutti in calzamaglia, i ballerini agiscono su un palcoscenico spoglio e si dispongono in file, cerchi, gruppi che in parte ricordano le elementari figurazioni di Nijinskij. Totalmente diversa è invece la danza, d'impianto accademico ma con ampi movimenti delle braccia “a volo d'uccello", oppure piegate o tese in alto con il palmo delle mani drammaticamente spalancato. L'energia del gruppo maschile, spesso con le gambe piegate in seconda posizione plié, viene accentuata dalla mimica facciale (bocche spalancate e occhi sgranati) e da combattimenti in cui i corpi si urtano e si respingono in volo. Il sacrificio è in realtà un accoppiamento stilizzato che si conclude con l'apoteosi della coppia, portata quasi in trionfo dal gruppo proteso in avanti, a braccia alzate. [2] [1] Tratto da: Programma di sala del Teatro La Fenice di Venezia, Danza 2005, Stagione Lirica e Balletto 2004-2005 [2] Tratto da: L’abc del balletto, la storia, i passi, i capolavori, Marinella Guatterini, Mondadori, 1998 Foto di scena, La sagra della primavera di Béjart, Teatro La Fenice 1989 19 Foto di scena, La sagra della primavera di Béjart, Teatro La Fenice 1989 20 Pina Bausch, biografia La vicinanza dell'opera e il rispetto per la tradizione musicale influenzeranno il suo lavoro futuro, come pure l'amore per il jazz. La rigida distinzione tra musica cosiddetta "seria" e musica "di intrattenimento" non avrà mai alcun valore, per lei. Tutta la musica che evoca sentimenti profondi ha lo stesso valore. Due anni dopo, Kurt Jooss le chiede di tornare a Essen: è riuscito a rimettere in piedi il Folkwang Dance Studio. Pina Bausch danza balletti nuovi e vecchi di Jooss, e diventa sua assistente. In mancanza di materiale sufficiente per la nuova compagnia, comincia anche lei a creare coreografie, come Fragment e Im Wind der Zeit, per cui riceve il primo premio al Concorso di composizione coreografica di Colonia, nel 1969. Come coreografa ospite, crea i suoi primi lavori per Wuppertal, che vengono interpretati dai membri del Folkwang Dance Studio: Aktionen für Tanzer nel 1971, e Tannhauser-Bacchanal nel 1972. Per la stagione 1973/74, il sovrintendente Arno Woestenhofer la chiama a dirigere il Balletto di Wuppertal, che ben presto la Bausch rinomina Tanztheater, teatro-danza. Il termine, coniato negli anni 20 da Rudolf von Laban, è un manifesto: segnala il distacco dalla danza tradizionale e la totale libertà di scelta dei mezzi espressivi. In rapida successione, Pina sviluppa nuovi generi. Con le due opere di Gluck Iphigenie auf Tauris (1974) e Orpheus und Eurydike (1975) crea le prime due opere danzate; con Ich bring dich um die Ecke (1974) entra nel mondo triviale della musica pop; in Komm tanz mit mir e Renate wandert aus (entrambi del 1977) gioca con i cliché dell'operetta. La sua coreografia di Le sacre du printemps di Igor Stravinsky (1975), con la sua immediatezza fisica e il suo impatto emotivo, diventerà la sua pietra miliare, la quintessenza del suo lavoro. Da Kurt Jooss ha imparato le virtù "dell'onestà e l'accuratezza", e sa sfruttarle entrambe per ricavarne una tensione drammatica fino ad allora sconosciuta. Nei suoi primi anni a Wuppertal, la Bausch sconvolge il pubblico e la critica: il confronto con i veri motivi che stanno dietro al movimento è doloroso. In Blaubart (1977) alcuni passaggi musicali sono ripetuti all'infinito, e la tristezza e la solitudine evocati possono essere lancinanti. Ma fin dall'inizio, oltre al talento drammatico Pina Bausch rivela anche una vena umoristica, come in Die sieben Tods Onden (I Kurt Jooss sette peccati capitali) di Brecht- Philippine Bausch, detta Pina, nasce nel 1940 a Solingen, una cittadina vicina a Wuppertal, dove ancora oggi ha sede il suo Tanztheater che l'ha resa famosa in tutto il mondo. [...] Dopo le prime lezioni di danza classica a Solingen, a 14 anni Pina entra alla Folkwang Hochschule di Essen, diretta da Kurt Jooss. Prima e dopo la seconda guerra mondiale, Jooss è stato un autorevole rappresentante del movimento della danza moderna tedesca, che si era liberata dalle pastoie del balletto classico. Come insegnante Jooss riconciliava lo spirito libero dei rivoluzionari della danza con i principi del balletto. E' così che la giovane allieva di danza impara la libertà creativa e insieme l'importanza della