IN ALLEGATO: L’umanità di Cristo è la nostra felicità
nella Chiesa e nel mondo
Natale:
una grata
dipendenza
da Cristo
Il messaggio
di Rowan Williams,
primate della
Comunione anglicana,
per i lettori di 30Giorni
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353/2003 (CONV. IN L. 27/02/04 N.46) ART.1,
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al mittente previo addebito.
ISSN 0390-4539
ANNO XXIX N.11- 2011 - €5
Diretto da Giulio Andreotti
N.
Sommario
11 ANNO 2011
anno XXIX
In copertina: lʼimmagine grande:
La Natività, miniatura tratta dal Libro dʼore 1488.5,
XV secolo, Lambeth Palace Library, Londra;
lʼimmagine piccola: LʼAlbero di Jesse,
miniatura tratta dalla Bibbia di Lambeth, XII secolo,
Lambeth Palace Library, Londra
EDITORIALE
Far quadrare i conti è di per sé
una delle più alte operazioni politiche
4
— di Giulio Andreotti
COPERTINA
pag.
46
Il rischio
dei movimenti messianici
Incontro con Riccardo Di Segni,
rabbino capo della comunità ebraica
di Roma
CRISTIANESIMO
Natale: una grata dipendenza da Cristo
— dell’arcivescovo di Canterbury Rowan Williams
24
IN QUESTO NUMERO
REPORTAGE
«Non siamo più grandi dei nostri Padri»
— di G. Ricciardi, foto di M. Quattrucci
31
TRADIZIONE E MOVIMENTI
Il rischio dei movimenti messianici
pag.
31
intervista con Riccardo Di Segni — di G. Cubeddu
Reportage
ARTE CRISTIANA
A Le Barroux, vicino Avignone,
da quarant’anni una comunità
benedettina fiorisce nel segno
della stretta osservanza della Regola
e dell’amore all’antica tradizione
liturgica della Chiesa
Luci dall’Africa
La presenza
dell’Opus Dei
in Africa
attraverso
piccole storie
di carità
e solidarietà
46
Nel silenzio delle nostre chiese
intervista con Paolo Portoghesi — di P. Mattei
60
LE OPERE BELLE DELLA CARITÀ
Luci dall’Africa
— di G. Ricciardi
68
PRIMO MILLENNIO
Perseguitati in tempi recentissimi
— del cardinale Walter Brandmüller
74
RUBRICHE
pag.
68
LETTERE DA TUTTO IL MONDO
10
30GIORNI IN BREVE
52
30GIORNI N.11 - 2011
3
Editoriale
Far quadrare i conti
è di per sé una delle più alte
operazioni politiche
di Giulio Andreotti
Non possiamo mettere in dubbio precedettero l’entrata nella moneta unica –,
che l’Unione europea stia attra- l’equivoco di fondo è la diffusa convinzione
versando un momento difficile. Ma proprio per che l’esigenza di un forte taglio del debito pubquesto credo sia oggi il tempo giusto per fer- blico dipenda solo dalle richieste e dagli obblimarsi a riflettere: partendo dalla constatazione ghi imposti dall’Unione europea, come se si
che, nonostante le difficoltà, quella intrapresa potesse eludere un risanamento fisiologicaera e resta la strada giusta. Nessuno pensava mente indispensabile.
Inoltre l’abbinare un rincaro tributario alle esiche il percorso verso l’Unione fosse una strada
disseminata di fiori e di facili traguardi. In cin- genze di stabilità europea non suscita certo simquantaquattro anni si è avuto uno
sviluppo superiore alle previsioni
più rosee, nonostante le non rare
parentesi di cosiddetto europessimismo e l’azione dei globuli autarchici molto forti nel sistema dei
singoli Paesi.
Il vertice di Bruxelles del 9 dicembre 2011 si è chiuso con un accordo a cui dovrebbe far seguito a marzo un trattato intergovernativo sull’Unione di bilancio a cui non ha
aderito la sola Gran Bretagna. Molti
hanno commentato questo impegno come una costrizione per le finanze del proprio Paese, come l’apertura di una stagione di ulteriori
sacrifici e tasse che potrebbero aggravare la crisi economica in atto.
Come altre volte in passato – e Manifestanti con le loro tende davanti alla sede della Banca centrale europea
penso, ad esempio, agli anni che a Francoforte nell’ottobre 2011
4
30GIORNI N.11 - 2011
Il cancelliere tedesco Angela Merkel, il presidente francese
Nicolas Sarkozy e il primo ministro italiano Mario Monti
al termine dell’incontro a tre a Strasburgo, il 24 novembre 2011
L’equivoco di fondo
è la diffusa convinzione
che l’esigenza di un forte taglio
del debito pubblico dipenda
solo dalle richieste
e dagli obblighi imposti
dall’Unione europea,
come se si potesse eludere
un risanamento
fisiologicamente indispensabile
patie verso l’Unione, dando luogo a ipotesi di
uscita innovative e stravaganti. Perché l’Europa
è un fatto unitario ma composto da tanti addendi. Se si stacca un addendo dall’altro non c’è che
andare all’ufficio liquidazione.
Se riflettiamo, invece, comprendiamo che il
risanamento del debito di un Paese deve comunque essere perseguito; ma fuori dall’Europa, sia l’Italia sia anche gli altri Paesi non avrebbero nessuna contropartita in termini di sviluppo e benessere.
Ad esempio è irrealistico avanzare un’alternativa tra progresso dell’Unione e lotta alla disoccupazione. Non so se l’Unione stessa possa
realizzare il suo proposito di aumentare le op-
portunità di lavoro, ma è certo che i singoli Stati
da soli ne avrebbero certamente meno.
Lo stesso vale per l’euro: abbiamo molti problemi con la moneta unica, ma fuori dall’euro ne
avremmo uno di più: la nostra stessa esistenza.
È vero che il concetto di simultaneità dello sviluppo monetario e dello sviluppo istituzionale si
è incrinato e che questo può portare a conseguenze gravi, ma contrapporre, come è stato
fatto, l’Europa dei ragionieri e dei banchieri a
quella della politica è un esercizio sbagliato, perché far quadrare i conti è di per sé una delle più
alte operazioni politiche. Ricordo che uno degli
artefici dell’accordo di Maastricht fu il “banchiere” Guido Carli. E tra l’altro anche allora ci fu chi
mise in dubbio che l’Italia avesse la possibilità di
raggiungere i parametri richiesti.
Forse vi è stato un eccesso di velocità sia nel
passaggio da Comunità a Unione sia nell’allargamento a 25 e poi a 27. E anche la stipula del
Trattato costituzionale, avvenuta, sempre in Roma, il 29 ottobre 2004, non era del tutto naturale; ma non dobbiamo lasciar passare questo
momento senza rinvigorire convincimenti sopranazionali. Anche lamentarsi per temuti accordi speciali tra Parigi e Berlino è fuorviante e
dannoso, perché non dobbiamo creare manie di
persecuzione antitaliana e perché i governi passano ma la grande politica estera rimane. Gli assi
preferenziali tra Paesi non hanno mai dato buoni
frutti e sia Francia che Germania non avrebbero
certamente vantaggi da un’Italia declassata. Anche la Comunità del carbone e dell’acciaio nacque come solidarietà tra Germania e Francia,
due Stati storicamente nemici, e fu una solidarietà partecipata insieme all’Italia e ai tre Paesi
del Benelux con le loro caratteristiche di aggancio nordeuropeo. Abbiamo, come italiani, l’orgoglio di essere tra i sei popoli della coraggiosa
Missione del 1957. Questo ci crea forse qualche
¬
diritto, ma certamente molti doveri.
30GIORNI N.11 - 2011
5
Editoriale
Contrapporre l’Europa
dei ragionieri e dei banchieri
a quella della politica
è un esercizio sbagliato,
perché far quadrare i conti
è di per sé una delle più alte
operazioni politiche.
Ricordo che uno degli artefici
dell’accordo di Maastricht
fu il “banchiere” Guido Carli
Guido Carli, a destra, con Mario Draghi
in una foto degli anni Ottanta
Credo in conclusione che una pausa di riflessione sia quindi necessaria, senza ammainare
bandiere o esasperare gli aspetti critici. Noi più
anziani, che avemmo la ventura di partecipare
all’entusiasmo degli inizi, fronteggiando contra-
3OGIORNI
nella Chiesa e nel mondo
Direttore Giulio Andreotti
rietà e scetticismi tanto diffusi, dobbiamo esortare a continuare a credere nella positività di
un’Europa unita. Anche in un periodo di difficoltà come questo. Dopo il Calvario c’è la risurrezione, anche se non è un fatto automatico. q
Lorenzo Bianchi, Lorenzo Biondi, Massimo Borghesi,
Lucio Brunelli, Rodolfo Caporale, Lorenzo Cappelletti,
Gianni Cardinale, Stefania Falasca, Giuseppe Frangi,
Silvia Kritzenberger, Walter Montini, Jane Nogara,
Stefano M. Paci, Felix Palacios, Tommaso Ricci,
Giovanni Ricciardi
Hanno inoltre collaborato a questo numero:
il cardinale Walter Brandmüller,
lʼarcivescovo di Canterbury Rowan Williams
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Questo numero è stato chiuso
in redazione il 30 novembre 2011.
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in tipografia il 10 dicembre 2011
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Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il
ARGENTINA
Prego per voi:
non posso impegnarmi
in altro modo
Florencio Varela, 30 agosto 2011
Con tutta la mia stima,
all’Associazione Piccola Via onlus.
Sono il papà di una suora che vive in un monastero di
clarisse. Ho 76 anni e mia figlia quasi 45, di cui venticinque di clausura. Mi interessano i monumenti e le opere
d’arte della Chiesa nel mondo e apprezzo sempre il lavoro della rivista 30Giorni. Ma non ho i mezzi per l’abbonamento. Chiedo la carità di inviarmela gratis. Prego
per la missione che portate avanti, non posso impegnarmi in altro modo. Se non è chiedere troppo, vorrei anche ricevere gratuitamente venti copie di Quien reza se
salva per darlo a persone che ne hanno bisogno.
Sono immensamente riconoscente.
Máximo Lezcano
FILIPPINE
CARMELO THE HEARTS OF JESUS AND MARY
Trecento copie
di Who prays is saved
Malaybalay City, 28 settembre 2011
Caro direttore Giulio Andreotti,
sia lodato Gesù Cristo!
La ringraziamo moltissimo per la generosità e la
gentilezza da lei mostrate nell’inviarci, a ogni uscita,
una copia gratuita della rivista 30Days. Per il buon
lavoro che fa, Dio la ricompensi con abbondanza di
10
30GIORNI N.11 - 2011
mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo •
ogni grazia e benedizione necessarie per portare
avanti la sua missione.
Mi permetto umilmente di chiederle in dono almeno trecento copie del piccolo libro Who prays is saved. Verrebbero distribuite ai presenti in occasione del
mio venticinquesimo anniversario della professione
solenne, il 6 dicembre 2011.
Qui preghiamo incessantemente per lei e per la sua
famiglia, per la sua redazione e per tutti i collaboratori.
La grazia di Dio sia sempre con voi.
Assai fiduciosa in una sua risposta positiva, devotamente sua in Gesù, Maria e Giuseppe,
suor Mary Catherine, ocd
NIGERIA
ABBAZIA BENEDETTINA DI SANTA SCOLASTICA
Immensa gratitudine
per il cd di canti gregoriani
Umuoji (Anambra), 5 ottobre 2011
Caro direttore Giulio Andreotti,
vorremmo esprimerle la nostra immensa gratitudine
per il cd di canti gregoriani che ci avete inviato e anche
per le copie della rivista 30Days in the Church and in
the world che di volta in volta riceviamo da voi. Dio
onnipotente vi ricompensi per la vostra generosità e
per l’egregia opera di evangelizzazione da voi realizzata con questa rivista.
Sinceramente sua in Cristo,
la badessa, madre Margaret Mary Ngobidi, osb
La Basilica dell’Annunciazione
a Nazareth
30GIORNI N.11 - 2011
11
Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il
NICARAGUA
SUORE DI NOSTRA SIGNORA DEL RIFUGIO IN MONTE CALVARIO
DEL CONVENTO SANTA VIRGINIA
Un grazie dal Nicaragua
San Jorge, 8 ottobre 2011
La pace e la gioia di nostro Signore Gesù Cristo sia
con voi!
Vi ringraziamo di cuore per il gesto generoso di
averci inviato le riviste per noi suore e per il nostro
parroco Sergio.
Vi auguriamo e chiediamo a Dio che questa rivista
possa arrivare dovunque e continuare a fare del bene.
Per noi che siamo lontane ci riporta vicino alla Chiesa
di Roma e ci fa sentire unite a tutti i fratelli nella fede e
nella preghiera.
Continuate a fare tanto bene!
Grazie!
le suore di Nostra Signora del Rifugio
in Monte Calvario
FILIPPINE
CARMELO SAINT JOHN OF THE CROSS
Nel 2012 festeggeremo i cinquant’anni
di fondazione del nostro carmelo
Ozamiz City, 10 ottobre 2011
Gentile senatore,
siano lodati Gesù e Maria, e benedizioni per lei e per
i suoi!
Ancora una volta, grazie infinite per l’edizione inglese
di 30Days che ci inviate ormai da diversi anni.
Questa volta vorremmo chiedervi il piccolo libro di
preghiere Who prays is saved.
12
30GIORNI N.11 - 2011
L’anno prossimo, il 3 ottobre 2012, ringraziando il
Signore, festeggeremo i cinquant’anni di fondazione
del nostro carmelo.
Abbiamo pensato che il vostro libretto sarebbe proprio l’“omaggio” perfetto per chi verrà qui in occasione dei festeggiamenti. Vede, Ozamiz, nella provincia
del Misamis Occidental, dove si trova il nostro carmelo, è stata per molto tempo terra di missione: qui in
molti professavano l’“aglipayan”, la religione creata
da un vescovo durante la rivoluzione filippina contro
gli spagnoli. Ozamiz è stata per molti anni terra di
evangelizzazione dei nostri missionari. Il nostro carmelo è stato fondato nel 1962 dal carmelo di Bacolod,
nella provincia del Negros Occidental, per iniziativa
del vescovo Patrick Cronin.
Pensiamo di invitare i vescovi riuniti nel Dopim –
diocesi di Dipolog, Ozamiz, Pagadian, Iligan, Marawi – e ci auguriamo perciò che il 3 ottobre 2012 qui
da noi ci sia una grande partecipazione. Sarebbe troppo da parte nostra chiedervi duemila copie di Who
prays is saved? Stiamo anche pensando, se ve ne sarà
la possibilità, di tradurre il libretto di preghiere in cebuano, dal momento che tra la nostra gente molte
persone non parlano l’inglese.
Abbiamo costruito la nostra cappella e il nostro
monastero anno dopo anno, poco a poco, a seconda dei mezzi di cui disponevamo. E lo abbiamo fatto
utilizzando il materiale considerato il più durevole,
ma anche il più economico sul mercato: l’amianto.
Purtroppo, circa quarantacinque anni dopo, molte
di noi hanno cominciato ad ammalarsi e i dottori
hanno pensato che ciò fosse dovuto all’amianto usato per le costruzioni; ma non avevamo i mezzi per ricostruire la nostra casa. Abbiamo allora “tempestato” il Cielo con le nostre preghiere, chiedendo al Signore di aiutarci a ricostruire la Casa di Sua Madre,
la Vergine del Carmelo. Due anni fa, un membro di
una famiglia di costruttori edili, dopo aver visto la
nostra casa, ha deciso di ricostruirci il dormitorio e
poi il refettorio, la cucina, la biblioteca-sala comune.
All’inizio eravamo in 26, ma il 10 agosto una delle
nostre sorelle ci ha lasciato, dopo la scomparsa della
madre fondatrice già nel 2004. Inoltre, in questo
momento la madre priora sta lottando contro il cancro ed è in chemioterapia a Manila. Restano ancora
da ricostruire o riparare alcune parti del monastero
e la cappella, ma gli ambienti principali sono ormai
ricostruiti con ottimi materiali in grado di resistere ¬
mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo •
Il piccolo altare nella Grotta dell’Annunciazione,
Basilica dell’Annunciazione, Nazareth,
con l’iscrizione
VERBUM CARO HIC FACTUM EST
(QUI IL VERBO SI È FATTO CARNE)
Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il
La stella che indica il luogo
dove è nato Gesù nella Grotta della Natività,
Basilica della Natività, Betlemme,
con l’iscrizione
HIC DE VIRGINE MARIA
IESUS CHRISTUS NATUS EST
(QUI DALLA VERGINE MARIA
È NATO GESÙ CRISTO)
alle termiti, un vero flagello per le
strutture in legno della nostra casa.
