Dispense Clementina Gily - Educazione all’immagine - Beni culturali Pedagogia e didattica La pedagogia è la comunicazione formativa che promuove l’azione educativa, studia pratiche efficaci fondate nell’interesse, valendosi dei risultati delle scienze umane, programmando l’azione formativa: è la specializzazione dell’attitudine di tutti gli individui ad informare e formare, che Comenio nel ‘600 attribuì ad ogni rapporto fra uomini – perciò titolava la sua Didactica Magna, corredata di attenzione all’immagine nell’Orbis generalis Pictum (l’alfabetiere illustrato delle nostre scuole primarie) per specificare il settore in cui approfondire la normale attività di comunicazione formativa quando occorrano metodi specifici, come nella gioventù, in relazione ai fini – metodi e fini sono i campi che oggi trattano sistematicamente la didattica e la pedagogia. La pedagogia lega teoria e prassi in un sapere attento alla responsabilità verso le future generazioni, in cui Jonas fa consistere la morale odierna, slegata dalla trascendenza. Il futuro è la dimensione più propria del paidòs, il ragazzo, ma poi appartiene a tutte le età, perciò oggi ha rilievo la pedagogia della formazione permanente, del longlife-learning (Santelli Beccegato), perché la velocità del tempo delle nuove tecnologie non consente di affidarla, come una volta, alla cultura personale. Ciò ne fa un campo privilegiato del sapere, legando all’ orientamento nelle situazioni, nella storia, senza trascendere il problema ma aprendo alla possibilità. Si parla della pedagogia come utopia nel senso di tracciare una metafora della formazione a cui tendere (Acone) determinando campi di formazione e verifica. Più che teorie ispirate alla coerenza a tutto tondo, le affermazioni sono punti di vista precisi (Bachelard), parole generatrici (Freire), protocolli (Schlick), proposizioni verificabili (Carnap), vale a dire ipotesi scientifiche – perché nell’ipotesi Popper ha chiarito come conti più il pensiero analogico dell’analitico che teorizza e verifica, tanto che riconosce come ipotesi la filosofia atomistica di Democrito, scienza e filosofia sono un sapere interconnesso (Agazzi). Pedagogia e didattica sono perciò nella relazione di saperi umanistici e scientifici. L’analisi del cervello mostra che il processo sinaptico riguarda entrambi, che le parti antiche si affiancano alle nuove (cervello rettile, lobi frontali) collaborando con infiniti lampi connettivi. Una prospettiva che non tenga presente la complessità diventa vana, occorre capire le dinamiche cognitivo relazionali legando ambiente, mente, relazioni sociali e culturali (Fruaenfelder). Si tratta di una moltitudine di codici e sottocodici - occorrono punti fermi per delineare le ipotesi di questo conoscere organico e in sviluppo costante. I biologi Maturana e Varela evidenziano che i punti fermi ci sono anche nella loro scienza, i cambiamenti graduali dell’evoluzione si addensano in chiusure operative, quando il totale cambiamento delle categorie di interpretazione è tale da richiedere la definizione di una nuova specie. Così è anche della cultura, dov’è giusto seguire il consiglio di Varela di abbandonare la scienza esatta per capire questa logica organica e meditare i processi enattivi, di modello orientale, che fondano nella vita, nella comunione invece che sulla materia o sull’astrazione: si può aggiungere che sono questi i processi dell’arte. L’arte non abbandona la scienza esatta nel dar forma, connette i saperi e crea immagini – come fa oggi la logica del computer, binaria ma produttrice del mondo dell’immagine a tutto pieno. Oggi spesso l’immagine sostituisce la parola, un guadagno sicuro che nasconde danni visibili: il compito della pedagogia e della didattica di oggi è meditare il cambiamento con scelte che ottimizzino il guadagno e limitino il danno. L’età della formazione Se l’educazione ai valori culturali è di tutte le epoche, non lo è la limitazione di questi percorsi alla gioventù, che segue la coscienza pedagogica di dover rispettare la diversità delle età dell’apprendimento. Una idea che è diventata di recente scienza con Piaget, lo psicologo delle età della vita; conoscere è un cammino di crescita organica, esercizio ed esperienza con oggetti, interazione e transizione, che si fa di momenti successivi di assimilazione e adattamento, percezione e apprendimento; le difficoltà si superano col pensiero simbolico, un’analogia, un’ipotesi. Così la percezione muove tra sensazione e immagine, come disse già Aristotele parlando di phantasia, nel De Anima, un contrasto che motiva il pensiero scientifico a pensare la scienza. Non è quindi un processo che si lega ad una età della vita. L’affermazione delle diversità è una importante conquista della storia del pensiero, la nascita della pedagogia come sapere pratico; che condusse ad una altrettanto importante conquista di civiltà, l’educazione pubblica – una delle prime legislazioni scolastiche è del Regno di Napoli, dove dall’attività geniale di Gaetano Filangieri venne la legge del principe Caracciolo, ministro dal 1786 all’89 - il piano delle scuole elementari pubbliche fu del secolo successivo. Oggi che può dirsi concluso The Century of the Child (Ellen Key, 1909) perché la separazione di ragazzi e adulti è superata dall’accessibilità delle comunicazioni di massa, formazione e contro formazione (Cambi) devono confrontarsi più che ignorarsi e contrapporsi, come tendono a fare. Superando i problemi con l’elaborazione di didattiche efficaci. L’educazione dei media non è considerata tale né dalle legislazioni né dal mondo della scuola. Eppure è una realtà facilmente constatabile e constatata. Diffonde paradigmi e linguaggi ludici, virtualità che è realtà, intrattenimento (televisione) e liberazione fantastica (rete) che corrodono il mondo della vita. La velocità dei media rallenta la vita, estraniando l’esperienza ai suoi tempi lenti per seguire la freccia della navigazione. Viene a mancare il tempo della reazione personale, della formazione di una immagine coerente, della risposta della mente all’input – l’output assume la dimensione di una scheggia soprattutto rapida. Il mondo nuovo di Aldous Huxley, dove la gente si lascia opprimere per evitare di pensare e scegliere, è l’immagine della minaccia che sconcerta l’educazione istituzionale, anch’essa immersa in questo mondo che tende a negare il diritto di pensare. Ripensare la open school di Jacques Maritain, Aldo Capitini, don Milani, Mario Lodi, Danilo Dolci, significa oggi capire i vettori del cambiamento, vale a dire la tecnologia, la mondializzazione dell’economia, l’impatto del mondo scientifico e tecnologico nella società della conoscenza (Orefice). Per fare questo occorre indagare i significati condivisi (Mantovani) e simbolici (Rosaldo) del senso comune in una ricostruzione topologica del negoziare i significati elaborando le griglie d’interpretazione che sono oggetto della pedagogia sociale (Saracino-Striano) per studiare i pregi e difetti delle agenzie formative (Fabbroni); elaborando interventi micro pedagogici per delimitare il campo di azioni verificabili (Demetrio). Ad esempio scegliendo di partire dalle immagini quotidiane, dall’analisi dei mass media, come fa la media education (Rivoltella). Roberto Giannatelli, che ha dato a questa educazione l’organizzazione del MED, ricorda che essa consiste nei sei punti indicati da J. Martinez de Toda: 1. alfabetizzazione – conoscere il linguaggio e il significato; 2. coscienza – conoscere il funzionamento istituzionale; 3. criticità – scopre le distorsioni ideologiche; 4. attività – decostruzione e deframmentazione; 5. socialità – coscienza delle mediazioni sociali; 6. creatività – produrre messaggi. Una serie di azioni che la didattica gradua in momenti successivi che sono uno studio dell’immagine dei media, che quindi non spetta solo all’infanzia né solo alla scuola il Documento di programmazione finanziaria 1999-2001 precisa che l’educazione permanente può attuare politiche educative nei servizi sociali seguendo metodi