IN ALLEGATO: L’umanità di Cristo è la nostra felicità nella Chiesa e nel mondo Natale: una grata dipendenza da Cristo Il messaggio di Rowan Williams, primate della Comunione anglicana, per i lettori di 30Giorni www.30giorni.it MENSILE SPED. ABB. POST. 45% D.L. 353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1, COMMA 1 DCB - ROMA. In caso di mancato recapito rinviare a Ufficio Poste Roma Romanina per la restituzione al mittente previo addebito. ISSN 0390-4539 ANNO XXIX N.11- 2011 - €5 Diretto da Giulio Andreotti N. Sommario 11 ANNO 2011 anno XXIX In copertina: lʼimmagine grande: La Natività, miniatura tratta dal Libro dʼore 1488.5, XV secolo, Lambeth Palace Library, Londra; lʼimmagine piccola: LʼAlbero di Jesse, miniatura tratta dalla Bibbia di Lambeth, XII secolo, Lambeth Palace Library, Londra EDITORIALE Far quadrare i conti è di per sé una delle più alte operazioni politiche 4 — di Giulio Andreotti COPERTINA pag. 46 Il rischio dei movimenti messianici Incontro con Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma CRISTIANESIMO Natale: una grata dipendenza da Cristo — dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams 24 IN QUESTO NUMERO REPORTAGE «Non siamo più grandi dei nostri Padri» — di G. Ricciardi, foto di M. Quattrucci 31 TRADIZIONE E MOVIMENTI Il rischio dei movimenti messianici pag. 31 intervista con Riccardo Di Segni — di G. Cubeddu Reportage ARTE CRISTIANA A Le Barroux, vicino Avignone, da quarant’anni una comunità benedettina fiorisce nel segno della stretta osservanza della Regola e dell’amore all’antica tradizione liturgica della Chiesa Luci dall’Africa La presenza dell’Opus Dei in Africa attraverso piccole storie di carità e solidarietà 46 Nel silenzio delle nostre chiese intervista con Paolo Portoghesi — di P. Mattei 60 LE OPERE BELLE DELLA CARITÀ Luci dall’Africa — di G. Ricciardi 68 PRIMO MILLENNIO Perseguitati in tempi recentissimi — del cardinale Walter Brandmüller 74 RUBRICHE pag. 68 LETTERE DA TUTTO IL MONDO 10 30GIORNI IN BREVE 52 30GIORNI N.11 - 2011 3 Editoriale Far quadrare i conti è di per sé una delle più alte operazioni politiche di Giulio Andreotti Non possiamo mettere in dubbio precedettero l’entrata nella moneta unica –, che l’Unione europea stia attra- l’equivoco di fondo è la diffusa convinzione versando un momento difficile. Ma proprio per che l’esigenza di un forte taglio del debito pubquesto credo sia oggi il tempo giusto per fer- blico dipenda solo dalle richieste e dagli obblimarsi a riflettere: partendo dalla constatazione ghi imposti dall’Unione europea, come se si che, nonostante le difficoltà, quella intrapresa potesse eludere un risanamento fisiologicaera e resta la strada giusta. Nessuno pensava mente indispensabile. Inoltre l’abbinare un rincaro tributario alle esiche il percorso verso l’Unione fosse una strada disseminata di fiori e di facili traguardi. In cin- genze di stabilità europea non suscita certo simquantaquattro anni si è avuto uno sviluppo superiore alle previsioni più rosee, nonostante le non rare parentesi di cosiddetto europessimismo e l’azione dei globuli autarchici molto forti nel sistema dei singoli Paesi. Il vertice di Bruxelles del 9 dicembre 2011 si è chiuso con un accordo a cui dovrebbe far seguito a marzo un trattato intergovernativo sull’Unione di bilancio a cui non ha aderito la sola Gran Bretagna. Molti hanno commentato questo impegno come una costrizione per le finanze del proprio Paese, come l’apertura di una stagione di ulteriori sacrifici e tasse che potrebbero aggravare la crisi economica in atto. Come altre volte in passato – e Manifestanti con le loro tende davanti alla sede della Banca centrale europea penso, ad esempio, agli anni che a Francoforte nell’ottobre 2011 4 30GIORNI N.11 - 2011 Il cancelliere tedesco Angela Merkel, il presidente francese Nicolas Sarkozy e il primo ministro italiano Mario Monti al termine dell’incontro a tre a Strasburgo, il 24 novembre 2011 L’equivoco di fondo è la diffusa convinzione che l’esigenza di un forte taglio del debito pubblico dipenda solo dalle richieste e dagli obblighi imposti dall’Unione europea, come se si potesse eludere un risanamento fisiologicamente indispensabile patie verso l’Unione, dando luogo a ipotesi di uscita innovative e stravaganti. Perché l’Europa è un fatto unitario ma composto da tanti addendi. Se si stacca un addendo dall’altro non c’è che andare all’ufficio liquidazione. Se riflettiamo, invece, comprendiamo che il risanamento del debito di un Paese deve comunque essere perseguito; ma fuori dall’Europa, sia l’Italia sia anche gli altri Paesi non avrebbero nessuna contropartita in termini di sviluppo e benessere. Ad esempio è irrealistico avanzare un’alternativa tra progresso dell’Unione e lotta alla disoccupazione. Non so se l’Unione stessa possa realizzare il suo proposito di aumentare le op- portunità di lavoro, ma è certo che i singoli Stati da soli ne avrebbero certamente meno. Lo stesso vale per l’euro: abbiamo molti problemi con la moneta unica, ma fuori dall’euro ne avremmo uno di più: la nostra stessa esistenza. È vero che il concetto di simultaneità dello sviluppo monetario e dello sviluppo istituzionale si è incrinato e che questo può portare a conseguenze gravi, ma contrapporre, come è stato fatto, l’Europa dei ragionieri e dei banchieri a quella della politica è un esercizio sbagliato, perché far quadrare i conti è di per sé una delle più alte operazioni politiche. Ricordo che uno degli artefici dell’accordo di Maastricht fu il “banchiere” Guido Carli. E tra l’altro anche allora ci fu chi mise in dubbio che l’Italia avesse la possibilità di raggiungere i parametri richiesti. Forse vi è stato un eccesso di velocità sia nel passaggio da Comunità a Unione sia nell’allargamento a 25 e poi a 27. E anche la stipula del Trattato costituzionale, avvenuta, sempre in Roma, il 29 ottobre 2004, non era del tutto naturale; ma non dobbiamo lasciar passare questo momento senza rinvigorire convincimenti sopranazionali. Anche lamentarsi per temuti accordi speciali tra Parigi e Berlino è fuorviante e dannoso, perché non dobbiamo creare manie di persecuzione antitaliana e perché i governi passano ma la grande politica estera rimane. Gli assi preferenziali tra Paesi non hanno mai dato buoni frutti e sia Francia che Germania non avrebbero certamente vantaggi da un’Italia declassata. Anche la Comunità del carbone e dell’acciaio nacque come solidarietà tra Germania e Francia, due Stati storicamente nemici, e fu una solidarietà partecipata insieme all’Italia e ai tre Paesi del Benelux con le loro caratteristiche di aggancio nordeuropeo. Abbiamo, come italiani, l’orgoglio di essere tra i sei popoli della coraggiosa Missione del 1957. Questo ci crea forse qualche ¬ diritto, ma certamente molti doveri. 30GIORNI N.11 - 2011 5 Editoriale Contrapporre l’Europa dei ragionieri e dei banchieri a quella della politica è un esercizio sbagliato, perché far quadrare i conti è di per sé una delle più alte operazioni politiche. Ricordo che uno degli artefici dell’accordo di Maastricht fu il “banchiere” Guido Carli Guido Carli, a destra, con Mario Draghi in una foto degli anni Ottanta Credo in conclusione che una pausa di riflessione sia quindi necessaria, senza ammainare bandiere o esasperare gli aspetti critici. Noi più anziani, che avemmo la ventura di partecipare all’entusiasmo degli inizi, fronteggiando contra- 3OGIORNI nella Chiesa e nel mondo Direttore Giulio Andreotti rietà e scetticismi tanto diffusi, dobbiamo esortare a continuare a credere nella positività di un’Europa unita. Anche in un periodo di difficoltà come questo. Dopo il Calvario c’è la risurrezione, anche se non è un fatto automatico. q Lorenzo Bianchi, Lorenzo Biondi, Massimo Borghesi, Lucio Brunelli, Rodolfo Caporale, Lorenzo Cappelletti, Gianni Cardinale, Stefania Falasca, Giuseppe Frangi, Silvia Kritzenberger, Walter Montini, Jane Nogara, Stefano M. Paci, Felix Palacios, Tommaso Ricci, Giovanni Ricciardi Hanno inoltre collaborato a questo numero: il cardinale Walter Brandmüller, lʼarcivescovo di Canterbury Rowan Williams DIREZIONE E REDAZIONE Via Vincenzo Manzini, 45 00173 Roma - Italia Tel. +39 06 72.64.041 Fax +39 06 72.63.33.95 Internet:www.30giorni.it E-mail: [email protected] Vicedirettori Roberto Rotondo - [email protected] Giovanni Cubeddu - [email protected] Redazione Alessandra Francioni - [email protected] Davide Malacaria - [email protected] Paolo Mattei - [email protected] Massimo Quattrucci - [email protected] Gianni Valente - [email protected] Segreteria [email protected] Ufficio legale Davide Ramazzotti - [email protected] 3OGIORNI nella Chiesa e nel mondo è una pubblicazione mensile registrata presso il Tribunale di Roma in data 11/11/93, n. 501. La testata beneficia di contributi statali diretti di cui legge 7 agosto 1990, n. 250 Società editrice Trenta Giorni soc. coop. a r. l. Sede legale: Via V. 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Lʼeditoriale è stato chiuso in tipografia il 10 dicembre 2011 Finito di stampare nel mese di dicembre 2011 CREDITI FOTOGRAFICI: Lambeth Palace Library: Copertina; pp.25,27; Associated Press/LaPresse: pp.4,5,48,52,53,54,56; Ansa: p.6; Mario De Renzis: pp.10-11; Archivio ETS Milano: pp.13,14-15,20-21; Reuters/Contrasto: pp.15,20,54; Osservatore Romano: pp.24,29,65; Tim Ashley: p.26; The Dean and Chapter of Westminster: p.28; Massimo Quattrucci: pp.31-45; Agenzia Contrasto: pp.46-47,47; Corbis: p.48; Romano Siciliani: p.50; Per gentile concessione dellʼufficio stampa Opus Dei: pp.55,68,69,70,71; Foto Scala, Firenze: pp.60,76; Giovanna Massobrio: p.60; Per gentile concessione del Professor Paolo Portoghesi: pp.61,62,63,64,64-65; Paolo Galosi: p.75: Veneranda Fabbrica di San Pietro: p.77; Musei Vaticani: p.77. TANTE STRADE DI CARITÀ PASSANO PER UNA PICCOLA VIA L’ASSOCIAZIONE PICCOLA VIA ONLUS è stata istituita sia per inviare gratuitamente soprattutto nei Paesi di missione il mensile internazionale 30Giorni e il piccolo libro Chi prega si salva, sia per venire incontro alle richieste di carità. PUOI AIUTARE L’ASSOCIAZIONE PICCOLA VIA ONLUS FACENDO UNA DONAZIONE attraverso un versamento sul conto corrente bancario: IBAN IT 84 S 02008 05232 000401310401 (per bonifici effettuati fuori dall’Europa: BIC-SWIFT BROMITR172A) intestato a: ASSOCIAZIONE PICCOLA VIA ONLUS oppure: Assegno bancario o circolare, con l’indicazione non trasferibile, emesso a favore di ASSOCIAZIONE PICCOLA VIA ONLUS nella Chiesa e nel mondo Via dei Santi Quattro, 47 - Roma [email protected] Via Vincenzo Manzini, 45 - 00173 Roma Tel. 06 72 64 041 Fax 06 72 63 33 95 [email protected] • www.30giorni.it per saperne di più puoi contattarci scrivendo a: [email protected] Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il ARGENTINA Prego per voi: non posso impegnarmi in altro modo Florencio Varela, 30 agosto 2011 Con tutta la mia stima, all’Associazione Piccola Via onlus. Sono il papà di una suora che vive in un monastero di clarisse. Ho 76 anni e mia figlia quasi 45, di cui venticinque di clausura. Mi interessano i monumenti e le opere d’arte della Chiesa nel mondo e apprezzo sempre il lavoro della rivista 30Giorni. Ma non ho i mezzi per l’abbonamento. Chiedo la carità di inviarmela gratis. Prego per la missione che portate avanti, non posso impegnarmi in altro modo. Se non è chiedere troppo, vorrei anche ricevere gratuitamente venti copie di Quien reza se salva per darlo a persone che ne hanno bisogno. Sono immensamente riconoscente. Máximo Lezcano FILIPPINE CARMELO THE HEARTS OF JESUS AND MARY Trecento copie di Who prays is saved Malaybalay City, 28 settembre 2011 Caro direttore Giulio Andreotti, sia lodato Gesù Cristo! La ringraziamo moltissimo per la generosità e la gentilezza da lei mostrate nell’inviarci, a ogni uscita, una copia gratuita della rivista 30Days. Per il buon lavoro che fa, Dio la ricompensi con abbondanza di 10 30GIORNI N.11 - 2011 mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo • ogni grazia e benedizione necessarie per portare avanti la sua missione. Mi permetto umilmente di chiederle in dono almeno trecento copie del piccolo libro Who prays is saved. Verrebbero distribuite ai presenti in occasione del mio venticinquesimo anniversario della professione solenne, il 6 dicembre 2011. Qui preghiamo incessantemente per lei e per la sua famiglia, per la sua redazione e per tutti i collaboratori. La grazia di Dio sia sempre con voi. Assai fiduciosa in una sua risposta positiva, devotamente sua in Gesù, Maria e Giuseppe, suor Mary Catherine, ocd NIGERIA ABBAZIA BENEDETTINA DI SANTA SCOLASTICA Immensa gratitudine per il cd di canti gregoriani Umuoji (Anambra), 5 ottobre 2011 Caro direttore Giulio Andreotti, vorremmo esprimerle la nostra immensa gratitudine per il cd di canti gregoriani che ci avete inviato e anche per le copie della rivista 30Days in the Church and in the world che di volta in volta riceviamo da voi. Dio onnipotente vi ricompensi per la vostra generosità e per l’egregia opera di evangelizzazione da voi realizzata con questa rivista. Sinceramente sua in Cristo, la badessa, madre Margaret Mary Ngobidi, osb La Basilica dell’Annunciazione a Nazareth 30GIORNI N.11 - 2011 11 Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il NICARAGUA SUORE DI NOSTRA SIGNORA DEL RIFUGIO IN MONTE CALVARIO DEL CONVENTO SANTA VIRGINIA Un grazie dal Nicaragua San Jorge, 8 ottobre 2011 La pace e la gioia di nostro Signore Gesù Cristo sia con voi! Vi ringraziamo di cuore per il gesto generoso di averci inviato le riviste per noi suore e per il nostro parroco Sergio. Vi auguriamo e chiediamo a Dio che questa rivista possa arrivare dovunque e continuare a fare del bene. Per noi che siamo lontane ci riporta vicino alla Chiesa di Roma e ci fa sentire unite a tutti i fratelli nella fede e nella preghiera. Continuate a fare tanto bene! Grazie! le suore di Nostra Signora del Rifugio in Monte Calvario FILIPPINE CARMELO SAINT JOHN OF THE CROSS Nel 2012 festeggeremo i cinquant’anni di fondazione del nostro carmelo Ozamiz City, 10 ottobre 2011 Gentile senatore, siano lodati Gesù e Maria, e benedizioni per lei e per i suoi! Ancora una volta, grazie infinite per l’edizione inglese di 30Days che ci inviate ormai da diversi anni. Questa volta vorremmo chiedervi il piccolo libro di preghiere Who prays is saved. 