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Non c’è niente di più deprimente per una donna di mezza età in preda a pene d’amore e con la testa mezza spelacchiata del ritrovarsi in una località marittima inglese in periodo di bassa stagione. Il vento schiaffeggiava il lungomare,
facendo svolazzare brandelli di cartelloni che annunciavano
piacevolezze estive, e ondate gigantesche riempivano l’aria
di spruzzi.
Agatha aveva perso i capelli quando una parrucchiera
vendicativa glieli aveva lavati con un sapone depilatorio anziché con lo shampoo. Erano ricresciuti a ciuffi, lasciando
chiazze nude alquanto spiacevoli sul cranio. Agatha, che
non voleva farsi vedere in quello stato da James Lacey, l’amore della sua vita appena rientrato da uno dei suoi viaggi,
era fuggita da Carsely trovando rifugio nella cittadina turistica di Wyckhadden, e qui attendeva che i capelli ricrescessero come nuovi.
Aveva prenotato all’hotel Giardino, presentato come
“piccolo ma esclusivo”. Adesso rimpiangeva di non aver
scelto un altro albergo tutto di plastica, vivace e moderno.
L’hotel Giardino non era cambiato un granché dall’epoca
vittoriana. I soffitti erano alti, la moquette spessa e i muri
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molto solidi, così che l’albergo finiva per essere silenzioso e
tranquillo quanto un sepolcro. Gli altri ospiti erano anziani
e nessuno si trova maggiormente a disagio tra gli anziani di
una donna di mezza età in rapido avvicinamento a quella
fase conclusiva della vita. Agatha all’improvviso riuscì a capire come mai gli uomini di mezza età spesso cominciassero
a mostrarsi in jeans, stivali da cowboy e giubbotti in pelle
e si mettessero alla caccia di roba giovane con cui farsi vedere a braccetto. Agatha camminò un sacco, determinata a
dimagrire e a mantenersi agile.
Le bastò guardarsi attorno una sola volta nella sala da
pranzo del Giardino, le bastò un’occhiata agli altri clienti
per prendere in considerazione l’utilità di un lifting facciale.
La cittadina di Wyckhadden si era sviluppata durante un
boom alla fine del Diciannovesimo secolo, ed era rimasta
popolare ancora per parte del Ventesimo, ma con l’avvento dei viaggi all’estero a poco prezzo i turisti erano diminuiti. Perché trascorrere le vacanze in Inghilterra sotto la
pioggia quando la solatìa Spagna era appena a un’ora di
volo?
E così in quella giornata ventosa, due giorni dopo il
suo arrivo, Agatha stava camminando a passo di carica sul
lungomare deserto, la testa bassa per fendere il vento, e si
chiedeva quanto avrebbe impiegato per trovare un posto
riparato in cui godersi una sigaretta, rimuovendo dai polmoni un po’ dell’ossigeno in eccesso.
Si allontanò dal rumore incessante delle onde e risalì
un vicoletto lastricato in ciottoli, dove i vecchi cottage dei
pescatori erano stati ridipinti in colori pastello come le case
di un paesino italiano, e avevano nomi aggraziati tipo Casa
Dolce Casa, Approdo dell’Errante, Rifugio e così via, a dimostrazione che erano stati acquistati da pensionati bene2
stanti. Il turismo poteva anche essere in declino, ma i prezzi
delle proprietà nelle località marittime del Sud dell’Inghilterra erano ancora alti.
Agatha arrivò davanti a una sala da tè, e stava per entrare quando vide sulla porta il cartello di divieto di fumo.
Agatha aveva letto sui giornali che il governo minacciava
di vietare per legge il fumo nei pub. Non una parola sui
rischi dell’alcol, pensò barcollando a causa di una raffica
di vento particolarmente violenta. I fumatori non finiscono
fuori strada con l’auto, non tornano a casa e picchiano le
mogli. Gli ubriachi sì. E Agatha pensò che, con l’aria sempre più inquinata dai gas di scarico delle auto, quella del
fumo era diventata una questione politica. La sinistra era
contraria al fumo, la destra a favore e la massa che stava
in mezzo e aveva smesso di fumare voleva che tutti soffrissero.
Vide all’angolo della strada un pub che si chiamava Cani
e Anatre. Aveva l’aria di essere antico e piacevole, con i
muri imbiancati a calce e travi nere e ceste appese che oscillavano nel vento. Spinse la porta ed entrò.
L’interno smentiva l’esterno. Era buio e triste: tavoli
macchiati, pavimento di linoleum, e se anche era in funzione un po’ di riscaldamento, Agatha non lo sentiva affatto.
Era entrata per prendere un caffè, e i pub ormai servono
caffè, ma era talmente giù di morale che ordinò, invece, un
doppio gin tonic. “Non abbiamo ghiaccio,” disse il barista.
“Non ne avete bisogno,” lo rimbeccò Agatha. “Qui dentro si gela.”