descrittivi, interpretativi, costruttivi (C. Scurati- P. Bertolini- G. Viccaro). Connessione del pensiero scientifico e del metaforico-simbolico La classica antitesi tra saperi umanistici e scientifici trova anche nelle accademie la proposta di abbandonare la visione antitetica di due direzioni tra cui occorra privilegiarne una pur non escludendo l’altra per dare, ad esempio, senso diverso alle scuole superiori. Oggi persino i processi dell’epistemologia citati (Bachelard, Maturana e Varela, Frauenfelder) dimostrano che l’antitesi, se ha sempre creato problemi, oggi rende impossibile analizzare la realtà. Edgar Morin (1989) disegna la differenza e dimostra l’assunto, indicando categorie che sono più un doppio elenco in una stessa pagina che in un doppio foglio tra cui occorra scegliere quello presente in cornice. L ‘oscillazione è dialogo, differenza che fa procedere i due lati in un solo movimento: come per altro ha sempre dimostrato la storia del pensiero. Pensiero semantico 1. logos 2. realtà 3. astrazione (concetto) 4. argomentazione 5. scienza /tecnica 6. istruzione 7. società 8. necessità 9. digitale 10. emisfero sinistro Pensiero simbolico mythos interiorità concretezza (metafora) narrazione cultura formazione comunità gioco analogico emisfero destro L’emisfero destro crea metafore, parole-mythos, che richiedono molteplici punti di vista, come la scultura rispetto alla pittura, occorre circoscrivere lo spazio della forma; la parola-logos richiede vocabolario. La prima mantiene la dimensione dell’ oralità, aperta al cambiamento coordinato, la scrittura invece definisce i saperi come dice Walter Ong, filologo che ha studiato il pensiero greco nel passaggio dall’ oralità a scrittura analizzando il modello orale nel suo valore proprio e risocntrando nel mondo attuale il passaggio alla neooralità della società dell’immagine. I linguaggi sono dinamiche effettuali anche pittografiche (Derrida) che nell’ipertesto disegnano scritture non sequenziali (Nelson) capaci di descrivere isole nella corrente (Queau) da analizzare in un circolo ermenetico, un andirivieni che mima l’osservazione di una scultura (Gadamer) dividendo il mondo in spazi frattali (Mandelbrot) che consentono la contaminazione dei saperi tra scienza e filosofia è tipica dei nuovi saperi pluri-prospettici (Prigogine). Perciò la formazione si presenta come un discorso anormale (Rorty, filosofo analitico), un pensare altrimenti (Musil, letterato) capace di aprire alla differenza in una antropologia interpretativa (Geertz scienziato) che educhi il terzo istruito (Serres) chi sa confrontarsi con la differenza. I saperi meticci sono considerati in campi così diversi del sapere perché oggi lo scienziato medita nell’ambito di scienze indeterministiche e basate sulla relatività, basta leggere il proposito L’eterna ghirlanda brillante di Hofstadter che delinea il cammino parallelo fondato nel principio di simmetria di Goedel, che disegna una matematica aperta, Bach che modula fughe musicali, Escher, che disegna fughe anamorfiche. Si tratta di una bilogica (Matte Blanco, letterato) cha nelle sue due facce conclude; con chiusure operazionali, l’opera, la definizione scientifica, sintesi per contatto e sviluppo, successioni - rivoluzioni: in proposito è indicativa l’affermazione dei citati biologi Maturana e Varela, quando studiano la trofallassi delle formiche, che è come la più celebre danza delle api una comunicazione tipica degli animali sociali; il loro studio osserva il contatto delle antenne tra formiche che s’incontrano, una comunicazione di percorsi vitali e cerebrali, informativi anche in senso sociale. È la lingua del senso comune, se è adattamento alla comunità sociale: per Sapir “E’ un’illusione credere che ci si possa adattare alla realtà senza l’ausilio della lingua e che questa sia solo un mezzo”; per Worf la grammatica di accordo è la prima istituzione sociale: “una cosa è la parola con cui la si definisce”. Nella lingua si negoziano le rappresentazioni sociali (Moscovici), che orientano nell’ambiente creando “codici per denominare e classificare i membri di una società, le componenti del loro mondo, della loro storia individuale e collettiva in maniera univoca”: perciò, non sono schemi cognitivi perché come pensiamo non è distinto da ciò che pensiamo e perché si tratta di processi che si dimostrano psico-sociali. In modo più vicino alla nostra indagine, si può a questo punto citare la teoria della cultura di Ernst Gombrich, che ne fa una lingua pregante e piena di rimandi anche superficiali, come i link degli ipertesti; in sé insignificante, indica i collegamenti analogici e l’interrelazione, identifica un ambiente di comunicazione- fa l’esempio di uno che confonda Paride e Parigi come accade in un romanzo di Agata Christie – è come non salutare o parlare linguaggi non appropriati in ambienti formali. È questo il senso attuale della cultura generale, che ha natura comunicativa e non scientifica, è il linguaggio che crea la comunità. Come la complessità è una parola indefinibile, ma considerarla una lingua costituisce un campo di analisi. La sociologia e la filosofia analitica studiano le conversazioni quotidiane; ma forse l’arte in genere è un miglior campo di osservazione, visto che giustamente congiunge la parola lingua, di solito legata ai vocabolari, al più vasto linguaggio della comunicazione non verbale e del corpo. Perché l’arte, anche l’arte in parole, dà un posto indagato in ancora più secoli della logica indaga le metafore e i simboli, le analogie e del determinazioni cognitivo/ storiche. Cioè le forme analogiche che danno ai problemi una forma memorabile ed una definizione aperta, attenzioni più definizioni. Immagini in figura e in parole su cui s’invita a discutere con decodifiche ed interpretazioni in un processo di razionalizzazione sul modello di domandarisposta, interattivo, che dalla superficie va al fondo senza lasciare la concretezza della percezione, che Merleau Ponty definisce chiasma, un tutto unico, che è presenza e conoscenza percettiva. Il problem solving si attiva a partire da immagini sociali o comuni, che portano la psicologia sociale a diventare pedagogia sociale, come nel caso di Bruner, che tende soprattutto a mirare i contenuti alla mente che cresce per comprendere anche il dettato della sociologia, capendo la valenza sociale dei fenomeni educativi, come la pari opportunità, la cittadinanza attiva che osserva le questioni etiche razziali ambientali, e le nuove professionalità (A.Agazzi). L’interazionismo simbolico (Dewey) ha chiarito l’importanza di considerare l’ambiente di vita evitando il disadattamento scolastico, conquistando un sistema qualitativo, un multiverso educativo che richiede una metafondazione: concetti meno rigidi appresi nella negoziazione dei significati logico razionali ma anche simbolici, affettivi e relazionali, dando corpo al processo della formazione. Che è confronto e ricerca nella tetrade di spazio acustico e visivo, sfondo e figura (McLuhan): spazi complementari in una cornice che delinea un intervallo di risonanza (De Kerkhove) che è spazio visivo della razionalità, immagini della conoscenza. Il territorio proprio dell’arte. L’eccesso di immagini e velocità ha creato un tempo orgiastico (Maffesoli), choc che non sanno diventare esperienza (Benjamin): la didattica può riuscire al controllo dei linguaggi (Skinner) creando cultura dell’immagine, in figura e in parola. Attuando nelle unità-classi-relazioni, una dinamica di sistemi (Bertolini Balduzzi) nel territorio (De Bartolomeis). Formare con la bellezza Nel volume Arte e Formazione c’è la trascrizione dell’intervento di Edgard Morin al nostro convegno sul tema – Morin è il filosofo che più ha insistito sul concetto di complessità tipico dei nostri tempi, tanto da parlare di 7 diverse intelligenze che bisogna tenere presenti nella formazione, come ha detto anche Gardner molti anni fa. Molte di queste intelligenze sono più proprie dell’estetica che della logica. È il sapere non consequenziale, l’esprit de finesse, la