tecnica. Ma decisiva è anche la vicinanza ad altre forme d'arte che vengono insegnate alla Folkwang Hochschule: opera, musica, teatro, scultura, pittura, fotografia, design e molto altro. Questo approccio estremamente aperto e multidisciplinare influenzerà in modo determinante il suo metodo di lavoro. Nel 1958 viene premiata col Folkwang-Price e una borsa di studio della Deutscher Akademischer Austauschdienst (l'organizzazione tedesca per i programmi di scambio accademico) e parte per un anno per andare a studiare alla prestigiosa Juilliard School di New York. La città è una mecca della danza, dove il balletto classico viene reinventato da coreografi come George Balanchine. Tra gli insegnanti di Pina Bausch ricordiamo Antony Tudor, José Limon e i danzatori della Martha Graham Dance Company, Alfredo Corvino e Margaret Craske. Come ballerina, lavora con Paul Taylor, Paul Sanasardo e Donya Feuer. Ogni volta che è possibile visita mostre e assorbe le nuove tendenze. Elettrizzata dalla varietà della vita artistica newyorkese, prolunga la sua permanenza di un altro anno: ma stavolta deve mantenersi da sola. Antony Tudor la scrittura al Metropolitan Opera Ballet. 21 Weill (1976), dove gli uomini danzano vestiti da donna mentre la coreografa si diverte a giocare con gli stereotipi. Nel 1978, Pina Bausch cambia modo di lavorare. Invitata a Bochum dal regista Peter Zadek per creare una sua versione del Macbeth shakespeariano, per la prima volta si ritrova isolata: buona parte della sua compagnia non vuole più continuare il lavoro con lei, perché c'è troppo poca danza convenzionale. La Bausch è costretta ad allestire la produzione con quattro ballerini soltanto, cinque attori e un cantante. Ma con un cast misto come questo, non tutti gli interpreti sono in grado di seguire i passi di una coreografia. Così, Pina comincia a porre a ognuno di loro delle domande sul tema del brano. Quando il risultato di questa ricerca collettiva va in scena a Bochum il 22 aprile 1978, col lunghissimo titolo di Er nimmt sie an der hand und foehrt sie in das schloss, die anderen folgen ... (Lui la prende per mano e la porta al castello, gli altri seguono ... ), è accolto da un coro di proteste. Ma Pina Bausch ha finalmente trovato lo sua forma espressiva: le immagini poetiche e oniriche di quel suo linguaggio dei movimenti la porteranno rapidamente al successo internazionale. Esplorando le emozioni umane di base - sogni e desideri, ma anche paure e bisogni - il Tanztheater Wuppertal si fa capire in tutto il mondo e innesca una vera e propria rivoluzione nella danza internazionale. Il segreto del suo successo, forse, è che mette gli spettatori di fronte alla realtà, e al tempo stesso li incoraggia all'ottimismo. Ma ognuno di loro è chiamato ad assumersi la responsabilità della sua vita: i danzatori di Pina Bausch non dispensano rimedi. Tutto quello che possono fare è indagare in modo onesto e accurato cosa ci avvicina alla felicità e cosa ce ne allontana. Eppure, ogni volta mandano a casa il pubblico con la certezza che alla vita - con i suoi alti e bassi - si può sopravvivere. Nel gennaio 1980 muore il compagno di Pina Bausch, Rolf Borzik, che con le sue scene e i suoi costumi ha costruito lo stile visuale del Tanztheater. A lui, subentrano Peter Pabst (scene) e Marion Cito (costumi). Gli spazi scenici sono poetici, spesso il palcoscenico si apre in un paesaggio, portando l'esterno all'interno. Sono spazi fisici che modificano i movimenti: acqua e pioggia fanno risplendere i corpi attraverso gli abiti; il suolo rende ogni passo una fatica immane; le foglie disegnano il passaggio dei ballerini. Le scene vanno dalla stanza d'epoca al nudo pavimento in legno del minimalismo giapponese; i costumi, dall'abito da sera elegante al buffo travestimento di un bambino. Come la coreografia, scene e costumi riflettono la vita di tutti i giorni e non solo, ma sempre in funzione di un' autentica e naturale bellezza. Col passare degli anni è più facile accorgersi che anche il brutto ha una sua bellezza - una cosa che da bambini ci sfugge. Finalmente, un po' alla volta, cominciamo a dare una fisionomia al Tanztheater: non è una provocazione, ma - come lo ha definito la stessa Bausch - "uno spazio in cui è possibile incontrarsi". Il successo internazionale del Tanztheater ha prodotto