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OPINIONI . FALLIMENTO
Finanziamenti dei soci di s.r.l.
e fallimento della società
di Valerio Sangiovanni
LA RIFORMA
Art. 2467 c.c.
L’Autore, nell’esaminare una delle più significative novità della riforma del diritto societario del 2003
sui finanziamenti dei soci nella s.r.l. (art. 2467 c.c.), si sofferma sulla previsione normativa secondo
cui, in caso di eccessivo squilibrio fra indebitamento e patrimonio netto nel momento della concessione
del prestito, i finanziamenti non possono essere rimborsati ai quotisti se non dopo che sono stati soddisfatti gli altri creditori sociali e sull’obbligo dei soci in caso di fallimento di restituire alla società i finanziamenti che fossero stati rimborsati ai quotisti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento.
Introduzione
Una delle novità più significative della riforma del diritto societario del 2003 (1) è l’introduzione di una disposizione che disciplina i finanziamenti effettuati dai soci
a favore della s.r.l. (2). L’art. 2467 c.c. prevede innanzitutto che «il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione
degli altri creditori e, se avvenuto nell’anno precedente
la dichiarazione di fallimento della società, deve essere
restituito« (art. 2467, primo comma c.c.). «Ai fini del
precedente comma s’intendono finanziamenti dei soci a
favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati,
che sono stati concessi in un momento in cui, anche in
considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento» (art. 2467, secondo comma
c.c.) (3).
L’idea di fondo su cui si fonda la nuova disciplina è che
i finanziamenti dei soci concessi alla s.r.l. si avvicinano,
dal punto di vista economico, ai conferimenti - iniziali
o in sede di successivo aumento di capitale - che formano il capitale sociale. Entrambe le tipologie di apporti
servono a mettere a disposizione della società quelle risorse che consentono alla stessa di svolgere la sua attività e di perseguire l’oggetto sociale (4). Capitale e finanziamenti dei soci, pur provenendo dai medesimi soggetti
(i quotisti) e pur avendo la stessa finalità (finanziamento della s.r.l.), non vengono però posti sullo stesso piano
dal punto di vista della disciplina legislativa. Vi è dunque similitudine economica, ma non giuridica.
La differenza principale fra capitale e finanziamenti consiste nel fatto che il capitale non può essere restituito ai
soci, mentre i prestiti - in condizioni normali (ma l’art.
2467 fa un’eccezione) - sono preordinati alla restituzione ai quotisti. L’indebita restituzione dei conferimenti
rileva addirittura penalmente: l’art. 2626 c.c. prevede
che «gli amministratori che, fuori dei casi di legittima
riduzione del capitale sociale, restituiscono, anche simulatamente, i conferimenti ai soci o li liberano dall’obbligo di eseguirli, sono puniti con la reclusione fino ad un
anno». Il socio vanta invece, in relazione ai finanziamenti, un diritto alla restituzione. La tempistica della re-
Note:
(1) Fra i principali contributi sulla s.r.l. quale risultante a seguito della novella del 2003, e senza alcuna pretesa di completezza, cfr. P. Benazzo, L’organizzazione nella nuova s.r.l. fra modelli legali e statutari, in Società, 2003,
1062 ss.; G. Lo Cascio, La riforma della società a responsabilità limitata e le
procedure concorsuali, in questa Rivista, 2005, 237 ss.; A. Patti, I diritti dei
soci e l’assemblea nella nuova disciplina della s.r.l., in Società, 2005, 440 ss.;
G. Racugno - E. Loffredo, Società a responsabilità limitata, in Giur. comm.,
2006, II, 209 ss. (il lavoro di questi autori consiste in una rassegna delle
prime decisioni giurisprudenziali che hanno dato applicazione al nuovo
diritto dopo la riforma); V. Salafia, Il nuovo modello di società a responsabilità limitata, in Società, 2003, 5 ss.; V. Sangiovanni, Die Neuregelung der Geschäftsführung in der italienischen società a responsabilità limitata, in
GmbH-Rundschau (GmbHR), 2006, 1316 ss.; G. Zanarone, Introduzione
alla nuova società a responsabilità limitata, in Riv. soc., 2003, 58 ss.
(2) Specificamente in tema di finanziamenti dei soci dopo la novella cfr.
Assonime, Il finanziamento della società a responsabilità limitata, Circolare n.
40, 17 luglio 2007; I. Capelli, I crediti dei soci nei confronti della società e il
rimborso dei finanziamenti dei soci dopo la riforma, in Riv. dir. priv., 2005, 99
ss.; D. Finardi, Rimborsabilità delle erogazioni dei soci tra mutuo e capitale di rischio, in Società, 2006, 596 ss.; R. Guarino, I finanziamenti dei soci, in Vita
not., 2006, 948 ss.; V. Salafia, I finanziamenti dei soci alla società a responsabilità limitata, in Società, 2005, 1077 ss.; G. Spaltro, Vecchie e nuove problematiche in materia di finanziamenti dei soci, ivi, 2006, 1268 ss.
(3) Si tratta di norme simili, ma non identiche, a quelle previste nell’ordinamento tedesco ai §§ 32a e 32b GmbHG (Gesetz betreffend die Gesellschaften mit beschränkter Haftung, legge sulle società a responsabilità limitata). Sulla disciplina tedesca dei finanziamenti dei soci di s.r.l. sia consentito il rinvio a V. Sangiovanni, Finanziamenti dei quotisti di s.r.l. tedesca
(GmbH) alla società e insolvenza della società, in Contr. e impr. / Europa,
2006, 329 ss.
(4) Per un recente scritto che esamina le diverse modalità di finanziamento societario cfr. P. Giudici, Die Auswirkungen der Reform des Gesellschaftsrechtes auf die Finanzen der Aktiengesellschaft, in P. Hilpold - C. Perathoner - W. Steinmair (a cura di), Die Reform des italienischen Gesellschaftsrechts, Innsbruck, 2006, 143 ss.
IL FALLIMENTO N. 12/2007
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stituzione dipende dalle condizioni contrattuali che sono state pattuite fra quotista e società: potrà trattarsi di
un finanziamento a breve, medio oppure lungo termine.
Alla scadenza del termine il socio ha però diritto al rimborso del finanziamento.
Il diritto del socio al rimborso del finanziamento conosce peraltro, ai sensi dell’art. 2467 c.c., un’importante limitazione quando il prestito può essere qualificato come
«anomalo» o «anormale» o «patologico». In presenza
dei presupposti fissati dall’art 2467, secondo comma c.c.
il quotista non può ottenere la restituzione delle somme
date in prestito alla società se non quando siano stati
soddisfatti i creditori sociali. Nel caso poi di dichiarazione di fallimento, il rimborso del finanziamento dalla
s.r.l. al socio deve essere restituito alla società ed entra
cosı̀ a far parte della massa fallimentare, vale a dire di
quelle risorse preordinate alla soddisfazione dei creditori
sociali.
Si noti che il tema del finanziamento dei soci alla società (di cui l’art. 2467 c.c. è espressione nel contesto della
s.r.l.) è una materia di grande complessità. Esso tocca
aspetti attinenti quantomeno a cinque diverse materie:
1) il diritto societario (in considerazione del fatto che si
tratta di un rapporto intercorrente fra socio e società);
2) il diritto civile (nella misura in cui il finanziamento
assume le vesti di un contratto di mutuo fra socio-mutuante e società-mutuataria);
3) il diritto fallimentare (perché la disposizione in esame prevede un obbligo di restituzione del finanziamento
alla società in caso di intervenuta dichiarazione di fallimento, oltre che una postergazione dei soci-finanziatori
in sede fallimentare);
4) il diritto bancario (problematiche di limiti alla raccolta del risparmio);
5) il diritto tributario (disfavore per il meccanismo del
finanziamento in caso di sotto-capitalizzazione) (5).
