anno XVII - Numero 56 - 21 luglio 2011 L’intervista L’allestimento spiegato dal regista Arnaud Bernard A Pag. 2 La Storia dell’Opera Scelta con qualche perplessità e divenuta simbolo di Puccini A Pag. 6e7 Tre monete per Tosca Riferimenti storici e quell’aureo che porta il nome di Marengo A Pag. 8e9 Le Terme di Caracalla Piccola guida per capire il monumento simbolo del III Sec. A Pag. 12 Curiosità I tanti disastri che hanno accompagnato le infinite repliche dell’opera A Pag. 13 Tosca di Giacomo Puccini Tosca 2 Il Giornale dei Grandi Eventi L’allestimento spiegato dal regista Arnaud Bernard Tosca si muove su un set cinematografico R oma è la città dell’arte, dei monumenti, ma anche del cinema. Questo sicuramente ha ispirato il francese 45enne Arnaud Bernard per la regia di questa Tosca in un contesto impareggiabile come le Terme di Caracalla. Ed infatti in questo nuovo allestimento tutto lo spettacolo si svolge in un set cinematografico. «Il palcoscenico è concepito come un luogo nel quale sono in corso le riprese di un film su Tosca», ci spiega Bernard, che continua: «Abbiamo dei focus diversi sulle diverse ambientazioni dei tre atti, la chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel Sant’Angelo, ma la particolarità è che intorno ai personaggi vedremo tutto quel movimento di persone ed attrezzature che si crea su un set, dalle cineprese ai ciak, dagli attrezzisti agli elettricisti, dai dolly ai carrelli. Tutto è a vista, al pari del doppio mondo dell’attore che prima aspetta dietro le quinte leggendo magari la Gazzetta dello Sport e poi entra in scena e diventa personaggio». Bernard non ha pretese di rileggere l’opera pucciniana, di fornirne interpretazioni, «perché la Tosca è di Puccini e non mia». La scenografia è volutamente sobria. «Ho voluto un impian- to leggero per non interferire in questo bellissimo ambiente. Qui, come all’arena di Verona, bisogna coprire pochissimo, per lasciare parlare la monumentalità delle architetture alle spalle: Scarpia nell’opera è stretto tra quat- tro mura, mentre qui ne bastano due, come nei set reali dove non si ricostruisce tutta la stanza; per Sant’Andrea della Valle basta l’altare e l’impalcatura, il resto è aria, spazio, profondità». Meno male diciamo noi – e con noi molti altri - dopo la Trilogia di Respighi che il 2 luglio ha aperto questa stagione estiva, dove le video installazioni del regista Carles Padrissa con i mimi della Fura dels Baus (gruppo catalano che già curò al Costanzi le scene del discusso Le Grand Macabre a giugno del 2009) per quel loro essere ricche d’effetti video, di significati reconditi, è sembrata un po’ troppo invadente, co- Il G iornale dei G randi Eventi Direttore responsabile Andrea Marini Direzione Redazione ed Amministrazione Via Courmayeur, 79 - 00135 Roma e-mail: [email protected] Editore A. M. Stampa Tipografica Renzo Palozzi Via Vecchia di Grottaferrata, 4 - 00047 Marino (Roma) Registrazione al Tribunale di Roma n. 277 del 31-5-1995 © Tutto il contenuto del Giornale è coperto da diritto d’autore Le fotografie sono realizzate in digitale con fotocamera Kodak Easyshare V705 Visitate il nostro sito internet www.giornalegrandieventi.it dove potrete leggere e scaricare i numeri del giornale prendo fisicamente le rovine con lo schermo e distraendo lo spettatore dalla musica, che in un concerto - qual esso era - dovrebbe essere protagonista. La cartina di tornasole è stato, sullo stesso palcoscenico due giorni dopo, il bel concerto di Fiorella Mannoia, dove unica scena erano i timidi giochi di luce in mezzo alle rovine, poderose e semplici sullo sfondo. Tornando alla Tosca, Bernard è alla prima esperienza di lavoro sia in questo spazio, che nel cimentarsi con tale titolo pucciniano. «A Caracalla ero venuto da semplice spettatore a vedere degli spettacoli, mentre con Tosca è la prima volta che mi cimento con una regia tutta mia, anche se è un titolo che ho seguito varie volte come aiuto regista nei miei 21 anni di professione». Così il regista desidera sottolineare l’aspetto “verista” del proprio allestimento, che si rifà poi al verismo ricercato in tanti particolari dallo stesso Puccini. «Vorrei che gli attori accentuassero al massimo la differenza tra la recitazione naturale del “fuori scena” con quella più carica, più gestuale di quando sono “personaggio”. Qui si vede tutto, dai professori d’orchestra che suonano fuori buca e fuori scena per il colpo di cannone, il tamburo o le campane, fino alla tortura di Cavaradossi, la quale diviene una sequenza in parallelo a ciò che si svolge nell’ufficio di Scarpia. Un qualcosa questo che non si vede normalmente, ma che qui è mimato, appare in quel corridoio parallelo che è il dietro le quinte. Durante questa fase si vedono anche i truccatori i quali tra le grida del tenore lo sporcano di finto sangue prima che entri in scena per essere presentato a Scarpia e Tosca». andrea Marini stagione Estiva alle Terme di caracalla 23 luglio 2011 Gala RobERTo bollE aNd FRIENds (Balletto) Direttore Regia Scene Asher Fisch Arnoud Bernard Carlo Savi 2 - 9 agosto 2011 aIda di Giuseppe Verdi Asher Fisch Direttore Interpreti Hui He, Walter Fraccaro, Giovanna Casolla Stagione 2010-2011 al Teatro Costanzi 30 settembre – 8 ottobre 2011 ElEkTRa di Richard Strauss Fabio Luisi Direttore Interpreti Felicity Palmer, Eva Johansson, Melanie Diener ~~ La Locandina ~ ~ Terme di Caracalla - 21 luglio, 10 agosto 2011 TOSCA Opera in tre atti Libretto di Luigi Illica e Giuseppe Giacosa tratto dal dramma omonimo di Victorien Sardou Musica di Giacomo Puccini Prima rappresentazione: Roma, Teatro Costanzi, 14 gennaio 1900 Direttore Maestro del Coro Regia Scene e Costumi Disegno luci Asher Fisch Roberto Gabbiani Arnaud Bernard Carlo Savi Agostino Angelini Personaggi / Interpreti Floria Tosca Mario Cavaradossi Barone Scarpia Angelotti Sagrestano Spoletta Csilla Boross 21, 28/7, 5/8 / Nadia Vezzù 24/7, 3, 10/8 Thiago Arancam 21, 24, 28/7 / Kamen Chanev 3, 5, 10/8 Carlo Guelfi 21, 28/7, 5/8 / Claudio Otelli 24/7, 3, 10/8 Alessandro Spina 21, 24, 28/7, 3/8/ Paolo Battaglia 5,10/8 Giorgio Gatti Mario Bolognesi Coro di voci bianche del Teatro dell’Opera di Roma diretto dal M° Isabella Giorcelli ORCHESTRA E CORO DEL TEATRO DELL’OPERA Nuovo Allestimento del Teatro dell’Opera ~ ~ La Copertina ~ ~ adolf Hohenstein - "Bozzetto della scenografia del Terzo atto” per la prima rappresentazione di Tosca al Teatro Costanzi di Roma il 14 gennaio 1900". Il Tosca Giornale dei Grandi Eventi N on cerca complicati effetti speciali, proiezioni che distraggono lo spettatore, questa Tosca a Caracalla con il nuovo allestimento del regista francese Arnaud Bernard. In tempi di forzati risparmi ha puntato sul minimalismo d’effetto, sull’idea di presentare l’opera come se si assista alle riprese di un film sull’eroina pucciniana. Elementi semplici ma incisivi, capaci di divenire protagonisti davanti alla maestosità delle rovine classiche, le quali rimangono sfondo d’eccezione, marchio da non celare di una stagione estiva d’opera senza pari come ambientazione. Tutto sarà a vista, e si punta su questo per giocare proprio sul contrasto tra il personaggio in scena e quello che dietro le quinte, come sul set, attende in maniera disinvolta il suo turno. A dirigere, davanti alla platea che quest’anno è stata portata ad una capienza di 3500 posti, sarà il mae- stro Asher Fisch cui sono stati affidati i due titoli d’opera (Tosca, appunto ed Aida) ed il balletto del Galà Roberto Bolle and Friends. Nel cast con Csilla Boross (secondo cast Nadia Vezzù) come Tosca, Thiago Arancam (Kamen Chanev) nei panni di Cavaradossi, spicca il qualitativo 3 Le Repliche giovedì 21 luglio, h. 21.00 domenica 24 luglio, h. 21.00 giovedì 28 luglio, h. 21.00 mercoledì 3 agosto, h. 21.00 venerdì 5 agosto, h. 21.00 mercoledì 10 agosto, h. 21.00 baritono Carlo Guelfi (Claudio Otelli), ormai esperto del ruolo di un convincente Scarpia. Una Tosca tutta “a vista” È il pomeriggio del 17 giugno 1800. L’opera inizia senza un’overture mentre l’ex console della repubblica romana ormai caduta, Cesare Angelotti (basso), con l’aiuto della sorella, la Marchesa Attavanti, si rifugia nella Chiesa di Sant’Andrea della Valle. Qui si trova il pittore Mario Cavaradossi (tenore) intento a dipingere una delle cappelle. Colto dalla bellezza della Attavanti egli decide di ritrarla furtivamente. Angelotti e Mario, vecchi amici stanno parlando quando vengono interrotti da Floria Tosca (soprano) la bella cantante amica di Mario. Angelotti è costretto a nascondersi e ad assistere Tosca che fa una scena di gelosia a Mario, per aver riconosciuto nei liniamenti della Maddalena l’ Attavanti. Sopraggiunge il barone Vitellio Scarpia (baritono), capo della polizia, in cerca di Angelotti. Egli persuaso della complicità di Mario (che gli è anche rivale nell’amore per la cantante), cerca di ingelosire Tosca mostrandole un ventaglio con lo stemma della Attavanti trovato vicino ai colori di Cavaradossi e la fa pedinare dal gendarme Spoletta (tenore), dandogli successivo appuntamento a Palazzo Farnese. Scarpia assiste al “Te Deum” di ringraziamento per festeggiare la notizia della presunta vittoria austriaca di Marengo. portato al cospetto del capo della polizia per essere interrogato e quindi sottoposto inutilmente a tortura per conoscere il nascondiglio di Angelotti. Le urla di Cavaradossi portano Tosca a rivelare il rifugio dell’ex console. Giunge il gendarme Sciarrone informando che a Marengo Napoleone non è stato sconfitto ma al contrario ha vinto. Mario, che osteggia Tosca per aver parlato, viene comunque condannato a morte per alto tradimento, ma dopo la condanna grida a Scarpia tutta la sua gioia per la vera vittoria di Marengo. Tosca sulle insistenze di Scarpia decide di concedersi a lui per salvare la vita dell’amato. Scarpia finge di ordinare che i fucili del plotone di esecuzione siano caricati a salve, ma quando cerca di abbracciare Tosca, viene da lei ucciso con un coltello trovato sul tavolo. La Trama Terzo atto. L’alba sulla piattaforma di Castel S. Angelo è salutata dallo scampanio delle chiese di Roma. Cavaradossi in attesa di essere giustiziato decide di scrivere a Tosca un’ultima lettera per confermarle il suo amore. Tosca entra nella prigione per avvisare l’amato che la fucilazione sarà una finzione, esortandolo comunque a fingersi colpito. Dopo l’esecuzione Tosca si accorge che Cavaradossi è morto. La donna sfugge ai gendarmi che sono lì per arrestarla Il secondo atto si apre con una tavola imbandita di fronte avendo scoperto il cadavere di Scarpia e, lacerata dal dolore, ad una grande finestra sul cortile di Palazzo Farnese, dove si getta dai merli del Castello invocando la giustizia divina al Scarpia consuma un pasto. Cavaradossi è arrestato e subito grido: “O Scarpia, avanti a Dio!”