Un quotidiano moderno nel segno della tradizione Un quotidiano moderno nel segno della tradizione WWW.AVANTI.IT WWW.AVANTI.IT Anno XV n° 262 - € 1,00 QUOTIDIANO SOCIALISTA DAL 1896 Giovedì 2 dicembre 2010 “O forte fiducia, o si va alle urne” Berlusconi avverte tutti in vista del voto alle Camere del 14 dicembre: “Se ci sarà impedito di continuare a guidare il Paese useremo le iniziative del nostro governo come argomenti nella prossima campagna elettorale” “Se il 14 dicembre non avremo una forte e consistente fiducia e ci sarà impedito di continuare a governare, useremo queste iniziative nella prossima campagna elettorale. Saranno un esempio della ‘moralità del fare’ che è il marchio del nostro stare in politica e che consiste essenzialmente nel rispettare il programma e nel non tradire il mandato avuto dagli elettori”. Così Silvio Berlusconi in un messaggio inviato al sito web www.forzasilvio.it, in cui il capo del governo annuncia nuove iniziative “volte a informare direttamente i nostri sostenitori e tutti coloro che vogliono sapere la verità”. Berlusconi esordisce: “Noi siamo ‘Il Governo del fare’. Lo abbiamo dimostrato anche in queste ultime difficili settimane, lavorando per portare a compimento i cinque punti di programma sui quali abbiamo avuto la fiducia alla fine di settembre, conseguendo importanti successi in politica estera, intervenendo, tra mille difficoltà, per risolvere la nuova emergenza rifiuti di Napoli, approvando alla Camera la riforma dell’università. Lasciamo agli altri - continua il Cavaliere - le manovre e gli agguati di palazzo. Lasciamo agli altri le chiacchiere e le polemiche inutili. Noi continuiamo a lavorare e a cercare di comunicare ai cittadini le cose realizzate dal governo”. POLITICA L’ALDOPARLANTE L’ALDO DEFICIT ITALIANO ALTO, BRUXELLES PREME Carlo Pareto di Aldo Chiarle PAGINA 2 INTERVISTA A MARGHERITA BONIVER “ALTRO CHE BOMBA, WIKILEAKS È UN PETARDO BAGNATO” Andrea Camaiora PAGINA 3 ATTUALITÀ DALL’IRPINIA ALL’AQUILA: TRENT’ANNI DI TERREMOTI Manfredi Villani PAGINA 4 CULTURA LETTERATURA CROATA, UNIVERSO SCONOSCIUTO Maria Teresa Iervolino PAGINA 6 Ci sono tutti i sintomi delle elezioni vicinissime e i “movimenti” si stanno, anche se ancora cautamente, delineando. Anche perché il Parlamento che sarà eletto, dovrà provvedere alla elezione del nuovo presidente della Repubblica. Pier Ferdinando Casini e Gianfranco Fini si stanno scaldando i muscoli e alla ribalta ecco anche Romano Prodi, che, in una sua recente intervista, ha dichiarato che “Berlusconi è al tramonto”. È iniziata quindi la partita a scacchi per due cariche molto importanti: il presidente del Consiglio dei ministri e il presidente della Repubblica. E per queste due cariche i pretendenti sono già numerosi: annotiamo oltre che Fini, Casini, anche Prodi e Luca Cordero di Montezemolo. Oltre, naturalmente, a quelli del versante sinistro, dove in lotta per l’egemonia di quello schieramento sono per ora almeno in tre: Pier Luigi Bersani, Walter Veltroni e Nichi Vendola. I giornali della sinistra danno l’onorevole Berlusconi all’inizio della sua fine. Vorrei dire, soprattutto a Casini, che è cattolico, di non farsi troppe illusioni: anche Cristo è stato crocefisso, ma poi è risorto… Giovedì 2 dicembre 2010 POLITICA La Commissione europea avverte l’Italia: adottate nuove misure se necessario Deficit alto, Bruxelles preme La Commissione europea ha avvertito l’Italia che, se sarà necessario, dovrà prendere nuove misure per raggiungere l’obiettivo della riduzione del deficit al 3% entro il 2012. Da poco infatti nelle previsioni economiche d’autunno la Commissione Ue ha evidenziato per il Belpaese un deficit al 3,5% per il 2012 (dopo un 5% del 2010 e un 4,3% del 2011), che va quindi in direzione opposta rispetto agli impegni presi dal governo con Bruxelles. È quanto ha recentemente affermato il commissario agli Affari economici e monetari, Olli Rehn. Queste previsioni, aveva precisato Bruxelles, tengono conto sia delle misure di consolidamento del 2009-2011 adottate nell’estate 2008, sia del pacchetto per il 2011-2013 assunto a maggio 2010, ma “con una valutazione ex ante meno ottimistica dell’efficacia di alcune delle disposizioni normative messe in campo per contrastare in maniera più adeguata l’evasione fiscale. È fondamentale che l’Italia si attenga agli obiettivi di politica erariale fissati”, ha affermato il commissario Ue sottolineando che “l’Esecutivo ha appena deliberato un nuovo pacchetto di consolidamento per il 2011/2013, quindi ha tre anni per arrivare alla contrazione del deficit sotto il 3% entro il 2012”. Dunque, “se occorrerà dovranno essere presi provvedimenti ulteriori per conseguire questo obiettivo”, ha rimarcato Rehn, il quale ha aggiunto che “una volta fatta la valutazione dei provvedimenti presi dagli Stati membri nell’ambito della procedura di infrazione per deficit eccessivo ne sapremo di più”. Quanto al Pil italiano crescerà dell’1,1% nel 2011, restando sostanzialmente quindi agli stessi livelli del 2010, e dell’1,4% nel 2012, circa 0,5% punti sotto la media dell’eurozona, viene sempre evidenziato nei dati contenuti nelle formulazioni economiche d’autunno appena elaborate dalla Commissione europea, e da poco pubblicate. Secondo Bruxelles, la Penisola realizzerà una “crescita moderata” di cui le esportazioni saranno il “principale veicolo”. “Ci si aspetta che l’economia italiana ritorni ai tassi di crescita moderata pre-crisi”, viene sempre riportato nel documento di Bruxelles, in quanto “le debo- “La Legge Lo Presti nel decreto di fine anno” Nel corso della riunione svolta ieri dalla commissione bicamerale sugli Enti previdenziali, presieduta dal deputato del Pdl Giorgio Jannone, il ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, e lo stesso Jannone hanno ribadito che i contenuti della Legge Lo Presti verranno inseriti nel Decreto di fine anno. La Legge Lo Presti, approvata all’unanimità dalla Camera, ora al vaglio del Senato, introduce la possibilità, per gli Enti che applicano il metodo di calcolo contributivo della pensione, di innalzare la misura del contributo integrativo nei limiti del 5%, rispetto al 2% vigente. Questo innalzamento potrà costituire una fondamentale opportunità per incrementare i montanti contributivi, quindi garantire e migliorare i trattamenti pensionistici degli interessati. Infatti, la proposta di legge parte dal presupposto che il sistema di calcolo delle pensioni “contributivo” non permette di corrispondere trattamenti in grado di garantire un’apprezzabile continuità con il reddito professionale percepito. Da tempo le categorie lavorative interessate dalla legge attendevano una manovra capace di guidare il comparto delle professioni fuori dalla situazione stagnante in cui si trovavano a causa della crisi congiunturale. lezze strutturali dietro una insoddisfacente espansione della produttività nell’ultimo decennio peseranno ugualmente sulla capacità dell’economia di riprendersi velocemente dalla seria perdita di produttività riscontrata durante la recessione”. Quanto al debito pubblico dell’Italia, con ogni probabilità, sarà pari al 118,9% nel 2010, mentre si fermerà a quota 120,2% nel 2011 per poi flettere al 119,9% nel 2012. “Dopo un rialzo al 116% nel 2009, le proiezioni del rapporto debito-Pil salgono quasi al 119% nel 2010. Si ipotizza in particolare che il debito continuerà a lievitare nel 2011, con un picco attorno al 120%, e inizierà a ridimensionarsi nel 2012”, a parere di Bruxelles. Mentre il tasso di disoccupazione nello stivale, in base alle stesse prefigurazioni, sarà dell’8,4% nel 2010, diminuirà all’8,3% nel 2011 per arrivare all’8,2% nel 2012. “Il tasso di disoccupazione è salito soltanto gradualmente nel corso del 2009, ha raggiunto il picco dell’8,5% tra marzo e maggio 2010 ed ha iniziato a decrescere durante l’estate”, ha puntualizzato Bruxelles, osservando che “si prospetta che rimanga leggermente al di sopra dell’8% durante il periodo delle previsioni”. Sui conti pubblici, la messa in atto delle misure di consolidamento aiuterà notevolmente l’Italia ad evitare i rischi di speculazione sul debito sovrano. “La piena attuazione delle disposizioni di con- solidamento pianificate servirà a prevenire l’insorgere di un aumento degli interessi sul debito sovrano e il suo possibile