capacità di capire la storia non solo delle persone, delle società, delle cose del sentimento; è anche la capacità di capire la percezione, che già per Aristotele ha in sé anche la phantasia, la capacità di costruirla, di spiegarcela a modo nostro – qui si annida anche la possibilità dell’errore, ma anche dell’effettiva intellezione. Nulla si capisce affastellando esperienze, tutto si capisce se si va a punti di vista precisi, a sistemazioni organiche – esse non sono mai vere perché cambiano nel tempo come cambiano le scienze persino; ma sono anche sempre vere in qualche modo, casomai tanto poco che vanno cambiate presto – vale a dire che non sono gratuite, anche quando scambiamo una persona per un’altra c’è il rilievo di qualche elemento comune, c’è una lettura che in qualche modo riconosce qualcosa. Complessità, dice Morin, è una parola problema, cioè non si può definire, solo riferire a qualcosa di presente, di intuibile, di determinabile con esempi. Il che vuol dire che se ne può parlare, ma senza pretendere ad un sapere definitorio, ad asserzioni che si possano mandare a mente e trasmettere come informazioni. Il termine definisce bene questo nostro tempo caratterizzato dalla velocità delle trasmissioni e dei mezzi di comunicazione, che creano la società della rete e del multiculturalismo, le tradizioni si perdono in un continuo confronto che genera appunto complessità. L’estetica è il regno della complessità, perché se essa riguarda l’arte non vi coincide – non solo è la conoscenza percettiva, ma anche lo stupore che genera la bellezza, che interessa al conoscere: il sapere estetico è un conoscere interessato, che cerca di capire per capire solamente; scrive una figura o un’immagine della percezione, cui tenta di avvicinarsi quanto possibile senza superarla in una definizione. È l’eterno ritorno sulla sensazione che ridà la meraviglia dell’incanto – la poesia che è della vita e non solo delle figure, nell’estetica il sentimento non è fuori del conoscere, l’opera è una scrittura del sentimento che si ripete ad ogni messa in scena. La catarsi deriva dalla mimesi che crea il doppio, un corpo d’arte che consente il sacrificio di rigenerazione – un gioco che è rito, rappresentazione della vita ed esorcismo della morte. A questo partecipano tutte le arti, ciascuna a suo modo: anche le più attuali dei media e dell’informatica. Ci si muove nel territorio dell’indicibile, la traduzione si affida non ad atti meccanici ma ad opere che riescono a dire il silenzio in un insieme organico, come i lieder, come le canzoni. Raccontare il silenzio è la scrittura, la magia che l’arte ha nella più classica delle pitture, come nella fotografia che riporta la presenza nell’assenza. Qui si vede come la forza dell’arte è la capacità di scrivere il processo della trascendenza, come nelle statue religiose dove il culto anima la trasformazione della materia in qualcosa che è per noi , di inattingibile con i saperi scientifici. La letteratura crea nuovi organismi che dicono una società nella sua verità storico sociologica, nel doppio della scena, nel teatro come nel cinema, ormai arte in questa estetizzazione generalizzata del mondo occidentale, che arriva all’industria – ma sempre per essa vale quel che disse ”Beethoven, uno dei miei filosofi favoriti, nel primo movimento dell’ultimo movimento quartetto muss es sein – es muss sein - è possibile cogliere la contraddizione, come possiamo vivere in questo mondo - es muss sein ha voluto unire in una contraddizione la formula complessa che è possibilità di rivoltarsi e di accettare, di accettare per rivoltarsi, perché quel che conta è in verità l’inseparabilità delle due cose” . La necessità di reintrodurre l’estetica nella poesia più ampia della vita è chiarita così come tipica duplicità dell’essere dell’uomo, l’estetica non è un lusso né sovrastruttura né epifenomeno: l’estetica si trova al cuore della dignità umana, dell’essere umano e forse della vita. Rapporto di insegnamento e apprendimento, conoscenza e oggettività, apparenza e realtà, senso e non senso, cultura e ragione, tecnica e valori, sono classici temi della pedagogia, che chiariscono i fini che essa si propone: l’antica Grecia li definiva paideia, la costruzione della mente armonica ed argomentativa volta all’universale, l’ottocento nella Bildung, costruzione dell’uomo intero, cultura e originalità creativa umana. L’interazionismo simbolico li definisce nella relazione all’ambiente di vita, oggi dominato dai media e dalle immagini ferme e soprattutto in movimento. A tutti va rivolta perciò la formazione educazione estetica, perché non si tratta di educare alle belle arti , non solo, ma di consentire la nascita della coscienza estetica, vale a dire della capacità di leggere le immagini. Un’educazione percettiva che si situa nell’orizzonte della bellezza/bruttezza, nella compostezza che genera compiacimento (Kant): per il quale anche in matematica si definisce elegante o bella una formula. Bellezza/bruttezza sono l’opposizione che distingue il pensare analogico, che si articola in categorie conoscitive, diverse dalla logica e dalla scienza. L’ambiente richiede una teoria ecologica (Bateson) osservativa ed operativa, che limiti un campo di ricerca azione, senza accettare la confusione del tutto (Lewin). L’ambiente di vita è una serie ordinata di strutture concentriche, come una matrioska russa. Le si può analizzare solo in una topologia, in una analisi dei luoghi. L’ambiente consta di un macrosistema e microsistema, ma anche di terzietà esosistemi, contatti per interposta persona, mesosistemi, contatti con la fama: tutti agiscono sulla mente, oggi con predominanza del mesosistema, un vero labirinto. C’è in inglese la differenza del labyrinth, quello di Dedalo, fatto per perdersi, e maze, il labirinto erboso dei giardini, fatto per ritrovarsi. Saper trovare il senso di questa differenza si affida nell’ambiente alla diade base (N+2), il rapporto di fiducia con qualcuno che garantisce il senso, di cui si teme la disapprovazione. Oggi in questa diade base i media sono trapelati, nei casi clinici sono i media, i videogiochi, la rete, a subentrare ad altro nel rapporto di sostegno psichico: anche nella normalità è stato teorizzato che la televisione esercita un conforto ontologico (Giddens) per la sua continuità ininterrotta a disposizione dell’utente – basta andare in un ambiente sconosciuto e intimidente, per constatare la verità di questa osservazione. L’ambiente è oggi una psicosfera, un ambiente noetico, un contatto con l’intelligenza collettiva (Levy), un sapere tattile (De Kerkhove): treno, fotografia, cinema, aereo, telefono, radio, televisione e computer sono la rivoluzione totale della socializzazione e comunicazione terrestre e virtuale, che si riflette nel senso comune dove la morte reale sfuma, il divo è più conosciuto del vicino di casa, lo dimostra il gossip, la lingua della comunità. La scuola può intervenire in questa rivoluzione meditando l’educazione all’immagine e la connessione dei frammenti che si attua regolarmente nell’arte, posta in relazione con le materie di studio. Lo spettatore diventi critico e non soffrirà più di nessuna informazione spazzatura, saprà distinguere – ma ciò è vero per tutto il conoscere, ogni sapere comporta scelte. I programmi di studio devono adattarsi al mutamento socio culturale, come sempre, delineando nuove ricerche e nuove didattiche (Bertin- Valitutti- Visalberghi). Partire dall’immagine è il vero futuro della pedagogia, educare al pensare ricorsivo nell’interpretazione, alla dissezione e collazione di frammenti nella costruzione dell’arte, che si lascia guidare da materiali interessanti e da altri comuni per imparare a fare domande – tutto e dettaglio guidano il processo della conoscenza e la pratica delle immagini. Senza lasciare la cultura del libro, approfondire la cultura dell’immagine significa imparare ad analizzare il mondo d’oggi, a capirne i testi e le scritture. Per non finire come Renzo davanti al latinorum di Don Abbondio. Didattica La