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SEZIONE II - LA NARRAZIONE BREVE
dal racconto orale alla novella
Luigi Pirandello
Una giornata
la storia
i personaggi
il tempo
lo spazio
il narratore e la
focalizzazione
le tecniche
espressive
la lingua
e lo stile
LA NOVELLA
Una giornata fu pubblicato sul “Corriere della Sera” nel 1935. La produzione
novellistica, romanzesca e drammaturgica di Pirandello presenta un frequente interscambio di temi, situazioni e personaggi da un genere all’altro. Nelle novelle emerge, soprattutto, la crisi d’identità dell’uomo moderno, che non è più “uno”, ma “tanti” e non soltanto «secondo tutte le
possibilità d’essere che sono in noi», ma anche secondo «quello che gli altri
lo fanno». Ogni uomo, cioè, non soltanto reca in sé molteplici “possibilità di
essere”, ma è anche di volta in volta diverso a seconda di quello che “gli
altri”, ciascuno dal proprio punto di vista, vedono in lui. Ogni identità umana
non è perciò soltanto, in se stessa, irriducibile a un’unità, ma è anche relativa al punto di vista dal quale la si osserva e nessun principio tradizionale
può discriminarla come vera o falsa, razionale o irrazionale, normale o folle.
Di conseguenza, ogni componente della narrazione soggiace al medesimo
criterio di relatività, tanto che il concetto stesso di “realtà” finisce con l’apparire come non pertinente. Una giornata potrebbe quindi essere definito
tanto come la trascrizione realistica di un sogno, quanto come l’onirica trascrizione della realtà.
genere
filosoficopsicologico
tratto da
Novelle per
un anno
anno
1935
luogo
Italia
trappato dal sonno, forse per sbaglio, e buttato fuori dal treno in una stazione di passaggio.1 Di notte; senza nulla con me.
Non riesco a riavermi dallo sbalordimento. Ma ciò che più mi impressiona è che non mi trovo addosso alcun segno della violenza patita; non solo,
ma che non ne ho neppure un’immagine, neppur l’ombra confusa d’un ricordo.
Mi trovo a terra, solo, nella tenebra d’una stazione deserta; e non so a chi rivolgermi per sapere che m’è accaduto, dove sono.
Ho solo intravisto un lanternino cieco,2 accorso per richiudere lo sportello
del treno da cui sono stato espulso. Il treno è subito ripartito. E subito scomparso nell’interno della stazione quel lanternino, col riverbero vagellante3 del
suo lume vano.4 Nello stordimento, non m’è nemmen passato per il capo di
corrergli dietro per domandare spiegazioni e far reclamo.
Ma reclamo di che?
Con infinito sgomento m’accorgo di non aver più idea d’essermi messo in
viaggio su un treno. Non ricordo più affatto di dove sia partito, dove diretto;
e se veramente, partendo, avessi con me qualche cosa. Mi pare nulla.
Nel vuoto di questa orribile incertezza, subitamente5 mi prende il terrore di
quello spettrale lanternino cieco che s’è subito ritirato, senza fare alcun caso
della mia espulsione dal treno. È dunque forse la cosa più normale che a questa stazione si scenda così?
Nel buio, non riesco a discernerne6 il nome. La città mi è però certamente
ignota. Sotto i primi squallidi barlumi dell’alba, sembra deserta. Nella vasta
S
1. stazione di
passaggio: stazione
ferroviaria di piccole
dimensioni, per lo più di
una piccola città o di un
paese.
2. lanternino cieco:
piccola lanterna la cui
luce può esser
convogliata in una sola
direzione o può essere
completamente
schermata. In questo
caso siamo di fronte ad
una personificazione,
poiché si intende la
persona che regge il
lanternino.
3. vagellante:
tremolante.
4. lume vano: luce
occultata, nascosta, che
non rischiara.
5. subitamente:
improvvisamente, di
colpo.
6. discernerne:
leggerne, vederne,
distinguerne.