. Con l’abbonamento filatelico, non rischi di perderti il meglio. Le condizioni generali di vendita in abbonamento di carte valori postali e prodotti filatelici sono disponibili su www.poste.it. 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Tenore la boross nata in Ungheria, inizia i suoi studi musicali all’Accalirico-spinto italiano-brasiliano, Thiago arancam ha iniziato gli studi alla Scuola Municipale di Musica di Sao Paulo, poi alla Musical Univer- demia Musicale Ferenc Liszt a Budapest. Nel 1998 ottiene una borsa di sity Carlos Gomes, dove nel 2003 si è diplomato in “Erudite Chant” e studio a Székesfehérvár e partecipa a master class con la direzione di Ileana Cotrubas e Renato Bruson. Dall’agosto 2008 prepara il suo repertorio con il Maestro Roccella. All’età di è solista e membro del Teatro Nazionale (Janácek soli 22 anni ha vinto il prestigioso Prêmio Revelação do V Theater) a Brno e già dal settembre 2002 era solista Concurso Internacional de Canto Erudito Bidu Sayão. E’ dell’Hungarian State Opera. Nella stagione stato invitato all’Accademia di perfezionamento per can2008/2009 ha cantato come Aida, Tosca, Violetta, tanti lirici della Scala di Milano, dove si è diplomato nel Donna Anna, Tatiana, Venere e Lady Macbeth. Si 2007. Ha debuttato in concerto alla Scala il 27 febbraio 2005. esibisce regolarmente in concerti ampliando coIn seguito ha continuato a cantare in molti concerti con arie stantemente il suo repertorio. Nella stagione 2009di diverse opere ed in alcune produzioni operistiche. Nel 2010 al Teatro Janacek ha preso parte alle produ2006 ha partecipato a concerti con l’Orchestra Sinfonica del zioni di Macbeth, Eugene Onegin, Madama Butterfly, Friuli Venezia Giulia. Nel 2007 ha debuttato nella prima Aida, Nabucco. Nel febbraio 2010 è stata Fiordiligi opera di Puccini, Le Villi, (Roberto). Nel 2008 ha partecipato in Così fan tutte al Nazionale di Praga ed al Maggio ad una tournée negli Emirati Arabi Uniti con l’orchestra de il suo debutto come Elettra nell’Idomeneo di MoLa Scala ed a due concerti con l’Orchestra Camerata Brasil. zart. Nel giugno 2010 ha cantato in Tosca allo SmeNel 2009 ha debuttato come Cavaradossi (Tosca) a Frantana Litomysil Festival nella Repubblica ceca. Nelcoforte. Nel 2011 ha cantato in Carmen a Mosca (Bolshoi), la stagione 2010-2011 molti i debutti italiani, tra Madama Butterfly a Washington diretta da Placido Domin- Thiago Arancam e Csilla Boross cui La traviata al Verdi di Trieste e Lady Macbeth go. Suoi prossimi ingaggi 2011: Tosca a Philadelphia, Berlino (Deutsche Oper) e Rio de Janeiro, Carmen a Sanxay e San Francisco e nel Macbeth al Comunale di Modena, di Piacenza e Bolzano. Si è esibita nel marzo scorso all’Opera di Roma nel ruolo di Abigaille nel Nabucodoun concerto a Dortmund. kamen chanev nella stagione 2007/2008 ha interpretato Un ballo in ma- nosor, diretta da Riccardo Muti. schera e Madama Butterfly alla Grazer Oper. Nella stagione 2008/2009 è Nadia Vezzù è nata a Padova dove si è diplomata in canto presso il Constato al Teatro del Giglio di Lucca, Manon Lescaut e Turandot al Nuovo servatorio C. Pollini. Ha seguito dei corsi di perfezionamento con il soTeatro Comunale di Bolzano e all’Opera Giocosa di Savona, Tosca alla prano Mietta Sighele e il tenore Veriano Luchetti a Riva del Garda. AtStaatsoper di Amburgo ed al Theater Dortmund-Opernhaus in Germa- tualmente si sta perfezionando con il soprano Mirella Freni presso il CUnia, Madama Butterfly alla Wiener Staatsoper. Nella stagione 2009/2010 BEC di Vignola (Modena). Dal 2001 ad oggi è vincitrice di numerosi conha cantato in Nabucco alla Wiener Staatsoper e Macbeth all’Opera Ire- corsi internazionali. Ha debuttato con l’AS.LI.CO il ruolo di Alice in Falland. Nel 2010 si è esibito in Don Carlo all’Oper Frankfurt; Turandot Bu- staff di Verdi nei teatri di Como, Brescia, Cremona, Bergamo, Venezia, cui charest National Opera. Il 2011 lo ha visto in Carmen all’Auditorium Ri- è seguito il ruolo di Tosca a Verona, Giorgetta ne Il Tabarro di Puccini a mini; Turandot Bucharest National Opera, Romania; Aida Bucharest Na- Fribourg (Svizzera) e il ruolo di Pauline in Polyeucte di Gounod al 30° Fetional Opera, Romania; Turandot Polish National Opera; Madama Butter- stival della Valle d’Itria di Martina Franca diretta da Manlio Benzi, opera registrata in CD live. Il 3 febbraio 2005 ha preso parte al Giubileo di Mifly Deutsche Oper Berlin, Germania. rella Freni nel 50° della sua carriera in un concerto al Comunale di Modena diretto da Aldo Sisillo. Svolge intensa attività concertistica. Nel reCarlo Guelfi e Claudio Otelli pertorio brani quali il Requiem di Fauré, lo Stabat Mater di Pergolesi e il Gloria di Vivaldi, la Cantata di Mendelsshon Hor mein bitten per soprano, coro e organo. Nell’aprile 2010 ha cantato in Tosca all’Opera di Roma. Scarpia, cinico e spregiudicato uomo di potere C arlo Guelfi (21, 24,28/7, 5/8) e Claudio Otelli (3, 10/7) saranno nei panni del barone Scarpia, capo della polizia. carlo Guelfi, nato a Roma ha studiato canto con lo zio paterno Renato Guelfi. Nel 1983 ha vinto il Concorso Internazionale “Aureliano Pertile”. Da allora ha iniziato un’intensa e brillante carriera che lo ha portato nei maggiori teatri del mondo, fra i quali La Scala (La Gioconda, Tosca, Adriana Lecouvreur), l’Opera di Roma (Il Principe Felice, Aida), il Comunale di Firenze, il Comunale di Bologna, il Carlo Felice di Genova, Carlo Guelfi La Fenice di Venezia, l’Arena di Verona, Accademia Nazionale di Santa Cecilia (Carmina Burana), Metropolitan (Rigoletto), Carnegie Hall di New York, Staatsoper di Vienna (Il trovatore, Macbeth), Opernhaus di Zurigo, Staatsoper di Monaco, Festival di Salisburgo, Teatro Real di Madrid e New Natio- nal Fondation di Tokyo. Fra gli impegni più recenti Simon Boccanegra alla Fenice di Venezia, Andrea Chénier al Carlo Felice di Genova (con Michel Plasson), La traviata e Il trovare al Maggio Musicale Fiorentino (con Zubin Mehta), Aida al Comunale di Bologna (con Daniele Gatti), Aida e Rigoletto ad Orange, Attila all’Opéra Bastille di Parigi ed al Comunale di Firenze. Il repertorio del baritono-basso austriaco claudio otelli comprende classico ed opere contemporanee. E’ interessato al dramma come al musical. La collaborazione con registi di primissimo nome e con direttori quali Riccardo Muti, Claudio Abbado, Pinchas Steinberg, Stefan Soltesz, ha avuto influenza sulla sua formazione. Dopo gli studi di canto al Conservatorio di Musica Viennese, ha iniziato la sua carriere come membro dell’ensemble della Staatsoper di Vienna. Dal 1994 è stato invitato come artista freelance in importanti palcoscenici in Europa, in USA e in Giappone. Ha fatto il suo debutto giapponese come Ramiro in L’heure espagnol al New National Theatre di Tokyo, dove ha anche interpretato Dr. Schön e Sharpless. Alla Tokyo Santori Hall è stato cantante ospite. Pagina a cura di Elena Basili – Foto di Corrado M. Falsini Tosca 6 Il Giornale dei Grandi Eventi Storia dell’opera La tormentata genesi di un vero pilastro del melodramma S esso, sadismo, religione ed arte: Tosca, il dramma a tinte forti di Victorien Sardou, entrò nella vita di Puccini nel 1889 (aveva appena messo in scena Edgar) quando vi assistette al Teatro dei Filodrammatici di Milano con la meravigliosa Sarah Bernhardt nel ruolo della protagonista, due anni dopo la prima rappresentazione teatrale, avvenuta a Parigi il 24 novembre 1887 al Théatre de la Porte-Saint-Martin. Ma per vedere questo massiccio dramma sulle scene di un teatro d’opera sarebbe passato ancora parecchio tempo: vuoi per il brutale realismo del soggetto che così tanto si allontanava dall’opera romantica cara al “lucchese”, vuoi per l’interesse che nel frattempo altri soggetti gli avevano stimolato, fatto sta che a Tosca Puccini tornò soltanto nel 1896, quando era ormai in piena voga l’opera verista, con Mascagni, Leoncavallo e, non da ultimo, Giordano con il suo applauditissimo Andrea Chénier, proprio di quell’anno. Ma in realtà non fu solo la necessità di stare al passo coi tempi a convincerlo a riprendere l’antico progetto su Tosca, né tantomeno il successo strabiliante che il dramma di Sardou stava ottenendo nelle tourné europee grazie alle mirabili interpretazioni della Bernhardt: il vero responsabile fu, pare, Giuseppe Verdi. stratagemma dell’editore Ma facciamo un passo indietro. L’editore Giulio Ricordi nel 1893, notando un raffreddamento di Puccini nei confronti del lavoro di Sardou e ripensando quanto era avvenuto con Bohème tra Puccini e Leoncavallo, si affrettò a suggerire il soggetto al compositore Alberto Franchetti (1860-1942), che grande fama si era guadagnato con Asrael (1883) e Cristoforo Colombo (1892) proponendogli per l’adattamento il librettista Luigi Illica. Fu durante una riunione a casa di Sardou che lo stesso Illica lesse il lungo congedo dall’arte e dalla vita che aveva messo in bocca al personaggio di Cavaradossi – e che sarà comunque poi modificato da Puccini - impressionando profondamente Verdi, anche lui presente: proprio l’anziano compositore si profuse, infatti, in lodi sincere e appassionate per il soggetto ed addirittura confessò che, se non avesse avuto i suoi ottant’anni, certamente avrebbe composto lui l’opera. opera tolta a Franchetti Questa reazione colpì a tal punto Puccini da convincerlo a riprendersi Tosca, sottraendola all’ignaro Franchetti. Impresa non facile. Ci volle tutta la scaltrezza di Ricordi – il quale da parte