Patriarcato di Venezia 6FXRODGL)RUPD]LRQHDOO ,PSHJQR6RFLDOHH3ROLWLFR 9LD 4XHULQL $ 0HVWUH 7HO )D[ /$6&82/$',)5217($81%,9,2 38%%/,&28*8$/(67$7$/(" 'L &DUOR %ROSLQ GRQ )DELR /RQJRQL 9LWWRULR %DURQL Lezione del 15.12. 98 Vittorio Baroni: Questa sera la metodologia didattica è il Forum, cioè occasione di incontro e di confronto con più persone di diversa origine e di diversa estrazione socio-politica e culturale che affronta un argomento proposto in un clima di dialogo propositivo e aperto agli studenti. Alla mia sinistra c’è Carlo Bolpin, presidente dell’Ag.fo.l., una cooperativa senza fini di lucro che si occupa ormai da 15 anni di formazione, e in particolare di formazione rivolta ai lavoratori. E’ anche componente della commissione diocesana per la pastorale sociale del lavoro, una delle tre commissioni che partecipa alle iniziative di questa scuola. Alla mia destra Il direttore dell’ufficio, don Fabio Longoni. Il tema del Forum è: ‘La scuola è di fronte ad un bivio, pubblico è uguale a statale?’ Don Fabio Longoni: Intanto vi consiglio questo libro; voi sapete che quest’anno gli orientamenti fondamentali della scuola sono lo studio dei diritti umani, lo studio della costituzione e i diritti umani nella costituzione. Questo libro uscito la settimana scorsa è ‘Lo stato della Costituzione”. Esce ogni anno e aggiorna tutto quello che sta avvenendo attorno al tema costituzionale, quindi anche ciò che riguarda quello che stiamo trattando. Lo leggo perché mi sembra importante, facendo riferimento all’art. 33,: ‘L’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento. La Repubblica detta norme generali sull’istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi. Enti e privati hanno diritto di istituire scuole ed istituzioni di educazione senza oneri per lo stato. La legge nel fissare i diritti e gli obblighi nelle scuole non statali che chiedono la parità deve assicurare ad esse piena libertà e ai loro alunni un trattamento scolastico equipollente a quello degli alunni delle scuole statali. È prescritto un esame di stato per l’ammissione ai vari ordini e gradi di scuole e per la conclusione di esse e per l’abilitazione all’esercizio professionale. Le istituzioni di alta cultura, Università ed Accademia, hanno diritto di darsi ordinamenti autonomi nei limiti stabiliti dalle leggi dello Stato.’ Voi sapete che abbiamo tre Università non statali: l’Università Cattolica, la Luiss, la Bocconi. Mi sembra di poter ricavare da questo articolo un primo chiarimento fondamentale: nella Costituzione non si fa riferimento a scuola pubblica o a scuola privata, ma alla scuola non statale, che è un’altra cosa. La scuola pubblica, che coinciderebbe con la scuola statale, e la scuola privata, che coinciderebbe con scuola non statale senza funzione pubblica, è qualcosa che va al di là del dettato Costituzionale. Praticamente tutte le scuole, statali e non statali, hanno funzione pubblica, quindi anche le private. Qual è stato il problema quando questo articolo è stato redatto? Il problema era essenzialmente quello di garantire la libertà di insegnamento. All’interno degli articoli della Costituzione, le opinioni sono maturate attraverso un confronto aperto, e quindi le anime, da una parte cattolica, dall’altra socialista, e l’anima liberale dei padri costituzionali, si sono confrontate intorno a quella che era in quel momento la situazione politica e sociale del nostro Paese, anche secondo quello che è il commento qui riguardo a quel famoso comma, la parte terza dell’art. 33, senza oneri per lo Stato, ‘in virtù del quale l’istituzione delle scuole e istituti di educazione non può comportare oneri per lo Stato; da tale disposizione consegue che lo Stato non possa in alcun modo erogare finanziamenti o altre forme di sostegno economico in favore della scuola privata; questa limitazione sembra a prima vista svantaggiosa per la scuola privata, e in effetti l’impossibilità di ottenere aiuti pubblici può essere un problema per chi voglia creare o gestire scuole private’, quello che sembrerebbe di primo acchito. Secondo l’opinione di questo costituzionalista che commenta l’art. 33, comma 3 ‘si deve però considerare che il finanziamento pubblico avrebbe potuto comportare un rischio per la scuola privata, perché all’erogazione di sussidi si accompagna in genere la pretesa, da parte di chi li eroga, di controllare il loro impiego, limitando di fatto la libertà dei loro fruitori’, quindi lo scambio sarebbe avvenuto qui, cioè di fatto il “senza oneri per lo Stato” dava la possibilità alle scuole che avevano una funzione pubblica, però erano private, di poter insegnare liberamente secondo la loro ispirazione. Che poi, come mi pare sia stato ribadito più volte, non è solo cattolica, ma qualunque; in Olanda ci sono scuole di ispirazione atea che sono finanziate dallo Stato. Mi sembra che fondamentalmente l’articolo posasse sulla SFISP Venezia visione liberale della scuola, di fatto la scuola avrebbe potuto essere libera perché non aveva un controllo da parte dello Stato. Oggi forse la situazione è un po’ cambiata, abbiamo semmai più scuole materne non statali, poche scuole primarie e secondarie non statali e quasi niente a livello universitario. Diciamo che il 95% delle scuole in Italia sono statali e il 5% private, quindi il dibattito sta avvenendo sul 5% della scuola. Il limite della Chiesa Cattolica