impatto negativo sul costo del capitale per l’intera economia”, hanno esplicitamene chiosato infatti gli esperti comunitari di Bruxelles. “La ripresa economica si è rafforzata” anche se in modo disomogeneo nell’Ue e, date anche le tensioni sui mercati, sono indispensabili azione politiche decise, ha affermato sempre Rehn. “Sono incoraggiato dalla prospettiva che finalmente in Europa l’occupazione dovrebbe migliorare”, ha continuato Rehn chiarendo che “i debiti pubblici hanno iniziato a ridursi grazie ai provvedimenti di consolidamento attivati e soprattutto al ritorno della crescita”. Ma, ha ammesso, “la ripresa è diseguale e molti Paesi membri stanno attraversando un periodo difficile di aggiustamento” dei conti pubblici. Per questo, ha aggiunto il commissario europeo, bisogna “continuare con determinazione iniziative di consolidamento fiscale mentre politiche per rilanciare la ripresa sono essenziali per dare una base solida a una crescita sostenibile e a un ampliamento strutturale dell’occupazione”. Rehn ha poi concluso rilevando come “le turbolenze nei mercati del debito sovrano palesano la necessità di una robusta azione politica”. Carlo Pareto 2 Attenzione al portafoglio anche nelle feste Confcommercio: sarà un Natale “sotto tono” Quello che ci aspetta sarà un Natale “sotto tono”. Le famiglie italiane spenderanno per le festività alle porte 1.337 euro, con un calo reale dell’1,2 per cento rispetto al 2009. Si tratta di 17 euro in meno in media rispetto alla quota di spesa pro capite dello scorso anno, quando dal portafoglio di ciascun nucleo familiare erano usciti 1.354 euro. A rilevarlo sono le stime elaborate dall’Ufficio studi di Confcommercio, puntualizzando che “il calo dei consumi natalizi” risulta “al netto della variazione dei prezzi” nel 2010 rispetto al 2009 e “al netto dell’incremento numerico delle famiglie”. Tuttavia, aggiunge Confcommercio, quest’anno risulta in lieve aumento la massa monetaria complessiva (tra le tredicesime dei lavoratori dipendenti e i consumi aggiuntivi degli autonomi) che verrà destinata alle spese per l’acquisto dei regali da mettere sotto l’albero: saranno 33,6 miliardi, con un rialzo dell’1,2% nel confronto con il 2009 (33,2 miliardi). Di questi, 11,3 miliardi andranno alla rete distributiva (i cosiddetti “consumi che passano per i negozi”) e i restanti 22,3 miliardi verranno utilizzati per altre spese come carburanti, moto e auto, bollette, spese all’estero, vacanze in Italia e altri servizi. In un anno i salari sono aumentati dell’1,5%. Intanto quasi 5 milioni di lavoratori attendono il rinnovo dei contratti Nel 2010 crescono le retribuzioni Le retribuzioni contrattuali orarie, a ottobre, hanno presentato una variazione sostanzialmente nulla su settembre e sono invece complessivamente aumentate dell’1,5% su base annua. Lo ha di recente reso noto l’Istat, sottolineando che il dato tendenziale è il più basso dal marzo del 1999 e rimane sotto il livello dell’inflazione (+1,7% a ottobre). La crescita registrata nel periodo gennaio-ottobre 2010, in confronto al corrispondente periodo dell’anno precedente, è del 2,2 per cento. Sempre l’Istat ha fatto notare che nel mese di ottobre l’indice delle retribuzioni orarie contrattuali relativo all’intera economia è rimasto immutato rispetto al mese precedente “a causa dell’impatto molto limitato degli adeguamenti contrattuali osservati nel mese”. Su base tendenziale, a fronte di un incremento medio dell’1,5%, i settori che hanno messo a segno gli aumenti più elevati sono telecomunicazioni (4,5%), servizi di informazione e comunicazione (3,5%), tessili, abbigliamento e lavorazioni pelli (3,1%). I rialzi minori si sono riscontrati, secondo le rilevazioni dell’istituto nazionale di statistica, per trasporti, servizi postali e attività connesse (0,3 per cento) e forze dell’ordine (0,5 per cento). A livello settoriale, le quote di contratti nazionali vigenti e applicati sono in vero molto differenziate: la copertura è per esempio totale nel settore agricolo, pari al 94,7 per cento per l’industria e al 65,7 per cento per i servizi privati. Nella Pubblica Amministrazione, a partire da gennaio 2010, ha opportunamente ricordato l’Istat, tutti i contratti sono scaduti e la copertura risulta praticamente nulla. Infine sulla base delle disposizioni definite dai contratti operativi alla fine del mese di ottobre 2010 l’indice delle retribuzioni orarie contrattuali per l’intera economia, proiettato per l’anno 2010, configurerebbe un’ascesa media annua del 2,1 per cento. È il caso di sottolineare, in proposito, che a ottobre risultano in attesa di rinnovo 41 accordi contrattuali, relativi a circa 4,9 milioni di dipendenti. Stando ancora ai dati elaborati e diffusi dall’istituto di statistica, che al riguardo ha espressamente precisato che la quota di dipendenti che aspettano il rinnovo è pari, per l’intera economia, al 37,7 per cento, in progresso in confronto allo scorso mese (36,4 per cento) e in forte salita rispetto a ottobre del 2009 (11,5 per cento). A ottobre, pertanto, i contratti in vigore sono 37 (uno in più in confronto al mese precedente) e regolano il trattamento economico e di circa 8,1 milioni di dipendenti, a cui corrisponde un’incidenza in termini monte retributivo pari al 59,3 per cento. Inoltre, ha ulteriormente evidenziato l’Istat, i mesi di attesa per i lavoratori con il contratto scaduto sono, in media, 12,4 in lieve crescita rispetto a settembre 2010 (12,0), ma in calo in confronto ad un anno prima (19,2). Infine, l’attesa media distribuita sul totale dei dipendenti è pari a 4,7 mesi, a fronte di 4,4 mesi a settembre 2010 e 2,2 mesi a settembre 2009. Giovedì 2 dicembre 2010 POLITICA 3 La riforma Gelmini ha ricevuto il via libera della Camera e adesso torna al Senato per la terza lettura Università, ecco come cambiano gli atenei Con 307 voti a favore, 252 contrari e 7 astensioni, l’aula della Camera ha approvato martedì scorso in seconda lettura il disegno di legge di riforma dell’università; il testo passa ora all’esame del Senato. Dalla lotta agli sprechi, allo stop alle “parentopoli”, fino all’abolizione delle cariche a vita per i rettori: la riforma cambierà in profondità gli atenei italiani Ecco, qui di seguito, i punti salienti della riforma Gelmini. Adozione di un codice etico - Attualmente non ci sono regole per garantire trasparenza nelle assunzioni e nell’amministrazione. La riforma prevede il varo di un codice etico per evitare incompatibilità e conflitti di interessi legati a parentele. Alle università che assumeranno o gestiranno le risorse in maniera non trasparente saranno ridotti i finanziamenti ministeriali. Parentopoli - Divieto di chiamata, da parte delle università, per docenti che abbiano un grado di parentela “fino al quarto grado compreso con un professore appartenente al dipartimento o struttura che effettua la chiamata ovvero con il rettore, il direttore generale o un consigliere di amministrazione dell’ateneo”. Tetto ai rettori - Un rettore potrà rimanere in carica un solo mandato, per un massimo di sei anni, inclusi quelli già trascorsi prima della riforma. Allo stato attuale ogni università decide il numero dei mandati possibile. Organi accademici - La riforma introduce una distinzione netta di funzioni tra Senato e Consiglio d’amministrazione. Il Senato avanzerà proposte di carattere scientifico ma sarà il Cda, cui è affidato anche compito di programmazione, ad avere la responsabilità chiara delle assunzioni e delle spese, anche delle sedi distaccate. Il consiglio di amministrazione non sarà elettivo, avrà il 40 per cento di membri esterni e il presidente potrà essere un esterno. Al posto del direttore amministrativo verrà istituita la figura del direttore generale, che si configurerà come un vero e proprio manager dell’ateneo. Valutazione - Molti nuclei di valutazione sono oggi in maggioranza composti da docenti interni. Con la riforma dovranno avere una maggiore presenza di membri esterni per garantire una valutazione oggettiva e imparziale. Prevista anche la valutazione dei professori da parte degli studenti, determinante per l’attribuzione dei fondi del Ministero agli atenei. Didattica - Attualmente ogni professore è oggi rigidamente inserito in settori scientifico-disciplinari spesso molto piccoli, anche con