Università degli Studi di Roma “La Sapienza”
Facoltà di Psicologia
Dipartimento di Psicologia dei Processi di Sviluppo e Socializzazione
Dottorato di Ricerca in Psicologia dell’Interazione, della Comunicazione e della Socializzazione
(XVIII ciclo)
Elena Tomasuolo
LA VALUTAZIONE DELLA ABILITA’ LINGUISTICHE IN BAMBINI E
RAGAZZI SORDI
Tutor: Dott.ssa Virginia Volterra
Cotutor: Prof.ssa Margherita Orsolini
Coordinatrice del Dottorato di Ricerca: Prof.ssa Clotilide Pontecorvo
Anno Accademico 2005-2006
A Daniela Fabbretti
e all’amore per la ricerca
che mi ha trasmesso
INDICE
Ringraziamenti
Introduzione
PARTE I
SORDITA’, VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE LINGUISTICHE E TEORIA
DELLA MENTE
CAPITOLO 1: SORDITA’ E LINGUAGGIO
1.1 La sordità: un fenomeno eterogeneo…………………………………...…………….…pag. 1
1.2 La lingua dei segni e le sue caratteristiche…………………………...…….……….…..pag. 5
1.3 L’acquisizione del linguaggio nei bambini udenti e sordi…..…………………………..pag. 8
1.4 L’iter educativo…………...………………………………………………….…………pag. 12
1.5 Quale scuola per il bambino sordo?.................................................................................pag. 17
1.6 La competenza linguistica parlata e scritta………………………….…………..……....pag. 27
1.7 La valutazione delle abilità linguistiche……...………………...……………….………pag. 29
CAPITOLO 2: TEORIA DELLA MENTE
2.1 La teoria della mente nei bambini con sviluppo tipico…………….……………………pag. 34
2.2 La teoria della mente nei bambini con sviluppo atipico e in particolare nell’autismo…..pag. 40
2.3 La teoria della mente nei bambini sordi…...…………………………………………….pag. 44
PARTE II
LA RICERCA
CAPITOLO 3: SCOPI E METODOLOGIA DELLA RICERCA
3.1 Gli scopi della ricerca……………………………...……………………………………pag. 55
3.2 Partecipanti……………………………………..……………………………………….pag. 56
3.3 Prove……………………….……………………………………………………………pag. 63
3.3.1 Intervista……………………………………………….……………………pag. 63
3.3.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)………….………..pag. 64
3.3.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)…...……………………………………………pag. 66
3.3.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…….pag. 72
3.3.5 Narrazione: Frog, where are you?...................................................................pag. 74
3.3.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties,
riordino e narrazione di storie in sequenza…………………………………pag. 78
3.4 Procedura e somministrazione delle prove………………………………...……………pag. 81
3.4.1.Intervista………………………………………………………………………pag. 82
3.4.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)……….…………….pag. 82
3.4.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)………………………..…………………………pag. 83
3.4.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…….…pag. 84
3.4.5 Narrazione: Frog, where are you?..................................................................pag. 85
3.4.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e
narrazione di storie in sequenza…………………...………………………..pag. 85
3.5 Descrizione del sistema d’analisi e codifica…………………………………………..….pag. 89
3.5.1 Intervista…………………………………………………………………….pag. 89
3.5.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)……………...……pag. 89
3.5.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)……………….…………………………………….pag. 89
3.5.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…...…pag. 89
3.5.5 Narrazione: Frog, where are you?................................................................. ...pag. 98
3.5.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e
narrazione di storie in sequenza………………………………………..…....pag. 105
CAPITOLO 4: PRESENTAZIONE DEI RISULTATI
4.1 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)………………………….….pag. 107
4.2 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test–Revised (PPVT-R)…………………………………………………………………..pag. 108
4.3 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)…………...….pag. 126
4.4 Narrazione: Frog, where are you?..................................................................................pag. 146
4.5 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties…………………...…….…pag. 152
4.6 Correlazione fra prove ………………………………………………………….………..pag. 163
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE DI RICERCA……………….………….pag. 165
BIBLIOGRAFIA……………………………………………………………...………….…pag. 170
RINGRAZIAMENTI
Nelle pagine che seguono, un lettore particolarmente attento, potrà intravedere fra una riga e
l’altra, tre anni della mia vita che si susseguono e si intersecano con questa ricerca e proprio perché
fra queste pagine non ci sono solo le mie ore di studio e di lavoro ma anche molto del mio tempo
libero, delle mie energie e del mio entusiasmo, non posso non ringraziare tutte quelle persone che,
per motivi diversi, mi sono state vicine facendomi crescere a volte dal punto di vista professionale,
a volte dal punto di vista umano e contribuendo quindi a questo lavoro di Tesi ma soprattutto alla
mia formazione come psicologa e come donna.
Un ringraziamento speciale va innanzitutto all’Istituto di Scienza e Tecnologia della
Cognizione del CNR di Roma che oltre ad essere un formidabile gruppo di ricerca, per certi versi è
anche una “seconda famiglia” dove si lavora tanto ma si ride anche molto in un clima tanto
frenetico, quanto collaborativo e costruttivo. La mia riconoscenza va in particolare alla Dott.ssa
Virginia Volterra che insieme a me ha pensato, voluto e realizzato questa ricerca seguendomi con
attenzione ed interesse, stimolandomi costantemente alla ricerca della “perfezione” e curando la mia
crescita professionale. Ringrazio inoltre la Dott.ssa Elena Pizzuto, la Dott.ssa Maria Cristina Caselli
e La Dott.ssa Olga Capirci per i loro preziosi consigli e la passione con cui animano il nostro
lavoro.
Questo ricerca, però, non sarebbe stata possibile se non avessi beneficiato del prezioso aiuto
di alcuni validissimi colleghi che hanno condiviso con me parti della ricerca: Laura Fellini, amica,
compagna di stanza e di avventure, Alessio Di Renzo, sperimentatore attento e riflessivo, Viviana
Vasto, Pasquale Rinaldi, Paolo Rossini e Stefano Marta.
Ringrazio inoltre alcuni parenti e amici che mi hanno sempre sostenuta e aiutata: la mia
famiglia, Francesca Martini che, grazie alla sua amicizia, ha reso questi tre anni di Dottorato più
piacevoli all’insegna della condivisione e Luca per la pazienza e la cura con la quale mi ha assistita
durante le lunghe ore di stesura della Tesi passate davanti al computer.
In ultimo il mio pensiero va alle scuole in cui ho raccolto i dati, ai suoi insegnanti, agli
educatori e agli studenti che, grazie alla loro disponibilità e al loro interesse, hanno reso possibile la
realizzazione di questa ricerca.
A tutte queste persone vanno i miei più sinceri ringraziamenti e la mia riconoscenza!
INTRODUZIONE
Questo lavoro di Tesi nasce dalla convinzione che una valutazione appropriata delle abilità
dei bambini sordi richieda un approccio globale. Le abilità cognitive del bambino devono essere
valutate con compiti non verbali opportuni, per accertare se le difficoltà specifiche che
inevitabilmente incontra a livello linguistico, nell’apprendimento della lingua vocale e scritta,
abbiano condizionato o meno il suo sviluppo cognitivo. La valutazione del linguaggio deve invece
riguardare sia le capacità espressive che quelle recettive e deve essere condotta con strumenti
adeguati all’età di sviluppo, ma soprattutto, alle abilità comunicative e linguistiche: ciò permetterà
di conoscere quel che il bambino sa e le sue potenzialità, piuttosto che documentare solo i suoi
limiti e le sue difficoltà. Solo così sarà possibile progettare interventi più mirati e specifici, in
funzione dello sviluppo generale del bambino e non solo del suo deficit uditivo. Per questi motivi si
ritiene che la valutazione del linguaggio non possa limitarsi alla sola modalità del parlato ma debba
essere estesa all’uso della lingua nella modalità segnata.
Fino ad oggi però, nel nostro Paese, le competenze linguistiche dei bambini e ragazzi sordi
sono state valutate prevalentemente in relazione alla lingua vocale, ovvero l’italiano orale e scritto. I
test esistenti, tarati su popolazioni con sviluppo tipico, non sono adeguati alla valutazione delle loro
competenze perché li penalizzano valutandoli su una lingua che viaggia su un canale deficitario
(acustico-vocale). Le conoscenze linguistiche dei bambini vengono dunque notevolmente
sottostimate se si limitano le valutazioni alla sola modalità del parlato, in cui, come ampiamente
dimostrato in letteratura, si riscontrano consistenti ritardi rispetto ai bambini udenti della stessa età.
Diviene quindi importante avere degli strumenti che ci permettano di determinare se i ragazzi sordi
possiedono queste stesse competenze in Lingua dei Segni Italiana (LIS), una lingua che viaggia sul
canale per loro integro (visivo-gestuale). Questo tipo di valutazione potrebbe consentire
l’individuazione di specifiche aree di intervento sul piano educativo e clinico.
In questo lavoro ci si propone dunque di adattare, ideare e costruire una serie di strumenti
atti a valutare qualitativamente e quantitativamente le capacità linguistiche di bambini e ragazzi
sordi in LIS. Come primo stadio abbiamo ritenuto necessario avere una stima della produzione e
della comprensione del vocabolario in LIS, utilizzando strumenti analoghi a quelli che si usano
abitualmente per la lingua vocale; abbiamo inoltre ritenuto importante avere informazioni circa le
loro competenze narrative. In ultimo si è ritenuto interessante esplorare l’acquisizione di una teoria
della mente sempre utilizzando la lingua dei segni: a tal riguardo ci sono due teorie contrastanti, la
prima delle quali vede la teoria della mente come una abilità indipendente da altre capacità, la
seconda invece considera questa acquisizione strettamente collegata ad altre capacità e in
particolare al linguaggio. I bambini sordi divengono quindi un importante “test” per distinguere fra
le due ipotesi dal momento che molti di loro hanno diverse carenze linguistiche ma capacità
cognitive non verbali intatte.
In futuro sarebbe auspicabile somministrare questi nuovi strumenti di valutazione ad un
numero considerevole di bambini e ragazzi sordi di modo da possedere dei dati di riferimento su cui
basarsi nelle valutazioni individuali.
PARTE I
SORDITA’, VALUTAZIONE DELLE COMPETENZE
LINGUISTICHE E TEORIA DELLA MENTE
CAPITOLO 1: SORDITA’ E LINGUAGGIO
1.1 LA SORDITA’: UN FENOMENO ETEROGENEO
La sordità è la riduzione più o meno grave dell’udito. Dal punto di vista clinico si
distinguono diversi gradi di sordità diversamente correlati alla possibilità di percepire i suoni
linguistici e di sfruttare i residui acustici attraverso l’uso delle protesi. In base ad una convenzione
stabilita dal Bureau International d’Audiophonologie si distinguono quattro gradi di sordità in base
al grado di perdita uditiva espresso in decibel (db)1:
-
sordità lieve: con una perdita uditiva compresa fra 20 e 40 db;
-
sordità media: con una perdita uditiva compresa fra 40 e 70 db;
-
sordità grave: con una perdita uditiva compresa fra 70 e 90 db;
-
sordità profonda: con una perdita uditiva uguale o superiore a 90 db.
Ulteriori distinzioni vengono operate nell'ambito della sordità profonda: 1° gruppo - sordità
con curva pantonale che abbraccia tutte le frequenze fra i 125 e i 4000 Hertz all’intensità di 90 db;
2° gruppo - sordità con curva dai 125 ai 2000 Hertz all’intensità uguale o maggiore di 90 db; 3°
gruppo - sordità con curva detta a virgola dai 125 ai 1000 Hertz a intensità maggiore di 90 db. In
generale si può affermare che una perdita uditiva oltre i 90 db impedisce, anche con l'ausilio delle
protesi, una corretta percezione delle parole (Favia, Maragna, 1995).
Le cause della sordità sono ancora oggi uno degli aspetti meno chiari della diagnosi: questa
incertezza è determinata dalla varietà di fattori che possono causare la sordità. Le cause possono
comunque essere distinte in due grandi aree: le sordità congenite (insorte prima della nascita – cioè
prenatali –, o insorte dopo la nascita – postnatali – in quanto sordità genetiche progressive) e le
sordità acquisite (insorte al momento della nascita – cioè perinatali o neonatali – o in seguito alla
nascita – cioè postnatali).
Sordità prenatali:
-
ereditarie: il gene GJB2 all’interno del cromosoma 13 sembra essere il responsabile della
sordità ereditaria ed è la mutazione di questo gene a causare nell’80% dei casi la sordità
genetica. “Il modo esatto in cui la mutazione dà luogo a difetti dell’udito è in gran parte
sconosciuto, ma si è scoperto che essa influenza il funzionamento di una proteina
coinvolta nella formazione delle gap junction, i ponti che permettono il passaggio di
1
Dal punto di vista clinico la sordità è "la privazione, totale o parziale, della capacità di percezione dei suoni nel tempo"
(Favia, Maragna, 1995, p. 277). Esistono diverse classificazioni della sordità costruite in base a diversi criteri: dal punto
di vista topografico possiamo distinguere fra: sordità periferiche, dovute a lesioni del sistema di trasmissione del suono
(sordità trasmissive), del sistema di percezione del suono (sordità neurosensoriali), o di entrambi (sordità miste); sordità
centrali, dovute a lesioni delle vie nervose uditive che collegano i centri cocleari con le aree corticali.
piccole molecole e correnti ioniche fra cellule. Il gene mutato produrrebbe una proteina,
la connessina 26, non funzionale, di soli 12 aminoacidi; mentre, in altri tessuti, tipi
diversi di connessina sostituiscono quella malfunzionante, ciò non avverrebbe nella
coclea.” (Palmerini, 1998). La sordità ereditaria può essere di natura dominante o
recessiva e, ciò che più colpisce, è che questa mutazione è presente come carattere
recessivo in una percentuale molto elevata della popolazione (1 persona su 30): questo
significa dunque che le probabilità che due individui con carattere recessivo si incontrino
non sono poi così basse. Come precedentemente detto, le sordità ereditarie non si
manifestano necessariamente alla nascita, infatti, in molti casi, sono di natura
progressiva ovvero la perdita uditiva peggiora con il passare del tempo.
-
acquisite: malformazioni congenite, malformazioni tossiche (farmaci, tossici endogeni),
malformazioni
endocrine-dismetaboliche
(diabete,
ipotiroidismo),
malformazioni
infettive (sifilide, toxoplasmosi, virali).
Sordità perinatali: traumi ostetrici, ittero, ipossia, prematurità, anossia.
Sordità postnatali: sordità ereditarie e genetiche progressive, traumi cranici, malattie infettive (otite
media, meningite, encefalite, parotite, morbillo, toxoplasmosi), intossicazioni da farmaci, malattie
dell’orecchio medio (perforazione della membrana timpanica, otosclerosi).
La percentuale di bambini che nascono sordi o lo diventano prima di imparare il linguaggio
è 1/1000 e la sordità ereditaria sembra rappresentare circa il 50% dei casi, anche se all’interno di
questa vanno distinti due gruppi: le sordità non sindromiche recessive, cioè non associate ad altre
patologie (70% dei casi) e le sordità sindromiche legate a specifiche patologie di cui la perdita
dell’udito è solo uno dei sintomi (30% dei casi).
In base al momento dell’insorgenza della sordità e della possibilità quindi di acquisire
spontaneamente una lingua vocale, si procede con un’ulteriore classificazione:
Sordità prelinguali: presenti alla nascita o insorte precocemente, cioè prima dei 18 mesi (ovvero
prima dell’acquisizione spontanea della lingua parlata).
Sordità perlinguali: acquisite fra i 18 e i 36 mesi d’età.
Sordità postlinguali: acquisite dopo i 36 mesi (ovvero dopo aver acquisito spontaneamente la lingua
parlata).
Oltre al grado, alle cause e all’età in cui insorge la sordità, vi sono altri fattori che la rendono
un fenomeno molto eterogeneo. Uno di questi è l’età della prima diagnosi: in Italia, attualmente,
l’età media della prima diagnosi varia dai 19 ai 36 mesi (Maragna,2000). Nonostante quindi le
diagnosi vengano fatte spesso in tempi non brevi, sarebbe invece essenziale che fossero quanto più
precoci possibile, perché questo consentirebbe un intervento tempestivo e perché, come sostengono
alcuni autori, “le strutture cerebrali deputate all’elaborazione dell’informazione uditiva raggiungono
un adeguato sviluppo solo se prima dell’ottavo mese di vita avviene una sufficiente stimolazione
bineurale dell’organo uditivo” (De Capua et al., 1999). Il problema della diagnosi vale soprattutto
per le famiglie udenti per le quali la sordità non è un evento atteso o prevedibile e che quindi può
rimanere nascosto fino a quando non si manifestano i primi segnali di un ritardo linguistico (Caselli
et al., 1994). Sempre per queste famiglie si è vista inoltre l’importanza del modo in cui viene
comunicata la notizia di sordità del figlio dal personale medico, se il bambino è primogenito o
meno, la personalità dei genitori, l’unità di coppia e il sostegno della famiglia allargata.
Un altro fattore che rende la sordità un fenomeno eterogeneo è l’età della protesizzazione:
le protesi sono dei dispositivi di amplificazione che consentono di sfruttare, in misura minore o
maggiore a seconda del grado di sordità, i cosiddetti residui acustici nell'ambito di un processo
educativo. Le protesi più moderne sono di tipo digitale ovvero possono essere regolate in modo più
preciso, possono ridurre i rumori di fondo, offrono una maggiore fedeltà nella riproduzione del
suono e hanno un microfono direzionale che diminuisce i fastidi dovuti a suoni troppo intensi perché
aumenta la selettività spaziale dell’ascolto. Oggi si tende a protesizzare sin dai primi mesi di vita (46 mesi) perché il periodo di maggiore plasticità cerebrale è da 0 a 3 anni, con un picco intorno
all’anno e mezzo. I residui sono utilizzabili per avere accesso alla lingua parlata quando la perdita
uditiva non supera gli 85 db. Circa l'uso delle protesi nei casi di sordità profonda esistono posizioni
teoriche contrastanti (Favia, Maragna, 1995). La protesizzazione costituisce una tappa importante
nella vita di una persona sorda e le sue implicazioni vanno ben al di là degli aspetti medici. Infatti,
diversi fattori, tra cui quelli di tipo psicologico, contribuiscono al successo e all'insuccesso della
protesizzazione. Oltre alle protesi tradizionali c’è oggi anche la possibilità dell’impianto cocleare.
Come dice Zaghis (1997) “l’impianto cocleare può essere molto semplicemente definito come un
dispositivo elettronico in grado di stimolare direttamente le fibre residue del nervo acustico in
soggetti sordi profondi che non traggono un soddisfacente beneficio dalle protesi acustiche
convenzionali. Il nervo, stimolato da questi segnali elettrici, invia il messaggio ai centri corticali
superiori per la percezione e la decodificazione. In altre parole potremmo affermare che l’impianto
cocleare si fa carico delle funzioni che una chiocciola danneggiata non può più svolgere,
trasmettendo direttamente il messaggio sotto forma di impulsi elettrici alle strutture neurali
retrocorticali. In una concezione più ampia potremmo quindi parlare di chiocciola artificiale”. Nella
pratica vi è dunque un microfono che viene agganciato al padiglione auricolare; qui un elaboratore
di suoni codifica i segnali provenienti dal microfono e li invia all’antenna trasmettitrice; l’antenna,
grazie ad un magnete, sta a contatto con il cuoio capelluto: all’interno vi è un ricevitore-stimolatore
che, ricevuto il segnale dall’antenna, lo invia agli elettrodi inseriti nella chiocciola. L’operazione di
impianto cocleare è però solo il punto di partenza, infatti l’intervento non dà la possibilità di sentire
nello stesso modo in cui sentono gli udenti e implica necessariamente una terapia logopedica. Per
una scelta consapevole fra le varie possibilità occorrerebbe che le famiglie fossero ben informate
sulla base di informazioni scientifiche ed equilibrate e non sulla base di “quanto sentito in giro”,
come ci mostra una ricerca di Minnini (1999) su un campione di 227 partecipanti sordi. In sintesi i
due aspetti più ricorrenti in Italia emersi dalle interviste di Mennini sono: la scarsa informazione e le
eccessive aspettative circa l’impianto cocleare. Inoltre molto poco si sa sui benefici o meno
dell’impianto cocleare per quanto riguarda le competenze linguistiche di bambini sordi: sarebbe
opportuno che venissero condotte delle ricerche in quest’area per saggiarne i vantaggi e gli
svantaggi.
Altri fattori ancora che rendono la sordità un fenomeno eterogeneo sono l’iter logopedico
effettuato: la durata dell’iter, l’età del bambino quando inizia la riabilitazione, la motivazione ma
soprattutto la scelta del metodo o dell’educazione impartiti al bambino sordo (cfr. par. 1.4); la
costruzione della propria identità: il processo di costruzione dell'identità personale di una persona
sorda è fortemente influenzato sia dal contatto con gli udenti, sia, soprattutto, dal contatto con altre
persone sorde. Il riconoscimento della propria sordità passa attraverso il confronto con altri sordi,
ciò è particolarmente importante per i bambini sordi nati in famiglie di udenti; la conoscenza di una
lingua dei segni: le persone sorde hanno spontaneamente sviluppato delle lingue visivo-gestuali che
sfruttano il canale percettivo integro anziché il canale acustico-vocale deficitario. La sordità, però,
non coincide necessariamente con la conoscenza di una lingua dei segni. Le persone sorde, infatti,
costituiscono una popolazione variegata in cui coesistono realtà diverse: persone sorde segnanti
native, cioè persone nate sorde in una famiglia in cui almeno uno dei genitori è sordo segnante (esse
costituiscono una minoranza ovvero il 5% della popolazione); persone nate o diventate sorde
all'interno di famiglie di udenti e che hanno appreso la lingua dei segni in momenti successivi;
persone nate o diventate sorde all'interno di famiglie udenti e rieducate oralmente, che non
conoscono quindi la lingua dei segni. Nel prossimo paragrafo si cercherà di spiegare in modo più
approfondito le caratteristiche di una lingua dei segni.
1.2 LA LINGUA DEI SEGNI E LE SUE CARATTERISTICHE
Come nel mondo esistono numerose lingue vocali, così esistono anche numerose lingue dei
segni. Le diverse lingue dei segni che nei secoli si sono sviluppate sono intrinsecamente legate alla
cultura, alle usanze, alla religione e alle tradizioni del luogo in cui sono nate. Si pensi, ad esempio,
che nella Lingua dei Segni Italiana, tutti i segni che indicano facoltà di pensiero come appunto "
pensare, ricordare, ragionare, sognare…" vengono prodotti nello spazio vicino alla testa, luogo da
cui, per la nostra cultura, si suppone prendano forma. Per i sordi induisti, invece, questi stessi segni
vengono prodotti nello spazio circostante al petto perché, secondo la loro religione, si pensa che sia
il cuore il centro dell'individuo. All'interno di una stessa nazione viene di solito condivisa una stessa
lingua dei segni, ma possono anche coesistere dialetti o persino lingue dei segni diverse. La lingua
dei segni che viene usata in Italia si chiama LIS, sigla che sta per Lingua dei Segni Italiana.
Come Stokoe (1960) ci ricorda "Le lingue dei Segni hanno caratteristiche analoghe a quelle
delle lingue vocali". Nelle lingue vocali, infatti, vi è un numero ristretto di unità minime prive di
significato – i fonemi – che vengono organizzate in un sistema – il sistema fonologico -. Dalla
combinazione di queste unità elementari si hanno unità più grandi fornite di significato – le parole -.
Allo stesso modo in LIS le unità minime prive di significato sono i parametri formazionali, che
vengono poi organizzati in un sistema linguistico e la combinazione di queste unità dà vita ai segni.
In entrambi i casi si ha un insieme finito di regole che combinano queste unità in modo da generare
un numero infinito di sequenze e di frasi.
I parametri formazionali grazie ai quali possiamo analizzare ogni segno sono quattro:
a) il luogo dello spazio dove viene eseguito il segno;
b) la configurazione delle mani nell'eseguire il segno;
c) l'orientamento del palmo e delle dita assunto dalle mani;
d) il movimento della mano nell'eseguire il segno.
Nella LIS sono stati individuati 15 luoghi, 26 configurazioni, 6 orientamenti e 32 movimenti
(Volterra,1987; Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli, Volterra, 1994). Analisi successive hanno però
individuato un insieme più ampio di elementi distintivi che comprende 16 luoghi, 56
configurazioni, e 40 movimenti (Radutzky, 1992) e hanno esplorato le diverse regolarità
distribuzionali dei parametri formazionali dei segni LIS (Pietrandrea, 1997).
Per identificare i quattro parametri formazionali è stato usato un principio classico della
linguistica: quello della coppia minima. Due parametri vengono riconosciuti come differenti se si
individuano almeno due segni con diversi significati che si distinguono per un'unica caratteristica.
Lo stesso avviene nelle lingue vocali: pane e cane, ad esempio, si differenziano rispettivamente per
i fonemi / p / e / c /.
Sottostante ad un particolare parametro formazionale, spesso possiamo intravedere una
metafora visiva. Questa, tramite la configurazione, ci fornirà informazioni preziose per
comprendere il segno stesso. Ad esempio i segni che rappresentano la "trasparenza e limpidezza",
saranno prodotti usando la configurazione 5 "aperta":
Figura 1: esempio di metafora visiva
quelli che invece indicano "una superficie piatta e solida" verranno invece prodotti con la
configurazione B:
Figura 2: esempio di metafora visiva
Ciò, però, non significa che le metafore visive si trovino necessariamente in tutti i segni che
usano la stessa configurazione. Le metafore visive sottostanti le diverse configurazioni variano da
lingua a lingua, ma soprattutto resta del tutto arbitrario quale metafora visiva venga scelta per
rappresentare uno stesso concetto. Ad esempio in LIS il segno per "gatto" viene prodotto vicino al
naso come per rappresentarne i baffi. La scelta di rappresentare i baffi e non la coda è del tutto
arbitraria. Allo stesso modo il segno per "bicicletta" ne rappresenta i pedali, ma si sarebbe potuta
scegliere arbitrariamente la metafora visiva del manubrio o ancora delle ruote. Pertanto la LIS è una
lingua che si fonda, come tutte le altre, sul principio di ARBITRARIETA’.