“L’unica che si è lamentata è lei,” disse quello, prendendo i soldi.
Dovrebbe stare scritto sulla bandiera britannica, pensò
acidamente Agatha. “L’unica che si è lamentata è lei” era
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l’immancabile risposta al cliente un filino meno timido che
si azzardava a protestare per qualcosa.
Forse Agatha avrebbe dovuto ammettere la sconfitta e
tornare a casa. Si accese una sigaretta. Il pub era quasi vuoto. C’erano solo lei e una coppia che parlava a bassa voce in
un angolo, tenendosi per mano e guardandosi negli occhi
con la triste intensità degli adulteri. Probabilmente si sono
dati appuntamento qui, pensò Agatha, contando sul fatto
di non essere beccati da nessun conoscente.
Deve pur esistere una qualche forma di vita in questa
città.
La porta del pub si aprì di colpo ed entrò un tizio alto.
Agatha lo studiò, mentre l’uomo si avvicinava al bancone. Indossava un soprabito lungo e scuro. Aveva una faccia
lugubre e grandi occhi slavati sotto le palpebre pesanti. I
capelli erano neri come il cuoio verniciato, appiattiti sul
cranio in un riportino. Il tipo ordinò da bere e poi si girò
a guardare Agatha, incuriosito. Non era certo un Adone,
eppure Agatha all’improvviso si ritrovò a essere in imbarazzo, consapevole di avere la faccia arrossata dal vento e la
testa coperta da un foulard perché non aveva avuto voglia
di mettersi la parrucca.
L’uomo si avvicinò al suo tavolo, incombendo su Agatha.
“È qui in vacanza?” s’informò.
“Sì,” rispose Agatha, tagliando corto.
“Non ha scelto una gran bella stagione.”
“Non ho scelto un gran bel posto,” lo rimbeccò Agatha.
“Penso che la gente venga qui solo a morire.”
Gli occhi slavati del tizio brillarono divertiti. “Oh, non
è che ci manchino gli svaghi. Stasera si danza nella sala da
ballo sul molo.” Si sedette di fronte a lei.
“E come diavolo ci arriva, la gente?” chiese Agatha.
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“Con questo tempo a salire sul molo si può star certi di
volare via.”
“Sa che cosa le dico? Ce la porto io.”
“Ma se non la conosco neanche!”
Lui tese la mano. “Jimmy Jessop.”
“Allora, signor Jessop… “
“Jimmy.”
“D’accordo, Jimmy. Sono un po’ troppo vecchia per farmi rimorchiare da uno sconosciuto in uno squallido pub.”
Lui parve divertito dalle occhiatacce inceneritrici di
Agatha e dai suoi modi altezzosi. “Certo che se si comporta abitualmente così, lo credo che non si diverte mai. Quali
terribili cose le potrebbero succedere qualora accettasse il
mio invito a un ballo? Probabilmente siamo coetanei, quindi è difficile che io tenti di denudarmi e di violentarla.”
“Non è necessario denudarsi per violentare qualcuno.”
“Non saprei, non ci ho mai provato.”
All’improvviso Agatha immaginò un’altra triste serata
solitaria all’hotel Giardino.
“Oh, d’accordo, perché no. Sono Agatha Raisin. Signora Agatha Raisin. Alloggio all’hotel Giardino.”
“C’è anche un signor Raisin?”
“È morto.”
“Mi dispiace.”
“A me no.”
L’uomo sembrò sorpreso ma poi disse: “La passerò a
prendere alle otto. Il molo è vicino all’albergo, dunque possiamo andarci a piedi. Posso offrirgliene un altro?”. Indicò
il bicchiere di Agatha, ormai vuoto.
“No, mi sa che devo tornare all’albergo.” Agatha voleva
solo allontanarsi dal tizio e chiudersi in camera a riflettere
se fosse il caso di andare o no a quel ballo. Se avesse cam5
biato idea, avrebbe sempre potuto lasciargli un messaggio
alla reception con cui gli comunicava di essere indisposta.
Prese la borsetta e i guanti. Lui si alzò e le tenne aperta
la porta del pub.
“A stasera,” disse Jimmy Jessop. Agatha borbottò qualcosa e sgattaiolò via.