12 30GIORNI N.11 - 2011 L’anno prossimo, il 3 ottobre 2012, ringraziando il Signore, festeggeremo i cinquant’anni di fondazione del nostro carmelo. Abbiamo pensato che il vostro libretto sarebbe proprio l’“omaggio” perfetto per chi verrà qui in occasione dei festeggiamenti. Vede, Ozamiz, nella provincia del Misamis Occidental, dove si trova il nostro carmelo, è stata per molto tempo terra di missione: qui in molti professavano l’“aglipayan”, la religione creata da un vescovo durante la rivoluzione filippina contro gli spagnoli. Ozamiz è stata per molti anni terra di evangelizzazione dei nostri missionari. Il nostro carmelo è stato fondato nel 1962 dal carmelo di Bacolod, nella provincia del Negros Occidental, per iniziativa del vescovo Patrick Cronin. Pensiamo di invitare i vescovi riuniti nel Dopim – diocesi di Dipolog, Ozamiz, Pagadian, Iligan, Marawi – e ci auguriamo perciò che il 3 ottobre 2012 qui da noi ci sia una grande partecipazione. Sarebbe troppo da parte nostra chiedervi duemila copie di Who prays is saved? Stiamo anche pensando, se ve ne sarà la possibilità, di tradurre il libretto di preghiere in cebuano, dal momento che tra la nostra gente molte persone non parlano l’inglese. Abbiamo costruito la nostra cappella e il nostro monastero anno dopo anno, poco a poco, a seconda dei mezzi di cui disponevamo. E lo abbiamo fatto utilizzando il materiale considerato il più durevole, ma anche il più economico sul mercato: l’amianto. Purtroppo, circa quarantacinque anni dopo, molte di noi hanno cominciato ad ammalarsi e i dottori hanno pensato che ciò fosse dovuto all’amianto usato per le costruzioni; ma non avevamo i mezzi per ricostruire la nostra casa. Abbiamo allora “tempestato” il Cielo con le nostre preghiere, chiedendo al Signore di aiutarci a ricostruire la Casa di Sua Madre, la Vergine del Carmelo. Due anni fa, un membro di una famiglia di costruttori edili, dopo aver visto la nostra casa, ha deciso di ricostruirci il dormitorio e poi il refettorio, la cucina, la biblioteca-sala comune. All’inizio eravamo in 26, ma il 10 agosto una delle nostre sorelle ci ha lasciato, dopo la scomparsa della madre fondatrice già nel 2004. Inoltre, in questo momento la madre priora sta lottando contro il cancro ed è in chemioterapia a Manila. Restano ancora da ricostruire o riparare alcune parti del monastero e la cappella, ma gli ambienti principali sono ormai ricostruiti con ottimi materiali in grado di resistere ¬ mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo • Il piccolo altare nella Grotta dell’Annunciazione, Basilica dell’Annunciazione, Nazareth, con l’iscrizione VERBUM CARO HIC FACTUM EST (QUI IL VERBO SI È FATTO CARNE) Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il La stella che indica il luogo dove è nato Gesù nella Grotta della Natività, Basilica della Natività, Betlemme, con l’iscrizione HIC DE VIRGINE MARIA IESUS CHRISTUS NATUS EST (QUI DALLA VERGINE MARIA È NATO GESÙ CRISTO) alle termiti, un vero flagello per le strutture in legno della nostra casa. Possiamo sperare di ricevere da lei un altro favore, gentile senatore? Ci serve una campana adatta a chiamare la nostra comunità alla preghiera e a suonare l’Angelus, oltre che a chiamare la gente alla messa. Possiamo chiederle di aiutarci a trovare per il nostro monastero una campana, magari grazie a qualcuna delle società che fanno pubblicità su 30Days? Nella nostra povertà siamo così sfacciate da chiedere tutti questi favori, perché vediamo il vostro grande amore per il Signore e Sua Madre, e tutto quello che fate per monasteri, conventi e quanti sono consacrati al Signore. E rendiamo lode e grazie a Dio per tutto quello che fate per la Chiesa. Vi ringraziamo dal più profondo per tutto ciò che potrete fare per aiutarci, rivolgendo il nostro sguardo al Signore perché sia lui stesso il nostro miglior “grazie”. Assicurandole la nostra devota preghiera per lei, 14 30GIORNI N.11 - 2011 per i suoi cari, per i collaboratori di 30Days, la portiamo con noi nel nostro affetto e nelle nostre preghiere. In Gesù e Maria, le sue suore del carmelo di Ozamiz. A nome della reverenda madre e della comunità, suor Mary Therese, ocd mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo • ARGENTINA SEMINARIO DIOCESANO SAN JOSÉ DELLA DIOCESI DI SANTO TOMÉ Los cantos de la Tradición per i seminaristi Santo Tomé, 13 ottobre 2011 Signor direttore, sono il rettore del seminario diocesano San José della diocesi di Santo Tomé, nella Repubblica Argentina. Ho ricevuto, assieme alla rivista, il supplemento Los cantos de la Tradición. Mi è sembrata una pubblicazione di grande ricchezza per il contenuto che contribuisce a mantenere viva la nostra Tradizione. La ringrazio perché l’ascolto del cd mi ha riportato con il ricordo ai miei anni di seminario. Le scrivo per avere informazioni sulla disponibilità del supplemento e sul costo. E per sapere se c’è modo di acquistarlo direttamente qui, in Argentina. Vorrei darne una copia a ciascuno dei dieci seminaristi della nostra diocesi. Appena può, mi faccia sapere il prezzo del supplemento, in modo tale che potrò decidere se acquistarlo per i nostri ragazzi. Distinti saluti, padre Juan Carlos Fernández-Benítez continua a p. 18 Bambini nella Grotta della Natività Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il Fiducia! È la mano di Gesù che conduce tutto… Santa Teresa di Gesù Bambino Invito alla preghiera La redazione di 30Giorni invita tutti, e in particolare le persone consacrate dei monasteri di clausura, a pregare per don Giacomo Tantardini. Da alcuni mesi si sta curando per un tumore a un polmone. Che il Signore doni di chiedere con fiducia il miracolo della guarigione. Ai sacerdoti che stimano e vogliono bene a 30Giorni chiediamo di celebrare la santa messa secondo questa intenzione. Ai genitori chiediamo la carità di far pregare i propri bambini. Non stanchiamoci di pregare. La fiducia fa miracoli. Santa Teresa di Gesù Bambino 16 30GIORNI N.11 - 2011 mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo • «Sono molto contento che 30Giorni faccia una nuova edizione di questo piccolo libro contenente le preghiere fondamentali dei cristiani maturatesi nel corso dei secoli. A questo piccolo libro auguro che possa diventare un compagno di viaggio per molti cristiani». dalla presentazione del cardinale Joseph Ratzinger del 18 febbraio 2005 (eletto Papa il 19 aprile 2005 con il nome di Benedetto XVI) CHI PREGA SI SALVA Il piccolo libro, di cui 30Giorni ha già distribuito centinaia di migliaia di copie, contiene le preghiere più semplici della vita cristiana, come quelle del mattino e della sera, e tutto ciò che aiuta a fare una buona confessione FORMATO PICCOLO Tascabile, misura 10,5x15 cm COSTA €1 A COPIA + spese di spedizione FORMATO GRANDE Più leggibile e adatto ad essere lasciato in chiesa sul banco, misura 13,6x19,8 cm COSTA €1,50 A COPIA + spese di spedizione EDIZIONI ESTERE in lingua portoghese, inglese, francese, spagnola, tedesca e cinese. Misura 13,6x19,8 cm COSTA €1 A COPIA + spese di spedizione È possibile richiedere copie sia dell’edizione grande che di quella piccola e delle edizioni estere telefonando al numero verde gratuito oppure scrivendo a 30GIORNI via Vincenzo Manzini, 45 - 00173 Roma o all’indirizzo e-mail: [email protected] Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il SVIZZERA MONASTERO DELLA PASSIONE DI CRISTO 30Tage ci tiene unite al cuore della nostra realtà cattolica segue da p. 15 Jakobsbad, 18 ottobre 2011 MESSICO FRATI MINIMI DEL CONVENTO NUESTRA SEÑORA DE LA SOLEDAD Cinquecento copie di Quien reza se salva per la festa della Madonna di Guadalupe Saltillo (Coahuila), 16 ottobre 2011 Stimatissimo senatore Giulio Andreotti, con immensa gratitudine voglio ringraziarla personalmente per la rivista 30Giorni che da qualche mese ci fa giungere mensilmente nella nostra missione messicana, dove, come frati dell’Ordine dei Minimi, testimoniamo il carisma di carità, di conversione e di riconciliazione del nostro fondatore, san Francesco di Paola, mettendoci al servizio della gente più povera e bisognosa del posto. Grazie alla generosità sua e di tutta la redazione, stiamo ricevendo gratuitamente questo prezioso strumento di informazione che per noi religiosi è di vitale importanza, perché ci mantiene in comunione con tutta la Chiesa e con il mondo attuale, ed è una fonte sicura di aggiornamento. Ora vorrei presentare alla sua sensibilità religiosa il mio desiderio di disporre di cinquecento libretti Quien reza se salva per offrirli alle famiglie in occasione della mia prossima visita in preparazione alla festa della Madonna di Guadalupe, che ricorre il 12 dicembre. Mi sembra una pubblicazione particolarmente utile per la mia gente, che in gran parte è umile e semplice, perché contiene tutto ciò che è veramente necessario sapere e utilizzare per vivere una vita cristiana autentica e profonda. Ringraziandola anticipatamente per il grande dono che sono sicuro di ricevere, le assicuro le preghiere della mia comunità religiosa e di tutta la mia gente. Con gratitudine e stima, in Cristo, padre Omar Javier Solís Rosales, om, superiore della comunità dei frati minimi 18 30GIORNI N.11 - 2011 Gentilissimo senatore Giulio Andreotti, qui nel monastero delle cappuccine della Passione di Cristo riceviamo da tempo la sua rivista 30Tage, così ben fatta e interessante. Ci tiene unite al cuore della nostra realtà cattolica e ci offre uno sguardo ampio sul pensiero della nostra Chiesa. Desideriamo ringraziarla per questa sua gentilezza: ogni volta porta anche a noi un po’ di gioia per la Chiesa tutta. Nel rassicurarla del fatto che la nostra comunità ricorda nelle preghiere il suo lavoro e quello dei collaboratori e dei giornalisti, porgo con gratitudine i più sentiti saluti, la madre superiora suor Mirjam Huber e comunità CUBA Quien reza se salva per i bambini e i contadini cubani L’Avana, 19 ottobre 2011 Signor Giulio Andreotti, illustre fratello in Cristo, pace e salute! È arrivato nelle nostre mani il numero 4/5 della sua rivista 30Días e ne abbiamo condiviso pienamente i criteri e le preoccupazioni: la sua rivista è una profonda e stupenda catechesi. Siamo missionari contadini cattolici, apparteniamo a un ramo della congregazione della Missione di San Vincenzo de’ Paoli e di Santa Luisa de Marillac e lavoriamo in comunità isolate e di campagna, nella nostra amata Cuba. Ci prendiamo cura anche di alcuni bambini tetraplegici e delle loro famiglie, annunciando la Parola di Dio e condividendo con loro tutto ciò che possia- mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo • mo. Abbiamo visto sulla sua rivista il libro di preghiere Quien reza se salva e le scriviamo per chiedergliene alcune copie, dato che i nostri contadini amano molto pregare. Ci sarebbero utili anche alcuni catechismi semplici e alcuni rosari. Chissà se c’è qualche persona generosa che vuole aiutare questi bambini. Crediamo fermamente nella comunione dei santi. Assieme alle nostre richieste e alla nostra riconoscenza, le assicuriamo le nostre semplici e umili preghiere. Gesù, Maria e Giuseppe la custodiscano e la benedicano. Suo, Sergio León Mendiboure La Basilica della Natività a Betlemme; a sinistra, la piccola Porta dell’Umiltà attraverso la quale si accede alla Basilica 30GIORNI N.11 - 2011 19 Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il Ricevo questa rivista in italiano. Sarebbe mio desiderio riceverla in spagnolo, come quando ero vescovo della diocesi di Comodoro Rivadavia. Riceverla in spagnolo sarà a vantaggio di altre persone che potranno così accedere alla sua lettura con maggior facilità e migliore comprensione. Vi ringrazio e saluto cordialmente, e vi assicuro un ricordo vivo nella preghiera. In Cristo e Maria, ARGENTINA VESCOVADO DI NEUQUÉN monsignor Virginio D. Bressanelli, vescovo di Neuquén Apprezzo 30Giorni e vi ringrazio di cuore Neuquén, 21 ottobre 2011 A destra, uno scorcio Egregio direttore, sono monsignor Virginio Domingo Bressanelli, sci, vescovo a Neuquén, nella Patagonia, in Argentina. Ogni mese ricevo la rivista 30Giorni, che apprezzo e ringrazio di cuore perché mi permette di avere per mano temi d’attualità e di approfondimento cristiano, oltre all’ampio orizzonte teologico, spirituale, storico e culturale che molti articoli prospettano. dell’interno della Basilica della Natività A sinistra, devozione nella Basilica della Natività 20 30GIORNI N.11 - 2011 mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo • IRLANDA CARMELO SAINT JOSEPH Grazie per lo splendido reportage dalla Turchia Dublino, 24 ottobre 2011 La pace di Cristo! Caro signor Andreotti, ogni mese riceviamo con gratitudine 30Days e ci piacciono moltissimo gli articoli e le belle immagini. Desideria- Anni dopo, ho fatto il mio ingresso in un carmelo in Inghilterra, ho trascorso quarant’anni in un carmelo gallese, poi altri venti in un carmelo vicino a Johannesburg, in Sudafrica, e ora sono qui a Dublino. Le sarei grata se potesse farci avere una copia di quella foto della chiesa di Sant’Antonio pubblicata su 30Days e anche altre foto, sempre della stessa chiesa, se ne avete. Con i miei sentiti ringraziamenti per la sua gentilezza nel far dono di 30Days a tantissime persone e con l’augurio di divine benedizioni, sua in Cristo, suor Anne PERÙ SEMINARIO NUESTRA SEÑORA DE QUILCA 30Giorni è di aiuto ai seminaristi per amare la Chiesa Camaná, 26 ottobre 2011 mo ringraziarla in modo molto particolare per il numero 6 del 2011. L’intervista con il cardinale Wuerl sui mezzi dell’evangelizzazione nella sua diocesi di Washington, negli Stati Uniti, e gli articoli sulla storia dei cattolici afroamericani e sullo sviluppo della Chiesa latinoamericana erano eccezionali, e il profilo su padre Jules Lebreton egregiamente scritto. Ma è stato lo splendido reportage dalla Turchia a indurre la nostra priora a incoraggiarmi perché le scrivessi. È stata per me una gioia vedere una foto della chiesa di Sant’Antonio di Padova, dove sono stata battezzata il 7 marzo 1926 da padre René Alexandre, cm, dopo essere nata in quella che allora si chiamava Costantinopoli, nel gennaio di quell’anno. Signor direttore, riceva un cordiale saluto da parte dei padri formatori e dei seminaristi del seminario Nuestra Señora de Quilca di Camaná, con la speranza che Dio la protegga nel compimento delle sue attività quotidiane. Le scrivo per esprimerle il mio più profondo ringraziamento per l’invio mensile della rivista 30Giorni, che è di grande aiuto ed è uno strumento di informazione per i giovani che si formano nel nostro seminario, e anche per noi sacerdoti che viviamo qui con loro. Ogni numero della rivista 30Giorni è un impulso all’unità e universalità della Chiesa, che promuove nei nostri seminaristi l’attaccamento ad essa e una sua conoscenza più profonda, facendola amare con un affetto sempre più grande. Ringraziandola per il suo grande sostegno e la sua attenzione, la saluto, assicurandole che la teniamo in grande considerazione e la ricordiamo nelle nostre preghiere e nella santa messa quotidiana che celebriamo qui, nel nostro seminario. Dio continui a benedirla ed elargisca abbondanti benedizioni a tutti quelli che lavorano con lei. il vicerettore, padre Percy Saavedra Ramírez 30GIORNI N.11 - 2011 21 COPERTINA Natale: una grata dipendenza da Cristo Il messaggio per i lettori di 30Giorni di sua grazia Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury i parla molto oggi di quanti preferiscono “spiritualità” a “religione”. E la maggior parte di noi qualcosa capisce di quel che significa questa posizione. Rappresenta una rivolta contro l’idea che noi esseri umani siamo salvati o trasfigurati solo dall’aderire alla vita di una istituzione e a un insieme di affermazioni o di teorie. ¬ S L’arcivescovo Rowan Williams mostra a Benedetto XVI la miniatura dell’Albero di Jesse, nella Bibbia di Lambeth, al termine del loro incontro al Lambeth Palace, a Londra, il 17 settembre 2010 24 30GIORNI N.11 - 2011 Parlare con verità della Chiesa è, in questo senso, andare oltre sia la religione che la spiritualità. La Chiesa è la condizione dell’essere uno con Gesù Cristo. E noi celebriamo il Natale perché questa nuova condizione di vita dipende assolutamente e unicamente dal fatto che un bambino è nato duemila anni fa in Medio Oriente L’Albero di Jesse, miniatura tratta dalla Bibbia di Lambeth, XII secolo, Lambeth Palace Library, Londra 30GIORNI N.11 - 2011 25 COPERTINA Rowan Williams Ma in questo modo c’è il pericolo di ridurre la fede a una serie di esperienze che ci fanno sentir meglio, con la conseguenza che non ci sarebbe alcuna verità universale, nessuna rivoluzione nella vita degli uomini che salvi una volta per tutte, solo un succedersi di esperimenti “spirituali”, che amplia la nostra sensibilità, ma non ci porta dentro un mondo nuovo. In certo qual modo abbiamo bisogno di un linguaggio che ci possa condurre oltre l’inutile polarizzazione fra questi due termini, un linguaggio di nuova creazione e una pratica di vita nuova con nuove relazioni. Parlare con verità della Chiesa è, in questo senso, andare oltre sia la religione che la spiritualità. La Chiesa non esiste per procurare fantastiche esperienze (di modo che tu possa abbandonarla quando quelle esperienze si esauriscono); la Chiesa non è neppure un’istituzione con regole e convinzioni condivise. La Chiesa è la condizione dell’essere uno con Gesù Cristo, cioè il dono di essere liberi di pregare la Sua preghiera e di condividere la Sua vita, di respirare il Suo respiro. 