In seguito a quanto detto sulle metafore visive, si potrebbe pensare che la LIS sia iconica,
ma così non è. Come illustrano Bellugi e Klima (1979) bisogna operare una differenziazione fra
“TRASPARENZA” e “TRASLUCIDITA’”. Alcuni segni in LIS (ma non tutti) sono traslucidi
ovvero la loro comprensione è facilitata da
metafore visive; questi stessi segni, pur essendo
traslucidi, non sono però trasparenti e cioè: "Non si capisce il significato dei segni che non si
conoscono ma, una volta che se ne conosce il significato, si può ricostruire, in alcuni casi, il
rapporto fra segno e referente." (Bellugi, Klima, 1979; Caselli et al. 1994). Quanto detto è tanto più
vero se i segni presi in considerazione sono riferiti a referenti astratti (es.: "libertà, intelligenza,
conformismo...") e non tangibili. In questo caso l'iconicità del segno è pressoché nulla.
C'è inoltre da aggiungere che la LIS possiede specifiche regole grammaticali e sintattiche
che non si basano su quelle proprie della lingua vocale (modi e tempi del verbo, articoli, genere e
numero dei nomi, ecc.) bensì sull'uso dello spazio, sulla modulazione del movimento, sulle
espressioni facciali, sulla posizione del corpo e della postura. Vari studi sugli aspetti morfologici
hanno ad esempio mostrato come i verbi delle lingue dei segni modifichino, secondo regole costanti
e precise, l’orientamento del movimento per indicare la persona che compie l’azione, così come le
lingue vocali utilizzano la coniugazione verbale. Questi tratti morfologici, infatti, segnalano una
complessa varietà di distinzioni e informazioni grammaticali paragonabili a quelle osservate nelle
lingue vocali: dalla classe grammaticale dei segni (per distinguere ad esempio nomi, verbi,
pronomi), al numero (singolare/plurale) di alcune categorie di nomi, alla persona e alle relazioni
grammaticali fra soggetto e oggetto di alcune categorie di verbi, alle relazioni temporali (Pizzuto,
1987)2. Si noti inoltre come sia possibile il riferimento anaforico attraverso l’uso dello spazio. Per
quanto riguarda gli aspetti sintattici sono state invece descritte alcune regolarità nell’ordine degli
elementi nella frase, da cui emerge che l’ordine dei segni è, in alcune costruzioni, diverso da quello
del linguaggio parlato, ma non per questo meno accettabile (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli,
Volterra, 1994).
Anche per quanto riguarda l'organizzazione cerebrale, interessanti studi di Nerville e
Bellugi (1978) ci mostrano come i sistemi cerebrali che mediano le parole e i segni siano in parte
analoghi. Come sappiamo l'emisfero interessato al linguaggio è quello sinistro. Una persona sorda
con danno cerebrale localizzato nell'emisfero sinistro, infatti, manterrà intatte le capacità visivospaziali ed espressive non linguistiche e perderà invece le medesime quando saranno coinvolte
nell'uso della lingua dei segni (qualsiasi essa sia). Tutto ciò ci dimostra che mentre i segni
"funzionano" come le parole, lo stesso non si può dire per i gesti. La differenza fondamentale fra
segni e gesti è che i secondi sono reperibili anche nel repertorio degli udenti.
Nella maggior parte del mondo, gli udenti hanno a lungo ignorato questo sistema di
comunicazione usato dai sordi e ci sono volute numerose ricerche ed interi secoli per capire ciò che
già alla fine del '700 era chiaro a diversi studiosi e cioè che la Lingua dei Segni è una lingua a tutti
gli effetti e che tramite essa è possibile esprimere ogni forma di contenuto e di emozione, come
anche testi teatrali e poesie (Giuranna, Giuranna, 2000).
1.3 L’ACQUISIZIONE DEL LINGUAGGIO NEI BAMBINI UDENTI E SORDI
Soltanto nella specie umana sembrano essersi sviluppate, nel corso dell’evoluzione, le basi
neurologiche che rendono possibile un’acquisizione spontanea delle lingue. Il bambino ha un ruolo
2
Per una rassegna aggiornata degli studi sulla LIS si rimanda a Pizzuto (2002a).
attivo nel processo di apprendimento del linguaggio, portando come suo contributo una serie di
potenzialità e di modi di analisi e di elaborazione degli elementi linguistici: affinché il bambino
possa esprimere le sue potenzialità, però, occorre creare intorno a lui un ambiente linguistico
adeguato.
L’acquisizione del linguaggio procede per fasi che si succedono in un determinato ordine e
che vengono condivise dalla maggior parte dei bambini; non bisogna comunque sottovalutare che
tale successione è caratterizzata da fortissime variazioni individuali che riguardano non solo i tempi,
ma anche i modi e le strategie di apprendimento.
Nel primo anno di vita il bambino udente compie una serie di sviluppi indispensabili alla
successiva acquisizione del linguaggio. Fin dalla nascita, infatti,
esercita i suoi organi
fonoarticolatori tramite la tosse, i gorgoglii, il pianto e le vocalizzazioni; a 3 mesi, poi, i suoni
diventano più simili a quelli linguistici: il bambino impara ad ascoltare (la voce altrui diventa
stimolo per le sue vocalizzazioni) e controlla la sua attività fonoarticolatoria attraverso il feedback
acustico (ciò ha un importante valore motivazionale); verso i 6/7 mesi impara ad imitare i modelli
intonazionali degli adulti e si osserva una notevole diminuzione nel numero e nella varietà dei suoni
prodotti dal bambino; a 8/9 mesi iniziano le lallazioni e gli indispensabili scambi vocali con l’adulto
insegnano al bambino il rispetto dell’alternanza di turno; infine a 9 mesi si osserva la comparsa
della comunicazione intenzionale (richiesta e denominazione): i gesti deittici (9/10 mesi) esprimono
l’intenzione comunicativa del parlante, il referente di tale comunicazione è dato interamente dal
contesto in cui la comunicazione ha luogo; con i gesti referenziali (dai 12 mesi), invece, il bambino
dimostra di poter usare un simbolo non verbale come significante di una certa realtà. Il significato
viene “convenzionalizzato” dal bambino e dai suoi interlocutori ed il suo contenuto semantico non
varia in conseguenza al variare del contesto. I gesti referenziali prodotti dai bambini nascono come
intenzioni di azioni piuttosto che come imitazioni delle forme di oggetti; inizialmente compaiono in
situazioni di routine con l’adulto ma, progressivamente, si decontestualizzano fino ad arrivare ad
essere usati anche in assenza dei contesti particolari.
Considerando ora il caso di bambini sordi esposti fin dalla nascita ad una lingua visivogestuale, che si realizza quindi su un canale integro, si può affermare che l’acquisizione di tale
lingua avverrà in maniera spontanea e naturale ricalcando le tappe e le età di acquisizione dei
bambini udenti esposti alla lingua vocale (Caselli et al., 1994).
Nelle primissime fasi dello sviluppo comunicativo i bambini sordi metteranno in atto dei
comportamenti motori senza un’intenzione comunicativa. Grazie all’interazione con il linguaggio
adulto il bambino arriverà poi a produrre i primi segnali comunicativi intenzionali chiamati gesti.
Tali segnali, come già detto in precedenza per i bambini udenti, sono strettamente legati al contesto
in cui la comunicazione ha luogo. Solo al termine del processo di decontestualizzazione i gesti
diverranno veri e propri simboli, ovvero segni. E' possibile evidenziare alcuni errori caratteristici,
nella produzione dei primi segni, paragonabili a quelli di semplificazione fonologica dei bambini
udenti (pappe invece di scarpe). Questi errori sono di sostituzione di almeno uno dei parametri
formazionali del segno, con altri parametri più semplici da eseguire da un punto di vista motorio: ad
esempio nel segno macchina, il movimento alternato delle due mani, viene spesso sostituito dai
bambini piccoli con un movimento parallelo non-alternato. Come avviene per le lingue parlate,
anche per le lingue dei segni, il periodo olofrastico (Caselli, 1994; Volterra, Caselli, 1986) è seguito
da quello in cui due o più simboli vengono prodotti nello stesso enunciato: si parlerà dunque di
comparsa della lingua dei segni. Questo passaggio dal segno singolo alla frase si verifica circa a
metà del secondo anno di vita, quando già il bambino possiede un buon patrimonio lessicale che si
sta rapidamente espandendo (Caselli, Volterra, 1994). Anche in questo caso, si assiste ad una sorta
di trasformazione nella composizione del vocabolario: nei primi enunciati di più segni compaiono,
infatti, consistentemente predicati che indicano azioni, possesso, qualità. Questo tipo di
apprendimento sembra dunque legato allo sviluppo di abilità concettuali ed è relativamente
indipendente dalla modalità in cui la lingua si realizza. In una prima fase, anche il linguaggio di
bambini che imparano una lingua dei segni si può definire telegrafico: è solo fra i 2 anni e mezzo e i
3 anni che assistiamo ad una progressiva acquisizione di aspetti morfologici, alcuni dei quali,
analogamente a quanto riportato per l’acquisizione della lingua parlata, compaiono saltuariamente e
non vengono padroneggiati, né usati con una certa frequenza prima dei 5 anni. Il primo aspetto a
venir padroneggiato è la flessione del verbo: questo viene sistematicamente e correttamente
accordato, nel luogo, con il nome-argomento a partire dai 3 anni circa. Verso i 3 anni e mezzo, poi,
inizia ad essere controllata la distinzione fra nomi e verbi (ad esempio fra aereo e volare-conl’aereo o fra sedia e sedersi). L’acquisizione della grammatica visuospaziale, invece, è un processo
lento che comincia intorno ai 2 anni e mezzo con l’acquisizione delle flessioni spaziali del verbo,
ma che continua ben oltre i 3 anni. Diversi marcatori manuali e non manuali che segnalano
l’accordo grammaticale non vengono ben gestiti fino ai 6 anni (Pizzuto, 2002b; Singleton e Supalla,
2003). Tali fasi sono simili a quelle dei bambini udenti che acquisiscono una lingua parlata
morfologicamente complessa. Come avviene nell’acquisizione di molte lingue parlate, i segni dei
bambini esposti ad una lingua dei segni molto complessa da un punto di vista morfosintattico
sembrano, inizialmente, non riprodurre tale complessità: i bambini attraversano infatti degli stadi di
sviluppo caratterizzati da una omissione o non produzione di forme morfologiche, seguiti poi da una
loro produzione semplificata e parziale, e, infine, da una progressiva e graduale acquisizione che si
protrae per diversi anni.
Riassumendo quanto detto finora, si può quindi affermare che, attraverso uno stesso
processo, sia i bambini udenti, sia quelli sordi, raggiungono le stesse fasi di sviluppo linguistico, alla
stessa età, indipendentemente dalla modalità in cui la lingua a cui sono esposti si realizza. E’
importante sottolineare come ci sia di fatto una equipotenzialità comunicativa fra la modalità
verbale e quella gestuale che, nelle fasi più precoci dello sviluppo linguistico, costituiscono un unico
sistema; in seguito, poi, i diversi contesti influenzeranno la scelta dell’una o dell’altra modalità. Il
contesto in cui la comunicazione ha luogo influenza quindi l’uso da parte del bambino di parole o
gesti: l’input nell’interazione bambino-adulto diviene dunque discriminante per il successivo
prevalere della modalità vocale o segnica.
Molto diverso è il caso di quei bambini che nascono sordi da genitori udenti (95% dei casi).
Questi bambini non sono esposti, a causa del loro deficit, alla lingua parlata nell’ambiente, né
possono acquisire spontaneamente la lingua dei segni poiché questa non è usata in famiglia. Alcuni
autori si sono interessati al ruolo dell’input nello sviluppo linguistico dei bambini sordi,
non
esposti ad una lingua dei segni, analizzando le loro produzioni gestuali (Goldin-Meadow, Feldman,
1979; Goldin-Meadow, Mylander, 1984; Goldin-Meadow, Morford, 1985; Volterra, Beronesi,
Massoni, 1994). Queste ricerche hanno mostrato che i bambini sviluppano ed usano un sistema
gestuale che esprime molte delle funzioni comunicative, semantiche e pragmatiche, tipicamente
presenti nel linguaggio di bambini esposti ad una lingua, in condizioni normali. Tali strutture
linguistiche utilizzate da questi bambini sono più “complesse” rispetto a quelle usate da bambini
udenti non segnanti, ma più “semplici” se confrontate con i segni dei bambini sordi e con le parole
di quelli udenti rispettivamente esposti ad una lingua dei segni e ad una lingua parlata. Inoltre i
bambini sordi non esposti ad un input in segni, sono in grado di combinare fra loro due o più gesti
rappresentativi (contrariamente a quanto avviene per i bambini udenti), ma questa abilità compare
quando la loro età cronologica è molto più avanzata rispetto a quella in cui bambini esposti ad una
lingua a tutti gli effetti producono le prime combinazioni di segni o parole.
L’acquisizione della lingua vocale da parte di un bambino sordo, invece, non è mai
spontanea e avviene in modo artificiale grazie ad un insegnamento specifico e formale e alla terapia
logopedica. Alcune variabili di grande importanza possono favorire lo sviluppo del linguaggio
vocale: una diagnosi precoce, il supporto di un programma di educazione al linguaggio, protesi
efficaci. In ogni caso, anche con questi interventi, l’acquisizione della lingua parlata procede con un
notevole ritardo. Le prime parole possono non comparire fino a 2/3 anni, lo sviluppo del vocabolario
procede ad un ritmo molto lento, le frasi a 2 o più parole possono non presentarsi fino ai 4/5 anni e
l’acquisizione di aspetti morfologici e grammaticali è altrettanto tardivo e può restare incompleto.
Per quanto riguarda quindi i bambini sordi con genitori sordi ci può essere acquisizione
spontanea della LIS (se i genitori sono segnanti), ma non ci può essere acquisizione spontanea
dell’italiano; per i bambini sordi figli di genitori udenti, invece, non ci può essere acquisizione
spontanea né della LIS, né dell’italiano (a meno che non vengano presi provvedimenti in età
precocissima esponendo il bambino alla LIS grazie ad un adulto sordo segnante nativo,
preferibilmente significativo nella relazione con il bambino).
1.4 L’ITER EDUCATIVO
Solitamente quando in una famiglia di udenti nasce un bambino sordo, i genitori non sono
preparati ad affrontare tale evenienza e, oltre al trauma della scoperta, si trovano a dover fare tutta
una serie di scelte delicate, fra cui quella dell’iter educativo a loro avviso più idoneo. Lo stesso
avviene per una famiglia di sordi, con la differenza che, avendo preso in considerazione tale
eventualità e avendo vissuto “sulla loro pelle” le stesse esperienze, i genitori sono più pronti
nell’affrontare la situazione che gli si presenta innanzi.
Per quanto riguarda la scelta dell’iter educativo, la difficoltà maggiore risiede nel fatto di
non avere veri e propri centri di consulenza che sappiano dare informazioni complete: i pochi punti
di consulenza che esistono hanno quasi sempre il difetto di proporre iter già prestabiliti e di non
offrire una panoramica generale sulle possibilità educative mostrandone i vantaggi e gli svantaggi.
Da pochi anni, però, l’Istituto Statale dei Sordi di Roma (con sede in Via Nomentana, 56), ha aperto
uno sportello di consulenza rivolto a chiunque voglia avere informazioni circa la sordità: in questa
sede si possono reperire informazioni ed indirizzi specifici che possono aiutare le famiglie nella
scelta dell’iter educativo che ritengono più idoneo per il loro figlio e che li aiutino per orientarsi nel
complicato mondo della sanità e dei servizi offerti.
In Italia, in relazione all’educazione del bambino sordo alla lingua vocale, si possono
distinguere tre linee di pensiero: i metodi oralisti, il metodo bimodale o misto e l’educazione
bilingue.
I Metodi oralisti. Nell'ambito di questa dicitura ci sono diverse metodiche che hanno la
caratteristica comune di non utilizzare la lingua dei segni, con la convinzione che il gesto uccide la
parola (Congresso di Milano, 1880). L'altro elemento in comune è il forte coinvolgimento, nel
processo rieducativo, della famiglia e in particolare della madre, con il rischio spesso di confondere
il ruolo materno con quello logopedico, con conseguenze psicologiche negative. Molta importanza
viene data anche all'utilizzo di strumenti tecnici che possono essere di ausilio nella riabilitazione e
la necessità che il bambino sordo frequenti esclusivamente gli udenti, sia a scuola che in altri
contesti. Del Bo e Cippone De Filippis sono tra gli esponenti più di spicco in Italia: essi ritengono
che il tempo utile per acquisire il linguaggio sia collocabile tra la nascita e i primi tre anni di vita e
basano il recupero del bambino sordo su una seria d’elementi quali: diagnosi precoce, valutazione
esatta del deficit uditivo, precoce protesizzazione e collaborazione attiva della famiglia alla terapia.
Nel metodo orale il bambino viene avviato precocemente alla lettura, quando è in grado di leggere
alcuni fonemi si passa alla comprensione di frasi semplici; anche la scrittura ha un ruolo
fondamentale nel metodo orale. Verso i cinque anni s’inizia a far scrivere le vocali, i dittonghi, le
consonanti fino al dettato di parole che contengono tutte lo stesso fonema. Nella scrittura si procede
come nella produzione orale, mediante domande che sollecitano l'utilizzazione di un soggetto e di
un verbo, a cui si affiancano gradualmente gli attributi e i complementi, differenziati da un colore
diverso per facilitarne la memorizzazione. Tra i vari metodi oralisti uno dei più diffusi è il Verbo
Tonale, ideato negli anni '50 da Petar Guberina, da ricordare anche il metodo multidisciplinare di
Itala Ripamonti (1988) che utilizza il gioco con la musica e il ballo per potenziare l'espressività,
guardando al bambino nella sua globalità.
Il metodo bimodale o misto. Ha la caratteristica di utilizzare una doppia modalità: quella
acustico-verbale perché si parla, e quella visivo-gestuale perché si segna, ma usando una sola
lingua, l'italiano. Il supporto gestuale utilizzato dalla metodologia bimodale è l'Italiano Segnato
Esatto (ISE). L'ISE non è la lingua dei segni italiana utilizzata dalle persone sorde per comunicare
tra loro e non ha un'organizzazione propria, ma deriva interamente da un'altra lingua, quella vocale
italiana. In particolare l'ISE utilizza il lessico e, dove è possibile, alcune regole morfo-sintattiche
della LIS; mentre per quelle parti del discorso che sono proprie dell’italiano ma non della LIS (ad
es. articoli, preposizioni, accordi di genere e numero, pronomi ciclici) si utilizza la dattilologia
(alfabeto manuale) e alcune forme visive chiamate evidenziatori. L’uso della dattilologia e degli
evidenziatori viene definito indispensabile affinché il bambino sia esposto ed aiutato nella
percezione di quelle parti della lingua in cui incontra maggiori difficoltà. Gli evidenziatori non sono
però usati sempre nella seduta logopedica, ma solo in situazioni limitate e particolari in cui
s’intende correggere il bambino o stimolarlo a prestare attenzione ad aspetti specifici dell’italiano.
Figura 3: Alfabeto Manuale Italiano3
In momenti in cui si voglia privilegiare, invece, la comprensione globale di un messaggio di
una storia, insieme al parlato viene usato l’Italiano Segnato (IS) ovvero un sistema gestuale che
utilizza il lessico della LIS ma segue la struttura grammaticale della lingua vocale. Nell’italiano
segnato non compaiono parti del discorso come articoli, alcune preposizioni, ausiliari, concordanze
(a differenza dell’ISE che permette, invece, di seguire parola per parola la lingua vocale
riproducendo le sue regole grammaticali e sintattiche). L'obiettivo, quindi, della metodologia
bimodale è quello di portare il bambino a una buona competenza nella lingua vocale, che significa
anche insegnargli a parlare bene e con una buona voce: per tale ragione l'educazione acusticovocale è parte integrante del modello riabilitativo. Per facilitare la comprensione di una struttura
linguistica viene definito indispensabile sviluppare al massimo il residuo acustico del bambino e a
tal fine, in alcuni momenti della terapia, non si usano i segni; in altri casi invece, se il contesto lo
richiede, si segna con particolari accorgimenti. Il metodo bimodale, inoltre, vuole portare il
bambino ad una buona lettura labiale: per questo, nel lavoro con i piccoli, si tende a segnare vicino
al viso, in maniera da attirare l'attenzione del bambino verso la bocca della terapista, per allenarlo
alla futura lettura labiale. Il lavoro della logopedista si articola, quindi, sempre su tre livelli:
stimolazione fono-acustica; lettura labiale e stimolazione cognitivo-linguistica.
3
Tratto dal dizionario I primi 400 segni. Piccolo dizionario della Lingua Italiana dei Segni per comunicare con i sordi.
Angelini, et al., 1991.
L’educazione bilingue. Non è un vero e proprio metodo, perché il bambino viene esposto
contemporaneamente alla lingua vocale e alla lingua dei segni. L'italiano parlato e scritto viene
imparato con la terapia logopedica, mentre la LIS è acquisita in modo spontaneo e naturale perchè
viaggia sulla modalità visivo-gestuale, e quindi su un canale integro. Alla base c'è la convinzione
che la possibilità per il bambino sordo di acquisire una lingua (quella dei segni) con gli stessi tempi
e le stesse modalità con cui i bambini udenti imparano a parlare, porta senz'altro dei vantaggi nel
suo sviluppo evolutivo e facilita l'apprendimento della stessa lingua vocale. Affinché i bambini
divengano realmente bilingui, è necessario:
-
rispettare in un primo periodo il principio "una persona una lingua", cioè far sì che ciascun
interlocutore scelga di usare con il bambino in maniera coerente un solo codice, evitando così
mescolanze tra le due lingue;
-
operare in modo che l'input linguistico nei due codici sia ben bilanciato: ossia, il tempo e il
modo di esposizione ad una lingua siano uguali a quelli dell'altra lingua;
-
assicurarsi che il bambino, proseguendo nel suo sviluppo, abbia l'opportunità di interagire in
ognuno dei codici con interlocutori diversi;
-
creare contesti in cui il bambino sia motivato ad utilizzare entrambi i codici.
Nel bambino sordo che deve acquisire sia una lingua dei segni che una lingua parlata, non
troveremo mai una situazione di bilinguismo simultaneo: in questo caso i due codici evidentemente
non sono equivalenti: la lingua dei segni può essere acquisita in modo naturale e spontaneo, mentre
la lingua parlata può essere appresa solo attraverso un lungo e faticoso processo. Da alcuni lavori
risulta che dato il deficit di questi bambini nella modalità acustica, lo sviluppo della lingua parlata
procede più lentamente di quello della lingua segnata; in pratica l'apprendimento del parlato si
appoggia all'acquisizione del segnato. Nei bambini sordi figli di sordi, il rapporto fra acquisizione
della lingua dei segni e apprendimento della lingua parlata può essere analizzato in termini di
bilinguismo successivo (Taeschner 1985); i segni, dunque, non inibiscono lo sviluppo verbale, al
contrario la lingua dei segni serve da supporto a quella parlata.
Da quanto sopra esposto si può capire come le due possibilità offerte al bambino sordo,
nell’ambito dell’educazione alla lingua vocale, sono quelle di imparare solo l’italiano o di imparare
l’italiano e la LIS. Vi è inoltre anche la possibilità di non proporre al bambino nessuna educazione
alla lingua vocale e di far sì che apprenda solo la LIS. Vengono presentati di seguito i vantaggi e gli
svantaggi di ciascuna delle tre scelte:
Imparare solo la LIS: vantaggi: possibilità di acquisire una lingua fin dalla nascita secondo i
tempi e i modi in cui i bambini udenti acquisiscono la lingua vocale, sentirsi parte di una
comunità linguistica e culturale; svantaggi: appartenenza ad una comunità linguistica e
culturale di minoranza, difficoltà di autonomia nella comunicazione e di integrazione con il
mondo udente maggioritario.
Imparare solo l’italiano: vantaggi: possibilità di comunicare con la comunità maggioritaria
per avere accesso a “parte” dell’informazione a cui hanno accesso normalmente le persone
udenti; svantaggi: la persona sorda viene valutata esclusivamente per quanto si avvicina al
modello udente, si chiede al bambino di usare solo il canale acustico-vocale deficitario con
un conseguente allungamento dei tempi di apprendimento e con un enorme sforzo; il
bambino non ha modelli adulti sordi con cui identificarsi.
Imparare sia la LIS che l’italiano: vantaggi: conoscere due lingue e appartenere a due
culture, avere la possibilità di comunicare sia con sordi che con udenti, partecipare, grazie
all’interprete LIS/italiano, a tutti i contesti comunicativi informali e formali (come convegni,
programmi televisivi d’informazione o intrattenimento, ecc.); svantaggi: maggiore impegno
da parte della società e dei servizi.
Come si è potuto capire le scelte nell’ambito dell’educazione linguistica non sono mai facili
e dipendono da diversi fattori, anche ideologici; è però importante ricordare che le scelte
linguistiche che vengono attuate non dovrebbero mai essere rigide ed esclusive, ma dovrebbero
tenere conto delle capacità del bambino, della situazione familiare e del contesto ambientale.
