i
i ir7 ,1;11
19 6
IloiliTumir
ori! 11 i
il I
il
1 11
ilil'i I
r 11:1"1 i i l 1 1 1,1: Ì
i
FEDE
li Sonate lmma9ktatko
03DIZM,33. 932.35339,2
-■
-■
:14
Un libretto che onora l'Italia quanto la migliore
commedia Goldoniana, una musica che procura in
tre ore tanto godimento artistico quanto non ne producano in tre anni le scatalogie nauseanti dalle quali le moderne Muse si compiacciono; una satira arguta e tagliente sì da richiedere ben cinque anni
prima che il satireggiato digerisse il dispetto : tale è
il « Socrate Immaginario »
Bellissima opera buffa, capolavoro di quella feconda scuola napoletana che si onora dei nomi di Pergolese e di Cimarosa, e capolavorò nel contempo di
.Giovanni Paisiello. Non certo alla guisa della giustamente celebre « Nina pazza per amove » , gioiello
di purezza artistica e di sentimentale vena melodica,
ma evidente superiore al « Barbiere di Siviglia» che
pure è più noto e, forse, solo per aver servito di
estro al Barbiere Rossiniano e di casus belli fra i
conservatori e gli innovatori musicali del principio
dell'Ottocento.
Nacque il « Socrate » senza idea di satira o di irriverenza a D. Saverio Mattei, barone, avvocato e
professore di ebraico all'Università di Napoli, amatore e buon critico di arte musicale, biografo del
Jommelli e fondatore dell'archivio della Scuola Musicale Napoletana : insomma uomo dotto e di indiscutibili meriti.
Non solo, ma eziandio uomo paziente, in vero soicraticamente, nel tollerare le gelosie e le furie atrabiliari della propria metà, Donna Giulia Capece - Piscicelli, vera Xantippe del declinante 700.
E furono proprio le curiose scenette di famiglia,
tra la ruggibonda mogliera ed il paziente marito - paziente, utile e bene spesso bastonato, al par dell'asino leggendario — ad ispirare i due abatini letterati
D. Ferdinando Galiani e D. Giambattista Lorenzi,
autori del libretto.
Non pertanto, ciascuno dei due si attibuisce il merito di tutta l'opera, quando si trovano a parlarne e,
mentre tale appropriazione totale trova una giustificazione dal lato del Galiani, nel fatto che questi ne
scriveva alla parigina Madame D'Èpinay, sua ammiratrice e forse anche qualcosa di più, e ne parlava a belle dame della gaia Partenope, dalle quali
ambiva tutti per se gli applausi e le lodi; dal lato
del Lorenzi, invece, l'esclusivo accaparramento non
avrebbe altra ragione che la preoccupazione di un
uomo di teatro, di un librettista che va per la maggiore, ed al quale sembra che gli possa nuocere — tanto per la gloria che per il compenso — un collaboratore sia pure di spiritò e disinteressato come il Galiani.,
Nè vi sono documenti tali che possano mettere la
critica odierna in condiziOne di dare a Cesare quel
che spetta a Cesare, a malgrado anche delle affer-
mazioni del Settembrini, del Buonvino e del Sainte - Beuve, affermazioni, inutile dirlo, contraddicentisi.
Piuttosto bisogna accogliere il libretto del Socrate
Immaginario come il prodotto di una di quelle collaborazioni letterarie, tanto diffuse in Francia specialmente, e delle quali ben pochi esempi nella nostra letteratura si annoveranno.
Al Galiani - definito l'uomo più spiritoso del mondo dal 'Voltaire, il quale se ne intendeva, — compete
senza dubbio la idea iniziale del lavoro, i motti più graziosi e più umoristici, e la parte aristofanesca e pseudo - classicheggiante del lavoro. E sopratutto a lui
spetta la creazione dei due tipi fondamentali della
commedia : D. Tammaro ( Socrate) ed il Barbiere
filosofeggiante mastro Antonio ( Platone ), che costituiscono tutta l'importanza e la bellezza dell'opera se non l'assoluta originalità. In quanto Don
Miguel de Cervantes Saavedra può vantarne a buon
diritto la paternità, gíacchè, come l'Eroe dalla triste
figura, infatuato dalla cognizione limitata e popolaresca delle vite dei Cavalieri Erranti, muore seguito da
Sancio Pancia alla restaurazione di quelle gesta paladinesche, così un uomo semplice, se pur dL una certa
cultura, infatuato dalla cognizione limitata e volgare
delle vite dei filosofi antichi, muove, seguito dal'proprio barbiere, alla restaurazione dell'antica filosofia.