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Luigi Pirandello nacque nel 1867 ad Agrigento
piazza livida7 davanti alla stazione
da famiglia borghese. Accademico d’Italia dal
8
c’è un fanale ancora acceso. Mi ci
1929, nel 1934 fu insignito del premio Nobel per
appresso;9 mi fermo e, non osando
la letteratura. Sin dalle prime opere affiorano i
motivi tipici della sua produzione novellistica, roalzar gli occhi, atterrito come sono
manzesca e drammaturgica, che possono riassudall’eco che hanno fatto i miei
mersi nella presa di coscienza della frammentazione della personalità, nell’impossibilità di
passi nel silenzio, mi guardo le
definire univocamente l’identità, in una disperata
mani, me le osservo per un verso e
visione del mondo che si risolve talvolta nella riper l’altro, le chiudo, le riapro, mi
vendicazione della volontà individuale, talaltra
nell’assunzione di una “maschera”, psicologica o sociale, la cui paradostasto con esse, mi cerco addosso,10
sale funzione è di “smascherare” l’ipocrisia delle norme che regolano il vianche per sentire come son fatto,
vere sociale. Tappe fondamentali della sua opera sono le Novelle per un
anno (1922-37), i romanzi Il fu Mattia Pascal (1904), Quaderni di Serafino
perché non posso più esser certo
Gubbio operatore (1925), Uno, nessuno e centomila (1926). Nelle opere
nemmeno di questo: ch’io realteatrali pubblicate e rappresentate tra gli anni Dieci e gli anni Trenta si acmente esista e che tutto questo sia
centua la visione di un mondo dominato da condizioni sociali e psicologiche di inautenticità: Cosi è (se vi pare), Il piacere dell’onestà, Il giuoco delle
vero. Poco dopo, inoltrandomi fin
parti, Ma non è una cosa seria, Tutto per bene, La signora Morli, una e due,
nel centro della città, vedo cose
Come prima meglio di prima, Enrico IV, Vestire gli ignudi, La vita che ti
diedi, Trovarsi, Come tu mi vuoi. A dare notorietà internazionale all’autore
che a ogni passo mi farebbero refu soprattutto la trilogia del “teatro nel teatro”: Sei personaggi in cerca
11
stare dallo stupore, se uno stud’autore, Ciascuno a suo modo e Questa sera si recita a soggetto. Piranpore più forte non mi vincesse nel
dello morì a Roma nel 1936, mentre stava lavorando al dramma I giganti
della montagna.
vedere che tutti gli altri, pur simili
a me, ci si muovono in mezzo
senza punto badarci,12 come se per
loro siano le cose più naturali e più
solite. Mi sento come trascinare, ma anche qui senz’avvertire che mi si faccia
violenza. Solo che io, dentro di me, ignaro di tutto, sono quasi da ogni parte 7. livida: rischiarata da
ritenuto.13 Ma considero che, se non so neppur come, né di dove, né perché una luce tenue, pallida;
plumbea.
ci sia venuto, debbo aver torto io certamente e ragione tutti gli altri che, non 8.
fanale: apparecchio di
solo pare lo sappiano, ma sappiano anche tutto quello che fanno sicuri di non illuminazione stradale
posto per lo più a una
sbagliare, senza la minima incertezza, così naturalmente persuasi a fare come certa altezza dal suolo.
fanno, che m’attirerei certo la maraviglia, la riprensione,14 fors’anche l’indi- 9. mi ci appresso: mi ci
avvicino.
gnazione se, o per il loro aspetto o per qualche loro atto o espressione, mi 10. Mi cerco addosso:
mettessi a ridere o mi mostrassi stupito. Nel desiderio acutissimo di scoprire tocco più volte il mio
corpo come per
qualche cosa senza farmene accorgere, debbo di continuo cancellarmi dagli accertarmi della mia
esistenza.
occhi quella certa permalosità15 che di sfuggita tante volte nei loro occhi reale
11. restare: arrestare,
hanno i cani. Il torto è mio, il torto è mio, se non capisco nulla, se non riesco fermare.
senza punto
ancora a raccapezzarmi. Bisogna che mi forzi a far le viste16 d’esserne anch’io 12.
badarci: senza
persuaso e che m’ingegni di far come gli altri, per quanto mi manchi ogni accorgersene, senza
manifestare particolare
criterio e ogni pratica nozione, anche di quelle cose che paiono più comuni e attenzione.
13. ritenuto: trattenuto,
più facili.
richiamato all’attenzione
17
Non so da che parte rifarmi, che via prendere, che cosa mettermi a fare.
per lo stupore o la
Possibile però ch’io sia già tanto cresciuto, rimanendo sempre come un bam- sorpresa.