1.5 QUALE SCUOLA PER IL BAMBINO SORDO?
I dubbi che i genitori incontrano nella scelta dell’ iter educativo più idoneo per i loro figli
sono gli stessi che incontrano di fronte alla scelta del tipo di scuola in cui inserire il proprio
bambino. La legge 517/77 lascia alle famiglie la possibilità di scegliere tra scuola ordinaria e scuola
speciale, abolendo le classi differenziali, regolamentando il numero di alunni con handicap per
classe, il sostegno svolto da insegnanti di ruolo o incaricati a tempo indeterminato specializzati e
l’attività delle équipes specialistiche. All’articolo 10 si può leggere:
L’obbligo scolastico, sancito dalle vigenti disposizioni, si adempie per i bambini sordomuti
nelle apposite scuole speciali o nelle classi ordinarie delle pubbliche scuole elementari e medie,
nelle quali siano assicurati la necessaria integrazione specialistica e i servizi di sostegno, secondo le
rispettive competenze dello Stato e degli Enti locali preposti, in attuazione di un programma che
deve essere predisposto dal Consiglio Scolastico Distrettuale.
La legge ribadisce inoltre la funzione e gli scopi delle strutture speciali rispetto al processo
integrativo, sottolineando che, finché quest’ultimo non si sia realizzato completamente, le scuole
speciali non possono cessare di esistere. Esse infatti vengono adibite all’accoglienza dei bambini
con menomazioni gravi, tra le quali è inclusa l’ipoacusia profonda. Quei bambini che, dopo un
periodo di permanenza in una struttura speciale, grazie a trattamenti adeguati, hanno la possibilità di
essere portati vicino “al modello” dei bambini udenti, possono essere avviati ad un inserimento
scolastico il più precocemente possibile; per gli altri le alternative possono essere l’inserimento in
una scuola ordinaria malgrado la gravità del loro deficit o la permanenza in strutture speciali, fino al
raggiungimento di una sufficiente autonomia.
Il problema dell’inserimento scolastico dei bambini portatori di handicap fu affrontato per la
prima volta in Italia nel 1974. Tale innovazione si articolava sul piano didattico in due punti: 1)
ampliare il concetto di apprendimento, prendendo in considerazione oltre ai livelli di intelligenza
logico-costruttiva, anche lo sviluppo psico-motorio e i processi di socializzazione; 2) attuare il
tempo pieno visto come successione organica di diversi tempi programmati dagli operatori
scolastici. Successivamente la legge n. 270 del 1982 prevedeva l’inserimento dei bambini con
handicap anche nelle scuole materne statali, attuando così una completa integrazione scolastica.
La difficoltà di una scelta così impegnativa fra scuola ordinaria e scuola speciale, però,
permane ancora oggi e dipende, oltre che da fattori pratici e psicologici, anche dalla
disinformazione delle famiglie su ciò che ciascuna istituzione può garantire dal punto di vista del
recupero del deficit, dell’accrescimento culturale e della reale integrazione per il bambino sordo. Le
famiglie che volessero effettivamente sapere cosa sia meglio per il loro bambino non hanno un
punto di riferimento chiarificatore e spesso si trovano a seguire il consiglio del medico o la strada
già percorsa da amici. Questa disinformazione non coinvolge solo le famiglie le cui condizioni
ambientali e culturali sono carenti, ma anche le famiglie più preparate e consapevoli, dal momento
che è molto difficile trovare strutture che siano capaci di indirizzarle in modo chiaro e soprattutto
imparziale. Dunque la scelta fra scuola ordinaria e scuola speciale acquista un significato
qualitativamente concreto solo se ci si domanda quale dei due ambienti scolastici sia il più idoneo e
il più preparato, dal punto di vista della didattica e dell’integrazione, per garantire una situazione di
reale sviluppo intellettivo e psicologico del bambini sordo; perché se è vero che il bambino sordo
deve possedere delle capacità di “comunicazione attiva e passiva tale da consentire di fruire in
modo pieno dell’attività educativa” - come dice la legislazione italiana - è altrettanto vero che
l’abilità di farsi capire e di capire del bambino sordo è direttamente proporzionale all’abilità e alla
volontà che i suoi interlocutori udenti, corpo docenti, compagni di classe, insegnati di sostegno,
hanno di comunicare con lui. Infatti se queste abilità e volontà sono carenti o discontinue,
l’interesse a comprendere e a interagire del bambino sordo presto si trasformerà in indifferenza, o
peggio ancora in aggressività. C’è da dire che ancora oggi, a quasi trent’anni dall’emanazione della
suddetta legge, sia la situazione delle scuole ordinarie, che di quelle speciali, presentano diversi
aspetti problematici: infatti a tale legislazione non corrispondono necessariamente strutture
adeguate e coordinate tra loro, né una specifica preparazione del corpo docente e degli istituti.
I vantaggi dello scegliere una scuola speciale, rispetto ad una scuola ordinaria, risiedono nel
fatto che queste scuole possiedono una tradizione di una lunga esperienza di insegnamento ai
bambini sordi, sono solitamente competenti in LIS e danno la possibilità di relazionarsi con altri
bambini che vivono lo stesso deficit. Gli svantaggi risiedono invece nel fatto che spesso queste
scuole hanno alle spalle una lunga tradizione convittuale (o sono tutt’ora dei convitti) che si porta
dietro gli aspetti negativi di una prolungata istituzionalizzazione (lontanaza dalla famiglia,
dinamiche di gruppo incontrollabili…) e sono dei “contenitori” di bambini multiproblematici.
Questa considerazione nasce dal fatto che nella maggior parte dei casi i genitori non scelgono la
scuola speciale, che certamente convalida l’handicap, con la diretta conseguenza che le scuole
speciali sono andate via via svuotandosi e in esse sono rimasti pochi bambini o con altri problemi
oltre alla sordità, o che non avevano progredito nella scuola ordinaria e sono tornati a quella
speciale, o le cui famiglie, per diverse ragioni di ordine pratico e/o psicologico, non sanno trovare
altre alternative. Ciò è tanto più vero se si pensa che la scuola speciale, vista come potenziale centro
di esperienze e di conoscenze, è stata in parte condannata dalla legge, in quanto viene detto che la
sua esistenza è necessaria per i bambini più gravi fin quando il processo integrativo non sia
completato. Quindi stabilendo che “il fanciullo sordomuto può adempiere l’obbligo scolastico o
nelle scuole speciali o nelle classi ordinarie…” solitamente si dividono e si collocano i bambini
sordi in due categorie: nelle scuole speciali i bambini che oltre alla sordità presentano problemi di
altra natura, nelle scuole ordinarie quelli che hanno avuto una storia personale più favorevole.
Dalla Legge 517/77, però, sono stati fatti dei passi avanti: l’articolo 13 della Legge Quadro
104/92 (la L.104 e il D.M.P.I. del 9/7/’92) garantisce:
Il diritto all’Istruzione e all’Integrazione scolastica degli studenti handicappati grazie anche
a servizi come trasporti, mensa, servizi logopedici, psicomotori, di comunicazione.
Per facilitare la comunicazione degli alunni sordi inseriti nelle scuole ordinarie vengono
dunque previste delle “figure assistenziali” (prese in carico dalla Provincia o dai Comuni), anche se,
in Italia, la legge non prevede alcun profilo professionale, né percorso didattico o formativo, né
indicazioni sull’inquadramento giuridico o economico, per tali figure assistenziali. Da tempo l’Ente
Nazionale Sordomuti (ENS) ha sollecitato il governo a stabilire e definire questo profilo
professionale, seguendo anche le indicazioni suggerite dal Dipartimento SEU, che ha tenuto conto
delle esperienze in corso ormai da anni. Dunque in seguito alla legge 104/92 le figure che,
all’interno della scuole ordinarie ruotano intorno al bambino o ragazzo sordo oltre a quelle
convenzionali (insegnanti curriculari, Dirigente Scolastico, ecc.), sono:
•
l’insegnante di sostegno: deve conoscere le strategie didattiche e i programmi, stabilire i
contenuti spiegandoli e semplificandoli per le varie disabilità. Si occupa dell’alunno disabile
ma anche del resto della classe. Gli insegnanti di sostegno non sempre sono preparati, sul
piano teorico, per affrontare un bambini sordo e per comunicare in modo adeguato con lui;
da qualche anno a questa parte, però, il Ministero della Pubblica Istruzione ha attuato alcuni
corsi di alta qualificazione, in convenzione con l’Ente Nazionale Sordomuti, all’interno dei
quali vi sono anche delle ore di lingua dei segni che, sebbene siano del tutto insufficienti per
apprendere la lingua, sono comunque un buon inizio per approcciare con l’alunno sordo. In
futuro sarebbe auspicabile che, nel caso di studenti sordi, le scuole avessero la possibilità di
richiedere espressamente un docente di sostegno segnante tramite una graduatoria che si
dovrebbe costituire solo fra gli insegnanti che conoscono la LIS.
•
l’Assistente alla Comunicazione (udente): “l’Assistente alla Comunicazione è una figura
professionale impegnata con allievi sordi che frequentano le scuole ordinarie elementari,
medie inferiori e medie superiori…l’Assistente alla Comunicazione deve saper mediare la
peculiarità e la pluralità delle diverse discipline, ognuna delle quali ha il suo mondo, un suo
linguaggio specifico e soprattutto una sua didattica e renderlo intelligibile al giovane
studente sordo…deve conoscere la LIS così bene, come se fosse un interprete LIS/Italiano,
che non solo sa mettere in segni la voce, ma sa anche ben tradurre i segni mettendoli in
voce…deve conoscere la storia, il mondo e la cultura sorda…” (Bigi, Carlesi, 1996).
L’Assistente alla Comunicazione deve dunque essere competente in LIS, sapendo mettere in
segni la voce e viceversa tradurre i segni mettendoli in voce; deve conoscere la cultura e la
storia dei sordi partecipando e vivendo in prima persona gli avvenimenti inerenti al “mondo
sordo”; deve possedere conoscenze psico-pedagogiche sullo sviluppo del bambino sordo,
nonché conoscenze didattiche e metodologiche: tali conoscenze vengono acquisite tramite
gli specifici corsi per Assistente alla Comunicazione, l’interesse personale che porta gli
Assistenti a documentarsi ed aggiornarsi costantemente e, in ultimo, l’esperienza sul campo;
deve fare da “ponte” fra il bambino sordo, la scuola, la famiglia e le strutture territoriali
facilitando la comunicazione e l’integrazione fra questi diversi mondi al fine di agevolare
anche fra loro la comunicazione avendo come fine ultimo il benessere del bambino; deve
essere un facilitatore dell’integrazione in classe agevolando l’integrazione del bambino con i
suoi compagni di classe, rispettandone le modalità e i tempi e non sostituendosi in nessun
caso al bambino stesso; deve saper lavorare in gruppo maturando la consapevolezza di
svolgere un lavoro in rete con altre figure professionali e con queste deve coordinarsi per
costruire un clima collaborativo e sereno intorno al bambino; deve essere un facilitatore di
contenuti trovando il metodo per “far arrivare” al bambino i contenuti di ciascuna disciplina,
rispettandone la complessità e facilitando quindi l’acquisizione dei contenuti senza
necessariamente semplificarli; deve essere un buon osservatore, sensibile e paziente essendo
in grado di cogliere le esigenze del bambino tempestivamente e cercando di risolverle con
sensibilità e pazienza; deve essere flessibile in vari aspetti del proprio lavoro che vanno
dall’orario lavorativo, alle condizioni in cui ci si trova a lavorare, alla capacità di sapersi
“reinventare” a seconda del bambino che si ha di fronte, delle richieste che la famiglia pone
e della scuola; deve possedere il diploma di Assistente alla Comunicazione: a tale corso
potranno partecipare solo le persone con un buon livello culturale, ovvero in possesso di
maturità di scuola superiore, e che già conoscono la LIS. I corsi si articoleranno in due parti:
la prima volta a migliorare le competenze in LIS, la seconda volta ad acquisire le
indispensabili competenze didattiche e psico-pedagogiche necessarie per lavorare nella
scuola (coloro che, per motivi personali, conoscono la LIS, non possono comunque lavorare
come Assistenti alla Comunicazione se non dopo l’apposito corso).
•
l’Educatore sordo: deve essere bilingue e conoscere quindi molto bene la LIS; deve aver
frequentato un corso di formazione; deve avere un titolo di studio adeguato (diploma di III
media per il nido e la scuola materna, diploma di maturità per il nido, la scuola materna e la
scuola elementare, laurea per tutti i gradi scolastici dal nido alle scuole superiori); deve
stabilire una relazione privilegiata con il bambino sordo in quanto modello con cui porsi a
confronto per costruire la propria personalità e identità; deve stimolare nei docenti
l’osservazione, la riflessione, il giudizio critico sulle esperienze “mancanti” e deve mediare
il contesto favorendo la comunicazione.
Solitamente è previsto l’Educatore sordo al nido e nella scuola materna (solo in alcuni casi
nella scuola elementare) e l’Assistente alla Comunicazione dalla scuola elementare in poi. Questa
scelta nasce dal fatto che l’Educatore sordo può garantire, a differenza dell’Assistente alla
Comunicazione udente, l’acquisizione linguistica del bambino piccolo ancora preverbale,
fornendogli un input linguistico precoce e “una lingua madre” soprattutto se ha genitori udenti.
Inoltre l’Educatore sordo può favorire l’equilibrio psichico del bambino sordo fornendogli la
possibilità di identificarsi con un adulto sordo perfettamente integrato e bilingue. Come ampiamente
dimostrato l’apprendimento dipende anche dalla qualità delle relazioni e della comunicazione:
l’educatore sordo vede infatti con gli stessi occhi del bambino e sa portarlo a capire e denominare le
conoscenze adattando la sua LIS alle capacità e alla fase evolutiva del bambino. L’Assistente alla
Comunicazione interviene dunque quando la LIS è già consolidata e quando i programmi scolastici
diventano più impegnativi (nelle scuole superiori, per esempio, potrebbe essere difficile per un
Educatore sordo, seppur molto competente, interagire con i docenti curriculari udenti e seguire le
lezioni scolastiche che vengono fatte vocalmente dai professori).
Solitamente l’Educatore sordo o l’Assistente alla Comunicazione, lavora a scuola dalle 12
alle 20 ore settimanali affiancando gli insegnanti, facilitando la comunicazione, arricchendo la
lingua dei segni e al tempo stesso rafforzando, con il confronto fra le due lingue, le strutture morfosintattiche dell’italiano. Mentre i docenti curriculari programmano e svolgono, insieme
all’Insegnate di Sostegno l’attività didattica, l’Educatore sordo o l’Assistente alla Comunicazione
collaborano attivamente alle lezioni. Nella realtà succede che in alcuni casi le diverse figure sono
contemporaneamente in classe; in altri casi l’Educatore o l’Assistente resta in classe mentre
l’Insegnante di Sostegno prepara e adatta visivamente il materiale didattico per l’alunno sordo; in
altri ancora avviene che le due figure siano presenti in classe in momenti diversi, coprendo così un
monte ore più ampio. Le diverse scelte dipendono dall’affiatamento dell’équipe, dalle esigenze
individuali dell’alunno sordo e dalla capacità di valorizzare al massimo le diverse competenze di
ciascuna figura professionale.
In Italia vi sono inoltre pochissime scuole ordinarie che sono bilingue: per scuola bilingue si
intende una scuola dove si parli sia la LIS che l’italiano. L’obiettivo della scuola bilingue è quello
di “integrare i bambini sordi nella scuola “comune”, formando un gruppo di bambini sordi (vi è la
necessità che i sordi stiano con altri sordi) che acquisiscono la LIS come lingua naturale insieme a
bambini udenti che impiegano la LIS come seconda lingua il più precocemente possibile (cioè
partendo dalla scuola dell’infanzia) con l’apporto di operatori esperti in LIS” (Teruggi, 2003). In
passato si riteneva che avere nella stessa classe più bambini sordi sarebbe stato controproducente e
avrebbe impedito una reale integrazione del bambino sordo nel mondo degli udenti. Tali
considerazioni trascurano completamente le esperienze condotte, e quelle ancora in corso, in diverse
città italiane di classi “speciali” di bambini sordi in scuole ordinarie per bambini udenti. Ad
esempio nella scuola media statale Mazzini di Roma, gli alunni sordi, non superiori ad otto,
frequentavano per alcune materie (italiano, storia, geografia, matematica e inglese) la classe
speciale, mentre poi si univano ad una classe ordinaria per altre materie (educazione artistica,
tecnica e fisica). Questa esperienza fu molto positiva perché da una lato, permetteva un
insegnamento specializzato di quelle discipline che richiedono un’adeguata competenza linguistica
per accedere ai contenuti, dall’altro, dava agli alunni sordi l’opportunità di interagire in modo
paritario con gli udenti nelle materie dove prevale l’operatività, permettendo inoltre di avere
momenti di scambio fuori dall’orario prettamente scolastico (ricreazione, entrata e uscita da scuola).
In altre scuole invece più ragazzi sordi sono stati riuniti nella stessa classe, per tutte le ore
scolastiche e per tutte le materie, creando necessariamente una maggiore attenzione da parte dei
professori e dei compagni di classe udenti nei loro riguardi; per tale scelta hanno optato ad esempio
la scuola materna e elementare di Mompiano in provincia di Brescia, ex scuola speciale che ha
attuato “l’integrazione al contrario”, ovvero si è aperta ai bambini con sviluppo tipico, e la scuola
superiore Duca degli Abruzzi di Roma, scuola ordinaria che in seguito alla legge 517/77, ospitando
casualmente un certo numero di ragazzi sordi nelle sue classi, si è attrezzata per accogliere questi
particolari studenti in modo più adeguato fino a divenire una scuola ordinaria considerata dalla
comunità sorda di Roma, specializzata in sordità. In base a queste esperienze e a quanto si è visto
invece di singoli bambini sordi inseriti in classi di udenti, si può affermare che a volte questa
auspicata integrazione del bambino sordo con il mondo udente, si trasformi invece in una
“ghettizzazione” del bambino sordo, del suo Insegnate di Sostegno e dell’Assistente alla
Comunicazione che si trovano isolati rispetto alla classe. Partendo da questi presupposti la scuola
bilingue ritiene opportuno che, all’interno delle classi formate da alunni udenti, vi siano più bambini
sordi che partecipano, grazie all’Assistente alla Comunicazione o all’Interprete scolastico, a tutte le
ore di lezioni (senza però separare la classe a seconda della materie come visto nell’esempio
precedente). Inoltre è evidente da queste esperienze di bilinguismo che i bambini udenti hanno una
grande facilità nell’apprendimento di una lingua dei segni e l’acquisiscono con molta più rapidità, e
con minore sforzo, rispetto agli adulti. Le loro capacità di attenzione e memoria visiva, risultano
potenziate; a questo si aggiungano i benefici personali che provengono dall’essere protagonisti di
un’esperienza tanto suggestiva e formativa e le possibilità, dal punto di vista lavorativo, che dà
l’acquisizione di una lingua che così poche persone conoscono (lavorare in futuro come interprete,
come insegnante specializzato per bambini sordi, ecc.).
Nelle scuole bilingue si ritiene inoltre importante che l’acquisizione della LIS, che
solitamente avviene negli istituti speciali che, come precedentemente detto, spesso sono anche dei
convitti dove i bambini restano per tutta la settimana, avvenga invece all’interno di un contesto
scolastico ordinario: “è dunque indispensabile che i bambini sordi frequentino insieme una scuola
“normale” e che sia evitata l’istituzionalizzazione” (Teruggi, 2003). Altri due punti su cui la scuola
bilingue insiste molto sono la reale integrazione fra sordi e udenti -che può avvenire solo all’interno
di un contesto in cui le due lingue e le due culture siano paritarie - e l’apprendimento didattico: “è
indispensabile che i bambini sordi acquisiscano al più presto la lingua italiana dei segni in un
ambiente scolastico “normale” per garantire il massimo dell’integrazione, ma anche il massimo
dell’apprendimento curriculare” (Teruggi, 2003). Bisogna però sottolineare che è molto difficile
che un’esperienza di bilinguismo italiano/LIS sia bilanciata: i bambini udenti sono sempre più
numerosi dei bambini sordi. Inoltre molti dei bambini sordi che accedono alle scuole bilingue,
arrivano con una competenza limitatissima sia nella lingua dei segni che nell’italiano rispetto alla
loro età cronologica; gli insegnanti segnanti sono senza dubbio di meno rispetto agli insegnanti
udenti che non comunicano con la lingua dei segni. E’ però da tener presente che è molto difficile
realizzare un’esperienza didattica di bilinguismo totalmente bilanciata.
Si ritiene inoltre importante che i bambini sordi abbiano, per tutte le ore scolastiche e per
tutta la durata dell’iter scolastico, delle figure esperte in LIS, siano esse Assistenti alla
Comunicazione o Educatori sordi, che li accompagnino e li sostengano: “è indispensabile che i
bambini sordi siano supportati in modo continuativo da una figura veramente esperta in LIS per
tutta la scuola di base per garantire il massimo della continuità. E’ indispensabile raggiungere tali
obbiettivi evitando sprechi di risorse umane ed organizzative, ed eccessivi disagi per l’utenza”
(Teruggi, 2003).
Gli stessi problemi che l’alunno sordo ha già incontrato a scuola, sia essa speciale o
ordinaria, e in particolare nella scuola superiore, si ritrovano anche all’Università ma amplificati e
aumentati: le aule sono affollate, è difficile trovare posto in prima fila (non sempre il posto è
riservato) e vi è un vocio di sottofondo che rende quasi inutilizzabili le protesi. Se la lezione è nelle
sale del cinema (come sempre più spesso ormai accade per problemi di mancato spazio nelle aule
universitarie) la distanza dalla cattedra aumenta e la lettura labiale è sempre più difficile. Inoltre i
compagni di corso cambiano in continuazione ed è quindi difficile sia stabilire rapporti
interpersonali che permettano di poter chiedere favori, quali un prestito di appunti o informazioni
utili ai fini di un esonero o di un esame, sia abituarsi al movimento delle loro labbra. L’Università,
per agevolare gli studenti sordi, dovrebbe mettere a disposizione sussidi, strumenti, figure
professionali quali interprete LIS/italiano, ripetitori labiali, tutor, prendi appunti, ecc. previste dalla
legge 104/92: spesso invece le Università non li forniscono con la giustificazione di non avere
sufficienti fondi. Inoltre i docenti non sempre vengono informati che nel loro corso c’è uno studente
sordo per cui spengono le luci mentre proiettano diapositive, spiegano mentre sono girati di schiena
alla lavagna o passeggiano per l’aula, non attivano alcuna strategia per facilitare la comunicazione
né durante le lezioni, né durante gli esami. Quindi fra le difficoltà pratiche che abbiamo appena
illustrato e la preparazione spesso non idonea con cui i ragazzi sordi escono dalle scuole superiori,
l’accesso all’Università diviene veramente molto complesso. Si pensi infatti che in tutta Italia sono
appena centocinquanta circa i ragazzi sordi che sono iscritti all’Università e cinquanta circa le
persone sorde laureate: ciò indica che fino ad oggi è stato fatto poco, nel nostro Paese, per abbattere
le barriere comunicative. Per fortuna, però, ci sono delle eccezioni, infatti fin dal 1992 alcune
Università hanno mostrato attenzione e sensibilità e non è un caso che circa la metà degli studenti
sordi universitari sia ripartita fra l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, che accoglie in
media trentacinque studenti sordi, e l’Università degli Studi di Padova, che ne accoglie in media
trentasette; ultimamente si è osservata una maggiore affluenza di studenti sordi anche
nell’Università “Roma Tre”.
Illustrata la situazione scolastica italiana, passiamo ora ad un rapido sguardo del panorama
europeo: sembra che all’estero l’integrazione di bambini sordi in scuole ordinarie sia stata fatta con
maggior cura e prudenza, senza necessariamente determinare la chiusura delle scuole speciali. In
Belgio, ad esempio, la scuola speciale ha ancora un posto fondamentale nonostante si osservino,
anno dopo anno, nuove sperimentazioni di integrazione di bambini sordi in scuole ordinarie per
iniziativa dei genitori. In Danimarca, ci sono voluti diversi anni perché la lingua dei segni fosse
riconosciuta come lingua ufficiale della comunità sorda ma, ora che questo riconoscimento è
avvenuto, il Ministero della Pubblica Istruzione danese stabilisce l’uso della lingua dei segni
all’intero ciclo dei curricula scolastici di tutti i bambini sordi per tutti i gradi di istruzione, siano essi
inseriti in scuole ordinarie o in scuole speciali. In Svezia, invece, sono previste tre possibilità
scolastiche per i bambini sordi: l’inserimento in classi per udenti con i vari supporti specialistici
(solitamente vengono qui inseriti i bambini con sordità lieve), le classi speciali in scuole ordinarie
(solitamente vengono qui inseriti i bambini con sordità media), le scuole speciali (solitamente
vengono qui inseriti i bambini con sordità grave o profonda). E’ da sottolineare che nelle scuole
speciali la lingua dei segni è ritenuta la prima lingua per i bambini sordi anche se diversi insegnanti
ed educatori devono ancora percorrere una lunga strada per diventare tanto padroni di questa
modalità per poter insegnare in lingua dei segni. L’Inghilterra prevede invece tre strutture
fondamentali: la scuola speciale, le classi speciali in scuole ordinarie, il servizio degli insegnanti
visitatori. Anche se generalmente le scuole speciali sono previste per i bambini con sordità grave o
profonda, mentre le classi speciali in scuole ordinarie sono previste per i bambini con sordità media
o lieve, in realtà si cerca più di valutare le reali capacità e possibilità del bambino rispetto al suo
grado di sordità. Molto interessante è invece il servizio degli insegnanti visitatori che viene svolto
sia per i bambini delle scuole speciali che per quelli delle classi speciali in scuole ordinarie: questi
insegnanti specializzati effettuano un lavoro di sostegno e di informazione delle famiglie, seguono i
bambini sordi già in età prescolare, collaborano con le scuole attraverso colloqui con gli insegnanti,
svolgono un’attività individuale con i bambini, visitano le famiglie e, eventualmente, collaborano
anche con il reparto di audiologia dell’ospedale per la diagnosi. Al di fuori dell’ Europa, invece,
negli Stati Uniti, la possibilità di scelta è fra scuole speciali e ordinarie, fra scuole pubbliche e
private, scuole residenziali e non residenziali. La maggior parte degli alunni sordi segue
un’educazione basata sulla comunicazione totale, in cui si usano contemporaneamente la
comunicazione verbale e una forma di comunicazione segnata. Fin dagli anni settanta (PL 94-142.