26 30GIORNI N.11 - 2011 «Non ero ancora umile abbastanza per riconoscere l’umile Gesù Cristo come mio Maestro», dice sant’Agostino. E, in una delle immagini più grandiose della sua intera opera, egli parla di come Cristo, venendo in mezzo a noi nella carne, ci trattiene dal fare passi presuntuosi alla scoperta della verità in base ai soli nostri sforzi E noi celebriamo il Natale perché questa nuova condizione di vita dipende assolutamente e unicamente dal fatto che un bambino è nato duemila anni fa in Medio Oriente. Non dipende dal positivo sviluppo di nuove tecniche che ci aiutino a sentirci meglio; non dipende neppure dalla rivelazione di un insieme di teoremi. Comincia con un bambino indifeso che ancora non parla; perché è in relazione a quella fragile vita di uomo che ogni essere umano troverà in ultima analisi il suo vero destino. In confronto sia con il fascino di esperienze emozionanti, sia con la sicurezza di convinzioni incrollabili, di per sé questo può apparire piuttosto fragile. Eppure, in quanto colloca la vera fonte della vita e della speranza completamente al di fuori dell’ambito dello sforzo e dell’organizzazione umani, ci sfida a confidare in un fondamento che è senza paragone più stabile e meno mutevole: l’agire e la promessa di Dio, il Verbo di Dio che fa sì che la vita divina viva nella vita della creazione e soprattutto nella vita di questo bambino appena nato. ¬ La Natività, miniatura tratta dal Libro d’ore 1488.5, XV secolo, Lambeth Palace Library, Londra 30GIORNI N.11 - 2011 27 COPERTINA Rowan Williams nella chiesa di Saint Margaret, Westminster Abbey, Londra 28 30GIORNI N.11 - 2011 Cristianesimo Dimenticando aspirazioni spirituali e correttezza religiosa, siamo invitati dal vangelo del Natale semplicemente a fare questo: a lasciarci cadere, nella nostra umana stanchezza, sulla terra dell’amore divino, amore divino fattosi indifeso e fragile in modo da poter mettere in crisi la nostra vana fiducia in noi stessi Benedetto XVI e Rowan Williams in ginocchio davanti all’altare della tomba di san Francesco, Assisi, 27 ottobre 2011 Il contrasto fra una vita di relazione nella comunione del Corpo di Cristo e l’ambito tanto della “spiritualità” quanto della “religione” era stato risolto già millesettecento anni fa da sant’Agostino quando scrisse le Confessioni. Egli descrive le sue avventure “spirituali”, prima entro un’organizzazione ereticale con ben definiti dogmi che non gradiva alcuna verifica intellettuale, poi come uno specialista di meditazione e di una sorta di misticismo. Ed egli ci parla in modo commovente della frustrazione profonda che ha avvertito, intravvedendo da lontano il regno della verità e della pace eterna. Ma dice che il problema sottostante era che in tutto questo egli non si era mai liberato dell’ossessione del suo io, del suo orgoglio. «Non ero ancora umile abbastanza per riconoscere l’umile Gesù Cristo come mio Maestro», dice. E, in una delle immagini più grandiose della sua intera opera, egli parla di come Cristo, venendo in mezzo a noi nella carne, ci trattiene dal fare passi presuntuosi alla scoperta della verità in base ai soli nostri sforzi. Siamo fermati all’improvviso nel nostro percorso «poiché vediamo ai nostri piedi una divinità debole, fattasi debole col condividere il “vestito di pelle” che indossiamo. Esausti, ci gettiamo su questa fragile vita divina cosicché quando essa si risolleverà anche noi ci risolleveremo» (Confessioni VII, 18, 24). Dimenticando aspirazioni spirituali e correttezza religiosa, siamo invitati dal vangelo del Natale semplicemente a fare questo: a lasciarci cadere, nella nostra umana stanchezza, sulla terra dell’amore divino, amore divino fattosi indifeso e fragile in modo da poter mettere in crisi la nostra vana fiducia in noi stessi. Così rinnovati, contro ogni presumibile aspettativa, ci solleviamo alla vita della grata dipendenza da Cristo e dell’uno dall’altro, alla comunione del mutuo dono senza fine. + Rowan Canterbury Lambeth Palace, Londra Natale 2011 30GIORNI N.11 - 2011 29 R E P O R TA G E «Non siamo più grandi dei nostri Padri» «La liturgia tradizionale è più ricca di segni che ci ricordano da dove proviene la fede, e ci insegna che noi non siamo più grandi dei nostri Padri, ma trasmettiamo solamente ciò che abbiamo ricevuto» R E P O R TA G E A Le Barroux, vicino Avignone, da quarant’anni la comunità benedettina fondata da dom Gérard Calvet fiorisce nel segno della stretta osservanza della Regola e dell’amore all’antica tradizione liturgica della Chiesa testo di Giovanni Ricciardi foto di Massimo Quattrucci alle finestre del monastero di Le Barroux il cielo di Provenza è una bandiera celeste tesa al vento. Il mistral lo batte a volte con violenza: in certe giornate d’inverno sulle montagne vicine può soffiare fino a trecento chilometri all’ora. Gli ulivi e le vigne non sembrano soffrirne, ma la vegetazione è per lo più bassa, macchia mediterranea, si direbbe, a parte i cipressi, messi ad arte a ricordare che da queste mura si guarda verso l’alto. Sotto il cielo, come un cono regolare, si erge la massa scura del Mont Ventoux. È qui che il Venerdì Santo del 1336 Francesco Petrarca compì col fratello Gherardo la sua celebre “ascesa”, descritta in una lettera all’amico agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, che lo aveva iniziato alla lettura delle Confessioni. Al termine della scalata, il poeta lesse a caso al fratello un passo del libro X, in cui Agostino scrive: «Vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti, le grandi onde del mare e le vaste correnti dei fiumi, il circolo dell’oceano e le orbite degli astri, e non si curano di sé stessi». Petrarca, nella sua continua lotta fra l’amore delle cose terrene e la nostalgia di quelle del cielo, invidiava a Gherardo, che era frate, quel distacco, quella libertà che gli aveva permesso di salire in cima al monte rapido e leggero, senza il peso che tratteneva in basso il poeta. ¬ D 32 30GIORNI N.11 - 2011 Sopra, la statua della Madonna nel chiostro del monastero; a destra, la chiesa di Le Barroux all’alba, durante il canto del Mattutino Le Barroux 30GIORNI N.11 - 2011 33 R E P O R TA G E 34 30GIORNI N.11 - 2011 Il crocifisso sopra l’altare, opera di un monaco scultore, sottolinea la regalità e la vittoria di Cristo sulla croce Le Barroux I monaci cantano l’Ufficio delle Lodi alle sei del mattino 30GIORNI N.11 - 2011 35 R E P O R TA G E Una storia di fedeltà alla Tradizione Proprio qui, quaranta anni fa, il 22 agosto del 1970, un altro Gherardo, per l’esattezza Gérard Calvet, benedettino francese, giungeva in sella a un motorino, con il suo corredo nel portapacchi, la benedizione dell’abate del monastero da cui proveniva, e si stabiliva nella piccola cappella di Bédoin, consacrata a santa Maria Maddalena. Negli anni turbolenti del postconcilio, desiderava unicamente continuare la sua vita monastica senza dover sottostare a quegli “esperimenti” di rinnovamento dottrinale o liturgico che gli sembravano molto più poveri rispetto alla ricchezza «antica e sempre 36 30GIORNI N.11 - 2011 Dopo le Lodi, alle sei e quaranta del mattino ogni monaco sacerdote celebra la messa “letta” in latino agli altari laterali, assistito da un novizio. Nelle pagine successive, la messa feriale delle nove e trenta celebrata all’altare centrale, a cui assistono anche i fedeli del paese e amici del monastero 30GIORNI N.11 - 2011 37 Le Barroux nuova» della tradizione: preghiera, silenzio, lavoro manuale, funzioni in latino, liturgia tradizionale. Una scelta di solitudine, la sua, che durò pochissimo. Tre giorni dopo il suo arrivo, a Bédoin si presentò un giovane per chiedere di essere accolto come novizio. Dom Gérard, sorpreso e incerto sul da farsi, rispose che non avrebbe saputo come accoglierlo, ma l’insistenza dell’altro ebbe la meglio. In capo a otto anni si costituì una comunità di 11 monaci: la cappellina, col suo piccolo priorato in rovina, prontamente restaurato, divenne perciò troppo angusta per il nuovo cenobio. Ma la crescita della fondazione, favorita dall’abate di dom Gérard, andava avanti. L’attaccamento alla liturgia tradizionale in quegli anni si coniugò con una naturale simpatia per le posizioni di monsignor Lefebvre, che nel luglio del 1974 procedette a celebrare le prime ordinazioni dei monaci. Questo fatto suscitò la reazione dell’abate che inizialmente aveva favorito la scelta di dom Gérard, ma che in quel momento gli ordinò di chiudere la sua esperienza monastica. La comunità fu esclusa perciò dalla Congregazione dei Benedettini di Subiaco. Di fronte a questo aut aut, dom Gérard scelse la via spinosa di continuare la fondazione, addolorato per lo strappo, ma persuaso in cuor suo che l’amore alla secolare tradizione liturgica della Chiesa non potesse trovarsi in contrasto col cuore della fede, con la fedeltà al Papa, e che Dio avrebbe trovato una via per risolvere una situazione canonica divenuta irregolare. Nel 1980 fu dato l’addio a Bédoin e venne posta la prima pietra del nuovo monastero, nel comune di Le Barroux, tra il Mont Ventoux e le “Dentelles” di Montmirail, una costruzione in stile neoromanico, nuda ed essenziale, che fu completata in poco più di un decennio. Nel frattempo, la frattura tra Lefebvre e la Chiesa si approfondiva, benché dom Gérard continuasse a sperare in una ricomposizione. E così, quando nel 1988 Giovanni Paolo II con il motu proprio Ecclesia Dei venne incontro alle richieste dei cattolici “tradizionalisti”, concedendo loro, sia pure a certe condizioni, di celebrare secondo il rito preconciliare, per il monastero di Le Barroux fu un giorno di festa. Ai suoi monaci dom Gérard aveva sempre detto che se non avessero sofferto per la situazione canonicamente irrisolta del monastero, voleva dire che non amavano davvero la Chiesa. E allorché monsignor Lefebvre, non fidandosi delle offerte di Roma, procedette in quello stesso anno a ordinare alcuni vescovi senza il consenso del Papa, inaugurando di fatto lo scisma, il monastero scelse senza tentennamenti la fedeltà a Roma e la rottura col movimento dell’arcivescovo francese. Dom Gérard pagò quest’attaccamen- ¬ R E P O R TA G E to alla Chiesa vedendosi rifiutato dalla fondazione monastica che nel frattempo Le Barroux aveva avviato in Brasile, la quale preferì restare fedele alla “linea dura” di Lefebvre. L’anno seguente, il 2 ottobre del 1989, il cardinal Gagnon, accompagnato dal vescovo di Avignone, consacrò solennemente la chiesa del monastero appena terminata. Con questo gesto pubblico, si rendeva visibile la piena unità dell’esperienza di Le Barroux con la Chiesa cattolica. La vita quotidiana Nella luce della campagna provenzale oggi il monastero sembra vivere una vita lontana dai fragori delle lotte ecclesiali e delle cronache di quegli anni. Le sue campane accompagnano la vita di un paese che nei primi tempi aveva accolto con diffidenza e sospetto i nuovi venuti. I monaci si alzano nel cuore della notte per recitare in coro il Mattutino, precedono l’alba nelle loro celle per meditare la Scrittura e i testi dei Padri, si ritrovano alle sei nella chiesa del monastero per il canto delle Lodi, poi quelli che tra loro hanno ricevuto l’ordine sacro celebrano agli altari laterali la messa “letta” in latino secondo il Messale romano promulgato nel 1962 da Giovanni XXIII. Qualche fedele entra sfidando il freddo del mattino e s’inginocchia per seguire la celebrazione nel più assoluto silenzio. Poi, tutti si avviano alle opere della giornata. Il monastero è praticamente autosufficiente. I 52 monaci (alcuni dei quali molto giovani, l’età media è di 46 anni) che oggi costituiscono la comunità (più altri 13 che ne hanno fondata una nuova nel sud-ovest della Francia) vivono unicamente del proprio lavoro, secondo la tradizione benedettina. La terra del monastero produce olio e vino, una panetteria assicura il fabbisogno della comunità e vende biscotti, baguette e dolci alla gente del posto o ai turisti. Da qualche anno il monastero ha aperto anche un frantoio che offre alla comunità rurale il servizio di molitura delle olive, usando due mole di pietra fatte venire appositamente dalla Toscana e mosse da macchine moderne. Anche la tipografia lavora a pieno regime, non solo per stampare i messali con il rito romano tradizionale, ma anche per soddisfare alle esigenze della piccola casa editrice fondata da dom Gérard. La preghiera del Benedicite apre i pasti, vegetariani e consumati in silenzio, con gli ospiti al centro del refettorio, accolti solennemente dall’abate che li saluta lavando loro le mani in segno di accoglienza. Un’accoglienza che prevede anche un ricovero notturno per chi da queste parti non ha un tetto sotto il quale dormire. Nel tempo del pranzo o della cena un monaco legge una lettura spirituale o a volte anche un testo di storia o di carattere più genericamente culturale. 38 30GIORNI N.11 - 2011 Non siamo più grandi dei nostri Padri 30GIORNI N.11 - 2011 39 Le Barroux «La liturgia tradizionale è più ricca di segni che ci ricordano da dove proviene la fede, e ci insegna che noi non siamo più grandi dei nostri Padri, ma trasmettiamo solamente ciò che abbiamo ricevuto». Non c’è polemica nelle parole del padre abate Louis-Marie, amico e discepolo di dom Gérard, che gli lasciò il pastorale della comunità nel 2003 dimettendosi cinque anni prima della propria morte. Del resto, l’esperienza della bellezza che proviene da quella liturgia non è esclusivo appannaggio di questo monastero. Altri cenobi adottano oggi in Francia questa forma di preghiera. Spiega ancora l’abate: «Nella Francia secolarizzata, mi disse una volta un vescovo ucraino, sembra di vedere un grande deserto spirituale, ma in questo deserto ci sono delle oasi molto belle». Non soltanto a Le Barroux. Qualcosa si muove, senza più la rigidità degli schemi di vent’anni fa. Il rapporto tra il monastero e la diocesi di Avignone, in cui si trova la fondazione di dom Gérard, non è più teso come un tempo. Il padre abate va ogni anno a concelebrare col vescovo la messa crismale del Giovedì Santo, e molti sacerdoti della diocesi si sono aperti a questa esperienza monastica favorendo dei ponti di comunicazione con la Chiesa francese. Più in generale, ci dice padre Louis-Marie, «la gente sembra attratta qui non solo ed esclusivamente perché vi si celebra secondo il rito romano anteriore al Conci- ¬ R E P O R TA G E La vita dei monaci è ripartita tra preghiera e lavoro. In questa pagina, in alto, un’immagine della tipografia; al centro, un contadino attende l’apertura del frantoio del monastero per la molitura delle olive; nella foto grande, la campagna di Provenza intorno al monastero lio, ma semplicemente per la bellezza della preghiera monastica, per il canto gregoriano che qui viene eseguito, perché qui la preghiera è vissuta e sentita nella profondità del silenzio, rivolti a Dio». Ogni anno un centinaio di sacerdoti provenienti per lo più dalla Francia, dall’Italia, dalla Germania, dalla Gran Bretagna e dall’Olanda, trascorrono a Le Barroux alcuni giorni di ritiro, per parlare coi monaci o per imparare a celebrare la messa secondo l’antico rituale. Il monastero conta circa trecento oblati fra sacerdoti, laici e famiglie che fanno riferimento alla spiritualità benedettina. Le vocazioni che arrivano a Le Barroux, oggi al ritmo di due o tre all’anno, hanno origini le più disparate. C’è un giovane monaco che proviene dalla carriera militare, un altro che era ingegnere in Cina e ha conosciuto Le