14. riprensione:
bino e senz’aver fatto mai nulla? Avrò forse lavorato in sogno, non so come. rimprovero, biasimo.
15. permalosità:
Ma lavorato ho certo; lavorato sempre, e molto, molto. Pare che tutti lo sap- espressione
di
piano, del resto, perché tanti si voltano a guardarmi e più d’uno anche mi sa- risentimento e fastidio.
far le viste: fare
luta, senza ch’io lo conosca. Resto dapprima perplesso, se veramente il saluto 16.
finta.
sia rivolto a me; mi guardo accanto; mi guardo dietro. Mi avranno salutato 17. da che parte
rifarmi: come
per sbaglio? Ma no, salutano proprio me. Combatto, imbarazzato, con una comportarmi, come
certa vanità che vorrebbe e pur non riesce a illudersi, e vado innanzi come so- agire.
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18. spiccico: apro,
stendo per potere vedere
meglio.
19. biglietto di banca:
banconota.
20. languore: fame.
21. prenda: mangi.
115
speso, senza potermi liberare da uno strano impaccio per una cosa – lo riconosco – veramente meschina: non sono sicuro dell’abito che ho addosso; mi
sembra strano che sia mio; e ora mi nasce il dubbio che salutino quest’abito e
non me. E io intanto con me, oltre a questo, non ho più altro!
Torno a cercarmi addosso. Una sorpresa. Nascosta nella tasca in petto della
giacca tasto come una bustina di cuoio. La cavo fuori, quasi certo che non
appartenga a me ma a quest’abito non mio. È davvero una vecchia bustina di
cuoio, gialla scolorita slavata, quasi caduta nell’acqua di un ruscello o d’un
pozzo e ripescata. La apro, o, piuttosto, ne stacco la parte appiccicata, e vi
guardo dentro. Tra poche carte ripiegate, illeggibili per le macchie che l’acqua v’ha fatte diluendo l’inchiostro, trovo una piccola immagine sacra, ingiallita, di quelle che nelle chiese si regalano ai bambini e, attaccata ad essa
quasi dello stesso formato e anch’essa sbiadita, una fotografia. La spiccico,18 la
osservo. Oh. È la fotografia di una bellissima giovine, in costume da bagno,
quasi nuda, con tanto vento nei capelli e le braccia levate vivacemente nell’atto di salutare. Ammirandola, pur con una certa pena, non so, quasi lontana, sento che mi viene da essa l’impressione, se non proprio la certezza, che
il saluto di queste braccia, così vivacemente levate nel vento, sia rivolto a me.
Ma per quanto mi sforzi, non arrivo a riconoscerla. È mai possibile che una
donna così bella mi sia potuta sparire dalla memoria, portata via da tutto quel
vento che le scompiglia la testa? Certo, in questa bustina di cuoio caduta un
tempo nell’acqua, quest’immagine, accanto all’immagine sacra, ha il posto
che si dà a una fidanzata.
Torno a cercare nella bustina e, più sconcertato che con piacere, nel dubbio
che non m’appartenga, trovo in un ripostiglio segreto un grosso biglietto di
banca,19 chi sa da quanto tempo lì riposto e dimenticato, ripiegato in quattro,
tutto logoro e qua e là bucherellato sul dorso delle ripiegature già lise.
Sprovvisto come sono di tutto, potrò darmi aiuto con esso? Non so con qual
forza di convinzione, l’immagine ritratta in quella piccola fotografia m’assicura che il biglietto è mio. Ma c’è da fidarsi d’una testolina così scompigliata
dal vento? Mezzogiorno è già passato; casco dal languore:20 bisogna che
prenda21 qualcosa, ed entro in una trattoria.
Con maraviglia, anche qui mi vedo accolto come un ospite di riguardo, molto
gradito. Mi si indica una tavola apparecchiata e si scosta una seggiola per invitarmi a prender posto. Ma io son trattenuto da uno scrupolo. Fo cenno al
padrone e, tirandolo con me in disparte, gli mostro il grosso biglietto logorato. Stupito, lui lo mira; pietosamente per lo stato in cui è ridotto, lo esamina; poi mi dice che senza dubbio è di gran valore ma ormai da molto
tempo fuori di corso. Però non tema: presentato alla banca da uno come me,
sarà certo accettato e cambiato in altra più spicciola moneta corrente.