sua era si- L'editore Giulio Ricordi curo che Puccini avrebbe fatto lavoro migliore - per riuscire nell’intento: ricorse infatti ad una sorta di “guerra psicologica”, accanendosi sul soggetto e definendolo non adatto ad un’opera per la brutalità, la temerarietà sessuale e l’eccessivo richiamo agli eventi storici, incomprensibili per un pubblico moderno. In questo modo l’editore ottenne il risultato ed il giorno dopo l’inevitabile rinuncia di Franchetti, intimorito da un probabile fiasco in platea, Puccini aveva già firmato il contratto. Trasformare in libretto il dramma di Sardou fu fatica minore rispetto all’adattamento del romanzo di Murger che aveva appena dato vita a Bohème (1896): questo poiché Illica aveva già imbastito il tutto per Franchetti, e poi perché in realtà la struttura drammatica era già più che soddisfacente e bastava ridurre e semplificare dialoghi e scene. La vera difficoltà stava nel convincere Giuseppe Giacosa – scelto per collaborare con Illica, come già per Bohéme – che riteneva Tosca «tutta fatto e niente poesia, con delle marionette in luogo dei personaggi» e che non si prestava, secondo lui, a diventare un’opera musicale; opinione che lo fece quasi recedere dall’impegno, visto che era anche continuamente sollecitato e “minacciato” da editore e compositore, insofferenti al suo perfezionismo ed alla lentezza eccessiva con cui lavorava. Fatto sta che alla fine dell’ottobre del 1896 Puccini aveva già per le mani la maggior parte del libretto e il 4 novembre scriveva a Ricordi: «Viva dunque il 2° atto riveduto e riguardato, ripulito e congedato per gli sgorbi del Puccini!» Ma il fervore si spense presto: dopo aver buttato giù qualche schizzo, al compositore passò la voglia di scrivere e tutto rimase sospeso per almeno un anno. La composizione del primo atto cominciò, difatti, non prima del gennaio del 1898 e fu interrotta nel mese di aprile, quando Puccini si recò a Parigi per la prima francese di Bohème, ormai rappresentata nei maggiori teatri europei. Fu quella anche l’occasione per conoscere personalmente Sardou, per discutere con lui sul libretto e per fargli ascoltare la musica già composta. «Quell’uomo era portentoso. Aveva più di settant’anni e c’erano in lui l’energia e la spigliatezza d’un giovinotto». Ed in effetti il carismatico drammaturgo non si accontentava di assistere al lavoro del musicista, voleva partecipare attivamente alla stesura del nuovo testo: nel gennaio del 1899 Puccini fu costretto a tornare nuovamente nella capitale francese per discutere con lui sulla scena finale dell’opera, su cui erano sorte pesanti divergenze, non solo su come e se far morire la protagonista, ma addirittura su questioni di natura “topografica”: Sardou voleva che Tosca da Castel Sant’Angelo si gettasse nel Tevere, ma Puccini gli fece notare che il fiume scorreva distante dai bastioni della fortezza. Tornato in Italia dopo la prima visita - siamo nella primavera 1898 - Puccini si mise nuovamente a lavoro nel suo rifugio montano di Monsagrati, alternando momenti di entusiasmo a depressioni, che lo portarono più volte vicino alla decisione di abbandonare tutto: a metà di agosto, però, cominciò la scena finale del 1° atto, cui si dedicò con estrema dedizione. Il Te Deum doveva essere più realistico possibile, tanto che venne scomodato anche l’amico Don Panichelli per avere una dettagliata descrizione di cosa e come si cantasse nelle chiese romane. Il lavoro sul secondo atto iniziò nel febbraio del 1899 e terminò a metà luglio, tra tentennamenti e divergenze, ormai abituali, con i librettisti. Divergenze, discussioni ci furono anche per il terzo atto, prima fra tutte proprio quella che portò alla stesura di E lucevan le stelle, il lamento di Cavaradossi prima della morte, che Puccini volle modificare radicalmente. Così l’ultimo atto fu completato il 29 settembre 1899 e nonostante le negative (e in parte giuste) osservazioni di Ricordi sul duetto Tosca-Cavaradossi, l’opera fu considerata conclusa. Poco più di tre anni erano occorsi per la composizione. Il debutto La Prima andò in scena il 14 gennaio 1900 al Teatro Costanzi di Roma, lo stesso teatro dove, dieci anni prima, il 17 maggio 1890, Cavalleria Rusticana aveva dato il ”la” al verismo musicale. Nei tre ruoli principali furono Hericlea Darclèe (Tosca), Emilio De Marchi (Cavaradossi), Eugenio Giraldoni (Scarpia), sul podio Leopoldo Mugnone e le splendide scene, passate poi alla storia, furono quelle di Adolf Hohenstein. Responsabile dell’allestimento fu il figlio maggiore di Giulio Ricordi, Tito, impulsivo e intransigente, che contribuì non poco ad esacerbare le tensioni che già aleggiavano intorno al debutto, uno dei più tormentati della storia lirica, con tanto di minaccia del lancio di una bomba in sala. Il successo fu comunque straordinario e solo al Costanzi si ebbero più di venti repliche a teatro esaurito. barbara catellani Il Tosca Giornale dei Grandi Eventi 7 Al Tetra Costanzi il 14 gennaio 1900 Un esordio tra polemiche e tensioni G e tutti i bravi esecutori faranno ià nel 1889 Puccini mirabilia e daranno tutto». desiderava fortemente L’azione di Tosca è ambientata scrivere un’opera basaa Roma e nel 1900 Ricordi deta sul testo teatrale di Sardou cise di rappresentarla in questa Tosca, forte nei sentimenti e città per lusingare il campanilconciso nella trama. Amore, ismo dei romani. Mossa poco sadismo, religione e arte, astuta che non valutò l’antagomescolati dalla mano di un nismo esistente tra Roma e l’Icuoco abile quale è Puccini, vengono serviti su un piatto di un importante periodo e scenario storico. il cast della “prima” era composto da artisti di primo piano quali Hariclea Darclèe, soprano proveniente da Bucarest, scelta più per la sua eccezionale bellezza e il suo grande talento scenico che per le sue doti vocali. Sembra che sia da attribuire alla Darlcée l’invenzione del vestito e degli accessori da allora divenuti caratteristici di Tosca: il frusciante vestito di seta, il grande cappello piumato, il lungo bastone ed il bouquet. Gli altri due protagonisti erano Emilio de Marchi, tenore ed Euge- Il soprano Ericlea Darcée prima interprete Tosca nio Giraldoni, baritono. talia del Nord e la difficile situLa direzione d’orchestra era afazione politica di una nazione fidata a Leopoldo Mugnone su forzatamente unita da appena cui Puccini riponeva un’insolitrent’anni. Infatti, dopo la sforta fiducia: «Mugnone ci metterà tunata guerra contro tutta la sua grande anima l’Abissinia, il Paese era irrequid’artista nel concertare e dirigere; eto e scontento e a causa soprattutto della condizione economica era lacerato da violente lotte politiche. C’erano stati due tentativi di attentato alla vita del Re Umberto I (che sarebbe stato poi ucciso a Monza il 29 luglio di quello stesso anno dall’anarchico Gaetano Bresci), ma la Regina Margherita aveva comunicato che sarebbe stata presente alla prima di Tosca. Tutti fattori che contribuirono a creare un clima di grande tensione la sera della Prima. A complicare la situazione, già di per sé tesa, si aggiunse Tito Ricordi, responsabile Leopoldo Mugnone (1858-1941) direttore della "Prima" di Tosca dell’allestimento. Ri- cordi portò con sé lo scenografo della Scala e cartellonista, Adolf Hohenstein, fatto che suscitò il risentimento dei romani. Hohenstein firmò scene, costumi ed anche il manifesto. Si diceva che i rivali di Puccini avrebbero fischiato alla Prima, indipendentemente dall’esito della rappresentazione. Sembrava di essere seduti su un barile di polvere. Ad amplificare la tensione la dichiarazione di un funzionario di pubblica sicurezza il quale pochi minuti prima di andare in scena informò Mugnone che durante la rappresentazione ci sarebbe potuto essere il rischio di un attentato Secondo gli accordi, se ciò fosse accaduto, il direttore avrebbe dovuto far suonare la Marcia Reale. Una serata davvero eccezionale e resa solenne dall’arrivo solo all’inizio del II atto della Regina Margherita, trattenuta a corte da un pranzo, con “una leggiadra toilette bianca a trine”. Al suo seguito il presidente del Consiglio, Pelloux; il Ministro della Pubblica Istruzione Baccelli ed il sottosegretario alle Poste e Telegrafi, Edmondo De Amicis. C’era anche il sindaco di Roma, principe Colonna e molti tra i più importanti compositori dell’epoca tra i quali Mascagni, Sgambati, Cilea, Marchetti e Spinelli. Tutte personalità che avrebbero giustificato l’ipo-tesi di un attentato. E forse l’attentato ci fu, ma fu solo un attentato al buon esito della rappresentazione. Un brusio proveniente da un folto gruppo di persone che non riusciva a trovare posto si diffuse per la sala con lo spettacolo già iniziato. Dal loggione qualcuno gridò: «Basta, giù il sipario». I tecnici lo presero come un ordine ed il sipario calò. Si dovettero aspettare alcuni minuti per riprendere da capo l’esecuzione. Sul momento il successo non fu così evidente e gli applausi non abbondarono e neanche i bis: “Recondita armonia”, “Vissi Manifesto di Adolf Hohenstein per il debutto dell’opera d’arte” e “l’Introduzione”. Il vero successo si potè capire solo attraverso le sedici repliche successive. L’iniziale giudizio complessivo della stampa fu negativo anche se le recensioni romane, paragonate a quelle torinesi della Bohème non furono poi così cattive. In realtà molte critiche erano rivolte più al libretto che a Puccini, tanto che il Corriere d’Italia nella prima pagina si congratulava con l’autore «pur lamentando che egli si sia cimentato in un tentativo la cui inanità non gli doveva sfuggire». Puccini pensava di aver fallito! Aveva fallito nell’opera che aveva tanto desiderato scrivere: «poiché in questa Tosca vedo l’opera che ci vuole per me, né di proporzioni eccessive, né come spettacolo decorativo, né tale da dar luogo alla solita sovrabbondanza musicale». Ma in realtà non fu un fallimento e gli applausi arrivarono: durante il Te Deum il pubblicò si alzò in piedi acclamando a gran voce Giacomo Puccini che si presentò al proscenio e poi soprattutto nel finale, interamente ripetuto. M. V. M. Tosca 8 Il Giornale dei Grandi Eventi I retroscena storici di Tos Il