Non è pensabile trattare tutti questi profili in questa sede. Motivi di spazio e ragioni di attinenza alla specializzazione della rivista che, cortesemente, ospita questo articolo suggeriscono di occuparsi solo degli aspetti propri
del diritto fallimentare.
La dichiarazione di fallimento e la postergazione
La situazione finanziaria di una s.r.l. indebitata può aggravarsi al punto tale che viene dichiarato il fallimento
della stessa. La società viene dichiarata fallita in presenza di uno stato d’insolvenza (art. 5, primo comma l.
fall.). «Lo stato d’insolvenza si manifesta con inadempimenti od altri fatti esteriori, i quali dimostrino che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le
proprie obbligazioni» (art. 5, secondo comma l. fall.).
L’apertura del fallimento produce tutta una serie di effetti, per il fallito (art. 42 ss. l. fall.), per i creditori (art.
51 ss. l. fall.), sugli atti pregiudizievoli ai creditori (art.
64 ss. l. fall.) e sui rapporti giuridici preesistenti (art. 72
ss. l. fall.).
Alla luce dell’art. 2467 c.c., la dichiarazione di fallimen-
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to della società produce conseguenze anche in tema di
finanziamenti dei soci. Questi effetti sono di due tipi, a
seconda che il prestito sia già stato restituito ai quotisti
oppure non sia ancora stato restituito. Se il finanziamento è già stato restituito ai soci (nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento), esso deve essere rimborsato alla società. Se invece il mutuo non è ancora
stato restituito ai quotisti, il subentro del fallimento impedisce il rimborso del prestito, che entra a far parte
della massa fallimentare.
Con la dichiarazione di fallimento il socio che vanta
un credito da finanziamento nei confronti della società
diventa uno dei tanti creditori della s.r.l. e, astrattamente (vale a dire se non esistesse una disposizione come
l’art. 2467, primo comma c.c.), concorrerebbe con gli
altri creditori sull’attivo. Il contenuto normativo di
maggior rilevanza dell’art. 2467, primo comma c.c. è però proprio la postergazione in sede fallimentare del soddisfacimento dei quotisti in riferimento ai prestiti da essi
concessi in favore della s.r.l.
Il meccanismo della postergazione evita che i soci concorrano paritariamente con gli altri creditori sociali sul
patrimonio della società. Si immagini che il patrimonio
residuo di una s.r.l. ammonti a 100.000 euro e che vi
siano i seguenti creditori: 10 creditori esterni per
100.000 euro complessivi di credito e 10 creditori interni (vale a dire soci-finanziatori) per altri complessivi
100.000 euro di credito. L’attivo di 100.000 euro non è
sufficiente a soddisfare tutti i crediti esistenti. Se i creditori esterni e quelli interni concorrono paritariamente
sulla stessa massa, vi è una soddisfazione di tutti i creditori ma solo nella misura del 50% (100.000 euro divisi
per 20 creditori): ciascun creditore viene soddisfatto alla
stesso modo, con 5.000 euro. Ma questa soluzione avvantaggia i soci rispetto ai creditori sociali, poiché se i
quotisti avessero conferito capitale invece di fare semplici finanziamenti in sede fallimentare - nell’esempio fatto
- non otterrebbero nulla. Il legislatore prevede invece
espressamente, con l’art. 2467, primo comma c.c., che
la soddisfazione dei soci è postergata rispetto a quella
degli altri creditori.
In definitiva, coloro che vengono soddisfatti per primi
sono i creditori sociali esterni, quelle persone che - facendo affidamento sulla ritenuta solidità patrimoniale
della s.r.l. - hanno contrattato con la società. Solo in
un secondo momento possono essere soddisfatti i soci
nella loro qualità di creditori sociali (in quanto finanziatori) interni alla s.r.l. Infine vengono soddisfatti i quotisti quali apportatori di capitale. Si realizza in altre parole
la seguente gerarchia nella soddisfazione dei crediti: 1)
dapprima i creditori esterni della società, 2) poi i soci
Nota:
(5) Per un esame anche dei profili fiscali dei finanziamenti dei soci cfr.
G. Ferranti, I finanziamenti dei soci tra riforma societaria e fiscale, in Corr.
trib., 2003, 93 ss.
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La domanda di ammissione al passivo
Anche quando è intervenuta la dichiarazione di fallimento, il socio continua a vantare un credito nei confronti della società. L’obbligo di restituzione del finanziamento da parte della s.r.l. al quotista sussiste anche
in caso di fallimento. Per il socio vi sono però due particolarità: 1) il concorso con gli altri creditori e 2) la postergazione del credito rispetto agli altri creditori.
Dal punto di vista dello svolgimento della procedura
fallimentare, il socio che vanta un credito da finanziamento verso la società deve presentare domanda di ammissione al passivo (art. 93 l. fall.) (9).
Si potrebbe sostenere la tesi che la domanda di ammissione al passivo da parte del socio finanziatore non è
necessaria. I quotisti hanno difatti comunque diritto a
tutto quanto dovesse residuare una volta soddisfatti i
creditori sociali. Questa tesi, tuttavia, non merita accoglimento in considerazione del fatto che non necessariamente tutti i titolari di partecipazioni hanno effettuato
finanziamenti in favore della società. Si supponga che
la società Alfa abbia due soci: Tizio e Caio. Solo Tizio
effettua un finanziamento a favore della società. Una
volta subentrato il fallimento, il legislatore non vuole
che i due soci siano posti sullo stesso piano, ma vuole
che Tizio - per la parte relativa al finanziamento - venga soddisfatto prima di Caio. A questo fine Tizio, che è
creditore della società, deve presentare domanda di ammissione al passivo. Tale istanza non deve invece essere
presentata da Caio, che non è creditore sociale. Una
volta soddisfatto Tizio mediante la restituzione del finanziamento, l’eventuale residuo verrà diviso fra Tizio e
Caio in proporzione alla loro partecipazione al capitale.
La possibile presenza di due categorie di soci (soci-finanziatori e soci-non finanziatori) impone una distinzione
in sede fallimentare. Può capitare che solo alcuni quotisti abbiano effettuato prestiti, ad esempio per il fatto
che - diversamente dagli altri - possedevano le risorse
necessarie. In sede fallimentare possono cosı̀ risultare
due categorie di soci: quelli che hanno effettuato finanziamenti alla s.r.l. (quotisti finanziatori) e quelli che
non li hanno effettuati (quotisti non finanziatori). In
una situazione del genere si verifica un conflitto fra due
categorie di soci. Tale contrasto si risolve a vantaggio
dei quotisti che hanno effettuato finanziamenti. In altre
parole, e di nuovo: innanzitutto vengono soddisfatti i
creditori esterni della società. Se avanza attivo vengono
restituiti, in tutto o in parte, i crediti che i soci hanno
concesso alla s.r.l. Solo in un terzo momento, se sono
soddisfatti in toto i quotisti finanziatori e avanza altro attivo, vengono «rimborsati» i soci per l’investimento fatto nella società sotto forma di capitale.
