Dispense Clementina Gily - Educazione all’immagine - Beni culturali
Pedagogia e didattica
La pedagogia è la comunicazione formativa che promuove l’azione educativa, studia
pratiche efficaci fondate nell’interesse, valendosi dei risultati delle scienze umane,
programmando l’azione formativa: è la specializzazione dell’attitudine di tutti gli
individui ad informare e formare, che Comenio nel ‘600 attribuì ad ogni rapporto fra
uomini – perciò titolava la sua Didactica Magna, corredata di attenzione
all’immagine nell’Orbis generalis Pictum (l’alfabetiere illustrato delle nostre scuole
primarie) per specificare il settore in cui approfondire la normale attività di
comunicazione formativa quando occorrano metodi specifici, come nella gioventù,
in relazione ai fini – metodi e fini sono i campi che oggi trattano sistematicamente la
didattica e la pedagogia.
La pedagogia lega teoria e prassi in un sapere attento alla responsabilità verso le
future generazioni, in cui Jonas fa consistere la morale odierna, slegata dalla
trascendenza. Il futuro è la dimensione più propria del paidòs, il ragazzo, ma poi
appartiene a tutte le età, perciò oggi ha rilievo la pedagogia della formazione
permanente, del longlife-learning (Santelli Beccegato), perché la velocità del
tempo delle nuove tecnologie non consente di affidarla, come una volta, alla cultura
personale.
Ciò ne fa un campo privilegiato del sapere, legando all’ orientamento nelle
situazioni, nella storia, senza trascendere il problema ma aprendo alla possibilità. Si
parla della pedagogia come utopia nel senso di tracciare una metafora della
formazione a cui tendere (Acone) determinando campi di formazione e verifica. Più
che teorie ispirate alla coerenza a tutto tondo, le affermazioni sono punti di vista
precisi (Bachelard), parole generatrici (Freire), protocolli (Schlick), proposizioni
verificabili (Carnap), vale a dire ipotesi scientifiche – perché nell’ipotesi Popper ha
chiarito come conti più il pensiero analogico dell’analitico che teorizza e verifica,
tanto che riconosce come ipotesi la filosofia atomistica di Democrito, scienza e
filosofia sono un sapere interconnesso (Agazzi).
Pedagogia e didattica sono perciò nella relazione di saperi umanistici e scientifici.
L’analisi del cervello mostra che il processo sinaptico riguarda entrambi, che le parti
antiche si affiancano alle nuove (cervello rettile, lobi frontali) collaborando con
infiniti lampi connettivi. Una prospettiva che non tenga presente la complessità
diventa vana, occorre capire le dinamiche cognitivo relazionali legando ambiente,
mente, relazioni sociali e culturali (Fruaenfelder). Si tratta di una moltitudine di
codici e sottocodici - occorrono punti fermi per delineare le ipotesi di questo
conoscere organico e in sviluppo costante. I biologi Maturana e Varela evidenziano
che i punti fermi ci sono anche nella loro scienza, i cambiamenti graduali
dell’evoluzione si addensano in chiusure operative, quando il totale cambiamento
delle categorie di interpretazione è tale da richiedere la definizione di una nuova
specie. Così è anche della cultura, dov’è giusto seguire il consiglio di Varela di
abbandonare la scienza esatta per capire questa logica organica e meditare i
processi enattivi, di modello orientale, che fondano nella vita, nella comunione
invece che sulla materia o sull’astrazione: si può aggiungere che sono questi i
processi dell’arte.
L’arte non abbandona la scienza esatta nel dar forma, connette i saperi e crea
immagini – come fa oggi la logica del computer, binaria ma produttrice del mondo
dell’immagine a tutto pieno. Oggi spesso l’immagine sostituisce la parola, un
guadagno sicuro che nasconde danni visibili: il compito della pedagogia e della
didattica di oggi è meditare il cambiamento con scelte che ottimizzino il guadagno e
limitino il danno.
L’età della formazione
Se l’educazione ai valori culturali è di tutte le epoche, non lo è la limitazione di
questi percorsi alla gioventù, che segue la coscienza pedagogica di dover rispettare
la diversità delle età dell’apprendimento. Una idea che è diventata di recente
scienza con Piaget, lo psicologo delle età della vita; conoscere è un cammino di
crescita organica, esercizio ed esperienza con oggetti, interazione e transizione, che
si fa di momenti successivi di assimilazione e adattamento, percezione e
apprendimento; le difficoltà si superano col pensiero simbolico, un’analogia,
un’ipotesi. Così la percezione muove tra sensazione e immagine, come disse già
Aristotele parlando di phantasia, nel De Anima, un contrasto che motiva il pensiero
scientifico a pensare la scienza. Non è quindi un processo che si lega ad una età della
vita.
L’affermazione delle diversità è una importante conquista della storia del pensiero,
la nascita della pedagogia come sapere pratico; che condusse ad una altrettanto
importante conquista di civiltà, l’educazione pubblica – una delle prime legislazioni
scolastiche è del Regno di Napoli, dove dall’attività geniale di Gaetano Filangieri
venne la legge del principe Caracciolo, ministro dal 1786 all’89 - il piano delle scuole
elementari pubbliche fu del secolo successivo. Oggi che può dirsi concluso The
Century of the Child (Ellen Key, 1909) perché la separazione di ragazzi e adulti è
superata dall’accessibilità delle comunicazioni di massa, formazione e contro
formazione (Cambi) devono confrontarsi più che ignorarsi e contrapporsi, come
tendono a fare. Superando i problemi con l’elaborazione di didattiche efficaci.
L’educazione dei media non è considerata tale né dalle legislazioni né dal mondo
della scuola. Eppure è una realtà facilmente constatabile e constatata. Diffonde
paradigmi e linguaggi ludici, virtualità che è realtà, intrattenimento (televisione) e
liberazione fantastica (rete) che corrodono il mondo della vita. La velocità dei media
rallenta la vita, estraniando l’esperienza ai suoi tempi lenti per seguire la freccia
della navigazione. Viene a mancare il tempo della reazione personale, della
formazione di una immagine coerente, della risposta della mente all’input – l’output
assume la dimensione di una scheggia soprattutto rapida. Il mondo nuovo di Aldous
Huxley, dove la gente si lascia opprimere per evitare di pensare e scegliere, è
l’immagine della minaccia che sconcerta l’educazione istituzionale, anch’essa
immersa in questo mondo che tende a negare il diritto di pensare.
Ripensare la open school di Jacques Maritain, Aldo Capitini, don Milani, Mario Lodi,
Danilo Dolci, significa oggi capire i vettori del cambiamento, vale a dire la tecnologia,
la mondializzazione dell’economia, l’impatto del mondo scientifico e tecnologico
nella società della conoscenza (Orefice). Per fare questo occorre indagare i significati
condivisi (Mantovani) e simbolici (Rosaldo) del senso comune in una ricostruzione
topologica del negoziare i significati elaborando le griglie d’interpretazione che sono
oggetto della pedagogia sociale (Saracino-Striano) per studiare i pregi e difetti delle
agenzie formative (Fabbroni); elaborando interventi micro pedagogici per delimitare
il campo di azioni verificabili (Demetrio). Ad esempio scegliendo di partire dalle
immagini quotidiane, dall’analisi dei mass media, come fa la media education
(Rivoltella). Roberto Giannatelli, che ha dato a questa educazione l’organizzazione
del MED, ricorda che essa consiste nei sei punti indicati da J. Martinez de Toda: 1.
alfabetizzazione – conoscere il linguaggio e il significato; 2. coscienza – conoscere il
funzionamento istituzionale; 3. criticità – scopre le distorsioni ideologiche; 4. attività
– decostruzione e deframmentazione; 5. socialità – coscienza delle mediazioni
sociali; 6. creatività – produrre messaggi. Una serie di azioni che la didattica gradua
in momenti successivi che sono uno studio dell’immagine dei media, che quindi non
spetta solo all’infanzia né solo alla scuola il Documento di programmazione
finanziaria 1999-2001 precisa che l’educazione permanente può attuare politiche
educative nei servizi sociali seguendo metodi descrittivi, interpretativi, costruttivi
(C. Scurati- P. Bertolini- G. Viccaro).