solo due o tre docenti. In futuro saranno ridotti per evitare che si formino micro-settori, passando dagli attuali 370 alla metà, con una consistenza minima di cinquanta ordinari ciascuno. Riorganizzazione interna - Per evitare la moltiplicazione di facoltà, ogni ateneo potrà averne al massimo 12 per ateneo. Concorsi - Il ddl introduce l’abilitazione nazionale come condizione per l’accesso all’associazione e all’ordinariato. L’abilitazione è attribuita da una commissione nazionale sulla base di specifici parametri di qualità. I posti saranno poi attribuiti a seguito di procedure pubbliche di selezione bandite dalle singole università, cui potranno accedere solo gli abilitati. Commissioni - Le commissioni di abilitazione nazionale saranno composte di autorevoli con membri italiani e, per la prima volta, anche stranieri; avranno cadenza regolare annuale dell’abilitazione a professore, in modo da evitare lunghe attese e incertezze; attribuzione dell’abilitazione, a numero aperto, sulla base di criteri di qualità stabiliti con decreto ministeriale, sulla base di pareri dell’Anvur e del Cun. Reclutamento docenti - Distinzione tra reclutamento e progressione di carriera, con l’intenzione di porre fine ai “finti” concorsi banditi per promuovere un interno; entro una quota prefissata (1/3), i migliori docenti interni all’ateneo che conseguono la necessaria abilitazione nazionale al ruolo superiore potranno essere promossi con meccanismi chiari e meritocratici; messa a bando pubblico per la selezione esterna di 2/3 delle posizioni di ordinario e associato per ricreare una vera mobilità tra sedi, oggi quasi azzerata. Accesso per i giovani studiosi - Revisione e semplificazione della struttura stipendiale del personale accademico per eliminare le penalizzazioni a danno dei docenti più giovani; revisione degli assegni di ricerca per introdurre maggiori tutele, con aumento degli importi; abolizione delle borse post-dottorali, sottopagate e senza diritti; nuova normativa sulla docenza a contratto, con abolizione della possibilità di docenza gratuita se non per figure professionali di alto livello Ricercatori - Riforma del reclutamento, con l’introduzione di un sistema di tenuretrack: contratti a tempo determinato di sei anni (3+3). Al termine dei sei anni se il ricercatore sarà ritenuto valido dall’ateneo sarà confermato a tempo indeterminato come associato. In caso contrario, per evitare il fenomeno dei “ricercatori a vita”, terminerà il rapporto con l’università, ma il ricercatore maturerà titoli utili per i concorsi pubblici. Inoltre, il provvedimento abbassa l’età in cui si entra di ruolo in università, da 36 a 30 anni, con uno stipendio che passa da 1300 euro a 2100. Intervista con il presidente del Comitato bicamerale sull’attuazione dell’accordo di Schengen, Margherita Boniver “Wikileaks? Altro che bomba: è un petardo bagnato” Un uomo solo, Mr. Wikileaks, ha per adesso ridicolizzato il mondo almeno due volte. La prima, violando le misure di segretezza di quello che credevamo essere il più efficiente Paese del mondo, gli Stati Uniti d’America, e la seconda, inducendo il pianeta a discutere, dividersi e scandalizzarsi del… nulla. Cerchiamo di capire meglio cosa stia accadendo intervistando Margherita Boniver, da trent’anni protagonista della politica e delle relazioni internazionali italiane e oggi presidente del Comitato bicamerale sull’attuazione dell’accordo di Schengen. Presidente Boniver, nei dossier dell’ambasciata americana la dose di aria fritta è così alta che giudizi e informazioni riferiscono nella stragrande maggioranza dei casi, non di informazioni di novelli James Bond, bensì di giudizi e informazioni già ampiamente pubblicati dalla stampa europea e italiana. Possiamo quindi finalmente parlare della colossale bufala Wikileaks? “Sul piano diplomatico possiamo correttamente parlare di 11 settembre della diplomazia: quale diplomatico metterà più i propri giudizi nero su bianco? Sul piano dei contenuti, in- vece, salvo colpi di scena ci avevano preparato alla bomba atomica e siamo al petardo bagnato; fino ad ora vediamo solo un cumulo di cose sentite e risentite. Tenga presente che gli uffici diplomatici devono costantemente fornire notizie e rapporti, più o meno dettagliati, relativi alla situazione di un Paese. È evidente poi che tali rapporti si basino sul circuito dell’informazione di quel Paese e, nel nostro caso, esso è largamente contrario all’attuale presidente del Consiglio e al nostro schieramento politico. Non è naturalmente che la rappresentazione del governo italiano e dell’Italia debba essere interamente banalizzata. Merita anzi di essere spiegata meglio”. Presidente, perdoni la brutalità: l’immagine che si desidera affermare è che prendiamo gli ordini da Mosca e che il premier fa affari con Putin… “Mi viene da ridere a pensare chi rivolge queste accuse. Io non ho mai preso ordini da Mosca, ma ho ben chiaro come molti dirigenti nazionali del Partito democratico prendessero ordini da Mosca. Solo che all’epoca i dirigenti Pci andavano in Unione Sovietica, un Paese straniero e nemico, a prendere finanziamenti, oggi Berlusconi con successo, si occupa dell’interesse nazionale. Perché nessuno dice, a proposito delle famose rivelazioni di Wikileaks, il presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi, si è sempre mosso nell’interesse dell’Italia? Anche le visite in Libia, in Kazakistan e in Russia di questa settimana saranno centrate sulla spinosa questione dei rifornimenti energetici. Solo la molta tenacia di Silvio Berlusconi è rivolta palesemente a tutela degli interessi nazionali”. Ci vuole dire che Berlusconi sta lavorando perché non finiamo al freddo? “Ma certo! La politica estera di un Paese privo di fonti energetiche come il nostro, non dipende soltanto da Palazzo Chigi o dalla Farnesina, ma coinvolge necessariamente un soggetto strategico come Eni. Le anime belle dell’opposizione e della grande stampa cosa vogliono far credere? Che il Paese cammini consumando aria. È evidente che il dossier principale che sarà discusso in Libia, Kazakistan e Russia sarà la questione energetica. Silvio Berlusconi si muove nell’interesse dell’Italia e agendo in tal modo può dar fastidio a un alleato come gli Usa. Come si usa dire “competition is competition”. Ci sono in gioco interessi enormi, ma il presidente del Consiglio lavora per il proprio Paese e, badando ai fatti, penso a South Stream, lo fa assai bene”. Posso citarle il professor Ennio Di Nolfo, docente emerito di Storia delle relazioni internazionali all’Università di Firenze? “Prego!”. «La corrispondenza diplomatica è sempre stata ricca di aneddotica, basti pensare alle indiscrezioni sulla vita privata di Cavour. Non credo che quanto pubblicato da Wikileaks causerà proteste diplomatiche. Se qualcuno le dovesse sollevare, sarebbe solo per pretesto. È un’operazione messa in piedi per promuovere il sito fatto da astuti personaggi che vogliono guadagnare dei soldi e per buttare fumo su problemi ben più grandi. Bisogna fare una distinzione netta - ha spiegato il professore - tra chi non è del mestiere e chi invece lo è. Per i primi, le notizie ‘buttate’ sui giornali sono una novità straordinaria. Per i secondi, invece, si tratta di aria fritta per i gonzi». “Ma certo, ha ragione Di Nolfo! Guardi, il rapporto con gli Usa è ottimo e forse ancora più stretto, fattivo e concreto di prima. Ricorda il discorso di Berlusconi al Congresso americano? Siamo partner importanti sul piano militare in tutto il mondo. Non c’è alcuna ombra sulla considerazione statunitense nei confronti del governo: il premier Berlusconi ha svolto un ruolo determinante nell’avvicinamento della Russia di Putin e la Nato e gli Stati Uniti, un avvicinamento che a Lisbona ha raggiunto la sua perfetta e completa riuscita. Proprio lì americani e russi hanno ringraziato Berlusconi per il suo importante impegno di mediazione. E tanto basta per approvare in pieno la politica estera di questo governo”. Andrea Camaiora ATTUALITÀ Giovedì 2 dicembre 2010 4 La tragica esperienza del 1980 ha insegnato poco e anche in Abruzzo nel 2009 è mancata la prevenzione Dall’Irpinia fino a L’Aquila: trenta anni di terremoti Occorre riclassificare le aree sismiche Sembrava ieri. Domenica 23 novembre 1980, la Campania e la Basilicata, quasi