Barroux attraverso il sito internet del monastero, un terzo che ha chiesto il battesimo a vent’anni a un prete di Marsiglia e ha poi tentato ¬ 40 30GIORNI N.11 - 2011 A sinistra, un momento della lavorazione dell’olio nel frantoio Le Barroux 30GIORNI N.11 - 2011 41 R E P O R TA G E la via della vocazione in un ordine religioso che però gli era apparso poco “esigente”. E allora quello stesso prete lo ha portato qui «perché uno degli aspetti che attirano le persone in un posto come questo», spiega l’abate, «è una scelta libera di radicalità evangelica». Libero e radicale sono i due aggettivi che risuonano di più fra queste mura. Alcuni lefebvriani, non molti per la verità, si accostano all’esperienza di Le Barroux come a un ponte per un ritorno alla piena comunione con la Chiesa, ma anche perché, osserva l’abate, «nella Fraternità San Pio X sentono di respirare a volte un’aria pesante, caratterizzata da ciò che secondo loro si potrebbe chiamare un certo autoritarismo clericale». È come se qui si componesse un equilibrio diverso, non fondato sul compromesso, né sulla contrapposizione con altre realtà ecclesiali, ma semplicemente sul ritorno alla Regola di san Benedetto come via per avvicinare il cuore della vita cristiana. «In questi anni», aggiunge il padre abate, «abbiamo potuto constatare che i monasteri che si sono presi la briga di innovare e di rivoluzionare le forme della vita religiosa sono oggi quelli che hanno meno vocazioni in Francia. Io credo che oltre al dinamismo e alla vitalità che vedono in questa comunità giovane, un dono che abbiamo ereditato dal nostro fondatore, i giovani siano attratti a Le Barroux proprio dalla radicalità della scelta per Dio, oltre che dalla bellezza della liturgia che si celebra qui. Ma non è tutto, in fondo non è questo l’essenziale. Io stesso quando sono arrivato qui, e mi sono innamorato di questo luogo, a partire dal suono delle campane, fino alla cura con cui è celebrato l’Ufficio divino, mi so- ¬ 42 30GIORNI N.11 - 2011 La messa solenne della prima domenica d’Avvento a Le Barroux; nella foto piccola, l’abate asperge i fedeli con l’acqua benedetta. In occasione del Natale, i monaci regaleranno ai fedeli copie del piccolo libro Qui prie sauve son âme Le Barroux 30GIORNI N.11 - 2011 43 R E P O R TA G E Per informazioni sulla comunità benedettina di Le Barroux ecco i siti utili: www.barroux.org www.jeconstruisunmonastere.com no subito reso conto che la vita monastica altro non è che un olocausto, un’offerta totale di sé a Dio». A sera, il suono delle campane richiama tutti al Vespro, il momento forse più intimo e insieme solenne della liturgia comunitaria. Mentre la voce della preghiera si diffonde nell’ora del crepuscolo, e l’ombra del crocifisso sopra l’altare si allunga sulla parete di pietra nuda dell’abside, tutto appare improvvisamente più chiaro. E si intendono le parole con cui l’abate conclude questa sua riflessione sul fascino che esercita questo luogo: «Le cose che ho detto sono reali, ma secondarie. L’attrattiva ultima di una vocazione è semplicemente il buon Dio. È per questo che la vocazione, ogni vocazione resta fondamentalmente un mistero». q Il monastero nella luce del pomeriggio A destra, il suono delle campane alle diciassette e trenta chiama i monaci a lasciare le loro occupazioni per il canto del Vespro, a cui seguirà la cena, la Compieta e il silenzio, prescritto alle venti e trenta Le Barroux T radizione e movimenti Il rischio dei movimenti messianici Incontro con rav Riccardo Di Segni, rabbino capo della comunità ebraica di Roma di Giovanni Cubeddu n tratto distintivo della piccola ma rilevante comunità ebraica italiana è la sua capacità di accoglienza. Ne hanno beneficiato nei secoli, talvolta ciclicamente, ebrei tedeschi, spagnoli, portoghesi, e più recentemente quelli pro- U 46 30GIORNI N.11 - 2011 venienti da Paesi arabi e islamici. Per gli ebrei italiani è normale essere ortodossi e partecipare alla liturgia in ebraico, e l’identità collettiva non è mai stata di per sé scossa dall’essere un porto di approdo. Semmai le questioni oggi sul tavolo sono quelle legate all’assimilazione e, ultimamente, alla scelta di alcuni tra i nuovi arrivati di attuare una reazione alla secolarizzazione attraverso l’“ultraortodossia” militante. A capo della diaspora ebraica più antica, quella di Roma, c’è oggi il rabbino Riccardo Di Segni, con cui ancora una volta ci troviamo volentieri a colloquio su quanto sta accadendo. Rav Di Segni, si nota ormai anche a Roma la presenza di nuove identità dell’ebraismo. A sinistra, giovani ebrei romani nella Sinagoga durante una cerimonia; sotto, un raduno di Chabad-Lubavitch a Brooklyn, New York RICCARDO DI SEGNI: Ho saputo che una volta Giovanni Paolo II chiese come mai gli ebrei romani non si distinguessero per il loro abbigliamento, come invece gli ebrei polacchi. Il Papa, che in gioventù aveva vissuto all’interno di un ebraismo completamente differente da quello italiano – l’ebraismo polacco che si distingueva, anzitutto, per quantità – era abituato a vedere “ebrei che si vestivano da ebrei”. Ci sono tanti modi di abbigliarsi ebraicamente, e l’ebreo in definitiva si differenziava molto dalla popolazione circostante. In Italia tale distanza esteriore non esiste e forse non è mai esistita, se non per i segni imposti ai tempi delle norme antiebraiche. Gli ebrei italiani si sono sempre vestiti come gli altri, è una nostra caratteristica culturale di non poco conto. Nei Paesi occidentali gli ebrei si vestono come gli altri, a parte quelli appartenenti ad alcuni gruppi più ortodossi, che sfoggiano alcune divise. Dobbiamo fare però alcune brevi premesse. Infatti. Il mondo ebraico ortodosso conosce la varietà. C’è il modello cosiddetto modern orthodox, caratteristico della persona di concezione e osservanza ortodossa, che nel suo abbigliamento non ha segni distintivi se non per il fatto che se è uomo si copre il capo, se è donna si abbiglia in maniera “modesta”, cioè evitando di esporre il proprio corpo. Vi sono poi i modelli impropriamente definiti ultraortodossi, propri di persone che si vestono di nero (alcuni al nero accostano semplicemente una camicia bianca e un copricapo Borsalino, altri al nero aggiungono diverse specificità). Tale panorama di codici di vestiario è alieno alla tradizione italiana, ed è stato importato recentemente, perché c’è un movimento di persone – provenienti per lo più da nuclei ortodossi degli Stati Uniti, di Israele o della Francia – che si distinguono per l’abito; e molto spesso non sono ebrei comuni ma rabbini. E ciò ci riporta peraltro alla discussione su come i rabbini debbano abbigliarsi, il che varia nei tempi e nei luoghi: dove si richiedeva particolare solennità, austerità e specifici copricapi, e dove bastava la semplice austerità: abbiamo tutte le varianti... Se ora dunque vediamo pluralità di abbigliamento anche in Italia e a Roma, non è per una mutazione dell’ebraismo autoctono ma perché si sono aggiunte tali nuove presenze. ¬ Una volta Giovanni Paolo II chiese come mai gli ebrei romani non si distinguessero per il loro abbigliamento, come invece gli ebrei polacchi. Il Papa in gioventù aveva vissuto all’interno di un ebraismo completamente differente da quello italiano. In Italia tale distanza esteriore non esiste e forse non è mai esistita, se non per i segni imposti ai tempi delle norme antiebraiche. Gli ebrei italiani si sono sempre vestiti come gli altri, è una nostra caratteristica culturale di non poco conto 30GIORNI N.11 - 2011 47 T radizione e movimenti A sinistra, ultraortodossi polacchi in preghiera nella sinagoga Chabad Shul a Varsavia; sotto, il rabbino Riccardo Di Segni Un mutamento con effetti che potrebbero essere profondi? Prima di tutto, emerge l’elemento della mobilità. L’ebraismo italiano, per composizione, è oggi radicalmente diverso rispetto a quello antecedente alla Seconda guerra mondiale, quando gli ebrei residenti erano in gran parte autoctoni. Dal conflitto l’ebraismo italiano uscì dimezzato, impoverito nella sua componente locale; successivamente fu rinforzato da un afflusso di ebrei provenienti dal Nord Africa – in particolare ebrei libici, ma anche in minor numero egiziani, tunisini e marocchini; ebrei siriani e libanesi, che presero casa in Italia settentrionale; ed ebrei ashkenaziti, giunti dal Centro Europa. Così, l’ebraismo italiano si è rinvigorito ma anche frammentato. E a proposito di abbigliamento esteriore, si nota una forte influenza culturale del mondo ashkenazita, che è diventato, o sta provando a diventare, leader culturale del mondo religioso. Questo è un fenomeno che in Israele è stato particolarmente avvertito… … fino a quanto i sefarditi si sono ribellati a questa egemonia – cioè all’occupazione da parte di un determinato gruppo dei ruoli di leadership, come nelle scuole – arrivando anche alla creazione di un partito politico, lo Shas. Ma nel tentativo di recuperare il potere, c’è comunque l’imitazione dei segni esteriori, per cui il rabbino sefardita israeliano si veste come l’ashkenazita dell’Euro48 30GIORNI N.11 - 2011 pa centrale. Ed è molto strano, perché mai i rabbini sefarditi africani o dell’Iraq si sarebbero dovuti coprire di nero, con abiti pesanti anche d’estate…? Oggi ci pare che il look del rabbino debba essere uno solo. Questi nuovi movimenti sono presenti anche in Italia. Si pongono come una novità per l’universo ebraico, hanno una finalità di missione verso l’interno. L’ebraismo non fa alcuna missione religiosa verso l’esterno, e la conservazione delle nostre tradizioni avviene attraverso meccanismi sperimentati e antichi: le scuole, le sinagoghe, la famiglia. Una novità di questo ultimo cinquantennio è che sono stati promossi movimenti di outreach, come li chiamano in America, che cercano di portare il messaggio religioso a fasce più estese del mondo ebraico, combattendo la tendenza, molto presente, a chiudersi nel guscio del piccolo gruppo osservante e isolarsi. I movimenti invece cercano di portare il messaggio più all’esterno possibile. Sono una formula inedita. Nuovi movimenti, radicati però in talune espressioni dell’ebraismo dei secoli passati. Una carica fortissima per questi movimenti è la tradizione chassidica. Il chassidismo nasce nella metà del XVIII secolo, come corrente in cui c’è un capo carismatico che riscopre nell’ebraismo la dimensione emotiva e spirituale, in contrapposizione, o quantomeno in aggiunta, alla componente intellettuale che era diventata dominante nel corso dei secoli. E questo movimento ha un grande impatto popolare e si organizza attraverso dei leader, che diventano leader dinastici, di gruppi collegati al proprio maestro, il rebbe. Però anche col passare del tempo questi gruppi, che pure avevano un notevole impatto sulle persone, rimanevano sempre chiusi in sé stessi, promuovevano la spiritualità al loro interno. Una delle invenzioni recenti è stata invece quella di utilizzare la forte carica che promana dall’autorità carismatica per inviare persone in giro per il INCONTRO CON IL RABBINO CAPO RICCARDO DI SEGNI mondo a diffondere l’ebraismo. È una forma di missione rara nell’ebraismo dei secoli scorsi: forse non ce n’era bisogno, perché gli ebrei conoscevano altri modi di organizzarsi, mentre oggi si vuole organizzare per fare fronte alla dispersione della fede ebraica… Questa missione è davvero solo a uso interno? Credo di sì, queste iniziative non sono istituzionalmente aperte al mondo esterno. La missione è interna al popolo ebraico. Anche i movimenti, tendenzialmente, rispettano molto l’antico atteggiamento ebraico di non proselitismo. Se qualche esterno proprio si interessa, può in qualche modo partecipare. O magari, andando in giro a cercare, si ritrova qualcuno che era completamente disperso, non sapeva neppure di avere origini ebraiche, e viene così a riscoprire le proprie radici… In questo senso ci si rivolge a un pubblico più vasto. Il movimento Chabad [meglio noto come Chabad-Lubavitch, fondato nel XVIII secolo dal rabbino di origini polacco-lituane Shneur Zalman di Liadi, città della Russia imperiale, ndr] in particolare su questo argomento del “non ebreo” sta sviluppando una tematica su cui il resto dell’ebraismo resta abbastanza bloccato. Secondo la tradizione religiosa ebraica, gli ebrei hanno una loro particolare disciplina sacerdotale da osservare, che comprende una quantità abbondante di norme. Nella tradizione ebraica esistono però anche delle norme fondamentali che riguardano l’intera umanità, i noachidi, cioè discendenti di Noè, come noi li chiamiamo. Ora, nessun ebreo fa quasi mai missione verso i noachidi andando a ricordare loro che esistono tali norme da rispettare: questi gruppi chassidici viceversa qualcosa fanno. Può essere uno strumento di dialogo. D’altra parte però tali movimenti sono retti da un leader carismatico, con delle peculiari nozioni e prassi del carisma. L’ebraismo è pieno di episodi di pseudomessia, che la storia si è incaricata di dimostrare ingannatori, ma che continuano addirittura ancora oggi ad avere dei seguaci sotterranei Sopra, Sabbatai Zevi; a destra, Jacob Frank In loro c’è un approccio alla tradizione che è rigido, nel senso che ciò che afferma il maestro non si discute. Laddove in altre espressioni, pur sempre appartenenti allo stesso ebraismo ortodosso, c’è sempre una pluralità, una dinamica, il confronto delle possibili soluzioni. Qui agisce invece una sorta di durezza dottrinale. E poi il carisma è personale nel senso che appartiene al capo. Si tratta peraltro anche di movimenti messianici. Ciò che colpisce, è che in taluni di questi ambiti l’attesa del messia non sia l’attesa di una persona ma di un principio. C’è una grande discussione. Nell’ebraismo ortodosso si tende a mettere un po’ all’angolo l’attesa del principio a vantaggio dell’attesa della persona. Il dibattito non è terminato. Ma dire che il messianismo è un’epoca e non una persona è davvero qualcosa che sta al margine dell’ortodossia. È stata una delle forme di razionalizzazione – il messianismo come epoca e non come persona – in cui ha sguazzato anche un po’ l’ebraismo italiano. In definitiva, il messianismo di tali nuovi movimenti ebraici come viene giudicato? Il messianismo più importante appartiene al cristianesimo. Il cristiano dice che Cristo è il messia, il cristianesimo è messianismo per definizione. Per l’ebraismo l’idea messianica è una delle tante. È una tensione, un’attesa, e l’ebraismo teoricamente potrebbe esistere – come di fatto esiste – senza il messianismo realizzato. Però tra i modi in cui viene visto e vissuto l’ebraismo esistono gruppi in cui l’attesa messianica diventa forte. E questo si può tradurre sia in un’intensa religiosità sia anche in un’intensa politica. Qual è il rischio di ciò? Il messianismo è un’idea che spinge vigorosamente l’umanità lungo la sua storia, ma dove la porta? Anche il marxismo, e i movimenti successivi da questo originati, sono esperienze politiche con una carica religiosa di messianismo. Se il messianismo dà una carica alla religione, ha un impatto positivo, ma se diventa una chiave interpretativa e addirittura c’è in taluni la coscienza di un messianismo ¬ 30GIORNI N.11 - 2011 49 T radizione e movimenti L’interpretazione messianica si pone come interpretazione della storia non solo nel momento della sciagura ma anche quando un ordine mondiale cambia. E uno dei momenti in cui l’ordine mondiale è cambiato è stato il 1989, il crollo del Muro di Berlino realizzato, siamo in una situazione di rischio. Alcune vicende dell’ebraismo ashkenazita sono emblematiche, 30Giorni ha già scritto di Sabbatai Zevi e Jacob Frank. L’ebraismo è pieno di episodi di pseudomessia, che la storia si è incaricata di dimostrare ingannatori, ma che continuano addirittura ancora oggi ad avere