Possiamo sperare di ricevere da
lei un altro favore, gentile senatore?
Ci serve una campana adatta a chiamare la nostra comunità alla preghiera e a suonare l’Angelus, oltre
che a chiamare la gente alla messa.
Possiamo chiederle di aiutarci a trovare per il nostro monastero una
campana, magari grazie a qualcuna
delle società che fanno pubblicità su
30Days? Nella nostra povertà siamo
così sfacciate da chiedere tutti questi
favori, perché vediamo il vostro
grande amore per il Signore e Sua
Madre, e tutto quello che fate per monasteri, conventi
e quanti sono consacrati al Signore. E rendiamo lode e
grazie a Dio per tutto quello che fate per la Chiesa.
Vi ringraziamo dal più profondo per tutto ciò che
potrete fare per aiutarci, rivolgendo il nostro sguardo al
Signore perché sia lui stesso il nostro miglior “grazie”.
Assicurandole la nostra devota preghiera per lei,
14
30GIORNI N.11 - 2011
per i suoi cari, per i collaboratori di 30Days, la portiamo con noi nel nostro affetto e nelle nostre preghiere.
In Gesù e Maria,
le sue suore del carmelo di Ozamiz.
A nome della reverenda madre e della comunità,
suor Mary Therese, ocd
mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo •
ARGENTINA
SEMINARIO DIOCESANO SAN JOSÉ
DELLA DIOCESI DI SANTO TOMÉ
Los cantos de la Tradición per i seminaristi
Santo Tomé, 13 ottobre 2011
Signor direttore,
sono il rettore del seminario diocesano San José della
diocesi di Santo Tomé, nella Repubblica Argentina.
Ho ricevuto, assieme alla rivista, il supplemento
Los cantos de la Tradición. Mi è sembrata una pubblicazione di grande ricchezza per il contenuto che
contribuisce a mantenere viva la nostra Tradizione.
La ringrazio perché l’ascolto del cd mi ha riportato
con il ricordo ai miei anni di seminario.
Le scrivo per avere informazioni sulla disponibilità
del supplemento e sul costo. E per sapere se c’è modo di acquistarlo direttamente qui, in Argentina. Vorrei darne una copia a ciascuno dei dieci seminaristi
della nostra diocesi. Appena può, mi faccia sapere il
prezzo del supplemento, in modo tale che potrò decidere se acquistarlo per i nostri ragazzi.
Distinti saluti,
padre Juan Carlos Fernández-Benítez
continua a p. 18
Bambini nella Grotta
della Natività
Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il
Fiducia!
È la mano di Gesù
che conduce tutto…
Santa Teresa
di Gesù Bambino
Invito alla preghiera
La redazione di 30Giorni invita tutti, e in particolare le persone consacrate dei
monasteri di clausura, a pregare per don Giacomo Tantardini. Da alcuni mesi si
sta curando per un tumore a un polmone. Che il Signore doni di chiedere con fiducia il miracolo della guarigione. Ai sacerdoti che stimano e vogliono bene a
30Giorni chiediamo di celebrare la santa messa secondo questa intenzione. Ai
genitori chiediamo la carità di far pregare i propri bambini.
Non stanchiamoci
di pregare. La fiducia
fa miracoli.
Santa Teresa
di Gesù Bambino
16
30GIORNI N.11 - 2011
mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo •
«Sono molto contento che 30Giorni faccia una nuova edizione di questo piccolo libro
contenente le preghiere fondamentali dei cristiani maturatesi nel corso dei secoli.
A questo piccolo libro auguro che possa diventare un compagno di viaggio per molti
cristiani».
dalla presentazione del cardinale Joseph Ratzinger del 18 febbraio 2005
(eletto Papa il 19 aprile 2005 con il nome di Benedetto XVI)
CHI PREGA SI SALVA
Il piccolo libro, di cui 30Giorni ha già distribuito centinaia di migliaia di copie,
contiene le preghiere più semplici della vita cristiana,
come quelle del mattino e della sera,
e tutto ciò che aiuta a fare una buona confessione
FORMATO PICCOLO
Tascabile, misura 10,5x15 cm
COSTA €1 A COPIA
+ spese di spedizione
FORMATO
GRANDE
Più leggibile e adatto
ad essere lasciato
in chiesa sul banco,
misura 13,6x19,8 cm
COSTA €1,50 A COPIA
+ spese di spedizione
EDIZIONI ESTERE
in lingua portoghese, inglese,
francese, spagnola, tedesca e cinese.
Misura 13,6x19,8 cm
COSTA €1 A COPIA
+ spese di spedizione
È possibile richiedere copie
sia dell’edizione grande
che di quella piccola
e delle edizioni estere
telefonando al numero verde gratuito
oppure scrivendo a 30GIORNI
via Vincenzo Manzini, 45 - 00173 Roma
o all’indirizzo e-mail: [email protected]
Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il
SVIZZERA
MONASTERO DELLA PASSIONE DI CRISTO
30Tage ci tiene unite al cuore
della nostra realtà cattolica
segue da p. 15
Jakobsbad, 18 ottobre 2011
MESSICO
FRATI MINIMI DEL CONVENTO
NUESTRA SEÑORA DE LA SOLEDAD
Cinquecento copie di Quien reza se salva
per la festa della Madonna di Guadalupe
Saltillo (Coahuila), 16 ottobre 2011
Stimatissimo senatore Giulio Andreotti,
con immensa gratitudine voglio ringraziarla personalmente per la rivista 30Giorni che da qualche mese ci fa
giungere mensilmente nella nostra missione messicana,
dove, come frati dell’Ordine dei Minimi, testimoniamo il
carisma di carità, di conversione e di riconciliazione del
nostro fondatore, san Francesco di Paola, mettendoci al
servizio della gente più povera e bisognosa del posto.
Grazie alla generosità sua e di tutta la redazione,
stiamo ricevendo gratuitamente questo prezioso strumento di informazione che per noi religiosi è di vitale
importanza, perché ci mantiene in comunione con tutta la Chiesa e con il mondo attuale, ed è una fonte sicura di aggiornamento.
Ora vorrei presentare alla sua sensibilità religiosa il
mio desiderio di disporre di cinquecento libretti Quien reza se salva per offrirli alle famiglie in occasione della mia
prossima visita in preparazione alla festa della Madonna
di Guadalupe, che ricorre il 12 dicembre.
Mi sembra una pubblicazione particolarmente utile
per la mia gente, che in gran parte è umile e semplice,
perché contiene tutto ciò che è veramente necessario
sapere e utilizzare per vivere una vita cristiana autentica
e profonda.
Ringraziandola anticipatamente per il grande dono
che sono sicuro di ricevere, le assicuro le preghiere della
mia comunità religiosa e di tutta la mia gente.
Con gratitudine e stima, in Cristo,
padre Omar Javier Solís Rosales, om,
superiore della comunità dei frati minimi
18
30GIORNI N.11 - 2011
Gentilissimo senatore Giulio Andreotti,
qui nel monastero delle cappuccine della Passione di
Cristo riceviamo da tempo la sua rivista 30Tage, così
ben fatta e interessante.
Ci tiene unite al cuore della nostra realtà cattolica
e ci offre uno sguardo ampio sul pensiero della nostra
Chiesa.
Desideriamo ringraziarla per questa sua gentilezza: ogni volta porta anche a noi un po’ di gioia per la
Chiesa tutta.
Nel rassicurarla del fatto che la nostra comunità ricorda nelle preghiere il suo lavoro e quello dei collaboratori e dei giornalisti, porgo con gratitudine i più
sentiti saluti,
la madre superiora suor Mirjam Huber
e comunità
CUBA
Quien reza se salva per i bambini
e i contadini cubani
L’Avana, 19 ottobre 2011
Signor Giulio Andreotti,
illustre fratello in Cristo, pace e salute!
È arrivato nelle nostre mani il numero 4/5 della sua rivista 30Días e ne abbiamo condiviso pienamente i criteri
e le preoccupazioni: la sua rivista è una profonda e stupenda catechesi.
Siamo missionari contadini cattolici, apparteniamo
a un ramo della congregazione della Missione di San
Vincenzo de’ Paoli e di Santa Luisa de Marillac e lavoriamo in comunità isolate e di campagna, nella nostra
amata Cuba. Ci prendiamo cura anche di alcuni bambini tetraplegici e delle loro famiglie, annunciando la Parola di Dio e condividendo con loro tutto ciò che possia-
mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo •
mo. Abbiamo visto sulla sua rivista il libro di preghiere
Quien reza se salva e le scriviamo per chiedergliene alcune copie, dato che i nostri contadini amano molto
pregare. Ci sarebbero utili anche alcuni catechismi
semplici e alcuni rosari.
Chissà se c’è qualche persona generosa che vuole
aiutare questi bambini. Crediamo fermamente nella comunione dei santi. Assieme alle nostre richieste e alla
nostra riconoscenza, le assicuriamo le nostre semplici e
umili preghiere.
Gesù, Maria e Giuseppe la custodiscano e la benedicano.
Suo,
Sergio León Mendiboure
La Basilica della Natività
a Betlemme; a sinistra,
la piccola Porta dell’Umiltà
attraverso la quale si accede
alla Basilica
30GIORNI N.11 - 2011
19
Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il
Ricevo questa rivista in italiano. Sarebbe mio desiderio riceverla in spagnolo, come quando ero vescovo
della diocesi di Comodoro Rivadavia. Riceverla in spagnolo sarà a vantaggio di altre persone che potranno
così accedere alla sua lettura con maggior facilità e migliore comprensione.
Vi ringrazio e saluto cordialmente, e vi assicuro un
ricordo vivo nella preghiera.
In Cristo e Maria,
ARGENTINA
VESCOVADO DI NEUQUÉN
monsignor Virginio D. Bressanelli,
vescovo di Neuquén
Apprezzo 30Giorni e vi ringrazio di cuore
Neuquén, 21 ottobre 2011
A destra,
uno scorcio
Egregio direttore,
sono monsignor Virginio Domingo Bressanelli, sci,
vescovo a Neuquén, nella Patagonia, in Argentina.
Ogni mese ricevo la rivista 30Giorni, che apprezzo e
ringrazio di cuore perché mi permette di avere per
mano temi d’attualità e di approfondimento cristiano,
oltre all’ampio orizzonte teologico, spirituale, storico
e culturale che molti articoli prospettano.
dell’interno
della Basilica
della Natività
A sinistra,
devozione
nella Basilica
della Natività
20
30GIORNI N.11 - 2011
mondo • Lettere da tutto il mondo • Lettere da tutto il mondo •
IRLANDA
CARMELO SAINT JOSEPH
Grazie per lo splendido reportage
dalla Turchia
Dublino, 24 ottobre 2011
La pace di Cristo!
Caro signor Andreotti,
ogni mese riceviamo con gratitudine 30Days e ci piacciono moltissimo gli articoli e le belle immagini. Desideria-
Anni dopo, ho fatto il mio ingresso in un carmelo
in Inghilterra, ho trascorso quarant’anni in un carmelo gallese, poi altri venti in un carmelo vicino a Johannesburg, in Sudafrica, e ora sono qui a Dublino.
Le sarei grata se potesse farci avere una copia di
quella foto della chiesa di Sant’Antonio pubblicata su
30Days e anche altre foto, sempre della stessa chiesa,
se ne avete.
Con i miei sentiti ringraziamenti per la sua gentilezza nel far dono di 30Days a tantissime persone e con
l’augurio di divine benedizioni, sua in Cristo,
suor Anne
PERÙ
SEMINARIO NUESTRA SEÑORA DE QUILCA
30Giorni è di aiuto ai seminaristi
per amare la Chiesa
Camaná, 26 ottobre 2011
mo ringraziarla in modo molto particolare per il numero
6 del 2011. L’intervista con il cardinale Wuerl sui mezzi
dell’evangelizzazione nella sua diocesi di Washington, negli Stati Uniti, e gli articoli sulla storia dei cattolici afroamericani e sullo sviluppo della Chiesa latinoamericana
erano eccezionali, e il profilo su padre Jules Lebreton
egregiamente scritto. Ma è stato lo splendido reportage
dalla Turchia a indurre la nostra priora a incoraggiarmi
perché le scrivessi. È stata per me una gioia vedere una
foto della chiesa di Sant’Antonio di Padova, dove sono
stata battezzata il 7 marzo 1926 da padre René Alexandre, cm, dopo essere nata in quella che allora si chiamava
Costantinopoli, nel gennaio di quell’anno.
Signor direttore,
riceva un cordiale saluto da parte dei padri formatori e
dei seminaristi del seminario Nuestra Señora de Quilca di Camaná, con la speranza che Dio la protegga nel
compimento delle sue attività quotidiane.
Le scrivo per esprimerle il mio più profondo ringraziamento per l’invio mensile della rivista 30Giorni, che
è di grande aiuto ed è uno strumento di informazione
per i giovani che si formano nel nostro seminario, e anche per noi sacerdoti che viviamo qui con loro.
Ogni numero della rivista 30Giorni è un impulso
all’unità e universalità della Chiesa, che promuove nei
nostri seminaristi l’attaccamento ad essa e una sua conoscenza più profonda, facendola amare con un affetto sempre più grande.
Ringraziandola per il suo grande sostegno e la sua
attenzione, la saluto, assicurandole che la teniamo in
grande considerazione e la ricordiamo nelle nostre
preghiere e nella santa messa quotidiana che celebriamo qui, nel nostro seminario. Dio continui a benedirla
ed elargisca abbondanti benedizioni a tutti quelli che
lavorano con lei.
il vicerettore, padre Percy Saavedra Ramírez
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COPERTINA
Natale:
una grata dipendenza
da Cristo
Il messaggio per i lettori di 30Giorni
di sua grazia Rowan Williams, arcivescovo di Canterbury
i parla molto oggi di quanti preferiscono “spiritualità” a “religione”. E la
maggior parte di noi qualcosa capisce
di quel che significa questa posizione. Rappresenta una rivolta contro l’idea che noi esseri umani siamo salvati o trasfigurati solo
dall’aderire alla vita di una istituzione e a un
insieme di affermazioni o di teorie.
¬
S
L’arcivescovo Rowan Williams mostra a Benedetto XVI
la miniatura dell’Albero di Jesse, nella Bibbia di Lambeth,
al termine del loro incontro al Lambeth Palace, a Londra,
il 17 settembre 2010
24
30GIORNI N.11 - 2011
Parlare con verità
della Chiesa è, in questo
senso, andare oltre sia
la religione che la spiritualità.
La Chiesa è la condizione
dell’essere uno con Gesù
Cristo. E noi celebriamo
il Natale perché questa nuova
condizione di vita dipende
assolutamente
e unicamente dal fatto che
un bambino è nato duemila
anni fa in Medio Oriente
L’Albero di Jesse, miniatura tratta dalla Bibbia di Lambeth, XII secolo, Lambeth Palace Library, Londra
30GIORNI N.11 - 2011
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COPERTINA
Rowan Williams
Ma in questo modo c’è il pericolo di ridurre
la fede a una serie di esperienze che ci fanno
sentir meglio, con la conseguenza che non ci
sarebbe alcuna verità universale, nessuna rivoluzione nella vita degli uomini che salvi una
volta per tutte, solo un succedersi di esperimenti “spirituali”, che amplia la nostra sensibilità, ma non ci porta dentro un mondo nuovo. In certo qual modo abbiamo bisogno di un
linguaggio che ci possa condurre oltre l’inutile
polarizzazione fra questi due termini, un linguaggio di nuova creazione e una pratica di vita nuova con nuove relazioni.
Parlare con verità della Chiesa è, in questo
senso, andare oltre sia la religione che la spiritualità. La Chiesa non esiste per procurare
fantastiche esperienze (di modo che tu possa
abbandonarla quando quelle esperienze si
esauriscono); la Chiesa non è neppure un’istituzione con regole e convinzioni condivise.
La Chiesa è la condizione dell’essere uno
con Gesù Cristo, cioè il dono di essere liberi di
pregare la Sua preghiera e di condividere la
Sua vita, di respirare il Suo respiro.
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30GIORNI N.11 - 2011
«Non ero ancora umile
abbastanza per riconoscere
l’umile Gesù Cristo
come mio Maestro»,
dice sant’Agostino.