allo scoccare delle ore 19,35 subirono un cataclisma che sconvolse tutto e tutti. Dopo alcuni secondi di moto sussultorio seguì qualche attimo di sosta, poi iniziò un terrificante movimento ondulatorio che sembrava non volesse più finire. Per la durata di ottanta secondi, l’energia prodottasi per le improvvise perturbazioni verificatesi nelle viscere della terra si sprigionò con tutta la sua furia devastatrice, provocando fortissime vibrazioni che agitarono il territorio e tennero sospesi tra la vita e la morte decine di migliaia di persone. Dai rilevamenti effettuati da tre stazioni sismiche, operanti in un raggio di 200 chilometri dall’area interessata, emerse che la scossa principale ebbe il suo ipocentro a 18 chilometri di profondità, con magnitudo 6,8 corrispondente al 10° grado della scala Mercalli. Alla scossa principale fece seguito una lunga serie di repliche per oltre un anno. Per la vastità delle zone colpite, il sisma del 23 novembre 1980 interessò un’area quattro volte maggiore di quella sconvolta dal terremoto del Friuli dell’anno 1976 e provocò 2735 vittime di cui 1762 in Irpinia, 3 in provincia di Benevento, 12 in provincia di Caserta, 131 in provincia di Napoli, 153 in provincia di Potenza, 674 in provincia di Salerno. Risultarono sinistrati dal sisma 424 Comuni della Campania e della Basilicata. La zona terremotata ebbe il suo epicentro tra i Comuni di Laviano (Sa), Lioni (Av) e Oliveto Citra (Sa) con coordinate della latitudine 40° 46’ Nord e longitudine di 15° 18’Est. L’evento sismico, oltre alle vittime, ai feriti, ai crolli e alle rovine causate dalle vibrazioni del suolo, riattivò e amplificò i dissesti idrogeologici di vecchia data, nonché ne innestò altri di particolare gravità. Lo Stato, col presidente della repubblica, Sandro Pertini, il governo, con il presidente del Consiglio, Francesco Cossiga, le forze politiche, sindacali e sociali, la solidarietà di tutto il mondo internazionale, agirono all’unisono per assicurare un ruolo consono alle aspettative ed alle esigenze della gente terremotata. Riconosciamo all’onorevole Giuseppe Zamberletti, commissario straordinario del governo per le zone terremotate, il merito di aver saputo affrontare e risolvere in modo egregio e soddisfacente i problemi dell’emergenza. Il discorso della ricostruzione e dello sviluppo socio-economico venne normalizzato e assicurato con la legge 219/1981 che prevedeva massicci finanziamenti per la rinascita di quelle comunità e per la soluzione di atavici problemi della società meridionale. Sono passati trent’anni dal terremoto dell’Irpinia e ancora viene evidenziato dalla cronaca giornalistica uno strascico di scandalo della ricostruzione: nel Comune di Salvitelle, in provincia di Salerno, paese distrutto dal sisma, vengono consegnate in questi giorni, dal sindaco locale, le ultime case destinate agli sfrattati. Case che, purtroppo, non sono subito abitabili perché prive degli allacci elettrici. Assurdo comportamento che dimostra l’irresponsabilità dei preposti ai pubblici poteri amministrativi. Non va sottaciuta la non edificante anomalia della ricostruzione “pilo- tata”, diventata sinonimo di abusi e sprechi, ritardi, infiltrazioni camorristiche, malapolitica, ipocrisia dei non pochi parlamentari indigeni incollati alle loro immeritate poltrone da oltre mezzo secolo; eppure la spesa pubblica ha superato fino ad oggi i 32 miliardi di euro, spesi male nei trascorsi trent’anni, sicché per la maggior parte intrinseca si sono trasformati in fumo. Certamente sarebbe possibile analizzare e valutare le responsabilità individuali che, comunque, dopo trent’anni non sono mai facilmente attribuibili in un ambiente di reticenza e connivenza. Sono molti quelli che hanno sbagliato e aggiunto disastri al disastro sismico. Non sembri questo mio affondo un azzardo del 2010. Sono anche io parte lesa del laborioso popolo dell’Irpinia. Il mio grido di dolore ha una diversa valenza. È finalizzato a scuotere le coscienze degli Istituti Accademici, il Cnr, la Protezione Civile a rivisitare la sismologia moderna per una nuova classificazione scientifica delle aree sismiche italiane, onde evidenziare con metodi nuovi e attuali la sismicità preventiva della terra e assicurare in tempo utile avvisi di sgombero per le popolazioni delle aree sensibili. A maggior chiarimento aggiungo che nel Terzo millennio non ci si può più accontentare dei dettami dei ben noti scienziati dei secoli scorsi, quali Mercalli, Baratta, Taramelli, Alfano che divisero, tra l’anno 1888 e il 1910 l’Italia in varie zone, secondo il grado di sismicità delle stesse. Le classificarono in zone “eminentemente sismiche”, “mediocremente sismiche”, “debolmente sismiche”, e “asismiche”. Per chi brama saperlo, zone asismiche o quasi sono la valle del fiume Po e la Puglia, le quali sono geologicamente costituite da terreni alluvionali. Quanto, poi, alla genesi dei terremoti, ricordiamo che la penisola italiana è soggetta a un movimento bradisismico positivo e negativo, alternativamente, che nei suoi massimi produce rotture di strati sotterranei con conseguenti terremoti. Tali bradisismi vanno rilevati sistematicamente da apposite strumentazioni, per misurare i parametri fisici delle vibrazioni meccaniche e tradurli in esame preventivo nei caratteristici valori di magnitudo, necessari a calcolare il livello equivalente continuo delle accelerazioni istantanee presenti nei siti interessati dalle misure. Comunque è assicurato, dalla più che millenaria storia dei terremoti, che le scosse sismiche preferiscono sempre le stesse regioni, e in queste stesse zone vi sono dei punti prescelti, dove le vibrazioni si presentano con gli stessi caratteri di intensità ed effetti. Dopo i terribili disastri che hanno colpito, a breve intervallo, le più belle regioni d’Italia dalla Sicilia, al Friuli, alla Campania e Basilicata, all’Abruzzo e ammesso il principio che i terremoti avverranno colà dove sono avvenuti, sarebbe veramente deplorevole ostinarsi a non voler seguire i precetti e postulati della scienza, nonché le norme tecniche dell’edilizia sismica, sancite in pubbliche leggi. Il terremoto dell’Irpinia, trent’anni dopo, consente ancora di mantenere aperto il triste sipario. Occorre senza indugio portare a compimento la corretta ricostruzione del residuale patrimonio edilizio, ancora inagibile, e dare finalmente certezza di serenità e benessere a tanta gente che attende ancora la solidarietà pubblica, senza infingimenti. Chiudo con un rammarico e mi limito a esprimere un solo accenno al sisma che ha colpito l’Abruzzo il 6 aprile 2009: la città di L’Aquila e il suo hinterland vennero investiti da un terremoto che provocò centinaia di vittime e distrusse il patrimonio edilizio, storico e abitativo. L’emozione dei sopravvissuti fu enorme, soprattutto perché fu alta la consapevolezza del cedimento umano per l’assenza totale sia di misure di prevenzione, sia dell’avviso di sgombero che in quel tragico caso sarebbe stato salvifico. Con il senno del poi cerco di dare un modesto contributo professionale per spronare le varie istituzioni pubbliche ad adottare, in un malaugurato futuro, un più proficuo e responsabile comportamento. Manfredi Villani Caro Aldo, avevi ragione tu Caro Aldo Chiarle, ti ringrazio per la tua “lettera aperta” di giovedì 25 novembre, tempestivamente pubblicata a seguito del mio articolo relativo alla vicenda del medico ebreo rifiutatosi di operare il paziente con la svastica tatuata sul corpo. Tengo a precisare che, prevedendo le considerazioni che hai svolto nella tua risposta, avevo scritto nel mio articolo che non mi erano noti tutti i dettagli della vicenda e che, probabilmente, il medico ebreo non aveva messo a repentaglio la vita del paziente. Le spiegazioni contenute nella tua risposta, pertanto, mi trovano pienamente d’accordo e condivido completamente le tue valutazioni; alla luce di esse, posso affermare anch’io che la scelta compiuta dal medico ebreo è stata non solo giusta, ma saggia ed equilibrata. Le argomentazioni sviluppate nel mio primo articolo - argomentazioni inerenti il “piano teorico” della deontologia medica - non contrastano affatto con la condotta del medico, così come da te descritta e spiegata. Ho creduto che questa mia ulteriore risposta alla tua “lettera