Connessione del pensiero scientifico e del metaforico-simbolico
La classica antitesi tra saperi umanistici e scientifici trova anche nelle accademie la
proposta di abbandonare la visione antitetica di due direzioni tra cui occorra
privilegiarne una pur non escludendo l’altra per dare, ad esempio, senso diverso alle
scuole superiori. Oggi persino i processi dell’epistemologia citati (Bachelard,
Maturana e Varela, Frauenfelder) dimostrano che l’antitesi, se ha sempre creato
problemi, oggi rende impossibile analizzare la realtà. Edgar Morin (1989) disegna la
differenza e dimostra l’assunto, indicando categorie che sono più un doppio elenco
in una stessa pagina che in un doppio foglio tra cui occorra scegliere quello presente
in cornice. L ‘oscillazione è dialogo, differenza che fa procedere i due lati in un solo
movimento: come per altro ha sempre dimostrato la storia del pensiero.
Pensiero semantico
1. logos
2. realtà
3. astrazione (concetto)
4. argomentazione
5. scienza /tecnica
6. istruzione
7. società
8. necessità
9. digitale
10. emisfero sinistro
Pensiero simbolico
mythos
interiorità
concretezza (metafora)
narrazione
cultura
formazione
comunità
gioco
analogico
emisfero destro
L’emisfero destro crea metafore, parole-mythos, che richiedono molteplici punti di
vista, come la scultura rispetto alla pittura, occorre circoscrivere lo spazio della
forma; la parola-logos richiede vocabolario. La prima mantiene la dimensione dell’
oralità, aperta al cambiamento coordinato, la scrittura invece definisce i saperi
come dice Walter Ong, filologo che ha studiato il pensiero greco nel passaggio dall’
oralità a scrittura analizzando il modello orale nel suo valore proprio e risocntrando
nel mondo attuale il passaggio alla neooralità della società dell’immagine.
I linguaggi sono dinamiche effettuali anche pittografiche (Derrida) che nell’ipertesto
disegnano scritture non sequenziali (Nelson) capaci di descrivere isole nella corrente
(Queau) da analizzare in un circolo ermenetico, un andirivieni che mima
l’osservazione di una scultura (Gadamer) dividendo il mondo in spazi frattali
(Mandelbrot) che consentono la contaminazione dei saperi tra scienza e filosofia è
tipica dei nuovi saperi pluri-prospettici (Prigogine).
Perciò la formazione si presenta come un discorso anormale (Rorty, filosofo
analitico), un pensare altrimenti (Musil, letterato) capace di aprire alla differenza in
una antropologia interpretativa (Geertz scienziato) che educhi il terzo istruito
(Serres) chi sa confrontarsi con la differenza. I saperi meticci sono considerati in
campi così diversi del sapere perché oggi lo scienziato medita nell’ambito di scienze
indeterministiche e basate sulla relatività, basta leggere il proposito L’eterna
ghirlanda brillante di Hofstadter che delinea il cammino parallelo fondato nel
principio di simmetria di Goedel, che disegna una matematica aperta, Bach che
modula fughe musicali, Escher, che disegna fughe anamorfiche. Si tratta di una bilogica (Matte Blanco, letterato) cha nelle sue due facce conclude; con chiusure
operazionali, l’opera, la definizione scientifica, sintesi per contatto e sviluppo,
successioni - rivoluzioni: in proposito è indicativa l’affermazione dei citati biologi
Maturana e Varela, quando studiano la trofallassi delle formiche, che è come la più
celebre danza delle api una comunicazione tipica degli animali sociali; il loro studio
osserva il contatto delle antenne tra formiche che s’incontrano, una comunicazione
di percorsi vitali e cerebrali, informativi anche in senso sociale.
È la lingua del senso comune, se è adattamento alla comunità sociale: per Sapir “E’
un’illusione credere che ci si possa adattare alla realtà senza l’ausilio della lingua e
che questa sia solo un mezzo”; per Worf la grammatica di accordo è la prima
istituzione sociale: “una cosa è la parola con cui la si definisce”. Nella lingua si
negoziano le rappresentazioni sociali (Moscovici), che orientano nell’ambiente
creando “codici per denominare e classificare i membri di una società, le
componenti del loro mondo, della loro storia individuale e collettiva in maniera
univoca”: perciò, non sono schemi cognitivi perché come pensiamo non è distinto da
ciò che pensiamo e perché si tratta di processi che si dimostrano psico-sociali. In
modo più vicino alla nostra indagine, si può a questo punto citare la teoria della
cultura di Ernst Gombrich, che ne fa una lingua pregante e piena di rimandi anche
superficiali, come i link degli ipertesti; in sé insignificante, indica i collegamenti
analogici e l’interrelazione, identifica un ambiente di comunicazione- fa l’esempio di
uno che confonda Paride e Parigi come accade in un romanzo di Agata Christie – è
come non salutare o parlare linguaggi non appropriati in ambienti formali. È questo
il senso attuale della cultura generale, che ha natura comunicativa e non scientifica,
è il linguaggio che crea la comunità. Come la complessità è una parola indefinibile,
ma considerarla una lingua costituisce un campo di analisi.
La sociologia e la filosofia analitica studiano le conversazioni quotidiane; ma forse
l’arte in genere è un miglior campo di osservazione, visto che giustamente
congiunge la parola lingua, di solito legata ai vocabolari, al più vasto linguaggio della
comunicazione non verbale e del corpo. Perché l’arte, anche l’arte in parole, dà un
posto indagato in ancora più secoli della logica indaga le metafore e i simboli, le
analogie e del determinazioni cognitivo/ storiche. Cioè le forme analogiche che
danno ai problemi una forma memorabile ed una definizione aperta, attenzioni più
definizioni. Immagini in figura e in parole su cui s’invita a discutere con decodifiche
ed interpretazioni in un processo di razionalizzazione sul modello di domandarisposta, interattivo, che dalla superficie va al fondo senza lasciare la concretezza
della percezione, che Merleau Ponty definisce chiasma, un tutto unico, che è
presenza e conoscenza percettiva. Il problem solving si attiva a partire da immagini
sociali o comuni, che portano la psicologia sociale a diventare pedagogia sociale,
come nel caso di Bruner, che tende soprattutto a mirare i contenuti alla mente che
cresce per comprendere anche il dettato della sociologia, capendo la valenza sociale
dei fenomeni educativi, come la pari opportunità, la cittadinanza attiva che osserva
le questioni etiche razziali ambientali, e le nuove professionalità (A.Agazzi).
L’interazionismo simbolico (Dewey) ha chiarito l’importanza di considerare
l’ambiente di vita evitando il disadattamento scolastico, conquistando un sistema
qualitativo, un multiverso educativo che richiede una metafondazione: concetti
meno rigidi appresi nella negoziazione dei significati logico razionali ma anche
simbolici, affettivi e relazionali, dando corpo al processo della formazione. Che è
confronto e ricerca nella tetrade di spazio acustico e visivo, sfondo e figura
(McLuhan): spazi complementari in una cornice che delinea un intervallo di
risonanza (De Kerkhove) che è spazio visivo della razionalità, immagini della
conoscenza. Il territorio proprio dell’arte. L’eccesso di immagini e velocità ha creato
un tempo orgiastico (Maffesoli), choc che non sanno diventare esperienza
(Benjamin): la didattica può riuscire al controllo dei linguaggi (Skinner) creando
cultura dell’immagine, in figura e in parola. Attuando nelle unità-classi-relazioni, una
dinamica di sistemi (Bertolini Balduzzi) nel territorio (De Bartolomeis).