Così dicendo il padrone della trattoria esce con me fuori dell’uscio di strada
e m’indica l’edificio della banca lì presso.
Ci vado, e tutti anche in quella banca mi si mostrano lieti di farmi questo favore. Quel mio biglietto – mi dicono – è uno dei pochissimi non rientrati ancora alla banca, la quale da qualche tempo a questa parte non dà più corso se
non a biglietti di piccolissimo taglio. Me ne danno tanti e poi tanti, che ne
resto imbarazzato e quasi oppresso. Ho con me solo quella naufraga bustina
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di cuoio. Ma mi esortano a non confondermi. C’è rimedio a tutto. Posso lasciare quel mio danaro in deposito alla banca, in conto corrente. Fingo d’aver
compreso; mi metto in tasca qualcuno di quei biglietti e un libretto che mi
danno in sostituzione di tutti gli altri che lascio, e ritorno alla trattoria. Non
vi trovo cibi per il mio gusto; temo di non poterli digerire. Ma già si dev’essere sparsa la voce ch’io, se non proprio ricco, non sono certo più povero; e
infatti, uscendo dalla trattoria, trovo un’automobile che m’aspetta e un autista che si leva con una mano il berretto e apre con l’altra lo sportello per
farmi entrare. Io non so dove mi porti. Ma com’ho un’automobile, si vede
che, senza saperlo, avrò anche una casa. Ma sì, una bellissima casa, antica,
dove certo tanti prima di me hanno abitato e tanti dopo di me abiteranno.
Sono proprio miei tutti questi mobili? Mi ci sento estraneo, come un intruso.
Come questa mattina all’alba la città, ora anche questa casa mi sembra deserta; ho di nuovo paura dell’eco che i miei passi faranno, movendomi in
tanto silenzio. D’inverno, fa sera prestissimo; ho freddo e mi sento stanco.
Mi faccio coraggio; mi muovo; apro a caso uno degli usci; resto stupito di trovar la camera illuminata, la camera da letto e, sul letto, lei, quella giovine del
ritratto, viva, ancora con le due braccia nude vivacemente levate, ma questa
volta per invitarmi ad accorrere a lei e per accogliermi tra esse, festante.
È un sogno?
Certo, come in un sogno, lei su quel letto, dopo la notte, la mattina all’alba,
non c’è più. Nessuna traccia di lei. E il letto, che fu così caldo nella notte, è
Lucian Freud (1922),
Autoritratto, 1963,
particolare.
Lo sguardo si riduce a
una piega scura,
inaccessibile. La
regolarità di ampi strati
bruni applicati in
orizzontale allo sfondo
contrasta con il volto
fortemente illuminato,
composto e a un tempo
come deformato dalla
rapidità della veloce
pennellata.
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ora, a toccarlo, gelato, come una tomba. E c’è in tutta la casa quell’odore che
cova nei luoghi che hanno preso la polvere, dove la vita è appassita da tempo,
e quel senso d’uggiosa22 stanchezza che per sostenersi ha bisogno di ben regolate e utili abitudini. Io ne ho avuto sempre orrore. Voglio fuggire. Non è
possibile che questa sia la mia casa. Questo è un incubo. Certo ho sognato
uno dei sogni più assurdi. Quasi per averne la prova, vado a guardarmi a uno
specchio appeso alla parete dirimpetto, e subito ho l’impressione d’annegare,
atterrito, in uno smarrimento senza fine. Da quale remota lontananza i miei
occhi, quelli che mi par d’avere avuti da bambino, guardano ora, sbarrati dal
terrore, senza potersene persuadere, questo viso di vecchio? Io, già vecchio?
Così subito? E com’è possibile?
Sento picchiare all’uscio. Ho un sussulto. M’annunziano che sono arrivati i
miei figli.
I miei figli?
Mi pare spaventoso che da me siano potuti nascere figli. Ma quando? Li avrò
avuti ieri. Ieri ero ancora giovane. È giusto che ora, da vecchio, li conosca.
Entrano, reggendo per mano bambini, nati da loro. Subito accorrono a sorreggermi; amorosamente mi rimproverano d’essermi levato di letto; premurosamente mi mettono a sedere, perché l’affanno mi cessi. Io l’affanno? Ma
sì, loro lo sanno bene che non posso più stare in piedi e che sto molto molto
male.