Pare dunque ragionevole ritenere che la domanda di
ammissione al passivo debba essere presentata anche
dai soci in relazione ai finanziamenti da essi eventualmente effettuati. Per quanto riguarda invece il capitale,
non ha senso imporre la presentazione di un’istanza di
ammissione al passivo. All’esito della procedura fallimentare potrà o meno residuare dell’attivo. In questo
caso i soci si divideranno tutto quanto dovesse residuare
una volta soddisfatti i creditori sociali e i quotisti finanziatori.
Il credito del socio finanziatore alla restituzione del finanziamento effettuato in favore della società ha carattere chirografario. Il credito del quotista è inoltre postergato rispetto ai crediti chirografari vantati da altri soggetti. Il credito del socio è dunque, in definitiva, di natura sub-chirografaria (10).
Nel complesso bisogna rilevare come il legislatore del
2003 sia stato particolarmente severo nei confronti della
prassi dei finanziamenti dei soci nelle s.r.l. Occorre difatti riflettere sul fatto che le probabilità per i quotisti di
ottenere soddisfazione del proprio credito in sede fallimentare sono molto basse, in considerazione dell’accertato stato d’insolvenza in cui versa la società e della necessità di soddisfare prima gli altri creditori.
LA RIFORMA
per la restituzione dei finanziamenti, 3) infine i quotisti
per il residuo.
Il Tribunale di Bologna - nel gennaio 2006 - ha fissato,
seppure nel contesto particolare di un concordato preventivo (6), il seguente ordine di soddisfazione dei creditori: a) crediti privilegiati; b) crediti chirografari del
ceto bancario; c) crediti chirografari per titoli diversi
dalla categoria precedente; d) crediti chirografari dei soci per finanziamenti alla società (7). Anche il Tribunale
di Messina, nel dicembre 2005, ha stabilito - sempre in
sede di concordato preventivo - che l’art. 2467 c.c. impone la postergazione delle ragioni creditorie dei quotisti a quelle degli altri creditori (8).
OPINIONI . FALLIMENTO
L’obbligo di restituzione del rimborso avvenuto
nell’anno precedente la dichiarazione
di fallimento
La legge stabilisce che il rimborso dei finanziamenti dei
soci a favore della s.r.l., «se avvenuto nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento della società, deve
Note:
(6) Sull’applicabilità al concordato preventivo dell’art. 2467 c.c. cfr. L.
Panzani, La postergazione dei crediti nel nuovo concordato preventivo, in questa Rivista, 2006, 680 ss.
(7) Trib. Bologna 26 gennaio 2006 (decr.), in questa Rivista, 2006, 676
ss., con nota di L. Panzani.
(8) Trib. Messina 30 dicembre 2005 (decr.), in questa Rivista, 2006, 678
ss., con nota di L. Panzani. La decisione è pubblicata anche in Dir. fall.,
2007, II, 77 ss., con nota di M. Moramarco.
(9) G. Balp, I finanziamenti dei soci «sostitutivi» del capitale di rischio: ricostruzione della fattispecie e questioni interpretative, in Riv. soc., 2007, 376; D.
Fico, Finanziamento dei soci e sottocapitalizzazione della società, in Società,
2006, 1376; M. Moramarco, La postergazione del finanziamento dei soci nella
società a responsabilità limitata ed il concordato preventivo, in Dir. fall., 2007,
II, 89.
(10) M. Campobasso, Diritto commerciale, 28 vol., Diritto delle società, 6a
ed., Torino, 2006, 556 s.; P. Menti, Commento all’art. 2467, in G. Cian
(a cura di), Commentario breve al codice civile, 8a ed., Padova, 2007, 2900.
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essere restituito» (art. 2467, primo comma c.c.). La dichiarazione di fallimento produce dunque questo importante effetto sul prestito del quotista. Se il finanziamento è già stato restituito dalla società ai soci e tale restituzione è avvenuta poco prima della dichiarazione di fallimento (nei 12 mesi precedenti), tale rimborso viene reputato dal legislatore in danno dei creditori sociali.
Conseguentemente la legge ne sancisce l’inefficacia: il
danaro deve rifluire dal quotista alla s.r.l.
Il legislatore sospetta che un rimborso del finanziamento
avvenuto poco prima della dichiarazione di fallimento
sia un modo per sottrarre tali risorse alla massa fallimentare a danno dei creditori sociali. Il socio, con l’effettuazione del prestito, ha eluso lo status di socio con un’accresciuta partecipazione al capitale (ciò che sarebbe successo in caso di sottoscrizione di un aumento di capitale) e ha - liberamente - voluto assumere il diverso status
di creditore della società. Ora cerca di sottrarsi alle conseguenze negative di tale condizione accettando il rimborso del finanziamento e, conseguentemente, la cessazione della qualità di creditore.
Il legislatore vede con sospetto il rimborso del finanziamento anche perché si tratta di una vicenda che viene
gestita interamente all’interno della società. I soci-finanziatori sono, oltre che - appunto - finanziatori della
s.r.l., titolari delle partecipazioni sociali. Essi hanno effettuato quantomeno due investimenti in società: 1) i
conferimenti iniziali a titolo di capitale e 2) i finanziamenti. È improbabile che, in una società di norma a
compagine generalmente ristretta come la s.r.l., i soci
trascurino del tutto le vicende della società. Nella stragrande maggioranza dei casi i quotisti dispongono invece d’informazioni sull’andamento della s.r.l. e sono a conoscenza della situazione finanziaria della stessa. Questo
vale sicuramente quando i soci sono, allo stesso tempo,
anche amministratori. Ma anche nel caso i quotisti non
siano gestori, si deve normalmente presumere che essi
siano a conoscenza della situazione in cui versa la società. In questo contesto non si può dimenticare che l’art.
2476, secondo comma c.c. attribuisce ai soci il «diritto
di avere dagli amministratori notizie sullo svolgimento
degli affari sociali e di consultare, anche tramite professionisti di loro fiducia, i libri sociali e i documenti relativi all’amministrazione» (11). In considerazione sia dell’interesse economico che hanno in società sia della superiorità informativa di cui godono rispetto ai terzi, è
difficile che i quotisti non notino un aggravamento delle condizioni finanziarie della s.r.l. Conseguentemente
essi hanno gioco facile nel chiedere la tempestiva restituzione del finanziamento al fine di sottrarre risorse ai
creditori sociali.
Il caso del finanziamento dei soci è dunque del tutto
particolare rispetto ai prestiti di non-soci, sotto vari profili. I soci sono detentori pro quota del patrimonio sociale. Con il rimborso dei finanziamenti poco prima della
dichiarazione di fallimento si verifica, in sostanza, un’auto-soddisfazione dei quotisti, i quali - invece di lasciare
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in società risorse a garanzia dei crediti dei terzi - se le restituiscono indebitamente. Nel diverso caso di un pagamento effettuato da una s.r.l. nei confronti di un terzo,
non vi è invece un’auto-soddisfazione. L’auto-soddisfacimento presuppone, nella sostanza, una situazione di
conflitto d’interessi. La s.r.l., che agisce tramite i suoi
amministratori, è posta dinanzi all’alternativa: soddisfazione dei creditori sociali oppure dei quotisti e questo
contrasto viene risolto a favore dei soci.