molte coproduzioni: Viktor, Palermo Palermo e O Dido, collaborazioni con l'Italia; Tanzabend Il a Madrid; Ein Trauerspiel a Vienna; Nur Du a Los Angeles; Der Fensterputzer a Hong Kong; Masurca Fogo a Lisbona; Wiesenland a Budapest; Agua in Brasile; Nefés a Istanbul; Ten Chi a Tokyo; Rough Cut a Seui; Bamboo Blues in India; e infine un nuovo lavoro del 2009, una coproduzione col Cile, a cui Pina Bausch non potrà più dare un titolo. Inizialmente molto discussa, quest' opera ha finito per diventare una sorta di teatro globale, dove c'è spazio per tutti i colori delle diverse culture e ognuno viene trattata con lo stesso rispetto. E' un teatro che non vuole insegnare, ma piuttosto creare un' esperienza di vita fondamentale che lo spettatore è invitato a dividere con i danzatori. E' un teatro generoso, rilassato nella sua percezione del mondo e molto benevolo col suo pubblico. Aiuta a fare pace con la vita, forte del proprio coraggio e della propria forza espressiva. Come mediatore tra culture, è un ambasciatore di pace e di comprensione reciproca. E' un teatro che si mantiene libero da dogmi e ideologie, che cerca di guardare il mondo senza pregiudizi e registra la realtà della vita, in tutte le sue sfaccettature. Dalle scoperte di questo viaggio, che ogni volta riparte da zero, emerge un mondo di grande complessità, pieno di svolte impreviste e sorprendenti. Il Tanztheater Wuppertal segue un solo principio: la gente. E quindi è portatore di un umanesimo che non conosce confini. Per il suo lavoro, Pina Bausch ha ricevuto molti premi e riconoscimenti. Tra cui il Bessie Award a New York (1984), il Premio tedesco per la danza (1995), il Theatertreffen di Berlino (Premio per il teatro,1997), il Praemium Imperiale in Giappone (1999), il Prix Nijinskijnsky a Monte Carlo, la Maschera d'oro a Mosca (2005), il Premio Goethe a Francoforte sul Meno (2008). Nel giugno 2007 ha ricevuto il Leone d'oro alla carriera alla Biennale di Venezia, e a novembre dello stesso anno ha vinto il prestigioso Premio Kyoto. Il governo tedesco le ha tributato la Grande croce al merito (1997), quello francese l'ha nominata Cavaliere dell'Ordine delle Arti e delle Lettere (1991) e l'ha ammessa alla Legione d'onore (2003). Molte università le hanno conferito una laurea ad honorem. Pina Bausch si è spenta il 20 giugno del 2009. E' considerata una delle più grandi coreografe del XX secolo. Tratto da: Un film per Pina Bausch di Win Wenders, Pina danza, danza altrimenti siamo perduti, BIM distribuzione, www.bimfilm.com 22 Un prezioso epilogo di Franco Quadri Il fenomeno Pina Bausch di Mario Pasi [...] Pina Bausch, personaggio guida della scena mondiale negli anni ottanta e massima esponente di quella tendenza interdisciplinare che va sotto il nome di teatrodanza. [...] il cammino del teatro di Pina Bausch, tipica espressione di un'epoca che non conosce più la specificità dei generi, dal balletto verso la prosa. In effetti il Tanztheater di Wuppertal, se in Italia è stato ospitato soprattutto da enti lirici e seguito dai critici di balletto, all'estero tende sempre di più a venir inquadrato nelle forme del teatro. Tanto è vero che puntualmente a maggio viene chiamato con un suo lavoro a partecipare ai Theatertreffen, gli incontri berlinesi che riuniscono i dieci migliori spettacoli di prosa tedeschi dell'anno, votati dalla critica. [...] Tanto è vero che sono stati i grandi festival mondiali della prosa, da Nancy a Monaco, da Amsterdam a Colonia, a rivelare in campo internazionale sul finire degli anni settanta il talento della Bausch. Proprio al Theater der Welt di Colonia, a mezz'ora di treno da Wuppertal e quindi sulle soglie di casa, si svolse nel 1981 una grande retrospettiva antologica del lavoro dell'artista tedesca e del suo gruppo cosmopolita. Questa è però la prima a tenersi all'estero, e il maggior tempo trascorso le offre il vantaggio di spaziare con maggior respiro dentro un più complesso arco di lavoro: dal periodo dei balletti classici come Blaubart o Le Sacre de Printemps, sviluppati in assoluta autonomia di linguaggio, al periodo delle grandi creazioni nate direttamente dalla pratica di palcoscenico, quali Kontakthof, Bandoneon o 1980, alle ultime composizioni ridotte nel numero dei personaggi e sempre più parlate e meno danzate. In questi anni di evoluzione