Formare con la bellezza
Nel volume Arte e Formazione c’è la trascrizione dell’intervento di Edgard Morin al
nostro convegno sul tema – Morin è il filosofo che più ha insistito sul concetto di
complessità tipico dei nostri tempi, tanto da parlare di 7 diverse intelligenze che
bisogna tenere presenti nella formazione, come ha detto anche Gardner molti anni
fa. Molte di queste intelligenze sono più proprie dell’estetica che della logica. È il
sapere non consequenziale, l’esprit de finesse, la capacità di capire la storia non solo
delle persone, delle società, delle cose del sentimento; è anche la capacità di capire
la percezione, che già per Aristotele ha in sé anche la phantasia, la capacità di
costruirla, di spiegarcela a modo nostro – qui si annida anche la possibilità
dell’errore, ma anche dell’effettiva intellezione. Nulla si capisce affastellando
esperienze, tutto si capisce se si va a punti di vista precisi, a sistemazioni organiche –
esse non sono mai vere perché cambiano nel tempo come cambiano le scienze
persino; ma sono anche sempre vere in qualche modo, casomai tanto poco che
vanno cambiate presto – vale a dire che non sono gratuite, anche quando
scambiamo una persona per un’altra c’è il rilievo di qualche elemento comune, c’è
una lettura che in qualche modo riconosce qualcosa.
Complessità, dice Morin, è una parola problema, cioè non si può definire, solo
riferire a qualcosa di presente, di intuibile, di determinabile con esempi. Il che vuol
dire che se ne può parlare, ma senza pretendere ad un sapere definitorio, ad
asserzioni che si possano mandare a mente e trasmettere come informazioni. Il
termine definisce bene questo nostro tempo caratterizzato dalla velocità delle
trasmissioni e dei mezzi di comunicazione, che creano la società della rete e del
multiculturalismo, le tradizioni si perdono in un continuo confronto che genera
appunto complessità.
L’estetica è il regno della complessità, perché se essa riguarda l’arte non vi coincide
– non solo è la conoscenza percettiva, ma anche lo stupore che genera la bellezza,
che interessa al conoscere: il sapere estetico è un conoscere interessato, che cerca
di capire per capire solamente; scrive una figura o un’immagine della percezione, cui
tenta di avvicinarsi quanto possibile senza superarla in una definizione. È l’eterno
ritorno sulla sensazione che ridà la meraviglia dell’incanto – la poesia che è della vita
e non solo delle figure, nell’estetica il sentimento non è fuori del conoscere, l’opera
è una scrittura del sentimento che si ripete ad ogni messa in scena. La catarsi deriva
dalla mimesi che crea il doppio, un corpo d’arte che consente il sacrificio di
rigenerazione – un gioco che è rito, rappresentazione della vita ed esorcismo della
morte. A questo partecipano tutte le arti, ciascuna a suo modo: anche le più attuali
dei media e dell’informatica. Ci si muove nel territorio dell’indicibile, la traduzione si
affida non ad atti meccanici ma ad opere che riescono a dire il silenzio in un insieme
organico, come i lieder, come le canzoni. Raccontare il silenzio è la scrittura, la
magia che l’arte ha nella più classica delle pitture, come nella fotografia che riporta
la presenza nell’assenza. Qui si vede come la forza dell’arte è la capacità di scrivere il
processo della trascendenza, come nelle statue religiose dove il culto anima la
trasformazione della materia in qualcosa che è per noi , di inattingibile con i saperi
scientifici. La letteratura crea nuovi organismi che dicono una società nella sua verità
storico sociologica, nel doppio della scena, nel teatro come nel cinema, ormai arte in
questa estetizzazione generalizzata del mondo occidentale, che arriva all’industria –
ma sempre per essa vale quel che disse ”Beethoven, uno dei miei filosofi favoriti, nel
primo movimento dell’ultimo movimento quartetto muss es sein – es muss sein - è
possibile cogliere la contraddizione, come possiamo vivere in questo mondo - es
muss sein ha voluto unire in una contraddizione la formula complessa che è
possibilità di rivoltarsi e di accettare, di accettare per rivoltarsi, perché quel che
conta è in verità l’inseparabilità delle due cose” . La necessità di reintrodurre
l’estetica nella poesia più ampia della vita è chiarita così come tipica duplicità
dell’essere dell’uomo, l’estetica non è un lusso né sovrastruttura né epifenomeno:
l’estetica si trova al cuore della dignità umana, dell’essere umano e forse della vita.
Rapporto di insegnamento e apprendimento, conoscenza e oggettività, apparenza e
realtà, senso e non senso, cultura e ragione, tecnica e valori, sono classici temi della
pedagogia, che chiariscono i fini che essa si propone: l’antica Grecia li definiva
paideia, la costruzione della mente armonica ed argomentativa volta all’universale,
l’ottocento nella Bildung, costruzione dell’uomo intero, cultura e originalità creativa
umana. L’interazionismo simbolico li definisce nella relazione all’ambiente di vita,
oggi dominato dai media e dalle immagini ferme e soprattutto in movimento. A
tutti va rivolta perciò la formazione educazione estetica, perché non si tratta di
educare alle belle arti , non solo, ma di consentire la nascita della coscienza estetica,
vale a dire della capacità di leggere le immagini. Un’educazione percettiva che si
situa nell’orizzonte della bellezza/bruttezza, nella compostezza che genera
compiacimento (Kant): per il quale anche in matematica si definisce elegante o bella
una formula. Bellezza/bruttezza sono l’opposizione che distingue il pensare
analogico, che si articola in categorie conoscitive, diverse dalla logica e dalla scienza.
L’ambiente richiede una teoria ecologica (Bateson) osservativa ed operativa, che
limiti un campo di ricerca azione, senza accettare la confusione del tutto (Lewin).
L’ambiente di vita è una serie ordinata di strutture concentriche, come una
matrioska russa. Le si può analizzare solo in una topologia, in una analisi dei luoghi.
L’ambiente consta di un macrosistema e microsistema, ma anche di terzietà esosistemi, contatti per interposta persona, mesosistemi, contatti con la fama: tutti
agiscono sulla mente, oggi con predominanza del mesosistema, un vero labirinto.
C’è in inglese la differenza del labyrinth, quello di Dedalo, fatto per perdersi, e maze,
il labirinto erboso dei giardini, fatto per ritrovarsi. Saper trovare il senso di questa
differenza si affida nell’ambiente alla diade base (N+2), il rapporto di fiducia con
qualcuno che garantisce il senso, di cui si teme la disapprovazione. Oggi in questa
diade base i media sono trapelati, nei casi clinici sono i media, i videogiochi, la rete,
a subentrare ad altro nel rapporto di sostegno psichico: anche nella normalità è
stato teorizzato che la televisione esercita un conforto ontologico (Giddens) per la
sua continuità ininterrotta a disposizione dell’utente – basta andare in un ambiente
sconosciuto e intimidente, per constatare la verità di questa osservazione.
L’ambiente è oggi una psicosfera, un ambiente noetico, un contatto con l’intelligenza
collettiva (Levy), un sapere tattile (De Kerkhove): treno, fotografia, cinema, aereo,
telefono, radio, televisione e computer sono la rivoluzione totale della
socializzazione e comunicazione terrestre e virtuale, che si riflette nel senso comune
dove la morte reale sfuma, il divo è più conosciuto del vicino di casa, lo dimostra il
gossip, la lingua della comunità.
La scuola può intervenire in questa rivoluzione meditando l’educazione all’immagine
e la connessione dei frammenti che si attua regolarmente nell’arte, posta in
relazione con le materie di studio. Lo spettatore diventi critico e non soffrirà più di
nessuna informazione spazzatura, saprà distinguere – ma ciò è vero per tutto il
conoscere, ogni sapere comporta scelte. I programmi di studio devono adattarsi al
mutamento socio culturale, come sempre, delineando nuove ricerche e nuove
didattiche (Bertin- Valitutti- Visalberghi).
Partire dall’immagine è il vero futuro della pedagogia, educare al pensare ricorsivo
nell’interpretazione, alla dissezione e collazione di frammenti nella costruzione
dell’arte, che si lascia guidare da materiali interessanti e da altri comuni per
imparare a fare domande – tutto e dettaglio guidano il processo della conoscenza e
la pratica delle immagini. Senza lasciare la cultura del libro, approfondire la cultura
dell’immagine significa imparare ad analizzare il mondo d’oggi, a capirne i testi e le
scritture. Per non finire come Renzo davanti al latinorum di Don Abbondio.