E, in una delle immagini
più grandiose della sua intera
opera, egli parla di come
Cristo, venendo in mezzo
a noi nella carne, ci trattiene
dal fare passi presuntuosi
alla scoperta della verità
in base ai soli nostri sforzi
E noi celebriamo il Natale perché questa
nuova condizione di vita dipende assolutamente e unicamente dal fatto che un bambino è nato duemila anni fa in Medio Oriente. Non dipende dal positivo sviluppo di nuove tecniche
che ci aiutino a sentirci meglio; non dipende
neppure dalla rivelazione di un insieme di teoremi. Comincia con un bambino indifeso che
ancora non parla; perché è in relazione a quella fragile vita di uomo che ogni essere umano
troverà in ultima analisi il suo vero destino.
In confronto sia con il fascino di esperienze emozionanti, sia con la sicurezza di convinzioni incrollabili, di per sé questo può apparire piuttosto fragile. Eppure, in quanto
colloca la vera fonte della vita e della speranza completamente al di fuori dell’ambito dello sforzo e dell’organizzazione umani, ci sfida a confidare in un fondamento che è senza
paragone più stabile e meno mutevole: l’agire e la promessa di Dio, il Verbo di Dio che fa
sì che la vita divina viva nella vita della creazione e soprattutto nella vita di questo bambino appena nato.
¬
La Natività, miniatura tratta dal Libro d’ore 1488.5, XV secolo, Lambeth Palace Library, Londra
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COPERTINA
Rowan Williams nella chiesa di Saint Margaret, Westminster Abbey, Londra
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30GIORNI N.11 - 2011
Cristianesimo
Dimenticando aspirazioni
spirituali e correttezza religiosa,
siamo invitati dal vangelo
del Natale semplicemente
a fare questo: a lasciarci cadere,
nella nostra umana stanchezza,
sulla terra dell’amore divino,
amore divino fattosi indifeso
e fragile in modo da poter
mettere in crisi la nostra
vana fiducia in noi stessi
Benedetto XVI e Rowan Williams in ginocchio davanti
all’altare della tomba di san Francesco, Assisi, 27 ottobre 2011
Il contrasto fra una vita di relazione nella
comunione del Corpo di Cristo e l’ambito
tanto della “spiritualità” quanto della “religione” era stato risolto già millesettecento
anni fa da sant’Agostino quando scrisse le
Confessioni. Egli descrive le sue avventure
“spirituali”, prima entro un’organizzazione
ereticale con ben definiti dogmi che non gradiva alcuna verifica intellettuale, poi come
uno specialista di meditazione e di una sorta
di misticismo. Ed egli ci parla in modo commovente della frustrazione profonda che ha
avvertito, intravvedendo da lontano il regno
della verità e della pace eterna.
Ma dice che il problema sottostante era
che in tutto questo egli non si era mai liberato dell’ossessione del suo io, del suo orgoglio. «Non ero ancora umile abbastanza per
riconoscere l’umile Gesù Cristo come mio
Maestro», dice. E, in una delle immagini più
grandiose della sua intera opera, egli parla
di come Cristo, venendo in mezzo a noi nella carne, ci trattiene dal fare passi presuntuosi alla scoperta della verità in base ai soli
nostri sforzi. Siamo fermati all’improvviso
nel nostro percorso «poiché vediamo ai nostri piedi una divinità debole, fattasi debole
col condividere il “vestito di pelle” che indossiamo. Esausti, ci gettiamo su questa fragile vita divina cosicché quando essa si risolleverà anche noi ci risolleveremo» (Confessioni VII, 18, 24).
Dimenticando aspirazioni spirituali e correttezza religiosa, siamo invitati dal vangelo
del Natale semplicemente a fare questo: a
lasciarci cadere, nella nostra umana stanchezza, sulla terra dell’amore divino, amore
divino fattosi indifeso e fragile in modo da
poter mettere in crisi la nostra vana fiducia
in noi stessi. Così rinnovati, contro ogni
presumibile aspettativa, ci solleviamo alla
vita della grata dipendenza da Cristo e dell’uno dall’altro, alla comunione del mutuo
dono senza fine.
+ Rowan Canterbury
Lambeth Palace, Londra
Natale 2011
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R E P O R TA G E
«Non siamo più grandi
dei nostri Padri»
«La liturgia tradizionale è più ricca di segni
che ci ricordano da dove proviene la fede,
e ci insegna che noi non siamo più grandi
dei nostri Padri, ma trasmettiamo solamente
ciò che abbiamo ricevuto»
R E P O R TA G E
A Le Barroux, vicino Avignone,
da quarant’anni la comunità
benedettina fondata
da dom Gérard Calvet
fiorisce nel segno della stretta
osservanza della Regola
e dell’amore all’antica tradizione
liturgica della Chiesa
testo di Giovanni Ricciardi
foto di Massimo Quattrucci
alle finestre del monastero di Le Barroux il cielo di
Provenza è una bandiera celeste tesa al vento. Il mistral lo batte a volte con violenza: in certe giornate
d’inverno sulle montagne vicine può soffiare fino a trecento
chilometri all’ora. Gli ulivi e le vigne non sembrano soffrirne,
ma la vegetazione è per lo più bassa, macchia mediterranea, si
direbbe, a parte i cipressi, messi ad arte a ricordare che da
queste mura si guarda verso l’alto. Sotto il cielo, come un cono
regolare, si erge la massa scura del Mont Ventoux. È qui che il
Venerdì Santo del 1336 Francesco Petrarca compì col fratello
Gherardo la sua celebre “ascesa”, descritta in una lettera all’amico agostiniano Dionigi di Borgo San Sepolcro, che lo aveva
iniziato alla lettura delle Confessioni. Al termine della scalata,
il poeta lesse a caso al fratello un passo del libro X, in cui Agostino scrive: «Vanno gli uomini ad ammirare le vette dei monti,
le grandi onde del mare e le vaste correnti dei fiumi, il circolo
dell’oceano e le orbite degli astri, e non si curano di sé stessi».
Petrarca, nella sua continua lotta fra l’amore delle cose terrene e la nostalgia di quelle del cielo, invidiava a Gherardo,
che era frate, quel distacco, quella libertà che gli aveva permesso di salire in cima al monte rapido e leggero, senza il peso
che tratteneva in basso il poeta.
¬
D
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30GIORNI N.11 - 2011
Sopra, la statua della Madonna
nel chiostro del monastero;
a destra, la chiesa
di Le Barroux all’alba,
durante il canto del Mattutino
Le Barroux
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R E P O R TA G E
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30GIORNI N.11 - 2011
Il crocifisso sopra l’altare,
opera di un monaco scultore,
sottolinea la regalità e
la vittoria di Cristo sulla croce
Le Barroux
I monaci cantano
l’Ufficio delle Lodi
alle sei del mattino
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R E P O R TA G E
Una storia di fedeltà alla Tradizione
Proprio qui, quaranta anni fa, il 22 agosto del 1970, un altro
Gherardo, per l’esattezza Gérard Calvet, benedettino francese, giungeva in sella a un motorino, con il suo corredo nel
portapacchi, la benedizione dell’abate del monastero da cui
proveniva, e si stabiliva nella piccola cappella di Bédoin,
consacrata a santa Maria Maddalena. Negli anni turbolenti
del postconcilio, desiderava unicamente continuare la sua
vita monastica senza dover sottostare a quegli “esperimenti”
di rinnovamento dottrinale o liturgico che gli sembravano
molto più poveri rispetto alla ricchezza «antica e sempre
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30GIORNI N.11 - 2011
Dopo le Lodi, alle sei e quaranta
del mattino ogni monaco
sacerdote celebra la messa “letta”
in latino agli altari laterali,
assistito da un novizio.
Nelle pagine successive,
la messa feriale delle nove
e trenta celebrata all’altare
centrale, a cui assistono
anche i fedeli del paese
e amici del monastero
30GIORNI N.11 - 2011
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Le Barroux
nuova» della tradizione: preghiera, silenzio, lavoro manuale,
funzioni in latino, liturgia tradizionale.
Una scelta di solitudine, la sua, che durò pochissimo. Tre
giorni dopo il suo arrivo, a Bédoin si presentò un giovane per
chiedere di essere accolto come novizio. Dom Gérard, sorpreso e incerto sul da farsi, rispose che non avrebbe saputo
come accoglierlo, ma l’insistenza dell’altro ebbe la meglio. In
capo a otto anni si costituì una comunità di 11 monaci: la cappellina, col suo piccolo priorato in rovina, prontamente restaurato, divenne perciò troppo angusta per il nuovo cenobio. Ma la crescita della fondazione, favorita dall’abate di dom
Gérard, andava avanti.
L’attaccamento alla liturgia tradizionale in quegli anni si
coniugò con una naturale simpatia per le posizioni di monsignor Lefebvre, che nel luglio del 1974 procedette a celebrare le prime ordinazioni dei monaci. Questo fatto suscitò la
reazione dell’abate che inizialmente aveva favorito la scelta
di dom Gérard, ma che in quel momento gli ordinò di chiudere la sua esperienza monastica. La comunità fu esclusa
perciò dalla Congregazione dei Benedettini di Subiaco.
Di fronte a questo aut aut, dom Gérard scelse la via spinosa di continuare la fondazione, addolorato per lo strappo,
ma persuaso in cuor suo che l’amore alla secolare tradizione
liturgica della Chiesa non potesse trovarsi in contrasto col
cuore della fede, con la fedeltà al Papa, e che Dio avrebbe
trovato una via per risolvere una situazione canonica divenuta irregolare. Nel 1980 fu dato l’addio a Bédoin e venne
posta la prima pietra del nuovo monastero, nel comune di
Le Barroux, tra il Mont Ventoux e le “Dentelles” di Montmirail, una costruzione in stile neoromanico, nuda ed essenziale, che fu completata in poco più di un decennio.
Nel frattempo, la frattura tra Lefebvre e la Chiesa si approfondiva, benché dom Gérard continuasse a sperare in
una ricomposizione. E così, quando nel 1988 Giovanni
Paolo II con il motu proprio Ecclesia Dei venne incontro alle richieste dei cattolici “tradizionalisti”, concedendo loro,
sia pure a certe condizioni, di celebrare secondo il rito preconciliare, per il monastero di Le Barroux fu un giorno di festa. Ai suoi monaci dom Gérard aveva sempre detto che se
non avessero sofferto per la situazione canonicamente irrisolta del monastero, voleva dire che non amavano davvero
la Chiesa. E allorché monsignor Lefebvre, non fidandosi
delle offerte di Roma, procedette in quello stesso anno a ordinare alcuni vescovi senza il consenso del Papa, inaugurando di fatto lo scisma, il monastero scelse senza tentennamenti la fedeltà a Roma e la rottura col movimento dell’arcivescovo francese. Dom Gérard pagò quest’attaccamen- ¬
R E P O R TA G E
to alla Chiesa vedendosi rifiutato dalla fondazione monastica che nel frattempo Le Barroux aveva avviato in Brasile, la
quale preferì restare fedele alla “linea dura” di Lefebvre.
L’anno seguente, il 2 ottobre del 1989, il cardinal Gagnon, accompagnato dal vescovo di Avignone, consacrò solennemente la chiesa del monastero appena terminata. Con
questo gesto pubblico, si rendeva visibile la piena unità dell’esperienza di Le Barroux con la Chiesa cattolica.
La vita quotidiana
Nella luce della campagna provenzale oggi il monastero sembra vivere una vita lontana dai fragori delle lotte ecclesiali e
delle cronache di quegli anni. Le sue campane accompagnano la vita di un paese che nei primi tempi aveva accolto con
diffidenza e sospetto i nuovi venuti. I monaci si alzano nel cuore della notte per recitare in coro il Mattutino, precedono l’alba nelle loro celle per meditare la Scrittura e i testi dei Padri, si
ritrovano alle sei nella chiesa del monastero per il canto delle
Lodi, poi quelli che tra loro hanno ricevuto l’ordine sacro celebrano agli altari laterali la messa “letta” in latino secondo il
Messale romano promulgato nel 1962 da Giovanni XXIII.
Qualche fedele entra sfidando il freddo del mattino e s’inginocchia per seguire la celebrazione nel più assoluto silenzio.
Poi, tutti si avviano alle opere della giornata.
Il monastero è praticamente autosufficiente. I 52 monaci
(alcuni dei quali molto giovani, l’età media è di 46 anni) che
oggi costituiscono la comunità (più altri 13 che ne hanno fondata una nuova nel sud-ovest della Francia) vivono unicamente del proprio lavoro, secondo la tradizione benedettina. La
terra del monastero produce olio e vino, una panetteria assicura il fabbisogno della comunità e vende biscotti, baguette e
dolci alla gente del posto o ai turisti. Da qualche anno il monastero ha aperto anche un frantoio che offre alla comunità
rurale il servizio di molitura delle olive, usando due mole di
pietra fatte venire appositamente dalla Toscana e mosse da
macchine moderne. Anche la tipografia lavora a pieno regime, non solo per stampare i messali con il rito romano tradizionale, ma anche per soddisfare alle esigenze della piccola
casa editrice fondata da dom Gérard. La preghiera del Benedicite apre i pasti, vegetariani e consumati in silenzio, con gli
ospiti al centro del refettorio, accolti solennemente dall’abate
che li saluta lavando loro le mani in segno di accoglienza.
Un’accoglienza che prevede anche un ricovero notturno per
chi da queste parti non ha un tetto sotto il quale dormire. Nel
tempo del pranzo o della cena un monaco legge una lettura
spirituale o a volte anche un testo di storia o di carattere più
genericamente culturale.
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30GIORNI N.11 - 2011
Non siamo più grandi dei nostri Padri
30GIORNI N.11 - 2011
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Le Barroux
«La liturgia tradizionale è più ricca di segni che ci ricordano
da dove proviene la fede, e ci insegna che noi non siamo più
grandi dei nostri Padri, ma trasmettiamo solamente ciò che
abbiamo ricevuto». Non c’è polemica nelle parole del padre
abate Louis-Marie, amico e discepolo di dom Gérard, che gli
lasciò il pastorale della comunità nel 2003 dimettendosi cinque anni prima della propria morte. Del resto, l’esperienza
della bellezza che proviene da quella liturgia non è esclusivo
appannaggio di questo monastero. Altri cenobi adottano oggi in Francia questa forma di preghiera. Spiega ancora l’abate: «Nella Francia secolarizzata, mi disse una volta un vescovo
ucraino, sembra di vedere un grande deserto spirituale, ma in
questo deserto ci sono delle oasi molto belle». Non soltanto a
Le Barroux. Qualcosa si muove, senza più la rigidità degli
schemi di vent’anni fa. Il rapporto tra il monastero e la diocesi
di Avignone, in cui si trova la fondazione di dom Gérard, non
è più teso come un tempo. Il padre abate va ogni anno a concelebrare col vescovo la messa crismale del Giovedì Santo, e
molti sacerdoti della diocesi si sono aperti a questa esperienza monastica favorendo dei ponti di comunicazione con la
Chiesa francese. Più in generale, ci dice padre Louis-Marie,
«la gente sembra attratta qui non solo ed esclusivamente perché vi si celebra secondo il rito romano anteriore al Conci- ¬
R E P O R TA G E
La vita dei monaci è ripartita tra preghiera e lavoro.
In questa pagina, in alto, un’immagine della tipografia;
al centro, un contadino attende l’apertura del frantoio del monastero
per la molitura delle olive; nella foto grande, la campagna di Provenza
intorno al monastero
lio, ma semplicemente per la bellezza della preghiera monastica, per il canto gregoriano che qui viene eseguito, perché
qui la preghiera è vissuta e sentita nella profondità del silenzio, rivolti a Dio».
Ogni anno un centinaio di sacerdoti provenienti per lo più
dalla Francia, dall’Italia, dalla Germania, dalla Gran Bretagna
e dall’Olanda, trascorrono a Le Barroux alcuni giorni di ritiro,
per parlare coi monaci o per imparare a celebrare la messa secondo l’antico rituale. Il monastero conta circa trecento oblati
fra sacerdoti, laici e famiglie che fanno riferimento alla spiritualità benedettina.