didattica è una scienza autonoma che sostiene l’apprendimento dei saperi ordinando il succedersi dei temi con la programmazione (Damiano 1993). La pedagogia medita i fini (Rosati, Develay 1994) rispetto ai problemi che la didattica evidenzia (Bertolini 1992), perciò è parte rilevante dell’educazione ai valori (Acone 1994). Il suo campo è la cultura (Willmann 1962), il senso comune fatto di scienza come di metafore ed espressioni condivise, di lingue della comunicazione (Gombrich) con metodo di conoscenza (Fabbroni 1994) che approfondisce le età di formazione e il linguaggio simbolico dell’ambiente sociale (Calidoni 1992). Nel mondo nuovo della velocità e delle tecnologie medita gli strumenti nuovi con congetture aperte alla confutazione, come Popper definisce il passaggio da ipotesi ad affermazioni, seguendo un modello biosistemico, come nell’autobiografia aperta alle possiiblità non realizzate raccomandata Bruner – un modo per capire quanti diversi sistemi sono nel sapere quotidiano e si capiscono nel paragone delle esperienze. È un metodo narrativo, ma può invece delineare items (obbiettivi valutabili con procedure semplici), stabilire una sequenzialità del percorso che è anche controllo in itinere, semantico e pragmatico (Scurati 1972). Limitazione del campo d’indagine, prospettiva globale e autovalutazione dei risultati sono l’idea base del controllo di qualità sviluppato in ambito manageriale (De Bono 1994), una delle forme dell’educazione permanente, perché non sia è accumulo di informazioni, ma costruzione di cultura; ma è anche il metodo della micro pedagogia di ordinare moduli successivi con sussidi didattici, iniziato con la didattica delle 150 ore (Muti 1988). Ma è anche poi il metodo curricolare che in Italia ha costruito il collegio docente multidisciplinare (DPR 3-5-74 art. 4; legge 517, 1977) modellato sul metodo dei progetti di (Dalton, Winnekta, Nichols): il curricolo è uno spazio per correre, Kilpatrick vede il progetto come l’articolazione di un problema, che evita lo spontaneismo di una sperimentazione libera nel coinvolgere un intero sapere (Vertecchi 1985). Così il gruppo è creativo nella cooperazione educativa (Freinet) del team teaching, il lavoro in gruppo che dai uno script narrativo e disegna l’azione didattica verso obiettivi con concetti, sfondi e situazioni da ultimare nella post programmazione e nella valutazione (Azzali Cristanini 1995): realizza così una congettura organizzante (Bruner 69). Il gruppo è perciò studiato con attenzione anche in altre teorie, che sviluppano tassonomie in diversi settori, anche linguistici e musicali. La Sociometria di Moreno uniforma la metodologia di ricerca con la ricognizione di unità didattiche – contenuti – verifica e codificazione, per consentire alla narrazione – oppure fantastica, scientifica, multidisciplinare – per evitare il suo pericolo di sfumare nell’indistinto. La tassonomia di Bloom (1983) si articola su quattro principi ispiratori: didattico, psicologico, logico ed obbiettivo; stabilisce obbiettivi didattici e campi d’azione (cognitivo, affettivo, psicomotorio) correlando Conoscenza, Contesto, Comprensione, Traduzione, Applicazione a contesti, Analisi di elementi e relazione, Sintesi come organizzazione della struttura; si dirigono agli obiettivi cognitivi consistenti nel 1. conoscere 1.1 i dati particolari 1.2 i modi di usare i dati 1.3 i dati universali, nel 2. capire 2.1 tradurre o trasporre 2.2 interpretare 2.3 estrapolare, nel 3. applicare 3.1 distinguere elementi comuni e poi 4. analizzare 4.1 elementi 4.2 relazioni 4.3 principi; segue la fase operativa di 5. sintetizzare 5.1 produrre un’opera personale 5.2 produrre un programma 5.3 derivare relazioni astratte e infine del 6. valutare 6.1 con criteri quantitativi 6.2 con criteri qualitativi. Gli obiettivi affettivi badano alla 1. Ricettività 1.1 coscienza 1.2 disposizione a ricevere 1.3 attenzione mirata, alla 2. Risposta 2.1 disponibilità a rispondere 2.2 desiderio di rispondere 2.3 soddisfazione nel rispondere con la 3. Ricognizione dei valori 3.1 accettazione di un valore 3.2 preferenza per un valore 3.3 impegno in un valore alla decisione dell’ 4. Apprezzamento dei valori 4.1 concettualizzazione di un valore 4.2 sistema di valori. Ciò culmina nella 5. Caratterizzazione di un sistema di valori 5.1 in un insieme generale 5.2 che caratterizza la personalità del progetto. L’utilità di tali tassonomie è nel dare l’idea sistematica del processo della didattica, che nel riscontro globale trae una metodologia solida di intervento e controllo, che consente il procedere verso una migliore aderenza ai tempi. Il vantaggio è nel saper trasformare la valutazione in organica e per quanto possibile autonoma (Aller e Ryan 1974), sottraendola alla forma del giudizio. Delle dinamiche di gruppo si occupano il cooperative learning, il peer tutoring, il peer counseling, il coaching – dinamiche di qualità che studiano come migliorare il clima del team con sperimentazioni di metodo ludico basate sul role playing, su relazioni di aiuto, sulla razionalità pratica (Damiano), che per evitare confusioni con la ragion pratica di Kant, la teoria della volontà, conviene chiamare practical reasoning con Brenda Laurel (1993) – la conoscenza teatrale che delimita il campo allo stage e pratica la logica della situazione. Così la conoscenza del sé diventa analisi dei ruoli e comprendere il sé come persona che agisce attraverso la maschera come chiave della persona (Elster), l’appartenenza che costruisce la persona non meno del DNA. Si delinea così una pedagogia euristica, cioè di modello socratico ed aperto, verso una scuola di qualità nel modello di ricerca azione (Demetrio) grazie all’analisi dei prodotti. L’apprendimento, risposta motivata alla situazione (Skinner), si concretizza in una memoria di elementi personali e tradizionali storici che connette il vecchio nel nuovo. Il cognitivismo teorizza la forma (Gestalt) come passaggio dalla memoria a breve termine (working memory) a quella a lungo termine, un processo sequenziale che rinnova le unità di significato che si ripete si innova, il se…allora del know how che diventa un know that. La conoscenza procedurale mostra diversifica forme della mente, 1. pensare in lingua 2.concettualizzazione e spazializzazione 3. analisi musicale 4. calcoli matematici 5. problemi del corpo 6. comprendere gli altri 7. comprendere se stessi (Gardner). Passare dall’ignoto al noto, dal sapere alla conoscenza si compie step by step e tenendo conto dell’osservatore, che il postcognitivismo vede nella sua molteplicità che impone la conoscenza del contesto dei saperi. La capacità di gestire la collaborazione tra i pari, come quella tra docente e discente è illuminata dall’osservazione delle dinamiche di gruppo, che non è un aggregato ma una condivisione di aspettative, come una musica della mente di gruppo (Lewin), che ha gerarchie, norme, ruoli che si mostrano nei circle time e nei role playing così da poterle analizzare, ciò sia nei gruppi spontanei che in quelli strutturati (classe). Il bisogno di sentirsi coerenti (Festinger, dissonanza cognitiva) induce errori comunicativi e a vere e proprie menzogne: occorre da un lato smontarle, cioè rendere coscienti al sé (Dusay, egogramma), dall’altro rendere così possibili altre transazioni con scambi di idee, risposte semplici, complementari, parallele, incrociate, ulteriori che distinguono sentimenti autentici e parassiti (Berne). L’analisi dei gruppo mostra le chiavi e le serrature dell’interazione consentendo l’affordance, l’opportunità (Gibson 1986). Formare la personalità è analizzare la situazione e studiare la risposta allo stress che si attua con il coping di esempi di coerenza: così il culturalismo descrive il procedere dalla situated cognition alla social cognition, coscienza di sé e conversazione per costruire significati comuni. Alla black box del comportamentismo, che situava l’azione in ruoli sociali che staccano il sé dal mondo, l’interazione consente con la visione del tutto, capire che la decisione