Seduto, li guardo, li ascolto; e mi sembra che mi stiano facendo in sogno uno
scherzo.
Già finita la mia vita?
E mentre sto a osservarli, così tutti curvi attorno a me, maliziosamente, quasi
non dovessi accorgermene, vedo spuntare nelle loro teste, proprio sotto i
miei occhi, e crescere, crescere non pochi, non pochi capelli bianchi.
– Vedete, se non è uno scherzo? Già anche voi, i capelli bianchi.
E guardate, guardate quelli che or ora sono entrati da quell’uscio bambini:
ecco, è bastato che si siano appressati alla mia poltrona: si son fatti grandi; e
una, quella, è già una giovinetta che si vuol far largo per essere ammirata. Se
il padre non la trattiene, mi si butta a sedere sulle ginocchia e mi cinge il collo
con un braccio, posandomi sul petto la testina.
Mi vien l’impeto di balzare in piedi. Ma debbo riconoscere che veramente
non posso più farlo. E con gli stessi occhi che avevano poc’anzi quei bambini,
ora già così cresciuti, rimango a guardare finché posso, con tanta tanta compassione, ormai dietro a questi nuovi, i miei vecchi figliuoli.
Una giornata, in Novelle per un anno, vol. III, t. I, Mondadori, Milano 1990
22. uggiosa: triste,
tediosa, fastidiosa.
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CAPITOLO DUE
il racconto tra realtà e fantasia
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STRUMENTI DI LETTURA
La storia
La struttura molto particolare di questo racconto può essere paragonata alla tecnica cinematografica detta piano-sequenza, nella
quale, anziché frammentare un’azione in diverse inquadrature, la ripresa avviene mediante una sola inquadratura, la cui durata
coincide con quella dell’azione stessa.
L’obiettivo del piano-sequenza è restituire
allo spettatore la stessa sensazione di
“continuità” che normalmente abbiamo
nella nostra percezione del reale. Si tratta
quindi di un procedimento “realista”, non nel
senso di mera riproduzione della realtà,
bensì di restituzione della sua complessità e
ambiguità. In Una giornata è la storia di
un’intera vita a essere narrata, senza soluzione di continuità, nell’arco di un sol
giorno. Accanto all’ininterrotta continuità di
un’azione (il piano-sequenza di un’intera vita)
Pirandello mette anche in luce tuttavia la
profonda modificazione, fisica e psicologica, che il trascorrere del tempo determina nel protagonista.
Il personaggio
narratore
La coincidenza tra la continuità spazio-temporale di un piano-sequenza e la rappresentazione della realtà comporta, inevitabilmente, la ripresa di un’azione nel suo
esistere al tempo presente, “qui” e “ora”.
La restituzione della realtà in un unico pianosequenza equivale a quel tipo di ripresa che
nel linguaggio cinematografico si definisce
una soggettiva, quindi, in questo caso, è
implicita l’adesione a un unico punto di
vista, quello del personaggio narratore. Il
“linguaggio dell’azione” si esprime dunque
sempre e soltanto in rapporto a un unico
soggetto, aderendo all’inevitabile parzialità
del suo punto d’osservazione e del suo
“modo” di guardare.
Il tempo e lo spazio
È innanzitutto l’uso particolare che in questo
racconto viene fatto del tempo e dello spazio
a giustificare il richiamo alla tecnica del
piano-sequenza. Similmente, nell’ambito
della fisica, potremmo richiamarci alla teoria
della relatività (vedi a p. 326), di
Einstein
Vedi Appendice , secondo la quale, nell’uni-
verso, lo spazio non ha una realtà “obiettiva”,
se non come disposizione degli oggetti che
distinguiamo in esso, così come il tempo non
esiste “obiettivamente”, se non per la successione degli avvenimenti con cui lo misuriamo. Sulla base di queste considerazioni,
dovremmo dunque ammettere la legittimità
dello spazio-tempo pirandelliano, dove il
massimo della continuità (la storia di una
vita) si salda con il massimo dell’elisione,
del “non-detto” (una vita “abbreviata” in tre
pagine). Lo spazio e il tempo della vita del
protagonista del racconto non sono uno spazio e un tempo “obiettivi”, bensì quelli che,
per ragioni misteriose, egli stesso percepisce
e che, per quanto arbitrari in apparenza, durante la lettura ci coinvolgono diventando il
nostro spazio e il nostro tempo.
