IL SOCRATE IMMAGINARIO RILETTURA FUTURISTA DI ROBERTO DE SIMONE di Fiorina Izzo Era il 23 febbraio 1775 quando al Teatro Nuovo di Napoli, con replica nella Reggia porticese (per volere del Re Ferdinando IV), andò in scena il Socrate Immaginario, opera buffa di Ferdinando Galiani. Il celebre economista, autore del trattato Della Moneta, era un fervente appassionato della cultura e delle lettere, come testimoniano gli studi linguistici sul dialetto napoletano, frequentando in Francia (dove visse per dieci anni) o salotti letterari, entrando in contatto con personaggi importanti dell’epoca, quali Diderot o Madame d’Epany. Una eco delle sue frequentazioni parigine ma soprattutto di quella che era la cultura imperante nella capitale francese si ha nell’unica sua pièce teatrale, ovvero il Socrate immaginario, musicata dal Paisiello su libretto di Giambattista Lorenzi. A distanza di secoli, il testo ha un’immane forza attrattiva, profilandosi come un unicum nell’ambito della cultura teatrale napoletana. Della riscrittura e relativa messa in scena operata dal regista Roberto De Simone ha discusso – nel corso di un seminario per gli studenti del Master in Letteratura, Scrittura e Critica Teatrale – Valeria Giannantonio dell’Università Gabriele D’Annunzio di Chieti. Il punto centrale della dissertazione resta l’opera dell’abate Galliani, la quale è intrisa di profonda malinconia (visibile nel personaggio di don Tammaro, il ricco borghese che si nutre di filosofia ed ha come modello Socrate). Proprio come il suo personaggio, il Galiani è a favore di una cultura passatista e sente nostalgia verso il periodo francese. Nell’opera, grande attenzione è data alla psicologia umana e alla filosofia empirica, che privilegia la Verità più che la natura. Innegabile i rapporti con la erudita rinascimentale e la commedia spagnoleggiante, per poi allontanarsene in favore del melodramma perché opera parodistica, del “piacere”. Se il testo originale sotto il profilo linguistico presenta un uso aulico del dialetto, con forme toscaneggianti e proverbiali (scelta che suscitò l’ira e lo scherno di Luigi Serio, fautore del “vecchio” dialetto del Cortese o del Basile), quello presentato da De Simone nel 2005 (23 settembre, Teatro San Carlo) sotto la direzione di Antonio Fogliani ha un volto totalmente nuovo, tanto da suscitare giudizi contrastanti. Innovazioni linguistiche e, ancor di più, contenutistiche: Antonio Lubrano interpreta, fuori scena, il Galiani stesso che illustra la trama dell’opera al grecista Saverio Mattei (Francesco Iavarone) e a Giulia Piscicelli Capece (Antonella Morea). Il salotto con i tre personaggi fa da commento allo svolgimento dell’azione, senza entrare a far parte dell’azione stessa. Galiani dunque osservatore e spettatore della sua opera messa in scena. Con questa sorta di coupe du theatre, De Simone ha creato un effetto di grande metateatralità.