intuitiva nasce nel confronto di immagini, valori, credenze, scopi, e si trasforma in piano d’azione, un artefatto culturale. L’identità si mostra tanto variabile che la presenza dei media nel quotidiano va studiata in questo piano: Silverstone lo dimostra quando descrive il successo dei media e del loro stile, illustrando come sia il risultato della mentalità suburbana nata nello stesso periodo. Quando cioè il lavoratore delle fabbriche abbandonare la città delle fabbriche e diventa pendolare grazie ai media terrestri; privilegia perciò la comunicazione che annulla la differenza sobborghi-città: il telefono che annulla le distanze, la radiotelevisione che restituisce la vivacità della vita cittadina. Perciò i contenuti sono confezionati dal broadcast dilettando l’utente grazie alla sua propria ricerca che tende a conoscerlo (nascono le rilevazioni dell’audience e le statistiche, Gallup era un pubblicitario che cambiò mestiere per l’efficienza delle sue analisi). Questo costruisce la cultura popolare odierna che si adegua alle regole del senso comune e contribuisce a cambiarle (Mc Quail 2002) con la sua cultura, ideale ed antropologica, fatta di grandi narrazioni (Eco 1968). Quelle dei media sono spesso di scarsa originalità, ma sono sempre creative di comunità di pari che si interrelazionano parlando di esse. Perciò, la lingua dell’oggi è comunicabile (Laeng 74) se sa trasformare le didattiche del libro in comunicazione tecnologica, trasformando il problema della controeducazione in risorsa dell’apprendimento (Rogers 1973). Se gli schemi cognitivi di percezione e memoria sono attività costruttive di schemi che partono da procedure di somiglianza che creano credenze e valori partendo da approcci cognitivi e modelli culturali presenti nell’ambiente: questo campo è oggi l’oggetto e il metodo della ricerca pedagogica e didattica. Valersi di metodi metacognitivi (questionari, narrazioni, riflessioni) è un complemento dei metodi tradizionali (lezione, ripetizione e ricerca), nell’interazione di diverse logiche, analitiche, simboliche, iconiche. Si attua così la funzione della cultura, che consiste nel lasciare spazio ai saperi ed alla loro intersezione (Cassirer) grazie a forme simboliche poste da Dewey alla base dell’interazionismo simbolico. Il simbolo che nella sua pregnanza rischia l’errore, che però ha una sua precisa funzione nella crescita, in quanto verifica (Parkinson 1984), perde la sua confusione se si porta il linguaggio a brevità e chiarezza (Jakobson e Schoreder 79) nel confronto coi linguaggi complessi (Shannon, Chomsky, Sebeock). Per questo è importante osservare anche altri mondi culturali, paragonare la scienza occidentale, in crisi per la separazione specialistica di scienza e filosofia, con la visione orientale, come propone il biologo Varela (1992). Nella tradizione indiana coglie la capacità di fondere esperienza e pensiero nell’enazione, la conoscenza incarnata in un linguaggio è anche colore, la mente è anche ontologia, ricerca dell’essere; il metodo enattivo supera il nichilismo perché vive la mente organica analogica e digitale, che non perde la capacità di cimentarsi con l’azione del futuro. Sostituisce al niente che paralizza il nulla dell’origine, della com-passione, della codipendenza del pensiero planetario, dell’uomo intersoggettivo capace di azione sensata, non ridotta al volontarismo dalla mancanza di entusiasmo. Non è perciò l’ermeneutica la strada da percorrere, ma il ragionare a partire dagli oggetti, progetto e verifica, con mappe di esplorazione aperte alle scienze – un’ottica non a caso condivisa dalla teoria dell’informazione, nella logica robotica di Rodney Brooks. Se la la scienza, e in specie la didattica, si giova della definizione, il senso dell’educazione resta impalpabile, Vigotskij parlava di respiro leggero della cultura. Perciò a volte la didattica di Lombardo Radice risulta di sconcertante attualità (Rosati) pur essendo centrata nella genialità del maestro, che sa motivare: la cultura è un sapere multidisciplinare che si costituisce in unità oltre la specializzazione. Come l’opera d’arte, l’immagine, il punto da cui partire nella didattica. Media education La media education è la prima indicazione di metodo, per la diffusione dei media, da analizzare nella loro metodologia tecnica e comunicativa, due gambe dello stesso corpo – il mezzo è il messaggio (McLuhan) anche la radio comunica per immagini, ma ciò si comprende conoscendo le immagini, il medium e i suoi prodotti. Per familiarizzarsi nel quotidiano ed entrare negli interessi del pubblico, i broadcast e tutti i media creano un linguaggio adeguato, dove dominano il gioco e la festa. La gioia di creare si trasmette con la spettacolarizzazione estesa all’informazione, alla politica, alla cultura, in una scena teatrale che assorbe i significati in una marmellata (Bettetini), la televisione è un medium zero, cioè una mancata comunicazione, la televisione trasmette se stessa (Enzenberger) – e se si ragiona si vede che questo è di tutti i media, linguaggi autoreferenziali che vanno capiti in sé, nella loro teoria e tecnica. Ma non si può perciò pensare di consigliare di spegnere la televisione per educare, il consiglio, purtroppo ancora oggi seguito, dato dalla scuola di Francoforte, da Sartori, da Popper – Condry; meglio capire il segreto di questa didattica che riesce ad imporre il linguaggio del medium in tre anni di vita dalla nascita. È la didattica ludica il segreto, e già Comenio ci pensò sostituendo ai frustini dei maestri le immagini e la loro narrazione: muove l’interesse. Il gioco ha fine solo in se stesso – se no diventa lavoro – si motiva da sé. Ed ha grandi doti formative, lo dimostrano da sempre i play dell’arte, siano teatro o cinema, romanzi e poesie, sculture e dipinti. L’ambiente elettronico delle comunicazioni di massa è da studiare nelle azioni dei broadcasting, in cui prevale l’emittente, sia negli altri media, perché è la loro convergenza nel costruire un mondo alternativo, virtuale, forte come mai: don Quijote iniziò la modernità del romanzo parlando del virtuale delle narrazioni letterarie, la cultura popolare di allora – i mulini a vento scambiati per nemici avevano allora presa su poche menti colte; anche oggi la cultura del libro forma i propri cultori in quindici anni, se ha successo. Oggi il caso riguarda l’intera popolazione mondiale. La didattica dei media piace, ma diffonde testi spesso criticabili: appunto la via regia della risposta educativa è la critica. Che approfondisce la letteratura popolare conoscendola attraverso le analisi di tanta cultura scientifica ed umanistica, che sono già una biblioteca densa che non entra spesso né nelle scuole né nelle Università se non come sapere specialistico. E che elabora una didattica basata su giochi di conoscenza, kit di ludodidattica, per la conoscenza del telefono, della radio, della televisione, della rete che insegno a districarsi nel labirinto dei media (Gily 2003, 2004). In tutte le età sono praticabili metodi di osservazione della fiction di ogni tipo, dei modelli reali e virtuali (famiglie, giovani ecc.),delle immagini della pubblicità, dei modelli di comportamento nei reality, nei videogiochi e via dicendo. Gioco contro gioco, interesse contro interesse, si vivacizza un apprendimento delle immagini e delle lingue dei diversi media, rendendosi conto di cos’è il virtuale, la composizione dei testi in immagini, valutando insieme la violenza della televisione nei suoi sensi figurali e profondi. La preoccupazione per le esperienze di violenza della letteratura poliziesca e onirica diffuse dalla televisione per tutte le età e tutti gli ambienti, ha già creato un’ampia letteratura di settore che ha sollecitato le istituzioni. La Convenzione internazionale dell’infanzia ONU, New York 20.11.89, già la condannava sulla base di molte rilevazioni e tesi, una storia bene descritta nello stesso anno dalla bibliografia ragionata di Dario Romano (disponibile in un CdROM OSCOM) e giudicata con gravità da Cambi e