dei seguaci sotterranei. È un tema implicito ma reale nella vita dell’ebraismo oggi? La storia pone al popolo ebraico continuamente delle sfide micidiali, rispetto alle quali ci s’interroga per capirne il senso. È successo varie volte, e rispetto alle grandi domande ci sono state grandi risposte o, viceversa, grandi fughe dalla realtà, illusioni, reinterpretazioni o… movimenti. Quanto accaduto al popolo ebraico nel secolo scorso è forse tra le cose più grandi della sua storia e ci ha posto domande, alle quali è difficile rispondere. Qui certamente la chiave interpretativa di risposta messianica getta in campo la sua forza. Ma l’interpretazione messianica si pone come interpretazione della storia non solo nel momento della sciagura ma anche quando un ordine mondiale cambia. E uno dei momenti in cui l’ordine mondiale è cambiato è stato il 1989, il crollo del Muro di Berlino. Fu così epocale che ha ricondotto su binari differenti il corso della storia, e rispetto a ciò ci sono state domande, risposte avventate, e anche la riflessione. Anche ora siamo in un momento di cambiamento. Ma magari avviene senza il costo di milioni di morti... Oggi c’è grande incertezza: armi sempre puntate, masse enormi di poveri, squilibri economici, società occidentali tormentate da problemi che ne mettono in discussione l’identità. Da un certo punto di vista, 50 30GIORNI N.11 - 2011 ci si aspetta che possa accadere di tutto. E allora rispunta l’idea che la storia si stia per compiere. Infine, nella quotidianità, che cosa accade dell’ebraismo tradizionale italiano messo a confronto con queste nuove/vecchie correnti? C’è un continuo scambio, non tra grandi idee messianiche – assolutamente no – ma tra modelli di Il Tempio Maggiore di Roma ebraismo vissuto intensamente o marginalmente nella propria vita. C’è un confronto: qualcuno ne recepisce il bene, cioè l’importanza di un riavvicinamento alle tradizioni, altri lo vivono in maniera problematica. E poi c’è anche un po’ di scontro di tradizioni, perché coloro che giungono da fuori non somigliano necessariamente agli ortodossi locali… q Per la salute dei denti e del sorriso, di tutta la famiglia • ODONTOIATRIA GENERALE • CHIRURGIA E IMPLANTOLOGIA • ESTETICA DENTALE • ORTODONZIA INVISIBILE • PROTESI • PARODONTOLOGIA • DIAGNOSI RADIOLOGICA • IGIENE DENTALE • PEDODONZIA • ANALISI GNATOLOGICA • CONTROLLO OGNI SEI MESI I NOSTRI PUNTI DI FORZA • PRIMA VISITA E RADIOGRAFIA ORTOPANORAMICA SENZA IMPEGNO • POSSIBILITÀ DI ADEGUARE I PAGAMENTI ALLE VOSTRE ESIGENZE PERSONALI ATTRAVERSO FINANZIAMENTI A TASSO ZERO I NOSTRI ORARI • ORARIO CONTINUATO DAL LUNEDÌ AL SABATO DALLE 9.00 ALLE 21.00 ITAL DENT E ITALSERVIZI INVITANO A VISITARE IL NUOVO CENTRO ODONTOIATRICO SITUATO IN ROMA, ZONA CINECITTÀ M LINEA A - SUBAUGUSTA PER INFORMAZIONI: TEL. 06 7230065 Spicchi Spicchi Spicch 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3 VISITA PASTORALE IN BENIN Il Papa ai bambini: la comunione, la preghiera, il rosario Nel corso della visita pastorale in Benin (18-20 novembre), il Papa ha avuto un incontro con i bambini. Di questo incontro, avvenuto a Cotonou, nella chiesa parrocchiale di Santa Rita, pubblichiamo ampi stralci: «Dio nostro Padre ci ha riunito attorno al suo Figlio e nostro Fratello, Gesù Cristo, presente nell’Ostia consacrata durante la messa. È un grande mistero davanti al quale si adora e si crede. Gesù, che ci ama tanto, è veramente presente nei tabernacoli di tutte le chiese del mondo, nei tabernacoli delle chiese dei vostri quartieri e delle vostre parrocchie. Io vi invito a farGli visita spesso per dirGli il vostro amore. Alcuni tra voi hanno già fatto la prima Comunione, altri vi si preparano. Il giorno della mia prima Comunione è stato uno dei più bei giorni della mia vita. Non lo è stato forse anche per voi? Perché? Non è solo a causa dei bei vestiti o dei regali o anche del pranzo della festa! È soprattutto perché, quel giorno, riceviamo per la prima volta Cristo. Quando io faccio la comunione, Gesù viene ad abitare in me. Devo accoglierlo con amore e ascoltarlo attentamente. Nel profondo del mio cuore, posso dirGli per esempio: “Gesù, io so che tu mi ami. Dammi il tuo amore così che io ti ami e ami gli altri con il tuo amore. Ti affido le mie gioie, le mie pene e il mio futuro”. Non esita52 30GIORNI N.11 - 2011 te, cari bambini, a parlare di Gesù agli altri. Egli è un tesoro che bisogna saper condividere con generosità. Nella storia della Chiesa, l’amore di Gesù ha riempito di coraggio e di forza tanti cristiani e anche dei bambini come voi! Così, san Kizito, un ragazzo ugandese, è stato messo a morte perché voleva vivere secondo il Battesimo che aveva ricevuto. Kizito pregava. Aveva capito che Dio è non solo importante, ma che è tutto. E che cos’è la preghiera? È un grido d’amore lanciato verso Dio nostro Padre con la volontà di imitare Gesù nostro fratello. Gesù si ritirava in disparte per pregare. Come Gesù, anch’io posso trovare ogni giorno un luogo calmo in cui mi raccolgo davanti a una croce o a una immagine sacra per parlare a Gesù e ascoltarLo. [...]. La Vergine Maria, sua Madre, vi insegni ad amarLo sempre più hi Spicchi Spicchi Spicchi 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI Papa/1 La sorgente più segreta della preghiera di Gesù Papa Benedetto XVI nella chiesa di Santa Rita, Cotonou, Benin, domenica 20 novembre attraverso la preghiera, il perdono e la carità. Vi affido tutti a Lei, come pure i vostri familiari e i vostri educatori. Guardate! Tiro fuori un rosario dalla mia tasca. Il rosario è come uno strumento che si può utilizzare per pregare. È semplice pregare il rosario. Forse lo conoscete già, altrimenti chiedete ai vostri genitori di insegnarvi. Del resto, alla fine del nostro incontro ciascuno di voi riceverà un rosario. Quando lo avrete in mano, potrete pregare per il Papa – vi chiedo di farlo – per la Chiesa e per tutte le intenzioni importanti. E ora, prima che io vi benedica tutti con grande affetto, preghiamo insieme un’Ave Maria per i bambini del mondo intero, specialmente per quelli che soffrono la malattia, la fame e la guerra. Ora preghiamo: Ave Maria…». «Nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni esempi di preghiera nell’Antico Testamento, oggi vorrei iniziare a guardare a Gesù, alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come un canale segreto che irriga l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre. Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, “la preghiera è pienamente rivelata e attuata in Gesù”. […] L’insegnamento di Gesù sulla preghiera viene certo dal suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di Dio, nel suo rapporto unico con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica risponde alla domanda: Da chi Gesù ha imparato a pregare?, così: “Gesù, secondo il suo cuore di uomo, ha imparato a pregare da sua Madre e dalla tradizione ebraica. Ma la sua preghiera sgorga da una sorgente più segreta, poiché è il Figlio eterno di Dio che, nella sua santa umanità, rivolge a suo Padre la preghiera filiale perfetta”». Così papa Benedetto XVI nel corso dell’udienza generale del 30 novembre. Papa/2 Come se la fede fosse quasi un dato acquisito una volta per tutte Il 25 novembre, intervenendo alla plenaria del Pontifico Consiglio per i Laici, Bene- ¬ Crocifisso affrescato, Basilica dei Santi Cosma e Damiano, a Roma Spicchi Spicchi Spicch 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3 detto XVI ha affermato: «A volte ci si è adoperati perché la presenza dei cristiani nel sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta per tutte. In realtà i cristiani non abitano un pianeta lontano, immune dalle “malattie” del mondo». Kirill a Beirut, il 15 novembre Sacro Collegio Gli ottant’anni del cardinale Simonis Il 26 novembre il cardinale Adrianus Johannes Simonis, arcivescovo di Utrecht dal 1983 al 2007, ha compiuto ottant’anni. Il porporato olandese, sacerdote dal 1957, dal ’70 all’83 vescovo di Rotterdam, ha ricevuto la berretta da Giovanni Paolo II nel 1985. A fine novembre quindi i componenti del Collegio cardinalizio sono 193, di cui 111 elettori. Il 7 dicembre un altro porporato compie ottant’anni, il coreano Nicholas Cheong Jin-Suk, dal 1998 arcivescovo di Seoul. Chiesa/1 L’appello del patriarca di Antiochia dei Maroniti alla Chiesa ortodossa russa per la difesa delle minoranze cristiane in MedioOriente «Un appello a una più stretta collaborazione per salvaguardare la presenza cristiana nei Paesi del Medio Oriente è stato rivolto dal patriarca maronita Béchara Boutros Raï a quello della Chiesa ortodossa russa, Cirillo. L’incontro è avvenuto, martedì 15, nella residenza di Bkerké, cittadina libanese dove si è svolta la XX sessione del Consiglio dei pa- 54 triarchi cattolici d’Oriente». Questo l’incipit di un articolo dell’Osservatore Romano del 19 novembre, che prosegue spiegando come il patriarca maronita, «rivolgendosi direttamente al patriarca Cirillo, ha proposto una “collaborazione con la Chiesa russa per salvaguardare la presenza cristiana nei Paesi del Medio Oriente e per aiutare i cristiani a non emigrare”. Ma anche “per gestire i conflitti politici nella regione, gli attacchi contro i fedeli e le paure di vedere la primavera araba portare al potere dei gruppi che possono minacciare la stabilità e la convivenza nella regione”». Chiesa/2 La reliquia della cintura della Vergine Maria per la prima volta dal Monte Athos a Mosca «Stanno in fila la mattina e tutta la notte a sfidare le gelide temperature dell’autunno moscovita per raggiungere la Cattedrale del Cristo Salvatore, nel centro di Mosca, e baFedeli che baciano la reliquia della cintura della Vergine Maria a Mosca 30GIORNI N.11 - 2011 ciare una teca che contiene una delle reliquie più importanti per la Chiesa ortodossa: la cintura della Vergine Maria. Si trascinano a fatica per le strade ricoperte di ghiaccio e con pazienza aspettano una media di 26 ore in un ingorgo umano lungo più di 5 chilometri che da una settimana sta paralizzando le sempre intasate strade della capitale [...]. Secondo i fedeli la reliquia aiuterebbe a guarire da qualsiasi malattia e le donne a concepire figli. Nessuno sa quale grazia abbia chiesto il potente premier Vladimir Putin alla Vergine quando il mese scorso ha baciato per primo l’ambito oggetto appena arrivato a San Pietroburgo dal monastero greco-ortodosso sul Monte Athos dov’è custodito». È l’inizio di un breve reportage pubblicato sul Fatto Quotidiano il 26 novembre scorso. È la prima volta che la venerata reliquia ha lasciato la Grecia. Basiliche papali Nuovo arciprete a Santa Maria Maggiore Il 21 novembre l’arcivescovo spagnolo Santos Abril y Castelló è stato nominato nuovo arciprete della Basilica papale di Santa Maria Maggiore a Roma. Subentra al cardinale statunitense Bernard F. Law, ottant’anni compiuti lo scorso 4 novembre, che venne nominato a questo incarico da Gio- vanni Paolo II nel 2004. Il nuovo arciprete ha 76 anni ed è stato ordinato sacerdote nel 1960. Laureato in Scienze sociali all’Angelicum e in Diritto canonico alla Gregoriana, nel 1967 entra nella diplomazia vaticana, lavorando in Pakistan, Turchia e Segreteria di Stato. Nel 1985 arriva la nomina ad arcivescovo e nunzio in Bolivia, dove rimane fino al 1989 quando diventa rappresentante pontificio in Camerun. Nominato nunzio in Jugoslavia nel 1996, nel 2000 arriva in Argentina dove rimane fino al 2003, quando diventa nunzio in Slovenia. Dallo scorso 22 gennaio è vicecamerlengo di Santa Romana Chiesa e da aprile membro della Congregazione per i Vescovi Curia Nominato delegato alla Cultura L’11 novembre il vescovo portoghese Carlos Alberto de Pinho Moreira Azevedo, 58 anni, è stato nominato delegato del Pontificio Consiglio della cultura. Dal 2005 era vescovo ausiliare di Lisbona. Il presule, ordinato sacerdote nel 1977 per la diocesi di Porto, è stato vicerettore dell’Università cattolica portoghese. Ora affianca nella guida del dicastero vaticano il presidente, cardinale Gianfranco Ravasi e il segretario, vescovo Barthélemy Adoukonou. ¬ hi Spicchi Spicchi Spicchi 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI OPUS DEI Il primato della preghiera sull’azione San Josemaría Escrivá de Balaguer nella Grotta di Lourdes «“Massimamente utili nella Chiesa di Gesù non sono i cosiddetti uomini pratici e neanche i puri banditori di teorie, bensì i veri contemplativi”, scriveva sull’Osservatore Romano del 23 giugno 1985, nei giorni del decimo anniversario del transito di Josemaría Escrivá, il suo primo successore, monsignor Álvaro del Portillo. Il tema della contemplazione – di quella “frequentazio- ne” con Dio che secondo san Josemaría porta a “conoscerlo e a conoscersi” – è stato centrale anche in un’omelia di monsignor Javier Echevarría, terzo prelato dell’Opus Dei, pronunciata qualche giorno fa nella Basilica di Sant’Eugenio a Roma in occasione dell’ordinazione diaconale di 35 futuri sacerdoti». Così inizia un articolo pubblicato sull’Osservatore Romano del 16 novembre, che si conclude in questo modo: «Sarebbe un errore grossolano, ancor più nel nostro momento storico, trascurare questo insegnamento. Di fronte a un attivismo forsennato e disumano perché lontano da Dio, la vera proposta cristiana è sempre stata sconvolgente: il primato dell’orazione sull’azione. Madre Teresa di Calcutta ci fornisce la chiave per capire meglio questo primato: tutto ciò che ha fatto “nel bel mezzo della strada”, come direbbe san Josemaría, aveva un motore segreto, acceso silenziosamente nel cuore della notte: la preghiera di fronte al suo Gesù eucaristia. Chissà che anche la nostra notte, se impiegata così, non porti all’alba di un giorno davvero nuovo e forse inatteso». Titolo dell’articolo: È necessario parlare con Dio. Il primato della preghiera sull’azione. 30GIORNI N.11 - 2011 55 Spicchi Spicchi Spicch 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3 IRAN Sergio Romano e il nucleare iraniano Un recente rapporto dell’Agenzia internazio- molto più di quanto non abbiano fatto i loro nale per l’Energia atomica ha rilanciato l’ipo- predecessori. Il dibattito sulla possibilità di un tesi che l’Iran si stia dotando di un ordigno nu- attacco preventivo contro i siti iraniani servicleare. In un commento apparso sul Corriere rebbe quindi a creare una maggiore attenziodella Sera del 16 novembre, Sergio Romano ne per i suoi timori. Gli Stati Uniti lo considenota che, anche se ritiene necessario «impedi- rano troppo rischioso e si sono già espressi re» all’Iran di dotarsi di tale arma, un attacco di pubblicamente in questi termini con le dichiaquesto Stato contro Israele «sembra alquanto razioni del loro segretario per la Difesa. [...]. improbabile». Prosegue Romano: «Mi chiedo ancora, d’altro canto, se i progressi fatti in questi ultimi tempi permettano davvero a Teheran di possedere un ordigno fra un paio d’anni. Nell’ultimo decennio siamo stati bombardati da una lunga serie di previsioni basate su calendari molto diversi. Poi, nel dicembre del 2007, il National Intelligence Estimate (un rapporto preparato dall’organismo che raggruppa i Servizi di spionaggio e controspionaggio degli Stati Uniti) ci ha fatto sapere, con grande stu- L’impianto nucleare a Isfahan, Iran pore di tutti gli osservatori internazionali, che l’Iran aveva rinunciato sin dal Un’ultima osservazione. Si combatte in Iran, 2003 al suo programma nucleare militare. ormai da parecchi mesi, una battaglia politica Dobbiamo credere a questo rapporto o a quel- fra il presidente Ahmadinejad e la guida suprelo recente dell’Agenzia internazionale dell’E- ma, l’ayatollah Khamenei, sostenuto dalla ponergia atomica? Qualcuno comincia a pensa- tente organizzazione dei Guardiani della rivore che questa improvvisa riapparizione dello luzione. Mentre il primo sembra oggi più dispauracchio iraniano sul palcoscenico inter- sponibile a un’intesa con l’Occidente, i pasdanazionale risponda a intenzioni e strategie po- ran pensano che una maggiore tensione interlitiche. Dopo lo scoppio delle rivolte arabe, lo nazionale gioverebbe alla loro battaglia politiStato d’Israele è più isolato, quindi più insicu- ca. Un attacco israeliano contro l’Iran è proro, e teme che i prossimi governi della regione babilmente il fattore che maggiormente consi occuperanno della questione palestinese tribuirebbe alla loro vittoria». 