1975) la legislazione americana prevede che tutte le strutture educative elaborino un programma
educativo individualizzato. Anche le famiglie dei bambini sordi vengono coinvolte in prima persona
nel percorso riabilitativo dei loro figli tramite la frequentazione a gruppi di sostegno e di educazione
ai problemi della sordità. La famiglia viene dunque presa in carico dalla scuola o dall’ospedale che
procede con una valutazione globale, che tiene conto del livello cognitivo, sociale, comunicativo,
linguistico vocale e linguistico in segni, sia del nucleo familiare, sia del bambino sordo. Tanta
attenzione alla lingua dei segni è confermata dal fatto che in America, a Washington, vi è l’unica
Università al mondo per sordi: la Gallaudet University. Anche in questo caso, però, le critiche non
mancano: la scuola americana viene accusata di aspettarsi troppo poco dai bambini sordi
contribuendo così a fornirgli un livello d’istruzione più basso rispetto ai compagni udenti.
Tutto ciò ci dimostra che, sebbene molto sia stato fatto, sia in Italia che all’estero, per
l’istruzione dei bambini e dei ragazzi sordi in questi anni, molto ancora deve essere fatto a tutti i
gradi scolastici e in particolare a quelli alti, se veramente si vuole che le persone sorde abbiano la
stessa possibilità di accesso alla cultura e all’istruzione che hanno i ragazzi udenti.
1.6 LA COMPETENZA IN LINGUA PARLATA E SCRITTA
Nel paragrafo 1.3 si è visto come le persone che nascono sorde o perdono l’udito nei primi
anni di vita e che hanno una sordità grave o profonda, non imparino spontaneamente la lingua
parlata nell’ambiente che li circonda. Tuttavia, se esposte ad un insegnamento specifico e formale,
possono imparare a parlare, a leggere sulle labbra, a leggere dei testi e a scrivere. Nonostante le
diversità individuali, i vari livelli culturali, gli anni di riabilitazione e l’allenamento personale,
sembra che le persone sorde raggiungano difficilmente una competenza linguistica, parlata e scritta,
pari a quella delle persone udenti madrelingua. Il bambino sordo, rispetto all’udente, procede infatti
con un ritmo più lento e permane più a lungo nella fase degli “errori”, proprio perché per lui il
linguaggio è frutto di un apprendimento e non di una acquisizione spontanea.
In particolare osserviamo diverse difficoltà che sembrano propriamente legate alla sordità
(Orsolini et al., 1992; Caselli et al., 1994; Massoni, Maragna , 1997; Maragna, 2000; Fabbretti,
Caselli, 2001; Maragna, 2003):
produzione di frasi più brevi e tendenti ad evitare strutture sintattiche complesse;
competenze fonologiche meno buone rispetto agli udenti da un punto di vista
qualitativo;
utilizzazione di un vocabolario più povero sia in comprensione che in produzione;
accentuata rigidità lessicale che non permette di padroneggiare le diverse sfumature
di significato di una stessa parola;
difficoltà nelle competenze pragmatiche che permettono di distinguere il significato
reale da quello letterale di alcune espressioni, modi di dire e proverbi;
errori nella comprensione di frasi passive reversibili, di pronomi, di preposizioni e di
nomi nella forma plurale;
problemi
nel
giudicare
l’accettabilità
di
frasi
relative,
subordinate
e
pronominalizzate;
errori di omissione, sostituzione e aggiunta in diversi aspetti della morfologia e in
particolare di quella libera, come ad esempio preposizioni, articoli e pronomi;
errori nei modi, nei tempi e nelle coniugazioni verbali;
omissione di ausiliari e imprecisioni lessicali.
Queste difficoltà sono conseguenza di diversi fattori fra cui un’esposizione alla lingua
parlata tardiva rispetto ai bambini udenti: nonostante la diagnosi di sordità possa essere stata fatta
precocemente, al bambino occorrerà molto tempo prima di saper leggere le labbra e imparare a
sfruttare un eventuale residuo acustico attraverso le protesi. Inoltre le condizioni in cui il processo
di apprendimento della lingua parlata si realizza sono molto diverse rispetto a quelle dei bambini
udenti: l’input linguistico può essergli offerto solo da un’interazione frontale con l’interlocutore, il
linguaggio che gli viene proposto è spesso semplificato sia nei contenuti che nella forma. Il contesto
in cui il bambino sordo viene esposto alla lingua vocale, inoltre, è spesso artificiale. Vi è l’assenza,
totale o parziale, di feedback acustico nelle produzioni che il bambino compie. Per quanto riguarda
la morfologia libera inoltre, le maggiori cause di difficoltà delle persone sorde sono dovute alla
brevità di queste parole, alla loro natura spesso atona, al fatto che sono prive di significato
semantico, non salienti all’interno del discorso, di difficile lettura labiale e sottostanno a numerose
eccezioni: nella morfologia libera è infatti molto difficile esplicitare una regola generale se non
attraverso un uso continuo e ripetuto che porti all’assimilazione attraverso l’allenamento linguistico.
Tutti questi motivi contribuiscono dunque a determinare le difficoltà che le persone sorde
incontrano nel raggiungere una reale competenza nella lingua parlata e scritta.
E’ inoltre interessante notare come gli stessi tipi di errori prodotti dalle persone sorde
esposte all’italiano, si trovino anche in altre lingue vocali, in persone che hanno seguito iter
educativi diametralmente opposti, in modalità diverse (sia nella lingua parlata che in quella scritta)
e in capacità diverse (ovvero comprensione, produzione, giudizi di accettabilità).
1.7 LA VALUTAZIONE DELLE ABILITA’ LINGUISTICHE
Per valutare il linguaggio è indispensabile osservare la competenza del bambino in base al
contenuto (vocabolario-semantica), alla forma (sintassi-morfologia-fonologia), al contesto
(pragmatica), all'uso (varietà di funzioni presenti nell'interazione), ovvero osservare cosa fa il
bambino quando usa il linguaggio e come lo usa, come riesce a far passare un messaggio, quali
contenuti riesce ad esprimere, quali regole della lingua possiede o non possiede, valutare se e
quanto il problema del linguaggio implica anche problemi di comunicazione.
Passando ad analizzare il caso specifico dei bambini sordi, bisogna tener presente che i
livelli di sviluppo linguistico di questi bambini sono fortemente influenzati da diversi fattori oltre
alla sordità ed in particolare dal contesto familiare (genitori sordi o udenti), dalla lingua parlata a
casa (parlata, segnata o una combinazione di entrambe), dall’età della diagnosi e della
protesizzazione, dagli interventi logopedici portati avanti per promuovere l’apprendimento della
lingua vocale e scritta e, più in generale, dal percorso educativo offerto al bambino. Per tutti questi
motivi si ritiene che, se si vogliono valutare le abilità comunicative e linguistiche dei bambini sordi,
non si possa prescindere dal valutare anche le loro abilità cognitive non verbali. Inoltre la
valutazione delle abilità linguistiche del bambino sordo dovrebbe includere l’osservazione delle
capacità linguistiche nelle diverse modalità ovvero parlato, segnato e scritto (sia in comprensione
che in produzione). Si dovrebbero quindi adottare procedure di valutazione per esaminare le
competenze nella lingua dei segni comparabili a quelle usate per la lingua vocale. La metodologia
di valutazione dovrebbe essere pensata in modo tale da permettere un confronto con i livelli di
sviluppo e i cambiamenti evolutivi del bambino sordo e con quelli dei coetanei udenti.
Molti Autori nazionali e internazionali si sono interessati al tema della valutazione del
linguaggio in bambini sordi ma, mentre all’estero sono stati fatti degli studi volti a valutare le
competenze linguistiche anche in lingua dei segni, la ricerca italiana si è quasi esclusivamente
concentrata sulla valutazione delle competenze linguistiche parlate e scritte: solo pochissimi studi
hanno cercato di valutare parallelamente a queste capacità, anche le competenze linguistiche
direttamente in segni, ritenendo che una valutazione completa debba includere i tre aspetti della
comunicazione e cioè il parlato, il segnato e lo scritto.
La prima ricerca è stata condotta dell’allora Istituto di Psicologia del CNR di Roma in
collaborazione con l’ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma con lo scopo di ottenere
informazioni sulle abilità cognitive e linguistiche di undici bambini sordi profondi italiani in età
prescolare con particolare riferimento alle abilità linguistiche valutate in LIS (Ossella et al., 1994;
Ardito et al., 1997; Ardito et al., 1998; Pizzuto et al., 1998; Pizzuto et al., 2000; Pizzuto, 2002;
Caselli, Volterra, 2003; per approfondimenti sui risultati analitici di tale ricerca si rimanda a Pizzuto
et al., 2001). Tale ricerca ha utilizzato delle procedure di valutazione paragonabili per il parlato e il
segnato: la maggior parte delle prove sono infatti state proposte sia in lingua vocale, sia in lingua
dei segni. E’ innanzitutto importante sottolineare come nella fase di progettazione delle prove e nel
loro successivo svolgimento, gli Autori abbiano coinvolto dei collaboratori sordi segnanti nativi,
nonché degli interpreti italiano/LIS che hanno permesso un’interazione adeguata alle esigenze
comunicative e linguistiche tra le famiglie sorde che hanno partecipato al progetto ed alcuni
ricercatori udenti che non conoscevano bene la LIS. La metodologia di raccolta dei dati prevedeva
che i bambini partecipanti al progetto e i loro genitori prendessero parte a tre sedute di osservazione
videoregistrate che hanno avuto luogo nel corso di tre settimane. All’interno di queste sedute sono
state effettuate delle interviste con i genitori che si sono svolte in italiano o in LIS, a seconda se i
genitori erano udenti o sordi: in quest’ultimo caso si è ricorso all’aiuto di un interprete italiano/LIS.
Grazie alle interviste cliniche semistrutturate condotte nella cornice teorica del modello sistemicorelazionale e all’osservazione hic et nunc genitori/bambino, si sono osservati i modelli emotivorelazionali all’interno di ciascuna famiglia. In particolare i parametri qualitativi del funzionamento
familiare che sono stati presi in considerazione sono: il rapporto con la famiglia di origine, il
funzionamento della coppia coniugale, il funzionamento della coppia genitoriale, le aspettative
genitoriali, il grado di adattamento al deficit, la partecipazione al processo educativo del figlio, il
grado di promozione dell’autonomia del figlio, la comunicazione, il codice linguistico utilizzato in
casa, la consapevolezza della cultura sorda e di quella udente e il rispetto delle loro rispettive lingue
(segnata e parlata). Sulla base dei modelli emotivo-relazionali riscontrati all’interno delle famiglie
(sia quelle con genitori sordi che quelle con genitori udenti), queste ultime sono state suddivise in
due tipologie principali: tipologia “funzionale” e tipologia “disfunzionale”. Da tali analisi gli autori
mettono in luce che i modelli relazionali delle famiglie considerate “funzionali” e “disfunzionali” si
possono ritrovare sia nelle famiglie di persone sorde, che usano primariamente la LIS, sia in quelle
di persone udenti, che usano primariamente la lingua parlata. Come a dire, dunque, che la presenza
di un codice linguistico condiviso non è di per sé sufficiente ad assicurare una famiglia “funzionale”
e ben equilibrata per la crescita del bambino: tre coppie di genitori sordi segnanti cadevano infatti
nella tipologia “disfunzionale”. Allo stesso modo l’assenza o l’uso limitato di una stessa lingua non
implica necessariamente modelli relazionali “disfunzionali”: quattro coppie di genitori udenti che
non usavano la LIS rientravano infatti nella tipologia “funzionale”.
Parallelamente alle interviste con i genitori e all’osservazione bambino/famiglia, ciascun
bambino veniva osservato e valutato individualmente da esaminatori udenti e sordi, considerando
sia le sue competenze in lingua vocale che in LIS. Le abilità cognitive e visuo-spaziali dei bambini
sono state valutate attraverso due prove non verbali: Visual Motor Integration Test VMI (Berry,
1997) e Leiter International Performance Scale LIPS (Leiter, 1980). I risultati relativi a queste prove
mostrano che tutti i bambini osservati nella ricerca sono cognitivamente adeguati senza differenze
significative fra bambini sordi figli di genitori sordi o figli di genitori udenti. Per quanto riguarda la
valutazione del vocabolario LIS in comprensione sono stati somministrati il Peabody Picture
Vocabulary Test PPVT (Dunn, Dunn, 1981) e il Test di Comprensione grammaticale per Bambini
TCGB (Chilosi, Cipriani, 1995). Ai bambini, valutati individualmente, veniva chiesto di
riconoscere quale figura corrispondesse a ciascun segno LIS o frase segnata che venivano presentati
dal vivo. La prova era somministrata da una persona udente esperta segnante. I compiti di
produzione del vocabolario LIS sono stati invece proposti solo a quei bambini che avevano i
genitori sordi ed erano una prova di denominazione lessicale e una di elicitazione di frasi. In queste
prove in segni i bambini sordi figli di genitori sordi hanno ottenuto dei risultati nettamente migliori
rispetto alle stesse prove in vocale.
Interessante notare come nelle versioni segnate dei test sopra elencati, i bambini sordi
ottengono complessivamente dei risultati paragonabili a quelli ottenuti dai loro coetanei udenti,
cosa che invece non accade per la versione vocale dei suddetti test, in cui ottengono risultati
decisamente inferiori se paragonati con quelli dei loro coetanei udenti. Le competenze linguistiche
dei bambini sordi osservati sarebbero state notevolmente sottostimate se i ricercatori avessero
limitato le loro valutazioni alla sola modalità vocale senza includere quella segnica. Questi dati ci
mostrano dunque la diversità dei risultati che si ottengono in compiti di valutazione del linguaggio
quando i bambini sordi hanno la possibilità di elaborare le prove linguistiche attraverso la modalità
integra visivo-gestuale.
La metodologia utilizzata in questo studio mostra che una valutazione appropriata delle
abilità dei bambini sordi richiede un approccio globale. La valutazione del linguaggio deve essere
condotta con strumenti adeguati all’età di sviluppo e soprattutto alle abilità comunicative e
linguistiche. Questo permetterà di valutare i bambini sordi non solo rispetto alle loro carenze ma
anche rispetto ai loro punti di forza. Per questi motivi la valutazione del linguaggio non può
limitarsi alla modalità del parlato ma, come gli Autori hanno chiaramente mostrato, deve essere
estesa all’uso della lingua nella modalità segnata. Questo dovrebbe essere ovvio almeno per i
bambini sordi figli di genitori sordi segnanti, per i quali la lingua dei segni è la lingua madre. Se le
valutazioni si limitassero infatti alla sola modalità del parlato, in cui la letteratura ha riscontrato
consistenti ritardi rispetto ai bambini udenti della stessa età, le conoscenze linguistiche dei bambini
sordi sarebbero notevolmente sottostimate.
Consideriamo ora il caso di una ricerca longitudinale, di durata triennale, più recente (Celo,
2005) condotta su 15 bambini sordi e circa 40 bambini udenti frequentanti la scuola Materna o
Elementare e coinvolti in un progetto sperimentale di bilinguismo. Tale studio è volto a valutare le
competenze linguistiche in LIS e la loro evoluzione. Nel primo anno a tutti i partecipanti sono stati
mostrati dei cortometraggi animati senza sonoro differenziati a seconda dell’età dei bambini (negli
anni successivi per la scuola Materna i cortometraggi, ritenuti troppo complessi, sono stati sostituiti
dalla visione di due libri per bambini illustrati). Dopo la visione è stato chiesto ai bambini che
avevano visto i filmati o guardato i libri illustrati, di segnare individualmente il racconto osservato:
tali produzioni sono state videoregistrate. La codifica dei dati ha tenuto in considerazione alcuni
parametri linguistici della LIS (in particolar modo quelli sintattico-strutturali) che sono stati ritenuti
fondamentali dagli Autori di questa ricerca: uso dei classificatori, uso morfologico dello spazio e
congruenza con i verbi direzionali, impersonamento, ordine dei segni nella frase con particolare
riguardo alle locative e alla negazione, uso delle interrogative retoriche, formazione fonologica dei
singoli segni, espressioni non manulai e uso della dattilologia4. I risultati della ricerca ci mostrano
come la produzione segnica dei bambini della scuola materna migliori in progressione temporale
senza distinzioni fra bambini sordi e udenti. Per i bambini della I e II elementare, invece, troviamo
un predominio dell’italiano segnato rispetto ad una corretta costruzione in LIS, inoltre è assente
l’uso di classificatori, scarso l’impersonamento e l’uso corretto delle locative, mentre la dattilologia
(specie nei bambini udenti) sostituisce significati di cui non si conosce il segno e la fonologia è
spesso imprecisa con errori di movimento e di configurazione: tale quadro complessivo vale sia per
i bambini sordi che udenti, con una propensione però per i sordi a costruire periodi che siano
sintatticamente più vicini alla LIS e lasciandosi quindi meno condizionare dall’italiano. Dalla III
elementare in poi si osserva che le competenze segniche dei bambini sordi migliorano notevolmente
rispetto a quelle dei loro compagni udenti e inoltre si nota un uso pertinente della dattilologia per i
nomi propri o a rinforzo di alcuni segni, un buon uso delle locative e delle interrogative anche
retoriche.
In base a quanto sopra esposto si evince che, sebbene nel panorama italiano vi siano diversi
strumenti per valutare le competenze linguistiche di bambini sordi in lingua vocale e scritta, ve ne
4
Per ulteriori approfondimenti si rimanda a Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rapelli L., Volterra V., Linguaggio e
Sordità. La Nuova Italia, 1994; Volterra V. (a cura di). (1987). La lingua italiana dei segni. La comunicazione visivogestuale nei sordi. Bologna: Il Mulino.
sono invece pochissimi per valutare le competenze linguistiche in LIS: da tale considerazione nasce
quindi l’esigenza di mettere a punto degli strumenti idonei, atti a valutare qualitativamente e
quantitativamente le competenze linguistiche di bambini e ragazzi sordi nella lingua dei segni
italiana (LIS). Inoltre possedere degli strumenti che valutino le competenze linguistiche in LIS
sarebbe utile anche per indagare i vantaggi dei diversi iter educativi e degli eventuali benefici
dell’impianto cocleare. Come si comportano nei compiti linguistici i bambini sordi segnanti rispetto
ai bambini sordi non segnanti? I bambini impiantati segnanti e non segnanti hanno degli effettivi
vantaggi nel padroneggiamento della competenze linguistiche o no? Questi ed altri interrogativi
troverebbero risposta se la valutazione della competenze linguistiche orali venisse fatta nelle due
modalità: segnato e parlato.
CAPITOLO 2: LA TEORIA DELLA MENTE
2.1 LA TEORIA DELLA MENTE NEI BAMBINI CON SVILUPPO TIPICO
La teoria della mente costituisce un particolare approccio a un problema che ha goduto di un
interesse durevole nella storia del pensiero occidentale: la psicologia del senso comune o ingenua.
Si tratta di descrivere e spiegare la nostra quotidiana comprensione del mondo in cui le persone
sentono, vogliono e pensano. Nel ragionare e parlare di noi stessi e degli altri, piuttosto che spiegare
le azioni e le interazioni quotidiane in termini comportamentali, ci riferiamo costantemente a stati
mentali quali desideri, emozioni, intenzioni, pensieri, credenze, speranze, ricordi, paure e promesse,
e tendiamo a far riferimento agli stati psicologici che determinano gli accadimenti o che da essi
derivano (Perrucchini, 1993; Taylor, 1996). La capacità di considerare lo stato mentale di un altro è
differente, e più complessa quindi, della capacità di rispondere al comportamento di un altro, sia
perché implica inferenze su entità “non-osservabili”, sia perché comporta la capacità di
rappresentare un atteggiamento proposizionale, e di differenziarlo dal contenuto proposizionale
(Dennett, 1971). Un enunciato come “c’è una tazza sul tavolo”, ha un contenuto proposizionale che
è una descrizione vera o falsa di uno stato di cose del mondo, invece un enunciato come “credo
(desidero, faccio finta, penso, spero, ecc.) che ci sia una tazza sul tavolo” implica un atteggiamento
proposizionale (di credenza, desiderio, ecc.) verso quel contenuto proposizionale, e non implica la
veridicità o la falsità del contenuto. Dennett (1978a) ritiene inoltre che l’attribuzione di stati mentali
a un sistema complesso, come un essere umano, sia di gran lunga il modo più semplice per
comprenderlo. Parlando di comprensione l’Autore intende la produzione di una spiegazione del
comportamento di quel sistema complesso e la previsione di ciò che esso farà in seguito. Dennett
chiama questa capacità “adozione dell’atteggiamento intenzionale” non riferendosi semplicemente
allo specifico stato mentale dell’intenzione, ma piuttosto alla capacità degli esseri umani di
attribuire l’intera gamma di stati intenzionali. Possedere una teoria di questo tipo non significa
essere in grado di riflettere su di essa o saperla descrivere in termini di regole, principi e processi.
La gente comune non è normalmente consapevole di utilizzare una teoria della mente nello spiegare
e prevedere le azioni umane, allo stesso modo il bambino acquisisce una siffatta teoria senza
esserne cosciente.
Passiamo ora ad una breve rassegna dei diversi filoni di ricerca sulla teoria della mente così
come si sono sviluppati storicamente dagli anni Ottanta del Novecento fino ad oggi. Nel 1978 due
primatologi, Premack e Woodruff, pubblicarono sulla rivista Behavioral and Brain Sciences un
esperimento in cui indagarono la capacità degli scimpanzé di prevedere il comportamento di un
umano in situazioni finalizzate ad uno scopo, dimostrando che questi animali sono in grado di
attribuire stati mentali all’uomo. Secondo la loro definizione si possiede una teoria della mente
quando si è in grado di attribuire stati mentali a se stessi e agli altri nonché prevedere il
comportamento sulla base di tali stadi.
Cinque anni dopo due studiosi austriaci, Wimmer e Perner (1983), ispirandosi alle idee di
Premack e Woodruff, misero a punto un paradigma sperimentale destinato a una notevole fortuna e
ad un largo uso negli anni a venire: il compito della falsa credenza. Il compito si basa su un
trasferimento inatteso di un oggetto dal posto x al posto y, presentandosi come segue: un primo
personaggio mette l’oggetto che tiene in mano, ad esempio una biglia, in un contenitore x e poi se
ne va; in sua assenza un secondo personaggio sposta l’oggetto dal contenitore x al contenitore y;
quindi il primo personaggio rientra in scena e annuncia che andrà a prendere la sua biglia. A questo
punto si chiede al bambino dove il personaggio in questione cercherà la biglia; la risposta corretta,
ovvero che la cercherà dove l’ha lasciata, nel contenitore x, equivale al riconoscimento della falsa
credenza. Per fornire una risposta corretta a tale compito il bambino deve rendersi conto che il
protagonista della storia possiede una rappresentazione della realtà diversa dalla rappresentazione
dello stato di cose effettivo (che corrisponde in questo caso alla rappresentazione del bambino), egli
deve inoltre prevedere che il comportamento del protagonista sarà determinato dalla sua credenza
piuttosto che dallo stato di cose effettivo (cercherà la biglia dove crede che sia e non dove si trova
in realtà). Numerosi ricercatori hanno replicato questo test introducendo modifiche nella
somministrazione e variandone la consegna: i risultati rimangono per lo più invariati. Se fino ai 3
anni i bambini rispondono erroneamente dimostrando di non saper attribuire agli altri conoscenze e
credenze diverse dalla propria, a 4-5 anni la maggioranza dei bambini con sviluppo tipico è in grado
di risolvere un compito di falsa credenza andando quindi a cercare la biglia dove l’aveva lasciata
inizialmente il suo possessore. Gli Autori affermano dunque: “sembra che nei bambini l’emergere
della capacità di comprendere le credenze di un’altra persona e come essa reagirà sulla base di
queste credenze e la comprensione dell’inganno, non siano semplicemente l’effetto collaterale di un
aumento nelle capacità di memoria e di elaborazione centrale. Sembra invece che tra i 4 e i 6 anni
emerga una nuova abilità cognitiva. I bambini acquisiscono la capacità di rappresentare false
credenze e di costruire un enunciato veritiero o ingannevole relativamente alla credenza di una
persona” (Wimmer, Perner, 1983).
Sempre all’inizio degli anni Ottanta due importanti gruppi di ricerca guidati da Bretherton e
Wellman iniziano ad interessarsi, parallelamente ma indipendentemente, alla comprensione del
bambino di termini detti mentali o psicologici quali “volere”, “desiderare”, “sperare”, “pensare”,
“credere”, “dubitare”, ecc. ritenendoli un’importante componente nello sviluppo di una teoria della
mente.