A voler essere più precisi, bisognerebbe ulteriormente
distinguere in base alle caratteristiche della compagine
sociale. Si immagini che la società Alfa si componga di
tre soci, ciascuno detentore del 33,33% del capitale sociale e che tali quotisti eseguano tutti un finanziamento
dello stesso importo in favore della s.r.l. Qui l’intento di
auto-restituzione dei prestiti, qualora i soci procedessero
al rimborso, è evidente. Una situazione diversa si può
però avere quando alcuni solo dei titolari di partecipazione hanno effettuato finanziamenti a favore della società. Si immagini che la società Beta si compone di 10
quotisti, detentori ciascuno di 10% del capitale. Ci si
rappresenti inoltre che il solo socio Tizio, che non è
amministratore della società, abbia effettuato un finanziamento in favore della società. In questo caso è più
difficile parlare di auto-restituzione del prestito. La restituzione avviene difatti a opera degli amministratori
(supponendo che siano tre, chiamiamoli Caio, Sempronio e Mevio). Caio, Sempronio e Mevio non hanno
necessariamente un interesse coincidente con quello di
Tizio. Anzi, Caio, Sempronio e Mevio hanno almeno
due buoni motivi per non restituire il finanziamento a
Tizio. La prima ragione è che, cosı̀ facendo, indeboliscono ulteriormente l’assetto finanziario della società.
La seconda ragione è che, indebolendo la situazione patrimoniale della s.r.l., possono rendersi responsabili. Gli
amministratori che dispongono la restituzione di finanziamenti ai soci possono essere chiamati a risponderne
civilmente (12). La responsabilità sussiste non solo nei
confronti della società (art. 2476, primo comma c.c.),
Note:
(11) Sul diritto d’informazione dei soci di s.r.l. cfr. la recente monografia
di R. Guidotti, I diritti di controllo del socio nella s.r.l., Milano, 2007. V.
inoltre, fra i tanti, O. Cagnasso, Diritto di controllo dei soci e revoca dell’amministratore per gravi irregolarità: primi provvedimenti in sede cautelare relativi
alla «nuova» società a responsabilità limitata, in Giur. it., 2005, 315 ss.; D.
Fico, Il diritto di informazione e di consultazione del socio non amministratore
di s.r.l., in Società, 2006, 169 ss.; M. Ricci, I controlli individuali del socio
non amministratore di società a responsabilità limitata, in Riv. dir. comm.,
2006, I, 111 ss; V. Sangiovanni, Il diritto di controllo del socio di s.r.l. a confronto con la disciplina tedesca, in Società, 2007, 1543 ss.
(12) Fra i tanti contributi in materia di responsabilità degli amministratori
di s.r.l., cfr. P. Bosticco, Questioni controverse in tema di responsabilità per la
gestione societaria nelle s.r.l.: legittimazione all’azione, prescrizione e contenuto
del giudizio risarcitorio, in questa Rivista, 2007, 957 ss.; V. Sangiovanni, La
responsabilità degli amministratori di s.r.l. verso la società, in Contr. e impr.,
2007, 693 ss.; V. Sangiovanni, Die Haftung der GmbH-Geschäftsführer gegenüber der Gesellschaft in Italien, in GmbH-Rundschau (GmbHR), 2007,
584 ss.; V. Sangiovanni, Doveri e responsabilità degli amministratori di s.r.l.
in comparazione con la GmbH tedesca, in Società, 2006, 1563 ss.
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2) dalla società al socio, sotto forma di rimborso del prestito (per sottrarlo ai creditori sociali), nell’anno che
precede la dichiarazione di fallimento;
3) nuovamente dal socio alla società, in forza di legge
(per soddisfare prima i creditori esterni), dopo che è stato dichiarato il fallimento.
Nella prassi si possono verificare diverse situazioni sulle
quali è utile soffermarsi facendo degli esempi. Il contratto di finanziamento fra socio e società può prevedere o
meno un termine per la restituzione del prestito. Per
semplicità di ragionamento, ci si limita e esaminare fattispecie in cui è previsto un termine per la restituzione.
Nel caso in cui sia previsto un termine, questo termine
può scadere prima o dopo l’anno che precede la dichiarazione di fallimento. Si supponga che il fallimento
venga dichiarato il 15 febbraio 2008. La data decisiva è
dunque il 15 febbraio 2007: gli atti compiuti successivamente al 15 febbraio 2007 ricadono nella finestra temporale dell’anno anteriore alla dichiarazione di fallimento. Il 15 febbraio 2007 il termine per la restituzione del
finanziamento, quale previsto nella pattuizioni contrattuali fra socio e società, poteva essere scaduto o meno.
Se il termine era scaduto, il prestito è stato verosimilmente già restituito dalla s.r.l. al quotista; l’art. 2467
c.c. non può trovare applicazione e il socio che ha ottenuto la restituzione ha diritto di trattenere le somme
percepite.
Può tuttavia succedere che il socio, nonostante avesse
titolo per ottenere la restituzione del finanziamento in
considerazione del decorso del termine, non ne chieda
il rimborso. Si tratta dell’ipotesi, per esempio, in cui il
termine per la restituzione era scaduto il 15 gennaio
2007, ma il quotista non ne chiede la restituzione. Il 15
febbraio 2008 subentra la dichiarazione di fallimento
della società. A questo punto il socio non può ottenere
la restituzione di quanto gli spetta ma deve concorrere,
in posizione postergata, con gli altri creditori sociali.
Vi è poi un’altra possibilità. Si immagini che il termine
pattuito per la restituzione scada, si immagini, il 15 gennaio 2007. In tale data il finanziamento non viene restituito. Esso viene restituito alcuni mesi dopo, si supponga il 15 agosto 2007. Il 15 febbraio 2008 subentra il fallimento. Il finanziamento è stato cosı̀ restituito nell’anno che precede la dichiarazione di fallimento della società. Il legislatore, con l’art. 2467 c.c., ordina la restituzione di tale somma alla s.r.l.
LA RIFORMA
ma anche nei confronti dei soci e dei terzi (art. 2476,
sesto comma c.c.). Il fondamento della responsabilità è
il danno che viene cagionato.
A ciò si aggiunga il migliore stato informativo dei soci.
Anche se, sul punto, è necessaria ripetere la distinzione
cui già si accennava. I soci possono essere amministratori oppure non esserlo, limitandosi cosı̀ a rivestire la qualità di quotista. Se il socio è anche gestore, egli gestisce
la società e - nello svolgimento di tale funzione - non
può non essere a conoscenza della situazione finanziaria
della stessa. Quando stanno per subentrare difficoltà finanziarie, è molto agevole per i soci-amministratori disporre la restituzione delle somme che avevano dato alla
s.r.l. a titolo di finanziamento. Una scelta del genere,
evidentemente, danneggia i creditori sociali.
Rimane dunque da concludere che i soci godono - di
fatto - di una posizione di favore rispetto agli altri creditori sociali sotto vari profili: 1) essi si trovano non solo
in una situazione di conflitto d’interessi rispetto ai creditori sociali, ma - soprattutto - possono gestire le leve finanziarie della società da soli (o agendo sugli amministratori); e 2) essi (per lo meno quando sono gestori) si
trovano in una posizione di superiorità informativa rispetto ai creditori sociali. Questa posizione privilegiata
dei soci giustifica, agli occhi del legislatore, l’esistenza di
una disposizione cosı̀ severa come l’art. 2467 c.c. La posizione di titolarità delle partecipazioni sociali nonché il
vantaggio informativo di cui godono i soci rispetto agli
altri creditori sociali consentono difatti di comprendere
perché l’art. 2467 c.c. sia più stringente delle disposizioni generali della legge fallimentare. Nel contesto fallimentare si mira a ripristinare la par condicio creditorum
mediante la dichiarazione d’inefficacia di certi atti compiuti dal debitore in spregio di tale principio. In presenza invece di un rimborso illegittimo di un finanziamento
di un socio non si ha una semplice inefficacia dell’atto,
poiché la legge aggiunge l’effetto della postergazione del
soddisfacimento del quotista (13). Il socio viene punito
dal legislatore perché, abusando del vantaggio informativo di cui dispone, si auto-soddisfa a danno degli altri
creditori.