aperta” fosse doverosa. Se c’è un atteggiamento, infatti, che fa di te una persona straordinaria, questo è proprio l’attenzione che dedichi al dialogo e al confronto, soprattutto con noi giovani. E di questa attenzione, caro Aldo, io ti sarò per sempre grato. Grazie ancora per tutti i tuoi insegnamenti. Filippo Ferri Giovedì 2 dicembre 2010 ECONOMIA 5 Il contratto di categoria scade il 31 dicembre, ma non si prevedono significativi aumenti in busta paga Affondo dei banchieri sul fondo dei bancari Intanto l’Abi licenzia ottanta dipendenti per esigenze tecniche e organizzative È indubbio che il settore ad essere maggiormente implicato nella crisi economica sia stato quello bancario: un coinvolgimento “circolare”, che lo ha interessato tanto sul versante delle cause, attraverso il confezionamento e la commercializzazione in tutto il mondo dei famosi “titoli-salsiccia”, costituiti da crediti inesigibili, quanto su quello delle conseguenze, con il cortocircuito di legalità, fiducia e liquidità che ha provocato i clamorosi fallimenti di storici marchi finanziari. Anche in Italia, da circa tre anni, la raccolta amministrata, gli affidamenti alle realtà produttive più meritevoli e i margini di profitto dei gruppi bancari si sono drasticamente ridotti producendo sensibili correzioni ai relativi corsi di borsa: uno scenario al quale i manager non hanno trovato di meglio che rispondere abbattendo il costo del lavoro e, al pari del comparto industriale, non disdegnando politiche di violazione di diritti sanciti in leggi ordinarie e costituzionali. Un indice – questo – della qualità imprenditoriale, della capacità innovativa e del livello culturale di tanta parte della dirigenza bancaria istruita e reclutata per applicare ovunque i discutibili modelli di quelle società di consulenza di marca anglosassone – con nomi resi celebri dalle cronache giudiziarie – che hanno condotto al disastro l’economia mondiale, allontanandola dal modello renano basato sulla virtuosa interrelazione tra impresa e banca. In questo difficile contesto si inseriscono due elementi connaturati alla realtà creditizia italiana e legati a doppio filo con aspetti sociali non riferiti, tuttavia, alla sola categoria bancaria. Ci riferiamo alla scadenza, il prossimo 31 dicembre, del Contratto collettivo nazionale e alle minacce di scioglimento del Fondo di solidarietà nel settore del credito. Il Fondo, istituito con il decreto del ministero del Lavoro n. 158 del 28 aprile 2000, per un decennio ha rappresentato un valido ammortizza- tore per risolvere in modo socialmente indolore le emergenze occupazionali (leggasi esuberi) rivenienti dai grandi piani di ristrutturazioni intervenuti già dagli anni ‘90, a cominciare dalla fusione benedetta da Prodi, ormai vent’anni fa, tra Banco di Santo Spirito e Cassa di Risparmio di Roma. Gli oneri di accompagnamento al prepensionamento (stimati mediamente in 47.000 euro all’anno per ogni dipendente prepensionato) sono, difatti, a carico del sistema bancario (imprese e lavoratori) e non gravano quindi sulle finanze pubbliche. Ben 30 mila bancari ne hanno usufruito. Il recente annuncio dell’Associazione bancaria italiana di dare avvio alle procedure per lo scioglimento unilaterale del “fondo esuberi” per eccessiva onerosità ha suscitato tra le organizzazioni sindacali e i lavoratori perplessità giuridiche e opposizione, finendo per accentuare le distanze tra le parti e determinare una rottura nel corso dell’incontro del 19 novembre sulle problematiche del settore. Tra i due citati elementi potrebbe, inoltre, concretizzarsi una impropria relazione costituita dall’influenza del welfare categoriale sul negoziato contrattuale: in pratica l’Abi rinuncerebbe a disdettare il Fondo in cambio di una piattaforma economica a costo zero, senza, cioè, aumenti significativi in busta paga. Una sempre più labile demarcazione tra condizionamento e ritorsione che rischia di compromettere le politiche concertative (si pensi ai contratti di solidarietà) di cui le associate di Palazzo Altieri da almeno quindici anni hanno beneficiato. Si consideri in aggiunta che, sfumato in Unicredit il ricorso forzoso ai licenziamenti collettivi – minacciati in caso di mancato raggiungimento di quota 3.000 cessazioni di rapporti di lavoro nell’ambito del “Piano di Riorganizzazione generale 2010/2013” (raggiunte 3.411 adesioni) –, l’occasione è stata fatta propria, con singolare tempismo, dalla stessa Associazione di Piazza del Gesù. Con lettera del 24 novembre, infatti, i banchieri hanno comunicato alle nove sigle sindacali e al Ministero del Lavoro, ai sensi e per gli effetti della legge 223/1991, l’avvio della procedura di licenziamento collettivo “allo scopo di ridurre gli organici di 80 unità risultanti in esubero con riguardo alle proprie (dell’Abi, ndr) esigenze tecniche, organizzative e produttive”. L’incidenza percentuale di tale operazione sul totale dei dipendenti a tempo indeterminato (308 unità al 1° novembre 2010), evidenzia non solo la gravità di un provvedimento dai rovinosi impatti immediati, ma anche la valenza simbolica di un gesto da far pesare sul piano comunicativo nell’imminenza dell’avvio di un delicato tavolo negoziale di categoria. Il primo dopo la crisi dell’economia mondiale. Stefano De Rosa I dati del Rapporto sulle “Medie imprese in Europa” realizzato da Confindustria, R&S-Mediobanca e Unioncamere Il Nord traina l’Italia, ma il fisco è penalizzante In Italia il 40% delle medie imprese si localizza nel Nord-Ovest, il 37% nel Nord-Est; Lombardia (30%), Veneto (18) ed Emilia-Romagna (14%) sono le regioni più popolose, mentre la presenza si dirada nel Sud e nelle Isole. È quanto emerge dal Rapporto sulle “Medie imprese in Europa” realizzato da Confindustria, R&S-Mediobanca e Unioncamere. Il report prende in esame anche le medie imprese tedesche e spagnole. Guardando a questi due Paesi, in Germania sono le regioni del Sud (38%) e dell’Ovest (36%) a segnare le concentrazioni maggiori; il Nordrhein-Westfalen a Ovest (26%) e il Baden-Württemberg a Sud (20%) sono le aree con la maggiore densità di medie imprese. Le regioni dell’Est della ex Repubblica democratica tedesca presentano, si legge nel report, “modeste tracce di medie imprese”, con appena il 13 per cento del totale. Quanto alla Spagna, il Nord/Nord- Est è il maggiore catalizzatore, attraendo il 50% delle aziende che sono localizzate principalmente in Catalogna (28%) e nei Paesi Baschi (12%). Un’altra significativa agglomerazione di medie imprese interessa Madrid (10%). Le medie imprese, spiega il Rapporto, “tendono quindi a insediarsi nelle zone economicamente più evolute dei Paesi europei”. In Italia il 66% delle medie imprese si colloca aree distrettuali, in Spagna il 41%. In Germania non esiste un sistema di distretti codificato. Per quanto riguarda il settore produttivo, la meccanica prevale in Germania (46,1% del totale), mentre l’Italia segna l’incidenza maggiore, fra i tre Paesi, nei beni per la persona e la casa (24,8%), pur mostrando anch’essa la preponderanza della meccanica (34,3%) sulle altre attività. Anche in Spagna il settore più rappresentativo è la meccanica (27%), ma assai importante è il ruolo del comparto alimentare (24,2%) che mostra il maggiore sviluppo tra i tre Paesi considerati. Lo stile italiano (o “made in Italy”) rappresenta il 62% delle vendite delle nostre medie imprese. Quanto al valore aggiunto, che misura la ricchezza prodotta, il contributo delle attività meccaniche è ancora più evidente, raggiungendo il 52% in Germania, il 40% in Italia e il 29% in Spagna ove si registrano gli apporti rilevanti dei beni per la persona e la casa (20%) e dell’alimentare (18%). Si tratta di due settori importanti anche in Italia, con un’incidenza prossima al 35%, mentre essi contribuisco per meno del 20% in Germania. La fascia alta e medio-alta della tecnologia rappresenta il 43% circa del fatturato delle medie imprese tedesche; le italiane esprimono, sotto questo profilo, un contenuto lievemente superiore alle spagnole (30% contro 27%) ma comparabile, stante il similare assortimento settoriale. L’analisi dei dati economici conferma che la media dimensione rappresenta una fascia di grande efficienza della manifattura: le imprese tedesche primeggiano per produttività (valore aggiunto netto per addetto