Successivamente, fra il 1985 e il 1988, sono comparsi alcuni contributi di sistematizzazione
teorica fra cui ricordiamo i più importanti: il saggio di Wellman del 1985, uno dei primi lavori che
si riferisce esplicitamente alla "teoria infantile della mente" e l'articolo sul “gioco di finzione” di
Leslie (1987).
Nel 1986 poi, si svolsero a Toronto e a Oxford due interessanti convegni organizzati uno da
Astington, Gopnik e Olson e l’altro da Harris, ai quali seguì il volume curato da Astington, Harris e
Olson (1988), che sancirono definitivamente l’entrata della teoria della mente nell’olimpo dei temi
più trattati in psicologia e a livello interdisciplinare. Da lì in poi innumerevoli volumi e articoli
vennero pubblicati su questo tema sia all’estero che in Italia. Nel 2000 Flavell dedicò alle ricerche
sulla teoria della mente un articolo di rassegna, pubblicato sulla rivista International Journal of
Behavioral Development, in cui dichiarò questo tema uno dei più discussi degli ultimi vent’anni.
Sempre nel 2000 Baron-Cohen e Tager-Flusberg scrissero Understanding Other Minds e Wellman
e collaboratori (2001) condussero una meta-analisi su 178 studi che hanno utilizzato prove di falsa
credenza in prescolari (“the understanding of belief, and, relatedly, understanding of mind, exhibit
genuine conceptual change in the preschool years”).
Grazie ai numerosi studi che sono stati condotti, si conosce ora come procede lo sviluppo
della teoria della mente, quali sono le sue fasi e quali i suoi precursori. Infatti, precedentemente
all’età canonica in cui la teoria della mente viene pienamente padroneggiata, vi sono dei precursori
che, come spiega Moore (1996), mettono in relazione ciò che succede nei primi due anni di vita con
il successivo padroneggiamento della capacità in questione. Diverse teorie provano a spiegare
questa relazione: le teorie modulariste, le teorie costruttiviste, quelle dell’imitazione e la teoria della
costruzione sociale:
•
Secondo le prime, i cambiamenti nella comprensione della mente, associati all’età,
si spiegano grazie alla maturazione dei moduli che si attivano in determinati
momenti dello sviluppo; la differenza nell’architettura mentale del bambino piccolo
rispetto all’adulto sta nella disponibilità di un minor numero di moduli. I moduli che
si attivano precocemente forniscono l’input ai moduli con attivazione più tardiva,
ma lo sviluppo dei moduli successivi non dipende in alcun modo dall’esistenza dei
moduli a comparsa precoce. I maggiori esponenti di tale teoria sono Baron-Cohen e
Leslie.
•
Secondo le teorie costruttiviste, invece, la comprensione della mente propria e altrui
si costituisce a partire dall’attività del bambino e dalla sua esperienza del mondo
sociale; in particolare riconoscere l’intenzionalità delle proprie ed altrui azioni gioca
un ruolo fondamentale nella comprensione delle relazioni psicologiche fra agenti e
oggetti. Tale teoria è sostenuta da Autori quali Russell (1995), Frye (1991) e
Camaioni (1993b; 1997; Tomasello, Camaioni, 1997). In particolare Camaioni
(2003) approfondisce il ruolo della comunicazione intenzionale di tipo dichiarativo
(padroneggiata fra gli 11 e i 14 mesi) vista come una forma iniziale di comprensione
della mente: il bambino intende influenzare l’atteggiamento psicologico dell’altra
persona relativamente a qualche aspetto della realtà esterna, in particolare il provare
interesse o il condividere un’esperienza, infatti, mentre nella richiesta il risultato
atteso è solo un cambiamento nello stato dei fatti, nella dichiarazione è un
cambiamento nello stato mentale dell’interlocutore.
•
Nel terzo tipo di teorie, quelle dell’imitazione, esponenti come Meltzoff e Gopnik
affermano che il ruolo della comprensione dell’equivalenza sé-altro è cruciale come
base per lo sviluppo di una successiva teoria della mente. La capacità del bambino di
imitare viene dunque considerata fondamentale perché lo aiuta a comprendere ciò
che un’altra persona potrebbe sperimentare nel momento in cui produce la stessa
azione o la stessa espressione facciale. Il bambino, tramite l’imitazione, sarà capace
di riconoscere l’equivalenza tra le proprie azioni e quelle altrui e ciò fornirà la base
per comprendere la natura degli stati psicologici relativi ad oggetti od eventi del
mondo esterno.
•
Mentre le prime tre teorie illustrate, sebbene molto diverse, condividono l’assunto
secondo cui il bambino acquisisce una teoria, quest’approccio alternativo non parla
di costruzione di una teoria bensì di costruzione sociale. Tale ottica vede il bambino
come colui che si appropria delle pratiche sociali e delle norme culturali tipiche
della propria comunità che gli consentono sia di interpretare la propria e l’altrui
esperienza, sia di parlare di questi stati mentali nel discorso con gli altri. Sebbene
questa sia una posizione sicuramente minoritaria nella ricerca sulla teoria della
mente, ritroviamo fra i suoi sostenitori degli illustri nomi quali Bruner (1990),
Hobson (1991) e Feldman (1992). Ciò che di questo approccio si vuole sottolineare
non è l’importanza dell’interazione sociale, tra l’altro menzionata in tutte le proposte
teoriche, ma piuttosto l’interesse nell’indagare se l’interazione sociale e la cultura
sono all’origine della teoria della mente, ovvero se quest’ultima esiste nella cultura
piuttosto che nell’individuo.
Viste le diverse ipotesi circa i precursori della teoria della mente che si sviluppano nei
bambini da 0 a 2 anni, passiamo ora a parlare della sua acquisizione vera e propria: inizialmente il
bambino comincia col riconoscere che le persone sono diverse dalle cose, ed è interessato a
comunicare con le prime. In seguito distingue i pensieri dalle cose: si possono pensare oggetti o
eventi assenti e ipotetici e si può giocare a “far finta”. Col tempo il bambino comincerà quindi a
parlare di stati mentali, di ciò che egli stesso e gli altri vedono, desiderano, pensano. Intorno ai 2-3
anni poi comprenderà la natura di percezioni, desideri ed emozioni, e prevederà le azioni, proprie e
altrui, a partire dal riconoscimento di questi stati mentali (stati concepiti in relazione diretta con la
realtà). Importante sottolineare come a 2-3 anni i bambini non riconoscono ancora le “false
credenze”, e non si rendano conto che ciò che si pensa o si crede può non corrispondere allo stato di
cose effettivo. Soltanto verso i 4 anni i bambini arrivano a riconoscere le false credenze, la diversità
fra apparenza e realtà, l’assunzione di prospettiva di secondo livello (ad esempio sapere che una
figura che essi possono vedere correttamente apparirà capovolta a una persona che siede di fronte a
loro – Flavell 2000) e comprendere che la relazione tra Mente e Mondo è indiretta, in quanto
mediata dalla Rappresentazione. Introiettata questa convinzione i bambini sono pronti ad avere una
teoria rappresentazionale della mente, e non solo una psicologia del comportamento delle persone.
Per tale motivo la teoria della mente è tipicamente valutata tramite prove di false credenze, in cui il
soggetto deve predire cosa farà un agente in una situazione in cui ha una falsa credenza circa lo
stato reale delle cose.
Ancora oggi vi è un dibattito aperto fra due diverse correnti di pensiero per spiegare la teoria
della mente: da un lato vi sono i sostenitori della modularità della teoria della mente (Leslie, 1994;
Baron-Cohen, 1995) vista come abilità indipendente da altre capacità; dall’altro coloro che hanno
una visione costruttivista assumendo cioè che il bambino progredisca verso il padroneggiamento di
una teoria della mente matura attraverso passaggi che vengono modulati da una varietà di
esperienze (culturali, familiari, sociali ed affettive), ovvero attraverso collegamenti con altre
capacità. I sostenitori del modularismo ritengono che il bambino acquisisca sulla base della
maturazione neurologica una serie di meccanismi modulari dominio-specifici atti a processare
l’informazione rilevante nel dominio della comprensione sociale. Il costruttivismo racchiude invece
tre diversi orientamenti: coloro che modellizzano la comprensione della mente come una teoria
dominio-specifica (Gopnik, Meltzoff, 1997; Perner, 1991), coloro che ritengono la teoria della
mente il risultato di un processo di simulazione (Harris, 1992, 1996) in cui si è in grado di
immaginare noi stessi nella prospettiva di un’altra persona simulando la sua attività mentale e
coloro che vedono la teoria della mente vincolata allo sviluppo di meccanismi dominio-generali
quali le crescenti capacità di elaborare l’informazione e, in particolare modo, quella linguistica
(Flavell, 1992; Carlson, Moses, Hix, 1998). Molti Autori sottolineano infatti l’importanza che il
linguaggio ha per l’acquisizione della teoria della mente ed in particolare le competenze
conversazionali: senza capacità di rappresentare l’intenzione comunicativa del parlante, iniziare o
mantenere una conversazione diventa molto difficile, se non impossibile. Infatti in molti enunciati
le informazioni vengono lasciate implicite dal parlante e non sono codificate nelle parole ma
devono essere inferite dall’ascoltatore tenendo presenti le informazioni contestuali pertinenti, fra cui
lo scopo della conversazione e le convinzioni del parlante (Grice, 1975; Sperber, Wilson, 1986;
Surian, Job, 1987; Surian, 1995). Importante inoltre ricordare il linguaggio figurato, le espressioni
metaforiche e quelle ironiche per cui il senso dell’enunciato è solitamente molto diverso o
addirittura opposto a quello codificato.
Riassumendo si può dire che il contrasto di fondo è dunque tra coloro che sostengono una
organizzazione modulare e una base innata per la teoria della mente, e coloro che propongono
modalità di acquisizione come la simulazione e la costruzione di una teoria dominio-specifica di
tipo scientifico. In quest’ottica i bambini sordi diventano quindi un importante “test” per distinguere
fra le due ipotesi, dal momento che molti di loro hanno diverse carenze linguistiche ma capacità
cognitive non verbali intatte. Fra le carenze linguistiche troviamo sicuramente difficoltà a livello
conversazionale, difficoltà nella comprensione delle espressioni ironiche e metaforiche, rigidità
lessicale, aderenza al significato letterale delle parole più che al loro significato rappresentativo
(almeno per quanto riguarda la lingua vocale): tutte capacità che sembrano implicate nella
costruzione di una teoria della mente. Sarebbe dunque auspicabile che in futuro ci fossero tecniche
sperimentali per verificare l’esistenza di una teoria della mente senza che nella prove sperimentali
“la lingua” avesse un peso così importante, al fine di indagare sui bambini prelinguistici, sui
bambini con autismo nei quali il linguaggio è fortemente ritardato o assente, sui bambini sordi che
non conoscono la lingua dei segni o che l’hanno acquisita tardivamente, ecc.. A volte, infatti, le
consegne dei test sono tanto complesse dal punto di vista linguistico, che un non superamento dei
test da parte dei bambini non si sa più se poterlo attribuire ad una effettiva carenza nel
padroneggiamento della teoria della mente, oppure ad una difficoltà di accesso al test dovuta a delle
consegne troppo difficili dal punto di vista linguistico. Avere dunque dei test con cui indagare la
teoria della mente che ricorrano il meno possibile al linguaggio, potrebbe agevolare tutti quei
bambini che proprio con il linguaggio hanno difficoltà.
2.2 LA TEORIA DELLA MENTE NEI BAMBINI CON SVILUPPO ATIPICO E IN
PARTICOLARE NELL’AUTISMO
Sebbene la maggioranza delle persone sia consapevole sia dell’esistenza del mondo fisico
che di quello mentale, ve ne sono alcune che “soffrono di cecità mentale”. Questo termine, che
intende l’essere ciechi a pensieri, credenze, conoscenze, desideri e intenzioni, è stato introdotto per
la prima volta da Baron-Cohen (1990) in un articolo intitolato Autism: a specific cognitive disorder
of mindblindness5. Una persona affetta da cecità mentale, che dunque non possiede un’ossatura
mentalistica o l’atteggiamento intenzionale, come lo chiama Dennett (1987), è costretta ad affidarsi
a descrizioni fondate sulla regolarità temporale o sulla trascrizione di comportamenti di routine:
entrambe queste descrizioni però non sono all’altezza del compito di dare un senso al
comportamento e di fare rapide predizioni su di esso. Con una suggestiva metafora Nagel (1974) ci
spiega come sia impossibile immaginare che effetto faccia essere mentalmente ciechi, proprio come
è impossibile immaginare che effetto faccia essere un pipistrello: vivere in un mondo di pipistrelli
nel quale gli oggetti vengono conosciuti tramite l’eco, deve dare un’idea degli oggetti così
radicalmente diversa da quella che otteniamo dalla vista che probabilmente va al di là della nostra
immaginazione. Allo stesso modo, per un cieco mentale, è probabilmente impossibile immaginare
cosa sia leggere la mente e per noi immaginare di non poterla leggere. Come dice Sperber (1993),
“l’attribuzione degli stati mentali è per gli esseri umani ciò che la locazione dell’eco è per il
pipstrello”: è il nostro modo naturale di comprendere l’ambiente sociale.
Fra le persone affette da cecità mentale, troviamo le persone con autismo: esse non sono
capaci di attribuire stati mentali né a sé, né agli altri (Baron-Cohen, Leslie, Frith (1985; Frith,
1989a, b; Surian, Frith, 1993; Baron-Cohen, 1995). Tale incapacità non si ritrova invece in altri
quadri clinici come il ritardo mentale, il ritardo specifico del linguaggio, la sindrome di Down e la
sordità. Le prime prove a favore di uno specifico deficit meta-rappresentazionale derivano da una
serie di ricerche condotte da Leslie, Frith e Baron-Cohen tra il 1985 e il 19906 che mostrano
chiaramente come nelle persone con autismo manchi, o sia gravemente danneggiata, la capacità di
mentalizzare, cioè la tendenza naturale degli esseri umani a connettere il comportamento con gli
stati mentali così da formarsi un’interpretazione coerente di quel che accade.
Dagli studi pionieristici sul disturbo autistico pubblicati negli anni quaranta da Kanner e
Asperger, ad oggi, notevoli progressi sono stati realizzati nella comprensione dell’eziologia e del
decorso dell’Autismo Infantile, nonché nella diagnosi e nel trattamento delle persone con autismo.
5
Baron-Cohen S. (1990). Autism: a specific cognitive disorder of mindblindness. International Review of Psychiatry 2,
pp.79-88.
6
Per un resoconto dettagliato di queste ricerche si rimanda a Camaioni, 1997, 2000; Surian 1997.
Nonostante questi progressi l’autismo appare ancora oggi molto enigmatico, complesso e ricco di
sfaccettature. Gli attuali criteri diagnostici dell’autismo (DSM-IV; ICD-10) riguardano le seguenti
aree: interazione sociale reciproca, comunicazione (verbale e non verbale) e attività immaginativa,
ristretto repertorio di attività e interessi. I sintomi caratteristici che si possono dunque osservare
sono che lo sviluppo sociale e comunicativo è chiaramente atipico nei primi anni di vita e il gioco
che il bambino manifesta è solitamente connotato dalla mancanza di flessibilità, immaginazione e
finzione. Inoltre l’autismo può essere accompagnato da molte anomalie biologiche, come per
esempio epilessia, handicap mentale, patologie cerebrali. Alcuni studiosi ritengono che ci sia una
base genetica della malattia, dato che il rischio di autismo o di problemi ad esso collegati nei
gemelli omozigoti è sostanzialmente più alto di quanto ci si aspetterebbe se l’autismo fosse
semplicemente qualcosa che capita “per caso”. L’autismo è una patologia che dura per tutto il corso
della vita anche se, grazie agli interventi educativi e terapeutici, si possono ottenere notevoli
miglioramenti e apprendere varie strategie per adattarsi al mondo sociale. Le caratteristiche
fondamentali delle anomalie sociali dell’autismo sono la mancanza di contatto oculare, la mancanza
di normale consapevolezza sociale o di comportamento sociale appropriato, lo stare da soli,
l’unilateralità nelle interazioni e l’incapacità di unirsi a un gruppo sociale. Kanner, già nel 1943
diceva: “è come se questi bambini non distinguessero le persone dalle cose, o, almeno, come se non
gli importasse di questa distinzione”. Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985) avevano avanzato l’ipotesi
che tre dei sintomi cardinali dell’autismo (le anomalie nello sviluppo sociale, nello sviluppo
comunicativo e nel gioco di finzione) potessero essere il risultato del mancato sviluppo della teoria
della mente. Il mancato o anomalo sviluppo di una teoria della mente spiega anche le gravi
difficoltà che i bambini con autismo incontrano nel gioco di finzione, che risulta compromesso o
assente, mentre il gioco funzionale e combinatorio appare relativamente intatto. Nell’autismo si
trova un deficit piuttosto severo sia della capacità comunicativa che della abilità di attenzione
condivisa. I bambini con autismo tendono a non seguire la direzione dello sguardo dell’adulto non
alternando il proprio sguardo tra il volto dell’adulto e un oggetto o evento interessante (abilità che
precede la teoria della mente), tuttavia sono molto abili nel fare richieste. La presenza
dell’intenzione richiestiva e l’assenza dell’intenzione dichiarativa del gesto di indicare,
costituiscono una dissociazione caratteristica dello sviluppo comunicativo nei bambini con autismo.
Come
già
detto
in
precedenza,
l’intenzione
dichiarativa
sottende
una
comprensione
dell’interlocutore quale soggetto psicologico con cui condividere le proprie esperienze, essa
pertanto compare tardi nello sviluppo tipico (11-14 mesi) e risulta gravemente compromessa
nell’autismo.
Nella seconda metà degli anni ottanta l’interesse della teoria della mente si è concentrato sui
bambini e gli adolescenti con autismo grazie a compiti che valutano le loro capacità di comprendere
e predire il comportamento di un agente umano sulla base di variabili nascoste come le sue
intenzioni, convinzioni, emozioni e desideri: tipico al riguardo il compito di Sally-Ann (Peterson,
Siegal, 1995) adottato anche nel presente lavoro di Tesi con i bambini sordi (per una descrizione
dettagliata delle prove si rimanda al cap. 4, par. 4.3.6 di questa Tesi). In un esperimento assai noto
Baron-Cohen, Leslie e Frith (1985) mostrano come solo il 20% dei 20 bambini con autismo presi in
esame (età compresa fra i 6 e i 16 anni) superi il test Sally-Ann, versus l’85% dei 20 bambini con
sviluppo tipico (età compresa fra i 3 e i 5 anni) e l’85% dei 14 bambini con sindrome di Down (età
compresa fra i 6 e i 16 anni) appaiati per età mentale ai bambini con autismo. Le critiche che sono
state rivolte a questa ricerca attribuivano il fallimento dei bambini con autismo a una carente
comprensione linguistica della consegna del test e quindi alla difficoltà di capire appropriatamente
il significato delle domande poste dallo sperimentatore. Per escludere questa possibile
interpretazione, gli Autori hanno replicato l’esperimento
includendo un gruppo di controllo
composto da partecipanti con ritardo specifico del linguaggio, appaiati per età mentale verbale ai
bambini con autismo e hanno trovato che il 100% di essi rispondeva correttamente rispetto al 28%
dei bambini con autismo (Leslie, Frith, 1988). Inoltre è stato più volte usato uno strumento in parte
non verbale, anch’esso utilizzato con i partecipanti sordi e udenti di questa Tesi, ovvero le storie in
sequenza (Rhys-Jones e Ellis, 2000; adattamento Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1986). Il test è
composto da quattro immagini che, se riordinate correttamente nella loro sequenza, compongono
una storia. Le storie presuppongono o azioni causali di un personaggio su un oggetto inanimato, o
desideri e scopi di un personaggio, o la falsa credenza di un personaggio (per una descrizione
dettagliata delle prove si rimanda al cap. 4, par. 4.2.6 di questa Tesi). I risultati mostrano come i
bambini con autismo non abbiano difficoltà a comprendere e spiegare semplici avvenimenti causali
(ad es. “una bambina inciampa su un mattone e cade”), né situazioni comportamentali di routine (ad
es. “un bambino strappa di mano il gelato ad un compagno che scoppia a piangere”), mentre
esibiscono prestazioni assai carenti, sia in rapporto alla loro età mentale, sia nel confronto con altri
gruppi clinici, quando devono interpretare sequenze o storie di tipo mentalistico, che sono dotate di
senso solo se si attribuisce al protagonista un certo stato mentale (ad es. “un ragazzo lascia una
caramella in una scatola e va a giocare; mentre è via, a sua insaputa, la nonna mangia la caramella;
quando il ragazzo torna e non trova la caramella è sorpreso di trovare la scatola vuota”). Le persone
con autismo in questi casi tendono a interpretare il comportamento per quello che è, piuttosto che
per quello che può significare, ovvero in modo diretto e letterale, non cercando le intenzioni che
stanno dietro e che presumibilmente spiegano le azioni che osservano: senza possibilità quindi di
mentalizzare. La stessa incapacità, invece, non si osserva in altri gruppi con sviluppo atipico come i
bambini con ritardo mentale, con disturbo specifico del linguaggio, con sindrome di Down, sordi.
2.3 LA TEORIA DELLA MENTE NEI BAMBINI SORDI
Dagli anni novanta in poi l’interesse delle ricerche sulla teoria della mente si è rivolto anche
alla sordità: come si sviluppa la teoria della mente nei bambini sordi? Quanto le carenze linguistiche
e conversazionali di questi bambini incidono sullo strutturarsi di una teoria della mente? Ci sono
differenze fra i bambini sordi figli di genitori sordi o figli di genitori udenti? Ci sono differenze fra i
native signers e i late signers? Sono avvantaggiati i bambini che conoscono la lingua dei segni
rispetto a quelli rieducati secondo un metodo oralista? I bambini sordi con impianto cocleare vanno
meglio nei compiti di teoria della mente rispetto ai bambini con protesi acustiche convenzionali o
senza protesi? Queste e molte altre domande sono state oggetto del dibattito dei ricercatori di tutto il
mondo in questi ultimi anni.
Fra i primi studi condotti con partecipanti sordi, ricordiamo i due più importanti, ovvero
quello di Peterson e Siegal (1995) e quello di Russell et al. (1998):
Peterson e Siegal (1995)
Questa ricerca è stata condotta su 26 bambini con sordità profonda prelinguistica (20 maschi
e 6 femmine), che usano la lingua dei segni (Auslan), cognitivamente normodotati, di età compresa
fra gli 8,1 e i 13 anni (età media 10,7) di cui 24 su 26 provenienti da famiglie di udenti. Le prove di
teoria della mente utilizzate in tale ricerca sono Sally-Ann 1 e 2 (predizione di una falsa credenza).
Gli Autori adottano come criterio di riuscita al test il superamento di entrambe le prove. Dopo aver
esposto al bambino la situazione sperimentale (per una descrizione dettagliata delle prove si
rimanda al cap. 4, par. 4.3.6 di questa Tesi) gli viene fatta la domanda di falsa credenza standard:
“Where will Sally look for her marble?” e successivamente le due domande controllo, quella di
realtà: “Where is the marble really?” e quella di memoria: “Where (was) / did Sally put / the marble
in the beginning?”. Lo svolgimento della seconda prova avviene analogamente alla prima, a parte
che per le variazioni previste dal test stesso. I risultati di tale ricerca ci mostrano che solo 2 bambini
su 12 (i risultati sono calcolati su 12 bambini, e non 26, perché 14 di loro non hanno risposto
correttamente alla domande controllo di realtà e di memorie e sono dunque stati esclusi dalle
prove), ovvero il 17% del campione preso in esame, hanno risposto correttamente alle tre domande
e hanno quindi superato il test. La performance non sembra essere associata al quoziente
intellettivo, infatti superano le prove di falsa credenza bambini con un QI pari a 92,2 e falliscono
bambini con un QI pari a 103,6.
Confrontando i risultati di Peterson e Siegal con quelli di Baron-Cohen et al. (1985)
illustrati nel paragrafo precedente, vediamo che la prestazione percentuale dei bambini sordi (17%)
si avvicina molto a quella dei bambini con autismo (20%) e si discosta invece da quella dei bambini
con sindrome di Down (85%). Tali studi evidenziano quindi che i bambini con sordità grave e
profonda, come i bambini con autismo, presentano una performance deficitaria alle prove di teoria
della mente basate sulla predizione di una falsa credenza. Gli Autori ritengono dunque che ci sia un
deficit nella costruzione della teoria della mente dei bambini con sordità grave o profonda,
ipotizzando che le carenze conversazionali precoci relative a stati mentali di questi bambini con le
loro famiglie udenti, ed in particolare con la madre, vadano a ledere la possibilità di una normale
costruzione della teoria della mente e della sua successiva strutturazione: “A deaf or autistic child
who lacks conversational access to other people’s mental state at the critical point when these
maturational changes are occurring could suffer enduring handicaps in mental state cognition”.