Marengo d’oro creato dopo la bat L’ Opera Tosca è ambientata in un contesto storico ed architettonico definito molto chiaramente. Si tratta della Roma nel periodo a cavallo tra rivoluzione, restaurazione ed impero, nel giugno dell’anno 1800, ambientato tra la chiesa di Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese e Castel S. Angelo. Tuttavia questo quadro lascia in ombra alcuni aspetti non musicali raramente esplorati. Possiamo raccontarli seguendo le vicende di tre rare monete provenienti dalla prestigiosa collezione di Vittorio Emanuele III, il Re numismatico, collezione conservata ora al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo, a pochi metri dal teatro dell’Opera di Roma, dopo che il Sovrano di casa Savoia la donò all’Italia nel 1946 prima di abdicare in favore del figlio Umberto. Il console e lo scudo repubblicano del 1798-99 Il protagonista in ombra dell’opera, il console della caduta Repubblica Romana Angelotti, fuggito da Castel S. Angelo, si ispira probabilmente al personaggio realmente vissuto di Liborio Angelucci, medico giacobino e console della Repubblica nel 1798. Angelucci, accusato di cospirare con i francesi, fu effettivamente detenuto a Castel S. Angelo per le sue opinioni poli- Puccini abbia concesso al suo quasi omonimo. Fu costretto alle dimissioni da console per aver abusato del sua posizione, acquistando sottocosto beni nazionali in corso di privatizzazione, tra cui il palazzo dell’Ordine di Malta a Via Condotti, e per aver piazzato parenti nel governo repubblicano. La moneta d’argento da uno scudo emessa dalla Repubblica Romana raffigurava i simboli comuni a tutte le repubbliche giacobine italiane, il fascio repubblicano e il berretto frigio degli schiavi liberati e simbolo della libertà ritrovata, sostenuti in questo caso però da una goffa figura allegorica femminile. Il governo napoletano a Roma nel 1799-1800 Un riferimento storico c’è anche nel perché il pittore Cavaradossi, arrestato nell’opera in quanto sospettato dalla polizia di aiutare il repubblicano Angelotti, fu condotto a Palazzo Farnese per essere interrogato e non piuttosto a Palazzo della Cancelleria, sede del Governo Pontificio o a Palazzo Madama, sede della Corte Criminale, entrambi distanti appena pochi metri da Sant’Andrea della Valle. La ragione è che la seconda coalizione antifrancese aveva unito austriaci, russi, turchi e napoletani nell’invasione dell’Italia per cacciare la Francia rivoluziona- Scudo della Repubblica Romana 1798-99 tiche, ma ciò avvenne nel 1794 e nel 1797, prima della nascita della Repubblica a Roma. Angelucci poi sopravvisse indenne a vari cambi di governo, tra francesi, papalini e napoletani, con vicende assai meno eroiche di quanto la fantasia operistica di ria e restaurare gli antichi sovrani italiani ed il Papa. I coalizzati antirepubblicani avevano colto notevoli successi tra il 1799 e l’inizio del 1800, riconquistando tutta l’Italia. Le vittorie dei coalizzati nel settentrione d’Italia avevano obbligato i francesi a James Gillray: Satira della seconda coalizione (l’orso russo, il granatiere austriaco, il turco con la sci formaggio, l’inglese che immobilizza da dietro il francese) che cerca di togliere l’Italia alla Francia. L concentrarsi al nord ed evacuare sia Napoli che Roma. Così, a fine 1799, Re Ferdinando IV di Napoli e III di Sicilia (anche conosciuto come “Re nasone”), era finalmente riuscito ad occupare Roma. Era la rivincita dopo il tentativo fallimentare di cacciare francesi e giacobini dell’anno precedente, tentativo che era terminato con la rotta delle truppe borboniche. A corto di generali esperti, Ferdinando aveva affidato il comando ad un generale austriaco, Karl Mack von Lieberich, che aveva diviso il consistente esercito borbonico in numerose colonne, sconfitte l’una dopo l’altra dal più esiguo e determinato esercito francese di Roma, comandato dal Generale Championnet. Le truppe borboniche erano così fuggite ed i francesi avevano continuato l’inseguimento fino a Napoli, entrandovi a gennaio del 1799 e favorendo la nascita della Repubblica partenopea. Questa era durata pochi mesi, abbattuta dalla riscossa sanfedista del cardinale Ruffo che aveva sollevato il Mezzogiorno contadino contro i giacobini in nome del Re, il quale nel frattempo si era rifugiato a Palermo sotto la protezione della flotta di Nelson. L’ennesimo rovesciamento di fronte aveva riportato le truppe borboniche fino a Roma a fine 1799. l’ambientazione a Palazzo Farnese Ed a Palazzo Farnese - costruito nel cinquecento da cardinale Alessandro Farnese, poi diventato Papa Paolo IV - il Regno di Napoli aveva la propria ambasciata, poiché l’immobile era di proprietà della Casa di Borbone da quando l’ultima dei Farnese, Elisabetta, aveva sposato nel 1714 Filippo V di Spagna, nonno di Ferdinando IV. In seguito all’estinzione dei Farnese, il ducato di Parma e Piacenza andò nel 1732 al figlio di Elisabetta, Carlo, che due anni più tardi vi unì Napoli trasferendo lì i beni dei Farnese. Dunque, a cavallo tra il 30 settembre 1799 e il 3 luglio 1800 le autorità napoletane di occupazione a Roma facevano riferimento al reale centro di potere della città, l’ambasciata napoletana, mentre l’ambascia- Il Tosca Giornale dei Grandi Eventi 9 sca attraverso tre monete ttaglia citata nell’opera pucciniana d’argento da uno scudo che lo celebrava come difensore della fede (Religione defensa, Ferdinadus IV, Neap. Et Sic. Rex, 1800). La moneta recava una figura allegorica della Chiesa, in piedi, formando un perfetto contrappunto rispetto allo scudo repubblicano, ma con i capelli e le spalle coperti da un velo, lo sguardo rivolto nella direzione opposta rispetto a quello della libertà repubblicana, fascio e berretto frigio sostituiti dalle chiavi di San Pietro e da una miniatura di chiesa. Il “marengo” della battaglia di Marengo (1800-1801) imitarra, l’olandese che cerca di recuperare il suo Londra, 1799. (Coll. L. Einaudi) ta francese dell’epoca si trovava a Palazzo Corsini E proprio davanti a quell’edificio, nel 1797, una folla ostile aveva assassinato il generale francese Duphot, fornendo al generale Bonaparte la scusa per far occupare Roma dalle sue truppe e creare la Repubblica Romana a febbraio del 1798. Nel libretto, Tosca era stata invitata a cantare davanti Palazzo Farnese per celebrare la vittoria degli austriaci sui francesi a Marengo, presso Alessandria, il 14 giugno 1800. Napoleone Bonaparte, da poco Primo Console grazie a un colpo di stato, era alla ricerca di un successo militare per consolidare il suo potere e aveva portato in Italia un nuovo esercito. A Marengo inizialmente la battaglia si era praticamente conclusa con la sconfitta dei francesi. Gli austriaci sicuri ormai della vittoria, si attardarono a ricompattare i ranghi ed il generale Melas, convinto di aver già battuto l’avversario, aveva inviato i dispacci con l’annuncio della vittoria Ma l’arrivo a tarda sera di 10 mila uomini di rinforzo guidati dal ge- Scudo d'argento dell'occupazione napoletana di Roma Ferdinando IV, Re di Napoli e Sicilia, 1800. Papa Pio VII, eletto a marzo 1800, dopo la morte del suo predecessore detenuto ostaggio in Francia, entrò a Roma solo a luglio, dopo l’evacuazione delle truppe napoletane. Per celebrare la presa di Roma, Ferdinando aveva fatto coniare in pochissimi esemplari una moneta nerale francese Louis-Charles-Antoine Desaix, ribaltò l’esito dello scontro. Gli austro-russi peraltro avevano già vinto un’altra battaglia a Marengo un anno prima, il 16 maggio 1799, quando una sortita francese dalla cittadella di Alessandria, guidata dal Generale Mo- 20 Franchi oro (Marengo) della Repubblica Subalpina "Anno 9". Torino, anno 1800 - 1801. Nel recto della moneta si può leggere la parola "Marenco". reau, era stata sconfitta dagli alleati comandati dal marchese spagnolo Lusignan. A giugno del 1800 la vittoria dei transalpini aveva aperto tutto il nord Italia ai francesi, che con Moreau erano arrivati pochi mesi dopo alle porte di Vienna, obbligando l’Austria alla capitolazione ed aprendo un quindicennio di dominio napoleonico sull’Italia. E’ ben comprensibile, quindi, che all’arrivo della notizia a Palazzo Farnese la Regina di Napoli (sorella di Maria Antonietta) fosse colta da malore, che gli sbirri di Scarpia fossero afflitti e che un repubblicano quale Cavaradossi esultasse. La vittoria francese a Marengo è stata celebrata anche con la coniazione di una moneta d’oro da 20 franchi della Repubblica Subalpina (Piemonte) negli anni 9° e 10° repubblicani (1800-1802). La moneta raffigura un elegante profilo di Minerva, con l’elmo cinto da una corona di alloro, simbolo di vittoria. Essa porta il motto in francese «L’Italia liberata a Marenco». Quest’aureo, realizzato a Torino con conii dell’incisore Amedeo Lavy, ha conquistato fama, visto che è la prima moneta europea da 20 franchi in oro e da lei le successive di pari valore e peso hanno acquisito il sopranome di “Marengo”, utilizzato per tutte le monete da 20 franchi o lire in oro, coniate in Francia, Italia, Belgio, Svizzera, Spagna, Grecia e numerosi altri Paesi dal 1800. Si trattava, infatti, dell’attuazione del pezzo chiave della riforma monetaria francese dell’era napoleonica, che mirava alla decimalizzazione, alla semplificazione ed all’unificazione monetaria basata sul cosiddetto “franco germinale”. Veniva stabilito in quell’occasione che le monete d’argento a 900/1000 da un franco do- vessero pesare 5 grammi e che le monete d’oro da venti franchi pesassero 6,45 grammi a 900/1000, creando così anche un rapporto fisso legale tra oro e argento di 1 a 15,5, chiave del sistema bimetallico ottocentesco. Il franco germinale con tutte le sue caratteristiche si tramutò nel perno dei tentativi di unificazione monetaria europea di Napoleone I e di Napoleone III. Il primo lo introdusse nel suo Regno d’Italia, nel Regno delle Due Sicilie del cognato Murat, nel Principato di Lucca e Piombino della sorella Elisa e nei dipartimenti dell’impero francese, incluse alcune città italiane come Torino, Genova, Firenze e Roma. Il Marengo e il “franco germinale” sopravvissero alla restaurazione, sia