pari a 59.600 euro, contro 52.200 euro per l’Italia e 47.600 euro per la Spagna), quelle italiane e spagnole per profittabilità (margine operativo netto sul valore aggiunto pari al 24% in Spagna, 23% in Italia e 20% in Germania). Il costo del lavoro pro-capite più elevato è in Germania (46.700 euro per addetto, contro 37.700 euro in Italia e 33.800 euro in Spagna). Il trattamento fiscale è omogeneo in Spagna e Germania (tax rate al 26% circa), penalizzante in Italia (48%). “Le medie imprese – spiega il rapporto realizzato da Confindustria, R&S-Mediobanca e Unioncamere mostrano una struttura finanziaria robusta, con mezzi propri che eccedono gli immobilizzi e un attivo corrente netto superiore ai debiti finan- ziari a breve termine. Si tratta di un assetto che conferisce a queste imprese un grado di resistenza alla crisi superiore a quello delle imprese di maggiori dimensioni”. Il rapporto con la Borsa è marginale. Solo in Germania si conta una certa numerosità, con circa 100 medie imprese quotate, pari a circa il 7% di tutte le medie imprese e al 16% di tutte le società quotate. In Italia e Spagna le consistenze sono trascurabili: 30 imprese sommando i due Paesi. La rappresentatività in termini di capitalizzazione è ovunque trascurabile. Dal 2004 solo in Germania l’indice di Borsa delle medie imprese è risultato migliore di quello del mercato nel suo insieme, mentre in Italia e Spagna l’evoluzione è stata sfavorevole. IL METEO In mattinata locali rovesci sulle coste Tirreniche centro meridionali, Alpi nord orientali e Sardegna occidentale, da poco nuvoloso a parzialmente nuvoloso altrove. Nel pomeriggio precipitazioni sparse sui settori Tirrenici centro meridionali e Sardegna occidentale, occasionali sui rilievi nord Alpini centro orientali, variabile altrove. In serata precipitazioni diffuse anche a tratti moderate su Lazio, Umbria e Campania, locali sul resto dei settori tirrenici centro meridionali e Sardegna occidentale, occasionali precipitazioni su Emilia centro orientale, Romagna, basso Veneto e Liguria orientale, variabile altrove. Previsioni meteo di Dominique Citrigno per SPAZIOMETEO - Meteo Webcam CULTURA SPETTACOLI Giovedì 2 dicembre 2010 6 La letteratura croata protagonista al Festival della traduzione di Napoli Un universo poco conosciuto Al Piccolo Eliseo con “La bottega del caffè” L’evento “Tradurre (in) Europa” festival a Napoli - ha rappresentato una grande occasione per incontrare personaggi e protagonisti di quelle letterature minori, definite così perché espressioni culturali di lingue parlate solo nei Paesi di appartenenza, o perché troppo poco studiate in Italia. Una di queste letterature è quella croata che, pur offrendo all’Europa e al mondo autori ed intellettuali di rilievo, trova poco spazio nella società globale. Il Festival della traduzione ha ospitato due “eventi croati” di grande interesse, che hanno visto una notevole partecipazione del pubblico formato da studenti e cittadini comuni, curiosi di conoscere almeno qualche aspetto di un’affascinante letteratura. I due eventi sono stati un perfetto connubio di classico e contemporaneo, di opera drammatica e narrativa. Lo scorso 25 novembre, presso la sede di via Duomo dell’Università degli studi di Napoli “L’Orientale”, per “La traduzione di un classico. Dalla Croazia. L’Avaro di Marino Darsa”, le docenti di Lingua e Letteratura serba e croata, Rosanna Morabito e Suzana Glavas, hanno proposto un capolavoro del rinascimento croato, “L’Avaro” di Marin Drzi (Marino Darsa), tradotto a quattro mani in italiano per la prima volta nella storia della fortuna di questo autore in Italia. Personaggio poliedrico, commediografo, poeta e scrittore Raguseo del 1500, Marin Drzi (Marino Darsa) è un autore spesso trascurato, dimenticato, eppure in patria considerato pietra miliare della letteratura croata. Originario della Ragusa di Dalmazia, condusse una vita intensa e sregolata, caratterizzata da fughe e da ritorni nella sua amata e contestata terra, viaggiò molto, visse e studiò diritto canonico in Italia a Siena, città in cui ricoprì la carica di vicerettore dell’Università e di rettore della casa dello studente, morto e sepolto a Venezia. Le sue opere teatrali, scritte tutte nella lingua stokava-ijekava di Ragusa, ambientate a Ragusa e Roma, lo portarono ad utilizzare latino, italiano e tedesco. “Skup” (“L’Avaro”) del 1555 è la seconda delle sue opere tradotte a tutt’oggi in italiano. La prima traduzione della commedia “Dundo Maroje” (“Lo zio Maroje”) del 1550 è opera della compianta ex titolare di cattedra di serbocroato de “L’Orientale”, Liliana Missoni. “L’Avaro”, tradotto da Rosanna Morabito e Suzana Glavas, è stato proposto dalle docenti come esempio di traduzione letteraria o filologica, in un accordo di competenze e creatività che le ha portate a realizzare una traduzione accurata anche nell’onomastica; ne è un esempio la traduzione ingegnosa dei nomi propri dei protagonisti quali Ribollita, Sgorbia, Sventato che ne rispecchiano i tratti caratteriali distintivi. A coordinare l’evento si è prestata la celebre regista di teatro Laura Angiulli, mentre gli studenti di serbocroatistica hanno dato un apporto sentito con la lettura dei brani dell’opera. Tra le opere di Darsa, “Skup” (“L’Avaro”) è forse quella che maggiormente ha interessato critici e filologi della slavistica internazionale per la sua grande forza comica, che Coprodotta dallo Stabile di Genova e dalla Compagnia Gank, fondata e diretta da un gruppo di attori formatisi alla scuola dello Stabile, è andata in scena al Piccolo Eliseo di Roma “La bottega del caffè”. Con la scrupolosa e colta regia di Antonio Zavatteri, sono stati in palcoscenico nove interpreti: Alberto Giusta (Ridolfo, caffettiere), Filippo Dini (Don Marzio, gentiluomo napoletano), Aldo Ottobrino (Eugenio, mercante), Alex Sassatelli (Flaminio, sottonome di conte Leandro), Alessia Giuliani (Placida, moglie di Flaminio, in abito di pellegrina), Lisa Galantini (Vittoria, moglie di Eugenio), Mariella Speranza (Lisaura, ballerina), Massimo Brizi (Pandolfo, biscazziere), Maurizio Lastrico (Trappola, garzone di Ridolfo). Le scene e i costumi sono di Laura Benzi; le luci di Sandro Sussi; la promozione è di Paolo Zanchin. “La bottega del caffè” è una delle più celebri opere di Carlo Goldoni, scritta nel 1750, sviluppando un tema già esposto in precedenza come intermezzo musicato e che ebbe già allora un così grande successo da meritarsi un ampliamento a commedia in tre atti. Il commediografo veneziano disegna qui una piazzetta, dove fa vivere tre botteghe: quella di mezzo ad uso di caffè; quella alla diritta, di parrucchiere e barbiere; quella alla sinistra ad uso di giuoco, o sia di biscazza. Nella piazzetta, o più esattamente nel campiello, si alternano personaggi dai più diversificati caratteri. L’autore, a tale proposito, in una nota delle sue memorie, spiega che sul loro comportarsi, più che sull’unità d’azione, punta tutta la vicenda. Attraverso i vizi e le virtù di ciascuno, insomma, viene riecheggiata la realtà del tempo. Antonio Zavatteri commenta che, con questa sua regia, rifugge le forme stereotipate della commedia settecentesca, tenendo comunque conto dell’imprescindibile arte e leggerezza goldoniana. “La messa in scena - aggiunge - tende soprattutto a una ricerca di forme poco legate all’idea di teatro (cosiddetto) di regia e che spende grande attenzione nei confronti dell’accadimento, del ‘gioco attoriale’ e di una relazione viva tra gli interpreti”. C’è da aggiungere, da parte nostra, che la morale de “La bottega del caffè” non è una morale generica, ovvero quella del linguacciuto e perfido che alla fine ha la peggio ad opera del buono ed onesto. Niente affatto: è una morale storica, è il trionfo delle virtù di un ceto che stava a cuore a Goldoni e di cui egli intuiva l’immancabile e non lontano successo. È facile o è naturale parlare dell’etica borghese su cui si fondarono le fortune di quella classe, è facile parlarne dopo che il ciclo dello stesso ceto si è svolto e compiuto; ma è quasi miracoloso riassumerne i termini essenziali col tono di dignità, di fiducia e sottosotto perfino di sfida che hanno le parole messe in bocca a Ridolfo, in un tempo in cui i nobili ancora bastonavano quelli che non lo erano. “Io mi contento di