Tornata nella sua camera d’albergo, Agatha si piazzò
davanti allo specchio a figura intera appeso sull’anta del
guardaroba, e studiò l’immagine riflessa per scoprire cosa
mai avesse potuto spingere uno sconosciuto a invitarla a
uscire. La testa era strettamente fasciata da un foulard, la
faccia priva di trucco era lustra, il naso ancora arrossato
dal freddo. Gli occhietti parevano ancora più piccoli del
solito. Si levò il cappotto e il foulard e contemplò incupita
le ciocche di capelli sul cranio pelato. No, quel tizio doveva
essere un pervertito. Non sarebbe uscita con lui. Agatha
guardò l’orologio. Era quasi ora di pranzo. Si lavò la faccia
e poi si sedette alla toeletta a forma di rene, con specchio
triplo e una balza in seta verde che faceva pendant con il
tessuto di seta, verde e scivoloso, messo a coprire il lettone
matrimoniale. La toeletta di una ragazza emancipata negli anni venti, pensò Agatha. Chissà se nell’albergo esisteva qualche pezzo d’arredamento nuovo. Agatha si truccò
con cura e poi indossò una parrucca di capelli castani e
lucidi. Non male, rifletté. Se Jimmy Jessop l’avesse vista adesso…
Riprese la borsetta e poi un libro in edizione economica
da usare come barriera nell’eventualità che uno dei pazienti
geriatrici della sala da pranzo tentasse di avviare una conversazione, e scese le scale coperte da una spessa passatoia
color rosso di Adrianopoli, e con le alzate in ottone. Un
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vivido raggio di sole fendette un finestrone dai vetri colorati
che si apriva sul pianerottolo, e proiettò chiazze variopinte
sulla moquette delle scale.
La sala da pranzo aveva i soffitti alti e lunghe finestre
affacciate sul mare.
Agatha prese posto al tavolo in un angolo e osservò di
nascosto gli altri ospiti. C’era un tipo anziano che le cameriere chiamavano “colonnello”. Aveva una bella testa di capelli candidi, e la faccia rugosa e abbronzata. Era alto e diritto, indossava una giacca di tweed vecchiotta ma di buon
taglio. Una dama dalla chioma di un biondo improbabile
stava lanciando occhiate al colonnello, tentando palesemente di attirare la sua attenzione. La donna era incipriata con
dovizia, le labbra di un rosso squillante. Si era messa addosso una casacchina scollata che mostrava una porzione
eccessiva di collo grinzoso e pieno di lentiggini. C’era un
altro uomo, un piccoletto dall’aria bisbetica e con la “gobba
della vedova”. E poi c’erano due donne anzianotte, una alta
e mascolina nel suo completo di tweed, l’altra piccola ed
esile con l’aria da coniglietto.
Una pubblicità perfetta per l’eutanasia, pensò acidamente Agatha.
Servirono il pranzo, buona e solida cucina inglese. Quel
giorno il piatto principale era filetto di maiale glassato al
miele, servito con salsa di mele, cipolle, patate al forno, patate lesse, cavolfiore gratinato al formaggio e piselli.
Fu seguito da un toffee pudding con un mucchio di panna densa del Devon. Agatha divorò tutto quanto, e gemette
nel sentir tirare la gonna sulla pancia. Adesso le toccava
uscire per un’altra lunga camminata, o sarebbe rimasta letargica e appesantita per il resto della giornata.
La marea si era ritirata, quindi questa volta Agatha scese
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sulla spiaggia di ciottoli, dove si gonfiavano e frangevano
grandi onde grigio-verdastre.
Le tornò in mente all’improvviso una poesia imparata
a scuola.
Ma adesso altro non sento
se non la sua malinconia, un lungo ruggito
che si ritira al respiro del vento notturno,
lungo i desolati margini
e i nudi ciottoli del mondo.
Agatha si rallegrò. Era meraviglioso riuscire a ricordare
le cose, anche se si trattava solo di un frammento di poesia.
Era una delle sue paure, quella di poter perdere, un giorno
o l’altro, i ricordi.
Le onde avevano un che di ipnotico nel loro incessante
saliscendi. Il vento si stava placando a poco a poco e la
luce pallida del sole dorava la superficie inquieta del mare.
Camminò per diverse miglia prima di tornare in albergo,
sentendosi ritemprata e piena di energie. Ma sì, tanto valeva andarci al ballo sul molo con il misterioso Jimmy Jessop.
Era un evento inaspettato, un pizzico d’avventura.
Ormai aveva già deciso quando nell’atrio dell’albergo
le venne incontro la donna bionda che le disse con voce
flautata: “Non ci siamo ancora presentate. Sono la signora
Daisy Jones”.
Agatha tese la mano. “Agatha Raisin.”
“Allora, signorina Raisin.”
“Signora.”
“Signora Raisin. Il colonnello, ovvero il caro colonnello
Lyche, ha proposto di fare tutti quanti una partita a Scarabeo, dopo cena. Siamo così in pochi. La signorina Jennifer
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Stobbs e la signorina Mary Dulsey sono giocatrici molto
appassionate. E il signor Harry Berry di solito ci batte sempre tutti.”
“Molto gentile da parte vostra,” disse Agatha, ritraendosi, “ma ho un impegno.”
“Quando l’ho vista, signora Raisin, ho immaginato subito
che lei fosse una donna d’affari. Ho detto al colonnello…”
“Intendo dire che ho un appuntamento. Con un uomo.”
“Oh, davvero? Allora un’altra volta, magari.”