in questo momento è non aver chiesto con forza una discussione ampia sull’abrogazione del 3° comma dell’art. 33, dando per scontato – e questo forse è il ragionamento fatto dalla Chiesa – che ogni riforma Costituzionale in questo Paese sia quasi impossibile, per ragioni legate all’equilibrio politico attuale. La Chiesa ha chiesto uno scambio cercando cioè di avere un finanziamento senza invece affermare l’importanza di un diritto. A mio parere, rispetto a quella che era la situazione del ’48, è necessario capire che il diritto di sussidiarietà a cui noi ci rifacciamo, cioè il diritto di associazione, il diritto di libertà di insegnamento, il diritto delle famiglie di scegliere l’istruzione per i propri figli, questi diritti che per noi cattolici sono stati sempre presenti nella dottrina sociale della Chiesa. Non sono cose nuove, e questo diritto sembra essere più presente nella coscienza di tutti. Secondo i dati del CENSIS, sulla parte che riguarda la parità e il diritto sul finanziamento nella scuola privata per tipo di valutazione sul funzionamento della scuola italiana, mentre il 39,8% si mostra favorevole un altro 39,5% si mostra contrario, e il restante 20,7% degli intervistati si divide equamente tra atteggiamenti di incertezza e indifferenza sulla materia. Abbiamo di fronte un Paese che si è completamente diviso su questa tematica, per quanto riguarda la percentuale di valutazione fatta nel contesto del rapporto CENSIS, e questo fa pensare, c’è un cambiamento e quindi dovrebbe essere valutato solamente il cambiamento. Leggo l’ultimo dato, il peso dell’istruzione non statale nel sistema educativo, valutazione percentuale sul totale degli iscritti e dei docenti in servizio nelle scuole statali e non statali: gli alunni iscritti nella materna nel ‘97-’98 sono il 42,4%, vedete come le scuole materne sono di fatto le più presenti. Potrei anche fare un esempio di parte, nell’ambito della mia parrocchia ho una scuola materna che ha un contributo da parte del Comune, perché la convenienza per lo Stato in questo momento è quella di finanziare la scuola privata, altrimenti i costi sarebbero molto superiori, quindi i contributi vengono dati in qualche modo, aggirando il comma 3 della Costituzione. Concludo, le elementari il 7,8%. Si parla già di morte, per esempio, delle scuole private elementari. A Venezia molte scuole private elementari sono state chiuse, questo è un problema anche di scuole pubbliche, perché c’è un calo di popolazione, sostenerle diventa oneroso se non c’è un finanziamento. La scuola media il 6,6%, la secondaria l’8,7%. Il totale delle scuole, per l’anno ‘97-’98, è del 13,8%. Tutt’altra cosa è il problema della scuola professionale. Quello che in questo Paese si fa per la formazione dei lavoratori e di tutto un settore di popolazione che non prosegue nelle scuole che aprono 2 all’università, è fatto quasi nella totalità da scuole private, molte cattoliche ma molte no. In qualche modo, quindi, il discorso del finanziamento alle scuole pubbliche non statali dovrebbe essere considerato anche dal punto di vista di quello che è il futuro di una larga fascia della popolazione che dovrà sempre più qualificarsi. Vittorio Baroni: Carlo Bolpin sta gestendo come Ag.fo.l. corsi per disoccupati e per lavoratori. Puoi fare un quadro per capire quanta gente ogni anno passa presso di voi, per capire la dimensione di cosa andate a gestire? Credo che Carlo Bolpin sia una delle persone più autorevoli per dire che la formazione al lavoro e la formazione nel lavoro è fatta con un modello non profit, il privato in questo caso non è lucrativo. In altri paesi europei lo Stato finanzia addirittura il 100% delle scuole con finalità non lucrative. Carlo Bolpin: Mi sono posto il problema sul termine pubblico e privato, nell’orizzonte di cui parlava prima qualcuno del bene comune, ponendo e volendo porre anche ai relatori che ci sono una serie di interrogativi e domande anche provocatorie. Se dovessi adoperare due parole che sintetizzino userei: la complessità e la mediazione. Siamo una società estremamente complessa, in evoluzione, dobbiamo tenerlo presente sempre, e la necessità è quella della mediazione, non in senso basso e banale, ma mediazione culturale tra i principi e questa complessità della realtà. Dai principi è assolutamente impossibile dedurre delle soluzioni univoche, perché spesso i principi sono in contraddizione anche tra di loro, e quindi bisogna vedere come combinarli, che sintesi fare tra i principi che sia storicamente adeguata, che risponda ai problemi veri, che non sia solo un’affermazione di principio, mentre in Italia siamo abituati su ogni problema a creare lo scontro ideologico, lo scontro tra i principi. Anche i laici hanno i loro dogmi. Ho visto La Malfa che dogmaticamente affermava la laicità della scuola, che secondo me è un controsenso. Poi dall’altra parte ci sono altri principi che vengono affermati, di libertà, di famiglia, ecc., che vengono ugualmente contrapposti in modo astratto, dogmatico, senza calarli nella realtà. Se vediamo La Scuola di fronte ad un bivio: Pubblico uguale Statale? invece l’Europa, le soluzioni sono le più diverse e dipende dalla storia, dall’evoluzione culturale, dalle dinamiche interne. Quindi bisognerebbe capire la società italiana, la complessità che ha oggi, il mercato del lavoro, le problematiche vere, i giovani