quel che il cielo mi concede - egli dice - e non scambierei il mio stato con tanti altri che hanno più apparenza e meno sostanza”. Così la pensa il caffettiere galantuomo, che fa da antagonista al gentiluomo napoletano, don Marzio, mezzo spiantato, vanitoso e superbo, furioso e maligno e che alla fine si prende le beffe di tutti. Renato Ribaud dopo oltre cinquecento anni è molto attuale e mette in mostra quelle situazioni sociali che erano causa di molte contraddizioni dell’antica Repubblica marinara dell’Est adriatico del tempo. Il protagonista, l’Avaro, è rappresentante emblematico di una società chiusa, difficile, che emargina. I critici del teatro concordano sul fatto che Darsa avrebbe meritato maggiore considerazione anche perché sono rinvenibili varie riflessioni che circa un secolo dopo troveremo in Shakespeare e Molière. Un capolavoro della letteratura croata contemporanea, “Rebecca nel profondo dell’anima” di Jasminka Domas, è stato invece presentato al Festival dalla traduttrice Suzana Glavas, in occasione dell’incontro Terre Emerse (a Est), tenutosi lo scorso 27 novembre presso il Palazzo Du Mesnil, sede del Rettorato de “L’Orientale”. Una traduzione eseguita con amore e passione, trasporto e compenetrazione, come dichiarato dalla traduttrice (“ritrovo in esso tratti biografici che accomunano le vicende dei protagonisti a quelle della mia famiglia”). “Rebecca nel profondo dell’anima” è un romanzo in ventinove capitoli che affronta il tema dell’Olocausto a Zagabria con una prosa poetica che assurge a messaggio di una “volontà di resistere” ispirata dalla fede. La giovane violoncellista, Rebecca Levi, depone tutto quello a cui sopravvive in un baule, con la speranza di poter superare il trauma dell’eccidio della sua famiglia da parte dei fascisti croati a ridosso del 1941. Rebecca si salva grazie all’aiuto di un’amica cattolica che le offre rifugio per quattro anni in una soffitta, luogo in cui dialoga col dolore muto del suo violoncello. La scrittura plasma un solenne silenzio, un percorso dell’anima e nei sentimenti, difficilmente esprimibili a parole. Una magnifica simbologia è sintetizzata nella cabalistica compiutezza della stella di David. Le relazioni di affetto taciuto ma svelato, Rebecca e Jelena, Rebecca e i suoi cari, persi per sempre; Rebecca e la città in guerra, la paura e l’orrore, il senso di sconforto, l’inferno della Shoah e una Zagabria “con la sua anima mitteleuropea, luogo dell’anima”. Rebecca e il violoncello, il suo alter ego, il suo mezzo per dimenticare, per ritrovare il proprio cammino ed aprirsi di nuovo agli affetti, alla luce di zaffiro degli occhi di Luca Sonnenshein. La Glavas da grande traduttrice conserva le vibrazioni dell’opera, la musicalità e l’armonia delle parole, senza smarrire le suggestioni volute e ricercate dall’autrice. Rebecca è a sua volta l’alter ego della Domas, ma anche il nostro: nel confronto con la morte, nella perdita di persone care, nella ricerca di un bene prezioso difficile da raggiungere, per superare il silenzio che a volte urla troppo forte. Ad arricchire la bellezza e l’emozionante incontro con la letteratura croata di minoranza ebraica c’è stato il piacevole intervento di Luca Signorini, il primo violoncello dell’Orchestra del Teatro San Carlo. Maria Teresa Iervolino “COSE TURCHE” NEL RACCONTO DEI VIAGGIATORI ITALIANI Oggi, alle ore 18, presso lo spazio espositivo dell’Ufficio cultura e informazioni dell’Ambasciata di Turchia a Roma in Piazza della Repubblica 55-56, verrà inaugurata la mostra “Cose Turche. Racconti dei viaggiatori italiani tra XVI e XX secolo”, a cura di Nadia Fusco e Marco Maggioli, realizzata dalla Società geografica italiana e da Federculture nell’ambito della III edizione del Festival della letteratura di viaggio, in collaborazione con Cts (Centro turistico studentesco e giovanile) e con Ipazia Preveggenza Tecnologica. La mostra ripercorre gli itinerari descritti nei resoconti di viaggio, memorie, testimonianze di viaggiatori italiani in Turchia dal XVI al XX secolo: commercianti, intellettuali, ambasciatori, militari. Ciascun racconto è frutto di una grammatica personale, legato alle ragioni individuali che hanno guidato e Registrazione Tribunale di Roma n. 599 del 29/11/1996 DIRETTORE RESPONSABILE VALTER LAVITOLA REDAZIONE DI ROMA Via del Corso, 117 - 00186 Roma Telefono: 06/6790038 - Fax 06/69782296 www.avanti.it e-mail: [email protected] motivato il viaggio: curiosità, politica, interesse economico o culturale. In mostra volumi originali, carte geografiche, fotografie e cartoline storiche provenienti dalla Cartoteca, dagli Archivi e dalla Biblioteca della Società geografica italiana. Una parte dei materiali espositivi sono anche contenuti nel volume “Delle cose dè Turchi. La Turchia nei racconti dei viaggiatori italiani (XVI -XX secolo)”, curato da Nadia Fusco e realizzato dalla Società geografica italiana e dal Centro turistico studentesco e giovanile. Le pagine scelte dai resoconti di viaggio sono tratte da: Benedetto Ramberti (XVI secolo), Giovanni Antonio Menavino (XVI secolo), Giuseppe Rosaccio (XVI secolo), Pietro Della Valle (XVII secolo), Giovan Battista Donado (XVII secolo), Giovanni Francesco Gemelli Careri (XVII secolo), Giuseppe Sorio (XVIII secolo), Dome- nico Sestini (XVIII secolo), Lazzaro Spallanzani (XVIII secolo), Giambattista Casti (XVIII secolo), Carlo Mantegazza (XVIII secolo), Edmondo De Amicis (XIX secolo), Lamberto Vannutelli (XX secolo). Per molto tempo i resoconti di viaggio e la letteratura odeporica sono stati lo strumento privilegiato per il processo di costruzione della cultura mediterranea e per la diffusione della conoscenza. Oltre ai francesi e ai britannici, anche gli italiani hanno attivamente partecipato allo sviluppo di un importante canale di comunicazione con la Turchia e particolarmente interessanti risultano essere i loro racconti. Scorrendo le pagine delle memorie di questi testimoni privilegiati si coglie l’eco delle vicende storiche che hanno contribuito prepotentemente a plasmare l’immagine della Turchia, del suo popolo, della sua cultura e della sua coscienza collettiva. EDITRICE International Press p.s.c.ar.l. Via del Corso, 117 - 00186 Roma c/c postale 23673809 Iscritta al Registro Nazionale della Stampa al n. 4988 del 20/XI/96 STAMPA Athena S.r.l. “Impresa beneficiaria, per questa testata, dei contributi di cui alla legge n. 250/90 e successive modifiche ed integrazioni” CONCESSIONARIA PUBBLICITÀ Poster pubblicità & Pubbliche relazioni S.r.l. Roma - Tel. 06/68896911 Via Castro Pretorio, 30 - 00185 Roma c/o New Poligraf Rome Via della Mola Saracena, snc - 00065 Fiano Romano DISTRIBUZIONE S.E.R. SRL Via Domenico De Roberto, 44 - 80143 Napoli edizione chiusa alle ore 23,45 CULTURA Giovedì 2 dicembre 2010 SPETTACOLI 7 Lo scultore che ha espresso la sua visione della vita e della morte in una travagliata produzione artistica Il 22 settembre 1997 moriva nel suo rifugio di Gozzano, immerso nel verde della Lusignana, lo scultore Peppino Sacchi. Oggi la figlia Norma, che ispirò alcuni dei suoi capolavori, ha donato al Comune di Gozzano quaranta delle sue sculture, realizzate prevalentemente in gesso a grandezza naturale. La straordinaria collezione è destinata, nella intenzioni dell’assessore alla Cultura Maria Luisa Gregori, a costituire una gipsoteca che potrebbe aver sede nell’ampia serra ristrutturata sulla via per Arona. Peppino Sacchi (Gozzano 19101997) ha espresso la sua visione della vita e della morte in una travagliata produzione artistica che non esita a sperimentare linguaggi diversi, dal verismo al romanticismo, dal classicismo all’espressionismo, senza mai tradire la sua poetica, fondata su un sentimento sacro dell’esistenza. Sacchi assurge ad emblema di un’intima connessione tra l’arte e la vita, non nel senso dannunziano, estetizzante ed estenuato, ma nel senso tragico e possente che la barbarie nazifascista ha impresso nella sua mente, quando, membro del Comitato di liberazione, fu preso in ostaggio dai famigerati “tupin”. La vicenda biografica dell’artista gozzanese è utile a comprendere le ragioni del suo stile. Nato il 13 febbraio 1910, frequentò il collegio d’arte Bellini di Novara, dove il severo professor Furhmann riconobbe il suo talento. Nella stessa Novara frequentò la soffitta