e di studio, s'è andato gradualmente affermando un «metodo Bausch» fissato attraverso i suoi successivi spettacoli, che ogni volta adattano a un diverso tema un discorso continuo, portato avanti con gli sbalzi delle libere associazioni come uno strip-tease psicanalitico in cui gli interpreti sono chiamati a spremere le proprie sensazioni anche attingendo all'inconscio. I movimenti dei personaggi ripetono gli stessi schemi geometrici di attraversamento in obliquo, di allineamenti puntuali davanti al pubblico, di avanzamenti e indietreggiamenti verso il proscenio, alternando gli assoli alle presenze di gruppo, secondo una precisa contrapposizione di pieni e di vuoti. E come nel teatro di Robert Wilson - al quale la Bausch è stata spesso avvicinata determinante diventa il rapporto con il tempo protratto a lunghezze estenuanti in cui i tempi morti e le isole rarefatte si succedono alle accelerazioni frenetiche d'intensità; e con lo spazio puntualmente identificato con la scena nuda, anche se materie diverse possono cospargere il palcoscenico, si tratti di una superficie d'acqua o di un tappeto di prato, di fiori, di foglie, di neve. Perché i suoi spettacoli ricostruiscono regolarmente, all'interno dello spettacolo, il rito dello spettacolo, con gli attori impegnati a rappresentare la rappresentazione teatrale nei suoi momenti tipici. Dalle prove alla demistificazione delle gag più convenzionali, alla cerimonia degli applausi e dei ringraziamenti, mettendo in scena ogni volta se stessi, con le loro confessioni autobiografiche e i rapporti interpersonali della comunità, ma anche le loro smanie di svolgere, per il pubblico, un proprio gioco di società. Le caratterizzazioni ritornano all'insegna delle stesse regole sceniche: e ogni spettacolo costituisce la continuazione del precedente, confluendo nell'unico grande spettacolo sintesi di tutti gli spettacoli che è il teatro di Pina Bausch. Alla fine dell'ultimo conflitto mondiale, Germania anno zero. Che cosa era rimasto, della cultura tedesca, dopo il pur breve periodo di follia nazista? Praticamente nulla. Gli spiriti liberi erano emigrati, o erano stati ridotti al silenzio. I movimenti artistici cresciuti dopo il 1918 erano stati semplicemente cancellati; l'arte moderna uccisa; le strutture fatte a pezzi. La danza libera, che in Germania aveva avuto eccelsi rappresentanti e importanti teorici, poté in qualche modo sopravvivere in esilio. Tale fu il destino di Kurt Jooss, portavoce dell'espressionismo, che dopo il successo del suo Tavolo verde dovette proseguire il suo lavoro in Inghilterra. La danza classica, che pure aveva avuto momenti felici nei secoli passati pur senza produrre personaggi o fatti di rilievo, non godeva di molta considerazione sotto la dittatura, più incline a sostenere il maschio vigore dello sport. L'eroismo nibelungico era più idoneo a rappresentare il Reich di quanto non potessero alate fanciulle o esangui principi. Contemporaneamente, accadevano fatti importanti, nel mondo del balletto. Cresceva la scuola russa, malgrado lo stalinismo, l'America assumeva la leadership mondiale grazie al lavoro di George Balanchine e dei moderni, in Francia l'Opéra rifioriva sotto la guida di Lifar, e l'Inghilterra proseguiva con grande puntiglio una strada indicata dai russi di Diaghilev. Perfino in Italia accadeva qualcosa, dopo una lunga decadenza, e si preparava la rinascita con l'arrivo di Aurelio Milloss dall'Ungheria. Nessuna voce si levava, invece, dal deserto tedesco. E nessuno, dopo il 1945, appariva in grado di riai lacci are un discorso con il passato. Dopo Brecht, dopo Weill, dopo il teatro politico, dopo gli sperimentalismi, chi poteva riconciliare l'arte tedesca col mondo? Le due Germanie riaccolsero gli esuli, ma divennero zone d'influenza dei vincitori, a ovest anglo-americani, a est sovietici. Da Cranko a Neumeier passa la rinascita della Germania federale, che si dota di numerose compagnie internazionali di prestigio; dall'altra parte dell'Elba, il modello russo si incontra con una tendenza costruttivistica che dà vita ad altre esperienze coreografiche di non lieve portata. Si formano così le prime generazioni di danzatori e di coreografi germanici, inseriti in una internazionale dominante che si nutre anche di vera disciplina, e çhe viene aiutata da solide