in Francia che nel Regno di Sardegna, trasformandosi poi nella moneta, del Belgio diventato indipendente nel 1831, della Svizzera dal legame federale rafforzato dopo il 1848, dell’Italia unita nel 1861. Napoleone III rilanciò il ruolo internazionale del franco/lira con la creazione dell’Unione Monetaria Latina del 1865-1927, cui parteciparono Francia, Italia, Belgio, Svizzera e Grecia. La stessa moneta circolava ovunque uguale nel peso, nel contenuto metallico e nel diametro, pur con nomi e immagini diverse a seconda del paese (lira, franco, dracma, peseta...). Il “Marengo” diventò così il fulcro aureo di un sistema monetario adottato in larga parte del mondo, dall’Europa all’America Latina, divenendo la moneta aurea coniata in maggior quantità nella storia europea e continuando tuttora ad essere il pezzo di riferimento per il piccolo risparmiatore che desidera investire in oro. luca Einaudi Storico della moneta Tosca 10 Il Giornale dei Grandi Eventi Echi storici nella Tosca La battaglia di Marengo del 14 giugno 1800 L a vicenda di Tosca si svolge tra il 17 e il 18 giugno 1800. Nel secondo atto dell’opera pucciniana, infatti, voci della folla con gli echi della vittoria napoleonoica nella battaglia di Marengo tra austriaci e francesi di tre giorni prima, giungono dalle finestre nelle sale di Palazzo Farnese, e Scarpia se ne dispera. la vicenda storica Intorno alla metà di maggio 1800, il nord Italia era diviso tra austriaci e francesi. Il generale Mélas aveva dislocato la maggior parte delle proprie truppe tra la Liguria e il basso Piemonte, mentre Napoleone si era installato in Lombardia, per favorire gli approvvigionamenti dalle armate del Reno attraverso il passo del San Gottardo e soprattutto per rendere più difficoltose le comunicazione tra Mélas e l'Austria, ma anche con la speranza di un attacco da parte degli austriaci. Con la caduta di Genova il 4 giugno, Napoleone Bonaparte decise di andare lui incontro a Mélas e l'8 giugno si scontrò a Montebello (presso Stradella) con l'armata del generale Ott di ritorno da Genova. Reputando che Mélas lo volesse attaccare aggirandolo dagli Appennini, Napoleone occupò il territorio dello Scrivia e del Bormida ed il 13 giugno si stabilì a Torre Garofoli con poco più di 30.000 uomini, poiché la maggior parte dell'esercito era distaccata in Lombardia e nel Piacentino. Temendo che Mélas gli sfuggisse, Bonaparte inviò in ricognizione altre due divisioni, una verso nord oltre il Po e una verso sud in direzione di Novi. Inaspettatamente il 14 giugno Mélas attaccò con tre colonne da Alessandria, oltrepassando il Bormida ed approfittando della dispersione delle truppe francesi su un'area di circa 20 km, arrivò indisturbato da ovest nei pressi Marengo dove si scontrò con la divisione Gardanne, la quale fu costretta ad indietreggiare fin oltre il Fosso del Fontanone (quindi verso est). Con le altre due colonne, il Mélas attaccò da sud e da nord altrettante divisioni francesi che ven- nero respinte anch'esse verso Marengo. La superiorità numerica degli austriaci mise in crisi le truppe francesi, che iniziavano un ripiegamento disordinato a nord verso Villanova ed a sud verso Cascina Grossa. In questo modo l'armata francese si trovò schierata in uno sbarramento obliquo con asse nordovest/sud-est. Napoleone mandò delle staffette a richiamare le divisioni in ricognizione verso Novi e verso il Po, perché si portassero verso Villanova per riequilibrare la situazione. Intanto Mélas volle spedire l'annuncio della vittoria a Vienna, inviando il generale Zach sulla direttrice Tortona-Piacenza. Ma lungo strada questo si scontrò con la divisione francese di Desaix che rientrava da Novi. Nello scontro Desaix venne ucciso ed il comando fu assunto da Boudet. Da questo momento i francesi presero il sopravvento. Gli austriaci, in preda al panico, si ritirano confusamente verso il Bormida. Le truppe austriache rimaste vicino a Marengo resistettero bene, ma non abbastanza per cambiare le sorti della battaglia che si concluse a favore di Bonaparte. Il 15 giugno Mélas ottenne un armistizio a buone condizioni. Fra. Picc. Memorie sulle prime rappresentazioni Il debutto di Tosca nei giornali dell’epoca G rande era l’attesa a Roma e non solo per la nuova opera a cui puccini aveva lavorato meticolosamente per gli ultimi tre anni, ovvero fin dall’estate del 1896. La “Prima” era fissata al Teatro Costanzi per la sera di sabato 13 gennaio di quel nuovo secolo 1900, ma a causa di una «lieve indisposizione del tenore de Marchi è stata rinviata a dimani, domenica», annunciava con una breve notizia “telegrafata” da Roma il Corriere della Sera nella attenta e quotidiana rubrica “Corriere Teatrale” con collocazione fissa nella terza delle quattro pagine del giornale. la “Prima” Il 15 il quotidiano milanese, allora giornale del pomeriggio, dedicava ben due colonne piene a tutta pagina alla cronaca della serata della prima esecuzione di Tosca. Descritto l’incidente curioso del sipario che si richiude a seguito dei rumori della platea, la penna del redattore musicale segnala la presenza di «molti musicisti quali il Mascagni, il Cilea ed il Marchetti; noto anche il ministro Baccelli e parecchi deputati ed un nuvolo di giornalisti qui convenuti da ogni parte d’Italia». Sugli esecutori dice: «In compenso la scelta del Maestro Puccini non poteva essere più felice… La Darclée superò la propria fama … de Marchi con il suo organo vocale potentissimo si rivelò veramente adatto per questa parte che richiede polmoni e talento in misura rilevante… Il Maestro Mugnone diresse con il suo consueto slancio e colla abituale vigoria». Il critico affronta le romanze:«“Vissi d’arte e d’amor” melodia ispirata e fluente che conclude con squisita soavità, poi la musica incal- za… “E non ho amato mai tanto la vita”, questo brano mi è parso il più ispirato dell’opera». Le prime impressioni del giornalista sono in relazione a Bohème: «…L’abilità del Maestro lucchese non s’è scoraggiata per questo. Il commento musicale di che esso ha ornato il dramma di Sardou non potrebbe essere più proprio ed efficace. Ma è meno vario, meno appariscente, meno leggero». E conclude: «In sostanza – con tutte le deferenze per il grande drammaturgo francese – io vorrei affermare che il suo lavoro fu migliorato prima dall’Illica e dal Giacosa che ne affinarono i principali elementi e poi dal Puccini che con una tavolozza delicata ed aristocratica ne nobilitò la rappresentazione… Lo Spettacolo è senza dubbio interessante e felicemente congegnato per piacere». la “Seconda” A distanza di due giorni, il 16 gennaio 1900, si tenne la “Seconda” sempre al Costanzi. «Pubblico affollato ed elettissimo», commenta Il Messaggero. E prosegue: «Desiderio unanime sentire e giudicare serenamente questa nuovissima opera di Puccini…. Il successo di ieri sera è di gran lunga superiore a quello della prima audizione… Alla fine del primo atto il Puccini venne chiamato alla ribalta sette volte con grandissime acclamazioni, successo andato poi accentuato nel 2°, che la prima sera era passato quasi inosservato…». la “Terza” Puccini e la Tosca continua nei giorni successivi a suscitare l’attenzione delle rubriche teatrali. Sempre il Corriere della Sera il 18 racconta di «Un pranzo in onore di Puccini». «Ci telegrafano da Roma, 17 gennaio sera. Stasera al Circolo Artistico ha luogo il gran pranzo in onore di Puccini per festeggiare il successo della sua Tosca». Il giorno successivo – 19 – ancora il Corriere racconta della “Terza” di Tosca. «Da Roma 18 gennaio notte. La terza di Tosca diede un incasso superiore a quello della seconda sera ed ha aumentato il successo. Oltre ai sei pezzi che nella seconda sera si vollero ripetuti, si volle il bis anche del preludio del terz’atto e del dettaglio orchestrale dei violoncelli ricordanti la frase d’amore. In complesso otto furono i pezzi bissati ed il Puccini ebbe oltre venti chiamate. Alla Darclée vennero offerti molti fiori. Puccini parte sabato per la Maremma». Una diffida per Tosca Sfogliando i giornali dei giorni successivi, il 23 gennaio il Corriere della Sera riferisce una curiosa notizia circolata a Roma nei giorni seguenti le prime rappresentazioni. «Si è annunziato sui giornali che fu intimato dal giudice Roberti di Roma all’editore Ricordi, di cambiare il cognome ad un personaggio della “Tosca”. Si tratta, invece, di un giovane avvocato Roberti di Roma che ha intimato di cambiare il nome dell’esecutore di giustizia indicato tra i personaggi della “Tosca” come Roberti. Siccome la diffida non ha avuto effetto ed ogni sera Scarpia continua a gridare«Ancora Roberti; Basta Roberti», l’avvocato Roberti minaccia una causa. Si è verificato un copiane della “Tosca” di Sardou e nell’elenco dei personaggi non è indicato l’esecutore di giustizia – che non compare in scena – ma Scarpia gli da gli ordini della tortura chiamandolo una volta “Roberti”, una seconda volta “Alberti”. La differenza viene da difetto di copiatura». l. di d. Il Tosca Giornale dei Grandi Eventi 11 Analisi dell’opera Con Tosca Puccini apre al Novecento A ccade spesso nel teatro musicale di imbattersi in opere “statiche”, nelle quali l’azione è “immaginata” e la musica cadenza, magari con slanci lirici straordinari, elementi di riflessione più che reali accadimenti. A orientare diversamente i musicisti fra fine Ottocento e primo Novecento è arrivato il cinema con la sua diversa impostazione narrativa; e Puccini è stato fra i primi operisti a cogliere il senso della novità che proveniva dal nuovo mezzo di comunicazione. Pensiamo, naturalmente, alla Fanciulla del West (il primo western della storia), ma anche Tosca è opera di per sé innovativa che non a caso, presentata il 14 gennaio 1900, aprì davvero il nuovo secolo. Tosca e scarpia grandi protagonisti Opera d’azione, dunque, nella quale Puccini, partendo da Sardou, con l’aiuto dei fidati Illica e Giacosa, costruisce una tela drammaturgica e musicale di assoluta spettacolarità. Le azioni e le riflessioni (o espressioni di sentimenti) si alternano secondo una regia perfetta. Tre atti, altrettante ambientazioni con un intelligente utilizzo di Roma