ecc., per capire quale modello di riferimento bisogna avere per il nostro paese, e addirittura secondo me per la nostra regione. Bisogna fare degli aggiornamenti molto decentrati, non centralizzati, perché i due difetti secondo me sono insiti nelle culture che hanno dominato oggi, sia quella laica, sia quella cattolica che quella comunista. Sono la statalizzazione e il centralismo, i mali grossi della scuola. Paradossalmente in Italia la scuola ha tenuto per l’inerzia del cambiamento, per le resistenze al cambiamento. Di fronte ad un’evoluzione enorme che c’è stata nella società, il non aver cambiato tanto la scuola non è stato un disastro totale ma ha tenuto la scuola. Un ruolo decisivo l’ha avuto il corpo insegnante, il corpo docente, come si è formato, quale identità ha avuto, quale storia, quali competenze ha avuto, e che non è stato travolto da tutti i cambiamenti. Quello che oggi è in crisi, però, sta per essere intaccato pesantemente, ed è anche il corpo docente, il corpo insegnante, questo è uno dei problemi che viene trascurato e che invece è centrale per affrontare i dibattiti sulla scuola. Restando nell’orizzonte tra pubblico e privato, mi sono posto alcuni interrogativi in modo sintetico e schematico, ho pensato a dei principi che visti in astratto sono in alternativa, per i quali invece bisogna trovare delle mediazioni culturali, e ai quali ci si riferisce nel dibattito, nello scontro ideologico sulla scuola. Il primo è un principio comunitario, cioè il diritto alla libertà che hanno le famiglie di educare i figli in modo omogeneo culturalmente, secondo una comunità omogenea, con un progetto educativo che sia appunto omogeneo alla comunità di appartenenza. Questo principio però va messo in rapporto ad un altro principio, che rischia di essere alternativo, che è il principio universalistico, che è altrettanto legittimo, cioè il diritto-dovere dello Stato, della comunità nazionale più ampia, di proseguire l’unità nazionale, la coesione nazionale, quindi l’identità nazionale, e quindi di porre quello che si chiama il pluralismo culturale nelle istituzioni più che delle istituzioni, quindi porre l’obiettivo di una crescita educativa come interculturalità, come scambio tra le diversità culturali, quindi vedere la scuola come luogo di confronto, di ricerca di dibattito tra le diverse culture. In questo ci sono due pericoli, quello del relativismo, cioè di non fare un’educazione culturale solida come chiede chi vuole una formazione omogenea alla propria comunità di appartenenza, e l’altro pericolo grosso, quello dell’appiattimento al basso, dell’omologazione al ribasso. La scorsa settimana sono stato in Francia e ponevano in modo forte l’obiettivo della scuola nazionale, rivendicavano anzi una tradizione della scuola nazionale francese per la creazione del cittadino repubblicano, aconfessionale, che ancora si rifà ai principi della rivoluzione francese. Oggi il problema su cui riflettere per tutti, sia per chi ha questa visione universalistica sia per gli altri, è che siamo una società in cui la contrapposizione delle culture è forte, per l’immigrazione, per l’adesione alle sette o alle varie religioni. L’Islam è la seconda religione in Italia, poi c’è una diffusione delle sette di vario genere, e quindi il pericolo, che è reale, da non sottovalutare, è il pericolo di una contrapposizione culturale tra le varie appartenenze. Penso sia corretto e legittimo porsi il problema forte di una unità nazionale per evitare la frammentazione e il conflitto tra integralismi e tra culture che si arroccano in un propri integrismo. Io non ho la soluzione ma volevo sottolineare che non è da sottovalutare questo rischio. Quindi quando pensiamo ad un modello di scuola privata dobbiamo tener conto in modo forte di questo pericolo. Un’altra coppia di diritti è tra il diritto della famiglia, delle comunità intermedie, dei soggetti come la Chiesa, di esprimere una propria vocazione culturale, però anche questo credo vada visto in rapporto con un altro diritto, diritto dovere della comunità politica che è costituita dal pluralismo delle comunità intermedie di dare delle regole, di fissare delle priorità, degli obiettivi e quindi delle forme di controllo e dei parametri di qualità. Nel dibattito questo spesso viene contrapposto, c’è chi dice che il fissare delle regole, degli obiettivi, è un’ingerenza, una sopraffazione della società civile che è totalmente buona mentre lo Stato è cattivo, burocratico, e ogni regola diventa soffocante, e viceversa c’è chi pensa che la società civile sia solo corporativismo e che lo Stato buono, in quanto pubblico, deve fissare regole e vincoli e quindi obiettivi e criteri fissi. Anche tra questi due diritti- doveri della famiglia e della comunità nazionale, il modello non è univoco, non si può accentuare uno o l’altro aspetto per definire un modello che si richiama al principio. La soluzione è politica, è operativa, non può essere avvalersi del principio, perché i principi sono validi ambedue, bisogna mediare la realtà, allora la soluzione non è di principio ma è reale, concreta. La terza coppia di principi riguarda la libera espressione della persona e dei vari corpi intermedi che deve trovare la soluzione senza che l’organismo più complesso assuma compiti di risolvere il problema. Lo Stato deve garantire il bene comune per i più deboli intervenendo