strutture teatrali, che possono essere portate ad esempio in tutta Europa. In questo clima, un po' a sorpresa, nasce il fenomeno Bausch e torna in scena la vera anima della danza tedesca. Con un grosso salto temporale, la Germania si riallaccia al suo passato, rievoca i suoi miti libertari, e si adatta a una nuova situazione. Le condizioni oggettive sono diverse, ma c'è sempre lo stesso senso di frustrazione e di paura. E a monte c'è ancora la pena di una disfatta che ha distrutto tutti i valori precedenti. Gli anni venti erano lo specchio di una Germania sconfitta, ma non distrutta; impoverita, ma non cancellata; umiliata, ma ancora integra. Il grido degli espressionisti era violento, spesso brutalmente sottolineato, e la protesta era contro quel tipo di tedesco volgare e civilmente trapassato che la nuova cultura voleva combattere. La povertà, la fame, la violenza, la crisi erano però cose vere. I valori perduti di una società militaresca non c'erano più: l'impero era morto, l'esercito fatto a pezzi, i codici dell'onore, del patriottismo, della famiglia solidamente ancorata alla chiesa e alla cucina erano da trasgredire. Col loro naturale estremismo nutrito di malsano romanticismo, i tedeschi cercarono di rinnovarsi senza mezze misure, e senza un consenso di base che potesse aiutarli a cambiare. Il nazismo cercò, biecamente, di raddrizzare le sorti dei codici trasgrediti, contro la nuova cultura e contro la libertà. Risuscitò le antiche forme dell'onore, l'orgoglio dell'esercito, il mito·della potenza, aggiungendovi, per vincere le frustrazioni di una nazione che priva di autocritica si definiva pugnalata alle spalle, il senso della razza e della casta. Per questo privilegiò le immagini di un grande popolo antico, fatto di eroi forti e determinati. Tratto da: Programma di sala, Antologia, Pina Bausch, Tanztheatre Wuppertal, direzione artistica Pina Bausch, Anno europeo della musica, Gran Teatro La Fenice in coproduzione con La Biennale di Venezia Settore Teatro, 14 maggio - 15 giugno 1985. 23 Considerò il dubbio come un peccato mortale e si creò alibi e capri espiatori. Il comunismo, gli ebrei, e poi gli esseri inferiori (i non-tedeschi) divennero i bersagli necessari per cacciare il complesso d'inferiorità e il terrore dello isolamento. In un accesso di organizzata barbarie, come nella prestoria, fu emessa una condanna a morte contro tutti i diversi. E diversa era anche l'arte non di regime. Il rogo dei libri si accompagnava alla condanna di tutte le forme d'avanguardia e di critica, definite arte degenerata. In sei anni, dal 1933 al 1939, tutto venne distrutto, letteratura, musica, pittura, filosofia, teatro. I diritti dei popoli vicini furono calpestati, come nei più bui tempi medievali. Gli stati satelliti furono costretti a seguire l'esempio dei nuovi signori della guerra, ansiosi di rivincite ed ebbri di potere. Ma il mondo non poteva accettare un simile diktat e nei sei anni successivi la Germania fu combattuta e vinta dalle così dette nazioni libere e dai popoli in rivolta. E nel 1945 i codici riesumati vennero definitivamente distrutti. Il prezzo pagato fu altissimo, ma il sacrificio non inutile. Sconfitti, distrutti, umiliati e smembrati, i tedeschi si accorsero finalmente della verità e iniziarono la ricostruzione del paese con altri concetti e altre filosofie. Capirono poco a poco l'arretratezza del loro pensiero e misero la loro intelligenza e il loro senso pratico al servizio di nuovi progetti. La rinascita economica avvenne senza miti e senza eroi, al furore nazionalistico venne preferita l'abbondanza delle merci. La nuova cultura della Germania si trovò dunque ad operare in un paese rinnovato e a confrontarsi con altri problemi. Gli scrittori, i cineasti, i musicisti, gli architetti, i filosofi, trattarono finalmente problemi reali. Ciò che a loro non piaceva non era più l'autoritarismo del governo o delle classi dominanti, ma la passiva mediocrità della vita. La banalità dei rapporti umani, l'imitazione di modelli consumistici decodificanti. L'emarginazione non sociale, ma intellettuale. In un paese pieno di benessere, emergeva la tragedia della solitudine e della disperazione di ceti incapaci di capirsi. A quel punto anche il teatro didattico e politico di Bertolt Brecht non serviva più. Il nemico storico di