Didattica
La didattica è una scienza autonoma che sostiene l’apprendimento dei saperi
ordinando il succedersi dei temi con la programmazione (Damiano 1993). La
pedagogia medita i fini (Rosati, Develay 1994) rispetto ai problemi che la didattica
evidenzia (Bertolini 1992), perciò è parte rilevante dell’educazione ai valori (Acone
1994). Il suo campo è la cultura (Willmann 1962), il senso comune fatto di scienza
come di metafore ed espressioni condivise, di lingue della comunicazione
(Gombrich) con metodo di conoscenza (Fabbroni 1994) che approfondisce le età di
formazione e il linguaggio simbolico dell’ambiente sociale (Calidoni 1992).
Nel mondo nuovo della velocità e delle tecnologie medita gli strumenti nuovi con
congetture aperte alla confutazione, come Popper definisce il passaggio da ipotesi
ad affermazioni, seguendo un modello biosistemico, come nell’autobiografia aperta
alle possiiblità non realizzate raccomandata Bruner – un modo per capire quanti
diversi sistemi sono nel sapere quotidiano e si capiscono nel paragone delle
esperienze. È un metodo narrativo, ma può invece delineare items (obbiettivi
valutabili con procedure semplici), stabilire una sequenzialità del percorso che è
anche controllo in itinere, semantico e pragmatico (Scurati 1972). Limitazione del
campo d’indagine, prospettiva globale e autovalutazione dei risultati sono l’idea
base del controllo di qualità sviluppato in ambito manageriale (De Bono 1994), una
delle forme dell’educazione permanente, perché non sia è accumulo di informazioni,
ma costruzione di cultura; ma è anche il metodo della micro pedagogia di ordinare
moduli successivi con sussidi didattici, iniziato con la didattica delle 150 ore (Muti
1988). Ma è anche poi il metodo curricolare che in Italia ha costruito il collegio
docente multidisciplinare (DPR 3-5-74 art. 4; legge 517, 1977) modellato sul metodo
dei progetti di (Dalton, Winnekta, Nichols): il curricolo è uno spazio per correre,
Kilpatrick vede il progetto come l’articolazione di un problema, che evita lo
spontaneismo di una sperimentazione libera nel coinvolgere un intero sapere
(Vertecchi 1985). Così il gruppo è creativo nella cooperazione educativa (Freinet) del
team teaching, il lavoro in gruppo che dai uno script narrativo e disegna l’azione
didattica verso obiettivi con concetti, sfondi e situazioni da ultimare nella post
programmazione e nella valutazione (Azzali Cristanini 1995): realizza così una
congettura organizzante (Bruner 69).
Il gruppo è perciò studiato con attenzione anche in altre teorie, che sviluppano
tassonomie in diversi settori, anche linguistici e musicali. La Sociometria di Moreno
uniforma la metodologia di ricerca con la ricognizione di unità didattiche – contenuti
– verifica e codificazione, per consentire alla narrazione – oppure fantastica,
scientifica, multidisciplinare – per evitare il suo pericolo di sfumare nell’indistinto. La
tassonomia di Bloom (1983) si articola su quattro principi ispiratori: didattico,
psicologico, logico ed obbiettivo; stabilisce obbiettivi didattici e campi d’azione
(cognitivo, affettivo, psicomotorio) correlando Conoscenza, Contesto, Comprensione, Traduzione, Applicazione a contesti, Analisi di elementi e relazione, Sintesi
come organizzazione della struttura; si dirigono agli obiettivi cognitivi consistenti nel
1. conoscere 1.1 i dati particolari 1.2 i modi di usare i dati 1.3 i dati universali, nel 2.
capire 2.1 tradurre o trasporre 2.2 interpretare 2.3 estrapolare, nel 3. applicare 3.1
distinguere elementi comuni e poi 4. analizzare 4.1 elementi 4.2 relazioni 4.3
principi; segue la fase operativa di 5. sintetizzare 5.1 produrre un’opera personale
5.2 produrre un programma 5.3 derivare relazioni astratte e infine del 6. valutare
6.1 con criteri quantitativi 6.2 con criteri qualitativi. Gli obiettivi affettivi badano alla
1. Ricettività 1.1 coscienza 1.2 disposizione a ricevere 1.3 attenzione mirata, alla 2.
Risposta 2.1 disponibilità a rispondere 2.2 desiderio di rispondere 2.3 soddisfazione
nel rispondere con la 3. Ricognizione dei valori 3.1 accettazione di un valore 3.2
preferenza per un valore 3.3 impegno in un valore alla decisione dell’ 4.
Apprezzamento dei valori 4.1 concettualizzazione di un valore 4.2 sistema di valori.
Ciò culmina nella 5. Caratterizzazione di un sistema di valori 5.1 in un insieme
generale 5.2 che caratterizza la personalità del progetto. L’utilità di tali tassonomie è
nel dare l’idea sistematica del processo della didattica, che nel riscontro globale trae
una metodologia solida di intervento e controllo, che consente il procedere verso
una migliore aderenza ai tempi. Il vantaggio è nel saper trasformare la valutazione in
organica e per quanto possibile autonoma (Aller e Ryan 1974), sottraendola alla
forma del giudizio.
Delle dinamiche di gruppo si occupano il cooperative learning, il peer tutoring, il peer
counseling, il coaching – dinamiche di qualità che studiano come migliorare il clima
del team con sperimentazioni di metodo ludico basate sul role playing, su relazioni
di aiuto, sulla razionalità pratica (Damiano), che per evitare confusioni con la ragion
pratica di Kant, la teoria della volontà, conviene chiamare practical reasoning con
Brenda Laurel (1993) – la conoscenza teatrale che delimita il campo allo stage e
pratica la logica della situazione. Così la conoscenza del sé diventa analisi dei ruoli e
comprendere il sé come persona che agisce attraverso la maschera come chiave
della persona (Elster), l’appartenenza che costruisce la persona non meno del DNA.
Si delinea così una pedagogia euristica, cioè di modello socratico ed aperto, verso
una scuola di qualità nel modello di ricerca azione (Demetrio) grazie all’analisi dei
prodotti. L’apprendimento, risposta motivata alla situazione (Skinner), si concretizza
in una memoria di elementi personali e tradizionali storici che connette il vecchio
nel nuovo. Il cognitivismo teorizza la forma (Gestalt) come passaggio dalla memoria
a breve termine (working memory) a quella a lungo termine, un processo
sequenziale che rinnova le unità di significato che si ripete si innova, il se…allora del
know how che diventa un know that.
La conoscenza procedurale mostra diversifica forme della mente, 1. pensare in
lingua 2.concettualizzazione e spazializzazione 3. analisi musicale 4. calcoli
matematici 5. problemi del corpo 6. comprendere gli altri 7. comprendere se stessi
(Gardner). Passare dall’ignoto al noto, dal sapere alla conoscenza si compie step by
step e tenendo conto dell’osservatore, che il postcognitivismo vede nella sua
molteplicità che impone la conoscenza del contesto dei saperi.
La capacità di gestire la collaborazione tra i pari, come quella tra docente e discente
è illuminata dall’osservazione delle dinamiche di gruppo, che non è un aggregato ma
una condivisione di aspettative, come una musica della mente di gruppo (Lewin), che
ha gerarchie, norme, ruoli che si mostrano nei circle time e nei role playing così da
poterle analizzare, ciò sia nei gruppi spontanei che in quelli strutturati (classe). Il
bisogno di sentirsi coerenti (Festinger, dissonanza cognitiva) induce errori
comunicativi e a vere e proprie menzogne: occorre da un lato smontarle, cioè
rendere coscienti al sé (Dusay, egogramma), dall’altro rendere così possibili altre
transazioni con scambi di idee, risposte semplici, complementari, parallele,
incrociate, ulteriori che distinguono sentimenti autentici e parassiti (Berne).
L’analisi dei gruppo mostra le chiavi e le serrature dell’interazione consentendo
l’affordance, l’opportunità (Gibson 1986). Formare la personalità è analizzare la
situazione e studiare la risposta allo stress che si attua con il coping di esempi di
coerenza: così il culturalismo descrive il procedere dalla situated cognition alla social
cognition, coscienza di sé e conversazione per costruire significati comuni.