Ulivieri. Infatti nel sono venute autoregolamentazioni che responsabilizzano i telegiornali nel mostrare esperienze di guerra vissuta, come invece accadeva senza riflessione vent’anni fa. Ma la violenza delle immagini che turbano non si riduce a questo, consiste spesso nella diffusione di patterns, di modelli di comportamento, troppo difformi dal costume nazionale e spesso dalla morale tradizionale. Come è violento avere per fine la passività dell’utente così da garantire i propri compiti di pubblicità e propaganda. Discutere questa violenza è ad esempio riportarsi alla discussione novecentesca su forza/violenza rivoluzione/riforme – un approfondimento che, ben condotto, la scuola può assumere nelle materie di studio. È solo un esempio di come la pedagogia può agire facilmente e destando interesse. Nella società del tempo libero liberata dalla maledizione del lavoro, non si medita il valore del gioco così ben teorizzato nel Novecento: basti citare Huizinga, Caillois, Gadamer, Marcuse. Perciò si esagera nel gioco d’azzardo – che è anche sport estremo, Le Grand Jeu - e nell’ intrattenimento. La pedagogia della bellezza, che ha il suo perno nell’arte e nei beni culturali del territorio, inizia il suo percorso analizzando le immagini dei media e intrinsecandovi i problemi, i campi da approfondire. Il laboratorio ha un senso se è non un ambiente di un edificio, ma un contesto problematico. Se l’ambiente non è solo quel che circonda ma un luogo dove si esercita un ruolo (Mead) si gioca una parte nel teatro del mondo (Goffman) e si affrontano le alterazioni del milieu che stordiscono con transizioni ecologiche e cognitive che vanno esaminate nell’approfondimento e nell’interrelazione . Laboratori per la formazione estetica Il problema riguarda anche la rete, dove nascono altri problemi dovuti alla navigazione selvaggia, che non approfondisce i contenuti né l’autorità delle fonti, creando un sapere senza regole. Umberto Eco raccontava di aver corretto la sua scheda su Wikipedia, una delle fonti più consultate, perché conteneva errori. La velocità genera la caduta del pensiero argomentativo, chiara nell’immagine dei 140 caratteri dei messaggi di Twitter, con la superficialità negativa del correre in avanti, del telecomando e della navigazione che cerca nei blog senza leggere le loro migliaia di pagine e indugiare nei clic e nei post, nei frammenti sparsi senza ordine. Occorre recuperare l’unità del sapere esponendolo in una forma. Bruner consiglia di costruire la propria autobiografia alternativa pensando alle possibilità, ma partire invece dall’immagine è analizzare un artefatto, una situazione e sollecitare il pensiero argomentativo, l’analisi che mira a definizioni che nella loro non fissità determinano il campo d’attenzione. È il pensare dell’estetica, che grazie al suo territorio comune di scienza e filosofia facilmente si impegna nel campo delle nuove, un processo vecchio di anni che deve generare un iter di analisi dei sistemi scuola e di modi di individualizzazione (Ottinger). La micropedagogia intende costruire miniature, che Donald Norman individua come la qualità della cultura come organizzazione, la nuova artigianalità scientifica e simbolica che opera come un’agenda di formazione del gruppo che discute, decide, migliora la conoscenza di sé, il confronto, la tolleranza, la fiducia in sé, l’obbiettività, il sentimento sociale, nuovi interessi, ed anche una sorta di sentimento cosmico (Adler) e di desiderio di appartenenza e cooperazione (Slavson). Miniature ovvero immagini sono il contesto della formazione estetica. Se essa nasce nel ‘700, ha una storia bimillenaria che parte almeno dai miti e dai dialoghi di Platone, innovati in una moderna letteratura teatrale da Giordano Bruno, l’immagine è per Berkeley il simbolo delle esperienze che il concetto definisce. Le immagini sono luogo di una conoscenza dialogico – dialettica che pone problemi di conoscenza, se è efficace ci riconosciamo in essa – ma nemmeno il panorama e la fotografia sono chiari e distinti. Affacciano sempre la conoscenza storica, il perché, il come, il quando. Di fronte ad un’opera d’arte le domande vengono spontanee sono tante e non hanno facile risposta; si ripetono e suscitano approfondimenti autotelici, come nel gioco. Un quadro è testo scritto fondato nella riflessione, a volte su un vero e proprio libretto, come dice Gombrich della Primavera di Botticelli scritta su un testo di Marsilio Ficino. Una serie di scelte, di de-cisioni, di tagli consente l’inquadratura, la dimensione, la scelta degli strumenti e delle tecniche. Questo vale per il figurativo come per l’arte contemporanea: Chagall, Kandinsky, Klee piacciono molto anche ai piccoli, eppure lavorano ad una codificazione cromatica, alla ricerca della fantasia in modo d’arte, anche se diverso dall’arte sacra e laica di altre tradizioni. Ed è conoscere anche se non è logica. Le categorie sono diverse, come il colore, il rapporto di figura e sfondo, il disegno e l’arabesco, la scelta del tema regolano lo scomporre e comporre, la visione ironica del reale che apre spazi di futuro. È una lingua che richiede alfabetizzazione e composizione di una storia che comprenda non solo Gadamer e Croce, maestri dell’estetica in parola, ma anche l’estetica in figura, storici dell’arte come Gombrich, iconologi come Aby Warburg ed Erwin Panofsky, filosofi come Ernst Bloch e Bachelard. Vedere l’arte come figura e presagio, fantasia e speranza, mostra l’ideafigura che crea nell’opera una forma per dialogare sul mistero del mondo. Dettagli, allegorie e simboli diventano una sola cifra, una unità, un evento, la Gioconda e Guernica non si riducono agli elementi che le compongono. L’unità è il nuovo mondo da esplorare: il laboratorio d’arte è un accadimento festoso, un sogno del giorno più potente di quelli dell’inconscio. Gli artisti – anche quelli che non sanno costruire capolavori, anche l’uomo della strada che pensa l’arte – cercano così il suggerimento per i progetti da dire e fare, l’arte è il tessuto e l’arma affilata dell’Utopia – un’arma della ragione che invita a riflettere. Questo valore alto si presta facilmente alle didattiche, che in tutte le scuole si praticano come divertissement che consente di costruire comunità e collaborazione. In questo senso va inteso il laboratorio, come la condivisione di un progetto unitario, che si realizza anche oltre le fasi di contemporaneità. Una messa in scena comprende la simulazione e la rappresentazione, la selezione e l’organizzazione d’insieme (fase contemporanea) ma si basa su scritture di significato e modellizzazione, sulla ripetizione di copie iconiche e schematiche (fase differita). Così il laboratorio può affrontare le immagini in movimento di quasi tutti i media, che sono molto diverse dalle immagini ferme nei criteri di scrittura e significazione, partendo dalle immagini ferme dell’arte, legandole col canale della fotografia e dell’arte. Il cellulare, l’iPod, sono un medium ormai disponibile per fare un discorso sulle immagini teorico, che però non richiede troppe letture classiche, come quelle che compaiono in citazione e che consentono lo sguardo critico complessivo. La teoria sceglie didattiche interessanti per costruire un discorso piano anche nella teoria, per rendere cosciente poi l’azione mirata ad un prodotto comune ad un team di lavoro. Che elenca i nomi dei partecipanti per sottolineare la collaborazione e l’identità. Partire dalle immagini ferme è un modo di analizzare; il fermo immagine consente di portare il film nella linearità della lettura, cosa che intende bene Moore, l’autore di VperVendetta, il fumetto costruito sul modello di un film, che non deve rispettare un orario di programmazione, che lascia a chi legge la scelta del tempo di lettura. Una innovazione rilevante, visto che è proprio il cinema ad avere attuato la rivoluzione temporale dei media, la costruzione di un tempo ritmato dalla sequenza, come accade al cinema con la programmazione in sala e si ripete con il palinsesto della televisione, che ha costruito