Agatha fuggì in camera. Un ballo sul molo era di sicuro
infinitamente preferibile a una serata passata a giocare a
Scarabeo con quella compagnia!
Alle sette alzò il telefono e ordinò che le servissero in
camera dei tramezzini e una bottiglia di acqua minerale.
Quando dieci minuti dopo entrò scricchiolando l’anziano cameriere, Agatha gli diede una mancia sontuosa perché
il poverino sembrava troppo vecchio e fragile per poter portare uno dei pesanti vassoi in argento massiccio che l’albergo usava per il servizio in camera.
Mangiò alla svelta e poi si vestì con una camicetta da sera
e una gonna di velluto nero. Si sistemò con cura la parrucca
e si truccò il viso. Poi spalancò l’anta del guardaroba. In un
altro tipo di albergo, questo armadio l’avrebbero magari
trasformato in una stanza, pensò Agatha. Era uno di quegli
enormi guardaroba vittoriani in mogano. Lì appesa c’era
la sua pelliccia di visone. La tirò fuori, accarezzandone il
pelo. Era il caso di metterla? O qualche militante animalista
le avrebbe sputato addosso tentando di strappargliela? Era
saggio esporla ai rischi del guardaroba della sala da ballo sul
molo? Se avesse optato per un cappotto di panno, avrebbe
dovuto indossare un cardigan sopra la camicetta da sera.
Con una sensazione peccaminosa si drappeggiò addosso
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il visone ricordando di averlo comprato nei giorni del bel
tempo che fu, quando le pellicce erano di moda. Poi si legò
sotto il mento un foulard in seta per ancorare la parrucca.
C’era il rischio che il vento tornasse a soffiare forte.
Quando scese al piano terra trovò Jimmy in attesa
nell’atrio, in camicia bianca da sera e smoking sotto un altro cappotto lungo e nero.
“È un appuntamento elegante?” chiese Agatha.
“Ci vestiamo sempre eleganti a Wyckhadden,” disse Jimmy Jessop. “Siamo abbastanza all’antica.”
“Che genere di ballo è?” s’informò Agatha. “Da discoteca?”
“No, un ballo da sala.”
Mentre percorrevano il molo, Agatha vide un manifesto.
ballo alla moda antica, diceva. E poi, in caratteri più
piccoli: pensionati anziani, ingresso a metà prezzo.
Questo posto mi farà invecchiare anzitempo, pensò Agatha, pentendosi di colpo di essere venuta.
Consegnarono all’ingresso i loro cappotti e poi entrarono nella sala. I ballerini erano tutti di mezza età o anzianotti, impegnati in un vivace two-step militare. “Balliamo?”
propose Jimmy. Agatha guardò con desiderio in direzione
del bar. “Prima berrei volentieri qualcosa.”
“Ben detto.” La condusse al bar. “Un gin tonic?”
Agatha annuì. Lui prese i bicchieri e andarono a sedersi
a un tavolino vicino alla pista.
Venne a unirsi a loro una coppia, una stangona rossa
con tanti capelli, seno prosperoso e occhi duri, talmente
pieni di mascara che sembrava avesse due ragni sdraiati
sulla faccia. Il suo compagno era un ometto con la giacca di
un rosso sgargiante e pantaloni bianchi. “Come se la passa
il nostro Jimmy?” chiese la rossa.
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“Agatha,” disse Jimmy, “le presento Maisie e Chris Leeman. Agatha Raisin.”
“Vi spiace se ci sediamo qui con voi?” chiese Maisie, e
lei e Chris presero due sedie e si sedettero anche se nessuno li aveva invitati a farlo. “Vammi a pigliare un brandy e
Babycham, Chris, amore caro,” disse Maisie. Si rivolse ad
Agatha. “Non ci siamo mai viste.”
“Sono qui in vacanza,” disse Agatha.
“Dove alloggia?”
“Al Giardino.”
“Oh, una roba da signoroni.” Diede un colpetto nelle
costole a Jimmy. “Ti sei preso una vedova con i soldi, eh?”
Ma che gente orribile, pensò Agatha. Se solo potessi fuggire. Chris tornò con le bevande. Chiese ad Agatha che
cosa ci facesse a Wyckhadden e lei spiegò un’altra volta di
essere lì in vacanza.
“Strano posto per una vacanza. La maggior parte delle
persone viene qui a morire.” Chris diede un colpetto nelle
costole a Maisie e quella rise come una pazza.
“Balliamo, Agatha?” propose Jimmy.
“Sì, grazie.” Agatha si alzò e con gratitudine si unì a
Jimmy nel valzer di san Bernardo. Perché sono così snob? si
innervosì Agatha. Però Chris e Maisie non li reggo proprio
e se questo è il genere di amici che ha Jimmy, dopo stasera non intendo più vederlo. Jimmy ballava con destrezza,
scambiando saluti con altre coppie impegnate sulla pista.