Alla black box del comportamentismo, che situava l’azione in ruoli sociali che
staccano il sé dal mondo, l’interazione consente con la visione del tutto, capire che
la decisione intuitiva nasce nel confronto di immagini, valori, credenze, scopi, e si
trasforma in piano d’azione, un artefatto culturale. L’identità si mostra tanto
variabile che la presenza dei media nel quotidiano va studiata in questo piano:
Silverstone lo dimostra quando descrive il successo dei media e del loro stile,
illustrando come sia il risultato della mentalità suburbana nata nello stesso periodo.
Quando cioè il lavoratore delle fabbriche abbandonare la città delle fabbriche e
diventa pendolare grazie ai media terrestri; privilegia perciò la comunicazione che
annulla la differenza sobborghi-città: il telefono che annulla le distanze, la radiotelevisione che restituisce la vivacità della vita cittadina. Perciò i contenuti sono
confezionati dal broadcast dilettando l’utente grazie alla sua propria ricerca che
tende a conoscerlo (nascono le rilevazioni dell’audience e le statistiche, Gallup era
un pubblicitario che cambiò mestiere per l’efficienza delle sue analisi).
Questo costruisce la cultura popolare odierna che si adegua alle regole del senso
comune e contribuisce a cambiarle (Mc Quail 2002) con la sua cultura, ideale ed
antropologica, fatta di grandi narrazioni (Eco 1968). Quelle dei media sono spesso di
scarsa originalità, ma sono sempre creative di comunità di pari che si
interrelazionano parlando di esse. Perciò, la lingua dell’oggi è comunicabile (Laeng
74) se sa trasformare le didattiche del libro in comunicazione tecnologica,
trasformando il problema della controeducazione in risorsa dell’apprendimento
(Rogers 1973). Se gli schemi cognitivi di percezione e memoria sono attività
costruttive di schemi che partono da procedure di somiglianza che creano credenze
e valori partendo da approcci cognitivi e modelli culturali presenti nell’ambiente:
questo campo è oggi l’oggetto e il metodo della ricerca pedagogica e didattica.
Valersi di metodi metacognitivi (questionari, narrazioni, riflessioni) è un
complemento dei metodi tradizionali (lezione, ripetizione e ricerca), nell’interazione
di diverse logiche, analitiche, simboliche, iconiche.
Si attua così la funzione della cultura, che consiste nel lasciare spazio ai saperi ed alla
loro intersezione (Cassirer) grazie a forme simboliche poste da Dewey alla base
dell’interazionismo simbolico. Il simbolo che nella sua pregnanza rischia l’errore, che
però ha una sua precisa funzione nella crescita, in quanto verifica (Parkinson 1984),
perde la sua confusione se si porta il linguaggio a brevità e chiarezza (Jakobson e
Schoreder 79) nel confronto coi linguaggi complessi (Shannon, Chomsky, Sebeock).
Per questo è importante osservare anche altri mondi culturali, paragonare la scienza
occidentale, in crisi per la separazione specialistica di scienza e filosofia, con la
visione orientale, come propone il biologo Varela (1992). Nella tradizione indiana
coglie la capacità di fondere esperienza e pensiero nell’enazione, la conoscenza
incarnata in un linguaggio è anche colore, la mente è anche ontologia, ricerca
dell’essere; il metodo enattivo supera il nichilismo perché vive la mente organica
analogica e digitale, che non perde la capacità di cimentarsi con l’azione del futuro.
Sostituisce al niente che paralizza il nulla dell’origine, della com-passione, della
codipendenza del pensiero planetario, dell’uomo intersoggettivo capace di azione
sensata, non ridotta al volontarismo dalla mancanza di entusiasmo. Non è perciò
l’ermeneutica la strada da percorrere, ma il ragionare a partire dagli oggetti,
progetto e verifica, con mappe di esplorazione aperte alle scienze – un’ottica non a
caso condivisa dalla teoria dell’informazione, nella logica robotica di Rodney Brooks.
Se la la scienza, e in specie la didattica, si giova della definizione, il senso
dell’educazione resta impalpabile, Vigotskij parlava di respiro leggero della cultura.
Perciò a volte la didattica di Lombardo Radice risulta di sconcertante attualità
(Rosati) pur essendo centrata nella genialità del maestro, che sa motivare: la cultura
è un sapere multidisciplinare che si costituisce in unità oltre la specializzazione.
Come l’opera d’arte, l’immagine, il punto da cui partire nella didattica.
Media education
La media education è la prima indicazione di metodo, per la diffusione dei media, da
analizzare nella loro metodologia tecnica e comunicativa, due gambe dello stesso
corpo – il mezzo è il messaggio (McLuhan) anche la radio comunica per immagini,
ma ciò si comprende conoscendo le immagini, il medium e i suoi prodotti.
Per familiarizzarsi nel quotidiano ed entrare negli interessi del pubblico, i broadcast
e tutti i media creano un linguaggio adeguato, dove dominano il gioco e la festa. La
gioia di creare si trasmette con la spettacolarizzazione estesa all’informazione, alla
politica, alla cultura, in una scena teatrale che assorbe i significati in una marmellata
(Bettetini), la televisione è un medium zero, cioè una mancata comunicazione, la
televisione trasmette se stessa (Enzenberger) – e se si ragiona si vede che questo è
di tutti i media, linguaggi autoreferenziali che vanno capiti in sé, nella loro teoria e
tecnica.
Ma non si può perciò pensare di consigliare di spegnere la televisione per educare, il
consiglio, purtroppo ancora oggi seguito, dato dalla scuola di Francoforte, da Sartori,
da Popper – Condry; meglio capire il segreto di questa didattica che riesce ad
imporre il linguaggio del medium in tre anni di vita dalla nascita. È la didattica ludica
il segreto, e già Comenio ci pensò sostituendo ai frustini dei maestri le immagini e la
loro narrazione: muove l’interesse. Il gioco ha fine solo in se stesso – se no diventa
lavoro – si motiva da sé. Ed ha grandi doti formative, lo dimostrano da sempre i play
dell’arte, siano teatro o cinema, romanzi e poesie, sculture e dipinti.
L’ambiente elettronico delle comunicazioni di massa è da studiare nelle azioni dei
broadcasting, in cui prevale l’emittente, sia negli altri media, perché è la loro
convergenza nel costruire un mondo alternativo, virtuale, forte come mai: don
Quijote iniziò la modernità del romanzo parlando del virtuale delle narrazioni
letterarie, la cultura popolare di allora – i mulini a vento scambiati per nemici
avevano allora presa su poche menti colte; anche oggi la cultura del libro forma i
propri cultori in quindici anni, se ha successo.
Oggi il caso riguarda l’intera popolazione mondiale. La didattica dei media piace, ma
diffonde testi spesso criticabili: appunto la via regia della risposta educativa è la
critica. Che approfondisce la letteratura popolare conoscendola attraverso le analisi
di tanta cultura scientifica ed umanistica, che sono già una biblioteca densa che non
entra spesso né nelle scuole né nelle Università se non come sapere specialistico. E
che elabora una didattica basata su giochi di conoscenza, kit di ludodidattica, per la
conoscenza del telefono, della radio, della televisione, della rete che insegno a
districarsi nel labirinto dei media (Gily 2003, 2004). In tutte le età sono praticabili
metodi di osservazione della fiction di ogni tipo, dei modelli reali e virtuali (famiglie,
giovani ecc.),delle immagini della pubblicità, dei modelli di comportamento nei
reality, nei videogiochi e via dicendo.