l’orologio della giornata. La conquista di un proprio tempo genera la vita alternativa, il tempo continuo dell’esposizione ai media che cambia l’alfabetizzazione dei piccoli, che leggono una enciclopedia di immagini molto prima dei libri. Educare con le immagini dell’arte moderna e contemporanea, virtuale e reale, corregge questa lettura autodidatta con la coscienza dei problemi dell’immagine. Che consistono nel determinare e non definire, nel lasciare pieno spazio alla lettura dell’utente, nel volatilizzare la cultura: elementi di libertà che spiegano il decadere del pensiero argomentativo, la lotta che tutte le iconoclastie della storia hanno intrapreso – ad esempio dsi definisce illlustrazione l’immagine, che è invece la creazione di un testo nuovo ed originale, che non illustra la parola ma la fonda. Un peso che ancora alla presenza e complica il pensiero logico, senza che la cultura ponga solidi contrafforti. Questo è oggi il compito della didattica, porre ordine nei mondi alternativi, trasformare il labyrinth in maze. I metodi sono quelli dell’analisi e della critica. Sono percorribili non solo dalla storia dell’arte ma da tutte le materie, anche scientifiche, che in genere ricorrono alle immagini come corredo d’esperienza presente e come astrazione e creazione di mappe concettuali. Basta avere coscienza del ruolo dell’immagine nel conoscere e ogni docente scoprirà di attuare già didattiche estetiche. Perché è la coscienza a dare forma solida alla conoscenza. Attivare la valutazione anche in questa direzione, stabilendo criteri per giudicare la capacità di parlare con immagini, è cosa semplice grazie alle nuove tecnologie, costruendo musei personali, attuando laboratori di ecfrastica, analizzando le immagini e il loro senso da collegare ai testi in parole anche con ironia, dissonanti nel suggerire significati alternativi da discutere. Un’attività che prosegue con naturalezza, come la media education, all’analisi dei media e delle loro letteratura nella costruzione di testi in immagini, di fiction, di salotti, di sport e spettacolo, di reality, tutti entità miste di reale e virtuale come sono i gruppi della rete e le discussioni politiche di oggi. Anche la radio e il telefono tradizionale sono basati su immagini, figure e personaggi. La piazza virtuale comprende dipinti e statue, mondi-simulacro che distruggono gli eventi (Baudrillard) e vanificano i valori, Howard Gardner nel 2011 dice che sono da rinegoziare i concetti di bello, vero, bene perché le idee sono ormai poco chiare - quelle chiare in genere appartengono al passato (Gardner 2011). La scuola ha il compito di affrontare il mondo nuovo: basta una lavagna LIM per godere della risorsa della rete ponendo ordine nel nuovo infinito costruendo miniature, frammenti significativi - il figurativo ed il non figurativo, il ritratto e il paesaggio, l’arte barocca e romantica, i gesti-significato dell’immagine movimento, l’inquadratura come campo d’attenzione. Un progetto ludiforme (Visalberghi) in serie (games) del solo gioco (play) dell’educazione all’immagine. Parola che ha molti sensi: la si può studiare come concreta e consecutiva (percezione), corporea (modello posturale), immagine del mondo (Jaspers), eidetica (immaginativa), mnemonica e primordiale (Jung)… Moles, Taddei, Garroni, Eco, Debray sono tutti autori interessanti da leggere in proposito (il panorama si crea col motore di ricerca): anche se, dice Faeti, Howard Hughes non ha ancora il suo Balzac – il suo romanzo, la sua descrizione efficace; ma Calvino è un’ottima guida (Il barone rampante) e tanti film, da Blow up ed Amarcord ai moderni Truman show e Reality. Si approfondisce così la grammatica e la sintassi delle immagini, l’iconica e il moto, la connessione del senso. La formazione estetica è un compito difficile, in cui la scuola può collaborare con la didattica museale e con le associazioni che si occupano di turismo culturale. Didattica museale Martinetti “Sviate il corso dei canali, per inondare i musei” E’ ancora valida questa frase avanguardista, pronunciata ormai quasi un secolo fa? cosa vuol dire rispetto alla cultura il museo, oggi? I futuristi sentono la crisi della struttura museo per la trasformazione profonda dell’arte, di fronte al nascente mondo dei media, che cambia l’ambiente, la città, le materie. Lo spazio diventa veloce, ricco di movimento, di suoni, di musica: la luce nella notte agiva come oggi la spettacolarizzazione degli spazi cittadini – nasce insieme la fantascienza, che non è fantasticheria ma piuttosto indagine dei possibili. L’arte avverte il cambiare della socializzazione in tutte le avanguardie, in politica come nelle opere. L’ aura del museo si dissipa insieme con quella del mondo non riproducibile che raccoglie in sé, l’evento unico si dissolve in una serie quantitativa di eventi che lo riproducono: cambia l’estetica, la riproduzione viene alla folla, neoneato mecenate. Chi ne fruisce ripresentifica il prodotto, entrambi i processi, di copia e d’arte, rivoluzionano la tradizione: il loro agente più potente è il cinema, così legato al sociale, una carica distruttiva e catartica (W.Benjamin 1936) che già liquidifica il valore tradizionale di un’era culturale. Le immagini dell’arte si diffondono ben al di là degli spazi deputati alla fruizione estetica. All’aspetto conservativo del museo si unisce la consapevolezza dell’esteticità diffusa, che il museo può discutere, dice J. Burger, integrando criticamente arte e vita quotidiana. Il prodotto musivo è un originale, la copia non ne conserva il valore - nel prodotto digitale la nozione di originale entra in crisi, l’estetica della ripetizione pone la vita nell’evoluzione dei prodotti non nella conservazione. Per Bonito Oliva, oggi, “l’arte contemporanea ha accettato il valore di un tempo minore, non rappresentato in forma indelebile, alla ricerca di una connessione seppur momentanea col mondo”. Per Taiuti i valori della nuova arte sono individuabili nella socializzazione – fruizione – distribuzione - legittimità/valore: perciò la neo-arte mette in crisi l’idea base di museo, perché l’importante non è l’oggetto non è da tutelare ma il processo che sviluppa e interpreta l’oggetto. “ Non si deve pensare a un’idea, a un progetto, come se si dovesse fare un disegno per una piazza: bisogna solo esplorare le possibilità dello spazio modulato” (Bruno Munari), un progetto è efficace se ha il suo senso nella cultura che lo genera di cui coglie l’elemento dominante nella giusta luce attraverso una ricognizione degli spazi – come diceva Schelling che l’architettura è una musica spazializzata, una capacità di corrispondenze numeriche e ideali. Ma quali sono queste corrispondenze nel tempo della realtà virtuale? la sensorialità protesica per cui De Kerkhove trova il nome di webness, indicando quel nuovo senso che deriva dalla pratica della rete, con quel complesso interagire di mente e corpo, dito e tastiera, reazione e idea applicata? Il mondo è diventato paesaggio, dove tempo e spazio hanno perso ogni connotazione originaria e tradizionale per divenire altro. Una immagine di questo sconcerto è l’orologio molle di Dalì. In questo spazio-tempo, il museo tende ad esplodere: questo indicava con la solita avveniristica lucidità Martinetti. Perché il museo nasce con le comunicazioni di massa, con l’impulso democratico, con il nascere dell’opinione pubblica moderna, con la disillusione degli Illuministi quando guardano a quel popolo che vogliono rendere l’erede del potere, l’industria moderna, la comunicazione, le città suburbane, i primi progetti socialisti: tutto in uno, alla fine del 700, con moto retrogrado e progressivo, dove è difficile dire quale sia il motore più potente perché erano tutti attivi e tutti consonanti, in un grande paradigma comune. Tra i tanti sforzi per l’educazione che caratterizzarono questo periodo, nasce anche l’idea del museo, dell’educazione attraverso l’arte, con l’attenzione al senso comune ed alla possibilità di far maturare la nazione. Insieme si pubblicano le grandi opere