un tempo era scomparso fra le macerie delle città distrutte. Il lavoro di Pina Bausch si sviluppò in questa situazione di crisi esistenziale. Ella volle darci una immagine della realtà tedesca, del modo di comportarsi dei tedeschi, delle propensioni dei tedeschi, nella maniera più diretta e fuori da ogni amabilità o falsificazione. E partì, come era ovvio, dalla esemplificazione del cattivo gusto teutonico, quello che i nazisti avevano colorato di sentimentalismo e di evasione. Trasformandosi da ballerina prima classica e poi moderna in una sorta di nuova Giovanna d'Arco, Pina Bausch partì lancia in resta contro i moderni Filistei. Il bersaglio della sua critica si estese, cammin facendo, in virtù di un coinvolgimento che andava al di là dei confronti nazionali. Sprovincializzandosi, la coreografa ampliò il suo messaggio in ammonimento: tutti noi, infatti, siamo destinati a specchiarci nella inconsistenza di una società esibizionista e snazionalizzata, che non si identifica più nei modelli dei padri. Nel 1973 Pina Bausch venne chiamata a dirigere il Tanztheater di Wuppertal (c'è una tradizione di questo tipo in Germania, dai tempi di Kurt Jooss a Essen) e iniziò a costruire la sua compagnia. La signora non è mai stata molto loquace, e neppure esplicativa, per cui non è facile sapere quali sono stati i passi compiuti nella direzione di una nuova danza, nei primi anni di lavoro in quella città non affascinante, ma neppure obbligante nel senso tradizionale delle consolidate preferenze di pubblico. Certo è che la coreografa, intelligentemente, evitò di rompere subito i legami col passato. Volle nella compagnia artisti che fossero danzatori e in prospettiva attori. Per chiedere loro delle prestazioni inedite, o per lo meno per poterli inserire nelle sue tematiche più ardite. Può apparire singolare il fatto che nei primi suoi titoli siano state usate musiche di autori riconosciuti come Mahler, Glück e Stravinsky, prima del passaggio a elaborati collages musicali. Ma è anche vero che non si può, in un sol volo, passare al di là delle frontiere e congiungersi a certi ideali di rinnovamento. Subito dopo, entreranno in scena Kurt Weill e Bela Bartok, e si potrà definire, almeno per un certo periodo, la Bausch come una neoespressionista. [...] Gli spettacoli di Pina Bausch non sono solo balletti, non sono solo teatro, non sono happening (al contrario, sono costruiti in ogni dettaglio dal ragionamento), non sono performance, non sono politica, non sono filosofia, non sono provocazione ortodossa, non ammettono etichette. Sono tutto, come tutto è la vita e come tutto è l'arte. La loro diversità e il loro fascino ci congiungono a un totale spirituale che ha merito di farci pensare, partecipare e dissentire. Prendiamoli come un omaggio alla nostra intelligenza, e facciamo l'autocritica. Mai metafore sono state così vere e pungenti, e per i colpevoli imbarazzanti. Tratto da: Programma di sala, Antologia, Pina Bausch, Tanztheatre Wuppertal, direzione artistica Pina Bausch, Anno europeo della musica, Gran Teatro La Fenice in coproduzione con La Biennale di Venezia Settore Teatro, 14 maggio - 15 giugno 1985. Foto di scena, La sagra della primavera di Pina Bausch, Teatro La Fenice 1985 24 A quest'assolo decisivo e sconvolgente - vero e proprio rito di possessione - si giunge attraverso lo sviluppo di un'azione intensamente coreografica, condotta nel linguaggio di una danza impregnata di sensualità, ma filtrata in una catarsi purificatrice, stagliata nelle forme di un vigore drammatico che mai si stempera nel lirismo. Nella mitica arena che accoglie l'universale e atemporale lotta tra i sessi (gli uomini da una parte, le donne dall'altra, sempre contro e sempre insieme negli spettacoli di Pina Bausch) si tracciano le linee ansanti e frenetiche di una coreografia rigorosamente riflessiva rispetto alla monumentale partitura di Stravinsky, e altrettanto violenta ed essenziale. Gigantesco affresco coreografico di una lotta vana contro la morte, una lotta senza quartiere e senza speranza - e significativamente concentrata nell'immagine di una donna sola di fronte al proprio gruppo sociale, simbolo dell'atroce espiazione di un'incolmabile impulso alla libertà individuale -:- questo Sacre du printemps si propone a tutt'oggi come un sublime «biglietto da visita» di