Russell, Hosie, Gray, Scott, Hunter (1998)
La seconda ricerca, invece, è stata condotta su 32 bambini con sordità prelinguistica grave o
profonda, di età compresa fra i 4 e 16 anni, di cui 30 figli di genitori udenti. La suddivisone del
campione è avvenuta in base all’età:
•
12 bb. 4,9 – 7,11 anni (media EC= 6,7;);
media QI = 105,8
•
10 bb. 8,9 – 12,6 anni (media EC= 10,11;);
media QI = 102,5
•
10 bb. 13,6 – 16,11 anni (media EC= 15,5;); media QI = 91,8
Le prove utilizzate, come nella ricerca precedente, sono Sally-Ann 1 e 2 ma con delle
variazioni degli Autori che prevedono l’uso di due bamboline, una maschio e l’altra femmina, e
l’uso di un aereoplanino anziché della biglia. Dopo aver esposto al bambino la situazione
sperimentale gli viene fatta la domanda di falsa credenza standard: “Where will J/M look for the
aeroplane?” e successivamente le due domande controllo, quella di realtà e quella di memoria. Lo
svolgimento della seconda prova avviene analogamente alla prima, a parte che per le variazioni
previste dal test stesso. I risultati di tale ricerca ci mostrano che solo 9 bambini su 32, ovvero il 28%
superano i test. Anche in questo caso il test viene superato solo se si risponde correttamente a
ciascuna delle tre domande di entrambe le prove (cfr. Peterson e Siegal: 17%; Baron-Cohen et al.:
20%). Se invece andiamo a vedere nel dettaglio le prestazioni dei bambini rispetto alla suddivisione
per fasce d’età, osserviamo che le prove vengono superate dal 17% dei bambini più piccoli, dal 10%
della fascia d’età intermedia e dal 60% dei più grandi con un netto miglioramento nella
performance di questi ultimi rispetto ai più piccoli:
•
12 bb., 4,9 – 7,11 anni (media EC= 6,7)
1) 2/12 (17%)
•
10 bb. 8,9 – 12,6 anni (media EC= 10,11)
2) 1/10 (10%)
•
10 bb. 13,6 – 16,11 anni (media EC= 15,5)
3) 6/10 (60%)
La performance sembra dunque associata all’età ma, anche in questo caso, non al quoziente
intellettivo.
Complessivamente si può dire che questa ricerca, oltre a confermare i risultati ottenuti da
Peterson e Siegal (1995) sulle difficoltà dei bambini con sordità grave o profonda in compiti di
teoria della mente, introduce anche un nuovo concetto, ovvero quello del RITARDO anziché del
DEFICIT: “the theory of mind abilities of deaf children are most appropriately described as being
subject at developmental delay”. Per “ritardo” si intende un “ritardo di sviluppo nell’acquisizione di
una teoria della mente”.
In base all’idea innovativa di Russell e collaboratori di un ritardo anziché di un deficit, nasce
fra gli sperimentatori l’esigenza di indagare se vi sono delle differenze significative nei bambini
sordi figli di genitori udenti, rispetto ai bambini sordi figli di genitori sordi segnanti, che non
dovrebbero quindi avere quelle carenze conversazionali precoci relative a stati mentali che Peterson
e Siegal avevano individuato come possibile problema nella costruzione di una teoria della mente.
Partendo proprio da questi presupposti teorici, Courtin e Melot (1998), conducono una ricerca con
bambini sordi figli di genitori sordi, bambini sordi figli di genitori udenti e bambini udenti come
gruppo di controllo. I bambini sordi figli di genitori sordi ottengono migliori risultati, in prove di
falsa credenza, rispetto sia ai bambini sordi figli di udenti, sia ai bambini udenti. Gli Autori
ipotizzano dunque che ciò possa dipendere da una precoce esposizione al perspective-taking visivo
(una caratteristica centrale nelle lingue dei segni).
Successivamente, sempre Peterson e Siegal (1999) conducono uno studio su 59
bambini
con Sordità di età compresa fra i 5,6 anni e i 13 anni (età media 9,5 anni), così suddivisi:
•
11 Bse-GS (Bambini segnanti - Genitori Sordi)
•
14 Bor-GU (Bambini educazione oralista – Genitori Udenti)
•
34 Bse-GU
(Bambini segnanti – Genitori Udenti)
La ricerca comprende inoltre 22 bambini con autismo con età media 9,6 anni e 21 bambini
udenti con età media 4,6 anni. Le prove che vengono loro somministrate sono Sally-Ann 1 e 2, e
Smarties (Perner, Frith, Leslie e Leekam, 1989). I risultati si presentano come segue:
Sally-Ann
Smarties
59 bb. sordi
-
11 Bse-GS
82%
100%
-
14 Bor-GU
64%
71%
-
34 Bse-GU
38%
59%
22 bb. con Autism
50%
68%
21 bb. udenti
86%
90%
I bambini sordi figli di genitori sordi ottengono delle prestazioni notevolmente buone sia
intragruppo che intergruppo. Infatti i bambini sordi figli di genitori sordi sono coloro che hanno
delle performance decisamente soddisfacenti rispetto ai bambini sordi degli altri due gruppi e
rispetto al gruppo di controllo in cui ottengono dei risultati pari o addirittura migliori. Inoltre, se si
considera la famiglia di provenienza dei bambini sordi, si osserva una pronunciata differenza
rispetto al gruppo di bambini con autismo, a differenza di quanto precedentemente detto in
letteratura.
Anche Courtin (2000) conduce una ricerca con bambini sordi segnanti figli di genitori sordi,
bambini sordi segnanti figli di genitori udenti e bambini educati secondo il metodo oralista, quindi
non segnanti, figli di genitori udenti. Il campione preso in esame è costituito da 194 bambini
francesi di cui 155 sordi di età compresa fra i 5 e gli 8 anni e 39 bambini udenti di età compresa fra
i 4 e i 6 anni. Le prove che vengono loro somministrate sono Sally-Ann (2 prove) e Smarties ma, a
differenza delle ricerche precedenti, il criterio di riuscita che viene adottato è quello del
superamento di 2 prove su 3 (fra Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties). I risultati si presentano
come segue:
Superano 2/3 prove
155 bb. sordi
•
1) Bse- GS (media EC 6,6)
90%
•
2) Bse- GU (media EC 7,4)
45%
•
3) Bor- GU (media EC 6,11)
28%
39 b. udenti (media EC 5,1)
39%
I risultati ci mostrano che i bambini segnanti in generale vanno meglio dei bambini con
educazione oralista. Nel particolare vediamo invece che i bambini sordi segnanti figli di genitori
sordi ottengono risultati migliori sia rispetto ai bambini sordi segnanti figli di genitori udenti, sia
rispetto ai bambini udenti, anche se l’Autore afferma che tali differenze non siano statisticamente
significative. L’unico gruppo ad avere una scarsa performance è quello dei bambini non segnanti
figli di genitori udenti.
Sempre nel 2000 Peterson e Siegal, volendo tirare le somme di tutte le ricerche più
importanti condotte sul tema teoria della mente e sordità, fanno una rassegna di 11 studi, pubblicati
tra il 1995 e il 2000, con prove di falsa credenza in bambini sordi late signers (bambini sordi che
hanno acquisito tardi la lingua dei segni e per i quali quindi non si può parlare di lingua madre) e in
bambini sordi native signers (bambini sordi segnanti, figli di genitori sordi segnanti). Da questa
rassegna si evince chiaramente che nonostante la normale intelligenza e l’assenza delle
compromissioni tipiche dell’autismo, i risultati dei late signers convergono su un deficit nello
sviluppo della teoria della mente paragonabile a quello evidenziato nei bambini con autismo ad alto
funzionamento. Risultati simili si ottengono anche nei bambini sordi figli di genitori udenti educati
secondo il metodo oralista e quindi non segnanti (Peterson e Siegal, 2000: rassegna di 7 studi). Ad
esempio, la ricerca di de Villiers e de Villiers (1999) condotta su 23 bambini sordi tutti educati
secondo il metodo oralista (età compresa fra i 4 e i 9 anni), mostra che il 57% dei bambini supera
Sally-Ann e il 38% supara Smarties dimostrando che, sebbene questo campione ottenga dei risultati
migliori rispetto ad altre ricerche condotte in precedenza (17% di Peterson e Siegal, 1995; 28% di
Russell et al., 1998), la percentuale di superamento del test è ancora molto lontana da quella del
gruppo di controllo udente. Per quanto riguarda i native signers, invece, si vede come la teoria della
mente venga acquisita negli stessi tempi dei bambini udenti e venga padroneggiata con altrettanta
sicurezza. I bambini sordi i cui genitori sordi sono fluenti nella lingua dei segni risolvono i compiti
di falsa credenza meglio dei bambini sordi i cui genitori udenti non usano la lingua dei segni
(Peterson, Siegal, 1997).
Grazie a questo nuovo indirizzo di ricerca, ci si rende ben presto conto che il deficit
nell’acquisizione della teoria della mente non può essere attribuito alla sordità in sé, in quanto i
native signers presentano risultati migliori, nelle prove di teoria della mente, rispetto ai bambini
sordi late signers e ai bambini sordi educati oralmente (Peterson e Siegal, 1999, 2000; Remmel et
al., 1998). Addirittura secondo alcuni studi, i native signers sembrano acquisire una comprensione
delle false credenze anche prima dei bambini udenti (Courtin e Melot, 1998; Courtin, 2000):
Courtin parla infatti di un beneficial effect delle lingue dei segni rispetto allo sviluppo della teoria
della mente: l’uso della sintassi e della grammatica nelle lingue dei segni richiede infatti
l’assunzione di prospettive multiple, ad esempio un segnante può cambiare l’uso referenziale
prendendo le prospettive di differenti personaggi all’interno di una storia. L’Autore suggerisce che
l’esposizione e l’uso della lingua dei segni possa quindi agevolare i bambini sordi segnanti, e in
particolare quelli figli di sordi, nel superamento di compiti in cui occorre considerare la prospettiva
spaziale e visuale di un’altra persona: tale abilità è un requisito fondamentale dell’acquisizione della
teoria della mente.
Della stessa opinione sembrano essere anche Remmel, Bettger e Weinberg (2001) i quali
affermano che i bambini sordi figli di genitori udenti mostrano un ritardo nella comprensione di
rappresentazioni mentali, cosa che non avviene invece per i bambini sordi figli di genitori sordi. Ciò
indica che né l’uso della lingua dei segni (versus la lingua parlata), né l’assenza dell’input uditivo in
sé, causano un ritardo nello sviluppo della teoria della mente; anzi, al contrario, l’uso della lingua
dei segni, secondo gli Autori, può promuovere un precoce sviluppo della teoria della mente. Infatti i
bambini sordi figli di genitori udenti, che non usano la lingua dei segni, non presentano le stesse
difficoltà riscontrate nei compiti di teoria della mente in altri test di equivalente complessità logica e
linguistica che riguardano però altri domini: ciò indica che la loro difficoltà nei compiti di
comprensione di rappresentazione mentale non è semplicemente dovuta all’eventuale ritardo nello
sviluppo generale o alle richieste dei compiti linguistici, bensì ad uno scarso o assente
padroneggiamento della lingua dei segni. Infine gli Autori ritengono che, anche se molti bambini
sordi figli di genitori udenti presentano notevoli difficoltà nel comprendere gli stati mentali, ciò non
significa che manchino del tutto di una teoria della mente.
Alla luce quindi di queste nuove ricerche mentre per i bambini con autismo si continua a
parlare di deficit (tali capacità non vengono acquisite successivamente), per i bambini sordi non si
parla più di DEFICIT ma di RITARDO per vari motivi: intanto non tutti i bambini sordi presentano
difficoltà nella teoria della mente (abbiamo visto che i native signers acquisiscono la teoria della
mente con gli stessi tempi dei loro coetanei udenti se non addirittura prima); i bambini sordi che
invece paiono non possedere una teoria della mente alla stessa età in cui la possiedono i bambini
udenti, sembrano recuperare questo svantaggio acquisendo tali capacità in un secondo momento,
come a dire che nei bambini sordi la performance alla prova di teoria della mente è strettamente
associata all’età (soprattutto se si parla di bambini sordi figli di genitori udenti). In seguito a questi
nuovi studi, i ricercatori continuano a ritenere che una delle possibili cause di questo ritardo
d’acquisizione nei late signers e nei bambini sordi educati oralmente sia, ancora una volta, una
carenza di esperienze conversazionali precoci relative agli stati mentali: la difficoltà di
comunicazione e di interazione di questi bambini con i propri genitori, porterebbe ad un
impoverimento generale dei contenuti conversazionali, che si ridurrebbero a mere comunicazioni
sui fatti e sugli eventi del mondo; la possibilità di parlare degli stati mentali propri ed altrui, di
mentalizzare per spiegare ciò che accade intorno al bambino, viene molto ridotta, se non quasi del
tutto annullata, in quelle famiglie in cui i genitori udenti e i figli sordi non condividono uno stesso
codice linguistico. Inoltre, il senso di inadeguatezza dei genitori nel comunicare con il proprio figlio
sordo, li porterà a ridurre le comunicazioni in generale e quelle mentalistiche in particolare e
viceversa lo sforzo del bambino sordo nell’usare una lingua che viaggia per lui su un canale
deficitario e che è stata acquisita solo grazie ad un apprendimento formale e non spontaneo, fa sì
che le sue produzioni siano ridotte.
Proprio nell’ottica di indagare il ritardo di acquisizione della teoria della mente nei bambini
sordi non seganti o seganti tardivi, e soprattutto l’entità del ritardo, Figueras-Costa e Harris (2001)
conducono una ricerca su 21 bambini con sordità grave o profonda educati oralmente, non segnanti.
Questi 21 bambini vengono suddivisi in due gruppi in base all’età cronologica: I gruppo, bambini
con età media 5 anni; II gruppo, bambini con età media 9 anni. I risultati ottenuti nelle prove SallyAnn mostrano che solo il 9% dei bambini del primo gruppo superi i test, versus il 50% dei bambini
del secondo gruppo.
Risultati simili si ottengono anche nello studio di Lundy (2002) condotto su 9 bambini sordi
educati oralmente di età media 7,10 anni (età compresa fra i 5 e i 10 anni) suddivisi in due gruppi in
base all’età cronologica: I gruppo, bambini dai 5 ai 7 anni; II gruppo, bambini dagli 8 ai 10 anni.
Lundy somministra 9 test di falsa credenza e ritiene superata la prova se si risponde correttamente a
5 test su 9. Nessuno dei bambini del gruppo dei piccoli supera la prova, a differenza del gruppo dei
grandi in cui tutti superano la prova.
Queste ricerche mettono in evidenza come la riuscita in compiti di teoria della mente sia per
i bambini sordi, e in particolare per quelli non segnanti, fortemente collegata all’età. Da queste
ricerche sembra che i bambini sordi educati oralmente non segnanti padroneggino la comprensione
delle false credenze dagli 8/9 anni d’età in poi.
Un’ulteriore ricerca di Courtin e Melot (2005), ci mostra come questo ritardo di 3-5 anni
osservato da Figueras-Costa e Harris (2001) e da Lundy (2002) per quanto riguarda i bambini sordi
educati oralmente non segnanti, non riguardi assolutamente i bambini sordi figli di genitori sordi.
Gli Autori conducono una ricerca su 28 bambini sordi figli di genitori sordi, 60 bambini sordi figli
di genitori udenti e 36 bambini udenti, tutti di un’età compresa fra i 5 e i 7 anni. Le abilità
metacognitive dei partecipanti vengono testate tramite due compiti: un paradigma apparenza-realtà
(Flavell, Flavell, Green, 1983) e delle prove classiche di falsa credenza (Wimmer, Perner, 1983;
Hogrefe, Wimmer, Perner, 1986). I risultati mostrano che la precoce esposizione dei bambini sordi
figli di genitori sordi alla lingua dei segni agevola le performance in entrambi i compiti di teoria
della mente rispetto ai bambini sordi figli di genitori udenti. Quindi mentre i bambini sordi figli di
genitori udenti ottengono dei risultati peggiori rispetto al gruppo di controllo udente, i native
signers ottengono dei risultati equivalenti a quelli dei bambini udenti nel paradigma apparenzarealtà e li superano nel compito di falsa credenza. Ciò che gli Autori ritengono fondamentale per lo
sviluppo della teoria della mente è infatti la precoce esposizione alla lingua, nonché l’essere native
speakers (siano essi bambini udenti che parlano o bambini sordi che segnano). L’acquisizione della
lingua dei segni rispetto alla lingua vocale però sembra, secondo gli Autori, un vantaggio nell’ottica
dello sviluppo della teoria della mente.
L’interesse dei ricercatori si volge in ultimo a considerare quanto l’impianto cocleare (cfr.
cap.1, par. 1.1 della presente Tesi) possa facilitare o meno i bambini sordi nella costruzione della
teoria della mente. A tal riguardo viene riportato uno studio di due anni fa di particolare interesse.
Peterson (2004) conduce una ricerca su 52 bambini australiani (età compresa fra i 4 e i 12 anni),
così suddivisi:
•
13 bb. sordi con impianto cocleare (intervento effettuato tra 2 e 5 anni)
Età 4,2-11,2 (media EC= 8); genitori udenti; EMV 5,11 aa
•
13 bb. sordi con protesi convenzionali
Età 5-12,1 (media EC= 7,6); genitori udenti; EMV 6,10 aa
•
9 bb. con autismo
Età 5,3 – 12,6 (media EC= 8,6); EMV 7,3 aa
•
17 bb. udenti
Età 4,1-5,8 (media EC= 4,10); EMV 5,11 aa
L’età mentale verbale viene calcolata tramite il Peabody Test, mentre l’età mentale non
verbale tramite il Goodenough-Harris. La batteria di teoria della mente che viene somministrata ai
partecipanti prevede tre prove di falsa credenza standard, ovvero Sally-Ann (2 prove) e Smarties. La
procedura di somministrazione prevede invece degli incontri individuali effettuati nella seguente
modalità: “Tester spoke loudly and distinctly and visible lip movement or manual translation”. I
risultati, che qui riassumiamo, mostrano come vi siano delle differenze statisticamente significative
nelle prove di falsa credenza tra gli udenti e i tre gruppi clinici, mentre non vi siano differenze
significative all’interno dei tre gruppi clinici, ovvero sordi con impianto coclearie, sordi con protesi
acustiche convenzionali e bambini con autismo. Si osserva inoltre un forte effetto dell’età
cronologica ma non della EMV o della EMNV o del sesso (tutte e tre calcolate con l’ANOVA).
Infatti i bambini sordi, ancora una volta, superano tutte le prove di teoria della mente solo dopo i 9
anni d’età. Inoltre non si osserva un beneficio nello sviluppo del linguaggio nei bambini sordi con
impianto cocleare rispetto ai bambini sordi con protesi acustiche convenzionali. Sembra che il
livello generale di sviluppo linguistico, verbale e non verbale, predica la riuscita nelle prove di falsa
credenza (calcolata tramite la regressione multipla). In ultimo si può concludere dicendo che i
bambini con sordità grave o profonda senza segnanti nativi in famiglia, presentano secondo
Peterson, un ritardo nell’acquisizione della teoria della mente di 3-5 anni rispetto ai bambini udenti,
simile ai bambini con autismo ad alto funzionamento senza ritardo mentale.
Una considerazione conclusiva che si ritiene necessaria fare alla fine di questa breve
rassegna, è che molto poco ci viene detto in queste ricerche circa la metodologia adottata.
Trattandosi di bambini sordi segnanti o meno, si ritiene invece fondamentale che la procedura di
somministrazione delle prove sia adatta e pensata per il campione in esame. Sovente la
somministrazione dei test degli studi illustrati è stata fatta in lingua vocale, altre volte tramite
l’ausilio di un interprete, altre volte ancora direttamente effettuata da sperimentatori udenti segnanti,
in un solo caso da una sperimentatrice sorda segnante: si ritiene che, per quanto le competenze di
uno sperimentatore udente segante possano essere buone, non siano comunque pari a quelle di uno
sperimentatore sordo segnante nativo. Per essere dunque sicuri che le difficoltà dei bambini sordi
(in particolare quelli seganti nativi) non siano legate in nessun modo a incomprensioni nella
consegna dei test e quindi a problemi metodologici, si ritiene necessario che le prove vengano
somministrate da sperimentatori che usano la stessa “lingua” del bambino e quindi sordi
(possibilmente segnanti nativi) nel caso di bambini sordi segnanti nativi. Inoltre molto poco si sa
circa le competenze linguistiche dei bambini sordi presi in esame: spesso ci si è affidati a quanto
dicevano gli insegnanti e gli educatori senza verificare che questi giudizi corrispondessero poi a dati
sperimentali reali, mentre, in altri casi, le abilità linguistiche non sono proprio state indagate. Il
problema metodologico comunque non si esaurisce con la sola scelta della lingua da usare, del
somministratore più idoneo o della valutazione delle altre competenze, ma è un’attenzione
imprescindibile che si dovrebbe avere nell’accostarsi alla valutazione di qualsivoglia competenza
nei bambini sordi.
Riassumendo quanto fin’ora detto sulla teoria della mente nei bambini sordi, le ricerche
sono concordi nel ritenere che non si possa parlare di deficit (come per i bambini con autismo),
bensì di ritardo d’acquisizione; che l’entità di tale ritardo sia di 3-5 anni circa rispetto ai bambini
udenti; che i bambini sordi seganti nativi figli di genitori sordi segnanti acquisiscano la teoria della
mente con gli stessi tempi dei bambini udenti, a differenza invece dei bambini sordi seganti con
genitori udenti e dei bambini sordi non segnanti; che i bambini sordi con impianto cocleare non
siano avvantaggiati rispetto ai bambini sordi con protesi acustiche convenzionali nell’acquisizione
della teoria della mente. L’indagine che in questo lavoro di Tesi si è voluta svolgere circa le
competenze in teoria della mente di bambini sordi, nasce proprio dai presupposti teorici illustrati in
questo paragrafo.
PARTE II
LA RICERCA
CAPITOLO 3: SCOPI E METODOLOGIA DELLA RICERCA
3.1 GLI SCOPI DELLA RICERCA
La presente ricerca ha principalmente tre scopi.
In primo luogo quello di adattare o costruire degli strumenti di valutazione che siano idonei
per le persone sorde. Come precedentemente detto, le abilità dei bambini sordi vengono
prevalentemente valutate con strumenti pensati e tarati per i bambini udenti, e quindi in lingua
vocale, ovvero l’italiano orale e scritto. Perciò i test esistenti si rivelano spesso non adeguati alla
valutazione delle competenze dei bambini sordi perché li penalizzano valutandoli su una lingua che
viaggia su un canale per loro deficitario (acustico-vocale). Inevitabile conseguenza è che le abilità
di questi bambini vengano sottostimate: a tal fine diviene importante avere degli strumenti che ci
permettano di determinare se i ragazzi sordi possiedono queste stesse competenze in Lingua dei
Segni Italiana (LIS), una lingua che viaggia sul canale per loro integro (visivo-gestuale), come a
dire che l’attenzione è rivolta alle “competenze linguistiche” in generale e non alla lingua in cui
queste si esplicano. Questa esigenza nasce innanzitutto dalla convinzione che si debbano valutare le
competenze che un individuo ha, rispetto a quelle che non ha; che sia più “ecologico” partire dai
punti di forza piuttosto che dai punti di debolezza; che il processo di riabilitazione circa le possibili
carenze o lacune individuali debba iniziare dalla base di competenze e capacità possedute; che se
un gruppo di bambini, in particolare quelli con sviluppo atipico, ha delle difficoltà nel superamento
di alcune prove sperimentali, ci si deve innanzitutto chiedere se la difficoltà non risieda negli
strumenti che abbiamo scelto di utilizzare per tale valutazione, piuttosto che nella valutazione
stessa; che l’attenzione metodologica non è solo un virtuosismo intellettuale, bensì un requisito
fondamentale per chiunque voglia fare ricerca. In questo lavoro ci si propone dunque l’arduo
compito di adattare, ideare e costruire una serie di strumenti che possano essere quanto più idonei
possibili per i bambini sordi presi in esame.
Il secondo obiettivo è quello di valutare diversi aspetti delle competenze linguistiche: le
abilità lessicali in comprensione e produzione e le abilità narrative. Per una stima di tali capacità si
sono utilizzati, previo adattamento, strumenti analoghi a quelli utilizzati abitualmente per la lingua
vocale. Dove possibile si è stati attenti nel costituire dei materiali videoregistrati tali da permettere
che la somministrazione non debba necessariamente essere condotta da sperimentatori sordi o
udenti con buone competenze in LIS, in modo di garantire una ripetibilità delle prove e una
somministrazione identica per ogni partecipante.
Il terzo obiettivo è quello di valutare l’acquisizione della teoria della mente tramite compiti
di falsa credenza e di riordino di storie in sequenza. Come precedentemente discusso, diversi Autori
ritengono che lo strutturarsi della teoria della mente sia strettamente collegato al padroneggiamento
di altre capacità fra cui, in particolare, il linguaggio. I bambini sordi, che sovente hanno difficoltà
linguistiche (almeno in lingua vocale) ma capacità cognitive intatte, divengono quindi un
importante “test” per la verifica di tale ipotesi.
Ciò che si tiene in ultimo a sottolineare è che, partendo dalla convinzione che una
valutazione appropriata delle abilità dei bambini sordi richieda un approccio globale, sono stati
presi degli accordi con altri gruppi di ricerca italiana al fine di ideare una valutazione quanto più
possibile “a 360°”. Se nel presente lavoro ci si concentra in particolar modo sulle competenze
linguistiche in LIS in bambini sordi in età scolare, nel gruppo di Padova (Dott.ssa B. Arfè), le stesse
competenze da noi indagate in LIS, sono state valutate in italiano orale e scritto, su molti dei
bambini e dei ragazzi sordi che hanno partecipato alla presente ricerca. Inoltre la parte dell’analisi
sintattico-grammaticale, assente in questo lavoro, è stata valutata in LIS dal gruppo di ricerca di
Trieste che si è inoltre interessato anche alla teoria della mente. Sempre nel nostro Istituto, per di
più, (Istituto si Scienze e Tecnologie della Cognizione, CNR), la Dott.ssa M.C. Caselli e il Dott.
Rinaldi, si stanno occupando della valutazione delle competenze linguistiche in bambini sordi
prescolari. Sarà cura dunque di questi diversi centri di ricerca confrontarsi circa i dati ottenuti al
fine di costituire due protocolli di valutazione che siano indirizzati uno ai bambini prescolari e
l’altro ai bambini e ragazzi dai sei anni in su. Questi protocolli comprenderanno la valutazione
linguistica della abilità di vocabolario (comprensione e produzione), la valutazione sintatticogrammaticale, la valutazione delle abilità narrative e della teoria della mente, nelle tre modalità:
segnato, parlato e scritto.