Si noti che è proprio il rimborso del finanziamento ad
aggravare la situazione finanziaria della società. Addirittura può essere proprio tale restituzione a determinare
lo stato d’insolvenza (art. 5 l. fall.) e, conseguentemente, il fallimento della società. Il comportamento dei soci
è a maggior ragione riprovevole, nell’ottica del legislatore, in quanto - nella s.r.l. - tende ad esservi, se non
coincidenza, quanto meno vicinanza fra quotisti e amministratori. Si immagini il caso di una s.r.l. composta
di tre soci, i quali sono - allo stesso tempo - gestori. Qui
è ovvio che i quotisti sono informati sulle vicende della
società e, se hanno effettuato finanziamenti, è per essi
estremamente semplice disporne la restituzione poco
prima della dichiarazione di fallimento.
In definitiva, la somma di danaro conosce tre passaggi:
1) dal socio alla società sotto forma di finanziamento;
OPINIONI . FALLIMENTO
Finanziamenti dei soci ed effetti del fallimento
sugli atti pregiudizievoli ai creditori
L’art. 2467, primo comma c.c. ordina la restituzione alla
società del rimborso dei finanziamenti dei soci avvenuto
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento.
La regola che stabilisce il rimborso dei finanziamenti
Nota:
(13) G. Presti, Commento all’art. 2467, in P. Benazzo - S. Patriarca (a cura di), Codice commentato delle s.r.l., Milano 2006, 118.
IL FALLIMENTO N. 12/2007
1397
n
OPINIONI . FALLIMENTO
LA RIFORMA
1398
dei soci configura un meccanismo simile (ma, attenzione, non identico) a quelli previsti nell’ambito della disciplina degli effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori (art. 64 ss. l. fall.) (14). Queste disposizioni della legge fallimentare disciplinano a loro volta
una serie di fattispecie diverse, che sarebbe riduttivo
esprimere in forma riassuntiva con il termine «revocatoria». Del resto di questo termine non si avvale nemmeno il legislatore, salvo che nel caso dell’art. 66 l. fall.
(«Azione revocatoria ordinaria»). Le fattispecie disciplinate dalle disposizioni fallimentari sono, per i profili che
qui interessano, l’art. 64 l. fall. (rubricato «Atti a titolo
gratuito»), l’art. 65 l. fall. («Pagamenti»), l’art. 66 l. fall.
(«Azione revocatoria ordinaria») e l’art. 67 l. fall. («Atti a titolo oneroso, pagamenti, garanzie»).
La ragione principale che induce a occuparsi delle disposizioni fallimentari in materia di atti pregiudizievoli
ai creditori è la constatazione che l’art. 2467 c.c. ha un
ambito temporale di applicazione limitato: esso investe
le restituzione dei finanziamenti dei soci avvenuti nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento. Si supponga ora che il rimborso sia avvenuto in un periodo
anteriore, per esempio 13 mesi prima della dichiarazione
di fallimento. I creditori sociali possono invocare una
qualche forma di tutela nei confronti di questa restituzione cosı̀ datata? L’art. 2467 c.c. non è applicabile a
una fattispecie del genere, stante il suo limite temporale
risultante chiaramente dal testo della legge («nell’anno
precedente»). Mi pare però ragionevole affermare che
le disposizioni fallimentari, per il resto, conservano la loro efficacia (15). Si tratta allora di vedere se si riesce a
individuare una norma che consente ai creditori sociali
di contestare la validità della restituzione effettuata oltre
un anno prima della dichiarazione di fallimento.
Prima però di passare all’analisi dell’art. 64 ss. l.fall., è
necessaria un’altra osservazione di carattere generale. Il
problema del rapporto fra art. 2467 c.c. e art. 64 ss. l.
fall. è complesso. Non dovrebbero esserci dubbi in merito alla sussistenza di un principio per cui, laddove l’art.
2467 c.c. non offra tutela ai creditori sociali, il curatore
può invocare disposizioni di carattere fallimentare. Ma
questa affermazione lascia intatto un altro problema, e
cioè se il curatore possa - nonostante l’applicabilità dell’art.
2467 c.c. - ignorare tale disposizione e avvalersi delle
norme generali in materia di inefficacia degli atti pregiudizievoli per i creditori. A me sembra che a questa
domanda debba darsi risposta negativa, essenzialmente
perché l’art. 2467 c.c. costituisce legge speciale rispetto
all’art. 64 ss l. fall. Prima facie verrebbe da pensare che
siano le disposizioni fallimentari a fare eccezione alla disposizione codicistica. Tuttavia, nel contesto fallimentare, la disciplina è data in primis dalle norme sul fallimento, rispetto alle quali l’art. 2467 costituisce un’eccezione
per un caso particolare (finanziamenti dei soci). L’ordine di applicazione delle disposizioni dovrebbe dunque
essere il seguente: 1) art. 2467 c.c. e, nella misura in cui
questa norma non offre tutela ai creditori, 2) art. 64 ss.
IL FALLIMENTO N. 12/2007
l. fall. Sul problema del rapporto fra codice civile e legge fallimentare si tornerà più sotto, analiticamente, nel
corso dell’esame delle singole disposizioni di origine fallimentare.
Si cercherà ora di effettuare un confronto fra la disposizione del codice civile e quelle della legge fallimentare,
al fine di verificare se residuino ipotesi in cui - esclusa
(per ragioni che possono essere le più diverse) l’applicabilità dell’art. 2467 c.c. - sia possibile far valere qualche
disposizione fra quelle di cui all’art. 64 ss. l. fall.
(Segue): a) atti a titolo gratuito
Nell’ipotesi di atti a titolo gratuito posti in essere dal debitore, l’inefficacia dell’atto è automatica (art. 64 l.
fall.). Qui il debitore viene «punito» dal legislatore perché pone in essere un atto che non trova alcuna giustificazione nella sua difficile situazione finanziaria. Atti a
titolo gratuito non possono che avere per effetto di aggravare ulteriormente la situazione finanziaria a danno
dei creditori.
L’art. 64 l. fall. ha in comune con la disciplina dei finanziamenti dei soci l’inefficacia automatica dell’atto.
La ratio delle disposizioni è però diversa. Nel caso dell’art. 64 l.fall. la legge vuole punire il debitore che pone
in essere atti del tutto inusitati (poiché a titolo gratuito). Nell’ipotesi dell’art. 2467 c.c. il legislatore vuole punire il debitore non perché compie un atto anomalo.