come set “cinematografico”; apparentemente la vicenda rientra nella categoria del triangolo cara al melodramma italiano ottocentesco che l’umorista George Bernard Shaw ha ironicamente racchiuso nella seguente definizione: «L’opera è quello strano spettacolo in cui il tenore cerca di portare a letto il soprano e il baritono glielo impedisce». Qui, però, c’è qualcosa di più profondo e complesso. Se è vero che al tenore, Cavaradossi, Puccini affida forse le due arie più belle (e in generale due fra le sue pagine liriche più popolari), “Recondita armonia” e “E lucevan le stelle”, sul piano drammaturgico, Cavaradossi è una semplice pedina mossa dagli altri due personaggi, assoluti protagonisti della scena: il barone Scarpia e l’artista Flora Tosca. Sono loro a condurre il gioco in un’opera che rappresenta l’esasperazione della brutalità e l’assunzione dell’inganno a sistema nei rapporti impersonali: Scarpia Puccini alle prove di Tosca all’Opéra Comique di Parigi - Caricatura di Leonetto Cappiello mente a Tosca ed a Cavaradossi; Tosca a sua volta raggira Scarpia e lo uccide; Cavaradossi crede in una finta fucilazione e cade morto; Tosca si getta da Castel Sant’Angelo. Inganno protagonista L’utilizzo dell’inganno come meccanismo drammaturgico non costituisce certo una novità. Tuttavia non si tratta qui solo di qualche bugia: si avverte in ognuno il piacere della vendetta. Si pensi all’uccisione di Scarpia. Da grande attrice Tosca dopo il fatto – per pietà ma anche per una visione estetica - cura i particolari, la messinscena, dispone le candele, allestisce una sorta di camera mortuaria. Quest’opera offre possibilità espressive straordinarie per un musicista di teatro come il Lucchese, abile a creare melodie fluenti e commoventi, autentici cavalli di battaglia per intere generazioni di te- Puccini nel 1900 nori e soprani (accanto a quelle citate, anche “Vissi d’arte”); ma geniale anche nello strutturare quadri di forte impatto emotivo: basta ricordare la scena della fucilazione, autentico capolavoro di teatro. Così, come da grande attrice Tosca cura la messinscena della morte di Scarpia, così vorrebbe rendere spettacolare anche la finta morte dell’amante e non gli risparmia consigli su come porsi davanti al plotone, come cadere, come “fingere”; tanto che allorché il plotone spara e Cavaradossi piomba a terra, lei in uno stato di sovreccitazione grida compiaciuta: «Ecco un artista». Ma in fatto di teatralità, rimanda ancora a Verdi e in particolare al “Miserere” del Trovatore alla conclusione del primo atto. Tosca si è appena congedata da Scarpia che la fa pedinare e lui si abbandona al suo desiderio erotico: «Va’ Tosca nel tuo sen si annida Scarpia», canta il barone, non accorgendosi che alle sue spalle si è avviata la processione del Te Deum. Sacro e profano si mescolano con un effetto assolutamente geniale, fino a che Scarpia non si ravvede («Tosca mi fai dimenticare Iddio!») e si unisce all’inno religioso. E’ stato detto che è tale la personalità di Scarpia che l’opera avrebbe potuto intitolarsi con il suo nome. In effetti il temibile capo della polizia non è uno dei tanti cattivi che affollano la librettistica ottocentesca. E’ “il” cattivo, colui che tira abilmente le fila di tutta la vicenda, che agisce con crudo realismo, assetato da un desiderio erotico e mosso da un atteggiamento sadico. Non a caso l’opera si apre con una sorta di “tema di Scarpia”: i tre accordi che poi tornano a scandire, con qualche variante, la conclusione del primo e del secondo atto. La scrittura che lo contraddistingue (nessun’aria di elegante lirismo) è sinuosa, urtante, irta di cromatismi che danno il senso della doppiezza del personaggio, ma anche della sua ansia erotica. La passione per Tosca non emerge solo dalla citata scena del Te Deum: si pensi ad esempio all’apertura del secondo atto. Scarpia attende Tosca pranzando nel suo palazzo. Mangia, beve, e pensa alla donna desiderata: «Ella verrà...per amor del suo Mario/ Per amor del suo Mario al piacer mio/ s’arrenderà. […]Io di sospiri/ e di lattiginose albe lunari/ poco m’appago. Non so trarre accordi/ di chitarre, né oroscopo di fior/ né far l’occhio di pesce/ o tubar come tortora!/ Bramo. La cosa bramata/ perseguo, me ne sazio e via la getto/ volto a nuova esca. Dio creò diverse/ beltà, vini diversi. Io vo’ gustar/ quanto più posso dell’opra divina!». Si noti l’arco melodico disegnato da Puccini che raggiunge la maggiore intensità e passionalità sulla parola «Bramo», gridata con forte violenza da Scarpia, eccitato dalla sete di conquista. E da notare ancora che librettisti (Illica e Giacosa) e musicista contrappuntano il canto di Scarpia con didascalie indicanti precisi gesti verso la tavola: beve, si alza, ma non abbandona la cena; beve ancora. Il piacere del cibo e del vino si mescola nella mente del personaggio con il piacere erotico. Tosca, abile mescolanza fra lirismo e scene di incalzante teatralità nelle quali balza in primo piano la parola, amplificata e sottolineata da un discorso musicale di forte impatto emotivo, mostra inoltre una sapiente organizzazione armonica e una mirabile orchestrazione. E, come avrebbe fatto in seguito anche in Madama Butterfly e in Turandot, il musicista non trascura il più veritiero colore locale: si pensi a questo proposito al canto dello stornello, all’alba, che conferisce un sapore romanesco di particolare effetto. Roberto Iovino Tosca 12 Il Giornale dei Grandi Eventi Piccola guida per capire il monumento La maestosa perfezione delle Terme di Caracalla L o spettatore che alza gli occhi dal palco verso la straordinaria quinta antica, è immediatamente colpito da due enormi pilastri dalle pareti curve, che sono le vestigia del caldarium, il cuore delle Terme di Caracalla. Ciò che si vede da questa prospettiva è il retro delle Terme, mentre la facciata principale guarda verso Viale delle Terme di Caracalla. Il caldarium, la parte più calda delle terme, era una grande sala circolare del diametro di 36 metri, coperta da una cupola sostenuta da otto pilastri (due di essi sono quelli visibili) era riscaldato da una serie di enormi fornaci che esistono ancora nel sottosuolo ed illuminato da ampie finestre. Essendo rivolto a Sud-Ovest, riceveva luce e calore dall’esterno per tutto il giorno. Al centro della sala c’era una grande vasca circolare con acqua calda. Sei vasche più piccole erano inserite tra i piloni. Da questa sala si accedeva al tepidarium, l’ambien- te retrostante, più piccolo, con due vasche ed un’atmosfera temperata. Quindi, ci si trasferiva nel cosiddetto frigidarium, una enorme sala a pianta basilicale, coperta da tre volte a crociera e pavimentata con lastroni di marmo colorato (opus sectile), che costituiva il cuore di tutto l’edificio. Infine, parallela al lungo ed alto muro della facciata che guarda alla strada, era disposta la natatio, la grande piscina scoperta (m. 50x22) caratterizzata da un magnifico prospetto archi- tettonico, ricco di marmi policromi con nicchie disposte su due piani occupate da statue. A sinistra ed a destra di questi ambienti, erano disposti altri locali, tutti comunicanti tra loro, fra cui le due grandi palestre ubicate lungo i lati corti del complesso, circondate da portici e pavimentate a mosaico; i laconica, ossia i bagni turchi, disposti a sinistra ed a destra del caldarium e distinguibili dai vani d’ingresso obliqui per limitare la dispersione di calore, e gli apodyteria, ovvero gli spogliatoi. In realtà, era a quest’ultimi ambienti che i clienti dello stabilimento accedevano tramite i vestibula, prima di recarsi nel caldarium. Una alternativa era quella di recarsi nella grande piscina scoperta, senza passare dai bagni. Tutto il complesso era circondato da un recinto, la cui parete è ancora ben visibile sulla destra nel percorso dalla biglietteria verso l’attuale spazio teatrale. Sul lato posteriore, alle spalle di questa platea estiva, si apre una struttura munita di gradinate, forse uno stadio od una cascata d’acqua, fiancheggiata dalle due biblioteche (fino ad oggi si è conservata solo quella di destra, vicino alla scalinata che saliva all’Aventino. Vasti giardini occupavano lo spazio tra lo stabilimento termale ed il recinto. Proprio in questi giardini sono ora collocati palcoscenico e platea. E. c. a. Divenute nel XV e XVI secolo una miniera inesauribile I mille capolavori ritrovati in queste Terme G to interesse per le Terme fu quello degli scavi di Paolo III Farnese per la costruzione del suo nuovo palazzo. Nel 15451547 grandi statue e gruppi colossali furono rinvenuti all’”Antoniana”: e grande sensazione provocò il ritrovamento, nella palestra orientale, del Toro Farnese, il famoso gruppo colossale ricavato da un unico blocco di marmo, nel quale è rappresentato il supplizio di Dirce legata al toro da Anfione e Zeto per vendicare i torti da lei arrecati alla madre Antiope, che assiste alla scena. Date le proporzioni colossali, il gruppo venne collocato nel cortile di Palazzo Farnese che affacciava su via Giulia e non è chiaro se subì interventi di adattamento e di traSopra: Il Toro Farnese. A destra: L’Ercole Farnese. ià nel XII secolo le Terme furono cava di materiali per la decorazione di chiese e palazzi: tre capitelli con le aquile e i fulmini, simboli di Zeus, provenienti dalla palestra orientale, furono riadattati nel Duomo di Pisa. La stessa sorte subirono otto capitelli con Iside, Serapide e Arpocrate provenienti dalle biblioteche e riutilizzati nella Chiesa di S. Maria in Trastevere. Un momento di rinnova- sformazione, forse in fontana. Era talmente famoso che persino il re di Francia Luigi XIV tentò di acquistarlo e trasportarlo a Parigi; comunque il suo destino non era quello di rimanere a Roma, perché nel 1786 fu trasportato a Napoli, insieme a gran parte della collezione Farnese, dote dell’ultima erede della famiglia, Elisabetta, andata in sposa al re di Spagna. Prima esposto nella Villa Reale di Chiaia, il Toro fu poi trasferito nel 1826 nel Museo Archeologico Nazionale di Napoli, dove è tuttora conservato insieme agli altri capolavori provenienti dalle stesse Terme. Fra questi, da ricordare il