Sembrava conoscere un mucchio di gente, ma d’altra parte Wyckhadden era un posto piccolo. “Vive qui da molto
tempo?” s’informò Agatha, eseguendo un’elegante piroetta.
Incredibile come ci si ricordasse dei passi.
“Da tutta la vita,” disse lui.
“Non le ho mai chiesto se è sposato.”
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“Lo ero,” disse Jimmy. “Lei è morta.”
“Da molto tempo?”
“Dieci anni.”
“Ha figli?”
“Due. Un figlio di ventotto anni e una figlia di trentadue.”
“E cosa fanno nella vita?” domandò Agatha, chiedendosi se ci fosse un modo per allontanarlo da Chris e Maisie,
alla fine del ballo.
“John, mio figlio, è ingegnere. Celibe. Joan è sposata a
un professore dell’università dell’Essex. Hanno due bambini. Sono molto felici.”
La danza finì. Fu annunciato un tango. Con sollievo
Agatha vide Chris e Maisie scendere in pista.
Jimmy e Agatha tornarono al tavolo. Una coppia passò
danzando davanti a loro. “Jimmy, ti sei preso una serata
libera, lontano dai cattivi?” gridò la donna.
Lui rise e fece segno di sì con la testa.
“Che cosa intendeva dire?” chiese Agatha.
“Sono un ispettore di polizia.”
Ad Agatha brillarono gli occhi. “Io sono un’investigatrice dilettante,” disse. E procedette a raccontargli, ricamandoci su parecchio, alcuni dei molti casi di cui si era occupata. Era talmente presa dalle sue storie che le sfuggì il disagio
di Jimmy, sempre più evidente.
Era proprio nel bel mezzo della narrazione di quella che
lei considerava un’appassionante descrizione di un omicidio
in cui era stata coinvolta, quando Chris e Maisie tornarono
al tavolo.
“Ti va di ballare, Maisie?” chiese Jimmy, senza apparentemente rendersi conto che Agatha stava ancora parlando.
Agatha arrossì per l’umiliazione mentre Jimmy accompagnava Maisie sulla pista. “Balliamo?” propose Chris.
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“Perché no?” rispose Agatha, incupita.
Chris si rivelò uno di quei ballerini esibizionisti tutti salti
e scivolate apparentemente privi di alcun rapporto con la
musica. Profumava di Old Spice a tal punto che Agatha
immaginò ci avesse fatto il bagno, dentro quella roba.
Per il resto della serata Jimmy continuò a presentare
Agatha ad altre coppie e in qualche modo Agatha finiva
sempre per ballare con il lui di turno mentre Jimmy faceva
ballare la donna. Agatha era ferita. Un ispettore di polizia
sarebbe dovuto andare in estasi nello scoprire che lei era
una sua collega, una cacciatrice di criminali.
La serata finì. Jimmy aiutò Agatha a infilarsi la pelliccia
di visone e la condusse fuori. Il vento era tornato a soffiare
con forza. Il molo era spazzato da raffiche rabbiose e le luci
che lo decoravano ballonzolavano nell’aria. Agatha frugò
nella tasca della pelliccia alla ricerca del foulard. Ma quando lo tirò fuori e tentò di metterselo in testa il vento glielo
strappò dalle mani e lo spedì volteggiante in mare.
“Oh, cielo,” si lagnò Agatha. “Era il mio foulard migliore.”
“Cosa?” gridò lui, tentando di farsi sentire al di sopra
dell’urlo del vento e del rumoreggiare del mare.
“Ho detto che…” E poi Agatha lanciò un altro strillo.
Perché una raffica di vento traditrice le aveva strappato anche la parrucca. Questa rimase impigliata nella ringhiera
del molo e Agatha corse a recuperarla. Ma nell’istante in cui
allungò la mano, un’altra raffica la liberò dalla ringhiera, e
la parrucca fu trascinata via nel buio ruggente della notte.
Agatha tornò da Jimmy, cercando di coprirsi le orecchie
tirando su più che poteva il collo della pelliccia. Le luci
oscillanti del molo mettevano in evidenza lo stato pietoso
dei suoi capelli.
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“Ho perso la parrucca,” piagnucolò Agatha.
“Mia moglie ci è morta, di cancro,” gridò Jimmy.
“Non ho il cancro,” gemette Agatha.
Camminarono in fretta e in silenzio, fianco a fianco, fino
all’albergo di Agatha. Al riparo del portico d’ingresso lei
disse: “Grazie per la piacevole serata. Mi perdoni se non la
invito a bere qualcosa, ma sono molto stanca”.
“Spero che lei possa godersi il resto della vacanza,” disse
Jimmy, tutto rigido, e con ciò si girò e se ne andò. La signora Daisy Jones era nell’atrio quando Agatha lo attraversò a
testa bassa, strisciando in direzione delle scale.
“Buonasera, signora Raisin.”