col principio della discriminazione positiva, per garantire il bene comune complessivo. Anche qua ogni intervento non può essere considerato statalista, burocratico ecc., così come ogni libera espressione autonoma dei soggetti sociali non può essere considerata corporativismo. Queste tre coppie di problemi ruotano attorno a quello che si chiama il principio di sussidiarietà, citato nell’articolo dell’assessore Campa. Anche qua non può essere affermato come principio astratto perché non identifica un modello operativo, concreto. Se si accentua uno o l’altro aspetto si creano modelli operativi, però sono modelli politici, operativi, non possono essere solo richiamo di principi. I due estremi sono il neo-liberismo, per cui l’unico criterio è il mercato, il libero gioco di corpi intermedi, e lo statalismo assistenziale, la burocratizzazione per cui tutto spetta allo Stato. Allora il problema è come valorizzare in funzione del bene comune le diverse espressioni della società civile. Detto questo il 3 SFISP Venezia problema è tutto aperto, perché tra i due modelli neoliberista e statalista le combinazioni possono essere le più diverse. Vanno distinti i diversi settori, è diverso parlare di cultura, tempo libero, volontariato, famiglia, è diverso parlare di sanità ed è diverso parlare di scuola, e quindi la scuola è un nodo centrale per l’educazione e per l’unità nazionale e l’intervento statale può essere maggiore. Arrivo al discorso sulle soluzioni e sul mondo cattolico. Credo si debba evitare il rischio di statalizzare il privato, cioè di chiedere come privato un finanziamento pubblico dando in cambio delle regole rigide, statalizzando la propria iniziativa privata. Mi chiedo se invece di scuola pubblica non statale non si debba parlare di un servizio privato, di un’attività privata di interesse pubblico, un servizio che rimane privato e a cui si chiede il riconoscimento di svolgere un ruolo pubblico. Questo è diverso del discorso della parità. La parità, infatti, rischia di essere una statalizzazione del privato, si chiede di avere i soldi restando privati ma dentro un insieme di regole. Mi chiedo, allora, se non sia meglio parlare non di finanziamento pubblico e di parità ma di funzione pubblica e di altre forme di rapporto con lo Stato, cioè di convenzioni atte a verificare il servizio pubblico su progetti e obiettivi con forme di finanziamento allo studio e ai progetti stessi. In questo quadro si tratta di avere una forte autonomia e di fare una forte battaglia. La battaglia sul pubblico-privato dovrebbe essere legata ad una battaglia sul decentramento, sulla regionalizzazione del problema scuola e sull’autonomia scolastica, mentre oggi viene portata avanti solo come un’autonomia di singolo istituto frammentato. Il modello potrebbe essere quello che si è costituito con la formazione professionale. Bisogna distinguere l’area del mercato privato speculativo, finalizzato al profit, oggi è diventato un business fare formazione, e in questo caso lasciarlo al mercato libero, senza finanziamenti, oppure definire delle regole rigidissime e allora si passa al secondo tipo di area, quella del no profit, del servizio pubblico. In quest’area lavoriamo noi come moltissimi altri Enti soprattutto di origine cattolica, ma anche di tipo sindacale, sociale, laico. Nel Veneto gli enti sono soprattutto di origine cattolica e sindacale; in questo caso il modello è di strutture private che hanno una totale autonomia. Noi siamo una Cooperativa regolata dalla legge della cooperazione e il nostro rapporto col pubblico è di convenzione su progetti. Godiamo dell’autonomia del nostro progetto formativo, della nostra metodologia formativa però, siccome svolgiamo un ruolo pubblico perché realizziamo degli obiettivi definiti dalla Regione nei programmi, nei progetti, nei vari bandi che fanno sui corsi, concorriamo su questi bandi e se li vinciamo facciamo una convenzione con la Regione. La Regione ha una funzione di controllo, di verifica amministrativa e sul raggiungimento dell’obiettivo. L’autonomia metodologica e formativa e la scelta del docente spettano totalmente a noi, quindi è una convenzione su progetti. Per la scuola potrebbe funzionare un modello simile, a livelli regionali e locali si potrebbe pensare a progetti di formazione che siano anche qualificati per l’integrazione: tra scuola e 4 formazione professionale; tra scuola e orientamento; tra scuola ed enti locali etc., e su questi progetti operare con enti privati che hanno questa funzione pubblica. In Italia è difficile affrontare il problema in questi termini perché c’è una cultura da parte di tutti, anche da parte cattolica, statalista e centralistica, che è un po’ uno scontro ideologico su un diverso tipo, però tutti chiedevano un garantismo statale e un governo centrale, nazionale. Una battaglia decisiva per uscirne è quella per il decentramento totale a livello regionale, per rompere una visione tutta statalista, così da affrontare quello che è il nodo di fondo che non tiene conto anche del problema pubblico-privato e che dovrebbe essere nella logica di un contributo per affrontare questa crisi. E’ una crisi mondiale sul ruolo della scuola e della formazione, nel senso che nei diversi modelli di scuola, o tutta statale o tutta privata, o tutta centralizzata o tutta decentrata (autonoma, regionalizzata), la scuola in tutto il mondo