Le tecniche espressive
Alla scelta di un unico “tempo” del racconto,
quello presente e di un unico punto di vista,
quello del personaggio narratore, corrisponde, sul piano narrativo, la scelta pressoché esclusiva della trascrizione attraverso il
monologo interiore dei pensieri dello
stesso personaggio narratore. È proprio questo tipo di trascrizione, svolta al tempo presente, che può definirsi come l’equivalente
letterario di ciò che nel linguaggio cinematografico viene detto piano-sequenza.
La lingua e lo stile
Una giornata si potrebbe definire un racconto “ansiogeno”, cioè generatore d’ansia, d’angoscia, di una costante sensazione
d’inquietudine e incertezza. Il personaggio
narratore non sa nulla di se stesso né del
mondo che lo circonda, è smarrito e spaventato. Il linguaggio e lo stile del racconto comunicano al lettore le sue stesse sensazioni,
non solo descrivendo la realtà come un mistero indecifrabile, ma anche ricorrendo insistentemente a formule dubitative, al punto
di domanda, a un’aggettivazione che sottolinea, sin nei minimi dettagli, l’incombere
della sensazione della morte.
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dal racconto orale alla novella
di
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LABORATORIO
Comprensione
1 Dove si trova il narratore all’inizio del racconto?
2 Che cosa ritiene di dover fare?
3 Di che cosa non riesce a capacitarsi?
4 Che cosa trova nella tasca interna della propria giacca?
5 Perché guarda con compassione i propri figli?
6 Quali caratteri del racconto permettono di ascriverlo al genere filosoficopsicologico?
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Laboratorio
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Comprensione globale
7 Il protagonista sperimenta una vasta gamma di sentimenti: dallo stupore alla confusione fino alla compassione. Ripercorri il racconto e descrivi gli stati d’animo, così come si susseguono nel testo.
di
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Analisi
La storia
Vedi a p. 6
8 Il brano può essere diviso in sequenze (inquadrature), segnalate dal cambiamento dei luoghi o delle situazioni. Te ne segnaliamo otto. Attribuisci a
ciascuna un titolo in stile nominale.
Sequenze
Titolo
1. Righi 1-21
.............................................................................................................................................................................
2. Righi 22-74
.............................................................................................................................................................................
3. Righi 75-93
.............................................................................................................................................................................
4. Righi 94-112
.............................................................................................................................................................................
5. Righi 113-122
.............................................................................................................................................................................
6. Righi 123-137
.............................................................................................................................................................................
7. Righi 138-150
.............................................................................................................................................................................
8. Righi 151-176
.............................................................................................................................................................................
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il racconto tra realtà e fantasia
Il personaggio narratore
LE
SS
IC
O
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Vedi a p. 24 e 88
9 In quale persona è narrata la vicenda?
Prima
Terza
Il narratore è:
interno
esterno
La focalizzazione è:
fissa
variabile
multipla
10 Il narratore sembra accompagnato da una costante sensazione di smarrimento, come se gli mancasse «...ogni criterio e ogni pratica nozione, anche
di quelle cose che paiono più comuni e più facili» (righi 59-60).
Sottolinea in rosso nel testo tutti quei passaggi in cui questa sensazione di
confusione, d’incertezza, a volte di vera e propria paura si manifesta con particolare evidenza.
Individua e trascrivi gli aggettivi usati nel racconto per sottolineare situazioni
e stati d’animo (per esempio «orribile incertezza») del protagonista.
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
Situazioni e stati
d’animo
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
LE
SS
IC
O
Laboratorio
CAPITOLO DUE
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Quali domande specifiche egli si pone incredulo?
Qual è il dubbio ricorrente su quanto gli capita?
Quali sono i sentimenti dominanti del narratore quando, alla fine del racconto, si rende conto di essere giunto al termine della sua vita? Segna, nell’elenco seguente, quelli che ti sembrano più appropriati:
rassegnazione
solitudine
stupore
fastidio
angoscia
tristezza
noia
sorpresa
11 Il personaggio narratore, nella sua giornata, entra in relazione con altre persone.
Quali?