56 30GIORNI N.11 - 2011 hi Spicchi Spicchi Spicchi 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI Italia Nuovi vescovi di Aosta, Carpi, Taranto, Novara, Teggiano-Policastro Il 9 novembre monsignor Franco Lovignana, 54 anni, è stato nominato vescovo di Aosta. Originario della città, ordinato sacerdote nel 1981, dal 2004 era vicario generale della medesima diocesi. Il 14 novembre monsignor Francesco Cavina, 56 anni, è stato nominato vescovo di Carpi. Originario di Faenza, ordinato sacerdote nel 1980 per la diocesi di Imola, dal 1996 era officiale presso la sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato. Il 21 novembre il vescovo Filippo Santoro, 63 anni, è stato promosso arcivescovo metropolita di Taranto. Ori- ginario di Carbonara (Bari), ordinato sacerdote nel 1972 per l’arcidiocesi di Bari – Bitonto, nel 1984 è inviato sacerdote fidei donum in Brasile. Responsabile di Comunione e liberazione a Rio de Janeiro, in tutto il Brasile e in America Latina, nel 1996 è nominato ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do Rio de Janeiro; dal 2004 era vescovo di Petrópolis. Il 24 novembre il vescovo Franco Giulio Brambilla, 62 anni, è stato nominato vescovo di Novara. Originario di Missaglia (Lecco), nel 1975 è stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Milano. Dal 2006 era preside della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e dal 2007 ausiliare di Milano. Il 26 novembre il padre redentorista Antonio De Luca, 55 anni, è stato nominato vescovo di Teggiano – Policastro. Originario di Torre del Greco (Napoli), è stato ordinato sacerdote nel 1981, e dal 2007 era provicario episcopale per la vita consacrata dell’arcidiocesi di Napoli. Diplomazia Nuovi nunzi in Tanzania, Italia, Irlanda, Georgia Il 10 novembre l’arcivescovo filippino Francisco Montecillo Padilla, 58 anni, è stato nominato nunzio in Tanzania; dal 2006 era rappresentante pontificio in Papua Nuova Guinea e Isole Salomone. Il 15 novembre l’arcivescovo Adriano Bernardini, 69 anni, è stato nominato nunzio in Italia e San Marino; dal 2003 era rappresentante pontificio in Argentina. Il 26 novembre monsignor Charles John Brown, 52 anni, è stato nominato nunzio in Irlanda ed elevato alla dignità di arcivescovo titolare di Aquileia. Originario di New York, dove nel 1989 è stato ordinato sacerdote, dal 1994 era officiale della Congregazione per la dottrina della fede. Sempre il 26 novembre monsignor Marek Solczynski, cinquant’anni, è stato nominato nunzio in Georgia ed elevato alla dignità di arcivescovo titolare di Cesarea di Mauritania. Ordinato sacerdote nel 1987 per l’arcidiocesi di Varsavia, nel 1993 è entrato nel servizio diplomatico vaticano, prestando servizio nelle nunziature di Paraguay, Russia, sede Onu di New York, Usa, Turchia, Repubblica Ceca e, da ultimo, Spagna. q INFORMAZIONE PUBBLICITARIA La traccia Benedetto XVI L’insegnamento di Pe r s c o p r i r e l a C h i e s a s e g u i t e La traccia Tutti i discorsi e i documenti del Pontefice nel mese di ottobre 2011 La Giornata Mondiale di Preghiera per la Pace ad Assisi L’insegnamento di Benedetto XVI Il Motu proprio Porta Fidei Incontro con la delegazione della Chiesa siro-malabarese numero 10 anno XXXII SOTTOSCRIVO UN ABBONAMENTO ANNUALE A La traccia A € 45 (11 NUMERI+COPERTINA PER RILEGARE L’ANNATA) , CHE INVIERETE AL SEGUENTE NOMINATIVO: Post. - 45% Mensile Sped. in Abb. in L.27/02/04 D.L.353/2003 - (conv. 1 - DCB - Filiale n.46) art. 1 comma di Roma - I. 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Compilare, ritagliare e spedire a: I.GE.I. s.r.l. - Via Vincenzo Manzini, 45 - 00173 Roma Tel. (06) 72.64.041 Q.S.A. è una società di servizi al- te in tutto il territorio nazionale vincia di Frosinone, l’AMGAS, le aziende per la sicurezza e la sa- attraverso unità mobili di Medici- l’Istituto Nazionale per il Com- lute dei lavoratori, promossa da na del Lavoro dotate di tutte le mercio Estero, il Comitato Tecni- un gruppo di medici specialisti in apparecchiature strumentali ne- co Paritetico della Cassa Edile di medicina del lavoro, che proget- cessarie ed è supportata nella sua Roma e Provincia, l’Accademia ta e realizza sistemi di gestione attività da docenti delle Universi- Nazionale dei Lincei e l’Italgas. 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Sede legale: Via Acaia, 31 - 00183 Roma Sede operativa: Via Francesco Antolisei, 25 • 00173 Roma Tel. 06 7230065 • Fax 06 7235273 • E-mail: [email protected] QSA Qualità Salute MEDICINA DEL LAVORO • INDAGINI AMBIENTALI • SICUREZZA DEL LAVORO ANALISI CLINICHE • VISITE SPECIALISTICHE • CORSI DI FORMAZIONE Ambiente L a Q.S.A. Srl e l’ ITALSERVIZI Srl sono società di servizi alle aziende per la sicurezza e la salute dei lavoratori, promosse da un gruppo di medici specialisti in medicina del lavoro, che progettano e realizzano sistemi di gestione aziendale di sicurezza sul lavoro comprendenti la sorveglianza sanitaria, le indagini ambientali per i rischi da sostanze chimiche, fisiche e biologiche e tutti gli obblighi previsti dal D. Lgs. 81/2008. 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La Q.S.A. è certificata ISO 9001:2000 BVQI dal 24.11.2004. Via F. Antolisei, 25 • 00173 Roma Tel. 06.72996391/2 • 06.7230065 Fax 06.7235273 • 1782202852 QSA Qualità Salute Italservizi s.r.l. Ambiente E-mail: [email protected] Medicina del lavoro • Indagini ambientali • Sicurezza del lavoro • Analisi cliniche • Visite specialistiche • Corsi di Formazione A rte cristiana Nel silenzio delle nostre chiese «Le chiese sono domus Dei. Ho sempre ritenuto fondamentale che in una grande città vi sia la possibilità di aprire una porta e di guardare quella piccola luce accesa che indica la presenza del Signore nell’Eucaristia». Intervista con Paolo Portoghesi in occasione del suo ottantesimo compleanno di Paolo Mattei Paolo Portoghesi orse proprio il fatto di essere nato e vissuto a Roma ha maturato in me la convinzione che in architettura, e non solo, la tradizione sia una condizione vitale, e che ci possa essere continuità nel cambiamento. Roma è cambiata radicalmente tante volte, mantenendo però questa sua profonda unità e continuità. Le mie idee sono senz’altro influenzate dall’esperienza della città». Paolo Portoghesi parte da qui, da Roma, per dare conto della sua storica posizione nel dibattito sulla cultura architettonica che, a cominciare dagli anni Sessanta del secolo scorso, lo vide avversare, da «F La cupola di Sant’Ivo alla Sapienza, di Francesco Borromini, nel rione romano di Sant’Eustachio 60 30GIORNI N.11 - 2011 Il soffitto con l’ideogramma stellare della Madonna della Pace, di Paolo Portoghesi, a Terni; sotto, uno scorcio dell’interno della chiesa massimo rappresentante della corrente postmodernista italiana, gli atteggiamenti più estremi di certo razionalismo, secondo cui era necessario operare una cesura radicale col passato e con la tradizione in favore di un funzionalismo esasperato e astratto. Secondo l’architetto romano, fra antico e nuovo, fra tradizione e modernità, non c’è contrapposizione dialettica, ma convergenza e continuità. “Professore pensionato” alla Sapienza di Roma sulla cattedra di “Geoarchitettura” – un corso da lui avviato per insegnare agli studenti l’arte di costruire rispettando la storia e le peculiarità dei luoghi nei quali si interviene –, tra i massimi esperti del barocco romano e dell’opera di Borromini, critico e architetto creatore (tra le realizzazioni più famose, si ricordino Casa Baldi, la Moschea di Roma e la chiesa della Sacra Famiglia a Salerno), Portoghesi ha compiuto da poco ottant’anni. Il suo compleanno è stato festeggiato agli inizi di novembre in Vaticano, nel Salone Sistino della Biblioteca, del quale l’architetto ha realizzato il nuovo arredamento in vista della prossima riapertura agli studiosi come sala di lettura. In quell’occasione, Portoghesi ha presentato il modello di una chiesa intitolata a san Benedet- to, da lui progettata come omaggio a papa Ratzinger. Siamo andati a trovarlo a Calcata, in provincia di Viterbo, una splendida cittadina che da una montagna di tufo domina la valle del Treja. Qui, a meno di cinquanta chilometri da Roma, Portoghesi dirige il suo studio e cura i suoi progetti, che sono molti e vari. Tra qualche mese sarà inaugurata a Strasburgo la sua seconda moschea: la prima fu quella di Roma, aperta nel 1995. Gli abbiamo posto alcune domande sulla sua vita e sulle sue idee riguardo all’architettura delle chiese. Professore, iniziamo da Roma. PAOLO PORTOGHESI: Ci sono nato e fino ai diciott’anni non mi sono mai spostato dalla città. L’ho sempre amata e non ho ¬ 30GIORNI N.11 - 2011 61 A rte cristiana mai smesso di studiarla. Sono un frutto della condizione umana che si vive a Roma, alla quale ho dedicato tanti libri e tante ricerche e dalla quale ancora oggi continuo a imparare cose nuove. La sua capacità di parlare a chi come me c’è nato, ma anche a chi la visita per qualsiasi motivo, è inesauribile. Quali luoghi della città frequentava e amava di più da giovane? Sono nato nel cuore della città, a via Monterone, in un vecchio palazzo di proprietà di un principe. Mio padre, anche lui architetto, aveva riaperto il portone originario dell’edificio, chiuso secoli prima in seguito all’assassinio di un cardinale. Vivevo quindi a due passi da Sant’Ivo alla Sapienza che vedevo tutti i giorni andando a scuola, a vicolo Valdina: quello fu il mio primo “itinerario forte”, che toccava piazza del Pantheon, passando per via della Maddalena. Altrettanto “forte” era l’itinerario che mi conduceva dai miei nonni, a via della Chiesa Nuova 14, una casa famosa in quanto sede della “Comunità del Porcellino”, ritrovo di alcuni protagonisti della stagione della Costituente, come Lazzati, Dossetti e La Pira. Qual era il suo rapporto con la fede, da ragazzo? La mia era una famiglia cattolica. Ho fatto la prima comunione dalle Suore del Cenacolo, in un bellissimo parco nei pressi del Gianicolo. Ho però vissuto la vicenda della guerra in un momento particolare della mia vita, tra fine dell’infanzia e inizio dell’adolescenza, e per una serie di questioni familiari in quel periodo rimasi molto isolato. Trascorrevo spesso giornate intere senza mai uscire di casa. Ricordo che durante “l’inverno dei tedeschi”, tra il ’43 e il ’44, non andai quasi mai a scuola. Nella mia prima formazione religiosa quindi è mancato completamente l’aspetto, all’epoca ordinario, della partecipazione alla vita parrocchiale. Il mio è stato un iter assai più complesso di quello dei miei coetanei. Invidiavo molto, per esempio, mio fratello che frequentava i Gesuiti del Collegio Romano ed era inserito in una realtà giovanile molto vivace. Io ho 62 30GIORNI N.11 - 2011 Un’immagine del plastico della chiesa intitolata a san Benedetto, progettata da Portoghesi come omaggio a papa Ratzinger; a destra, elaborazione grafica dell’interno dell’edificio sempre coltivato il mio rapporto con la fede come qualcosa da scavare nel “foro interno” piuttosto che come condivisione con gli altri. In tale solitudine leggevo tanti libri, anche di contenuto religioso. Che tipo di libri? Avevo una predilezione speciale per il cattolicesimo francese: Charles Péguy, Jacques Rivière, Georges Bernanos, ad esempio. Amavo, naturalmente, anche Pascal. E, un po’ ribelle come tutti i giovani, m’appassionai a Rimbaud. Vivevo il mio personale rapporto – sofferto, nient’affatto pacifico – con la Chiesa anche attraverso la mediazione di questi grandi personaggi. Poi ebbi un periodo di distacco, e nel ’59 mi iscrissi al Partito socialista con il desiderio di trovare in questo filone di pensiero la possibilità di una continuità con quella che era stata la mia esperienza cristiana fino ad allora. Mi sono riavvicinato alla Chiesa negli anni Ottanta, vivendo poi con par- ticolare intensità l’esperienza della progettazione e della costruzione delle chiese. Anche nel dibattito sull’architettura delle chiese lei critica l’ideologia della tabula rasa, della rottura con il passato e con la tradizione. Ciò che penso a tale riguardo è sintetizzato benissimo dalla Sacrosanctum Concilium, la prima delle quattro costituzioni del Concilio Vaticano II, emanata il 4 dicembre 1963, dove si raccomanda, a proposito dell’innovazione liturgica, che «le nuove forme scaturiscano organicamente, in qualche maniera, dalle forme esistenti». Queste parole valgono anche per l’innovazione delle forme e delle tipologie architettoniche delle chiese. Spessissimo in questi ultimi decenni non se ne è tenuto conto. Perché, secondo lei? Perché, a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo, nei dibattiti tra gli architetti sono stati NEL SILENZIO DELLE NOSTRE CHIESE messi in radicale contrapposizione i concetti di Chiesa spirituale e chiesa costruita, nozioni che la tradizione indica invece come complementari. Si è messa anche in dubbio la sacralità dell’edificio cristiano. Oggi c’è chi teorizza un cristianesimo senza tempio. Questo è un grandissimo errore. Basti pensare all’Eucaristia, presenza reale del Signore celebrata e conservata nelle chiese, per capire che esse sono domus Dei, case di Dio. Suggestiva in questo senso è la probabile etimologia delle parole Church e Kirche, “chiesa” in inglese e tedesco: kyriakòn, che significa “ciò che è proprio del Signore”. Ho sempre ritenuto fondamentale, per esempio, che in una grande città vi sia la possibilità di aprire una porta e di guardare quella piccola luce accesa che indica la presenza del Signore nell’Eucaristia. Quali sono stati gli effetti di queste interpretazioni nell’architettura delle chiese? Confusione, indistinzione, innanzitutto. La collocazione dei poli liturgici tradizionali – altare, tabernacolo, battistero, ambone – è stata completamente ridiscussa, e si è giunti a soluzioni paradossali, come quella adottata per la chiesa di Gesù Redentore a Modena, dove altare e ambone si trovano agli estremi di un corridoio centrale, ai due lati del quale i fedeli, divisi in due schiere contrapposte, si guardano in faccia, muovendo gli occhi, di tanto in tanto, ora a destra ora a sinistra, per seguire con fatica gli spostamenti del celebrante tra i due poli. Purtroppo questo modello di chiesa – in Germania definito “communio” – è sul piano internazionale uno dei più seguiti. A questo proposito, è molto bello quanto dice Ratzinger nel suo libro Introduzione allo spirito della liturgia, laddove, citando Josef Andreas Jungmann, uno dei padri della Sacrosanctum Concilium, spiega l’antica conformazione dell’assemblea liturgica: «Sacerdote e popolo sapevano di camminare insieme verso il Signore. Essi non si chiudono in cerchio, non si guardano reciprocamente, ma, come popolo di Dio in cammino, sono in partenza verso l’Oriente, verso Cristo che avanza e ci viene incontro». Ecco, molte chiese recenti, come quella di Modena, rispecchiano questa perdita della “dimensione cosmica” della liturgia… Che intende per “dimensione cosmica”? Era la ragione profonda per cui un tempo tutti, fedeli e celebrante, durante la preghiera eucaristica, si rivolgevano, appunto, verso Oriente, direzione che «si trovava in stretto rapporto con il “segno del Figlio dell’uomo”, con la