celebre e colossale Ercole in riposo, proveniente dal frigidarium, firmato sul basamento da Glykon, uno scultore ateniese attivo all’inizio del III secolo d.C., la cui fama è dimostrata dalla diffusione di copie di ogni dimensione, da quella di circa tre metri ritrovata alle Terme, fino a terrecotte di poche centimetri. Un altro Ercole di grandi dimensioni fu trovato nel frigidarium delle Terme di Caracalla , il cosidetto “Ercole Latino”, dato per scomparso e poi riconosciuto nella grande statua conservata nella Reggia di Caserta. Ercole era molto amato dalla famiglia dei Severi e spesso presente nelle raffigurazioni delle Terme: in uno dei più famosi capitelli figurati dell’antichità, sempre proveniente dal frigidarium, infatti, il semidio è rappresentato in posizione di riposo appoggiato sulla clava. In tempi diversi furono recuperati altri gruppi famosi, come quello di Atreo con Tieste, statue di Minerva, Venere, busti di personaggi della famiglia imperiale e numerosi frammenti architettonici, fra cui le vasche ora nel cortile del Belvedere in Vaticano e le due splendide di granito grigio, provenienti anch’esse dal frigidarium e riutilizzate dal Rainaldi come fontane in Piazza Farnese. Sempre di granito era la colonna proveniente dalla natatio portata a Firenze nel 1563, dove da Cosimo I de’ Medici fu eretta in Piazza S. Trinità, piazza che ancora la ospita. Ma. Pir. Il Giornale dei Grandi Eventi Tosca 13 L’opera pucciniana ed i suoi disastri L’indimenticabile “suicidio” del plotone di esecuzione P oliteama Genovese, ottobre 1901. A grande richiesta viene ripresentata Tosca che, pochi mesi prima, al suo debutto cittadino, aveva letteralmente entusiasmato il pubblico. Al momento della fucilazione, i soldati sbagliano i tempi e sparano in anticipo sicchè Cavaradossi deve stramazzare a terra per conto proprio. Il povero tenore non aveva avuto, nell’occasione, la presenza di spirito di un collega attore che, trovandosi nella medesima, imbarazzante situazione, se l’era cavata egregiamente gridando mentre cadeva: “Muoio avvelenato”. La “falsa” fucilazione di Cavaradossi è uno dei tanti incidenti che contrassegnano la storia dell’opera pucciniana. Uno dei titoli in assoluto più popolari se si considera che fra il 1967 e il 1992 è risultato al terzo posto nella graduatoria delle opere maggiormente rappresentate negli Enti lirici italiani, dopo Aida e Madama Butterfly. Titolo, tuttavia, tra i più “sfortunati” per la serie infinita di incidenti, solitamente comici, che hanno accompagnato numerosi allestimenti in ogni parte del globo. “Colpi di scena” spesso determinati da qualche burlone. Così se un corpulento soprano tedesco difficilmente potrà dimenticare il tiro giocatole da un tecnico che nella scena conclusiva di Salomè sostituì la testa mozza di Giovanni Battista con una pila di sandwich al prosciutto, non avrà certamente dormito per intere notti, il giovane soprano americano che nel 1960 vestì i panni di Tosca al City Center di New York. Era l’epilogo dell’opera: Cavaradossi esanime, lei sui bastioni pronta a gettarsi nel vuoto invano inseguita da Spoletta. Un salto, come da copione, per sparire alla vista degli spettatori. Il tappeto posto per attutire la caduta era stato, però, sostituito da un telone elastico. Risultato: la povera cantante rimbalzò una decina di volte, prima di essere definitivamente “placata” dai tecnici. Non allo scherzo di un macchinista ma alla fretta si devono, invece, le disavventure di Shilery Verrett chiamata a Genova nel maggio 1988 a sostituire all’ultimo momento Raina Kabaiwanska costretta ad un temporaneo forfait per gravi problemi familiari. La grande artista di colore arrivò direttamente dagli Stati Uniti poche ore prima del debutto. Provò al pianoforte con il direttore Oren, passò rapidamente in sartoria e andò in scena. Forse il vestito non era del- rere alle cure del medico. Di cure ben più serie ebbe bisogno nel luglio del 1995 il tenore Fabio Armiliato, Cavaradossi allo Sferisterio di Macerata. I fucili del plotone di esecuzione funzionarono sin troppo bene tanto che davanti ad una sorpresa Tosca-Kabaiwanska, il cantante genovese fu effettivamente colpito (per fortuna in maniera lieve) ad un piede da uno stoppaccio (il batuffolo di stoppa con cui si fermano gli elementi di carica nei fucili a bacchetta). Armiliato finì in ospedale, la moglie, in platea si sentì male e anche l’addetto ai fucili pare abbia avuto un comprensibile malore. Per Armiliato, tuttavia, non era finita. Ripresentatosi in scena alla seconda recita, l’artista, forse ancora provato dalla precedente disavventura, cadde in scena infortunandosi a una gamba. Castel Sant’Angelo in un quadro di Alfonso Avanessian la misura adatta, forse gli scalini in scena avevano qualche asperità di troppo: fatto sta che per ben due volte l’abito si impigliò ad un gradino tanto da costringere la cantante a strapparlo con un gesto imperioso per liberarsi. Inoltre alla fine del secondo atto, rentrando dietro le quinte, la Verrett cadde, fortunatamente senza conseguenze, e dovette ricor- Di una caduta fu vittima al Colon di Buenos Aires, intorno agli anni Cinquanta anche Maria Jeritza. Inciampò proprio davanti a Scarpia al momento di intonare «Vissi d’arte». Non c’era il tempo di rialzarsi e, da grande artista, cantò la celebre pagina riversa sul pavimento. Purtroppo si trovava in una sezione del palcoscenico non illuminata e i tecnici vagarono in- vano con i riflettori per tutto il brano prima di riuscire a inquadrare la cantante. Oggi, in epoca di computer, le luci non sono più puntate a mano, ma in molti teatri Copertina del primo libretto di Tosca tutto è scruplotone solo cinque minuti polosamente affidato alla prima dell’inizio dello memoria di un cervellone. spettacolo. Le istruzioni Se qualche dato viene imfurono precise: “Quando il messo in maniera errata, direttore di scena vi fa sepuò accadere il finimondo. gno entrate marciando A San Diego alla fine degli lentamente, aspettate che anni Cinquanta un coml’ufficiale abbassi la spada puter regolava persino lo e poi sparate”. “E come ce spegnimento delle candele ne andiamo? ” chiesero gli intorno a Scarpia. Ma Tostudenti. “Uscite con i prosca non andava d’accordo tagonisti” gli fu risposto. con l’elettronica. E così Il primo choc gli imquando lei soffiava sulla provvisati soldati lo provacandela di destra, si sperono quando, entrando sul gneva quella di sinistra fra palcoscenico si trovarono le risate del pubblico. di fronte due persone e Il computer, del resto, ha non una. Chi fucilare, duncreato qualche problema que, la donna o l’uomo? anche recentemente al Optarono per la donna riCarlo Felice di Genova. cordando il titolo dell’opeNell’ultima Tosca del ‘99, ra. E rimasero alquanto all’apertura del terzo atto, stupiti quando si accorsero la struttura scenica che doche la donna rimaneva in veva fare da cornice e da piedi e l’uomo, pur risparfondale a Castel Sant’Anmiato dal loro tiro incrociagelo è rimasta bloccata e to, cadeva esanime. Possial’imponente costruzione mo anche immaginare lo romana è parsa alquanto stupore del direttore d’orspaesata fra quinte assoluchestra sul podio e del retamente neutre e ben poco gista, impotente, dietro le paesaggistiche. quinte. Ma non era finita. A generare incidenti, tuttaOccorreva uscire. Stava acvia, è quasi sempre l’elecadendo il finimondo. mento umano. Nel suo liL’orchestra si gonfiava, bro “Disastri all’opera”, Spoletta entrava in scena Vickers ha ambientato seguito dai suoi, Tosca corquest’ultimo episodio a reva rapida su per i bastioSan Francisco nel 1961. Il ni. Non c’era tempo per riplotone di esecuzione era flettere. E così, mentre il sicomposto da studenti unipario calava, il pubblico viversitari arruolati in tutta de un intero plotone d’esefretta, pieni d’entusiasmo, cuzione gettarsi giù dalle ma assolutamente ignari mura in uno spettacolare e della trama dell’opera. indimenticabile suicidio di Preso dal turbinio delle massa... prove con i protagonisti, il Roberto Iovino regista potè dedicare al Tosca 14 Il Giornale dei Grandi Eventi Curiosità a margine della composizione di Tosca Per le campane di Roma, Puccini rischiò l’arresto Q uanti equivoci e quante tensioni il povero Puccini ha dovuto subire per riuscire a completare Tosca! Le minacce di bombe ed attentati alla Regina, fischi e giudizi negativi della stampa alla prima rappresentazione. Ma addirittura l’arresto, rischiare di essere portato in prigione con Mugnone fa davvero sorridere e forse contribuisce a creare quell’alone di mistero, un romanzo sulla storia e forse quel fascino che contraddistingue Tosca a distanza di un secolo. Siamo nella primavera del 1889 ed alla polizia, giunge la voce che al Pincio, in piena notte, si aggira un individuo pericoloso e sospetto, senza alcun dubbio un attentatore o un terrorista. Il sospetto non è solo, ma per tramare i suoi atti vandalici e terroristici passeggia con il suo Giacomo Puccini complice facendo degli strani segni, sicuramente legati al complotto. In questura il panico e la preoccupazione dilagano e considerando il delicato periodo politico che l’Italia sta attraver- sando si pensa bene di intervenire e di bloccare la sommossa sul nascere. Ad aggravare la situazione, “il suddito fedele e timoroso” che ha rivelato la notizia alle autorità, aggiunge che il Pincio normalmente è chiuso da ampi cancelli e che solo dei malintenzionati avrebbero potuto eludere il sistema di sicurezza. L’ordine fu perentorio. Il questore Felsani dispone di raggiungere ed arrestare i due sospetti. E’ l’alba, il buio ha ormai lasciato il posto alle prime luci del giorno che è salutato dal suono delle campane di Roma e Puccini insieme a Mugnone passeggia al Pincio cercando di riportare sul pentagramma il suono esatto delle campane delle chiese di Roma. Ma ecco che all’ improvviso vengono fermati da tre agenti armati, decisi a portare a termine la loro missione. «Fermi, sono un delegato di pubblica sicurezza. Chi siete? Che fate qui a quest’ora? Come siete entrati?». Puccini e Mugnone, inizialmente stupiti e spaventati, scoppiano a ridere capendo l’equivoco sorto