Per tutta risposta Agatha emise un grugnito e poi corse
su per i gradini. Si tuffò nella sua stanza come un animale nella tana. Un’oasi protetta. Che serata abominevole. E
quella parrucca le era costata un occhio della testa.
Venne colta da una sensazione di panico. Che cosa accidenti ci faceva, intrappolata in quell’albergo? Il giorno
dopo avrebbe lasciato la stanza e se ne sarebbe andata.
L’indomani mattina, Agatha stava finendo di far colazione quando vide venire verso il suo tavolo Daisy Jones. Sollevò il “Daily Mail” a mo’ di barriera, ma l’imperturbabile
Daisy esclamò allegramente: “Non ho potuto fare a meno
di notare i suoi capelli, ieri sera. Che cosa le è successo?”.
“Sono le conseguenze di una malattia dei nervi,” disse
Agatha, che non aveva più alcuna voglia di andare in giro
a vantarsi dei propri exploit.
Daisy si sedette, protendendosi attraverso il tavolo. Dosi
generose di cipria riempivano le rughe e le grinze della sua
faccia e la boccuccia sottile era pesantemente dipinta. “Conosco qualcuno che potrebbe aiutarla,” sussurrò.
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“I dottori assicurano che i capelli mi ricresceranno alla
svelta,” disse Agatha, con tono di sfida. La testa adesso
l’aveva avvolta in una sciarpa blu.
“Ha sentito parlare di Francie Juddle?”
“E chi sarebbe?” domandò Agatha.
“Allora…” Daisy fece un risolino e si guardò furtivamente attorno. “È la strega del villaggio, ma fa meraviglie. Ha
guarito Mary Dulsey dalle verruche.”
“E dove abita questa strega?”
“Nel cottage rosa di Partons Lane, proprio in fondo a
Wyckhadden. Se lei percorre tutto il lungomare e poi gira a
sinistra, lo trova. È il terzo cottage a partire dalla spiaggia.”
“La ringrazio,” disse Agatha, gentile ma sbrigativa.
“La provi. Possiede doti occulte. Stasera dopo cena faremo un’altra partita a Scarabeo, in sala. Si unisca a noi.”
“Se non avrò altri impegni,” disse Agatha, ritirando su
il giornale.
Una volta andata via Daisy, Agatha scoprì di essere incuriosita da quella strega. Una visitina avrebbe ravvivato la
giornata. E poi il solo pensiero di fare i bagagli per andare
da qualche altra parte la rendeva letargica.
Mezz’ora dopo, Agatha si avviò sul lungomare, avvolta
nella sua pelliccia di visone. Era una giornata grigia come
l’acciaio, senza un filo di vento. Grandi onde che parevano
fatte di vetro si arricciolavano sui ciottoli della spiaggia e
poi si ritraevano con un suono lungo e strascicato.
Le balenò davanti agli occhi il ricordo della sera prima.
Perlomeno era convinta che Jimmy non avesse perso interesse nei suoi confronti dopo aver visto volar via la parrucca. Aveva perso interesse nei suoi confronti molto prima. La
determinazione e l’energia di un tempo stavano tornando.
Al suo rientro a Carsely, James l’avrebbe vista felice, in sa15
lute, con una testa piena di capelli. Lungo la passeggiata a
mare c’erano parecchi gabbiotti vittoriani di vetro e ferro,
e gli anziani stavano lì dentro, addossati gli uni agli altri, a
contemplare le onde. Stanno aspettando l’arrivo della Morte, pensò Agatha con un brivido. Entra, Numero Nove, il
tuo tempo è scaduto.
Passò in fretta davanti ai vecchi, a testa bassa. In fondo al
lungomare c’era Partons Lane. Andò verso un cottage rosa
e bussò alla porta con il battente d’ottone, raffigurante una
testa di demonio.
Dopo qualche istante ad aprire la porta arrivò una donna
piccola e paffuta, dai lineamenti armoniosi e con gli occhi
grigi chiari. Aveva capelli neri folti, raccolti in uno chignon.
“Sì?”
Per un secondo, ad Agatha non venne in mente il nome di
Daisy. Poi s’illuminò in viso. “Daisy Jones dell’hotel Giardino
mi ha detto che forse lei sarebbe stata in grado di aiutarmi.”
“Di solito gli appuntamenti si prendono per telefono,”
disse Francie Juddle. “Ma lei è fortunata. Aspettavo la visita
della signora Braithwaite, ma è morta.”
Agatha trasalì, ma seguì la strega dentro casa.
Si era aspettata di entrare in una sorta di santuario oscuro dominato da un tavolo coperto da un panno nero, con
sopra una sfera di cristallo, invece si ritrovò in un salottino
accogliente con bei mobili, un fuoco vivace e un gattone
bianco, non nero, assopito su una stuoia fatta all’uncinetto
e piazzata davanti al camino.