Pina Bausch coreografa, che vi si afferma e vi si conferma tale in tutta la sua autorevolezza e originalità. La sagra della primavera di Pina Bausch È nel 1975 che Pina Bausch presenta per la prima volta la sua versione coreografica del Sacre du printemps di Stravinsky, inclusa all'interno di una serata che sotto il titolo complessivo di Frühlingsopfer riunisce tre balletti stravinskiani (Wind von West e Der zweite Fruhling, oltre al Sacre). Secondo il critico tedesco Jochen Schmidt, che ha seguito il lavoro di Pina Bausch fin dagli inizi, il Sacre rappresenta il vertice del ciclo «ballettistico» della coreografa di Wuppertal: a partire dal '76, con l'allestimento della serata dedicata a Brecht Weill, la Bausch avrebbe infatti cominciato ad avventurarsi verso zone espressive già scevre dai condizionamenti strutturali del balletto. Il Sacre, secondo Schmidt, rappresenterebbe quindi un culmine qualitativo atto a segnare la chiusura della fase produttiva specificamente «coreografica» di Pina Bausch, prima della svolta verso il teatro-danza degli spettacoli successivi, e dopo un itinerario marcato da balletti tradizionalmente strutturati nelle forme della danza moderna (come il ciclo gluckiano di Iphigenie auf Tauris, 1974, e Orpheus und Eurydike, 1975). Creazioni che, a dire di Schmidt, «erano eccezionali per qualità, ma senza offrire spunti in grado si superare i confini del balletto come genere». Da parte sua Pina Bausch, che sempre rigetta i giudizi critici improntati a un atteggiamento storicistico, nega radicalmente la progressione evoluzionista del proprio itinerario espressivo. Il Sacre, sostiene, non è che una delle «facce» del suo lavoro, e in questo senso è opera tuttora pienamente significativa del suo mondo di creatrice, e per nulla disgiunta dal significato delle successive creazioni. Per questo il Sacre non è mai uscito dal repertorio del Tanztheater Wuppertal, ed è anzi uno dei pezzi più rappresentati nelle tournée internazionali della compagnia. Tratto da: Programma di sala, Antologia, Pina Bausch, Tanztheatre Wuppertal, direzione artistica Pina Bausch, Anno europeo della musica, Gran Teatro La Fenice in coproduzione con La Biennale di Venezia Settore Teatro, 14 maggio - 15 giugno 1985. «II Sacre è un pezzo di Stravinsky», afferma Pina Bausch, «e per me la cosa più importante era cercare di capire perché Stravinsky aveva composto il Sacre. Nel Sacre non avevo da aggiungere altro, perché era già tutto lì, dentro la musica. C'è una fanciulla, l'Eletta. E questa fanciulla deve danzare, da sola, per morire». Punto di partenza e significato ultimo del Sacre, nella concezione dell'autrice, coincidono dunque nella musica. È su questo essenziale presupposto che la versione Bausch del capolavoro stravinskiano va intesa: fusione totale tra danza e musica, proiezione assoluta tra partitura coreografica e musicale. Strutturalmente in conti tornano: l'interpretazione di Stravinsky operata dalla Bausch è cristallina. E se il linguaggio utilizzato è quello della danza propriamente detta, l'inevitabilità di quest'adozione di codice è data per scontata dall'autrice: come a dire che solo nella danza e attraverso la danza una lettura teatrale del Sacre può avere luogo. Pina Bausch spoglia la sua versione da ogni figurativismo di tipo folklorico: restando fedele alla successione scenica dell'originale, ma liberandola dai riferimenti ai «Quadri della Russia pagana» (sottotitolo della prima versione del balletto stravinskiano, 1913). Il Sacre risulta così proiettato in un'ambientazione senza tempo e senza storia, dove l'argilla che inonda il palcoscenico imprime all'azione un sapore aspro e potente, da rito tribale primigenio. Essenziali e astorici anche i costumi: camiciole color carne per le donne; pantaloni neri per gli uomini, a torso nudo. All'inizio una donna giace sopra un vestito rosso: l'abito del sacrificio. Questa veste scarlatta, passata di mano in mano, da una fanciulla all'altra, rappresenterà un test emblematico per tutta la durata del pezzo: ogni donna, evidentemente, potrebbe essere la prescelta. E sarà l'Eletta, alla fine, ad indossarla, per morire. Di fronte all'orrore del sacrificio imposto, danzerà lacerata in un violentissimo assolo, tra panico esplicito, sussulti e smarrimenti, crudi fremiti di rivolta: autentica