Anzi, la restituzione del finanziamento è - dal punto di
vista del socio - un atto ragionevole. La legge punisce
invece il quotista perché questi, abusando di una posi-
Note:
(14) Fra i contributi in materia di effetti del fallimento sugli atti pregiudizievoli ai creditori, cfr., a titolo meramente esemplificativo: C. Costa, La
revocatoria fallimentare ed il progetto di riforma, in Dir. fall., 2004, I, 139 ss.;
M. Fabiani, Provvisoria esecutorietà dei capi condannatori nelle sentenze revocatorie e interferenze con la riforma fallimentare, in questa Rivista, 2007, 180
ss.; Id., La revocatoria fallimentare «bonsai» delle rimesse in conto corrente, in
Foro it., 2005, I, 3297 ss.; Id., L’alfabeto della nuova revocatoria fallimentare,
in questa Rivista, 2005, 573 ss.; Id., Appunti sulla riforma della revocatoria
fallimentare per prestazioni squilibrate con una lente sul mercato immobiliare, in
Foro it., 2005, I, 1422 ss.; G. Lo Cascio, Rivalutazione monetaria dell’obbligo
di restituzione da revocatoria, in questa Rivista, 2002, 533 ss.; A Patti, Natura dell’azione revocatoria fallimentare: le sezioni unite difendono il feticcio della
par condicio, ivi, 2006, 1136 ss.; Id., Azione revocatoria fallimentare tra depotenziamento e dubbi di legittimità costituzionale, ivi, 2006, 281 ss.; Id., L’esenzione da revocatoria delle rimesse bancarie, ibidem, 238 ss.; Id., Revocabilità dell’uso distorto del credito fondiario, ibidem, 75 ss.; Id., Riforma della revocatoria
fallimentare: disposizione transitoria, ivi, 2005, 961 ss.; Id., Alcune riflessioni in
materia di revocatoria fallimentare nei confronti del terzo subacquirente, ibidem,
326 ss.; G. Tarzia, Le rimesse bancarie revocabili nelle movimentazioni giornaliere del conto corrente e nel mancato «rientro» delle anticipazioni su crediti del
fallito, ivi, 2007, 912 ss. Sui profili internazionali della revocatoria cfr., ex
multis, M. Fabiani, La revocatoria fallimentare fra lex concursus e lex contractus nel Reg. CE 1346/2000, in Corr. giur., 2007, 1319; Id., La comunitarizzazione della revocatoria transnazionale come tentativo di abbandono di criteri di collegamento fondati sull’approccio dogmatico, in questa Rivista, 2004,
376 ss.; V. Sangiovanni, L’azione revocatoria internazionale fra giurisdizione e
legge applicabile, ivi, 2007, 933 ss.
(15) Cfr. anche O. Cagnasso, La società a responsabilità limitata, Padova,
2007, 117; F. Signorelli, Riflessi della riforma del fallimento sul diritto societario, in Società, 2006, 1460.
n
(Segue): b) pagamenti
Ai sensi dell’art. 65 l. fall. «sono privi di effetto rispetto
ai creditori i pagamenti di crediti che scadono nel giorno della dichiarazione di fallimento o posteriormente,
se tali pagamenti sono stati eseguiti dal fallito nei due
anni anteriori alla dichiarazione di fallimento».
È da ritenersi che questa disposizione trovi applicazione
anche in alcune ipotesi in cui il pagamento è rappresentato dalla restituzione di un finanziamento concesso dal
socio (16).
I presupposti dell’art. 2467 c.c. e dell’art. 65 l. fall. non
sono identici. In primo luogo l’ambito temporale di applicazione della disposizione fallimentare (24 mesi) è
più ampio dell’ambito di applicazione della disposizione
codicistica (12 mesi). In secondo luogo l’art. 65 l. fall.
si riferisce a crediti scaduti, mentre l’art. 2467 c.c. non
fa alcuna distinzione in base al fatto che i crediti siano
o meno scaduti (17). L’art. 65 l. fall. si applica solo nel
caso in cui i crediti del socio scadevano nel giorno della
dichiarazione di fallimento o posteriormente. L’art. 65
l.fall. trova applicazione quando il finanziamento non
era scaduto ed è stato restituito dalla società al quotista
in anticipo rispetto a quella che sarebbe stata la sua scadenza naturale. È un’evenienza che si verifica quando i
soci avvertono anticipatamente le difficoltà finanziarie
della s.r.l. e si fanno restituire prima i finanziamenti, per
evitare gli effetti negativi che subentrerebbero in caso
di fallimento. L’art. 65 l. fall. si preoccupa di pagamenti
che vengono effettuati prima della loro scadenza. In
questi casi il legislatore è sospettoso, in quanto non si
capisce per quale ragione un debitore dovrebbe anticipare certi pagamenti. Se i termini di concessione dei finanziamenti non sono scaduti e, ciò nonostante, i prestiti vengono restituiti ai soci prima della scadenza, nasce il sospetto che l’operazione di rimborso sia stata posta in essere al fine di avvantaggiare indebitamente i
quotisti e di danneggiare i creditori.
Laddove la restituzione è avvenuta oltre i 12 mesi prima
della dichiarazione di fallimento (ma non oltre i 24 mesi dalla stessa), è possibile far valere l’inefficacia del rimborso in base all’art. 65 l. fall. La tutela dei creditori sociali non si limita insomma a quanto previsto dall’art.
2467 c.c, ma è - temporalmente - più estesa. A favore
di questa interpretazione milita la circostanza aggiuntiva
che al creditore-socio (diversamente che al creditorenon socio) possono essere mosse le contestazioni di abusare di una situazione informativa privilegiata nonché
di auto-soddisfarsi. È più disdicevole il comportamento
del quotista che si auto-soddisfa rispetto a quello del debitore comune che soddisfa in modo preferenziale un
creditore. Se questo ragionamento è corretto, ecco allora che - anche dal punto di vista della ratio - è logico ritenere che l’art. 65 l. fall. si applichi ai finanziamenti
dei soci, avuto riguardo al caso in cui tali prestiti siano
stati restituiti in un arco temporale fra i 13 e i 24 mesi
prima della dichiarazione di fallimento (18).
Quando il curatore fallimentare invoca l’art. 65 l. fall.,
egli deve rendere le prove richieste da tale disposizione:
1) che il termine per il pagamento non era ancora scaduto e 2) che il versamento è stato effettuato anticipatamente. Rispetto a quanto stabilito dall’art. 2467 c.c.
la situazione è semplificata, poiché la disposizione codicistica richiede la prova che il finanziamento è stato
concesso in un momento in cui risultava un eccessivo
squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento (19).
LA RIFORMA
zione informativa privilegiata, si auto-soddisfa a danno
dei creditori.
È da ritenersi che l’art. 64 l. fall. non possa essere invocato dal curatore in relazione a finanziamenti soci. La
restituzione dei prestiti dei quotisti non è difatti un atto
a titolo gratuito, bensı̀ il pagamento di un debito. Occorre dunque continuare l’indagine al fine di vedere se
si rinvengono disposizioni fallimentari applicabili al
contesto dei finanziamenti dei soci.
OPINIONI . FALLIMENTO
(Segue): c) azione revocatoria ordinaria
Stabilisce poi la legge fallimentare che «il curatore può
domandare che siano dichiarati inefficaci gli atti compiuti dal debitore in pregiudizio dei creditori, secondo le
norme del codice civile» (art. 66 l. fall.). Il richiamo è
all’art. 2901 c.c. Secondo questa disposizione il creditore
«può domandare che siano dichiarati inefficaci nei suoi
confronti gli atti di disposizione del patrimonio con i
quali il debitore rechi pregiudizio alle sue ragioni, quando concorrono le seguenti condizioni: 1) che il debitore
conoscesse il pregiudizio che l’atto arrecava alle ragioni
del creditore o, trattandosi di atto anteriore al sorgere
del credito, l’atto fosse dolosamente preordinato al fine
di pregiudicarne il soddisfacimento; 2) che, inoltre, trattandosi di atto a titolo oneroso, il terzo fosse consapevole del pregiudizio e, nel caso di atto anteriore al sorgere
del credito, fosse partecipe della dolosa preordinazione».