Le vocazioni che arrivano a Le Barroux, oggi al ritmo di
due o tre all’anno, hanno origini le più disparate. C’è un giovane monaco che proviene dalla carriera militare, un altro
che era ingegnere in Cina e ha conosciuto Le Barroux attraverso il sito internet del monastero, un terzo che ha chiesto il
battesimo a vent’anni a un prete di Marsiglia e ha poi tentato ¬
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A sinistra, un momento
della lavorazione
dell’olio nel frantoio
Le Barroux
30GIORNI N.11 - 2011
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R E P O R TA G E
la via della vocazione in un ordine religioso che però gli era
apparso poco “esigente”. E allora quello stesso prete lo ha
portato qui «perché uno degli aspetti che attirano le persone
in un posto come questo», spiega l’abate, «è una scelta libera
di radicalità evangelica». Libero e radicale sono i due aggettivi
che risuonano di più fra queste mura. Alcuni lefebvriani, non
molti per la verità, si accostano all’esperienza di Le Barroux
come a un ponte per un ritorno alla piena comunione con la
Chiesa, ma anche perché, osserva l’abate, «nella Fraternità
San Pio X sentono di respirare a volte un’aria pesante, caratterizzata da ciò che secondo loro si potrebbe chiamare un
certo autoritarismo clericale».
È come se qui si componesse un equilibrio diverso, non
fondato sul compromesso, né sulla contrapposizione con altre realtà ecclesiali, ma semplicemente sul ritorno alla Regola
di san Benedetto come via per avvicinare il cuore della vita
cristiana. «In questi anni», aggiunge il padre abate, «abbiamo
potuto constatare che i monasteri che si sono presi la briga di
innovare e di rivoluzionare le forme della vita religiosa sono
oggi quelli che hanno meno vocazioni in Francia. Io credo
che oltre al dinamismo e alla vitalità che vedono in questa comunità giovane, un dono che abbiamo ereditato dal nostro
fondatore, i giovani siano attratti a Le Barroux proprio dalla
radicalità della scelta per Dio, oltre che dalla bellezza della liturgia che si celebra qui. Ma non è tutto, in fondo non è questo l’essenziale. Io stesso quando sono arrivato qui, e mi sono
innamorato di questo luogo, a partire dal suono delle campane, fino alla cura con cui è celebrato l’Ufficio divino, mi so- ¬
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30GIORNI N.11 - 2011
La messa solenne della prima domenica d’Avvento a Le Barroux;
nella foto piccola, l’abate asperge i fedeli con l’acqua benedetta.
In occasione del Natale, i monaci regaleranno ai fedeli copie
del piccolo libro Qui prie sauve son âme
Le Barroux
30GIORNI N.11 - 2011
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R E P O R TA G E
Per informazioni
sulla comunità benedettina di Le Barroux
ecco i siti utili: www.barroux.org
www.jeconstruisunmonastere.com
no subito reso conto che la vita monastica altro non è che un
olocausto, un’offerta totale di sé a Dio».
A sera, il suono delle campane richiama tutti al Vespro, il
momento forse più intimo e insieme solenne della liturgia comunitaria. Mentre la voce della preghiera si diffonde nell’ora
del crepuscolo, e l’ombra del crocifisso sopra l’altare si allunga
sulla parete di pietra nuda dell’abside, tutto appare improvvisamente più chiaro. E si intendono le parole con cui l’abate
conclude questa sua riflessione sul fascino che esercita questo
luogo: «Le cose che ho detto sono reali, ma secondarie. L’attrattiva ultima di una vocazione è semplicemente il buon Dio.
È per questo che la vocazione, ogni vocazione resta fondamentalmente un mistero».
q
Il monastero nella luce del pomeriggio
A destra,
il suono delle campane
alle diciassette
e trenta chiama i monaci
a lasciare le loro occupazioni
per il canto del Vespro,
a cui seguirà la cena,
la Compieta e il silenzio,
prescritto alle venti e trenta
Le Barroux
T radizione e movimenti
Il rischio
dei movimenti
messianici
Incontro con rav Riccardo Di Segni,
rabbino capo della comunità ebraica di Roma
di Giovanni Cubeddu
n tratto distintivo della piccola ma rilevante comunità
ebraica italiana è la sua capacità di accoglienza. Ne hanno beneficiato nei secoli, talvolta ciclicamente, ebrei tedeschi, spagnoli, portoghesi, e più recentemente quelli pro-
U
46
30GIORNI N.11 - 2011
venienti da Paesi arabi e islamici.
Per gli ebrei italiani è normale essere
ortodossi e partecipare alla liturgia
in ebraico, e l’identità collettiva non
è mai stata di per sé scossa dall’essere un porto di approdo. Semmai le
questioni oggi sul tavolo sono quelle
legate all’assimilazione e, ultimamente, alla scelta di alcuni tra i nuovi
arrivati di attuare una reazione alla
secolarizzazione attraverso l’“ultraortodossia” militante. A capo della diaspora ebraica più antica, quella
di Roma, c’è oggi il rabbino Riccardo Di Segni, con cui ancora una volta ci troviamo volentieri a colloquio
su quanto sta accadendo.
Rav Di Segni, si nota ormai
anche a Roma la presenza di
nuove identità dell’ebraismo.
A sinistra,
giovani ebrei romani
nella Sinagoga
durante
una cerimonia;
sotto, un raduno
di Chabad-Lubavitch
a Brooklyn, New York
RICCARDO DI SEGNI: Ho saputo che una volta Giovanni Paolo
II chiese come mai gli ebrei romani
non si distinguessero per il loro abbigliamento, come invece gli ebrei
polacchi. Il Papa, che in gioventù
aveva vissuto all’interno di un ebraismo completamente differente da
quello italiano – l’ebraismo polacco
che si distingueva, anzitutto, per
quantità – era abituato a vedere
“ebrei che si vestivano da ebrei”. Ci
sono tanti modi di abbigliarsi ebraicamente, e l’ebreo in definitiva si
differenziava molto dalla popolazione circostante. In Italia tale distanza
esteriore non esiste e forse non è
mai esistita, se non per i segni imposti ai tempi delle norme antiebraiche. Gli ebrei italiani si sono
sempre vestiti come gli altri, è una
nostra caratteristica culturale di non
poco conto. Nei Paesi occidentali
gli ebrei si vestono come gli altri, a
parte quelli appartenenti ad alcuni
gruppi più ortodossi, che sfoggiano alcune divise.
Dobbiamo fare però alcune
brevi premesse.
Infatti. Il mondo ebraico ortodosso conosce la varietà. C’è il modello cosiddetto modern orthodox,
caratteristico della persona di concezione e osservanza ortodossa,
che nel suo abbigliamento non ha
segni distintivi se non per il fatto che
se è uomo si copre il capo, se è donna si abbiglia in maniera “modesta”, cioè evitando di esporre il proprio corpo. Vi sono poi i modelli impropriamente definiti ultraortodossi, propri di persone che si vestono di nero (alcuni al nero accostano semplicemente una camicia
bianca e un copricapo Borsalino,
altri al nero aggiungono diverse
specificità). Tale panorama di codici
di vestiario è alieno alla tradizione
italiana, ed è stato importato recentemente, perché c’è un movimento
di persone – provenienti per lo più
da nuclei ortodossi degli Stati Uniti,
di Israele o della Francia – che si distinguono per l’abito; e molto spesso non sono ebrei comuni ma rabbini. E ciò ci riporta peraltro alla discussione su come i rabbini debbano abbigliarsi, il che varia nei tempi
e nei luoghi: dove si richiedeva particolare solennità, austerità e specifici copricapi, e dove bastava la
semplice austerità: abbiamo tutte
le varianti...
Se ora dunque vediamo pluralità di abbigliamento anche in Italia e a Roma, non è per una mutazione dell’ebraismo autoctono ma
perché si sono aggiunte tali nuove
presenze.
¬
Una volta Giovanni Paolo II chiese come mai gli ebrei romani non si
distinguessero per il loro abbigliamento, come invece gli ebrei polacchi.
Il Papa in gioventù aveva vissuto all’interno di un ebraismo completamente
differente da quello italiano. In Italia tale distanza esteriore non esiste
e forse non è mai esistita, se non per i segni imposti ai tempi delle norme
antiebraiche. Gli ebrei italiani si sono sempre vestiti come gli altri,
è una nostra caratteristica culturale di non poco conto
30GIORNI N.11 - 2011
47
T radizione e movimenti
A sinistra,
ultraortodossi
polacchi
in preghiera
nella sinagoga
Chabad Shul
a Varsavia;
sotto,
il rabbino
Riccardo Di Segni
Un mutamento con effetti che
potrebbero essere profondi?
Prima di tutto, emerge l’elemento della mobilità. L’ebraismo
italiano, per composizione, è oggi
radicalmente diverso rispetto a
quello antecedente alla Seconda
guerra mondiale, quando gli ebrei
residenti erano in gran parte autoctoni. Dal conflitto l’ebraismo
italiano uscì dimezzato, impoverito
nella sua componente locale; successivamente fu rinforzato da un
afflusso di ebrei provenienti dal
Nord Africa – in particolare ebrei
libici, ma anche in minor numero
egiziani, tunisini e marocchini;
ebrei siriani e libanesi, che presero
casa in Italia settentrionale; ed
ebrei ashkenaziti, giunti dal Centro
Europa. Così, l’ebraismo italiano
si è rinvigorito ma anche frammentato. E a proposito di abbigliamento esteriore, si nota una forte
influenza culturale del mondo
ashkenazita, che è diventato, o sta
provando a diventare, leader culturale del mondo religioso.
Questo è un fenomeno che
in Israele è stato particolarmente avvertito…
… fino a quanto i sefarditi si sono
ribellati a questa egemonia – cioè all’occupazione da parte di un determinato gruppo dei ruoli di leadership, come nelle scuole – arrivando
anche alla creazione di un partito
politico, lo Shas. Ma nel tentativo di
recuperare il potere, c’è comunque
l’imitazione dei segni esteriori, per
cui il rabbino sefardita israeliano si
veste come l’ashkenazita dell’Euro48
30GIORNI N.11 - 2011
pa centrale. Ed è molto strano, perché mai i rabbini sefarditi africani o
dell’Iraq si sarebbero dovuti coprire
di nero, con abiti pesanti anche d’estate…? Oggi ci pare che il look del
rabbino debba essere uno solo.
Questi nuovi movimenti sono presenti anche in Italia.
Si pongono come una novità per
l’universo ebraico, hanno una finalità di missione verso l’interno. L’ebraismo non fa alcuna missione religiosa verso l’esterno, e la conservazione delle nostre tradizioni avviene
attraverso meccanismi sperimentati
e antichi: le scuole, le sinagoghe, la
famiglia. Una novità di questo ultimo
cinquantennio è che sono stati promossi movimenti di outreach, come
li chiamano in America, che cercano
di portare il messaggio religioso a fasce più estese del mondo ebraico,
combattendo la tendenza, molto
presente, a chiudersi nel guscio del
piccolo gruppo osservante e isolarsi.
I movimenti invece cercano di portare il messaggio più all’esterno possibile. Sono una formula inedita.
Nuovi movimenti, radicati
però in talune espressioni dell’ebraismo dei secoli passati.
Una carica fortissima per questi
movimenti è la tradizione chassidica. Il chassidismo nasce nella metà
del XVIII secolo, come corrente in
cui c’è un capo carismatico che riscopre nell’ebraismo la dimensione
emotiva e spirituale, in contrapposizione, o quantomeno in aggiunta,
alla componente intellettuale che
era diventata dominante nel corso
dei secoli. E questo movimento ha
un grande impatto popolare e si organizza attraverso dei leader, che
diventano leader dinastici, di gruppi collegati al proprio maestro, il
rebbe. Però anche col passare del
tempo questi gruppi, che pure avevano un notevole impatto sulle persone, rimanevano sempre chiusi in
sé stessi, promuovevano la spiritualità al loro interno. Una delle invenzioni recenti è stata invece quella di utilizzare la forte carica che
promana dall’autorità carismatica
per inviare persone in giro per il
INCONTRO CON IL RABBINO CAPO RICCARDO DI SEGNI
mondo a diffondere l’ebraismo. È
una forma di missione rara nell’ebraismo dei secoli scorsi: forse non
ce n’era bisogno, perché gli ebrei
conoscevano altri modi di organizzarsi, mentre oggi si vuole organizzare per fare fronte alla dispersione
della fede ebraica…
Questa missione è davvero
solo a uso interno?
Credo di sì, queste iniziative
non sono istituzionalmente aperte
al mondo esterno. La missione è
interna al popolo ebraico. Anche i
movimenti, tendenzialmente, rispettano molto l’antico atteggiamento ebraico di non proselitismo. Se qualche esterno proprio
si interessa, può in qualche modo
partecipare. O magari, andando
in giro a cercare, si ritrova qualcuno che era completamente disperso, non sapeva neppure di avere
origini ebraiche, e viene così a riscoprire le proprie radici… In questo senso ci si rivolge a un pubblico più vasto.
Il movimento Chabad [meglio
noto come Chabad-Lubavitch,
fondato nel XVIII secolo dal rabbino di origini polacco-lituane Shneur Zalman di Liadi, città della
Russia imperiale, ndr] in particolare su questo argomento del “non
ebreo” sta sviluppando una tematica su cui il resto dell’ebraismo resta
abbastanza bloccato. Secondo la
tradizione religiosa ebraica, gli
ebrei hanno una loro particolare
disciplina sacerdotale da osservare, che comprende una quantità
abbondante di norme. Nella tradizione ebraica esistono però anche
delle norme fondamentali che riguardano l’intera umanità, i noachidi, cioè discendenti di Noè, come noi li chiamiamo. Ora, nessun
ebreo fa quasi mai missione verso i
noachidi andando a ricordare loro
che esistono tali norme da rispettare: questi gruppi chassidici viceversa qualcosa fanno.
Può essere uno strumento
di dialogo. D’altra parte però
tali movimenti sono retti da
un leader carismatico, con
delle peculiari nozioni e prassi
del carisma.
L’ebraismo è pieno di episodi di pseudomessia,
che la storia si è incaricata di dimostrare
ingannatori, ma che continuano addirittura
ancora oggi ad avere dei seguaci sotterranei
Sopra, Sabbatai Zevi; a destra, Jacob Frank
In loro c’è un approccio alla tradizione che è rigido, nel senso che ciò
che afferma il maestro non si discute. Laddove in altre espressioni, pur
sempre appartenenti allo stesso
ebraismo ortodosso, c’è sempre una
pluralità, una dinamica, il confronto
delle possibili soluzioni. Qui agisce
invece una sorta di durezza dottrinale. E poi il carisma è personale nel
senso che appartiene al capo.
Si tratta peraltro anche di
movimenti messianici. Ciò che
colpisce, è che in taluni di questi ambiti l’attesa del messia
non sia l’attesa di una persona
ma di un principio.
C’è una grande discussione. Nell’ebraismo ortodosso si tende a mettere un po’ all’angolo l’attesa del
principio a vantaggio dell’attesa della persona. Il dibattito non è terminato. Ma dire che il messianismo è
un’epoca e non una persona è davvero qualcosa che sta al margine dell’ortodossia. È stata una delle forme
di razionalizzazione – il messianismo
come epoca e non come persona –
in cui ha sguazzato anche un po’ l’ebraismo italiano.
In definitiva, il messianismo
di tali nuovi movimenti ebraici
come viene giudicato?
Il messianismo più importante
appartiene al cristianesimo. Il cristiano dice che Cristo è il messia, il
cristianesimo è messianismo per definizione. Per l’ebraismo l’idea messianica è una delle tante. È una tensione, un’attesa, e l’ebraismo teoricamente potrebbe esistere – come
di fatto esiste – senza il messianismo realizzato. Però tra i modi in cui
viene visto e vissuto l’ebraismo esistono gruppi in cui l’attesa messianica diventa forte. E questo si può tradurre sia in un’intensa religiosità sia
anche in un’intensa politica.
Qual è il rischio di ciò? Il messianismo è un’idea che spinge vigorosamente l’umanità lungo la sua storia, ma dove la porta? Anche il
marxismo, e i movimenti successivi
da questo originati, sono esperienze
politiche con una carica religiosa di
messianismo.
Se il messianismo dà una carica
alla religione, ha un impatto positivo, ma se diventa una chiave interpretativa e addirittura c’è in taluni
la coscienza di un messianismo ¬
30GIORNI N.11 - 2011
49
T radizione e movimenti
L’interpretazione messianica si pone come interpretazione
della storia non solo nel momento della sciagura ma anche quando
un ordine mondiale cambia. E uno dei momenti in cui l’ordine mondiale
è cambiato è stato il 1989, il crollo del Muro di Berlino
realizzato, siamo in una situazione
di rischio.