è in crisi. Sarebbe interessante capire come si caratterizzi in Italia per vedere quali modelli organizzativi istituzionali sono legati a questo tipo di crisi. Come cattolici, uno dei limiti della battaglia per il diritto della famiglia e per il diritto della scuola privata con funzione pubblica è quello di avere isolato questa battaglia, di non averla fatta parte di un problema generale di riforma della scuola, che affronti i nodi veri della crisi, il rapporto col mercato del lavoro, con la formazione professionale etc., al fine di lavorare assieme per capire quali modelli di sapere sono necessari oggi. Con la riforma Berlinguer sui programmi della scuola sta avvenendo qualcosa di molto più grave che il blocco della scuola privata. C’è una dequalificazione totale in atto, della scuola e del corpo insegnante, per cui quando ci sarà la parità sarà totalmente dequalificata, come è stato per la scuola di massa. Finita la funzione da parte della scuola della formazione della classe dirigente, quando la scuola non è più servita a questo ma è diventata semplicemente un contenitore di manodopera, allora si è aperta a tutti, è diventata la scuola di massa. Non vorrei che aprendosi al privato diventasse una scuola che non risponde ai problemi dei giovani, del mercato e del lavoro, una scuola totalmente dequalificata. Le battaglie tra scuola e privato vanno legate a queste battaglie culturali. Vorrei porre, anche a don Fabio, un quesito: se, come cattolici, dobbiamo essere più preoccupati della frammentazione culturale che rischia di essere in atto, e quindi della necessità di affermare il pluralismo nella scuola, vista come luogo di confronto e di dibattito tra le diverse religioni per affermare una cultura anche religiosa ma pluralistica, rispetto al fatto di creare scuole di appartenenza tra le diverse religioni. In Italia, in cui tutto diventa scontro ideologico, in cui le appartenenze sono appartenenze da poco, quindi tutte in difesa col rischio di essere più integraliste, e la Chiesa cattolica si pone più come appartenenza che come voglia di confronto, di scambio, di pluralismo, mi pongo il problema se, pur affermando come laici la libertà nel senso che dicevo prima della scuola privata, come cattolici dovremmo essere più preoccupati della libertà, del pluralismo nella scuola che della libertà di fare scuole cattoliche. Personalmente lavorerei più La Scuola di fronte ad un bivio: Pubblico uguale Statale? nelle altre battaglie come cattolico, più che fare delle scuole cattoliche. Vittorio Baroni: Ringraziamo il dott. Carlo Bolpin che con la sua introduzione, complessità e mediazione culturale, ha introdotto questi concetti che volevano portare ad una sintesi dopo aver analizzato le condizioni ed i principi. Sul problema della crisi mondiale della scuola vorrei darvi questa ulteriore riflessione. Nel ’92 avevo fatto una ricerca sull’alternanza scuola-lavoro e le metodologie didattiche utilizzate, riguardavano i giovani dopo la media, dopo la qualifica, i giovani dopo il diploma, e leggendo questi testi dell’ISFOL si vedeva che la capacità di crescita intellettuale della persona è cambiata nel giro di 20 anni. La crescita intellettuale delle persone sta aumentando con un ritmo esponenziale, non più lineare. Ci sono dei fattori che determinano queste cose: la iper vitaminizzazione dei bambini che dà loro una capacità di assorbimento intellettuale incredibile, e di crescita, la multimedialità, il DNA, la formazione pluridirezionale, già dalle elementari hanno tre insegnanti, prima ne avevano uno solo. Oggi i bambini già a un anno assorbono i messaggi dalla televisione e li incanalano nel loro subconscio, a 3 anni in Francia e in Inghilterra navigano in Internet e trovano di tutto, voi capite che la crisi mondiale della scuola è perché le informazioni ormai sono talmente tante che se le possono cercare da soli, non hanno più bisogno dell’uomo che le spieghi, in parte. Lancio anche questa ulteriore provocazione. Chiara: Sono molto contenta del secondo intervento perché ha dato l’idea di una complessità di problemi, non solo un problema di risorse, si è focalizzato il fatto sulle diverse impostazioni che ci sono sotto. Un’inter- cultura, cioè un lavoro sulle varie culture, sulle varie anime nella scuola, o una differenziazione in tanti tipi di scuola. Chiaro che posso propendere per l’una o per l’altra però mi sembra che il discorso a questo livello abbia un senso, e mi dispiace che il mondo cattolico, quello che esce nei giornali della voce del mondo cattolico, immagino che non sia solo questo il mondo cattolico, chieda a viva forza le risorse. Invece io penso sia molto importante capire come i cattolici possono stare dentro la scuola pubblica. Per me la scuola pubblica è la scuola di tutti, e nella scuola pubblica lo Stato garantisce i più deboli, ha l’obbligo di garantire i più deboli, allora uno dei problemi è: i più deboli in questa frammentazione dove staranno? Staranno tutti nella scuola pubblica? Questo problema dell’educazione, che è un problema complesso, lo si affronterà divisi, ognuno per conto proprio, anche il mondo cattolico intero sentirà l’esigenza di confrontarsi con gli altri in un discorso di inter cultura, di rispetto delle differenze? Alberto: In Italia, come in Europa, si ripetono ciclicamente questi movimenti di protesta dei giovani, degli studenti. Nell’’87 