e cominciano a spiegare la loro identità e la loro estraneità da qualsiasi atto sovversivo. Spiegano, inoltre, di aver ricevuto le chiavi del cancello qualche giorno prima e di essere in possesso anche di un regolare permesso del Municipio per sostare di notte al Pincio. Il mistero è svelato, l’equivoco è chiarito e Puccini viene ricoperto e travolto dalle scuse degli agenti che si sono nel frattempo resi conto di aver offeso un personaggio ormai famoso dopo il successo di Bohéme. Alla prima di Tosca sono presenti anche i tre agenti di polizia, i quali all’inizio del III atto possono sentire il suono delle campane riprodotto da Puccini identico a quello che avevano udito qualche mattina prima al Pincio. Fr. Pi. Maria Carolina tra Sardou e Puccini Quella Regina solo nominata P iù volte nella Tosca si parla o si accenna ad una “Regina”, ma questo accade solo nel dramma di Sardou e non nell’Opera pucciniana, che si limita ad un semplice riferimento storico. Il testo del dramma di Sardou e del libretto Giacosa-Illica non sempre coincidono nei loro dettagli. Nella I scena del primo atto, dalla lettura di un giornale che Eusebio, il sagrestano, fa Gennarino (servitore di Cavaradossi), Sardou spiega il motivo della presenza a Roma “della Regina”. E’ Maria Carolina, Regina di Napoli, figlia di Maria Teresa d’Austria e sorella di Maria Antonietta. Moglie del Re di Napoli Ferdinando IV e «appositamente giunta da Livorno per dare, questa sera, 17 giugno, una grande festa a Palazzo Farnese, per celebrare la vittoria…Vi sarà un concerto seguito da un ballo con illuminazione a giorno su Palazzo Farnese, e musica…». Per chi oggi assiste ad una rappresentazione di Tosca è difficile capire cosa stia accadendo, quando Tosca, nel primo atto, corre verso la porta per andare dalla Regina, dal momento che nello spartito fino ad ora non si è mai accennato a alcuna sovrana. Nella Tosca di Puccini, una delle poche allusioni, sulla presenza di Reali è un «Viva il Re!» del coro nel I atto, all’annuncio della vittoria degli Austriaci a Marengo. Personaggi di rango reale compaiono ancora in una didascalia del II atto, nel momento in cui Scarpia ordina a Sciarrone di aprire la finestra perché «dal piano inferiore, ove la Regina di Napoli, Maria Carolina, dà una gran festa in onore di Melassi si ode il suonare di un’orchestra». Al contrario di Puccini, Sardou non dimentica di parlare della Regina Maria Carolina e non si dimentica di sottolineare che Tosca era da lei molto stimata: «Oh, sì, è molto buona verso di me» e che più volte pensò di chiederle la grazia per il suo amato. Ma Scarpia in un momento distrugge tutti i sogni di Tosca rivelandole che un ordine Maria Carolina d'Asburgo-Lorena, Regina di Napoli formale prevede che Cavaradossi sia fucilato prima dell’alba e che: «La Regina farebbe grazia ad un cadavere». G.G. Il Dal mondo della musica Giornale dei Grandi Eventi 15 Il Festival 2011 dal 27 luglio al 30 agosto A Salisburgo fra tradizione e modernità L a più spiccata peculiarità del Festival di Salisburgo risiede forse nell’inesausta dialettica fra tradizione e modernità, nella capacità di far percepire «quel che è di ieri come qualcosa di vivo», per usare le parole di Hofmannsthal, ponendo nel contempo le basi per la costruzione del futuro. L’arte come elemento imprescindibile della vita sociale, dunque, in grado di assumere un preciso intento morale. Nel 1920, anno della sua fondazione ufficiale, il Festival aspira a porsi come guida per un’umanità vittima delle tragedie della storia; la piccola cittadina austriaca, patria di Mozart, con i suoi panorami idilliaci e la sua collocazione distante dalle caotiche realtà urbane, appare il luogo ideale dove dar vita ad un sogno utopico immune dalle pressioni della contemporaneità. Anche oggi che la realtà si presenta profondamente mutata, il Festival mantiene il suo carattere ambizioso ed il suo ruolo protagonista nell’ambito della cultura europea. Particolarmente accattivante la programmazione prevista per l’edizione di questa estate (info su www.salzburgerfestspiele.at), in svolgimento dal 27 luglio al 30 agosto. Il Festival 2011 Riguardo ai titoli lirici in cartellone, di grande rilievo Die Frau ohne Schatten (La donna senz’ombra), forse il massimo risultato raggiunto da Richard Strauss nell’ambito del teatro musicale, affidata alla formidabile bacchetta di Christian Thielemann ed alla regia di Christof Loy (la “Prima” il 29 luglio). Riccardo Muti sarà impegnato nel Macbeth verdiano (dal 3 agosto), medesimo titolo con il quale aprirà la prossima stagione del Teatro dell’Opera di Roma, mentre ad Esa-Pekka Salonen, un grande direttore raramente ascoltato nel nostro Paese, viene affidato L’affare Makropulos di Janàcek, un compositore che vorremmo più presente sui palcoscenici italiani. Iolanta di Tchaikovsky viene accoppiata a Le Rossignol di Stravinsky, sul podio Ivor Bolton, mentre riguardo a Mozart, nume tutelare del Festival, il pubblico avrà l’occasione di assi- La città di Salisburgo stere all’intera trilogia dapontiana, come è accaduto solo altre due volte nella lunga storia della manifestazione. Si comincia con Le Nozze di Figaro il 27 luglio, giornata inaugurale, dirette dal giovane ma già affermato Robin Ticciati, si prosegue con Così fan tutte con l’orchestra Les Musiciens du Louvre guidata da Mark Minkowski, e si conclude con il Don Giovanni affidato ai Wiener Philharmoniker, sul podio Yannick Nézet-Séguin. Ampio spazio viene poi riservato alla musica contemporanea, con opere di Sciarrino, Nono, Birtwistle, Schnittke, e molti altri ancora. Nutrito il numero dei concerti in cartellone, con i Wiener impegnati in ben cinque differenti programmi e poi con numerose orchestre ospiti, fra le quali spicca quella dell’Accademia di S. Cecilia. Non bisogna inoltre dimenticare che, all’epoca della sua fondazione, il Festival poneva sul medesimo piano prosa e musica, salvo poi constatare una progressiva prevalenza di quest’ultima. Il teatro parlato mantiene, comunque, un posto di grande importanza, con la rappresentazione del classico Jedermann di Hofmannsthal nella versione ripresa da Christian Stückl, con la maratona dedicata al Faust goethiano curata dal regista Nicolas Stemann, con il dramma Immer noch Sturm di Peter Handke presentato in prima assoluta, solo per citare alcuni appuntamenti. Per chi volesse immergersi nelle accattivanti atmosfere del Festival e vivere la realtà locale, segnaliamo il sito www.salzburg.info, punto di riferimento ufficiale per chiunque voglia gustare a fondo l’offerta culturale della piccola città austriaca. Riccardo cenci In Libreria Il fascino del manoscritto di Tosca tra le mani S educe già da quella semplice copertina blu dei quadernoni d’altri tempi con le pagine a righe, l’anastatica della copia di lavoro del libretto di Tosca. Così questi due volumi editi per i tipi sempre qualitativi della Leo Olschki di Firenze, tendono a farsi aprire con quel rispetto che si ha verso le pagine che grondano di storia, nelle quali la “lettura” delle grafie permette di comprendere, di intuire i sentimenti degli autori più d’ogni scritto, più d’ogni parola. L’edizione presenta il testo completo del libretto di Tosca, corredato da aggiunte, correzioni, chiose, frammenti di bozze di stampa applicati sulle pagine, schizzi musicali e di piante sceniche. Vi si possono riconoscere, oltre alla scrittura calligrafica del copista, le mani di Giacomo Puccini, Luigi Illica, Giuseppe Giacosa e Giulio Ricordi. Nella lunga genesi dei capolavori pucciniani, la prima laboriosa fase era, infatti, quella della stesura del libretto: qualcuno di casa Ricordi spesso lo stesso Giulio Ricordi - preparava copie del libretto, scrivendo il testo solo sulle pagine dispari, per lasciare spazio, nelle pagine a fronte, ad annotazioni e correzioni. Le copie andavano poi ai librettisti ed al compositore, che se le scambiavano con l’intento di giungere alla redazione definitiva. Attraverso gli interventi di Illica, Giacosa, Ricordi, e soprattutto di Puccini, è possibile ricostruire l’appassionante dialogo che intercorse tra gli autori e l’editore, entrare, insomma nel vivo nel processo creativo ed individuare le fasi cruciali della genesi di Tosca. L’originale da cui è tratta l’anastatica e che appar tiene alla Cassa di Risparmio di Lucca, non è la sola copia di lavoro esistente del libretto di Tosca, ma essa ha un rilievo particolare perché è quella rimasta più a lungo sulla scrivania di Puccini, ed è, quindi, quella più ricca di annotazioni, correzioni, prescrizioni. Un manoscritto, insomma, che ci restituisce il suo pensiero. Si segnala in particolare la ricchezza inconsueta di abbozzi musicali, tra cui quello di E lucevan le stelle. Incanta così vedere – qui al pari dell’originale – tanti foglietti di carta vergati da Puccini o dai suoi libret- tisti, attaccati con la colla sulle varie pagine come aggiunte o note a quel determinato passo dell’opera. Puccini, nella sua precisione, talvolta annotava anche a margine del testo la posizione dei cantanti sulla scena, un accordo da riprendere poi nella partitura. Insomma, queste pagine curate dalla brava ed instancabile prof. Gabriella Biagi Ravenni, co-fondatrice e presidente del Centro Studi Puccini di Lucca (istituzione degna di rilievo in un panorama culturale italiano non sempre brillante) affascinano l’occhio e trascinano la mente, fornendo qualcosa di più di un importante strumento di studio. and. Mar. “Tosca” di Victorien sardou, Giuseppe Giacosa e luigi Illica; Musica di Giacomo Puccini - Facsimile della copia di lavoro del libretto. Edizione e commento a cura di Gabriella biagi Ravenni. centro studi Giacomo Puccini - Testi e documenti, vol. 2 - 2009, cm 23 x 33. Tomo I: 140 pp. di cui 134 di facsimile; Tomo II: XIII-140 pp. con 1 fig, 1 pieghevole ed es. mus. n.t. - € 120,00 www.acea.it Cento anni di know-how, una rete di acquedotti di oltre 46.000 km e acqua di qualità distribuita ogni giorno ad 8 milioni di italiani. Questa è la realtà di Acea. Una realtà all’avanguardia che fa bene all’ambiente, alla popolazione, al futuro. L’acqua, l’uomo, la tecnologia.