croce, che annuncia il ritorno del Signore», dice ancora Ratzinger, spiegando come quell’atto non fosse quindi la “celebrazione verso la parete”, non significasse che il sacerdote “volgeva le spalle al popolo”: il sacerdote, osserva Rat- ¬ 30GIORNI N.11 - 2011 63 A rte cristiana Sopra, la Moschea di Strasburgo; a destra, il soffitto della Moschea di Roma zinger, «non era poi considerato così importante». La perdita del sentimento di tale dimensione ha infatti da una parte generato un certo tipo di retorica che è quella che viene definita “clericalizzazione” della liturgia – la dinamica in cui il sacerdote diventa il centro della celebrazione, il protagonista dell’evento; e dall’altra, quasi per reazione, ha dato origine alla “creatività” dei gruppi che preparano la liturgia, i quali vogliono innanzitutto «portare sé stessi». «L’attenzione», continua Ratzinger nel suo libro, «è sempre meno rivolta a Dio ed è sempre più importante quello che fanno le persone che qui si incontrano». Tutto ciò ha condotto a considerare la chiesa come luogo di intrattenimento, un luogo racchiuso, facendo dimenticare le due costanti che hanno caratterizzato lo sviluppo tipologico realizzato dall’età paleocristiana al barocco. Quali costanti? Innanzitutto la profondità prospettica attuata nell’impianto longitudinale, che esprime il cammino del popolo di Dio verso la salvezza e Cristo che viene, l’esodo «dai nostri piccoli raggruppamenti per entrare nella grande comunità che abbraccia cielo e terra», commenta ancora Ratzinger; e poi la vertigine verso l’alto, con le cupole e i tiburi: la Chiesa, si legge tra l’altro in Popolo e casa di Dio in sant’Agostino, «non ha il suo fondamento sotto di sé, bensì sopra di 64 30GIORNI N.11 - 2011 sé e quindi il suo fondamento è anche il suo capo». Insomma, quello che voglio dire è che gli uomini non vanno in chiesa come si va in un circolo ricreativo, per scambiarsi una stretta di mano, ma vanno lì perché lì avviene questo avvicinamento col Signore. L’architettura delle chiese deve richiamare questa dimensione di incontro con Dio. Non può limitarsi a celebrare la presenza della comunità intesa come qualcosa di chiuso. Una chiesa non è la sede di singoli gruppi o movimenti, o un luogo di riunione. È un piccolo frammento della Chiesa universale. Tale tensione all’universalità deve trapelare nell’architettura, non certamente attraverso il fasto e la complessità. Anzi, oggi direi che la semplicità sia un elemento profondo attraverso cui si può attingere a questa universalità. Ci sono degli esempi moderni di architettura delle chiese secondo lei positivi? Sì, penso ad Antoni Gaudí, Alvar Aalto, Rudolf Schwarz, Giovanni Michelucci… Sono esempi di come sia possibile che la creatività non si contrapponga affatto a un’attenta considerazione della tradizione, che è la consegna di un’eredità da mettere a frutto. Quando ha iniziato a progettare chiese? Alla fine degli anni Sessanta, quando costruii la Sacra Famiglia a Salerno. Quella però è una chiesa “firmata”… In che senso? È quella che viene più apprezzata dai critici perché è uno sforzo di linguaggio, il tipico edificio che per il suo stile riconoscibile all’interno di un dibattito può trovare il suo posto in una storia dell’architettura. A partire dagli anni Novanta ho cominciato a progettare altre chiese mettendo tra parentesi la problematica espressiva personale – il linguaggio – per dare più ascolto alle esigenze dei committenti e per provare a realizzare i loro desideri. Ricorda con particolare piacere l’ideazione di qualcuna delle chiese che ha realizzato? Beh, la Madonna della Pace a Terni mi ha molto coinvolto ed emozionato. Dopo l’avventura della Moschea di Roma, durata vent’anni, tornavo a pensare a una chiesa, la cui progettazione mi venne proposta nel ’98 dall’allora vescovo della diocesi, Franco Gualdrini. Fui conquistato da un flusso di sentimenti, idee e immagini che scaturivano dai titoli scelti: la Santissima Trinità e la Vergine apportatrice di pace. Mi immersi nella lettura di testi su Maria e mi confermai nella identificazione simbolica della Madonna con la stella e con la luce, immagini per me strettamente legate al ricordo delle litanie lauretane che ascoltavo dopo la recita del rosario a casa dei miei nonni, durante la guerra. Fui conquistato dai versi dell’inno Akathistos – «Stella annunciatrice del Sole…» –; dall’in- NEL SILENZIO DELLE NOSTRE CHIESE A destra, uno scorcio del soffitto della navata centrale della Sagrada Família, di Antoni Gaudí, a Barcellona no medievale dei Vespri di Maria, l’Ave maris stella; dalle terzine di Dante nel Paradiso – «Qui sei a noi meridïana face / di caritate…» –; e dalle parole di Péguy nella Presentazione della Beauce alla Madonna di Chartres – «Stella del mare… Stella del mattino… / eccoci in marcia verso la vostra illustre reggia, / ed ecco il vassoio del nostro povero amore, / ed ecco l’oceano della nostra pena immensa…». Questi versi cristiani richiamarono alla mia memoria la poesia Alla foce, la sera, di Caproni, non proprio un campione della fede in senso tradizionale, ma poeta a me carissimo: «La vedevo alta sul mare. Altissima. / Bella. // All’infinito bella / più di ogni altra stella […]. Ne ignoravo il nome. / Il mare / mi suggeriva Maria. / Era ormai la mia / sola stella. / Nel vago // della notte, io disperso / mi sorprendevo a pregare. // Era la stella del Mare». Ero contentissimo: avevo trovato il nucleo formativo dell’edificio, l’ideogramma stellare, le cui prime applicazioni alla pianta delle chiese risalgono al Barocco, anche se i prodromi sono rintracciabili già nel Medioevo. Quali caratteristiche desiderava che avesse la nuova chiesa? Volevo che rappresentasse il raccoglimento: è importante il silenzio nelle chiese, il silenzio è la condizione di accesso al sacro. Poi desideravo privilegiare la “povertà”, piuttosto che la ricchezza. Per questo ho voluto realizzare la copertura in legno, come nelle chiese medievali. Verrà realizzata la maquette della chiesa dedicata a san Benedetto che ha donato al Papa? Non lo so… Quello è soprattutto un omaggio a papa Ratzinger. Ed è anche l’auspicio che san Benedetto protegga la sua Europa in questi momenti difficili. q 30GIORNI N.11 - 2011 65 Le opere belle della carità Luci dall’Africa La presenza dell’Opus Dei in Africa attraverso piccole storie di carità e solidarietà. Nel ricordo di Margaret Ogola, una donna keniana che come medico ha speso la vita per combattere l’Aids e a favore della famiglia di Giovanni Ricciardi K Sopra, un ricercatore dell’ospedale Monkole a Kinshasa 68 inshasa, Repubblica Democratica del Congo. Nella periferia meridionale della città il centro medico Monkole lo conoscono un po’ tutti. Perché a migliaia sono stati curati o hanno beneficiato della sua azione di educazione sanitaria, dal 1991 a oggi. Un ospedale così ben tenuto che alcuni pensavano fosse un luogo “per ricchi”. Monkole è un’iniziativa di persone dell’Opus Dei, così come la Scuola infermieristica che forma il personale sanitario di sei ospedali. I giovani congolesi che la frequentano stanno contribuendo alla crescita del settore sanitario del loro Paese. 30GIORNI N.11 - 2011 Dal Congo al Kenya, e alla sua capitale Nairobi. Qui, dal 1961, il nome Strathmore è sinonimo di cultura, for mazione, emancipazione. Questa struttura educativa copre attualmente l’intero ciclo scolastico, dalle elementari all’università. Generazioni di ragazzi hanno avuto la possibilità di acquisirvi una valida preparazione culturale e professionale, unita a una profonda formazione cristiana. Negli anni Sessanta la città di Nairobi era suddivisa in quartieri secondo un rigido criterio razziale. San Josemaría Escrivá de Balaguer chiese alle persone che progettavano quest’iniziativa che, per Opus Dei quanto radicate fossero le usanze, il centro avesse un carattere interrazziale. Una cosa che in Kenya non si era mai vista. Per san Josemaría il servizio agli altri non poteva prescindere dall’attenzione alle due dimensioni dell’uomo: corporale e spirituale. Da qui il grande impegno per l’evangelizzazione, la formazione cristiana, e poi per le iniziative sociali come insegnare un lavoro, valorizzare la donna, curare i malati o gli anziani. Nei primi tempi del suo apostolato egli era solito attraversare Madrid a piedi per visitare malati nei quartieri periferici, assistere moribondi e senzatetto, insegnare il catechismo ai bambini. E lì portava i giovani che seguiva spiritualmente, per aiutarli, attraverso i servizi più umili prestati agli “ultimi”, a cogliere il senso della sequela di Cristo. Anni dopo, incoraggiati da san Josemaría, i membri dell’Opera crearono, sempre a Madrid, con la collaborazione della popolazione locale, il centro professionale Tajamar, che ha avviato al lavoro più di 20mila giovani. Lo stesso accadde nella periferia di Roma con il Centro Elis, inaugurato nel 1965 da Paolo VI. Contemporaneamente, in Messico, una vecchia hacienda zuccheriera veniva trasformata in un centro di formazione per i contadini di tutto lo Stato di Morelos. Anche in Africa il lavoro apostolico dell’Opus Dei si fonda sullo stesso presupposto: l’Opera aiuta ciascuno a riscoprire il suo rapporto con Dio e a viverlo nella vita di tutti i giorni, e la dimensione del lavoro rientra pienamente in questo rapporto. Secondo questo spirito è stato creato il progetto Harambee Africa International, una onlus nata nel 2002 – l’anno della canonizzazione di Josemaría Escrivá – per promuovere progetti di sviluppo che abbiano come protagonisti gli africani. Harambee sostiene in 14 Paesi del continente una trentina di progetti che spaziano dalla formazione per contadini e artigiani a corsi per la preparazione professionale della donna, fino a percorsi educativi per il reinserimento sociale di ex detenuti. Il 9 settembre scorso la onlus Harambee ha promosso a Roma, presso la Pontificia Università della Santa Croce, un incontro internazionale per giovani imprenditori africani di quattro Paesi (Nigeria, Ghana, Burkina Faso, Tunisia) e rappresentanti di alcune organizzazioni del settore pubblico e privato in Africa, al fine di esplorare le opportunità di crescita dell’imprenditoria africana come via per lo sviluppo del continente. L’obiettivo di incontri come questo è che i giovani imprenditori africani diano vita a progetti concreti nel continente, così come i medici, gli ingegneri, gli economisti possano partecipare allo sviluppo dei loro Paesi. Perché realtà come Monkole e ¬ Strathmore possano moltiplicarsi. Josemaría Escrivá de Balaguer con alcune studentesse africane 30GIORNI N.11 - 2011 Un’infermiera dell’Issi, la scuola per infermiere adiacente all’ospedale Monkole a Kinshasa 69 Le opere belle della carità Qui sopra, la dottoressa Margaret Ogola durante la presentazione di Harambee, a Roma, il 4 ottobre 2002; in alto, mentre visita un ragazzo 70 Margaret Ogola: una vita per Dio e per l’Africa Ma tutto questo sarebbe impossibile se non ci fossero dei testimoni, come Margaret Ogola, una keniana molto nota in patria, un medico che si spendeva quotidianamente per il bene dei malati di Aids e il rafforzamento della famiglia in Africa. La dottoressa aveva lavorato alla Strathmore University e faceva parte dell’Opus Dei. Margaret è morta alla fine di settembre dopo una lunga malattia, ed è stata una grande promotrice di Harambee. Molte persone, tra cui un’intera generazione di studenti del Kenya, l’hanno conosciuta anche attraverso i suoi romanzi, il più famoso dei quali, Il fiume e la sorgente, nel 1995 ha vinto il premio Writer Commonwealth per il miglior libro della regione africana, ed è stato tradotto in Italia dalle Edizioni San Paolo nel 1997. Per la maggior parte della sua vita professionale Margaret si è presa cura dei poveri, in particolar modo dei malati di Aids. Dal 1994 è stata direttore medico dell’Hospice del Cottolengo per l’Aids e gli orfani di Hiv, e nel 2004-2005 ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione della Clinica Hiv/Aids Sos, che cura donne, uomini e bambini dei bassifondi di Nairobi. Allo stesso tempo era moglie e madre di cinque figli e di due orfani accolti nella sua famiglia: «Così», disse una volta, «anche se 30GIORNI N.11 - 2011 sono oltre l’età fertile la mia famiglia continua a crescere! E questa è la storia di tutti in Kenya oggi: si hanno orfani di cui ci si prende cura perché non hanno nessun altro a cui rivolgersi». Oltre al suo lavoro di medico, Margaret dal 1994 al 1998 è stata direttore esecutivo dell’associazione Family Life Counseling del Kenya, e dal 1998 al 2002 segretario esecutivo nazionale per la salute e la vita familiare della Conferenza episcopale keniana, coordinando l’amministrazione di oltre 430 strutture sanitarie di assistenza gestite dalla Chiesa cattolica in Kenya. Nel 2002 è diventata coordinatore per il Kenya di Haci (Hope for African Children Initiative), un’associazione che coinvolge Care, Save the Children, l’Associazione per le donne e l’Aids, World Vision e altre ong internazionali. Nella comunità internazionale Margaret Ogola si è distinta come un campione della dignità umana, che lei vedeva come appartenente nella stessa misura a ogni uomo, donna e bambino – compreso il nascituro. Non era femminista in senso politically correct, cosa che avrebbe forse favorito la sua ascesa a un ruolo di primo piano nelle Nazioni Unite, ma era ugualmente una forte sostenitrice del potenziamento del ruolo delle donne. Alla quarta Conferenza mondiale dell’Onu sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995, poté dire con grande serenità e fermezza che «la donna è il cuore della famiglia, e la famiglia è la pietra angolare della società. La donna è un concentrato di creatività, sviluppo e pace. La cooperazione tra uomini e donne è pertanto necessaria perché una donna porta una complementarità uguale e potente per la comune condizione umana. Alle donne è stata affidata la capacità di trasmettere la vita che è il dono più prezioso che un corpo possa dare o ricevere. Senza vita nessun altro bene è possibile». Attaccò inoltre i dogmi intoccabili di organizzazioni internazionali per lo sviluppo, insistendo sulla «disponibilità di metodi economici e sicuri di distanziamento delle nascite, come la pianificazione familiare naturale», e chiedendo il riconoscimento del «ruolo insostituibile dei genitori e della famiglia nell’educazione e nella formazione dei bambini in materia di sessualità». Nel suo impegno quotidiano per i malati Opus Dei di Aids, insisteva sul fatto che la povertà – e, di conseguenza, la piaga della prostituzione – era la principale causa della sua diffusione tra le donne: «Pertanto», diceva, «i programmi di prevenzione dovrebbero mettere le donne al centro, non solo per aiutarle a dire “no”, ma anche per offrire loro delle alternative quando dicono “no”. Questo significa attenzione alla povertà nel nostro Paese. Il 57 per cento dei keniani vive con meno di un dollaro al giorno. Ma la maggior parte dei poveri è costituita da donne, e soprattutto donne giovani, perché socialmente non sono considerate uguali agli uomini e quindi hanno minore accesso all’istruzione e alle risorse a ogni livello. La loro situazione deve essere affrontata in modo olistico e integrato: non solo promuovere i valori della famiglia, ma dar loro anche la possibilità di fare una vita diversa dalla prostituzione, in cui spesso finiscono a causa della povertà». Che cosa poteva sostenere la dottoressa Ogola nel suo lavoro instancabile se non la sua fede cattolica? A essa doveva anche, senza dubbio, il suo grande ottimismo sull’Africa e le sue famiglie. In un’intervista del 2005 diceva: «Sì, sono molto fiduciosa, considerando tutto quello che è successo negli ultimi dieci anni, cioè la consapevolezza che