ho partecipato alle pantere dentro l’università, è stato un errore clamoroso. L’integrazione fra i privati all’interno dell’università, secondo me è un punto fondamentale che in Italia è a livello zero; l’integrazione, e come studente universitario lo provo sulla mia pelle, manca totalmente. Un altro punto è il problema dell’interculturalità, il problema dell’immigrazione. Il nord dovrà sorbirsi quello che ha creato in tutti questi anni, la gente verrà sempre di più in Italia e in Europa, non si possono creare nuovi muri. Terzo punto, il problema dei costi delle famiglie sulla scuola. Sono d’accordo con l’intervento di Carlo per quanto riguarda la formazione professionale che da noi è in mano ai cattolici però è fondamentale in tutte le aziende, sia pubbliche che private. Alessio: Sono un sostenitore della statalità della scuola perché ideologicamente penso che la cultura, l’educazione, siano una questione di pluralismo. Educare ad una cultura non è educare ad una cultura monolitica ma presentare una pluralità di proposte. Una crescita culturale della persona si ha solamente se gli vengono poste davanti tutte le proposte culturali che la storia o la società attuale propone. Davanti a questa pluralità, nello scontro e nell’incontro con culture diverse, con opinioni diverse, uno può trovare la sua opinione, trovare la sua cultura, e in un certo senso rafforzare nello scontro la sua cultura, non nella divisione dagli altri. E’ essenziale almeno come punto di partenza un dialogo paritario in cui tutti ci poniamo a quello che tutti propongono Solo in un secondo momento, una volta che ha creato le sue convinzioni, uno può porre in modo monolitico le sue convinzioni. Però è fondamentale il confronto soprattutto in una società moderna basata sul confronto, sull’interpretazione globale, e anche sul relativismo che è aspetto dominante della nostra cultura. Matteo: Un intervento proprio sulla scia di quello che ha detto Alessio appena adesso. Il punto di forza di Fabio che sostiene una scuola non statale è quello di dire che comunque si ha una libertà di scelta, cioè ogni uomo ha la libertà di scegliere per il proprio figlio l’educazione che ritiene più giusta. Secondo me libertà non significa tanto questo quanto fornire al proprio figlio gli strumenti affinché possa essere libero, cioè possa scegliere liberamente per la propria vita, 5 SFISP Venezia questo secondo me per definizione può essere fatto solo da un’istituzione non “di parte”, ma appunto pubblica, condivisa a livello statale. fanno formazione professionale, lo IAL e l’AGFOL sono quelle più vicine alla nostra area (cattolica) però quelle private sono veramente molte di più. Massimiliano: Ho colto fondamentalmente due aspetti, il primo dove la scuola privata, chiamiamola così, è occupata a mirare agli obiettivi ministeriali dei programmi per la formazione che ti porta alla maggiore età; il secondo è quello delle scuole di formazione al lavoro, dove si cerca un po’ di guardare alle necessità che il mercato del lavoro locale presenta. Per mia fortuna vengo da un’esperienza di formazione successiva alla scuola secondaria fatta in Emilia Romagna e mi sono specializzato in uno dei settori di punta dell’informatica tecnica, il CAD, quindi posso raccontare brevemente quella che è un’esperienza, a mio avviso, di valore. Ho potuto vedere come le aziende consorziate riescono a produrre formazione mirata, specializzare tecnici, e parlo di tecnici legati al mondo del lavoro nei settori della ricerca, della ricerca medica, quindi aziende estranee a quelli che erano i programmi ministeriali, ma attente alle richieste del mondo del lavoro locale. Le aziende producevano questa formazione. Nel nostro territorio viene a mancare una formazione secondaria che avvicina al mondo del lavoro partendo proprio dallo stesso. Sembra quasi che la scuola non tenga il passo con la tecnologia. Ma qual è il motivo? Intanto perché la tecnologia è talmente in rapido sviluppo che solamente i tecnici specializzati nei settori sono profondi conoscitori di questa realtà. Succede che trovi nelle scuole di preparazione delle tecnologie che magari tra 4-5 anni diventano obsolete, e non puoi chiedere alla scuola di star dietro a queste cose. Quindi diventa inevitabile, secondo me, la sinergia tra il mondo del lavoro e il mondo della scuola, la formazione. Alessandro: Diciamo che, almeno in linea teorica, sarei d’accordo sul discorso di questa parità tra scuola statale e scuola pubblica, penso che nella stessa Costituzione la libertà di scegliere sia una delle libertà riconosciute ai cittadini, lo stesso art. 33 della Costituzione mi sembra che non escluda la cosa. “… Non oneri per lo Stato” è segno che lo Stato ha la facoltà, se vuole, di finanziare la scuola: non l’obbligo ma la facoltà. Quindi il problema non si porrebbe. Secondo me alla scuola pubblica farebbe bene un po’ di sale sulla coda; sarei propenso alla possibilità di aprire queste scuole, che ci siano più alunni che abbiano la possibilità di frequentare queste scuole. Rimane però tutta una serie di problemi; il primo problema è quello che ci sono scuole private molto valide però ci sono anche dei "diplomifici", diciamo così, che vantaggio ha lo Stato a finanziare queste scuole? C’è vantaggio se se finanziano scuole che abbiano una certa qualità. Più che parlare di finanziamento alle scuole