Che cosa fanno o che caratteristiche hanno?
Persone
Caratteristiche
..................................................................................................................
..................................................................................................................
..................................................................................................................
..................................................................................................................
..................................................................................................................
..................................................................................................................
..................................................................................................................
..................................................................................................................
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..................................................................................................................
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SEZIONE II - LA NARRAZIONE BREVE
dal racconto orale alla novella
Il tempo e lo spazio
Vedi a p. 46 e 66
12 Che significato ha, a tuo giudizio, il fatto che la narrazione avvenga al presente?
13 Da un’età indefinita, ma comunque giovanile, il protagonista invecchia progressivamente fino alle soglie della morte, anzi, vede invecchiare davanti ai
propri occhi i suoi stessi nipoti. Questa scelta narrativa presuppone l’uso
frequente dell’ellissi, cioè di un’accelerazione del ritmo, il quale, poiché
un’intera vita viene “contratta” nell’arco di un sol giorno, diventa addirittura
vertiginoso.
Individua nel testo tutti gli indicatori temporali ed evidenziali.
Nella parte finale del racconto, sottolinea tutti quei passaggi in cui l’accelerazione temporale si manifesta con particolare evidenza.
LE
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Laboratorio
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14 Individua e riporta nella tabella sottostante gli aggettivi usati per definire la
qualità di oggetti, persone e luoghi (per esempio «spettrale lanternino»).
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
Oggetti e
luoghi
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
.............................................................................................................................................................................
15 Individua tutte le ambientazioni spaziali e cerchiale. Prevalgono:
il buio
la luce
il freddo
il caldo
la solitudine
i luoghi frequentati
il silenzio
il rumore
LE
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O
on line
16 Scegli almeno tre aggettivi, diversi da quelli usati da Pirandello, per descrivere l’ambiente in cui si svolge la vita del protagonista.
Le tecniche espressive
Vedi a p. 110
17 Abbiamo detto che il monologo interiore può rappresentare l’equivalente letterario di quella che al cinema è la ripresa in soggettiva del piano-sequenza.
Tuttavia, allo scopo di conferire al monologo del suo personaggio narratore
una maggiore dinamica e accrescerne l’interesse, Pirandello vi inserisce tecniche narrative differenti.
Nell’elenco che segue, evidenzia le tecniche narrative presenti nel racconto
facendo riferimento ai numeri di rigo:
discorso diretto libero
discorso diretto legato
discorso indiretto libero
discorso indiretto legato
© SEI - Società Editrice Internazionale p.a. - Torino
10
Produzione
di
ffi
co
ltà
il racconto tra realtà e fantasia
18 Riscrivi il brano dall’inizio fino a: «... e che tutto questo sia vero» del rigo 37, sostituendo al tempo presente della narrazione il tempo passato Vedi a p. 48 .
Che tipo di effetto ti pare di aver ottenuto?
19 Dilata il tempo dal rientro a casa del protagonista fino all’alba del mattino
dopo. Immagina: su che cosa può aver dialogato e con chi? Vedi a p. 110
Questo dialogo accresce il suo sbigottimento e la sua angoscia oppure lo
aiuta a capire quanto sta succedendo?
Verso l’eccellenza
di
ffi
co
ltà
Laboratorio
CAPITOLO DUE
on line
20 Il problema dell’identità personale è al centro delle indagini letterarie di
Pirandello, ma è anche un tema sempre attuale. Che cosa definisce il nostro
“io”? Le nostre convinzioni e i nostri comportamenti; oppure lo sguardo degli altri; o le circostanze, l’ambiente o… che altro?
E il nostro “io” è qualcosa di immutabile o cambia nel tempo (nel fisico, nei
gusti, nelle idee ecc.)?
Insomma, c’è un solo “io” o ci sono tanti “io”? Se ci sono tanti “io”, come
suggerisce Pirandello, c’è tuttavia una “persistenza” pur all’interno delle variazioni?
Alberto Giacometti
(1901-1966), Annette,
1954, particolare.
Il volto fisso,
rigidamente frontale,
delineato con un segno
che si infittisce
o si dirada, sembra
come corroso dallo
spazio circostante,
continuamente in bilico
tra presenza e assenza.
© SEI - Società Editrice Internazionale p.a. - Torino
volume
A
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L. Pirandello, Una giornata