divulgative: Luigi Lanzi, autore dell’ordinamento in scuola degli Uffizi, compone La Storia pittorica della Italia nel 1795-6 – la storia dell’arte, non degli artisti, è oggetto del museo. Il museo così decontestualizza l’opera dai nessi fisico culturali che l’hanno prodotta rendendo necessaria una educazione collettiva. tra la collezione e il museo pubblico già c’è il salto che cambia la struttura in cui si effettua la raccolta delle opere. La storia dell’opera diventa un’altra storia, nelle esposizioni universali, l’arte come merce è oggetto di un interesse di diversa natura in cui la regia delle cose è valore estetico. Inevitabile che col mutare dei tempi anche il museo cambi e sviluppi un museo di terzo tipo, che Roy Ascott vede come un agente di cambio che pratica strade ibride per rivolgersi al consumatore, il museo diventa un centro culturale, usa pratiche ludiche, crea reti culturali interlinguistiche, oggi attrezza aree di laboratorio per il suono e l’immagine digitale, oltre ai servizi per l’utente. La Villette di Parigi, il Centre Pompidou (videoarte, Revue Virtuelle) l’ICC di Tokio (biblioteca elettronica, videoteca, laboratori per bambini) il Museo di Arte Moderna di Karlsruhe 2KM (galleria d’arte moderna e contemporanea, museo sui new media, centro di ricerca digitale ed elettroacustica) sono stati i primi a configurare un piano completo di queste novità, con mix di arte contemporanea e neo arte che temperano sia il pessimismo dell’arte moderna che l’ottimismo futurista della tecnoarte. Dal pessimismo di Martinetti sul Museo è nata l’idea nuova di uno spazio socializzato per approfondire la competenza del prodotto visivo, laboratori critici e creativi di educazione estetica in una rete culturale interlinguistica. Mentre l’arte contemporanea stenta alla comunicazione senza intermediari, il pubblico diventa l’alter di un dialogo interattivo, un modello di apprendimento efficace. L’ambiente di apprendimento si estende alla sensorialità protesica, alla VR e ai musei virtuali (MAV) - l’arte ragiona mondo dei media con la sperimentazione di tecniche multimediali (Biennale dei giovani) e con la videoarte: è la conferma di quel che pensava Lyotard, la tecnica si apre a fini umanistici, di Derrida che invocava per le future democrazie un pubblico capace di scrivere in linguaggio multimediale. Inoltre si sviluppano i musei scientifici, come quelli dell’Università di Napoli, quale nuovo medium per la comunicazione scientifica che non sia un deposito conservativo ed espositivo ma realizzi una visita coinvolgente, proponendosi come uno strumento per un apprendimento attivo e consapevole. Tale scopo non può essere disgiunto da un’attività didattica che tenga presente l’interazione con le scuole e con il pubblico più vasto, realizzando dei percorsi di formazione. La scuola italiana offre un’informazione scientifica incompleta, la formazione accademica non incoraggia una riflessione critica approfondita sulle implicazioni culturali della tecnica, gli studenti delle facoltà umanistiche non ricevono stimoli per sviluppare una cultura scientifica aggiornata: il tradizionale solco tra le due culture sembra destinato ad approfondirsi, lasciando banco al più forte. Tanto più grave perché anche la scienza non può fare a meno dell’umanesimo e lo cerca in posti sbagliati, la vita professionale di un umanista non può fare a meno di confrontarsi con le nuove tecnologie. L’attività di promozione dei musei quindi gode di un forte sviluppo cui occorre far fronte con una nuova produzione pubblicitaria, come la stampa divulgativa e specializzata, pubblicazione di cataloghi, organizzazione di mostre e convegni, ma a che i biglietti e i depliant. A ciò si aggiunge la cultura dell’edutainment, possibilità offerta dalle nuove tecnologie e già appoggiata dalla ricerca e dalla pratica (Valentino Delli Quadri). Anche l’ipertesto va approfondito, come testo elettronico ramificato che collega percorsi diversificati da chi scrive, secondo modalità associative personali di percezione e conoscenza, visione e azione, immaginazione e informazione a partire da nodi e link: è la base ottima per i siti dei musei. L’ipertesto va rivolto alle persone dettagliando punti informativi, facili ed intuitivi e correlati all’ambiente - le informazioni sugli itinerari per raggiungere il museo - le attrazioni topiche. I cataloghi, ridotti, essenziali o monografici, anche virtuali possono arricchire il book shop e la conoscenza dei visitatori, consentendo di tornare sull’esperienza anche dopo la visita. L’Andy Wahrol Museum, il Metropolitan Museum, la Galleria degli Uffizi hanno da tempo attivato la visita virtuale, dopo il Louvre, dettagliando la circolazione stanza per stanza (altri scelgono corridoi). La situazione nei musei è in netta crescita nella New Museology (ICOM UNESCO 1987), per quel che riguarda l’attenzione alla didattica; la scarsa disponibilità di fondi rende difficile per molte istituzioni potenziare il numero di personale che può essere adibito a questa dimensione, si sopperisce con ditte private che offrono solo servizi on demand – ed è appunto questa una via da considerare, anche per sviluppare in modo adeguato questa nuova professionalità, per ora affidata a competenze amatoriali – spesso validissime grazie all’esperienza, ma assolutamente non codificate. Dice Alessandra Mottola Molfino: “la società del mercato nel suo stadio più recente ha espresso il desiderio di mescolare tra loro consumo e spettacolo … arrivando anche a sfumare i confini tra,lo shopping e le esperienze culturali ed emozionali. Gli stessi grandi centri commerciali sono alla ricerca di significati e di storie da raccontare che li rendano memorabili. Sono i cosiddetti concept store … servizi di educazione e intrattenimento (: ma il fattore evento non ha) “nulla a che vedere con la quotidiana e duratura educazione alla frequentazione dei musei che solo può essere indotta da un approccio maieutico”, opera di competenti, il mercato come tale non può essere norma: F. Haskell nel libro postumo The Ephemeral Museum ha raccomandato una ricerca sulle mostre per rendersi conto dei criteri di scelta. ”L’abitudine a visitare i musei si prende da bambini (da giovanissimi); come l’abitudine a leggere e come la stessa necessità di conoscenza culturale. I valori culturali vengono trasmessi ancora come 2000 anni fa attraverso la mediazione individuale; da genitori a figli, da maestri ad allievi, da persona a persona… secondo un metodo che ancora oggi si può definire socratico; giammai con metodi meccanici. Quindi tempi umani, lunghi, profondi, sempre intrisi di emozioni dirette, di stupori indimenticabili, che lasciano segni indelebili; come i sentimenti” (ivi p. 18). Il Wandering Museum è forse la novità più interessante, dal punto di vista dello studio universitario e scolastico, perché si propone di unire argomenti diversi dal punto di vista spaziale, collegati storicamente, approntando cataloghi che consentano di vedere le analogie e di approfondirle prima di compiere il giro della città o della regione, per prendere contatto con le opere – una vera educazione alla complessità (ivi, p. 117). Si possono inoltre organizzare laboratori e mostre indirizzati a questi scopi, realizzare edutainment: un lavoro consigliato agli insegnanti come un metodologia divertente per creare dei test, di cui possiamo fare molti esempi dai laboratori tenuti nelle Università negli anni trascorsi. Acone G. Clarizia L., La metafora dello sviluppo, Morano, Napoli 1988 Agazzi E., Il bene, il male e la scienza, Rusconi, Milano 1992 Bellerate L Novacco P., La situazione scolastica in Italia negli ultimi periodi, in Trattato delle scienze pedagogiche. Benjamin W., Angelus Novus. Saggi e frammenti, tr. intr. R. Solmi, Einaudi, NUE 1981. Benoit Mandelbrot, Les objects fractals, Paris 1975 Bertin G. Valitutti S. Visalberghi A., La scuola secondaria superiore in Italia, 1971 (con. Frascati) Bertolini P. Balduzzi G., Manuale del docente. 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