sarebbe giusto dare dei bonus, cioè dare la possibilità ai genitori che vogliono iscrivere i figli alle scuole private di essere finanziati in base al proprio reddito per pagare la retta di quella determinata scuola; forse questo sarebbe anche il modo per eliminare certi dubbi, insinuazioni, che si voglia arricchire determinate scuole. Franceschin: Volevo spezzare il tema che avevate proposto, dell’educazione e della formazione professionale, in due parti: la scuola dell’obbligo nella prima parte e l’aggiornamento professionale nella seconda parte. La scuola dell’obbligo: togliamo il discorso della Costituzione, cambiamo, diamo la possibilità ad ogni alunno delle scuole di avere un bonus da spendere dove vuole e quando vuole I genitori vanno a scegliere la struttura che più gli aggrada, una scelta di libertà di educazione, sempre stando all’interno di quelle regole che dicevamo prima. Non dobbiamo mettere nel burocratico la qualità della formazione, quindi questa potrebbe essere una scelta che va al di là delle confessionalità, però darebbe un cerchio di estrema libertà delle persone. Per quanto riguarda la formazione professionale, vedo una grossa difficoltà perché è un business, ci si muove in un campo minato. C’è però anche un discorso di qualità, bisognerebbe riformulare tutto, io lascio qua un’unica cosa: ci sono già delle grosse imprese privatistiche che ormai hanno occupato i punti strategici di questo sapere, di questa riconversione del personale, anche a Mestre che è un piccolo paesetto rispetto al grande mondo conterà come minimo una ventina di ditte che 6 Luciana: Sono un’insegnante, uno dei frutti della scuola dequalificata che sta proprio soffrendo sulla sua pelle il malgoverno della scuola. Credo che innanzitutto il problema della scuola pubblica o privata si debba porre in modo molto diverso. Secondo me la Chiesa sta sbagliando nel modo in cui sta portando avanti il discorso perché è molto più complesso che non ‘sovvenzioni si, sovvenzioni no’; il problema è veramente alla radice della formazione, il problema è della dequalificazione anche degli insegnanti e quindi il bisogno della loro formazione che è allo sbando. Il problema è quello di una riqualificazione degli insegnanti. Se la scuola deve essere il luogo dove si educa, credo che questo sia un problema molto grave su cui dobbiamo riflettere. Su una ‘scuola che deve formare lavoro certo’ io distinguerei: c’è una scuola che deve educare la persona e una scuola che deve formare al lavoro, mi rifiuto di pensare che la scuola debba essere un luogo dove si formano dei lavoratori. Bisogna scindere, separare e riformare in questo senso. La formazione della persona, secondo me, credo debba essere non dico statalizzata ma deve essere diretta sicuramente, perché alcuni solo devono essere i principi che la devono regolare, su cui siamo tutti d’accordo, e allora la scuola deve essere pubblica in questo senso. Sul portare a livello regionale la formazione professionale dico si, ben venga, però stiamo attenti perché, a mio avviso, ultimamente direi che proprio la Regione non è stata in grado di formare a livello professionale, forse perché malata anch’essa di burocratismo. La Scuola di fronte ad un bivio: Pubblico uguale Statale? Vittorio Baroni: Chi ha responsabilità nel settore della formazione in questa regione dovrebbe esercitarla, e siccome ci sono tre anni di tempo, come ha scritto l’assessore Campa, credo vada preso per esempio quel tipo di dichiarazione, quindi coloro che hanno responsabilità dovranno seguire quel modello affinché non ci siano contraddizioni come diceva prima il dott. Bolpin. Otto interventi. Mi sembra che Chiara abbia detto ‘e i più deboli e l’interculturalità?’, Alberto ha detto ‘i movimenti studenteschi, costa troppo la scuola’, Alessio sostiene ‘sono d’accordo sul sostegno alla scuola statale però occorre educare alla cultura e a una pluri proposta’, Massimiliano Girotto ‘ci sono dei costi e nel Veneto non possiamo sostenerli, costa troppo fare la formazione scientifica tecnologica’, Matteo invece diceva ‘che la libertà significa fornire gli strumenti ai fini che loro possono scegliere automaticamente o autonomamente’, Claudio ‘libertà della persona, bisogna specializzare la formazione’, Alessandro ‘ok per la parità pubblico-privato, molto pessimo il liceo che ho fatto’ e Luciana ‘sono uno dei frutti della scuola dequalificata, bisogno di una formazione degli insegnanti, scuola vuol dire educare più formare, quindi riformare, tre principi che devono essere uguali per tutti, anche se, a dire il vero, ognuno sceglie la propria fede e quindi sceglie i propri principi’. Carlo Bolpin: Sulla dequalificazione. In quel libretto giallo che ha don Fabio si dice addirittura che la scuola non è dequalificata ma è il modello. E’ la crisi della scuola mondiale che forma al consumo il consumatore, neanche il lavoratore, forma a quei linguaggi minimi che servono per consumare le tecnologie innovative, il consumo, il mercato, etc. La scuola socializza non forma il sapere, ha il compito sempre più basso di socializzare e di rendere flessibile, adattabili alle mode, quindi al consumo. Una seconda battuta riguarda il discorso del bonus. Il bonus rischia di essere quella visione neo-liberista di cui parlavo prima, cioè il criterio di valutazione della scuola diventa il mercato, mentre bisognerebbe pensare