Al Lorenzi, invece, non può attribuirsi altro che
la stesura del lavoro e quindi tutta quella parte, diremo così, di mestiere teatrale, al quale egli era espertissimo. Infatti la fattura dei versi, agili e melodiosi
adattissimi per la musica, sebbene un pò vacui, e
la costruzione di molte scene ed episodii romanzeschi e librettistici, a base di macchiette comiche e
sentimentali, di servitori e di camerieri, di tutti quegli ammenicoli ed ingredienti per tirare avanti l'azione, sono senza alcun dubbio — anche per chi ne ab
bia una limitata conoscenza — di maniera prettamente
lorenziana.
Il lavoro, ornato della musica di Giovanni Paisiello, fu messo in iscena e rappresentato nell'Ottobre
1775 al Teatro Nuovo. Il successo fu, magnifico,
quale del resto l'opera meritava, ma del pari fu enorme lo scandalo che ne derivò. Come si è detto, i
poeti non si erano mai sognato di mettere in berlina il loro eccellente amico D. Saverio Mattei, il quale, dopo tutto, si faceva perdonare la sua prosopopea ed il suo amore per il grecismo a tutta oltranza
con dei lauti pranzetti; ma il pubblico — quel malignone di un pubblico che fa dire agli scrittori quello che non hanno pensato mai — trovò che il Socrate era una commedia a chiave e che dove era
scritto D. Tammaro, bisognava leggere D. Saverio
Mattei e che D. Rosa moglie di D. Tammaro non
era altro che D. Giulia Capece moglie di D. Saverio e così per tutti gli altri personaggi minori.
■
, liil 7 1 ,
11,1':"Li,.H1+TiltiPT4"'111,11171iliiii:nwilinli'llilv,'I'll,
197
RIVISTA D'ARTE E DI CULTURA
La Censura ed il Barone Mattei dovettero per
quella volta bon grè mal grè adattarsi a chinare la
fronte al capriccio regale. Il pubblico rivede con piacere l'opera contesa ed essendo sbollite le prime ire
ed i primi facili eutusiasmi, ne gustò più raccoltatnente le bellezze che la musica paisielliana vi ha
profuse.
Il « Socrat;» ed il Matrimonio Segreto>> sono gli
esponenti più cospicui dell'opera buffa napoletana e
ressero all'ammirazione delle platee per quasi ottanta anni mentre urgevano eventi storici importantissimi e sanguinosi ed avventi artistici preparavano
nuove sensibilità e nuovi modi di espressione per il
naturale evolversi dell'arte.
Quando ormai della vera opera buffa napoletana
non restavano che pallidi ricordi lontani e polverosi'
spartiti negli archivi musicali e già pel mondo sospiravano, trillavano e risuonavano le nuove musiche del Cigno Pesarese, il Tamburrossini dei conservatori, ancora l'onda melodica di Giovanni Paisiello
si svolgeva languida e sensuale, spensierata e brillante, e proprio per questo aristofanesco « Socrate
Immaginario », trait d'union fra il riso grassoccio e
giovialone del Cimarosa e quello furbesco ed ammiccante di Gioacchino Rossini. .
LUIGI MAGGIO
I buoni napoletani risero un mondo alla satira arguta decretando all'opera un successo trionfale, ma
la R. Censura fece presto a mettere il suo più rigoroso veto alle ulteriori rappresentazioni, in omaggio
al dotto uomo deriso. E, benchè il nipote del Barone
affermi che lo zio non portò astio alcuno agli autorici vollero ben cinque anni prima che D. Saverio ac-,
cettasse con pazienza socratica, lo scherzo combinatogli da quei due mattacchioni del Galiani e del Lorenzi. Invero ne veniva messa in ridicolo la vanità
del dotto professore, non solo, ma quella parte del
suo sapere che per lui era una specie di fissazione
e che pure gli aveva procurate le lodi più accese
degli eruditi e letterati suoi contemporanei, e quelle
scenette coniugali che gli amareggiavano l'esistenza.