Alcune vicende dell’ebraismo ashkenazita sono emblematiche, 30Giorni ha già
scritto di Sabbatai Zevi e Jacob Frank.
L’ebraismo è pieno di episodi di
pseudomessia, che la storia si è incaricata di dimostrare ingannatori,
ma che continuano addirittura ancora oggi ad avere dei seguaci sotterranei.
È un tema implicito ma reale
nella vita dell’ebraismo oggi?
La storia pone al popolo ebraico
continuamente delle sfide micidiali,
rispetto alle quali ci s’interroga per
capirne il senso. È successo varie
volte, e rispetto alle grandi domande
ci sono state grandi risposte o, viceversa, grandi fughe dalla realtà, illusioni, reinterpretazioni o… movimenti. Quanto accaduto al popolo
ebraico nel secolo scorso è forse tra
le cose più grandi della sua storia e ci
ha posto domande, alle quali è difficile rispondere. Qui certamente la
chiave interpretativa di risposta
messianica getta in campo la sua
forza. Ma l’interpretazione messianica si pone come interpretazione
della storia non solo nel momento
della sciagura ma anche quando un
ordine mondiale cambia. E uno dei
momenti in cui l’ordine mondiale è
cambiato è stato il 1989, il crollo del
Muro di Berlino. Fu così epocale che
ha ricondotto su binari differenti il
corso della storia, e rispetto a ciò ci
sono state domande, risposte avventate, e anche la riflessione.
Anche ora siamo in un momento di cambiamento.
Ma magari avviene senza il costo di milioni di morti... Oggi c’è
grande incertezza: armi sempre
puntate, masse enormi di poveri,
squilibri economici, società occidentali tormentate da problemi
che ne mettono in discussione l’identità. Da un certo punto di vista,
50
30GIORNI N.11 - 2011
ci si aspetta che possa accadere di
tutto. E allora rispunta l’idea che la
storia si stia per compiere.
Infine, nella quotidianità, che
cosa accade dell’ebraismo tradizionale italiano messo a confronto con queste nuove/vecchie correnti?
C’è un continuo scambio, non
tra grandi idee messianiche – assolutamente no – ma tra modelli di
Il Tempio Maggiore di Roma
ebraismo vissuto intensamente o
marginalmente nella propria vita.
C’è un confronto: qualcuno ne recepisce il bene, cioè l’importanza
di un riavvicinamento alle tradizioni, altri lo vivono in maniera problematica. E poi c’è anche un po’
di scontro di tradizioni, perché coloro che giungono da fuori non somigliano necessariamente agli ortodossi locali…
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VISITA PASTORALE IN BENIN
Il Papa ai bambini: la comunione, la preghiera, il rosario
Nel corso della visita pastorale in Benin (18-20
novembre), il Papa ha
avuto un incontro con i
bambini. Di questo incontro, avvenuto a Cotonou,
nella chiesa parrocchiale
di Santa Rita, pubblichiamo ampi stralci: «Dio nostro Padre ci ha riunito attorno al suo Figlio e nostro Fratello, Gesù Cristo,
presente nell’Ostia consacrata durante la messa.
È un grande mistero davanti al quale si adora e si
crede. Gesù, che ci ama
tanto, è veramente presente nei tabernacoli di
tutte le chiese del mondo, nei tabernacoli
delle chiese dei vostri quartieri e delle vostre
parrocchie. Io vi invito a farGli visita spesso
per dirGli il vostro amore.
Alcuni tra voi hanno già fatto la prima Comunione, altri vi si preparano. Il giorno della
mia prima Comunione è stato uno dei più bei
giorni della mia vita. Non lo è stato forse anche per voi? Perché? Non è solo a causa dei
bei vestiti o dei regali o anche del pranzo della
festa! È soprattutto perché, quel giorno, riceviamo per la prima volta Cristo. Quando io
faccio la comunione, Gesù viene ad abitare in
me. Devo accoglierlo con amore e ascoltarlo
attentamente. Nel profondo del mio cuore,
posso dirGli per esempio: “Gesù, io so che tu
mi ami. Dammi il tuo amore così che io ti ami
e ami gli altri con il tuo amore. Ti affido le mie
gioie, le mie pene e il mio futuro”. Non esita52
30GIORNI N.11 - 2011
te, cari bambini, a parlare di Gesù agli altri.
Egli è un tesoro che bisogna saper condividere con generosità. Nella storia della Chiesa,
l’amore di Gesù ha riempito di coraggio e di
forza tanti cristiani e anche dei bambini come
voi! Così, san Kizito, un ragazzo ugandese, è
stato messo a morte perché voleva vivere secondo il Battesimo che aveva ricevuto. Kizito
pregava. Aveva capito che Dio è non solo importante, ma che è tutto.
E che cos’è la preghiera? È un grido d’amore lanciato verso Dio nostro Padre con la
volontà di imitare Gesù nostro fratello. Gesù
si ritirava in disparte per pregare. Come Gesù, anch’io posso trovare ogni giorno un luogo calmo in cui mi raccolgo davanti a una
croce o a una immagine sacra per parlare a
Gesù e ascoltarLo. [...]. La Vergine Maria,
sua Madre, vi insegni ad amarLo sempre più
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3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI
Papa/1
La sorgente
più segreta
della preghiera di Gesù
Papa Benedetto XVI nella chiesa di Santa Rita,
Cotonou, Benin, domenica 20 novembre
attraverso la preghiera, il perdono e la carità. Vi affido tutti a Lei, come pure i vostri
familiari e i vostri educatori. Guardate! Tiro
fuori un rosario dalla mia tasca. Il rosario è
come uno strumento che si può utilizzare
per pregare. È semplice pregare il rosario.
Forse lo conoscete già, altrimenti chiedete
ai vostri genitori di insegnarvi. Del resto, alla fine del nostro incontro ciascuno di voi riceverà un rosario. Quando lo avrete in mano, potrete pregare per il Papa – vi chiedo
di farlo – per la Chiesa e per tutte le intenzioni importanti. E ora, prima che io vi benedica tutti con grande affetto, preghiamo
insieme un’Ave Maria per i bambini del
mondo intero, specialmente per quelli che
soffrono la malattia, la fame e la guerra.
Ora preghiamo: Ave Maria…».
«Nelle ultime catechesi abbiamo riflettuto su alcuni
esempi di preghiera nell’Antico Testamento, oggi vorrei
iniziare a guardare a Gesù,
alla sua preghiera, che attraversa tutta la sua vita, come
un canale segreto che irriga
l’esistenza, le relazioni, i gesti e che lo guida, con progressiva fermezza, al dono
totale di sé, secondo il progetto di amore di Dio Padre.
Gesù è il maestro anche delle nostre preghiere, anzi Egli
è il sostegno attivo e fraterno di ogni nostro rivolgerci
al Padre. Davvero, come sintetizza un titolo del Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, “la preghiera è pienamente rivelata
e attuata in Gesù”. […] L’insegnamento di Gesù sulla
preghiera viene certo dal
suo modo di pregare acquisito in famiglia, ma ha la sua
origine profonda ed essenziale nel suo essere il Figlio di
Dio, nel suo rapporto unico
con Dio Padre. Il Compendio del Catechismo della
Chiesa Cattolica risponde
alla domanda: Da chi Gesù
ha imparato a pregare?, così: “Gesù, secondo il suo
cuore di uomo, ha imparato
a pregare da sua Madre e
dalla tradizione ebraica. Ma
la sua preghiera sgorga da
una sorgente più segreta,
poiché è il Figlio eterno di
Dio che, nella sua santa
umanità, rivolge a suo Padre
la preghiera filiale perfetta”». Così papa Benedetto
XVI nel corso dell’udienza
generale del 30 novembre.
Papa/2
Come se la fede
fosse quasi
un dato acquisito
una volta per tutte
Il 25 novembre, intervenendo alla plenaria del Pontifico
Consiglio per i Laici, Bene- ¬
Crocifisso affrescato, Basilica dei Santi Cosma e Damiano, a Roma
Spicchi Spicchi Spicch
3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3
detto XVI ha affermato: «A
volte ci si è adoperati perché
la presenza dei cristiani nel
sociale, nella politica o nell’economia risultasse più incisiva, e forse non ci si è altrettanto preoccupati della solidità della loro fede, quasi fosse un dato acquisito una volta
per tutte. In realtà i cristiani
non abitano un pianeta lontano, immune dalle “malattie”
del mondo».
Kirill a Beirut,
il 15 novembre
Sacro Collegio
Gli ottant’anni
del cardinale Simonis
Il 26 novembre il cardinale
Adrianus Johannes Simonis,
arcivescovo di Utrecht dal
1983 al 2007, ha compiuto
ottant’anni. Il porporato
olandese, sacerdote dal
1957, dal ’70 all’83 vescovo
di Rotterdam, ha ricevuto la
berretta da Giovanni Paolo II
nel 1985. A fine novembre
quindi i componenti del Collegio cardinalizio sono 193,
di cui 111 elettori. Il 7 dicembre un altro porporato compie ottant’anni, il coreano Nicholas Cheong Jin-Suk, dal
1998 arcivescovo di Seoul.
Chiesa/1
L’appello del patriarca
di Antiochia dei
Maroniti alla Chiesa
ortodossa russa
per la difesa delle
minoranze cristiane
in MedioOriente
«Un appello a una più stretta
collaborazione per salvaguardare la presenza cristiana nei
Paesi del Medio Oriente è
stato rivolto dal patriarca maronita Béchara Boutros Raï a
quello della Chiesa ortodossa
russa, Cirillo. L’incontro è avvenuto, martedì 15, nella residenza di Bkerké, cittadina libanese dove si è svolta la XX
sessione del Consiglio dei pa-
54
triarchi cattolici d’Oriente».
Questo l’incipit di un articolo
dell’Osservatore Romano
del 19 novembre, che prosegue spiegando come il patriarca maronita, «rivolgendosi direttamente al patriarca
Cirillo, ha proposto una “collaborazione con la Chiesa
russa per salvaguardare la
presenza cristiana nei Paesi
del Medio Oriente e per aiutare i cristiani a non emigrare”. Ma anche “per gestire i
conflitti politici nella regione,
gli attacchi contro i fedeli e le
paure di vedere la primavera
araba portare al potere dei
gruppi che possono minacciare la stabilità e la convivenza nella regione”».
Chiesa/2
La reliquia della cintura
della Vergine Maria
per la prima volta dal
Monte Athos a Mosca
«Stanno in fila la mattina e
tutta la notte a sfidare le gelide temperature dell’autunno
moscovita per raggiungere la
Cattedrale del Cristo Salvatore, nel centro di Mosca, e baFedeli che baciano la reliquia
della cintura della Vergine Maria
a Mosca
30GIORNI N.11 - 2011
ciare una teca che contiene
una delle reliquie più importanti per la Chiesa ortodossa:
la cintura della Vergine Maria. Si trascinano a fatica per
le strade ricoperte di ghiaccio
e con pazienza aspettano una
media di 26 ore in un ingorgo
umano lungo più di 5 chilometri che da una settimana
sta paralizzando le sempre intasate strade della capitale
[...]. Secondo i fedeli la reliquia aiuterebbe a guarire da
qualsiasi malattia e le donne a
concepire figli. Nessuno sa
quale grazia abbia chiesto il
potente premier Vladimir Putin alla Vergine quando il mese scorso ha baciato per primo l’ambito oggetto appena
arrivato a San Pietroburgo
dal monastero greco-ortodosso sul Monte Athos dov’è
custodito». È l’inizio di un breve reportage pubblicato sul
Fatto Quotidiano il 26 novembre scorso. È la prima
volta che la venerata reliquia
ha lasciato la Grecia.
Basiliche papali
Nuovo arciprete a
Santa Maria Maggiore
Il 21 novembre l’arcivescovo
spagnolo Santos Abril y Castelló è stato nominato nuovo
arciprete della Basilica papale
di Santa Maria Maggiore a
Roma. Subentra al cardinale
statunitense Bernard F. Law,
ottant’anni compiuti lo scorso
4 novembre, che venne nominato a questo incarico da Gio-
vanni Paolo II nel 2004. Il
nuovo arciprete ha 76 anni ed
è stato ordinato sacerdote nel
1960. Laureato in Scienze
sociali all’Angelicum e in Diritto canonico alla Gregoriana, nel 1967 entra nella diplomazia vaticana, lavorando in
Pakistan, Turchia e Segreteria di Stato. Nel 1985 arriva la
nomina ad arcivescovo e nunzio in Bolivia, dove rimane fino al 1989 quando diventa
rappresentante pontificio in
Camerun. Nominato nunzio
in Jugoslavia nel 1996, nel
2000 arriva in Argentina dove rimane fino al 2003, quando diventa nunzio in Slovenia.
Dallo scorso 22 gennaio è vicecamerlengo di Santa Romana Chiesa e da aprile
membro della Congregazione
per i Vescovi
Curia
Nominato delegato
alla Cultura
L’11 novembre il vescovo
portoghese Carlos Alberto de
Pinho Moreira Azevedo, 58
anni, è stato nominato delegato del Pontificio Consiglio
della cultura. Dal 2005 era
vescovo ausiliare di Lisbona.
Il presule, ordinato sacerdote
nel 1977 per la diocesi di Porto, è stato vicerettore dell’Università cattolica portoghese. Ora affianca nella guida
del dicastero vaticano il presidente, cardinale Gianfranco
Ravasi e il segretario, vescovo
Barthélemy Adoukonou. ¬
hi Spicchi Spicchi Spicchi
3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI
OPUS DEI
Il primato della preghiera sull’azione
San Josemaría Escrivá de Balaguer nella Grotta di Lourdes
«“Massimamente utili nella Chiesa di Gesù
non sono i cosiddetti uomini pratici e neanche i puri banditori di teorie, bensì i veri contemplativi”, scriveva sull’Osservatore Romano del 23 giugno 1985, nei giorni del
decimo anniversario del transito di Josemaría Escrivá, il suo primo successore,
monsignor Álvaro del Portillo. Il tema della
contemplazione – di quella “frequentazio-
ne” con Dio che secondo san
Josemaría porta a “conoscerlo e a conoscersi” – è stato centrale anche in un’omelia di monsignor Javier Echevarría, terzo prelato dell’Opus Dei, pronunciata qualche giorno fa nella Basilica di
Sant’Eugenio a Roma in occasione dell’ordinazione diaconale di 35 futuri sacerdoti». Così inizia un articolo
pubblicato sull’Osservatore
Romano del 16 novembre,
che si conclude in questo modo: «Sarebbe un errore grossolano, ancor più nel nostro
momento storico, trascurare
questo insegnamento. Di
fronte a un attivismo forsennato e disumano perché lontano da Dio, la vera proposta
cristiana è sempre stata
sconvolgente: il primato dell’orazione sull’azione. Madre
Teresa di Calcutta ci fornisce
la chiave per capire meglio
questo primato: tutto ciò che
ha fatto “nel bel mezzo della
strada”, come direbbe san Josemaría, aveva
un motore segreto, acceso silenziosamente
nel cuore della notte: la preghiera di fronte
al suo Gesù eucaristia. Chissà che anche la
nostra notte, se impiegata così, non porti all’alba di un giorno davvero nuovo e forse
inatteso». Titolo dell’articolo: È necessario
parlare con Dio. Il primato della preghiera sull’azione.