Questa disposizione civilistica apre ai creditori sociali
spiragli di tutela più ampi rispetto a quanto consenta
l’art. 65 l. fall. Se il curatore riesce a dimostrare la sussistenza dei presupposti indicati nell’art. 2901 c.c., anche
Note:
(16) G. Balp, op. cit., 378 s.; D. Fico, op. cit., 1376; F. Signorelli, op. cit.,
1460; L. Vittone, Questioni in tema di postergazione dei finanziamenti soci, in
Giur. comm., 2006, I, 929.
(17) In alcuni casi può capitare che non sia previsto un termine per la restituzione del finanziamento e ciò può dare adito a dubbi interpretativi.
Per le questioni che si pongono nell’ipotesi in cui il contratto di mutuo
fra socio e società non prevede un termine per la restituzione cfr. C. Esposito, Il «sistema» delle reazioni revocatorie alla restituzione dei finanziamenti postergati ex art. 2467: il coordinamento «possibile» tra la norma del codice ed il
corpo fallimentare, in F. Di Marzio (a cura di), Il nuovo diritto della crisi di
impresa e del fallimento, Torino, 2006, 177 ss.
(18) O. Cagnasso, La società, cit., 117.
(19) C. Esposito, op. cit., 182; G. Rago, Manuale della revocatoria fallimentare, 2a ed., Padova, 2006, 190.
IL FALLIMENTO N. 12/2007
1399
n
OPINIONI . FALLIMENTO
LA RIFORMA
1400
la restituzione di un prestito avvenuta anteriormente a
24 mesi prima della dichiarazione di fallimento può essere revocata (20). Il limite temporale massimo per l’esercizio di questa azione è di cinque anni, poiché tale è
il termine per la prescrizione dell’azione ai sensi dell’art.
2903 c.c.
(Segue): d) pagamenti di debiti liquidi
ed esigibili
Bisogna infine fare riferimento all’art. 67 l. fall. Ai sensi
dell’art. 67, secondo comma, l. fall.: sono «revocati, se
il curatore prova che l’altra parte conosceva lo stato
d’insolvenza del debitore, i pagamenti di debiti liquidi
ed esigibili».
Trasponendo questa regola al caso particolare del finanziamento del socio, si tratterebbe dell’ipotesi in cui il
termine per la restituzione del prestito è scaduto e la società debitrice provvede alla restituzione dello stesso.
L’art. 67, secondo comma l. fall. si differenzia tuttavia
rispetto alla disciplina prevista per il finanziamento dei
soci. L’obbligo di restituzione alla società dei prestiti dei
quotisti di cui all’art. 2467 c.c. opera difatti automaticamente, nel senso che non occorre alcuna prova della
scientia decoctionis (21). Il curatore nel contesto del fallimento della società, diversamente che nel caso dell’art.
67, secondo comma l.fall., non deve dimostrare che l’altra parte (vale a dire il socio) conosceva lo stato d’insolvenza del debitore (vale a dire la s.r.l.). Questa differenza di trattamento in materia probatoria si giustifica con
il fatto che è improbabile che il quotista di una s.r.l.
non conosca lo stato di difficoltà in cui versa la società.
Normalmente la prova della scientia decoctionis non dovrebbe dunque risultare di particolare difficoltà. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito la
possibilità di utilizzare lo strumento delle presunzioni (22). Nel contesto, poi, dei finanziamenti dei soci
non può non vedersi come la posizione del quotista sia
privilegiata, nel senso che si tratta di un soggetto che
ha investito in società e che dunque dispone di (se amministratore) o quantomeno può procurarsi (se non-amministratore) informazioni sull’andamento della s.r.l.
Come è stato sottolineato (23), la relativa facilità della
prova della scientia decoctionis potrebbe avere per effetto
di diminuire la rilevanza pratica dell’art. 2467 c.c. per il
periodo in cui vi è coincidenza temporale con l’art. 67,
secondo comma l. fall. (vale a dire per i primi sei mesi
anteriori alla dichiarazione di fallimento). In altre parole, vi è da chiedersi per quale ragione un curatore dovrebbe domandare la restituzione del finanziamento invocando l’art. 2467 c.c. se può richiamarsi all’art. 67, secondo comma l. fall. Come si avrà difatti modo di sottolineare sotto, la prova dello stato di eccessivo squilibrio fra indebitamento e patrimonio netto può risultare
particolarmente difficile, cosicché al curatore potrebbe
convenire invocare l’art. 67, secondo comma l. fall. A
questo argomento si può tuttavia opporre che l’art.
2467 c.c. costituisce legge speciale rispetto all’art. 64 ss.
IL FALLIMENTO N. 12/2007
l. fall. Il curatore non ha dunque una facoltà di scelta,
ma deve prima applicare l’art. 2467 c.c. Solo nei casi in
cui questa disposizione non si applica (ad esempio per il
fatto che si è superato il limite temporale dei 12 mesi),
si possono invocare disposizioni di carattere generale risultanti dalla legge fallimentare. In queste ipotesi, infatti, non vi è rapporto di deroga (la legge speciale fa eccezione alla legge generale), ma d’integrazione (siccome
non basta la protezione del codice civile, subentra la tutela della legge fallimentare).
Tanto premesso, si deve ritenere che l’art. 67, secondo
comma l. fall. non possa essere invocato nel contesto
del finanziamento dei soci per ragioni di ordine temporale. La disposizione si applica solo agli atti compiuti
nei sei mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento.
L’estensione temporale dell’art. 2467 c.c. (12 mesi) è
maggiore di quella dell’art. 67, secondo comma l. fall.
(6 mesi).
Vi è, ciò nonostante, un caso in cui l’art. 67, secondo
comma l.fall. potrebbe trovare applicazione ai finanziamenti dei soci. Si tratta dell’ipotesi in cui l’art. 2467,
primo comma c.c. non opera del tutto per il fatto che il
prestito dei quotisti è fisiologico, normale, ordinario e
non anomalo, anormale o patologico (24). L’art. 2467,
secondo comma c.c. individua i finanziamenti rilevanti
ai fini delle regole del divieto di rimborso e della postergazione. Qualora non ricorrano i presupposti fissati da
tale disposizione, il prestito è fisiologico, normale, ordinario. In questo caso il curatore - non potendo basare
la propria azione sull’art. 2467, primo comma c.c. - potrebbe avvalersi dell’art. 67, secondo comma l.fall. per
ottenere la restituzione del finanziamento rimborsato al
socio. Se il curatore prova che il quotista conosceva lo
stato d’insolvenza della società, i pagamenti di debiti liquidi ed esigibili sono revocati, se compiuti entro i sei
Note:
(20) G. Balp, op. cit., 379; C. Esposito, op. cit., 183.