esiste oggi nel mondo circa la situazione dell’Africa e l’impatto dell’Aids, la buona volontà di molti, i fondi che cominciano ad arrivare non solo per distribuire preservativi, ma anche per offrire assistenza e sostegno, dare aiuto ai bambini affamati, fornire gli indumenti in modo che possano almeno andare a scuola in modo decente come gli altri. Ecco, tutte queste cose stanno cominciando ad accadere. E quando c’è una convergenza di intenti, l’ingegno umano può sicuramente sconfiggere anche un virus come l’Aids, proprio come abbiamo sconfitto il vaiolo e la poliomielite. Quindi, ripeto, sono piena di speranza». L’ultima parola dovrebbe andare a qualcuno che la conosceva ed era presente al suo funerale affollato presso la Basilica della Sacra Famiglia a Nairobi lo scorso settembre: «È stata giorno dopo giorno sempre più vicina a Dio», ci è stato raccontato: «Il sa- cerdote che l’assisteva ha detto che voleva fare ogni cosa, grande o piccola, non importa quanto fosse impegnativa, per amore. Altre persone – familiari, amici, colleghi e funzionari di governo – hanno testimoniato che era una persona di grande talento e determinazione, una lavoratrice instancabile e sempre alla ricerca del modo migliore per essere al servizio degli altri nella sua professione, in particolare nella cura di bambini rimasti orfani a causa dell’Aids, che erano la sua preoccupazione principale come pediatra. Aveva per loro un grande amore e ha combattuto per il rispetto della dignità della vita umana. La fede e la fiducia in Dio hanno caratterizzato tutta la sua vita». q Sotto, due immagini del centro di produzione sementi Ceprosem, un progetto, finanziato da Harambee in Congo, che assicura la formazione degli agricoltori e la commercializzazione di sementi certificate 30GIORNI N.11 - 2011 71 PRIMO MILLENNIO Perseguitati in tempi recentissimi La Prima Lettera di Clemente ai Corinzi, in cui si parla delle persecuzioni subite dai cristiani «per invidia e gelosia», fu redatta non molto tempo dopo la morte di Nerone, e quindi a pochissimi anni dal martirio dei santi Pietro e Paolo a Roma. Un articolo del presidente emerito del Pontificio Comitato di Scienze storiche del cardinale Walter Brandmüller ispetto alle testimonianze scritte della Chiesa primitiva a noi pervenute, la Prima Lettera di Clemente è quella in ordine di tempo più prossima ai testi neotestamentari. Non ci si può stupire, dunque, se da tempo riscuote l’attenzione particolare degli studiosi. Ma questo testo è stato, ed è dibattuto in ogni suo minimo dettaglio soprattutto perché la tradizione cattolica vi vede la primissima testimonianza extrabiblica in favore del primato della Chiesa romana in seno alla cristianità. Particolare interesse riveste perciò la questione della data di composizione. È generalmente accettato che la Prima Lettera di Clemente sia stata composta verso la fine del I secolo dell’era cristiana. Partendo dal riferimento alla persecuzione dei cristiani, la si fa perciò risalire all’epoca dell’imperatore Domiziano che regnò dall’81 al 96. Sono però da tempo sorti dubbi su questa datazione e studi più accurati hanno dimostrato che sotto Domiziano non si ebbe alcuna persecuzione dei cristiani. Nei capitoli dal 3 al 5 della Lettera, che è un appello all’unità e all’amore in seno alla Chiesa, si parla delle funeste conseguenze della gelosia per la comunità dei cristiani. L’autore porta a questo riguardo una serie di esempi tratti dall’Antico Testamento, per poi proseguire: «Ma lasciando gli esempi antichi, veniamo agli atleti di tempi recentissimi. Per invidia e gelosia, R 74 30GIORNI N.11 - 2011 colonne di massima grandezza e rettitudine furono perseguitate e lottarono sino alla morte. Prendiamo ad esempio i valenti Apostoli: Pietro, che per ingiustificata invidia non una o due, ma molte pene patì [...]. Dinanzi all’invidia e alle liti, Paolo mostrò quale fosse la palma per la sopportazione paziente [...]. Si ritirò perciò dal mondo e raggiunse il luogo santo da eccelso modello di pazienza». Subito dopo, la Lettera parla anche dei martiri della persecuzione per mano di Nerone e accenna – come più tardi anche Tacito (+117) – al modo in cui morirono, dicendo inoltre in maniera esplicita che tutto ciò è accaduto “da noi” (a Roma) – •n ämîn – e, per la precisione, ≤ggista, vale a dire “in tempi recentissimi”. Ma questo vuol dire che la persecuzione di Nerone appartiene all’esperienza diretta dell’autore. La Lettera non può dunque essere stata scritta molto tempo dopo la morte di Nerone (68), laddove l’anno del massacro di cristiani non è ancora sicuro (64/65). A tal proposito, sorge anche la questione se nello scatenarsi dell’invidia e gelosia di cui parla Clemente, e di cui gli apostoli Pietro e Paolo furono vittime, siano da riconoscere i conflitti all’interno della comunità cristiana di Roma. I noti contrasti intorno a Marcione, Valentino e Cerdone sono tutti di una generazione dopo. I santi Pietro e Clemente, particolare del mosaico absidale del XII secolo della Basilica di San Clemente, a Roma È molto più verosimile pensare alle tensioni tra cristiani e giudei. Non va infatti dimenticato che in quei decenni era in pieno corso la separazione tra giudei e cristiani, una situazione più che favorevole a invidie e gelosie. Sappiamo inoltre da Giuseppe Flavio che la moglie di Nerone, Poppea, era una proselita, vale a dire una convertita all’ebraismo, e doveva perciò aver avuto stretti legami con gli ambienti giudaici a Roma. Quindi, è davvero impensabile che nella ricerca di capri espiatori per l’incendio della Roma neroniana sia stata lei ad aver dirottato l’attenzione sui cristiani, così invisi ai giudei? In tutti questi approcci interpretativi è comunque necessario usare cautela, considerata l’assenza di prove certe nelle fonti. È invece il momento di affrontare la questione dell’autore. È evidente che il nostro testo – che si ¬ 30GIORNI N.11 - 2011 75 PRIMO MILLENNIO Moneta con l’effigie di Nerone, Museo archeologico Nazionale, Napoli; sotto, testa di Nerone, Museo Palatino, Roma. Anno 64 circa presenta come una trattazione in forma epistolare – non è opera di una collettività: che la «Chiesa di Dio che vive a Roma in terra straniera» scriva alla Chiesa di Corinto è solo un espediente formale. A prestare la penna, si ritiene sia stato “Clemente”, nome che – per quanto ci è noto – viene per la prima volta citato in una lettera di risposta del vescovo Dionisio (Dionigi) di Corinto a papa Sotero (166-174 ca.). Scrive Dionisio (Dionigi): «Oggi celebriamo il giorno santo del Signore e in questo medesimo giorno abbiamo letto la vostra lettera, la quale, così come il precedente scritto a noi inviato da Clemente, sempre leggeremo ad ammonimento». Se questo Clemente è nominato accanto al vescovo di Roma Sotero e la sua lettera è letta al pari della lettera di un papa durante la liturgia, si può ritenere che con tale Clemente si faccia riferimento a un altro vescovo di Roma. Come probabilmente suggerisce anche il Clemente romano ricordato nel Pastore di 76 30GIORNI N.11 - 2011 PERSEGUITATI IN TEMPI RECENTISSIMI Erma, scritto nella prima metà del II secolo, poiché dal contesto si evince che quel Clemente era persona di alta autorità. Non va dimenticato che fino al IV secolo, allora come in passato, la Lettera di Clemente era di pubblico uso in gran parte delle Chiese. In Egitto e Siria, in particolare, le veniva attribuita un’autorità quasi canonica. Nel Codex Alexandrinus, famoso manoscritto della Bibbia del V secolo oggi conservato a Londra, insieme al Nuovo Testamento è anche contenuta proprio la Prima Lettera di Clemente. Ora, come si è detto, tutti questi dibattiti, ovvero controversie, hanno un retroterra: la Prima Lettera di Clemente può essere considerata la prima prova postbiblica in favore del primato del vescovo di Roma nella guida della Chiesa universale? Le risposte sono diverse a seconda del diverso punto di vista confessionale. Dovrebbe essere chiaro quale lampante anacronismo rappresenterebbe chiedersi se il primato di Roma, così come formulato dai due Concili Vaticani, sia testimoniato dalla Prima Lettera di Clemente. È giusto però chiedersi se qui non emerga la responsabilità su tutta la Chiesa dell’Ecclesia Romana. Per questo conviene innanzitutto dare uno sguardo al motivo e al contenuto della Lettera. Come mai fu necessario scriverla? Dal testo si comprende che nella comunità di Corinto si era verificata una spaccatura, poiché i giovani si erano ribellati ai presbiteri della comunità e li avevano rimossi dal loro ufficio. L’intervento di Roma, in questa situazione che minacciava la vita della Chiesa di Corinto, è un fatto notevole. È del tutto ignoto se sia stato in seguito a una richiesta di aiuto da parte dei capi della Chiesa esautorati o se Roma abbia preso l’iniziativa motu proprio. Per la nostra questione, è del tutto irrilevante, perché nel primo caso, se erano stati i presbiteri a far ricorso a Roma, vuol dire che allora ne riconoscevano l’autorità e la facoltà di tutelare i loro diritti; nel secondo, l’intervento di Roma testimonierebbe che l’Ecclesia Romana esercitava in modo ovvio l’autorità sulla Chiesa tutta. Il fatto appare ancor più notevole, se si considera che all’epoca dell’invio della Lettera a Corinto – poco importa se si data prima o solo intorno alla fine del I secolo – a Efeso era ancora vivo uno dei Dodici, Giovanni. Inoltre, via terra Corinto distava da Efeso circa 1.300 chilometri – meno della metà via mare –, mentre, sempre via terra, Roma era lontana 2.500 chilometri. Doveva esserci perciò un motivo, se non fu l’ultimo dei Dodici, ma il Vescovo di Roma, a essere interpellato e a intervenire in questa situazione. La supposizione perciò che si sia ricorsi al Successore di Pietro come all’istanza ultima potrebbe non essere affatto sbagliata. q Sopra, il “muro dei graffiti” con l’apertura che immette nel loculo dove si conservano le reliquie di Pietro, necropoli sotto la Basilica di San Pietro, Città del Vaticano; sotto, la lastra marmorea con l’epigrafe “A Paolo apostolo e martire”, Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma 30GIORNI N.11 - 2011 77 Aggiungi un posto a tavola Dal nuovo centro di cottura all’interno dell’“Istituto di Rebibbia Nuovo Complesso” la Men at Work produce e consegna pasti a comunità, aziende, enti locali, istituti religiosi, scuole, nel territorio del Comune e della Provincia di Roma. La Men at Work è una cooperativa sociale senza fine di lucro che, dal 1998, attiva processi di reinserimento di persone svantaggiate e, dal 2003, forma professionalmente le persone detenute nel carcere di Rebibbia di Roma, creando nuovi posti di lavoro nel settore della ristorazione. Le persone che vi operano sono tutte formate con corsi specifici nel campo della ristorazione collettiva e garantiscono al consumatore un prodotto salubre, sicuro e certificato ISO 9001. Se devi aggiungere un posto a tavola, aggiungilo con una ragione in più. Buon appetito. A tutti! Per informazioni e preventivi tel. 0677208095 oppure e-mail: [email protected] Se vuoi sostenere il lavoro della Men at Work , puoi anche scegliere di destinargli il tuo 5 per mille. Sulla tua dichiarazione dei redditi, firma nella casella delle Organizzazioni non lucrative di utilità sociale e indica il codice fiscale 05647761005. Il tuo 5 per mille andrà ai progetti di reinserimento al lavoro realizzati dalla Men at Work. P.zza San Giovanni in Laterano 44 00184 Roma Un arcipelago di servizi Per arcipelago di servizi intendiamo un sistema di integrazione di risorse sociali che presenta una gamma di possibilità nella scelta del servizio appropriato. Archipelagos è una libera aggregazione che unisce varie cooperative che operano al servizio delle persone, delle comunità, degli enti pubbliici e privati ponendo maggiore attenzione ai più deboli e alla qualità dei servizi offerti. Manser La Cooperativa Sociale e di Lavoro è stata costituita a Roma nel 1995 su iniziativa di un gruppo di psicologi e assistenti sociali. La cooperativa in convenzione con il Comune di Roma svolge numerosi servizi atti a migliorare la qualità della vita delle famiglie attraverso interventi mirati ad alleviarne il disagio e a prevenirne le cause, aiutandole ad inserirsi nella rete sociale. È attivo il progetto “Buon Samaritano” con il contributo della Provincia di Roma consistente nel portare aiuti alimentari alle persone povere. La H3A è specializzata nella gestione di tutti gli adempimenti richiesti dalle normative vigenti, d.lgs.81/08, per piccole, medie e grandi Aziende, in materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e nell’edilizia. Oltre ai servizi di informazione e formazione, sorveglianza sanitaria, antincendio, fornisce servizi di igiene, analisi ambientali e di acque, misurazioni strumentali, rischio chimico, biologico e da polveri avvalendosi di tecnici specializzati come chimici, fisici, biologi e ingegneri. Coop. Insieme La Cooperativa Insieme fondata nel 2005 da un gruppo di donne si occupa di progettare, realizzare e gestire servizi rivolti ai minori. Attualmente gestisce l'asilo nido privato “Mondo Bimbi”a Latina Scalo, ed un nido Comunale a Latina. La Cooperativa ha altre tipologie di sevizi con diversi progetti come ad esempio: Integrazione di alunni stranieri, centri socio-educativi, attività assistenziali rivolte a soggetti diversamente abili e centri estivi. La cooperativa C’era due volte nasce nel 2000 dalle singole esperienze di alcune giovani donne che insieme decidono di fondare strutture e servizi interamente dedicati all’infanzia. La cooperativa ha avviato con successo vari progetti a carattere socio/educativo , formativo, ludico/ricreativo, creando diversi servizi quali 2 Micronidi in convenzione con il Comune di Roma e il servizio “Tages mutter” per bimbi delle fasce d’età 0/6 anni, nel territorio del XII municipio. I SERVIZI OFFERTI: ASSISTENZA DOMICILIARE E CENTRI DI AGGREGAZIONE PER MINORI • ASILI NIDO • GESTIONE DI CENTRI SOCIO EDUCATIVI • TAGESMUTTER • ASSISTENZA AGLI STUDENTI DISABILI • CENTRO PER LA FAMIGLIA • ATTIVITÀ DI SOSTEGNO ALLE PERSONE BISOGNOSE • ANALISI AMBIENTALI E DI ACQUE • MISURAZIONI DI SOSTANZE CHIMICHE • CONSULENZA IN MATERIA DI SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO • ASILI NIDO • FESTE, ANIMAZIONI • CENTRI ESTIVI • SPAZI DI ASCOLTO E CONSULENZA PSICOLOGICA • MICRONIDI • TAGESMUTTER • PULIZIE • MANUTENZIONE IMPIANTI • RISTORAZIONE • INSERIMENTI LAVORATIVI PER GIOVANI E ADULTI La Manser Cooperativa Sociale Integrata, nasce nel 1996 in seguito all’incontro tra operatori sociali e giovani dei quartieri di Tor Bella Monaca e Spinaceto, nell’ambito di interventi socio educativi gestiti dalla Comunità Capodarco di Roma. Si occupa di favorire l’inserimento lavorativo di persone svantaggiate, con particolare attenzione a soggetti con disabilità psico fisica e mentale all’interno delle proprie attività imprenditoriali. È di prossima apertura il ristorante nel parco degli Acquedotti. Archipelagos Via F. Antolisei 25 00173 Roma Tel. 06 72480682 Fax 06 72480640 [email protected] I canti gregoriani più semplici che i fedeli sono invitati a imparare e cantare secondo l’intenzione della costituzione del Concilio Vaticano II sulla Sacra Liturgia Sacrosanctum Concilium È possibile scaricare gratuitamente sia il CD che il LIBRETTO sul nostro sito internet www.30giorni.it nell’area download Si possono inoltre richiedere altre copie del cd e del libretto, al prezzo di 2 euro più spese di spedizione, telefonando al numero verde gratuito oppure scrivendo a: 30GIORNI, via Vincenzo Manzini, 45 - 00173 Roma o all’indirizzo e-mail: [email protected] Cd e libretto sono disponibili anche in lingua francese, inglese, portoghese, spagnola e tedesca con le stesse modalità