“Si accomodi,” disse Francie, indicando con il capo una
poltrona vicina al camino. Agatha si sedette, dopo essersi
sfilata la pelliccia di visone. “Non dovrebbe mettersi addosso una cosa del genere,” disse Francie.
“Perché?”
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“Pensi a tutte quelle bestioline morte solo per tenere lei
al caldo.”
“Non sono venuta qui per sorbirmi un sermone animalista.”
Francie si sistemò su una sedia di fronte ad Agatha. Aveva gambette cortissime avvolte in collant velati molto chiari.
“E allora come posso esserle d’aiuto?”
Agatha si svolse la sciarpa dalla testa. “Guardi qui.”
“Che cosa è successo?”
“Una donnaccia malefica mi ha fatto uno shampoo con
del sapone depilatorio. I capelli dovrebbero ricrescere.”
“Oh, ho una cosa in grado di rimediare al danno,” disse
Francie, con un sorriso.
“Me ne dia un po’,” disse Agatha, avidamente.
“Certo. Fanno ottanta sterline.”
“Cosa?!”
“Le verrà a costare ottanta sterline.”
“Ma sono un sacco di soldi,” disse Agatha, “per un qualcosa che potrebbe anche non funzionare.”
“Funzionerà.”
“Immagino che la gente si rivolga a lei per problemi di
ogni genere,” disse Agatha.
“Per qualunque cosa, dalle verruche alle pozioni d’amore.”
“Pozioni d’amore! Non ci credo, non esistono.”
“Invece sì.”
“Francie, lei si chiama Francie, giusto…? Siamo entrambe donne d’affari. Ho speso una fortuna in cosmetici che
garantiscono una riduzione delle rughe e invece non le riducono, in rossetti presentati come a prova di bacio e non
lo sono, quindi perché dovrei credere nella sua lozione che
fa ricrescere i capelli?”
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Gli occhi di Francie scintillarono. “Non lo saprà finché
non la prova.”
“E il filtro d’amore quanto viene?”
“Venti sterline.”
“Quindi l’amore costa meno dei capelli ricresciuti.”
“Può ben dirlo.”
“Però,” disse Agatha, “se questa pozione per i capelli
funziona, lei potrebbe farci una fortuna.”
“Potrei fare fortuna con un sacco delle mie pozioni se
solo mi decidessi a lanciarmi nella produzione industriale,
ma poi mi toccherebbero tutti i grattacapi delle fabbriche e
del personale dipendente.”
“Non necessariamente,” disse la sempre scaltra Agatha.
“Tutto quel che deve fare è vendere la ricetta, per milioni
di sterline.”
“Tra poco mi arriva un cliente. La vuole questa roba o no?”
Agatha esitò. Ma il pensiero che i capelli potessero non
ricrescerle mai più stava cominciando a gettarla nel panico.
“D’accordo,” disse sgarbatamente, “e prendo anche il filtro
d’amore.”
Francie si alzò e uscì dalla stanza. Si alzò anche Agatha,
e andò alla finestrella, a guardar fuori. Il sole stava indorando i ciottoli della strada. Il vento aveva ripreso a soffiare. Agatha cominciò a sentirsi un po’ sciocca. E se avesse
somministrato la pozione d’amore a James Lacey, non è che
magari poi lui sarebbe stato male?
Francie tornò con due flaconi, uno piccolo e uno grande.
“In quello piccolo c’è la pozione d’amore e in quello grande il liquido per i capelli,” disse. “Lo applichi tutte le sere
prima di andare a letto. E metta cinque gocce della pozione d’amore nel bicchiere del suo uomo. È vedova, signora
Raisin?”
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“Sì.”
“Organizzo sedute spiritiche. La posso mettere in contatto con il caro estinto.”
“È estinto, ma non caro.”
“Fanno cento sterline.”
“Non ho con me tutti questi contanti.”
“Un assegno andrà benissimo.”
Agatha tirò fuori il libretto e lo posò su un tavolino. “Lo
intesto a Frances Juddle?”
“Grazie.”
Agatha compilò l’assegno e glielo porse. Poi si infilò la
pelliccia, prese i due flaconi, li mise in borsa e si avviò verso
la porta.
“E butti via quella pelliccia,” disse Francie. “È un’ignominia.”
Agatha la guardò malissimo, e se ne andò senza neppure
prendersi la briga di rispondere. La gente non poteva sapere che significato avesse per lei quella pelliccia. Era stato il
suo primo acquisto costoso, dopo aver lottato con unghie
e denti per sfuggire ai bassifondi di Birmingham, dove era
nata, e dopo essersi inerpicata sulle scale del successo. Per
lei la pelliccia era stata un’armatura scintillante, che segnalava l’arrivo di una nuova, ricca Agatha Raisin. E questo
era avvenuto in tempi in cui indossare pelo d’animale non
era considerato un peccato.