Gioco contro gioco, interesse contro interesse, si vivacizza un apprendimento delle
immagini e delle lingue dei diversi media, rendendosi conto di cos’è il virtuale, la
composizione dei testi in immagini, valutando insieme la violenza della televisione
nei suoi sensi figurali e profondi. La preoccupazione per le esperienze di violenza
della letteratura poliziesca e onirica diffuse dalla televisione per tutte le età e tutti
gli ambienti, ha già creato un’ampia letteratura di settore che ha sollecitato le
istituzioni. La Convenzione internazionale dell’infanzia ONU, New York 20.11.89, già
la condannava sulla base di molte rilevazioni e tesi, una storia bene descritta nello
stesso anno dalla bibliografia ragionata di Dario Romano (disponibile in un CdROM
OSCOM) e giudicata con gravità da Cambi e Ulivieri. Infatti nel sono venute
autoregolamentazioni che responsabilizzano i telegiornali nel mostrare esperienze di
guerra vissuta, come invece accadeva senza riflessione vent’anni fa.
Ma la violenza delle immagini che turbano non si riduce a questo, consiste spesso
nella diffusione di patterns, di modelli di comportamento, troppo difformi dal
costume nazionale e spesso dalla morale tradizionale. Come è violento avere per
fine la passività dell’utente così da garantire i propri compiti di pubblicità e
propaganda. Discutere questa violenza è ad esempio riportarsi alla discussione
novecentesca su forza/violenza rivoluzione/riforme – un approfondimento che, ben
condotto, la scuola può assumere nelle materie di studio. È solo un esempio di come
la pedagogia può agire facilmente e destando interesse.
Nella società del tempo libero liberata dalla maledizione del lavoro, non si medita il
valore del gioco così ben teorizzato nel Novecento: basti citare Huizinga, Caillois,
Gadamer, Marcuse. Perciò si esagera nel gioco d’azzardo – che è anche sport
estremo, Le Grand Jeu - e nell’ intrattenimento. La pedagogia della bellezza, che ha il
suo perno nell’arte e nei beni culturali del territorio, inizia il suo percorso
analizzando le immagini dei media e intrinsecandovi i problemi, i campi da
approfondire. Il laboratorio ha un senso se è non un ambiente di un edificio, ma un
contesto problematico. Se l’ambiente non è solo quel che circonda ma un luogo
dove si esercita un ruolo (Mead) si gioca una parte nel teatro del mondo (Goffman)
e si affrontano le alterazioni del milieu che stordiscono con transizioni ecologiche e
cognitive che vanno esaminate nell’approfondimento e nell’interrelazione .
Laboratori per la formazione estetica
Il problema riguarda anche la rete, dove nascono altri problemi dovuti alla
navigazione selvaggia, che non approfondisce i contenuti né l’autorità delle fonti,
creando un sapere senza regole. Umberto Eco raccontava di aver corretto la sua
scheda su Wikipedia, una delle fonti più consultate, perché conteneva errori.
La velocità genera la caduta del pensiero argomentativo, chiara nell’immagine dei
140 caratteri dei messaggi di Twitter, con la superficialità negativa del correre in
avanti, del telecomando e della navigazione che cerca nei blog senza leggere le loro
migliaia di pagine e indugiare nei clic e nei post, nei frammenti sparsi senza ordine.
Occorre recuperare l’unità del sapere esponendolo in una forma. Bruner consiglia di
costruire la propria autobiografia alternativa pensando alle possibilità, ma partire
invece dall’immagine è analizzare un artefatto, una situazione e sollecitare il
pensiero argomentativo, l’analisi che mira a definizioni che nella loro non fissità
determinano il campo d’attenzione. È il pensare dell’estetica, che grazie al suo
territorio comune di scienza e filosofia facilmente si impegna nel campo delle nuove,
un processo vecchio di anni che deve generare un iter di analisi dei sistemi scuola e
di modi di individualizzazione (Ottinger). La micropedagogia intende costruire
miniature, che Donald Norman individua come la qualità della cultura come
organizzazione, la nuova artigianalità scientifica e simbolica che opera come
un’agenda di formazione del gruppo che discute, decide, migliora la conoscenza di
sé, il confronto, la tolleranza, la fiducia in sé, l’obbiettività, il sentimento sociale,
nuovi interessi, ed anche una sorta di sentimento cosmico (Adler) e di desiderio di
appartenenza e cooperazione (Slavson).
Miniature ovvero immagini sono il contesto della formazione estetica. Se essa nasce
nel ‘700, ha una storia bimillenaria che parte almeno dai miti e dai dialoghi di
Platone, innovati in una moderna letteratura teatrale da Giordano Bruno,
l’immagine è per Berkeley il simbolo delle esperienze che il concetto definisce. Le
immagini sono luogo di una conoscenza dialogico – dialettica che pone problemi di
conoscenza, se è efficace ci riconosciamo in essa – ma nemmeno il panorama e la
fotografia sono chiari e distinti. Affacciano sempre la conoscenza storica, il perché, il
come, il quando. Di fronte ad un’opera d’arte le domande vengono spontanee sono
tante e non hanno facile risposta; si ripetono e suscitano approfondimenti autotelici,
come nel gioco. Un quadro è testo scritto fondato nella riflessione, a volte su un
vero e proprio libretto, come dice Gombrich della Primavera di Botticelli scritta su
un testo di Marsilio Ficino. Una serie di scelte, di de-cisioni, di tagli consente
l’inquadratura, la dimensione, la scelta degli strumenti e delle tecniche. Questo vale
per il figurativo come per l’arte contemporanea: Chagall, Kandinsky, Klee piacciono
molto anche ai piccoli, eppure lavorano ad una codificazione cromatica, alla ricerca
della fantasia in modo d’arte, anche se diverso dall’arte sacra e laica di altre
tradizioni. Ed è conoscere anche se non è logica.
Le categorie sono diverse, come il colore, il rapporto di figura e sfondo, il disegno e
l’arabesco, la scelta del tema regolano lo scomporre e comporre, la visione ironica
del reale che apre spazi di futuro. È una lingua che richiede alfabetizzazione e
composizione di una storia che comprenda non solo Gadamer e Croce, maestri
dell’estetica in parola, ma anche l’estetica in figura, storici dell’arte come Gombrich,
iconologi come Aby Warburg ed Erwin Panofsky, filosofi come Ernst Bloch e
Bachelard. Vedere l’arte come figura e presagio, fantasia e speranza, mostra l’ideafigura che crea nell’opera una forma per dialogare sul mistero del mondo. Dettagli,
allegorie e simboli diventano una sola cifra, una unità, un evento, la Gioconda e
Guernica non si riducono agli elementi che le compongono. L’unità è il nuovo
mondo da esplorare: il laboratorio d’arte è un accadimento festoso, un sogno del
giorno più potente di quelli dell’inconscio. Gli artisti – anche quelli che non sanno
costruire capolavori, anche l’uomo della strada che pensa l’arte – cercano così il
suggerimento per i progetti da dire e fare, l’arte è il tessuto e l’arma affilata
dell’Utopia – un’arma della ragione che invita a riflettere.
Questo valore alto si presta facilmente alle didattiche, che in tutte le scuole si
praticano come divertissement che consente di costruire comunità e collaborazione.
In questo senso va inteso il laboratorio, come la condivisione di un progetto unitario,
che si realizza anche oltre le fasi di contemporaneità. Una messa in scena
comprende la simulazione e la rappresentazione, la selezione e l’organizzazione
d’insieme (fase contemporanea) ma si basa su scritture di significato e
modellizzazione, sulla ripetizione di copie iconiche e schematiche (fase differita).
Così il laboratorio può affrontare le immagini in movimento di quasi tutti i media,
che sono molto diverse dalle immagini ferme nei criteri di scrittura e significazione,
partendo dalle immagini ferme dell’arte, legandole col canale della fotografia e
dell’arte. Il cellulare, l’iPod, sono un medium ormai disponibile per fare un discorso
sulle immagini teorico, che però non richiede troppe letture classiche, come quelle
che compaiono in citazione e che consentono lo sguardo critico complessivo. La
teoria sceglie didattiche interessanti per costruire un discorso piano anche nella
teoria, per rendere cosciente poi l’azione mirata ad un prodotto comune ad un team
di lavoro. Che elenca i nomi dei partecipanti per sottolineare la collaborazione e
l’identità.