ad un sistema che fissi obiettivi, criteri validi per tutti, formativi, educativi. Il bonus produrrebbe poi la diversificazione delle strutture, bisognerebbe tenere presente l’altro aspetto del bene comune, in favore soprattutto dei più deboli. Il criterio del bonus non credo garantisca questo, sarebbe da approfondire. L’altro ragionamento di fondo, da un punto di vista di principio, è che la scuola di appartenenza potrebbe garantire il pluralismo, nel senso che all’interno i genitori e le famiglie potrebbero essere più interessati a scegliere una scuola che forma un certo progetto educativo e non è detto che sia chiuso, integrista e non aperto agli altri, a livello di principio generale. Quindi dal punto di vista laico il principio della libertà, l’educazione anche di appartenenza, non è sbagliato, è legittimo, ha fondamenti. I due criteri di giudizio secondo me sono la situazione storica concreta, quindi i processi storici che stiamo vivendo, vedere se questo tipo di scuola risponde ad un’educazione aderente ai problemi di oggi, e l’aspetto dell’inter culturalità. Questo è decisivo, secondo me, non in astratto ma in concreto. I pericoli oggi sono di una scuola che rischia di favorire lo scontro ideologico più che lo scambio. Don Fabio Longoni: Io sono stato studente nella scuola statale e nella scuola privata. Sono stato insegnante nella scuola statale, privata e anche nel diplomificio. Quindi potrei avere l’idea precisa di tutto quello che avete detto, a partire dall’esperienza subita e fatta subire. Probabilmente ancora una volta stiamo facendo una battaglia di retroguardia. Qualcuno cattivo dice che siamo noi e Cuba ad avere questi problemi, forse è vero. Probabilente non ci rendiamo conto che la nostra retroguardia è legata al fatto che le scuole come una LUISS, una Bocconi, non hanno bisogno di un finanziamento statale. Il giorno in cui si deciderà, la confindustria o qualcun altro, di fare una scuola secondaria di questo tipo, avremmo comunque una situazione gravissima. Ritengo che il problema fondamentale sia quello economico oggi, cioè che purtroppo l’aspetto economico e quello culturale vanno di pari passo nella nostra situazione, e il futuro sarà sempre più in questa direzione. Quindi se dovessi dare un parere personale direi, che la storia ha fatto si che la scuola fosse prima di tutto religiosa. La scuola nasce così, che si voglia o no, nell’800. In questo Paese se non ci fossero stati i preti non ci sarebbe stata neanche la scuola, questo va detto, e non era sicuramente la scuola dei ricchi come oggi è, infaustamente. Secondo me non è giusto che lo sia, però purtroppo lo è e lo sarà sempre di più se non si arriverà ad una riforma. L’art. 26 dei diritti dell’uomo dice ‘i genitori hanno diritto di priorità nella scelta del tipo di istruzione da impartire ai loro figli’, ma anche – nel comma 2 di questo articolo – ‘questa scuola deve promuovere la comprensione, la tolleranza e l’amicizia fra tutte le nazioni, i gruppi razziali, religiosi, e deve favorire eccetera eccetera l’attività delle Nazioni Unite per il mantenimento della pace’. Il problema, anche a livello di culturalità, non può essere trattato se non in una apertura che mi pareva già acquisita da parte della Chiesa cattolica e che mi è sembrata riaffiorare solo ultimamente nel dibattito che purtroppo si è incentrato sui finanziamenti ma non sul problema di fondo, cioè sul fatto che la scuola 7 SFISP Venezia cattolica, non statale però con un servizio pubblico, deve essere aconfessionale. Penso possa esserci una scuola cattolica aconfessionale, il problema è che quando decido che ci può essere una scuola di ispirazione cristiana, questa deve permettere anche ad un ebreo, ad un musulmano di entrarvi e di manifestare la sua fede in modo libero. Questo il Concilio lo aveva affermato. Stiamo facendo delle battaglie di retroguardia su tutti i piani, economico, culturale. Per esempio, la mia scuola materna è non confessionale, c’è scritto nello statuto, quindi non insegno catechismo nella scuola. Non devo convertire della gente, non ho questo scopo, però devo pensare che dentro questa scuola il valore portante del cristianesimo è comunque presentato, che poi non venga accettato è un’altra cosa, però anche il valore dell’altro deve essere presentato e deve entrare comunque in dialogo col cristianesimo. Secondo me quel valore pluralista che ha la scuola statale, com’è detto da voi, ho paura che non ci sia. questo sarebbe un discorso da fare veramente con serietà perché non diamo per scontato che la scuola statale sia pluralista. Oggi, secondo me, la scuola è molto più relativista, sotto certi aspetti, che non pluralista. Penso che ci siano tantissime scuole pubbliche statali che fanno delle cose bellissime. Sono stato molto contento della scuola statale da cui provengo, però devo affermare che forse dovremmo uscire da questo steccato contro steccato. Sono assolutamente d’accordo con quanto detto da Carlo, sarei meno preoccupato della multiculturalità se riuscissimo anche come cristiani, ripeto, ad investirci di una non confessionalità. Questo è un problema di Concilio superato che mi pare invece stia riemergendo come, in questo caso, uno steccato cattolico. Non è detto che ci siano gli steccati solo dall’altra parte, ci sono anche gli steccati cattolici. Anche qui ci sarebbe da meditare un po’. Grazie. 8