(21) G. Balp, op. cit., 377; L Mandrioli, La disciplina dei finanziamenti soci
nelle società di capitali, in Società, 2006, 179 s.; A. Picchione, Sulla natura
giuridica delle operazioni a fondo perduto e dei finanziamenti a favore della società, in Riv. not., 2007, II, 435; A. Postiglione, La nuova disciplina dei finanziamenti dei soci di s.r.l.: dubbi interpretativi e limiti applicativi, in Società,
2007, 936 F. Signorelli, op. cit., 1460; L. Vittone, op. cit., 929.
(22) Cass. 24 aprile 2007, n. 9903, in questa Rivista, 2007, 879 s., con
nota di V. Cederle, ha deciso che il profilo della conoscenza, da parte del
creditore, dello stato d’insolvenza del debitore, riguardando uno stato interno del soggetto e non potendo risultare da una prova diretta, impone
il richiamo dello strumento delle presunzioni, vale a dire la ricerca dei segni esteriori dell’insolvenza in base ai quali possa pervenirsi, per la loro
gravità, precisione e concordanza, dalla conoscibilità alla conoscenza effettiva secondo un criterio di normale causalità, tenuto conto del parametro
astratto della prudenza e avvedutezza di cui è normalmente munito un comune soggetto, nonché eventualmente delle particolari attitudini di chi,
per l’attività esercitata e per i mezzi d’informazione di cui dispone, è in
grado di percepire prima e meglio di altri il reale stato di solvibilità del debitore.
(23) O. Cagnasso, La società, cit., 117.
(24) G. Balp, op. cit., 378 s.
n
Azioni del fallimento contro il socio
Nella prassi può capitare che un socio, avvenuta la dichiarazione di fallimento, non sia disponibile a restituire
spontaneamente alla società il finanziamento di cui ha
ottenuto il rimborso nell’anno precedente la dichiarazione. In questo caso spetterà al curatore agire in giudizio,
sulla base dell’art. 2467, primo comma c.c., per ottenerne la restituzione e accrescere cosı̀ la massa fallimentare.
Il curatore del fallimento può ottenere la restituzione alla società del finanziamento (indebitamente rimborsato
dalla s.r.l. al socio) se prova le seguenti circostanze: 1)
la qualità di quotista in capo al finanziatore; 2) la situazione di eccessivo squilibrio fra indebitamento e patrimonio netto nel momento in cui è stato concesso il
prestito (e, dunque, la natura anomala del finanziamento); 3) la restituzione del prestito dalla società al socio
nell’anno che precede la dichiarazione di fallimento (25).
Le prove sub) 1 e sub 3) sono abbastanza facili da dare,
anche perché risultano generalmente da basi documentali. Non è invece facile da provare la circostanza sub)
2, relativa alla sussistenza di una situazione di eccessivo
squilibrio. Si tratta di un’indagine complessa che deve
giocoforza andare a ritroso nel tempo e per la quale può
risultare necessaria una consulenza tecnica (26). Le
consulenze tecniche, però, determinano un aggravio di
costi. Vi è addirittura il rischio di «consegnare» l’esito
della controversia non tanto alla discrezionalità del giudice, che comunque in materia è già ampia (27), ma
addirittura - e ciò sarebbe peggio - al consulente tecnico. Al problema probatorio si affiancano complesse questioni definitorie, vale a dire cosa si intenda per «eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio
netto». Sono dunque probabili battaglie giudiziarie su
tale nozione, battaglie tese - da parte dei soci-finanziatori - a dimostrare che il finanziamento non era anomalo.
Mentre è difficile dimostrare di non essere quotista ed è
altrettanto difficile negare che la restituzione è avvenuta
nell’anno precedente la dichiarazione di fallimento, potrebbe risultare più facile - per il socio - contestare l’esistenza di una situazione di eccessivo squilibrio.
Se l’azione giudiziaria del fallimento ha successo, vengono recuperate risorse per la soddisfazione dei creditori
sociali. Fra i creditori sociali, si badi bene, rientra lo
stesso socio finanziatore. Una volta che il quotista ha
restituito il finanziamento alla società, egli non rimane
pertanto privo di tutela (almeno formalmente). Il socio
può chiedere l’ammissione al passivo come tutti gli altri
creditori. Dovrebbe essere applicabile l’art. 70, secondo
comma l.fall., secondo cui «colui che, per effetto della
revoca prevista dalle disposizioni precedenti, ha restituito quanto aveva ricevuto è ammesso al passivo fallimentare per il suo eventuale credito» (28). Attesi i ritardi dovuti alla necessità per il fallimento di recuperare
le somme indebitamente pagate al socio, il quotista dovrà procedere a una domanda tardiva di ammissione
del credito, per la quale trova applicazione l’art. 101 l.
fall. (29).
Vi è una ragione di carattere sostanziale che milita in
favore della necessità per il socio-finanziatore di chiedere l’ammissione del proprio credito al passivo. Si tratta
della circostanza che non tutti i quotisti hanno necessariamente effettuato dei prestiti in favore della società.
Chi, però, li ha effettuati ha diritto di essere soddisfatto
con anticipo rispetto ai soci-non finanziatori. Non è, in
altre parole, corretto far ricadere in un’unica categoria
soci-finanziatori e soci-non finanziatori. I primi vengono
soddisfatti con preferenza sui secondi. Al fine di raggiungere questo obiettivo, e attesa la natura di credito
del rapporto fra socio-finanziatore e società, è senz’altro
preferibile la tesi secondo cui i quotisti che hanno effettuato finanziamenti devono presentare domanda di ammissione al passivo.
È opportuno rilevare che, nella maggior parte dei casi,
la domanda di ammissione al passivo del socio-finanziatore configura una tutela di natura meramente formale.
Solo nell’improbabile caso dovessero residuare risorse
sufficienti, il quotista otterrà - in tutto o in parte - la restituzione del prestito.
Si tratterebbe della restituzione tardiva di un prestito
che il socio aveva effettuato a favore della società. Il
punto di vista del quotista deve essere temperato con le
esigenze di tutela dei creditori sociali. Il socio di s.r.l. gode già dell’importante beneficio della responsabilità limitata: «nella società a responsabilità limitata per le obbligazioni sociali risponde soltanto la società con il suo
patrimonio» (art. 2462, primo comma c.c.). Il legislatore non accetta che il quotista, camuffando come finanziamenti dei conferimenti, riduca l’ampiezza di tale responsabilità. Questo, in definitiva, mi pare essere il significato centrale dell’art. 2467 c.c.
LA RIFORMA
mesi anteriori alla dichiarazione di fallimento. Una prova del genere dovrebbe essere abbastanza facile da rendere. Si è difatti visto che il socio di s.r.l. gode di una
posizione informativa privilegiata. Al quotista risulterà
difficile opporre di non essere a conoscenza dello stato
d’insolvenza della società.
Se cosı̀ è, si deve concludere che i finanziamenti dei soci sono uno strumento alquanto rischioso per patrimonializzare la s.r.l. Difatti non solo i prestiti anomali ma
anche i prestiti non rientranti nella nozione di cui all’art. 2467, secondo comma c.c. sono «predestinati» alla
soddisfazione dei creditori.
OPINIONI . FALLIMENTO
Note:
(25) G. Presti, op. cit., 117.
(26) In questo senso O. Cagnasso, La società, cit., 115.
(27) L. Vittone, op. cit., 923 s.
(28) In questo senso G. Balp, op. cit., 378.
(29) L Mandrioli, op. cit., 180.
IL FALLIMENTO N. 12/2007
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Finanziamenti dei soci di srl e fallimento della societa