Nella primavera del 1780 il « Socrate Immaginario»
venne rimesso in iscena al Teatro nuovo istesso per
ordine di S. M. il Re, se si deve credere ad una
lettera scritta del Galiani al Paisiello il quale allora
si trovava in Russia, per dargli conto dell'esito lusinghiero della rèprise del lavoro.
Esito dovuto soltanto alla bellezza della musica,
questa volta, in quanto fu proprio ed esclusivamente per udirla e farla udire che il Re volle che si rimettesse in iscena in occasione di una gita a Napoli
dell'Arciduca Imperial Regio Governatore di Milano.
GIC4h$A)C1■CC-C~5)0~22KW.K.HAMASICL2t
•
65).
S. e5D
:
C OLMSS E0
O simulacro della prisca Roma!
Almo reliquiario di sublime
Contemplazione al Tempo consegnato
Da profondati secoli d'imperio,
Oh! alfine, affin, dopo sì lungo tedio
Di romeaggio e sì cocente sete
Della scienza che ha in te sì vive palle,
Io mi prostro, mutalo, umile uomo,
Fra le tue ombre e tutta l'alma imbevo
Di tua possanza, tua tristezza e gloria.
Immensità, Passato, alle Memolie,
E Silenzio e Squallori e opaca Notte,
Or ben vi sento in ogni vostra possa,
O incanti veri più che re Giudeo
Mai spiegò di Getsemani negli orti,
O più gagliardo fascino di quello
Che, intento al ciel, l'estatico Caldeo
Mai derivò dalle quiete stelle!
Qui, dove cade una colonna, cadile
Un eroe; dove sfolgorava un giorno
L'aquila d'oro, solo, a mezzanotte,
Vigila e ascolta il bruno pipistrello ;
Qui, dove l'aurea chioma fluttuante
Cedeano .al vento le romulee dame,
Ora ondeggiando va la canna e il cardo;
Dove giacea il monarca in soglio aerato,
Qual ombra serpe al suo marmoreo speco,
Chiaro al pallido albor della bicorne
Luna, il nepente e tacito ramarro.
02gooaKW)CH.ZCZNXW
C‹.-9 ((.9 4,9
6-3 6•5 e-5) S.)
ES)
CS) Ci)
111"
150 ci izciAr Aiicri Pota
ta
Ma ferma! queste mura, queste arcate
D'edera attorte, questi plinti erosi,
Questi crucciati fusti nericanti,
Questi consunti cornicioni, questo
Fregio che crolla, queste sgretolate
Cornici, questi avanzi, questo scempio,
Ahi! queste pietre, queste grigie pietre,
Son forse tutto, tutto che d'insigne
E d'immenso dall' Ore corrosive
Alla Sorte lasciato fu ed a me?
« Non tutto! « Gli echi esclamano, » non tutto!
« Profetici, alti suoni da noi sempre
« E dai Ruderi levansì pel saggio,
« Qual da Memnone al Sol dolce melode.
« Noi governiamo i cuor dei più potenti;
« Con dispotico impecio governiamo
« Ogni mente gigante. Oh, noi deserti,
« Ma impotenti non siam, noi smorti sassi!
« Non tutto dileguò il dominio nostro,
« Non la fama e magia d'alta nomanza,
« Non l'aura di prodigio che ne avvolge,
« Nè il pondo dei misteri in noi giacenti,
« Nè il fasto dei ricordi, che su noi
« Stendonsi e come clamide ci ammantano,
« D'una veste adornandoci in eterno
« Sì fulgida che vai più delle gloria ».
Lecce, ottobre 1925.
Bellalina Forzato-Spezia
%.9(<,9
(.3
£5)
el ia.z 1 c• e. dei
8
2
NJ
•
t
Scarica

li Sonate lmma9ktatko