Partire dalle immagini ferme è un modo di analizzare; il fermo immagine consente di
portare il film nella linearità della lettura, cosa che intende bene Moore, l’autore di
VperVendetta, il fumetto costruito sul modello di un film, che non deve rispettare
un orario di programmazione, che lascia a chi legge la scelta del tempo di lettura.
Una innovazione rilevante, visto che è proprio il cinema ad avere attuato la
rivoluzione temporale dei media, la costruzione di un tempo ritmato dalla sequenza,
come accade al cinema con la programmazione in sala e si ripete con il palinsesto
della televisione, che ha costruito l’orologio della giornata.
La conquista di un proprio tempo genera la vita alternativa, il tempo continuo
dell’esposizione ai media che cambia l’alfabetizzazione dei piccoli, che leggono una
enciclopedia di immagini molto prima dei libri. Educare con le immagini dell’arte
moderna e contemporanea, virtuale e reale, corregge questa lettura autodidatta
con la coscienza dei problemi dell’immagine. Che consistono nel determinare e non
definire, nel lasciare pieno spazio alla lettura dell’utente, nel volatilizzare la cultura:
elementi di libertà che spiegano il decadere del pensiero argomentativo, la lotta che
tutte le iconoclastie della storia hanno intrapreso – ad esempio dsi definisce
illlustrazione l’immagine, che è invece la creazione di un testo nuovo ed originale,
che non illustra la parola ma la fonda. Un peso che ancora alla presenza e complica il
pensiero logico, senza che la cultura ponga solidi contrafforti. Questo è oggi il
compito della didattica, porre ordine nei mondi alternativi, trasformare il labyrinth
in maze.
I metodi sono quelli dell’analisi e della critica. Sono percorribili non solo dalla storia
dell’arte ma da tutte le materie, anche scientifiche, che in genere ricorrono alle
immagini come corredo d’esperienza presente e come astrazione e creazione di
mappe concettuali. Basta avere coscienza del ruolo dell’immagine nel conoscere e
ogni docente scoprirà di attuare già didattiche estetiche. Perché è la coscienza a
dare forma solida alla conoscenza. Attivare la valutazione anche in questa direzione,
stabilendo criteri per giudicare la capacità di parlare con immagini, è cosa semplice
grazie alle nuove tecnologie, costruendo musei personali, attuando laboratori di
ecfrastica, analizzando le immagini e il loro senso da collegare ai testi in parole
anche con ironia, dissonanti nel suggerire significati alternativi da discutere.
Un’attività che prosegue con naturalezza, come la media education, all’analisi dei
media e delle loro letteratura nella costruzione di testi in immagini, di fiction, di
salotti, di sport e spettacolo, di reality, tutti entità miste di reale e virtuale come
sono i gruppi della rete e le discussioni politiche di oggi. Anche la radio e il telefono
tradizionale sono basati su immagini, figure e personaggi.
La piazza virtuale comprende dipinti e statue, mondi-simulacro che distruggono gli
eventi (Baudrillard) e vanificano i valori,
Howard Gardner nel 2011 dice che sono da rinegoziare i concetti di bello, vero, bene
perché le idee sono ormai poco chiare - quelle chiare in genere appartengono al
passato (Gardner 2011). La scuola ha il compito di affrontare il mondo nuovo: basta
una lavagna LIM per godere della risorsa della rete ponendo ordine nel nuovo
infinito costruendo miniature, frammenti significativi - il figurativo ed il non
figurativo, il ritratto e il paesaggio, l’arte barocca e romantica, i gesti-significato
dell’immagine movimento, l’inquadratura come campo d’attenzione. Un progetto
ludiforme (Visalberghi) in serie (games) del solo gioco (play) dell’educazione
all’immagine. Parola che ha molti sensi: la si può studiare come concreta e
consecutiva (percezione), corporea (modello posturale), immagine del mondo
(Jaspers), eidetica (immaginativa), mnemonica e primordiale (Jung)… Moles, Taddei,
Garroni, Eco, Debray sono tutti autori interessanti da leggere in proposito (il
panorama si crea col motore di ricerca): anche se, dice Faeti, Howard Hughes non ha
ancora il suo Balzac – il suo romanzo, la sua descrizione efficace; ma Calvino è
un’ottima guida (Il barone rampante) e tanti film, da Blow up ed Amarcord ai
moderni Truman show e Reality. Si approfondisce così la grammatica e la sintassi
delle immagini, l’iconica e il moto, la connessione del senso.
La formazione estetica è un compito difficile, in cui la scuola può collaborare con la
didattica museale e con le associazioni che si occupano di turismo culturale.
Didattica museale
Martinetti “Sviate il corso dei canali, per inondare i musei”
E’ ancora valida questa frase avanguardista, pronunciata ormai quasi un secolo fa?
cosa vuol dire rispetto alla cultura il museo, oggi? I futuristi sentono la crisi della
struttura museo per la trasformazione profonda dell’arte, di fronte al nascente
mondo dei media, che cambia l’ambiente, la città, le materie. Lo spazio diventa
veloce, ricco di movimento, di suoni, di musica: la luce nella notte agiva come oggi la
spettacolarizzazione degli spazi cittadini – nasce insieme la fantascienza, che non è
fantasticheria ma piuttosto indagine dei possibili.
L’arte avverte il cambiare della socializzazione in tutte le avanguardie, in politica
come nelle opere. L’ aura del museo si dissipa insieme con quella del mondo non
riproducibile che raccoglie in sé, l’evento unico si dissolve in una serie quantitativa di
eventi che lo riproducono: cambia l’estetica, la riproduzione viene alla folla,
neoneato mecenate. Chi ne fruisce ripresentifica il prodotto, entrambi i processi, di
copia e d’arte, rivoluzionano la tradizione: il loro agente più potente è il cinema, così
legato al sociale, una carica distruttiva e catartica (W.Benjamin 1936) che già
liquidifica il valore tradizionale di un’era culturale.
Le immagini dell’arte si diffondono ben al di là degli spazi deputati alla fruizione
estetica. All’aspetto conservativo del museo si unisce la consapevolezza
dell’esteticità diffusa, che il museo può discutere, dice J. Burger, integrando
criticamente arte e vita quotidiana. Il prodotto musivo è un originale, la copia non
ne conserva il valore - nel prodotto digitale la nozione di originale entra in crisi,
l’estetica della ripetizione pone la vita nell’evoluzione dei prodotti non nella
conservazione. Per Bonito Oliva, oggi, “l’arte contemporanea ha accettato il valore
di un tempo minore, non rappresentato in forma indelebile, alla ricerca di una
connessione seppur momentanea col mondo”. Per Taiuti i valori della nuova arte
sono individuabili nella socializzazione – fruizione – distribuzione - legittimità/valore:
perciò la neo-arte mette in crisi l’idea base di museo, perché l’importante non è
l’oggetto non è da tutelare ma il processo che sviluppa e interpreta l’oggetto.
“ Non si deve pensare a un’idea, a un progetto, come se si dovesse fare un disegno
per una piazza: bisogna solo esplorare le possibilità dello spazio modulato” (Bruno
Munari), un progetto è efficace se ha il suo senso nella cultura che lo genera di cui
coglie l’elemento dominante nella giusta luce attraverso una ricognizione degli spazi
– come diceva Schelling che l’architettura è una musica spazializzata, una capacità di
corrispondenze numeriche e ideali. Ma quali sono queste corrispondenze nel tempo
della realtà virtuale? la sensorialità protesica per cui De Kerkhove trova il nome di
webness, indicando quel nuovo senso che deriva dalla pratica della rete, con quel
complesso interagire di mente e corpo, dito e tastiera, reazione e idea applicata? Il
mondo è diventato paesaggio, dove tempo e spazio hanno perso ogni connotazione
originaria e tradizionale per divenire altro. Una immagine di questo sconcerto è
l’orologio molle di Dalì.