furia di tensione nervosa, capace di emanare, con tutta se stessa, una feroce volontà di fuga rispetto al proprio destino. Foto di scena, La sagra della primavera di Pina Bausch, Teatro La Fenice 1985 25 Scheda del video proposto durante il primo appuntamento martedì 29 ottobre 2013 Sale apollinee del Teatro La Fenice ore 16.30 Le Sacre du printemps scene dalla Russia pagana Musica: Igor Stravinsky Coreografia: Valslav Nijinskij (1913) Ricostruzione e regia: Millicent Hodson Scene e costumi: Nicholaj Roerich Ricostruzione e supervisione: Kenneth Archer Luci: Vladimir Lukin Interpreti: L’eletta: Alexandra Iosifidi, L’anziana: Elena Bazhenova, Il saggio: Vladimir Ponomarev Corpo di ballo e Orchestra del Teatro Mariinsky Direttore Valery Gergiev Teatro Mariinsky di San Pietroburgo, giugno 2008 Scheda del video proposto durante il secondo appuntamento mercoledì 30 ottobre 2013 Sale apollinee del Teatro La Fenice ore 16.30 Le Sacre du printemps scene dalla Russia pagana Musica: Igor Stravinsky Coreografia: Maurice Béjart Scene e costumi: Pierre Caille Corpo di ballo Béjart Ballet Lausanne Anno: 2008 Scheda del video proposto durante il terzo appuntamento giovedì 31 ottobre 2013 Sale apollinee del Teatro La Fenice ore 16.30 Le Sacre du printemps scene dalla Russia pagana Musica: Igor Stravinsky Coreografia: Pina Bausch Scene e costumi: Rulf Boezik Luci: Pat Kullach Regia: Pa Weyrich Orchestra e corpo di ballo Wuppertal Opera Direttore: Pierre Boulez 26 FeniceBiblioMedia Fra le sezioni di FBM a disposizione del pubblico, quella dedicata alla danza, è particolarmente ricca grazie, anche al materiale che il consulente artistico per la danza del Teatro La Fenice M° Franco Bolletta ha fornito alla sezione education del Teatro. Qui di seguito un estratto dei materiali che sono a disposizione presso la FBM dell’area formazione & multimedia. Sono a disposizione, in sede, dvd, cd, libri per approfondire il tema trattato in questa dispensa. Un jour Pina a demandé..., cor. Pina Bausch, corpo di ballo Wuppertal Tanztheater, 1983 Dominique Mercy danse Pina Bausch, documentario sul danzatore con interviste ed estratti di coreografie di Pina Bausch Les reves dansants - sur les pas de Pina Bausch, cor. Pina Bausch, regia Anne Linsel, Germania 2010 Per accedere al prestito e alla consultazione, per appuntamento, potete inviarci una email a [email protected] Pina, documentario dedicato a Pina Bausch, regia Wim Wenders, Germania 2011, (contiene il Back stage del film) Dvd: The kirov celebrates Nijinskij (Shérazade, Le spectre de la rose, The polovtsian dances, Firebird, cor. Mikhail Fokinee, rip. Isabelle Fokinee e Andris Liepa, Kirov Ballet Libri: Storia della danza e del balletto, Alberto Testa, Gremese editore, Roma 1988 Le sacre du printemps, cor. Maurice Béjart, corpo di ballo Le Ballet du XX siécle, musica di I. Stravinsky 1989 Danza e balletto, Mario Pasi, Domenico Rigotti, Ann Veronica Tunbull, Jaca Book editore, Milano aprile 1998 Ring um den Ring, uno spettacolo attorno al Ring, cor. Maurice Béjart, musica di R. Wagner, Béjart Ballet Losanne, Teatro La Fenice, 1990 L’abc del balletto, la storia, i passi, i capolavori, Marinella Guatterini, Mondadori editore 1998 Piaf (1988), ... Et valse (1987), L'oiseau de feu (1950), Le sacre du printemps (1959), cor. Maurice Béjart, musiche di I. Stravinsky, C. Debussy, M. Ravel, canzoni di E. Piaf, Béjart Ballet Losanne, Marzo 1989 Balletto e danza moderna, Susan Au, Skira Rizzoli 2003 Storia del balletto, Antoine Goléa, Eri 1967 The Art of the 20th-Century Ballet, cor. Maurice Béjart , M. Ravel (Boléro), G. Mahler (Adagietto [sic] e Ce que l’amour me dit), corpo di ballo Ballet du XXe Siècle, 1985 Danza 2005, Béjart Ballet Lausanne, Ballett de L'Opera National de Paris Pina Bausch, programma di sala, Fondazione Teatro La Fenice di Venezia 2005 Lo schiaccianoci, cor. Maurice Béjart, musica di P.I. Caikovskij, copro di ballo Béjart Ballet Lausanne, Theatre Musical de Paris Cahtelet, 2000 Balletto del XX secolo, stagione lirica 1968-1969, programma di sala, Ente Autonomo Teatro La Fenice di Venezia Romeo et Juliet, cor. Maurice Béjart, musica di Hector Berlioz, copro di ballo dell’ Opera National de Belgique, Firenze Giardino Boboli, 1972 Béjart, Ballet Lausanne, programma di sala, Teatro La Fenice, 1989 27