Fuori splendeva il sole e la gente passeggiava, parecchi
erano i giovani. Sembrava che Wyckhadden fosse resuscitata all’improvviso. Agatha decise di tornare in quel pub
dove aveva conosciuto Jimmy. Non poteva tollerare il fatto che lui l’avesse snobbata inspiegabilmente e all’improvviso.
Aprì la porta del pub. Era l’ora di pranzo, ed era pieno
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di impiegati. Agatha riuscì comunque a trovare un tavolo
libero e si sedette dopo aver preso un gin tonic al bar.
Se non si fosse data una mossa, avrebbe perso il pranzo
in albergo e d’altra parte non se la sentiva di provare i piatti
del pub, che emanavano un pessimo odore. Finì il gin tonic
proprio nel momento in cui la porta si aprì, e Jimmy entrò
nel locale. L’uomo le scoccò un’occhiata, poi girò i tacchi
e se ne andò.
Agatha era sull’orlo delle lacrime. Ma poi si consolò pensando a quanto le fosse sembrato bizzarro il modo in cui
Jimmy l’aveva rimorchiata. Perché stupirsi del suo comportamento strano?
Tornò fuori, al sole, ma lieta del calore offerto dalla pelliccia, perché il vento era freddo.
Lungo la strada che portava all’albergo passò davanti a un gruppo di giovani che mangiavano hamburger e
bevevano birra seduti su un muretto. Uno di loro, una ragazzina con anelli al naso e orecchini, improvvisamente
aggredì Agatha, afferrandola per la pelliccia e strillando:
“Assassina”.
Agatha, spaventata, diede un poderoso spintone che mandò a gambe all’aria la ragazza e poi scappò via.
Una volta tornata in albergo salì in fretta e furia in camera e ripose amorevolmente nel guardaroba la preziosa
pelliccia.
Quel che è troppo è troppo. Ancora un giorno, e poi sarebbe partita.
Dopo cena raggiunse svogliatamente gli altri ospiti in
salotto, dove il colonnello stava aprendo la plancia dello
Scarabeo.
Si scoprì che la donna alta e mascolina era la signori20
na Jennifer Stobbs, mentre quella piccola e gracile era la
signorina Mary Dulsey. Il vecchio scontroso, Harry Berry,
puzzava di naftalina e mentine. Daisy Jones stava civettando timidamente con il colonnello Lyche.
“Pochissimi ospiti,” disse Agatha.
“Siamo tutti ospiti fissi dell’albergo, tranne lei,” disse
Jennifer. Aveva un viso giallastro, dai tratti grossolani, e tra
labbro e naso un accenno di baffi. I capelli, striati di grigio,
erano cortissimi. “In alta stagione e nei fine settimana ci
sono un sacco di turisti.”
“Come se la cava a Scarabeo, Agatha?” s’informò il colonnello. Agatha rimase un po’ interdetta nel sentirsi chiamare per nome. Le signore vecchio stampo della Società
delle Dame del villaggio Carsely si rivolgevano sempre le
une alle altre con “signora” e “signorina”.
“Mediamente,” disse Agatha, e poi con una certa malinconia le tornarono in mente le seratine intime passate
a giocare a Scarabeo con James, quando erano fidanzati.
Giocò meglio che poteva, ma gli altri non solo erano
giocatori accaniti di Scarabeo, erano anche dei drogati di
cruciverba, e così Agatha sfigurò nel confronto.
“Ci è andata poi, da Francie?” chiese Daisy.
Ma Agatha si vergognava già di aver speso cento sterline
per due flaconi che probabilmente si sarebbero rivelati pieni
di acqua colorata, e così mentendo disse: “No”.
“Oh, dovrebbe farlo, Francie è molto brava.”
Cominciò un’altra partita. Agatha questa volta si impegnò a fondo e tuttavia finì ugualmente con il punteggio più
scarso. “Basta, per questa sera,” disse il colonnello Lyche.
Agatha si stupì nello scoprire che era appena passata la
mezzanotte.
Rifiutò l’invito del colonnello a bere qualcosa e salì in ca21
mera, pensando che la compagnia era stata piacevole, e che
gli anziani una volta che arrivavi a conoscerli apparivano
incredibilmente più giovani.
Si sfilò la camicetta e la mise nel sacco della lavanderia.
Poi si levò la gonna e fece per appenderla nel grande armadio.
Aprì l’anta.
E poi lanciò un urlo.
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Estratto da
M.C. Beaton, Agatha Raisin e la strega di Wyckhadden
Titolo originale dell’opera
Agatha Raisin and the Witch of Wyckhadden
Traduzione dall’inglese
di Marina Morpurgo
© 1999 by M.C. Beaton
© 2014 astoria srl, corso C. Colombo 11 – 20144 Milano
Prima edizione: aprile 2014
ISBN 978-88-96919-81-1
Progetto grafico: zevilhéritier
www.astoriaedizioni.it
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