3.2 PARTECIPANTI
Gruppo di partecipanti sordi
Le informazioni riguardanti i partecipanti sordi qui di seguito riportate sono state raccolte
tramite un questionario anamnestico (Arfè, 2002) compilato quasi totalmente dai genitori dei
bambini, tranne che per la parte riguardante il giudizio sulla competenza in segni e in comprensione
e produzione dell’italiano orale del bambino, compilato invece dalle insegnanti curriculari.
I criteri di inclusione nel campione sono i seguenti:
1) grado di sordità grave o profonda;
2) assenza di disturbi o deficit associati alla sordità;
3) buona conoscenza della LIS;
4) quoziente intellettivo pari o superiore a 83.
Il campione della ricerca è costituito da 30 bambini e ragazzi sordi, di cui 14 femmine e 16
maschi, di un’età compresa fra i 6 e i 14 anni e mezzo. Quindici bambini e ragazzi provengono da
scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (cfr cap.1, par. 1.5), gli altri quindici
provengono invece da una scuola bilingue (cfr cap.1, par. 1.5). I bambini e ragazzi sordi
frequentano dalla 1ª elementare alla 3ª media e vivono tutti in Piemonte. La maggior parte di loro è
nata in Piemonte tranne qualche eccezione (due bambini sono nati in Sicilia, una in Calabria e una
in Romania). Inizialmente hanno preso parte allo studio trentatré studenti, ma, di questi, tre non
sono stati inclusi nel campione o perché presentavano altri problemi al di là della sordità, o perché
la loro sordità non era abbastanza importante, o perché le scarse competenze in LIS non lo
permettevano, o perché il loro quoziente intellettivo, calcolato tramite la prova non verbale VMI,
risultava essere al di sotto degli 83 punti.
SCUOLA DI
PROVENIENZA
Scuola bilingue
1
Scuola bilingue
2
Scuola bilingue
3
Scuole
ordinarie con A.C.
4
Scuole ordinarie con A.C.
5
Scuole ordinarie con A.C.
6
Scuola bilingue
7
Scuole ordinarie con A.C.
8
Scuola bilingue
9
Scuola bilingue
10
Scuola bilingue
11
12 Scuole ordinarie con A.C.
Scuola bilingue
13
14 Scuole ordinarie con A.C.
15 Scuole ordinarie con A.C.
16 Scuole ordinarie con A.C.
Scuola bilingue
17
18 Scuole ordinarie con A.C.
Scuola bilingue
19
20 Scuole ordinarie con A.C.
21 Scuole ordinarie con A.C.
Scuola bilingue
22
Scuola bilingue
23
Scuola bilingue
24
Scuola bilingue
25
Scuola bilingue
26
27 Scuole ordinarie con A.C.
28 Scuole ordinarie con A.C.
29 Scuole ordinarie con A.C.
30 Scuole ordinarie con A.C.
Tabella 1: dati anamnestici (1)
SESSO
f
m
m
m
f
m
f
f
m
m
f
m
f
m
m
m
f
m
m
m
f
m
f
f
f
f
m
m
f
f
ETA'
6,1
7,5
8
8,9
8,11
9,1
9,4
9,5
9,7
9,11
10,7
11
11,2
11,3
11,4
11,8
11,9
11,11
12,7
12,7
12,9
12,10
13,3
13,4
13,6
13,9
13,9
14
14,6
14,6
CLASSE
1ª elem.
2ª elem.
2ª elem.
3ª elem.
3ª elem.
3ª elem.
4ª elem.
3ª elem.
4ª elem.
4ª elem.
5ª elem.
4ª elem.
5ª elem.
5ª elem.
5ª elem.
1ª media
5ª elem.
5ª elem.
2ª media
2ª media
2ª media
2ª media
3ª media
2ª media
3ª media
3ª media
2ª media
3ª media
3ª media
3ª media
PROVENIENZA
Sicilia
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Romania
Piemonte
Sicilia
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Calabria
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Piemonte
Si è ritenuto rilevante avere delle informazioni circa i genitori dei bambini in questione (i
dati non riportati in tabella non sono pervenuti): 23 bambini hanno i genitori udenti, 5 hanno i
genitori sordi mentre 2 hanno il padre sordo e la madre udente. In diverse famiglie, nonostante i
genitori siano udenti, viene quotidianamente usata la LIS. Complessivamente il livello
socioculturale è medio-basso e il grado di istruzione oscilla fra la Licenza media e il Diploma
superiore.
PADRE
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
PADRE
sordo
udente
udente
sordo
udente
udente
sordo
udente
sordo
udente
udente
udente
udente
sordo
sordo
udente
udente
udente
udente
udente
sordo
udente
udente
udente
udente
udente
udente
udente
USO
LIS
sì
no
no
sì
sì
sì
sì
PROFESSIONE
pensionato
meccanico
muratore
impiegato
operaio
coll. scolastico
pensionato
MADRE
TITOLO
STUDIO
dipl. sup.
dipl. sup.
dipl. sup.
no
sì
no
operaio
operaio
no
sì
sì
no
no
sì
sì
no
sì
no
no
sì
no
postino
operaio
operaio
meccanico
muratore
pensionato
tecnico
operaio
impiegato
medico
postino
commerciante
impiegato
sì
operaio
autista
operaio
laurea
lic. media
lic. media
lic. media
lic. media
dipl. sup
dipl. sup
lic. media
laurea
lic. media
dipl. sup
lic. media
MADRE
udente
udente
udente
sorda
udente
udente
udente
udente
sorda
udente
udente
udente
udente
sorda
sorda
udente
udente
udente
udente
udente
sorda
udente
udente
udente
udente
udente
udente
udente
udente
udente
USO
LIS
sì
no
sì
sì
sì
sì
sì
no
sì
poco
sì
sì
sì
sì
no
no
sì
sì
no
sì
no
sì
sì
no
no
sì
sì
sì
sì
PROFESSIONE
insegnante
casalinga
casalinga
impiegata
casalinga
casalinga
insegnante
operaia
operaia
dipendente
educatrice
operaia, cuoca
operaia
operaia
parrucchiera
impiegata
segretaria
casalinga
operaia
logopedista
commerciante
insegnante
impiegata
casalinga
casalinga
assistente
operaia
TITOLO
STUDIO
dipl. sup.
dipl. sup.
lic. media
dipl. sup.
dipl. sup.
laureabreve
dipl. sup.
lic. media
lic. media
lic. media
lic. media
lic. media
dipl. sup.
lic. media
lic. media
dipl. sup
lic. media
dipl. sup
lic. media
Tabella 2: dati anamnestici (2)
Per quanto concerne il grado di sordità, come si può osservare dalla tabella sottostante, la
maggior parte dei bambini ha una sordità grave (con soglia fra 70 e 90 decibel7), una minoranza
7
La classificazione è del Bureau International d’Audiophonologie.
invece profonda (con soglia uguale o superiore ai 90 decibel), tutti con una soglia uditiva sempre >
70 dB ovvero senza percezione del parlato; sono stati esclusi dal campione i bambini con sordità
media (con soglia tra 40 e 70 decibel) e lieve (con soglia tra 20 e 40 decibel). Il tipo di sordità è per
la maggioranza neurosensoriale bilaterale, ma si osserva anche un’elevata percentuale di bambini
con sordità congenita. Importante sottolineare come molti genitori non abbiano risposto alla
domanda sull’età della diagnosi della sordità. La scoperta della sordità del proprio figlio, soprattutto
quando non prevista, è vissuta dalla famiglia come un lutto a cui si abbinano sensi di colpa materni
riferiti al periodo della gravidanza, nonché il rifiuto dell’accettazione della diversità e della
delusione delle aspettative genitoriali (Bosco, 1993; Bosi et al., 1995; Maragna, 2000). Si ipotizza
dunque che il “non ricordare” l’età della diagnosi di sordità del proprio figlio possa essere
fortemente legato alla sfera psicologica più che ad un effettivo problema mnemonico, ciò è inoltre
aggravato dal fatto che fra i primi sospetti di sordità, e la diagnosi vera e propria, può effettivamente
passare anche molto tempo. Quasi tutti i bambini fanno uso regolare di protesi acustiche.
SORDITA’
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
PROTESI
TIPO DI SORDITA’
GRADO
congenita, neurosensoriale, bilaterale
bilaterale, postlinguistica
bilaterale, prelinguistica
congenita, bilaterale
congenita, neurosensoriale, bilaterale
congenita, neurosensoriale, bilaterale
neurosensoriale, bilaterale
congenita, neurosensoriale, bilaterale
neurosensoriale, bilaterale
neurosensoriale, bilaterale
postnatale, bilaterale, prelinguistica
bilaterale
neurosensoriale, bilaterale
congenita, bilaterale
congenita, bilaterale
congenita, neurosensoriale, bilaterale
neurosensoriale, bilaterale
congenita, bilaterale
perinatale, neurosensoriale,bilaterale
postnatale, prelinguistica, bilaterale
congenita, neurosensoriale, bilaterale
neurosensoriale, bilaterale
neurosensoriale
perinatale, neurosensoriale,bilaterale
neurosensoriale
grave
grave
grave
profonda
profonda
grave
grave
grave
grave
grave
grave
grave
grave
profonda
grave
grave
grave
grave
grave
grave
profonda
grave
profonda
grave
grave
ETA’
USO
DIAGNOSI REGOLARE
sì
sì
parzialmente
5 anni
1 anno
sì
sì
sì
sì
sì
sì
sì
sì
sì
5 anni
2 anni
no
sì
sì
sì
sì
3 anni
3 anni
6 anni
no
sì
sì
sì
sì
neurosensoriale
26
27 congenita, neurosensoriale, bilaterale
bilaterale
28
bialterale
29
congenita, causa ereditaria
30
Tabella 3: dati anamnestici (3)
grave
grave
grave
grave
grave
2,6 anni
sì
sì
no
no
primi mesi
E’ stato inoltre chiesto ai genitori il tipo di educazione che avevano scelto per i loro figli: per
tutti i bambini frequentanti la scuola bilingue è stata scelta un’educazione bilingue (seppur non
sempre dall’inizio), per i 15 bambini frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla
Comunicazione è stata scelta in 2 casi un’educazione di tipo oralista, in 11 casi il metodo bimodale
e in 2 casi non è stata data risposta alla domanda (per educazione bilingue, metodo oralista e
metodo bimodale, si rimanda al cap. 1, par 1.4). Nonostante due coppie genitoriali dichiarino di
aver scelto per i figli un’educazione di stampo oralista, parallelamente hanno fatto richiesta di un
Assistente alla Comunicazione segnante che affianchi i ragazzi durante le ore scolastiche: ciò
dimostra una certa flessibilità nella scelta riabilitativa utilizzata. Tutti i ragazzi del campione sono
infatti segnanti ed usano prevalentemente la LIS in molti contesti della loro vita: a scuola, durante il
dopo scuola, con il gruppo amicale, in diverse attività sportive o pomeridiane e, in alcuni casi,
anche in famiglia.
E’ stato inoltre domandata l’età di inizio della logopedia, che è variabile da un minimo di 1
anno ad un massimo di 7 anni, e la sua durata. Tutti i genitori che hanno risposto a tale domanda, a
parte tre, dichiarano che i loro figli proseguono tutt’ora il percorso logopedico. Importante
sottolineare come molti genitori siano in grado di dire l’età di inizio della logopedia dei loro figli,
ma non quella della diagnosi di sordità che, per ovvi motivi, sarà se non altro precedente all’inizio
del percorso logopedico.
Il questionario anamnestico indagava inoltre la presenza di bambini con impianto cocleare
(cfr. cap.1, par. 1.1) e, nel caso di una risposta affermativa, quanti anni fossero trascorsi
dall’intervento: nessuna risposta affermativa è stata data a tale domanda.
1
2
3
4
5
6
7
RIABILITAZIONE LOGOPEDICA
TIPO DI
EDUCAZIONE
INIZIO
DURATA
Bilingue
1 anno
5 anni
Bilingue
4 anni
3 anni
Bilingue
2 anni circa
6 anni
Bimodale
6 anni
3 anni
Bimodale
5 anni
4 anni
Bimodale
1 anno
8 anni
Bilingue
4 anni
5 anni
Oralista
8
Bilingue
9
Bilingue
10
Bilingue
11
Bilingue
12
Bimodale
13
Bilingue
14
Bimodale
15
Bimodale
16
Oralista
17
Bilingue
18
Bimodale
19
20
Oralista
21
Bimodale
22
Bilingue
23
Bilingue
24
Bilingue
25
Bilingue
26
27
Bilingue
28
Bimodale
29
Bimodale
30
Tabella 4: dati anamnestici (4)
2 anni
3 anni
3 anni
2 anni e mezzo
3 anni
2 anni e mezzo
5 anni
4 anni
3 anni
5 anni
4 anni
2 anni e mezzo
5 anni
6 anni
3 anni
2 anni
1 anno e mezzo
2 anni e mezzo
2 anni
3 anni
7 anni
7 anni
7 anni
6 anni
in corso
7 anni e mezzo
7 anni
9 anni
6 anni
7 anni
7 anni
6 anni
8 anni
9 anni (interrotta)
8 anni
6 anni
9 anni
10 anni (interrotta)
10 anni (interrotta)
10 anni
5 anni
7 anni
E’ stato inoltre chiesto ai genitori dove i loro figli avessero imparato la LIS: dalle risposte si
può evincere come, oltre alla famiglia, la scuola sia il luogo più ricorrente.
In ultimo è stato chiesto agli educatori segnanti udenti e sordi quale, secondo loro, fosse la
competenza in LIS dei ragazzi facenti parte del campione. Nonostante siano state riportate le
risposte date, si è in seguito visto che non sempre il giudizio espresso dagli educatori rispecchia le
effettive competenze, emerse invece dai test e come tale giudizio, quindi, sottostimi talvolta le reali
capacità dei ragazzi. Al corpo docenti poi è stato chiesto di esprimersi sulle competenze in
comprensione e produzione dell’italiano orale: sembra che in questo caso la loro percezione sia più
rispondente alla realtà.
LIS
1
2
CONOSCE LIS
bene
poco
COMPR. PROD.
ITA. ORALE
DOVE L'HA
IMPARATA
famiglia
scuola materna
Discreta
Discreta
poco
3
bene
4
poco
5
abb. bene
6
bene
7
poco
8
abb. bene
9
abb. bene
10
bene
11
abb. bene
12
bene
13
bene
14
bene
15
poco
16
abb. bene
17
abb. bene
18
bene
19
poco
20
bene
21
bene
22
bene
23
bene
24
bene
25
bene
26
bene
27
bene
28
abb.bene
29
bene
30
Tabella 5: dati anamnestici (5)
scuola materna
famiglia
scuola materna
scuola elementare
famiglia
scuola elementare
scuola materna
scuola materna
scuola materna
scuola materna
scuola materna
famiglia
famiglia + s. materna
scuola elementare
scuola materna
scuola elementare
scuola materna
scuola media
famiglia + s. materna
scuola materna
scuola materna
famiglia
scuola materna
scuola materna
asilo
scuola elementare
scuola elementare
famiglia + scuola
Bassa
Abb.Buona
Discreta
Abb.Buona
Discreta
Buona
Buona
Abb.Buona
Discreta
Bassa
Bassa
Discreta
Discreta
Abb.Buona
Bassa
Abb.Buona
Abb.Buona
Abb.Buona
Discreta
Buona
Buona
Molto bassa
Buona
Buona
Abb.Buona
Discreta
Discreta
Gruppo di controllo udente
Il gruppo di controllo udente è composto da 30 partecipanti abbinati ai bambini e ragazzi
sordi per sesso, livello socioculturale ed età (la differenza d’età fra i bambini sordi e il gruppo di
controllo non supera mai, in eccesso o in difetto, i sei mesi d’età). Tali bambini provengono da
diverse scuole di Roma e provincia.
3.3 PROVE
3.3.1 Intervista
L’ intervista è stata tratta, previo consenso, da una lavoro inedito di Fabbretti e Arfè (2001). Le
aree indagate riguardano la logopedia, le scuole frequentate, la famiglia, l’autonomia individuale,
i rapporti amicali, il sapersi relazionare con gli sconosciuti e l’origine del proprio segno nome8.
Si tratta di un’intervista semi-strutturata, dal momento che lo sperimentatore, pur avendo sotto
mano le domande prestabilite, ha la possibilità di soffermarsi su alcuni argomenti che ritiene di
suo interesse o in cui vede particolare partecipazione da parte del bambino/ragazzo; viceversa ha
la libertà di eliminare alcune domande, se lo ritiene opportuno.
Tale intervista ha un duplice scopo: quello di raccogliere informazioni sulla vita personale del
bambino/ragazzo in modo da avere un’idea del suo contesto familiare e della sfera privata e
quello di mettere a proprio agio sia il bambino/ragazzo, sia lo sperimentatore, prima di iniziare le
prove in un clima colloquiale e sereno.
Pur rimanendo i medesimi i campi d’indagine, sono state pensate due diverse interviste a
seconda della fascia d’età a cui ci si rivolgeva. Si procede con una esemplificazione per chiarezza:
per quanto riguarda il campo dell’autonomia, ad esempio, ai bambini sono state poste delle
domande del tipo “qualcuno ti aiuta a vestirti e lavarti, o lo fai da solo? Come o chi ti sveglia la
mattina?”, per quanto riguarda invece gli adolescenti “fino a che ora puoi stare fuori casa? Prendi
l’autobus da solo?”.
3.3.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)
Come prova cognitiva non verbale è stato scelto il Developmental Test of Visual-Motor
Integration -VMI- (Beery, 1967). Tale test consente di ottenere informazioni in merito alle
competenze visuo-spaziali e prassico-costruttive in età evolutiva. Il VMI è un test “carta e
matita” in cui il soggetto è tenuto a copiare una sequenza evolutiva di forme geometriche. Lo
scopo principale del VMI è quello di aiutare, tramite indagini preventive, l’identificazione di
bambini che possono aver bisogno di assistenza particolare e permette la valutazione
dell’efficacia di interventi educativi. Il VMI è costituito da 27 items: 3 forme geometriche
8
“Non appena una persona, sorda o udente che sia, entra in contatto con la comunità sorda, immediatamente per
designarla le viene attribuito un segno, che diventa appunto il suo “nome”. Questo segno-nome viene creato in vari
modi: adottando un segno che corrisponde o ricorda in qualche forma il nome o il cognome, utilizzando tramite la
dattilologia una o più lettere del nome o del cognome oppure più spesso prendendo come spunto qualche caratteristica
fisica o di altro tipo (il lavoro svolto), relativa alla persona in questione”. Caselli M. C., Maragna S., Pagliari Rapelli L.,
Volterra V., Linguaggio e Sordità. La Nuova Italia, 1994.
semplici da imitare (linea verticale, linea orizzontale e cerchio) e 24 forme geometriche di
difficoltà crescente da copiare in uno spazio delimitato del foglio. La sua somministrazione
richiede 10-15 minuti e può essere effettuata a gruppi o individualmente. Tale test
viene
utilizzato con bambini a partire dai 3 anni fino all’età adulta.
Il VMI è stato pubblicato inizialmente nel 1967 e da allora è stato usato ampiamente
negli Stati Uniti e in molti altri Paesi europei. Nel 1996 è uscita una seconda versione che lascia
il VMI sostanzialmente inalterato se non per l’introduzione di due test supplementari, il VMI di
Percezione Visiva e il VMI di Coordinazione Motoria9, che però non sono stati utilizzati nel
presente lavoro. Il VMI è stato costruito con l’intento di misurare il modo in cui gli individui
riescono a integrare le loro capacità visive e motorie. Si ritiene infatti che le risposte
visuomotorie siano le prime integrazioni sensoriali dello sviluppo e che corrispondano al grado
di coordinazione esistente tra percezione visiva e movimenti dita-mano, sottolineando però come
l’integrazione fra “visuo” e “motorio” sia più della semplice somma delle parti, tanto che queste
possono, in alcuni casi, funzionare bene indipendentemente ma non in combinazione.
9
La versione aggiornata del test è stata tradotta in italiano e curata da Cristina Preda.
3.3.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)
Il PPVT-R consente di ottenere informazioni in merito alle competenze di vocabolario
recettivo (uditivo) del soggetto per l’italiano standard. In questo senso è un test di apprendimento
perché mostra l’estensione dell’acquisizione del vocabolario italiano. Un’altra importante
funzione è quella di fornire una stima veloce di uno dei maggiori aspetti delle attività verbali dei
soggetti che crescono in un determinato ambiente linguistico. Nonostante il PPVT-R fornisca
un’età equivalente (età mentale) e il rispettivo punteggio standard equivalente (quoziente
intellettivo), non è comunque un test di comprensione dell’intelligenza generale dal momento
che ne misura un solo aspetto, seppur molto importante: il vocabolario recettivo. Sebbene
lontano dalla perfezione, il vocabolario è il miglior indice singolo del successo scolastico (Dale,
Reichert, 1957). Ma la performance a un test di vocabolario non deve essere equiparata con
un’abilità innata o fissa: l’esposizione alla lingua standard, unitamente ad altre influenze
culturali, produce come risultato cambiamenti marcati sulla competenza lessicale del soggetto
che dunque può essere misurata dal PPVT.
Nell’edizione revisionata del Peabody Vocabulary Test (Dunn, Dunn,1981), ovvero il
PPVT-R versione italiana (Stella, Pizzoli, Tressoldi, 2000), si sono mantenute molte delle
caratteristiche dell’originale test ma, grazie a vent’anni di utilizzo e ricerca, diversi nuovi aspetti
sono stati incorporati:
1. la standardizzazione è stata condotta su scala nazionale;
2. i dati nelle tabelle normative sono stati appianati e presentati con incrementi più fini;
3. sono state aggiunte le norme per gli adulti (non disponibili nella prima versione
italiana);
4. i termini “età mentale” e “quoziente intellettivo” sono stati sostituiti da “età
equivalente” e “punteggio standard equivalente”;
5. tutti i disegni sono nuovi o sono stati riequilibrati per un miglior bilanciamento
razziale, etnico e sessuale;
6. la sensibilità del test è stata aumentata aggiungendo 25 items;
7. gli items sono stati disposti ad intervalli per adeguarsi alla curva di crescita di
accelerazione negativa del vocabolario udito così da mantenerlo ugualmente
sensibile per tutto il test;
8. circa due terzi delle parole stimolo sono nuove;
9. sono state scelte una configurazione orizzontale e un formato a cavalletto per
permettere una migliore visione dei fogli del test e ridurre l’interferenza fra fogli
consecutivi.
E’ inoltre importante sottolineare l’utilità di questo test per numerosi scopi in campo
scolastico, clinico, professionale e di ricerca. Qui di seguito vengono riportati alcuni dei motivi
che ci hanno indotto ad utilizzare tale test con i bambini e i ragazzi sordi: “…l’uso del test
dovrebbe aumentare ai livelli di scuola elementare e media come pure nell’istruzione superiore,
specialmente con allievi bilingui. Il test potrebbe essere utile anche per gli screening per gli
studenti stranieri che progettano di frequentare le università in cui si parla italiano”. “Non
richiedendo al soggetto di leggere o di scrivere, il test si rivela specialmente favorevole per i non
lettori o per altre persone con problemi di linguaggio scritto”. “Poiché la risposta deve essere
gestuale…non viene richiesta un’estesa interazione verbale fra esaminatore e soggetto…inoltre
nessuna indicazione o risposta orale è necessaria per rispondere, infatti è sufficiente un segno di
sì/no con la testa all’indicazione dell’esaminatore” (Stella, Pizzoli, Tressoldi, 2000).
Figura 4: item 1 del Peabody – autobus (target 4)
Figura 5: item 175 del Peabody – vitreo (target 1)
Adattamento
Fino ad oggi, nel nostro Paese, le competenze linguistiche delle persone sorde sono state
valutate prevalentemente in relazione alla lingua vocale, ovvero l’italiano orale e scritto. L’utilizzo
di test esistenti, come appunto il PPVT, penalizza quindi le persone sorde perché le valuta su una
lingua che viaggia su un canale per loro deficitario (acustico-vocale): diviene dunque importante
avere degli strumenti che valutino le competenze direttamente in Lingua dei Segni Italiana, una
lingua che viaggia sul canale integro (visivo-gestuale) e che viene acquisita in modo spontaneo. Per
valutare la comprensione del vocabolario è stata dunque da noi ideata una versione segnata del
PPVT-R con l’aiuto di quattro adulti sordi segnanti nativi. Per ciascun item si è discusso su come
poterlo “tradurre” in LIS, stando attenti che i segni scelti fossero il più possibile “neutri”, ovvero
non legati iconicamente al disegno che rappresenta l’item target. Ad esempio l’item 27 gabbia,
come si può vedere dalla figura seguente, è rappresentato da un disegno in cui la gabbia è di forma
squadrata; si è stati attenti che il segno scelto non fosse legato unicamente alla gabbia del disegno,
ma a tutte le possibili gabbie: il segno è dunque più tondeggiante.
Figura 6: item 27 del Peabody – gabbia (target 1)
Figura 7: segno gabbia
Per alcune parole italiane si è riscontrata una grossa difficoltà di “traduzione” dal momento
che quelle stesse parole non esistono nell’uso corrente della LIS. Alcuni items che rappresentano le
categorie, come felino (item 110), elettrodomestico (124), nautico (133), rettile (169), veicolo (141),
non hanno un diretto corrispondente in LIS. L’item felino (item 110), ad esempio, è stato “tradotto”
dicendo gatto, tigre, pantera…gruppo facilitando dunque il riconoscimento dell’immagine
corrispondente.