30GIORNI N.11 - 2011
55
Spicchi Spicchi Spicch
3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3OGIORNI IN BREVE 3
IRAN
Sergio Romano e il nucleare iraniano
Un recente rapporto dell’Agenzia internazio- molto più di quanto non abbiano fatto i loro
nale per l’Energia atomica ha rilanciato l’ipo- predecessori. Il dibattito sulla possibilità di un
tesi che l’Iran si stia dotando di un ordigno nu- attacco preventivo contro i siti iraniani servicleare. In un commento apparso sul Corriere rebbe quindi a creare una maggiore attenziodella Sera del 16 novembre, Sergio Romano ne per i suoi timori. Gli Stati Uniti lo considenota che, anche se ritiene necessario «impedi- rano troppo rischioso e si sono già espressi
re» all’Iran di dotarsi di tale arma, un attacco di pubblicamente in questi termini con le dichiaquesto Stato contro Israele «sembra alquanto razioni del loro segretario per la Difesa. [...].
improbabile». Prosegue Romano: «Mi chiedo ancora,
d’altro canto, se i progressi
fatti in questi ultimi tempi permettano davvero a Teheran
di possedere un ordigno fra
un paio d’anni. Nell’ultimo
decennio siamo stati bombardati da una lunga serie di previsioni basate su calendari
molto diversi. Poi, nel dicembre del 2007, il National Intelligence Estimate (un rapporto preparato dall’organismo che raggruppa i Servizi
di spionaggio e controspionaggio degli Stati Uniti) ci ha
fatto sapere, con grande stu- L’impianto nucleare a Isfahan, Iran
pore di tutti gli osservatori internazionali, che l’Iran aveva rinunciato sin dal Un’ultima osservazione. Si combatte in Iran,
2003 al suo programma nucleare militare. ormai da parecchi mesi, una battaglia politica
Dobbiamo credere a questo rapporto o a quel- fra il presidente Ahmadinejad e la guida suprelo recente dell’Agenzia internazionale dell’E- ma, l’ayatollah Khamenei, sostenuto dalla ponergia atomica? Qualcuno comincia a pensa- tente organizzazione dei Guardiani della rivore che questa improvvisa riapparizione dello luzione. Mentre il primo sembra oggi più dispauracchio iraniano sul palcoscenico inter- sponibile a un’intesa con l’Occidente, i pasdanazionale risponda a intenzioni e strategie po- ran pensano che una maggiore tensione interlitiche. Dopo lo scoppio delle rivolte arabe, lo nazionale gioverebbe alla loro battaglia politiStato d’Israele è più isolato, quindi più insicu- ca. Un attacco israeliano contro l’Iran è proro, e teme che i prossimi governi della regione babilmente il fattore che maggiormente consi occuperanno della questione palestinese tribuirebbe alla loro vittoria».
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Italia
Nuovi vescovi
di Aosta, Carpi,
Taranto, Novara,
Teggiano-Policastro
Il 9 novembre monsignor
Franco Lovignana, 54 anni,
è stato nominato vescovo di
Aosta. Originario della città,
ordinato sacerdote nel 1981,
dal 2004 era vicario generale
della medesima diocesi.
Il 14 novembre monsignor Francesco Cavina, 56
anni, è stato nominato vescovo di Carpi. Originario di
Faenza, ordinato sacerdote
nel 1980 per la diocesi di
Imola, dal 1996 era officiale
presso la sezione per i Rapporti con gli Stati della Segreteria di Stato.
Il 21 novembre il vescovo
Filippo Santoro, 63 anni, è
stato promosso arcivescovo
metropolita di Taranto. Ori-
ginario di Carbonara (Bari),
ordinato sacerdote nel 1972
per l’arcidiocesi di Bari – Bitonto, nel 1984 è inviato sacerdote fidei donum in Brasile. Responsabile di Comunione e liberazione a Rio de
Janeiro, in tutto il Brasile e
in America Latina, nel 1996
è nominato ausiliare dell’arcidiocesi di São Sebastião do
Rio de Janeiro; dal 2004 era
vescovo di Petrópolis.
Il 24 novembre il vescovo
Franco Giulio Brambilla, 62
anni, è stato nominato vescovo di Novara. Originario
di Missaglia (Lecco), nel
1975 è stato ordinato sacerdote per l’arcidiocesi di Milano. Dal 2006 era preside
della Facoltà Teologica dell’Italia settentrionale e dal
2007 ausiliare di Milano.
Il 26 novembre il padre
redentorista Antonio De Luca, 55 anni, è stato nominato
vescovo di Teggiano – Policastro. Originario di Torre del
Greco (Napoli), è stato ordinato sacerdote nel 1981, e
dal 2007 era provicario episcopale per la vita consacrata
dell’arcidiocesi di Napoli.
Diplomazia
Nuovi nunzi
in Tanzania, Italia,
Irlanda, Georgia
Il 10 novembre l’arcivescovo
filippino Francisco Montecillo Padilla, 58 anni, è stato nominato nunzio in Tanzania;
dal 2006 era rappresentante
pontificio in Papua Nuova
Guinea e Isole Salomone.
Il 15 novembre l’arcivescovo Adriano Bernardini,
69 anni, è stato nominato
nunzio in Italia e San Marino;
dal 2003 era rappresentante
pontificio in Argentina.
Il 26 novembre monsignor Charles John Brown,
52 anni, è stato nominato
nunzio in Irlanda ed elevato
alla dignità di arcivescovo titolare di Aquileia. Originario
di New York, dove nel 1989
è stato ordinato sacerdote,
dal 1994 era officiale della
Congregazione per la dottrina della fede.
Sempre il 26 novembre
monsignor Marek Solczynski, cinquant’anni, è stato
nominato nunzio in Georgia
ed elevato alla dignità di arcivescovo titolare di Cesarea
di Mauritania. Ordinato sacerdote nel 1987 per l’arcidiocesi di Varsavia, nel 1993
è entrato nel servizio diplomatico vaticano, prestando
servizio nelle nunziature di
Paraguay, Russia, sede Onu
di New York, Usa, Turchia,
Repubblica Ceca e, da ultimo, Spagna.
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A rte cristiana
Nel silenzio
delle nostre chiese
«Le chiese sono domus Dei. Ho sempre ritenuto fondamentale
che in una grande città vi sia la possibilità di aprire una porta
e di guardare quella piccola luce accesa che indica la presenza
del Signore nell’Eucaristia». Intervista con Paolo Portoghesi
in occasione del suo ottantesimo compleanno
di Paolo Mattei
Paolo Portoghesi
orse proprio il fatto di essere nato e vissuto a Roma ha maturato in me la
convinzione che in architettura, e
non solo, la tradizione sia una condizione vitale, e che ci possa essere
continuità nel cambiamento. Roma è cambiata radicalmente tante
volte, mantenendo però questa
sua profonda unità e continuità. Le
mie idee sono senz’altro influenzate dall’esperienza della città».
Paolo Portoghesi parte da qui,
da Roma, per dare conto della sua
storica posizione nel dibattito sulla
cultura architettonica che, a cominciare dagli anni Sessanta del
secolo scorso, lo vide avversare, da
«F
La cupola
di Sant’Ivo
alla Sapienza,
di Francesco Borromini,
nel rione romano
di Sant’Eustachio
60
30GIORNI N.11 - 2011
Il soffitto con l’ideogramma stellare
della Madonna della Pace,
di Paolo Portoghesi, a Terni;
sotto, uno scorcio dell’interno
della chiesa
massimo rappresentante della corrente postmodernista italiana, gli
atteggiamenti più estremi di certo
razionalismo, secondo cui era necessario operare una cesura radicale col passato e con la tradizione
in favore di un funzionalismo esasperato e astratto. Secondo l’architetto romano, fra antico e nuovo, fra tradizione e modernità, non
c’è contrapposizione dialettica, ma
convergenza e continuità.
“Professore pensionato” alla
Sapienza di Roma sulla cattedra di
“Geoarchitettura” – un corso da lui
avviato per insegnare agli studenti
l’arte di costruire rispettando la
storia e le peculiarità dei luoghi nei
quali si interviene –, tra i massimi
esperti del barocco romano e dell’opera di Borromini, critico e architetto creatore (tra le realizzazioni più famose, si ricordino Casa
Baldi, la Moschea di Roma e la
chiesa della Sacra Famiglia a Salerno), Portoghesi ha compiuto da
poco ottant’anni. Il suo compleanno è stato festeggiato agli inizi di
novembre in Vaticano, nel Salone
Sistino della Biblioteca, del quale
l’architetto ha realizzato il nuovo
arredamento in vista della prossima riapertura agli studiosi come sala di lettura. In quell’occasione, Portoghesi ha presentato il modello di
una chiesa intitolata a san Benedet-
to, da lui progettata come omaggio
a papa Ratzinger.
Siamo andati a trovarlo a Calcata, in provincia di Viterbo, una
splendida cittadina che da una
montagna di tufo domina la valle
del Treja. Qui, a meno di cinquanta
chilometri da Roma, Portoghesi dirige il suo studio e cura i suoi progetti, che sono molti e vari. Tra
qualche mese sarà inaugurata a
Strasburgo la sua seconda moschea: la prima fu quella di Roma,
aperta nel 1995.
Gli abbiamo posto alcune domande sulla sua vita e sulle sue idee
riguardo all’architettura delle chiese.
Professore, iniziamo da
Roma.
PAOLO PORTOGHESI: Ci sono nato e fino ai diciott’anni non
mi sono mai spostato dalla città.
L’ho sempre amata e non ho ¬
30GIORNI N.11 - 2011
61
A rte cristiana
mai smesso di studiarla. Sono un
frutto della condizione umana che
si vive a Roma, alla quale ho dedicato tanti libri e tante ricerche e
dalla quale ancora oggi continuo a
imparare cose nuove. La sua capacità di parlare a chi come me c’è
nato, ma anche a chi la visita per
qualsiasi motivo, è inesauribile.
Quali luoghi della città frequentava e amava di più da
giovane?
Sono nato nel cuore della città,
a via Monterone, in un vecchio palazzo di proprietà di un principe.
Mio padre, anche lui architetto,
aveva riaperto il portone originario
dell’edificio, chiuso secoli prima in
seguito all’assassinio di un cardinale. Vivevo quindi a due passi da
Sant’Ivo alla Sapienza che vedevo
tutti i giorni andando a scuola, a vicolo Valdina: quello fu il mio primo
“itinerario forte”, che toccava
piazza del Pantheon, passando per
via della Maddalena. Altrettanto
“forte” era l’itinerario che mi conduceva dai miei nonni, a via della
Chiesa Nuova 14, una casa famosa in quanto sede della “Comunità
del Porcellino”, ritrovo di alcuni
protagonisti della stagione della
Costituente, come Lazzati, Dossetti e La Pira.
Qual era il suo rapporto
con la fede, da ragazzo?
La mia era una famiglia cattolica. Ho fatto la prima comunione
dalle Suore del Cenacolo, in un bellissimo parco nei pressi del Gianicolo. Ho però vissuto la vicenda
della guerra in un momento particolare della mia vita, tra fine dell’infanzia e inizio dell’adolescenza, e
per una serie di questioni familiari
in quel periodo rimasi molto isolato. Trascorrevo spesso giornate intere senza mai uscire di casa. Ricordo che durante “l’inverno dei tedeschi”, tra il ’43 e il ’44, non andai
quasi mai a scuola. Nella mia prima
formazione religiosa quindi è mancato completamente l’aspetto, all’epoca ordinario, della partecipazione alla vita parrocchiale. Il mio è
stato un iter assai più complesso di
quello dei miei coetanei. Invidiavo
molto, per esempio, mio fratello
che frequentava i Gesuiti del Collegio Romano ed era inserito in una
realtà giovanile molto vivace. Io ho
62
30GIORNI N.11 - 2011
Un’immagine del plastico della chiesa intitolata a san Benedetto,
progettata da Portoghesi come omaggio a papa Ratzinger;
a destra, elaborazione grafica dell’interno dell’edificio
sempre coltivato il mio rapporto
con la fede come qualcosa da scavare nel “foro interno” piuttosto
che come condivisione con gli altri.
In tale solitudine leggevo tanti libri,
anche di contenuto religioso.
Che tipo di libri?
Avevo una predilezione speciale per il cattolicesimo francese:
Charles Péguy, Jacques Rivière,
Georges Bernanos, ad esempio.
Amavo, naturalmente, anche Pascal. E, un po’ ribelle come tutti i
giovani, m’appassionai a Rimbaud. Vivevo il mio personale rapporto – sofferto, nient’affatto pacifico – con la Chiesa anche attraverso la mediazione di questi grandi
personaggi. Poi ebbi un periodo di
distacco, e nel ’59 mi iscrissi al Partito socialista con il desiderio di trovare in questo filone di pensiero la
possibilità di una continuità con
quella che era stata la mia esperienza cristiana fino ad allora. Mi
sono riavvicinato alla Chiesa negli
anni Ottanta, vivendo poi con par-
ticolare intensità l’esperienza della
progettazione e della costruzione
delle chiese.
Anche nel dibattito sull’architettura delle chiese lei critica l’ideologia della tabula rasa, della rottura con il passato
e con la tradizione.
Ciò che penso a tale riguardo è
sintetizzato benissimo dalla Sacrosanctum Concilium, la prima delle quattro costituzioni del Concilio
Vaticano II, emanata il 4 dicembre
1963, dove si raccomanda, a proposito dell’innovazione liturgica,
che «le nuove forme scaturiscano
organicamente, in qualche maniera, dalle forme esistenti». Queste
parole valgono anche per l’innovazione delle forme e delle tipologie
architettoniche delle chiese. Spessissimo in questi ultimi decenni
non se ne è tenuto conto.
Perché, secondo lei?
Perché, a partire dagli anni Sessanta dello scorso secolo, nei dibattiti tra gli architetti sono stati
NEL SILENZIO DELLE NOSTRE CHIESE
messi in radicale contrapposizione
i concetti di Chiesa spirituale e
chiesa costruita, nozioni che la tradizione indica invece come complementari. Si è messa anche in
dubbio la sacralità dell’edificio cristiano. Oggi c’è chi teorizza un cristianesimo senza tempio. Questo è
un grandissimo errore. Basti pensare all’Eucaristia, presenza reale
del Signore celebrata e conservata
nelle chiese, per capire che esse
sono domus Dei, case di Dio. Suggestiva in questo senso è la probabile etimologia delle parole Church e Kirche, “chiesa” in inglese e
tedesco: kyriakòn, che significa
“ciò che è proprio del Signore”.
Ho sempre ritenuto fondamentale,
per esempio, che in una grande
città vi sia la possibilità di aprire
una porta e di guardare quella piccola luce accesa che indica la presenza del Signore nell’Eucaristia.
Quali sono stati gli effetti di
queste interpretazioni nell’architettura delle chiese?
Confusione, indistinzione, innanzitutto. La collocazione dei poli
liturgici tradizionali – altare, tabernacolo, battistero, ambone – è stata
completamente ridiscussa, e si è
giunti a soluzioni paradossali, come
quella adottata per la chiesa di Gesù
Redentore a Modena, dove altare e
ambone si trovano agli estremi di
un corridoio centrale, ai due lati del
quale i fedeli, divisi in due schiere
contrapposte, si guardano in faccia, muovendo gli occhi, di tanto in
tanto, ora a destra ora a sinistra,
per seguire con fatica gli spostamenti del celebrante tra i due poli.
Purtroppo questo modello di chiesa
– in Germania definito “communio” – è sul piano internazionale
uno dei più seguiti. A questo proposito, è molto bello quanto dice Ratzinger nel suo libro Introduzione
allo spirito della liturgia, laddove,
citando Josef Andreas Jungmann,
uno dei padri della Sacrosanctum
Concilium, spiega l’antica conformazione dell’assemblea liturgica:
«Sacerdote e popolo sapevano di
camminare insieme verso il Signore. Essi non si chiudono in cerchio,
non si guardano reciprocamente,
ma, come popolo di Dio in cammino, sono in partenza verso l’Oriente, verso Cristo che avanza e ci viene incontro». Ecco, molte chiese recenti, come quella di Modena, rispecchiano questa perdita della “dimensione cosmica” della liturgia…
Che intende per “dimensione cosmica”?
Era la ragione profonda per cui
un tempo tutti, fedeli e celebrante,
durante la preghiera eucaristica, si
rivolgevano, appunto, verso
Oriente, direzione che «si trovava
in stretto rapporto con il “segno
del Figlio dell’uomo”, con la croce, che annuncia il ritorno del Signore», dice ancora Ratzinger,
spiegando come quell’atto non
fosse quindi la “celebrazione verso
la parete”, non significasse che il
sacerdote “volgeva le spalle al popolo”: il sacerdote, osserva Rat- ¬
30GIORNI N.11 - 2011
63
A rte cristiana
Sopra, la Moschea di Strasburgo;
a destra, il soffitto della Moschea di Roma
zinger, «non era poi considerato
così importante». La perdita del
sentimento di tale dimensione ha
infatti da una parte generato un
certo tipo di retorica che è quella
che viene definita “clericalizzazione” della liturgia – la dinamica in
cui il sacerdote diventa il centro
della celebrazione, il protagonista
dell’evento; e dall’altra, quasi per
reazione, ha dato origine alla
“creatività” dei gruppi che preparano la liturgia, i quali vogliono innanzitutto «portare sé stessi».