di Edmondo Poletti, pittore e scultore di formazione verista, che rappresentò le miserie del mondo contadino secondo gli ideali del “socialismo umanitario” (è nota la sua Mondina in Piazza Garibaldi a Novara). Nel circolo polettiano, frequentato anche da Riccardo Mella e da Giuseppe Ajmone, Sacchi poté cono- PEPPINO SACCHI, POETICA SUL SENTIMENTO DELL’ESISTENZA scere gli esiti locali del tardo romanticismo, in particolare il pittoricismo dell’arte lombarda di derivazione scapigliata. Quella tendenza al non-finito, quel senso d’inquietudine, quelle superfici ruvide che esaltano gli effetti luministici, sono alcuni degli elementi che il giovane Sacchi poté assimilare dal circolo di Via Pier Lombardo. Ammesso nel 1928 all’Accademia di Brera, Sacchi frequentò i corsi di scultura di Vitaliano Marchini, il quale proponeva un linguaggio molto lontano dal verismo polettiano. La scultura milanese, infatti, aveva preso le distanze dal verismo e dal romanticismo di fine Ottocento, per accogliere ARCIPELAGOLIBRI nuove istanze europee: nella Vienna della Secessione, nella Parigi di Brancusi e Archipenko, nella Berlino di Breuer e Belling si era affermata quella tendenza al geometrismo, alla sintesi plastica e volumetrica di cui Adolfo Wildt, seguito da Marchini, si era fatto portavoce all’Accademia di Brera. Scultori come Giacomo Manzù e Marino Marini accolsero le nuove istanze, mentre Sacchi rimase fedele alla tradizione, rinunziando così a una possibile inclusione nei manuali di storia dell’arte del Novecento. Il suo stile, però, incontrò i favori dell’ambiente ecclesiastico, tanto legato alla tradizione, quanto cauto e di Alberto Toni La passione di “Emily e le Altre” “Emily e le Altre”, di Gabriella Sica, con 56 poesie di Emily Dickinson (Cooper, 190 pagine, 12 euro), è un libro di passione e di ricognizione sul campo, un libro che, partendo da un centro di aggregazione si irradia, avanti e indietro nel tempo. Un libro di relazioni: al centro, Emily Dickinson e con lei Charlotte ed Emily Bronte, Elizabeth Barrett Browning, Elizabeth Bishop, Sylvia Plath, Margherita Guidacci, Cristina Campo, Nadia Campana e Amelia Rosselli. Sette presenze, con la Plath, che entra nel discorso “di soppiatto e di forza”, ma non certo con minore energia propulsiva, per un “libro-polittico” che testimonia la forza della parola poetica, della vita, in una fitta trama di relazioni: “Brilla una luccicante catena d’oro formata da precursori e successori, dai luminosi anelli legati tra loro”. “Emily e le Altre”, con la maiuscola, a testimoniare sì un rapporto, ma anche a sottolineare un’identità forte per ciascuna. Il legame è dato dal rapporto con la Dickinson, donne che l’hanno tradotta o donne a cui la Dickinson si è riferita. E per ciascuna un gruppo di poesie, che la Sica ha tradotto, ma che ha anche con sapienza calibrato per rapportarle alle singole personalità. Se vogliamo, il libro altro non è che una dichiarazione di poetica: “Non sono educate le poesie delle donne, sono come predoni che si nascondono per assalire il viandante”. Cinquantasei poesie tradotte, “come candele accese per festeggiare i 56 anni della vita di Emily”. Ma anche un’antologia personale di consonanza, “di sole donne madri di poesia e madri di se stesse”. Ogni donna, a inizio capitolo, è invocata con una serie di appellativi, quasi a dichiararne nell’appello le caratteristiche inconfondibili. La Sica vibra con loro nelle pagine: la scrittura critica traccia i contorni, segue i sussulti delle biografie, ma penetra nello spirito e nel cuore stresso della poesia. Due secoli attraversati con un’energia che è soprattutto fatica dell’Altro “che riscrive”, si riverbera nel presente, “con la croce stretta alle spalle”. diffidente verso la modernità. Proprio nella scultura ecclesiastica e cimiteriale, Sacchi ha realizzato alcuni dei suoi capolavori, come il monumento funerario al padre Giuseppe Picco, nel cimitero di Gozzano; la Fonte della Vita e l’Angelo orante, oggi donati al Comune di Gozzano. In queste opere si avverte un’altra componente del linguaggio di Sacchi: quel simbolismo idealizzante, venato di suggestioni preraffaellite, che discende dai maestri di fine Ottocento come Odoardo Tabacchi e Leonardo Bistolfi, animati da un’accesa spiritualità e da una forte carica visionaria. L’Angelo di Sacchi si colloca, appunto, a metà strada tra quelli disegnati da Edward Burne Jones per la chiesa romana di San Paolo dentro le Mura, e quelli scolpiti da Leonardo Bistolfi per il monumento ai caduti di Casale Monferrato. Non sempre, però, le sculture funerarie di Sacchi rispondono ai canoni del simbolismo: Lo scalpellino di Gozzano, ad esempio, è una figura rude e possente, con i muscoli tesi e contratti per lo sforzo fisico, memore dei nudi di Michelangelo e Rodin. Il ricordo di Michelangelo è ancora più evidente nei Lottatori, in lotta contro se stessi e contro la materia di cui sono prigionieri, come le celebri sculture destinate al monumento di Giulio II. In proposito, va osservato che l’esempio di Rodin alimentò un filone neomichelangiolesco che ebbe largo seguito in Italia, soprattutto nel campo dei monumenti ai caduti o alla patria. La scultura di Sacchi subisce una significativa evoluzione a partire dagli anni Settanta, quando accentua la drammaticità dei corpi, dalle membra contorte in un estremo spasimo di dolore: volti scarniti, straziati, emaciati, che urlano il proprio dolore e implorano aiuto contro il male che hanno subito. In queste opere (La deportata, Terzo mondo, Orrore, Violenza, etc.) affiorano atroci ricordi di guerra, ridestati dagli eventi di cronaca attuale, che inducono l’artista a meditare sugli orrori commessi dall’umanità e sulle possibilità di redenzione offerte dalla fede. L’istituenda gipsoteca dedicata a Sacchi è il culmine di un percorso di storicizzazione dell’artista, iniziato con la pubblicazione di un volume monografico, nel 2004, e proseguito con la mostra organizzata nel 2010, presso la Sala degli Stemmi del Comune di Gozzano. Marco di Mauro Il lunario di Miss Italia 2011 Non più un semplice calendario quello realizzato per il 2011 da Miss Italia, ma un lunario. La tradizione del lunario ha oltre cinquecento anni di vita. Il primo esemplare in forma di libretto, è stato infatti realizzato a Genova nel 1473. Esso esprime da sempre la circolarità del tempo: il girotondo del giorno e della notte, la danza del sole e della luna, la processione delle stagioni e l’eterno ritorno della vita, dall’infanzia alla rinascita. Negli scatti fotografici di Bob Krieger, Francesca Testasecca, Miss Italia 2010 smette di essere donna di calendario per diventare un’opera d’arte. Francesca indossa la corona turrita, realizzata da Miluna, per i 150 anni dell’Unità d’Italia, avvolta in manti bianchi e neri. Uno sfondo dorato fa da cornice alla sua bellezza e su di esso sono rappresentati i 12 segni zodiacali con continui richiami al tricolore. “Il lunario di Miss Italia - ha spiegato Krieger nel corso di un incontro con la stampa svoltosi presso i musei capitolini ha una chiave di lettura che ognuno può interpretare secondo la propria sensibilità. Su ogni pagina sono evocate le fasi lunari e il transito della luna nello zodiaco nel corso del mese”. Nel presentare il lunario, Patrizia Mirigliani ha detto che il 2011 rappresenta un anno speciale anche per Miss Italia: l’anniversario dei 150 anni dell’Unità ha un grande valore per il nostro Paese e il concorso se ne sente interprete e rappresentante. Le foto rielaborate artisticamente da Krieger attraverso una tecnica originale, che lo ha reso celebre, si trasformano in un’autentica opera d’arte. A conferma di ciò - ha reso noto Patrizia Mirigliani - alcune delle opere originali riprodotte nel lunario sono esposte nella Galleria d’arte contemporanea italiana “Imago” di Londra. Il lunario non è in vendita, ma è a disposizione del pubblico sul sito di Miss Italia. Nel presenziare all’incontro stampa, il vicesindaco di Roma, Mauro Cutrufo, dopo aver manifestato il suo apprezzamento per l’iniziativa che coniuga significativamente arte e bellezza, ha candidato la Capitale a poter degnamente accogliere le prossime selezioni del concorso di Miss Italia nel mondo. Nicola Squitieri Fa t t i ogni giorno in edicola chiedi il tuo quotidiano socialista