In questo spazio-tempo, il museo tende ad esplodere: questo indicava con la solita
avveniristica lucidità Martinetti. Perché il museo nasce con le comunicazioni di
massa, con l’impulso democratico, con il nascere dell’opinione pubblica moderna,
con la disillusione degli Illuministi quando guardano a quel popolo che vogliono
rendere l’erede del potere, l’industria moderna, la comunicazione, le città
suburbane, i primi progetti socialisti: tutto in uno, alla fine del 700, con moto
retrogrado e progressivo, dove è difficile dire quale sia il motore più potente perché
erano tutti attivi e tutti consonanti, in un grande paradigma comune. Tra i tanti
sforzi per l’educazione che caratterizzarono questo periodo, nasce anche l’idea del
museo, dell’educazione attraverso l’arte, con l’attenzione al senso comune ed alla
possibilità di far maturare la nazione. Insieme si pubblicano le grandi opere
divulgative: Luigi Lanzi, autore dell’ordinamento in scuola degli Uffizi, compone La
Storia pittorica della Italia nel 1795-6 – la storia dell’arte, non degli artisti, è oggetto
del museo. Il museo così decontestualizza l’opera dai nessi fisico culturali che
l’hanno prodotta rendendo necessaria una educazione collettiva. tra la collezione e
il museo pubblico già c’è il salto che cambia la struttura in cui si effettua la raccolta
delle opere. La storia dell’opera diventa un’altra storia, nelle esposizioni universali,
l’arte come merce è oggetto di un interesse di diversa natura in cui la regia delle
cose è valore estetico.
Inevitabile che col mutare dei tempi anche il museo cambi e sviluppi un museo di
terzo tipo, che Roy Ascott vede come un agente di cambio che pratica strade ibride
per rivolgersi al consumatore, il museo diventa un centro culturale, usa pratiche
ludiche, crea reti culturali interlinguistiche, oggi attrezza aree di laboratorio per il
suono e l’immagine digitale, oltre ai servizi per l’utente. La Villette di Parigi, il Centre
Pompidou (videoarte, Revue Virtuelle) l’ICC di Tokio (biblioteca elettronica,
videoteca, laboratori per bambini) il Museo di Arte Moderna di Karlsruhe 2KM
(galleria d’arte moderna e contemporanea, museo sui new media, centro di ricerca
digitale ed elettroacustica) sono stati i primi a configurare un piano completo di
queste novità, con mix di arte contemporanea e neo arte che temperano sia il
pessimismo dell’arte moderna che l’ottimismo futurista della tecnoarte.
Dal pessimismo di Martinetti sul Museo è nata l’idea nuova di uno spazio
socializzato per approfondire la competenza del prodotto visivo, laboratori critici e
creativi di educazione estetica in una rete culturale interlinguistica. Mentre l’arte
contemporanea stenta alla comunicazione senza intermediari, il pubblico diventa
l’alter di un dialogo interattivo, un modello di apprendimento efficace. L’ambiente di
apprendimento si estende alla sensorialità protesica, alla VR e ai musei virtuali
(MAV) - l’arte ragiona mondo dei media con la sperimentazione di tecniche
multimediali (Biennale dei giovani) e con la videoarte: è la conferma di quel che
pensava Lyotard, la tecnica si apre a fini umanistici, di Derrida che invocava per le
future democrazie un pubblico capace di scrivere in linguaggio multimediale.
Inoltre si sviluppano i musei scientifici, come quelli dell’Università di Napoli, quale
nuovo medium per la comunicazione scientifica che non sia un deposito
conservativo ed espositivo ma realizzi una visita coinvolgente, proponendosi come
uno strumento per un apprendimento attivo e consapevole. Tale scopo non può
essere disgiunto da un’attività didattica che tenga presente l’interazione con le
scuole e con il pubblico più vasto, realizzando dei percorsi di formazione. La scuola
italiana offre un’informazione scientifica incompleta, la formazione accademica non
incoraggia una riflessione critica approfondita sulle implicazioni culturali della
tecnica, gli studenti delle facoltà umanistiche non ricevono stimoli per sviluppare
una cultura scientifica aggiornata: il tradizionale solco tra le due culture sembra
destinato ad approfondirsi, lasciando banco al più forte. Tanto più grave perché
anche la scienza non può fare a meno dell’umanesimo e lo cerca in posti sbagliati, la
vita professionale di un umanista non può fare a meno di confrontarsi con le nuove
tecnologie.
L’attività di promozione dei musei quindi gode di un forte sviluppo cui occorre far
fronte con una nuova produzione pubblicitaria, come la stampa divulgativa e
specializzata, pubblicazione di cataloghi, organizzazione di mostre e convegni, ma a
che i biglietti e i depliant. A ciò si aggiunge la cultura dell’edutainment, possibilità
offerta dalle nuove tecnologie e già appoggiata dalla ricerca e dalla pratica
(Valentino Delli Quadri). Anche l’ipertesto va approfondito, come testo elettronico
ramificato che collega percorsi diversificati da chi scrive, secondo modalità
associative personali di percezione e conoscenza, visione e azione, immaginazione e
informazione a partire da nodi e link: è la base ottima per i siti dei musei. L’ipertesto
va rivolto alle persone dettagliando punti informativi, facili ed intuitivi e correlati
all’ambiente - le informazioni sugli itinerari per raggiungere il museo - le attrazioni
topiche. I cataloghi, ridotti, essenziali o monografici, anche virtuali possono
arricchire il book shop e la conoscenza dei visitatori, consentendo di tornare
sull’esperienza anche dopo la visita. L’Andy Wahrol Museum, il Metropolitan
Museum, la Galleria degli Uffizi hanno da tempo attivato la visita virtuale, dopo il
Louvre, dettagliando la circolazione stanza per stanza (altri scelgono corridoi).
La situazione nei musei è in netta crescita nella New Museology (ICOM UNESCO
1987), per quel che riguarda l’attenzione alla didattica; la scarsa disponibilità di
fondi rende difficile per molte istituzioni potenziare il numero di personale che può
essere adibito a questa dimensione, si sopperisce con ditte private che offrono solo
servizi on demand – ed è appunto questa una via da considerare, anche per
sviluppare in modo adeguato questa nuova professionalità, per ora affidata a
competenze amatoriali – spesso validissime grazie all’esperienza, ma assolutamente
non codificate.
Dice Alessandra Mottola Molfino: “la società del mercato nel suo stadio più recente
ha espresso il desiderio di mescolare tra loro consumo e spettacolo … arrivando
anche a sfumare i confini tra,lo shopping e le esperienze culturali ed emozionali. Gli
stessi grandi centri commerciali sono alla ricerca di significati e di storie da
raccontare che li rendano memorabili. Sono i cosiddetti concept store … servizi di
educazione e intrattenimento (: ma il fattore evento non ha) “nulla a che vedere con
la quotidiana e duratura educazione alla frequentazione dei musei che solo può
essere indotta da un approccio maieutico”, opera di competenti, il mercato come
tale non può essere norma: F. Haskell nel libro postumo The Ephemeral Museum ha
raccomandato una ricerca sulle mostre per rendersi conto dei criteri di scelta.
”L’abitudine a visitare i musei si prende da bambini (da giovanissimi); come
l’abitudine a leggere e come la stessa necessità di conoscenza culturale. I valori
culturali vengono trasmessi ancora come 2000 anni fa attraverso la mediazione
individuale; da genitori a figli, da maestri ad allievi, da persona a persona… secondo
un metodo che ancora oggi si può definire socratico; giammai con metodi meccanici.
Quindi tempi umani, lunghi, profondi, sempre intrisi di emozioni dirette, di stupori
indimenticabili, che lasciano segni indelebili; come i sentimenti” (ivi p. 18).
Il Wandering Museum è forse la novità più interessante, dal punto di vista dello
studio universitario e scolastico, perché si propone di unire argomenti diversi dal
punto di vista spaziale, collegati storicamente, approntando cataloghi che
consentano di vedere le analogie e di approfondirle prima di compiere il giro della
città o della regione, per prendere contatto con le opere – una vera educazione alla
complessità (ivi, p. 117).
Si possono inoltre organizzare laboratori e mostre indirizzati a questi scopi,
realizzare edutainment: un lavoro consigliato agli insegnanti come un metodologia
divertente per creare dei test, di cui possiamo fare molti esempi dai laboratori tenuti
nelle Università negli anni trascorsi.
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Pedagogia e Didattica