«L’attenzione», continua Ratzinger nel suo libro, «è sempre meno
rivolta a Dio ed è sempre più importante quello che fanno le persone che qui si incontrano». Tutto
ciò ha condotto a considerare la
chiesa come luogo di intrattenimento, un luogo racchiuso, facendo dimenticare le due costanti che
hanno caratterizzato lo sviluppo tipologico realizzato dall’età paleocristiana al barocco.
Quali costanti?
Innanzitutto la profondità prospettica attuata nell’impianto longitudinale, che esprime il cammino del popolo di Dio verso la salvezza e Cristo che viene, l’esodo
«dai nostri piccoli raggruppamenti
per entrare nella grande comunità
che abbraccia cielo e terra», commenta ancora Ratzinger; e poi la
vertigine verso l’alto, con le cupole e i tiburi: la Chiesa, si legge tra
l’altro in Popolo e casa di Dio in
sant’Agostino, «non ha il suo fondamento sotto di sé, bensì sopra di
64
30GIORNI N.11 - 2011
sé e quindi il suo fondamento è anche il suo capo». Insomma, quello
che voglio dire è che gli uomini
non vanno in chiesa come si va in
un circolo ricreativo, per scambiarsi una stretta di mano, ma vanno lì perché lì avviene questo avvicinamento col Signore. L’architettura delle chiese deve richiamare
questa dimensione di incontro con
Dio. Non può limitarsi a celebrare
la presenza della comunità intesa
come qualcosa di chiuso. Una
chiesa non è la sede di singoli
gruppi o movimenti, o un luogo di
riunione. È un piccolo frammento
della Chiesa universale. Tale tensione all’universalità deve trapelare nell’architettura, non certamente attraverso il fasto e la complessità. Anzi, oggi direi che la semplicità sia un elemento profondo attraverso cui si può attingere a questa universalità.
Ci sono degli esempi moderni di architettura delle chiese secondo lei positivi?
Sì, penso ad Antoni Gaudí, Alvar Aalto, Rudolf Schwarz, Giovanni Michelucci… Sono esempi di come sia possibile che la creatività
non si contrapponga affatto a
un’attenta considerazione della tradizione, che è la consegna di un’eredità da mettere a frutto.
Quando ha iniziato a progettare chiese?
Alla fine degli anni Sessanta,
quando costruii la Sacra Famiglia
a Salerno. Quella però è una chiesa “firmata”…
In che senso?
È quella che viene più apprezzata dai critici perché è uno sforzo
di linguaggio, il tipico edificio che
per il suo stile riconoscibile all’interno di un dibattito può trovare il
suo posto in una storia dell’architettura. A partire dagli anni Novanta ho cominciato a progettare
altre chiese mettendo tra parentesi la problematica espressiva personale – il linguaggio – per dare
più ascolto alle esigenze dei committenti e per provare a realizzare i
loro desideri.
Ricorda con particolare piacere l’ideazione di qualcuna
delle chiese che ha realizzato?
Beh, la Madonna della Pace a
Terni mi ha molto coinvolto ed
emozionato. Dopo l’avventura della Moschea di Roma, durata
vent’anni, tornavo a pensare a una
chiesa, la cui progettazione mi venne proposta nel ’98 dall’allora vescovo della diocesi, Franco Gualdrini. Fui conquistato da un flusso di
sentimenti, idee e immagini che
scaturivano dai titoli scelti: la Santissima Trinità e la Vergine apportatrice di pace. Mi immersi nella lettura di testi su Maria e mi confermai
nella identificazione simbolica della
Madonna con la stella e con la luce,
immagini per me strettamente legate al ricordo delle litanie lauretane che ascoltavo dopo la recita del
rosario a casa dei miei nonni, durante la guerra. Fui conquistato dai
versi dell’inno Akathistos – «Stella
annunciatrice del Sole…» –; dall’in-
NEL SILENZIO DELLE NOSTRE CHIESE
A destra, uno scorcio del soffitto
della navata centrale
della Sagrada Família, di Antoni Gaudí,
a Barcellona
no medievale dei Vespri di Maria,
l’Ave maris stella; dalle terzine di
Dante nel Paradiso – «Qui sei a noi
meridïana face / di caritate…» –; e
dalle parole di Péguy nella Presentazione della Beauce alla Madonna di Chartres – «Stella del mare…
Stella del mattino… / eccoci in
marcia verso la vostra illustre reggia, / ed ecco il vassoio del nostro
povero amore, / ed ecco l’oceano
della nostra pena immensa…».
Questi versi cristiani richiamarono
alla mia memoria la poesia Alla foce, la sera, di Caproni, non proprio
un campione della fede in senso
tradizionale, ma poeta a me carissimo: «La vedevo alta sul mare. Altissima. / Bella. // All’infinito bella /
più di ogni altra stella […]. Ne ignoravo il nome. / Il mare / mi suggeriva Maria. / Era ormai la mia / sola
stella. / Nel vago // della notte, io
disperso / mi sorprendevo a pregare. // Era la stella del Mare». Ero
contentissimo: avevo trovato il nucleo formativo dell’edificio, l’ideogramma stellare, le cui prime applicazioni alla pianta delle chiese risalgono al Barocco, anche se i prodromi sono rintracciabili già nel
Medioevo.
Quali caratteristiche desiderava che avesse la nuova
chiesa?
Volevo che rappresentasse il
raccoglimento: è importante il silenzio nelle chiese, il silenzio è la
condizione di accesso al sacro.
Poi desideravo privilegiare la “povertà”, piuttosto che la ricchezza.
Per questo ho voluto realizzare la
copertura in legno, come nelle
chiese medievali.
Verrà realizzata la maquette della chiesa dedicata a san
Benedetto che ha donato al
Papa?
Non lo so… Quello è soprattutto un omaggio a papa Ratzinger.
Ed è anche l’auspicio che san Benedetto protegga la sua Europa in
questi momenti difficili.
q
30GIORNI N.11 - 2011
65
Le opere belle della carità
Luci dall’Africa
La presenza dell’Opus Dei in Africa attraverso piccole storie di carità
e solidarietà. Nel ricordo di Margaret Ogola, una donna keniana
che come medico ha speso la vita per combattere l’Aids
e a favore della famiglia
di Giovanni Ricciardi
K
Sopra, un ricercatore
dell’ospedale
Monkole a Kinshasa
68
inshasa, Repubblica Democratica
del Congo. Nella periferia meridionale della città il centro medico
Monkole lo conoscono un po’ tutti. Perché a
migliaia sono stati curati o hanno beneficiato
della sua azione di educazione sanitaria, dal
1991 a oggi. Un ospedale così ben tenuto
che alcuni pensavano fosse un luogo “per
ricchi”. Monkole è un’iniziativa di persone
dell’Opus Dei, così come la Scuola infermieristica che forma il personale sanitario di sei
ospedali. I giovani congolesi che la frequentano stanno contribuendo alla crescita del
settore sanitario del loro Paese.
30GIORNI N.11 - 2011
Dal Congo al Kenya, e alla sua capitale
Nairobi. Qui, dal 1961, il nome Strathmore è sinonimo di cultura, for mazione,
emancipazione. Questa struttura educativa
copre attualmente l’intero ciclo scolastico,
dalle elementari all’università. Generazioni
di ragazzi hanno avuto la possibilità di acquisirvi una valida preparazione culturale e
professionale, unita a una profonda formazione cristiana. Negli anni Sessanta la città
di Nairobi era suddivisa in quartieri secondo
un rigido criterio razziale. San Josemaría
Escrivá de Balaguer chiese alle persone che
progettavano quest’iniziativa che, per
Opus Dei
     
quanto radicate fossero le usanze, il centro
avesse un carattere interrazziale. Una cosa
che in Kenya non si era mai vista.
Per san Josemaría il servizio agli altri
non poteva prescindere dall’attenzione alle
due dimensioni dell’uomo: corporale e spirituale. Da qui il grande impegno per l’evangelizzazione, la formazione cristiana, e
poi per le iniziative sociali come insegnare
un lavoro, valorizzare la donna, curare i
malati o gli anziani.
Nei primi tempi del suo apostolato egli
era solito attraversare Madrid a piedi per visitare malati nei quartieri periferici, assistere
moribondi e senzatetto, insegnare il catechismo ai bambini. E lì portava i giovani che seguiva spiritualmente, per aiutarli, attraverso i
servizi più umili prestati agli “ultimi”, a cogliere il senso della sequela di Cristo. Anni
dopo, incoraggiati da san Josemaría, i membri dell’Opera crearono, sempre a Madrid,
con la collaborazione della popolazione locale, il centro professionale Tajamar, che ha
avviato al lavoro più di 20mila giovani. Lo
stesso accadde nella periferia di Roma con il
Centro Elis, inaugurato nel 1965 da Paolo
VI. Contemporaneamente, in Messico, una
vecchia hacienda zuccheriera veniva trasformata in un centro di formazione per i
contadini di tutto lo Stato di Morelos.
Anche in Africa il lavoro apostolico dell’Opus Dei si fonda sullo stesso presupposto:
l’Opera aiuta ciascuno a riscoprire il suo rapporto con Dio e a viverlo nella vita di tutti i
giorni, e la dimensione del lavoro rientra pienamente in questo rapporto.
Secondo questo spirito è stato creato il
progetto Harambee Africa International,
una onlus nata nel 2002 – l’anno della canonizzazione di Josemaría Escrivá – per promuovere progetti di sviluppo che abbiano
come protagonisti gli africani. Harambee
sostiene in 14 Paesi del continente una trentina di progetti che spaziano dalla formazione per contadini e artigiani a corsi per la preparazione professionale della donna, fino a
percorsi educativi per il reinserimento sociale di ex detenuti.
Il 9 settembre scorso la onlus Harambee
ha promosso a Roma, presso la Pontificia
Università della Santa Croce, un incontro
internazionale per giovani imprenditori
africani di quattro Paesi (Nigeria, Ghana,
Burkina Faso, Tunisia) e rappresentanti di
alcune organizzazioni del settore pubblico e
privato in Africa, al fine di esplorare le opportunità di crescita dell’imprenditoria africana come via per lo sviluppo del continente. L’obiettivo di incontri come questo è
che i giovani imprenditori africani diano vita a progetti concreti nel continente, così
come i medici, gli ingegneri, gli economisti
possano partecipare allo sviluppo dei loro
Paesi. Perché realtà come Monkole e
¬
Strathmore possano moltiplicarsi.
Josemaría Escrivá
de Balaguer
con alcune
studentesse africane
30GIORNI N.11 - 2011
Un’infermiera
dell’Issi, la scuola
per infermiere
adiacente
all’ospedale
Monkole
a Kinshasa
69
Le opere belle della carità
Qui sopra,
la dottoressa
Margaret Ogola
durante
la presentazione
di Harambee,
a Roma,
il 4 ottobre 2002;
in alto, mentre
visita un ragazzo
70
Margaret Ogola:
una vita per Dio
e per l’Africa
Ma tutto questo sarebbe
impossibile se non ci fossero dei testimoni, come
Margaret Ogola, una keniana molto nota in patria,
un medico che si spendeva
quotidianamente per il bene dei malati di Aids e il
rafforzamento della famiglia in Africa. La dottoressa aveva lavorato alla
Strathmore University e
faceva parte dell’Opus
Dei. Margaret è morta alla
fine di settembre dopo una
lunga malattia, ed è stata una grande promotrice di Harambee.
Molte persone, tra cui un’intera generazione di studenti del Kenya, l’hanno conosciuta anche attraverso i suoi romanzi, il più
famoso dei quali, Il fiume e la sorgente, nel
1995 ha vinto il premio Writer Commonwealth per il miglior libro della regione
africana, ed è stato tradotto in Italia dalle Edizioni San Paolo nel 1997.
Per la maggior parte della sua vita professionale Margaret si è presa cura dei poveri,
in particolar modo dei malati di Aids. Dal
1994 è stata direttore medico dell’Hospice
del Cottolengo per l’Aids e gli orfani di Hiv, e
nel 2004-2005 ha giocato un ruolo fondamentale nella creazione della Clinica
Hiv/Aids Sos, che cura donne, uomini e
bambini dei bassifondi di Nairobi.
Allo stesso tempo era moglie e madre di
cinque figli e di due orfani accolti nella sua
famiglia: «Così», disse una volta, «anche se
30GIORNI N.11 - 2011
sono oltre l’età fertile la mia famiglia continua a crescere! E questa è la storia di tutti in
Kenya oggi: si hanno orfani di cui ci si prende cura perché non hanno nessun altro a
cui rivolgersi».
Oltre al suo lavoro di medico, Margaret
dal 1994 al 1998 è stata direttore esecutivo
dell’associazione Family Life Counseling del
Kenya, e dal 1998 al 2002 segretario esecutivo nazionale per la salute e la vita familiare
della Conferenza episcopale keniana, coordinando l’amministrazione di oltre 430 strutture sanitarie di assistenza gestite dalla Chiesa cattolica in Kenya. Nel 2002 è diventata
coordinatore per il Kenya di Haci (Hope for
African Children Initiative), un’associazione
che coinvolge Care, Save the Children, l’Associazione per le donne e l’Aids, World Vision e altre ong internazionali.
Nella comunità internazionale Margaret
Ogola si è distinta come un campione della
dignità umana, che lei vedeva come appartenente nella stessa misura a ogni uomo, donna e bambino – compreso il nascituro. Non
era femminista in senso politically correct,
cosa che avrebbe forse favorito la sua ascesa
a un ruolo di primo piano nelle Nazioni Unite, ma era ugualmente una forte sostenitrice
del potenziamento del ruolo delle donne. Alla quarta Conferenza mondiale dell’Onu sulle donne, tenutasi a Pechino nel 1995, poté
dire con grande serenità e fermezza che «la
donna è il cuore della famiglia, e la famiglia è
la pietra angolare della società. La donna è
un concentrato di creatività, sviluppo e pace.
La cooperazione tra uomini e donne è pertanto necessaria perché una donna porta
una complementarità uguale e potente per
la comune condizione umana. Alle donne è
stata affidata la capacità di trasmettere la vita
che è il dono più prezioso che un corpo possa dare o ricevere. Senza vita nessun altro
bene è possibile». Attaccò inoltre i dogmi intoccabili di organizzazioni internazionali per
lo sviluppo, insistendo sulla «disponibilità di
metodi economici e sicuri di distanziamento
delle nascite, come la pianificazione familiare naturale», e chiedendo il riconoscimento
del «ruolo insostituibile dei genitori e della famiglia nell’educazione e nella formazione
dei bambini in materia di sessualità».
Nel suo impegno quotidiano per i malati
Opus Dei
     
di Aids, insisteva sul fatto che la povertà – e,
di conseguenza, la piaga della prostituzione
– era la principale causa della sua diffusione
tra le donne: «Pertanto», diceva, «i programmi di prevenzione dovrebbero mettere le donne al centro, non solo per aiutarle
a dire “no”, ma anche per offrire loro delle
alternative quando dicono “no”. Questo significa attenzione alla povertà nel nostro
Paese. Il 57 per cento dei keniani vive con
meno di un dollaro al giorno. Ma la maggior parte dei poveri è costituita da donne,
e soprattutto donne giovani, perché socialmente non sono considerate uguali agli uomini e quindi hanno minore accesso all’istruzione e alle risorse a ogni livello. La loro
situazione deve essere affrontata in modo
olistico e integrato: non solo promuovere i
valori della famiglia, ma dar loro anche la
possibilità di fare una vita diversa dalla prostituzione, in cui spesso finiscono a causa
della povertà».
Che cosa poteva sostenere la dottoressa Ogola nel suo lavoro instancabile se
non la sua fede cattolica? A essa doveva
anche, senza dubbio, il suo grande ottimismo sull’Africa e le sue famiglie. In un’intervista del 2005 diceva: «Sì, sono molto
fiduciosa, considerando tutto quello che è
successo negli ultimi dieci anni, cioè la
consapevolezza che esiste oggi nel mondo
circa la situazione dell’Africa e l’impatto
dell’Aids, la buona volontà di molti, i fondi
che cominciano ad arrivare non solo per
distribuire preservativi, ma anche per offrire assistenza e sostegno, dare aiuto ai
bambini affamati, fornire gli indumenti in
modo che possano almeno andare a scuola in modo decente come gli altri. Ecco,
tutte queste cose stanno cominciando ad
accadere. E quando c’è una convergenza
di intenti, l’ingegno umano può sicuramente sconfiggere anche un virus come
l’Aids, proprio come abbiamo sconfitto il
vaiolo e la poliomielite. Quindi, ripeto, sono piena di speranza».
L’ultima parola dovrebbe andare a qualcuno che la conosceva ed era presente al
suo funerale affollato presso la Basilica della
Sacra Famiglia a Nairobi lo scorso settembre: «È stata giorno dopo giorno sempre
più vicina a Dio», ci è stato raccontato: «Il sa-
cerdote che l’assisteva ha detto che voleva
fare ogni cosa, grande o piccola, non importa quanto fosse impegnativa, per amore. Altre persone – familiari, amici, colleghi
e funzionari di governo – hanno testimoniato che era una persona di grande talento e
determinazione, una lavoratrice instancabile e sempre alla ricerca del modo migliore
per essere al servizio degli altri nella sua professione, in particolare nella cura di bambini
rimasti orfani a causa dell’Aids, che erano la
sua preoccupazione principale come pediatra. Aveva per loro un grande amore e ha
combattuto per il rispetto della dignità della
vita umana. La fede e la fiducia in Dio hanno caratterizzato tutta la sua vita».
q
Sotto, due immagini
del centro
di produzione
sementi Ceprosem,
un progetto,
finanziato
da Harambee
in Congo,
che assicura
la formazione
degli agricoltori e la
commercializzazione
di sementi certificate
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71
PRIMO
MILLENNIO
Perseguitati
in tempi recentissimi
La Prima Lettera di Clemente ai Corinzi, in cui si parla delle persecuzioni
subite dai cristiani «per invidia e gelosia»,
fu redatta non molto tempo dopo la morte di Nerone,
e quindi a pochissimi anni dal martirio dei santi Pietro e Paolo a Roma.
Un articolo del presidente emerito
del Pontificio Comitato di Scienze storiche
del cardinale Walter Brandmüller
ispetto alle testimonianze scritte della Chiesa
primitiva a noi pervenute, la Prima Lettera di
Clemente è quella in ordine di tempo più
prossima ai testi neotestamentari. Non ci si può stupire, dunque, se da tempo riscuote l’attenzione particolare degli studiosi. Ma questo testo è stato, ed è
dibattuto in ogni suo minimo dettaglio soprattutto
perché la tradizione cattolica vi vede la primissima
testimonianza extrabiblica in favore del primato della Chiesa romana in seno alla cristianità. Particolare
interesse riveste perciò la questione della data di
composizione. È generalmente accettato che la Prima Lettera di Clemente sia stata composta verso la
fine del I secolo dell’era cristiana. Partendo dal riferimento alla persecuzione dei cristiani, la si fa perciò
risalire all’epoca dell’imperatore Domiziano che regnò dall’81 al 96.
Sono però da tempo sorti dubbi su questa datazione e studi più accurati hanno dimostrato che sotto Domiziano non si ebbe alcuna persecuzione dei cristiani.
Nei capitoli dal 3 al 5 della Lettera, che è un appello all’unità e all’amore in seno alla Chiesa, si parla delle funeste conseguenze della gelosia per la comunità
dei cristiani. L’autore porta a questo riguardo una serie di esempi tratti dall’Antico Testamento, per poi
proseguire: «Ma lasciando gli esempi antichi, veniamo
agli atleti di tempi recentissimi. Per invidia e gelosia,
R
74
30GIORNI N.11 - 2011
colonne di massima grandezza e rettitudine furono
perseguitate e lottarono sino alla morte. Prendiamo
ad esempio i valenti Apostoli: Pietro, che per ingiustificata invidia non una o due, ma molte pene patì [...].
Dinanzi all’invidia e alle liti, Paolo mostrò quale fosse
la palma per la sopportazione paziente [...]. Si ritirò
perciò dal mondo e raggiunse il luogo santo da eccelso modello di pazienza».
Subito dopo, la Lettera parla anche dei martiri
della persecuzione per mano di Nerone e accenna –
come più tardi anche Tacito (+117) – al modo in cui
morirono, dicendo inoltre in maniera esplicita che
tutto ciò è accaduto “da noi” (a Roma) – •n ämîn – e,
per la precisione, ≤ggista, vale a dire “in tempi recentissimi”.
Ma questo vuol dire che la persecuzione di Nerone
appartiene all’esperienza diretta dell’autore. La Lettera non può dunque essere stata scritta molto tempo
dopo la morte di Nerone (68), laddove l’anno del massacro di cristiani non è ancora sicuro (64/65).
A tal proposito, sorge anche la questione se nello
scatenarsi dell’invidia e gelosia di cui parla Clemente, e di cui gli apostoli Pietro e Paolo furono vittime,
siano da riconoscere i conflitti all’interno della comunità cristiana di Roma. I noti contrasti intorno a
Marcione, Valentino e Cerdone sono tutti di una generazione dopo.
I santi Pietro e Clemente, particolare del mosaico absidale del XII secolo della Basilica di San Clemente, a Roma
È molto più verosimile pensare alle tensioni tra
cristiani e giudei. Non va infatti dimenticato che in
quei decenni era in pieno corso la separazione tra
giudei e cristiani, una situazione più che favorevole a
invidie e gelosie.
Sappiamo inoltre da Giuseppe Flavio che la moglie di Nerone, Poppea, era una proselita, vale a dire
una convertita all’ebraismo, e doveva perciò aver
avuto stretti legami con gli ambienti giudaici a Roma.
Quindi, è davvero impensabile che nella ricerca di
capri espiatori per l’incendio della Roma neroniana
sia stata lei ad aver dirottato l’attenzione sui cristiani,
così invisi ai giudei?
In tutti questi approcci interpretativi è comunque
necessario usare cautela, considerata l’assenza di
prove certe nelle fonti.
È invece il momento di affrontare la questione
dell’autore. È evidente che il nostro testo – che si ¬
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PRIMO
MILLENNIO
Moneta con l’effigie di Nerone,
Museo archeologico Nazionale,
Napoli; sotto, testa di Nerone,
Museo Palatino, Roma.
Anno 64 circa
presenta come una trattazione in forma epistolare –
non è opera di una collettività: che la «Chiesa di Dio
che vive a Roma in terra straniera» scriva alla Chiesa
di Corinto è solo un espediente formale. A prestare
la penna, si ritiene sia stato “Clemente”, nome che –
per quanto ci è noto – viene per la prima volta citato
in una lettera di risposta del vescovo Dionisio (Dionigi) di Corinto a papa Sotero (166-174 ca.). Scrive
Dionisio (Dionigi): «Oggi celebriamo il giorno santo
del Signore e in questo medesimo giorno abbiamo
letto la vostra lettera, la quale, così come il precedente scritto a noi inviato da Clemente, sempre leggeremo ad ammonimento».
Se questo Clemente è nominato accanto al vescovo di Roma Sotero e la sua lettera è letta al pari della
lettera di un papa durante la liturgia, si può ritenere
che con tale Clemente si faccia riferimento a un altro
vescovo di Roma. Come probabilmente suggerisce
anche il Clemente romano ricordato nel Pastore di
76
30GIORNI N.11 - 2011
PERSEGUITATI IN TEMPI RECENTISSIMI
Erma, scritto nella prima metà del II secolo, poiché
dal contesto si evince che quel Clemente era persona
di alta autorità.
Non va dimenticato che fino al IV secolo, allora
come in passato, la Lettera di Clemente era di pubblico uso in gran parte delle Chiese. In Egitto e Siria,
in particolare, le veniva attribuita un’autorità quasi
canonica.
Nel Codex Alexandrinus, famoso manoscritto
della Bibbia del V secolo oggi conservato a Londra, insieme al Nuovo Testamento è anche contenuta proprio la Prima Lettera di Clemente.
Ora, come si è detto, tutti questi dibattiti, ovvero
controversie, hanno un retroterra: la Prima Lettera di
Clemente può essere considerata la prima prova postbiblica in favore del primato del vescovo di Roma nella
guida della Chiesa universale? Le risposte sono diverse
a seconda del diverso punto di vista confessionale.
Dovrebbe essere chiaro quale lampante anacronismo rappresenterebbe chiedersi se il primato di Roma, così come formulato dai due Concili Vaticani, sia
testimoniato dalla Prima Lettera di Clemente. È giusto però chiedersi se qui non emerga la responsabilità
su tutta la Chiesa dell’Ecclesia Romana.
Per questo conviene innanzitutto dare uno sguardo
al motivo e al contenuto della Lettera. Come mai fu
necessario scriverla?
Dal testo si comprende che nella comunità di Corinto si era verificata una spaccatura, poiché i giovani
si erano ribellati ai presbiteri della comunità e li avevano rimossi dal loro ufficio.
L’intervento di Roma, in questa situazione che minacciava la vita della Chiesa di Corinto, è un fatto notevole. È del tutto ignoto se sia stato in seguito a una
richiesta di aiuto da parte dei capi della Chiesa esautorati o se Roma abbia preso l’iniziativa motu proprio. Per la nostra questione, è del tutto irrilevante,
perché nel primo caso, se erano stati i presbiteri a far
ricorso a Roma, vuol dire che allora ne riconoscevano l’autorità e la facoltà di tutelare i loro diritti; nel secondo, l’intervento di Roma testimonierebbe che
l’Ecclesia Romana esercitava in modo ovvio l’autorità sulla Chiesa tutta.
Il fatto appare ancor più notevole, se si considera
che all’epoca dell’invio della Lettera a Corinto – poco importa se si data prima o solo intorno alla fine del
I secolo – a Efeso era ancora vivo uno dei Dodici, Giovanni. Inoltre, via terra Corinto distava da Efeso circa
1.300 chilometri – meno della metà via mare –, mentre, sempre via terra, Roma era lontana 2.500 chilometri. Doveva esserci perciò un motivo, se non fu l’ultimo dei Dodici, ma il Vescovo di Roma, a essere interpellato e a intervenire in questa situazione.
La supposizione perciò che si sia ricorsi al Successore di Pietro come all’istanza ultima potrebbe non
essere affatto sbagliata.
q
Sopra, il “muro dei graffiti” con l’apertura che immette nel loculo
dove si conservano le reliquie di Pietro, necropoli sotto la Basilica
di San Pietro, Città del Vaticano; sotto, la lastra marmorea
con l’epigrafe “A Paolo apostolo e martire”,
Basilica di San Paolo fuori le Mura, Roma
30GIORNI N.11 - 2011
77
Aggiungi
un posto
a tavola
Dal nuovo centro di cottura all’interno
dell’“Istituto di Rebibbia Nuovo Complesso” la Men at Work produce e consegna
pasti a comunità, aziende, enti locali, istituti
religiosi, scuole, nel territorio del Comune
e della Provincia di Roma.
La Men at Work è una cooperativa sociale
senza fine di lucro che, dal 1998, attiva processi di reinserimento di persone svantaggiate e, dal 2003, forma professionalmente
le persone detenute nel carcere di Rebibbia
di Roma, creando nuovi posti di lavoro nel
settore della ristorazione.
Le persone che vi operano sono tutte formate con corsi specifici nel campo della ristorazione collettiva e garantiscono al
consumatore un prodotto salubre, sicuro e
certificato ISO 9001.
Se devi aggiungere un posto a tavola, aggiungilo con una ragione in più.
Buon appetito. A tutti!
Per informazioni e preventivi tel. 0677208095 oppure e-mail: [email protected]
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at Work , puoi anche scegliere di
destinargli il tuo 5 per mille. Sulla
tua dichiarazione dei redditi, firma
nella casella delle Organizzazioni
non lucrative di utilità sociale e indica il codice fiscale 05647761005. Il tuo 5 per mille
andrà ai progetti di reinserimento al lavoro realizzati
dalla Men at Work.
P.zza San Giovanni in Laterano 44
00184 Roma
Un arcipelago
di servizi
Per arcipelago di servizi intendiamo un sistema di integrazione di risorse sociali che presenta una gamma di possibilità nella scelta del servizio appropriato.
Archipelagos è una libera aggregazione che unisce varie cooperative che operano al servizio delle
persone, delle comunità, degli enti pubbliici e privati ponendo maggiore attenzione ai più deboli e alla
qualità dei servizi offerti.
Manser
La Cooperativa Sociale e di
Lavoro è stata costituita a
Roma nel 1995 su iniziativa di un gruppo di psicologi e assistenti sociali. La
cooperativa in convenzione con il Comune di Roma
svolge numerosi servizi atti a migliorare la qualità
della vita delle famiglie attraverso interventi mirati
ad alleviarne il disagio e a
prevenirne le cause, aiutandole ad inserirsi nella
rete sociale. È attivo il progetto “Buon Samaritano”
con il contributo della Provincia di Roma consistente
nel portare aiuti alimentari
alle persone povere.
La H3A è specializzata nella gestione di tutti gli
adempimenti richiesti dalle normative vigenti,
d.lgs.81/08, per piccole,
medie e grandi Aziende, in
materia di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro e nell’edilizia. Oltre ai servizi di
informazione e formazione,
sorveglianza sanitaria, antincendio, fornisce servizi
di igiene, analisi ambientali e di acque, misurazioni
strumentali, rischio chimico, biologico e da polveri
avvalendosi di tecnici specializzati come chimici, fisici, biologi e ingegneri.
Coop.
Insieme
La Cooperativa Insieme
fondata nel 2005 da un
gruppo di donne si occupa di progettare, realizzare e gestire servizi rivolti ai
minori. Attualmente gestisce l'asilo nido privato
“Mondo Bimbi”a Latina
Scalo, ed un nido Comunale a Latina. La Cooperativa ha altre tipologie di
sevizi con diversi progetti
come ad esempio: Integrazione di alunni stranieri, centri socio-educativi,
attività assistenziali rivolte a soggetti diversamente abili e centri estivi.
La cooperativa C’era due
volte nasce nel 2000 dalle
singole esperienze di alcune giovani donne che
insieme decidono di fondare strutture e servizi interamente dedicati
all’infanzia. La cooperativa ha avviato con successo vari progetti a carattere
socio/educativo , formativo, ludico/ricreativo, creando diversi servizi quali
2 Micronidi in convenzione
con il Comune di Roma e il
servizio “Tages mutter”
per bimbi delle fasce d’età
0/6 anni, nel territorio del
XII municipio.
I SERVIZI OFFERTI: ASSISTENZA DOMICILIARE E CENTRI DI AGGREGAZIONE PER MINORI • ASILI NIDO
• GESTIONE DI CENTRI SOCIO EDUCATIVI • TAGESMUTTER • ASSISTENZA AGLI STUDENTI DISABILI •
CENTRO PER LA FAMIGLIA • ATTIVITÀ DI SOSTEGNO ALLE PERSONE BISOGNOSE • ANALISI AMBIENTALI E
DI ACQUE • MISURAZIONI DI SOSTANZE CHIMICHE • CONSULENZA IN MATERIA DI SICUREZZA SUI LUOGHI DI LAVORO • ASILI NIDO • FESTE, ANIMAZIONI • CENTRI ESTIVI • SPAZI DI ASCOLTO E CONSULENZA
PSICOLOGICA • MICRONIDI • TAGESMUTTER • PULIZIE • MANUTENZIONE IMPIANTI • RISTORAZIONE •
INSERIMENTI LAVORATIVI PER GIOVANI E ADULTI
La Manser Cooperativa Sociale Integrata, nasce nel
1996 in seguito all’incontro tra operatori sociali e
giovani dei quartieri di Tor
Bella Monaca e Spinaceto,
nell’ambito di interventi
socio educativi gestiti dalla Comunità Capodarco di
Roma. Si occupa di favorire
l’inserimento lavorativo di
persone svantaggiate, con
particolare attenzione a
soggetti con disabilità psico fisica e mentale all’interno delle proprie attività
imprenditoriali. È di prossima apertura il ristorante
nel parco degli Acquedotti.
Archipelagos
Via F. Antolisei 25
00173 Roma
Tel. 06 72480682
Fax 06 72480640
[email protected]
I canti gregoriani più semplici che
i fedeli sono invitati a imparare
e cantare secondo l’intenzione della
costituzione del Concilio Vaticano II
sulla Sacra Liturgia
Sacrosanctum Concilium
È possibile scaricare
gratuitamente sia il CD
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sul nostro sito internet
www.30giorni.it
nell’area download
Si possono inoltre richiedere
altre copie del cd e del libretto,
al prezzo di 2 euro più spese di spedizione,
telefonando al numero verde gratuito
oppure scrivendo a: 30GIORNI, via Vincenzo Manzini, 45 - 00173 Roma
o all’indirizzo e-mail: [email protected]
Cd e libretto sono disponibili
anche in lingua francese, inglese,
portoghese, spagnola e tedesca
con le stesse modalità
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