Figura 8: item 110 del Peabody – felino (target 2)
Tale difficoltà di “traduzione” si è verificata anche per altri items come ad esempio:
misurare (26), ramoscello (57), barriera (58), donnola (59), commerciale (120), baccello (127),
inclemente (129), regolabile (161).
Figura 9: item 120 del Peabody – commerciale (target 1)
Figura 10: item 161 del Peabody – regolabile (target 2)
Dopo aver stabilito la versione segnata del PPVT-R si è chiesta una consulenza a degli
adulti sordi segnanti nativi provenienti da altre regioni italiane, per far sì che eventuali problemi,
legati ai diversi dialetti in LIS, fossero annullati. In seguito a questi indispensabili incontri
abbiamo individuato alcuni items che venivano segnati differentemente a seconda delle regioni
italiane ed abbiamo incluso, nella versione definitiva, le diverse alternative possibili ovvero le
diverse variazioni regionali dei segni.
Questo lavoro di adattamento linguistico e culturale del PPVT-R, dall’italiano alla LIS, ha
richiesto molto tempo, sforzo e diversi tentativi prima di giungere alla versione definitiva che è stata
proposta al campione di questa ricerca. Alla luce dei dati raccolti in questo lavoro si sta pensando di
sostituire, in futuro, alcuni degli items più critici, come quelli prima illustrati, con altri items che
abbiano la stessa frequenza nel parlato e che siano della stessa categoria semantica.
Il PPVT-R è stato dunque segnato da due adulti sordi segnanti nativi ed è stato
videoregistrato. L’aver costituito questo materiale ha due enormi vantaggi: in primo luogo quello di
poter riproporre ad ogni somministrazione gli items in modo identico (come avviene per le lingue
vocali), in secondo luogo quello di permettere di somministrare il test anche da parte di
sperimentatori che non siano necessariamente competenti in LIS.
3.3.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)
Il BNT (Kaplan, Goodglass, Weintraau, 1983) è un test americano di denominazione di
figure e costituisce un valido strumento diagnostico per valutare le competenze lessicali di
individui in età evolutiva e adulti. E’ stato appositamente realizzato per l’esame linguistico di
pazienti con afasia e trova larga applicazione sia in ambito clinico, che di ricerca. Interessanti
dati su bambini italiani sono stati raccolti e pubblicati da Riva, Nichelli e Devoti nel 2000.
Questo strumento è composto da 60 figure, in bianco e nero, disegnate su sfondo bianco
(dimensione 14x16 cm). Le immagini bidimensionali riproducono oggetti di uso quotidiano e
non. Le figure sono organizzate in un ordine crescente di difficoltà. Il soggetto ha il compito di
denominare a voce le immagini che gli vengono presentate singolarmente, mentre l’esaminatore
annota le risposte su un apposito protocollo di registrazione.
3.3.5 Narrazione: Frog, where are you?
La Frog Story (Mayer, 1969) consente di ottenere informazioni in merito allo sviluppo del
linguaggio attraverso la narrazione di storie: come dicono gli stessi Autori “The focus of our study
is the development of linguistic form in children. We have chosen to analyze the production of
connected discourse because we believe that the uses of language in discourse shape both grammar
and the corse of its development”. Il genere narrativo, infatti, si sviluppa relativamente presto nei
bambini e inoltre permette di indagare il concetto di temporalità che è critico all’interno del
discorso. Numerosi studi sullo sviluppo del linguaggio e del pensiero narrativo hanno dimostrato
che in un’età compresa tra i quattro ed i cinque anni i bambini controllano la maggior parte delle
strutture morfosintattiche della lingua nativa (Brown, 1973; Slobin, 1985). Ciò nondimeno, il
linguaggio di un bambino di cinque anni differisce ancora nettamente da quello di un bambino di
dodici. Lo sviluppo del linguaggio dopo i cinque anni include l’apprendimento di come e quando
usare le strutture morfosintattiche con fluidità e flessibilità ed in particolare il genere narrativo
fornisce un ricco contesto per indagare e valutare aspetti multipli dello sviluppo del linguaggio in
bambini di età scolare. Sebbene già i bambini di tre anni spesso arricchiscano la loro narrazione con
la valutazione personale, dando così significato e salienza emozionale a particolari eventi e
comportamenti (Reilly, 1992), con l’aumentare dell’età, riescono a controllare meglio la morfologia
della lingua nativa, sviluppando una maggiore comprensione delle emozioni: sia la frequenza che le
funzioni della valutazione personale, infatti, cambiano (Bamberg e Reilly, 1996). Così, mentre nella
prima infanzia la valutazione serve per le funzioni narrative locali (ad es. fornisce la prospettiva del
narratore), man mano che si sviluppano l’abilità morfosintattica e la coscienza socio-emotiva, i
bambini imparano ad avvalersi della valutazione per fare connessioni tra i componenti episodici
locali e gli elementi narrativi più globali e tematici (Peterson e McCabe, 1983; Bamberg e DamradFrye, 1991; Berman e Slobin, 1994; Bamberg e Reilly,1996). Investigando sull’espressione emotiva
nella narrazione, si è trovato che i bambini piccoli si servono della valutazione attraverso prosodia
affettiva e riferimento a stati interiori, mentre le funzioni più sofisticate delle strategie valutative si
realizzano solo in età adulta. Specificatamente, i bambini acquisiscono sia le strategie
morfosintattiche, sia la consapevolezza socio-emotiva per integrare le prospettive multiple quando
devono rendere le loro esperienze in forma narrativa. Diverse ricerche hanno in ultimo dimostrato
che gli adulti includono la valutazione nelle loro narrazioni con frequenza significativamente
maggiore rispetto ai bambini.
Già nel 1967 Labov e Waletsky (1967; 1997) introdussero un’altra importante nozione
affermando che le narrazioni includono sia le funzioni referenziali che quelle valutative. L’aspetto
“referenziale” include le informazioni su personaggi ed eventi: è quello che fa progredire la storia
(ad es. la trama), mentre l’aspetto “valutativo” della narrazione è invece quello che dà senso alla
storia: “intendiamo definire come “valutazione” quella parte della narrazione che rivela
l’atteggiamento del narratore verso la narrazione e che enfatizza alcune parti della narrazione
rispetto ad altre” (Labov e Waletsky, 1967). Quindi mentre Labov e Waletzky si erano inizialmente
focalizzati sulle clausole valutative, Peterson e Mc Cabe (1983) hanno notato che i bambini
ampliano le strategie valutative attraverso tutte le clausole impiegando mezzi sia lessicali che
fonologici. L’informazione valutativa può cioè essere organizzata in più modi: sintatticamente,
come per esempio nelle clausole relative, che servono di solito a fornire commenti personali sul
comportamento/carattere di un personaggio (“sai, quella persona che non fa mai niente per
vincere”); lessicalmente, grazie all’uso, per esempio, di intensificatori, verbi modali, espressioni
evasive che riflettono l’atteggiamento del narratore (“non può averlo fatto sul serio”); paralinguisticamente, attraverso espressioni facciali emozionali, gesti e prosodia affettiva, che hanno
l’effetto di convogliare l’atteggiamento del narratore o di riflettere le emozioni suggerite da un
personaggio.
Dal momento della pubblicazione dei basilari articoli di Labov e Waletzsky (1967) e di
Peterson e Mc Cabe (1983) in poi, le ricerche hanno considerato gli aspetti legati alla valutazione,
sia nei discorsi che nei testi scritti degli adulti (Labov, 1984; Biber e Finnigan, 1989), anche da una
prospettiva più evolutiva ( Peterson e McCabe, 1983; Reilly, Klima e Bellugi, 1990; Bamberg e
Damrad-Frye, 1991; Reilly, 1992; Berman e Reilly, 1995; Berman, 1993, 1997; Losh, Bellugi,
Reilly e Anderson et al., 2001).
Dopo aver spiegato l’importanza della narrazione in ambito evolutivo, passiamo ora ad
illustrare il compito narrativo proposto dalla Frog Story: esso consiste nel raccontare una storia
di 24 pagine di sole figure, senza alcun testo scritto. La storia narra di un bambino, del suo cane
e di una rana. Il racconto inizia in camera da letto: il ragazzo ed il cane guardano la rana in un
vasetto. Il mattino seguente, al loro risveglio, scoprono che la rana è scomparsa. Tra numerose
difficoltà ed ostacoli da superare, si mettono alla sua ricerca. Alla fine ritrovano la rana, con un
compagno ed una nidiata di ranocchietti. Il ragazzo e il cane tornano a casa portando con loro la
rana.
Numerose ricerche per indagare lo sviluppo del linguaggio e del pensiero narrativo in
bambini con sviluppo tipico hanno utilizzato la Frog Story (Peterson, McCabe, 1983; Bamberg,
1987; Reilly, 1992; Barman, Slobin, 1994; Bamberg, Reilly, 1996). Tale prova è stata
largamente utilizzata anche con bambini con sviluppo atipico (Loveland, McEvoy, Tunali, 1990;
Reilly, Klima, Bellugi, 1990; Bamberg, Damrad-Frye, 1991; Dennis, Jacennik, Barnes, 1992;
Liles, 1993; Tager-Flusberg, Sullivan, 1995; Anderson, 1998; Capps, Kehres, Sigman, 1998;
Reilly, Bates, Marchman, 1998; Capps, Losh, Thurber, 2000; Losh, Bellugi, Reilly, Anderson,
2000; Reilly, Losh, Bellugi, Wulfeck, 2000) e, seppur in misura minore, con bambini sordi,
appartenenti a diverse nazionalità, che utilizzano le rispettive differenti lingue dei segni.
Morgan (2005), in particolare, attraverso la somministrazione della Frog Story ha
condotto una approfondita ricerca sui continui sviluppi e miglioramenti che intervengono nella
produzione narrativa in Lingua dei Segni Inglese (BSL) in bambini sordi di età scolare. Sebbene
i dati ed i modelli psicolinguistici discussi nella ricerca siano basati su produzioni narrative in
BSL, questo lavoro può essere applicato anche ad altre lingue dei segni. Morgan ha
somministrato individualmente la Frog Story a 12 bambini sordi esposti alla BSL (sia figli di
genitori sordi che udenti) e a 2 adulti sordi segnanti nativi. Tutti i partecipanti frequentavano una
scuola bilingue BSL/inglese con insegnanti segnanti. Tutti i genitori udenti comunicavano
correntemente coi loro bambini in BSL. I bambini avevano dai 4 ai 13 anni e, oltre alla sordità,
non presentavano nessun deficit fisico o cognitivo. Nel suo studio sullo sviluppo narrativo in
BSL, Morgan ha codificato forme referenziali prodotte nella narrazione della Frog Story con
particolare riferimento all’introduzione, reintroduzione e mantenimento della referenza. La
capacità di usare le forme referenziali è un’abilità pragmatica basata sulla valutazione dei bisogni
dell’interlocutore durante la narrazione: i bambini sordi che si esprimono in lingua dei segni
imparano a padroneggiare questa conoscenza pragmatica per produrre narrazioni segnate chiare
ed interessanti. Sintetizzando i risultati della ricerca sullo sviluppo della narrazione in BSL, i
bambini sordi di tale ricerca dimostrano di padroneggiare le forme linguistiche a livello di frase
individuale ma, al contrario, dimostrano di avere grosse difficoltà ad usare le stesse forme
linguistiche in modo appropriato (come accade invece negli adulti) quando devono inserirle in
una narrazione. Sembra che le difficoltà riscontrate in BSL dei bambini sordi siano molto simili
a quelle che affrontano i bambini udenti in lingua vocale inglese. I risultati della ricerca di
Morgan confermano inoltre quanto già sostenuto da Bamberg (1987) e Barman e Slobin (1994),
e cioè che lo sviluppo del linguaggio è fortemente influenzato dal saper leggere e scrivere,
capacità che influiscono non solo sul linguaggio, ma addirittura sulla consapevolezza dello
sviluppo metalinguistico. La consapevolezza metalinguistica permette al bambino di focalizzarsi
sul linguaggio come su un “oggetto decontestualizzato”. Il linguaggio decontestualizzato è
caratterizzato dalla consapevolezza del narratore del fatto che colui che parla e colui che ascolta
non condividono direttamente l’esperienza che viene comunicata. Migliorare le capacità di
lettura e scrittura del bambino significa quindi potenziare le sue abilità nel creare un migliore
linguaggio decontestualizzato sia in forma scritta che orale (parlata o segnata). Sarebbe perciò
importante capire quanto l’uso della lingua dei segni nel bambino sordo possa essere influenzato
negativamente dalle difficoltà nella lingua scritta. Normalmente il saper leggere e scrivere nella
propria lingua deriva dalle abilità del bambino nella lingua parlata. Poiché non c’è accordo sulla
versione scritta della BSL, molti bambini sordi trovano difficoltà nel passaggio tra la lingua
nativa (lingua dei segni, ad es. BSL) e la versione scritta di una lingua diversa (ad es. inglese).
Questi due fattori sono oltretutto legati fra loro dal feedback: lo sviluppo dell’uso orale del
linguaggio è influenzato dalle abilità di lettura e scrittura, e le abilità di lettura e scrittura sono
costruite su precedenti abilità nella modalità orale dello stesso linguaggio.
Anche Karen Emmorey e Judy Reilly (1998) hanno condotto una ricerca sulla narrazione in
lingua dei segni: si tratta, in questo caso, di Lingua dei Segni Americana, ASL. Dopo avere studiato
le abilità nel discorso diretto in narrazioni in ASL, hanno indirizzato la loro attenzione alle abilità
nel discorso indiretto. A questo scopo, hanno focalizzato l’analisi su un episodio della Frog Story
nel quale gli adulti sordi segnanti nativi esibiscono un uso estensivo del discorso indiretto (McIntire
e Reilly, 1996). E’ stato scelto l’episodio in cui il bambino si arrampica su quelli che crede siano
rami, ma che in realtà si rivelano essere le corna di un cervo; il cervo, arrabbiato, corre verso un
dirupo col bambino aggrappato alla sua testa e lo scaraventa in uno stagno. Questo episodio della
Frog Story è stato fatto vedere a 29 bambini sordi figli di genitori sordi, dai 3 ai 7 anni, esposti alla
ASL fin dalla nascita, e a 10 adulti sordi segnanti nativi. I risultati hanno dimostrato che i bambini
padroneggiano i meccanismi linguistici del discorso diretto prima di quelli del discorso indiretto. A
7 anni i bambini sordi segnanti nativi erano in grado di usare il cambio di ruolo, l’alternanza della
referenza e l’alternanza dell’espressione facciale nel discorso diretto. Alla stessa età, tuttavia, non
padroneggiavano ancora completamente l’uso del discorso indiretto, producevano molti predicati
che indicavano azioni ma nei quali l’espressione facciale era poco chiara e li usavano con una
distribuzione diversa rispetto agli adulti. Emmerey e Reilly suggeriscono che la più precoce
acquisizione del discorso diretto in ASL, rispetto a quello indiretto, sia dovuta al fatto che il
discorso diretto presenta una prospettiva singola e coerente: sia il contenuto del discorso (i segni
manuali), sia le espressioni affettive non manuali sono quelle di un singolo referente, il
“personaggio tra virgolette”. Il narratore produce infatti sia il discorso del personaggio, sia
l’espressione facciale di quello stesso personaggio. Al contrario, i bambini possono incontrare
maggiore difficoltà nel manipolare le prospettive di differenti personaggi all’interno della storia
tramite il discorso indiretto: infatti il contenuto della storia (i segni manuali) riflette la prospettiva
del narratore, ma le espressioni affettive non manuali riflettono la prospettiva di uno dei personaggi.
Il segnante, cioè, in qualità di narratore sceglie i verbi che descrivono le azioni; l’espressione
facciale, tuttavia, non è quella del segnante, ma quella del personaggio di cui sta descrivendo le
azioni. Dallo studio di Emmerey e Reilly si evince perciò che, anche se sia il discorso diretto che
quello indiretto sono esempi di alternanza della referenza in ASL, essi seguono un pattern di
sviluppo differente.
3.3.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e
narrazione di storie in sequenza
Per indagare le false credenze di primo livello, ovvero il rendersi conto che ciò che si
pensa o si crede può non corrispondere allo stato di cose effettivo, sono stati scelti dei test
classici frequentemente usati in letteratura: Sally-Ann 1 e 2 (Peterson, Siegal, 1995) e Smarties
(Perner, Frith, Leslie e Leekam, 1989).
Le storie in sequenza (Rhys-Jones e Ellis, 2000) hanno invece lo scopo di indagare le
capacità dei bambini nel riordino cronologico degli avvenimenti di una breve storia raffigurata,
nonché le diverse qualità di espressione e metarappresentazione legate agli stati mentali dei
personaggi raffigurati. Ogni storia è composta da 4 immagini in bianco e nero disegnate su
cartoncini 5x5. Le storie, in totale 6, sono così suddivise:
2 storie meccanicistiche – test di figure in sequenza che implicano un racconto di
storie incentrate su episodi causa-effetto provocati da persone e oggetti che
interagiscono causalmente fra loro (adattamento Baron-Cohen, Leslie e Frith, 1986):
a) storia del palloncino – un bambino ha un palloncino in mano, il palloncino gli
sfugge e vola via finché non va a sbattere contro i rami di un albero e scoppia;
b) storia del mattone – una bambina corre senza guardare per terra, inciampa su un
mattone, cade e si fa male.
Figura 11: storie meccanicistiche
2 storie comportamentali - test di figure in sequenza che implicano un racconto di
storie incentrate su desideri e scopi di un personaggio (adattamento Baron-Cohen,
Leslie e Frith, 1986). Una persona singola agisce in attività routinarie che non
richiedono attribuzioni di stati mentali; oppure persone interagiscono in routine
sociali che implicano più di una persona, ma che non richiedono attribuzioni di stati
mentali:
a) storia del gelato – un bambino sta mangiando un gelato seduto su una panchina.
Arriva una bambina che si siede accanto a lui e vuole il suo gelato, quindi glielo
prende e se ne va. Il bambino si arrabbia;
b) storia del negozio di dolci – un ragazzo passeggia finché non vede un negozio di
dolci. Dato che vuole un dolce entra, ne compra uno, paga e se ne va.
Figura 12: storie comportamentali
2 storie mentalistiche - test di figure in sequenza che implicano un racconto di storie
incentrate sulla falsa credenza di un personaggio (adattamento Baron-Cohen, Leslie e
Frith, 1986). Persone interagiscono in attività che richiedono l’attribuzione di stati
mentali:
a) storia dell’orsetto – una bambina ha un orsetto. La bambina vuole raccogliere dei
fiori, perciò posa il suo orsetto e inizia a raccoglierli. Mentre la bambina è girata
e sta raccogliendo i fiori, ne arriva un’altra che prende l’orsetto e se ne va.
Quando la bambina ha finito di raccogliere i fiori, si gira nuovamente per
riprendere il suo orsetto, ma rimane molto sorpresa nel vedere che non c’è più;
b) storia della caramella – un bambino ha una caramella, la posa in una scatola e va
fuori casa a giocare a pallone. Nel frattempo arriva la nonna che prende la
caramella dalla scatola, se la mangia e se ne va. Quando il bambino rientra in
casa e vuole mangiare la caramella, va verso la scatola ma con suo grande
stupore vede che è vuota.
Figura 13: storie mentalistiche
3.4 PROCEDURA E SOMMINISTRAZIONE DELLE PROVE
La raccolta dati è stata preceduta da una fase di familiarizzazione in cui i ragazzi sono
stati informati che avrebbero partecipato ad una ricerca il cui scopo principale era la valutazione
delle competenze linguistiche in LIS. Preventivamente si sono avvertite le scuole e le famiglie
dei ragazzi di cosa si volesse studiare grazie all’aiuto dei loro figli e ci si è assicurati, tramite
autorizzazione scritta, del loro interesse per la ricerca, del loro consenso alla raccolta dati e alla
videoregistrazione degli incontri.
Le somministrazioni delle varie prove si sono svolte individualmente e sono avvenute in
minimo 2, massimo 5 sedute ciascuno, a seconda dei tempi e dell’età del bambino in questione.
Tutte le prove sono state videoregistrate. Durante lo svolgimento delle prove lo sperimentatore
ha avuto modo di annotare indicazioni importanti sull’atteggiamento complessivo, sugli stili e
sui tempi di ciascuno, sulle difficoltà incontrate dal bambino/ragazzo.
Per il gruppo dei partecipanti sordi le prove sono state somministrate da un interprete LIS
per i bambini frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione- rispettandone
dunque l’abitudine conversazionale predominante e la modalità bimodale utilizzata nella
maggior parte dei contesti della loro vita - e da un adulto sordo segnante nativo per i bambini
frequentanti la scuola bilingue ed abituati quindi a relazionarsi, in ambito scolastico,
prevalentemente in lingua dei segni.
Per quanto riguarda la raccolta dati del gruppo di controllo udente, si sono usati gli stessi
adattamenti e le stesse procedure usate per i partecipanti sordi, con l’unica differenza
dell’utilizzo della lingua italiana, anziché della LIS, durante tutte le prove previste.
3.4.1 Intervista
Per l’intervista non sono stati dati limiti di tempo. Tale prova informale è stata interamente
videoregistrata.
3.4.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)
Nella presente ricerca è stata seguita la procedura standard di somministrazione del test,
che consiste nel far disegnare ai bambini le figure riportate nella prova copiandole e stabilendone
poi la correttezza in base ai criteri di valutazione proposti dal manuale. Tale procedura prevede
che al bambino venga data una penna non cancellabile e che il libretto del test sia chiuso di
fronte al bambino e dritto rispetto al banco. E’ importante porre attenzione affinché il libretto
rimanga, per tutta la durata del test, centrato di fronte al bambino: una diversa posizione del
bambino o del libretto potrebbe influenzare negativamente la prestazione. I dati in nostro
possesso sono stati analizzati secondo le norme statunitensi del 1997.
Rispetto alla somministrazione standard si è scelto però di attuare tre piccole variazioni,
la prima delle quali è una somministrazione individuale del test, nonostante l’età del campione
ne presupponesse una collettiva effettuata in piccoli gruppi. Tale scelta è stata dettata da due
ragioni principali: la prima è il ricercare una relazione proficua fra esaminatore e
bambino/ragazzo, dal momento che quasi tutti i partecipanti alla ricerca si divertono durante la
somministrazione del VMI, vengono coinvolti, sono felici di ottenere successo nel copiare le
forme e familiarizzano facilmente con l’esaminatore senza bisogno di usare troppe parole; la
seconda è costituita dalla possibilità di osservare il bambino mentre disegna, di vedere qual è il
suo atteggiamento, la posizione del corpo, i movimenti e altri comportamenti potenzialmente
importanti: sarà cura dello sperimentatore annotare le proprie osservazioni senza farsi vedere, in
modo che il bambino non si senta sotto pressione. La seconda variazione effettuata rispetto alla
somministrazione standard è la scelta di far continuare il test anche quando il bambino non abbia
ottenuto punti per tre items consecutivi. Si è ritenuto infatti interessante continuare la
somministrazione per osservare come il bambino reagisca di fronte agli items più difficili: tale
richiesta non risulta in nessun modo frustrante per i partecipanti che normalmente chiedono di
poter copiare tutti i disegni, compresi quelli più difficili. La terza variazione prevede che i test
supplementari di Percezione Visiva e Coordinazione Motoria, che appartengono alla versione più
recente del Developmental Test of Visual-Motor Integration, non siano stati presi in
considerazione in questa ricerca.
3.4.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)
Somministrazione e procedura
La somministrazione del test è avvenuta individualmente in una stanza tranquilla, lontano
da altre persone. La procedura si è svolta in modo analogo a quella della versione in lingua
vocale, tranne che per l’utilizzo di una televisione o di un computer per permettere di vedere i
segni videoregistrati prodotti direttamente da un adulto sordo segnate nativo (nella versione in
lingua vocale gli items vengono invece pronunciati dallo sperimentatore). Dopo aver visto
ciascun segno videoregistrato, i bambini/ragazzi devono indicare l’immagine a loro avviso
corretta fra le quattro alternative possibili.
Un’altra differenza rispetto alle procedure di somministrazione standard è che ad ogni
partecipante sono stati proposti tutti e 175 gli items, non usando quindi il test come un test di livello
a seconda dell’età del soggetto (ovvero non stabilendo né il basal - le prime 8 risposte corrette
consecutive -, né il ceiling - 6 risposte errate in 8 risposte consecutive -). Nella versione italiana del
Peabody, invece, gli items sono ordinati per difficoltà crescente e l’item da cui si inizia la
somministrazione è determinato dall’età del bambino. Tale scelta è stata dettata dal fatto che non
essendo gli items del test ordinati per difficoltà crescente in LIS, ma in italiano, ci siamo trovati
impossibilitati ad usare il Peabody a livello. Dalla raccolta dati di questa ricerca e da altre raccolte
che ci auguriamo di attuare nel prossimo futuro, si cercherà di standardizzare il PPVT-R per la LIS,
come gli autori della versione italiana hanno fatto rispetto alla versione originale in inglese: a tal
punto si potrà usare il PPVT-R versione segnata, nuovamente come un test di livello.
3.4.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)
Riflettendo sui bambini e sui ragazzi sordi che si apprestavano a sostenere tale compito e
che dunque avrebbero prodotto in LIS le immagini presentate nel test, si è pensato di attuare
alcune modifiche in merito alle condizioni di somministrazione, in modo da adattare lo
strumento al campione selezionato. Gli accorgimenti metodologici sono stati apportati su:
il numero di figure: si è stabilito di far denominare tutte e 60 le figure e di non
interrompere mai il compito, indipendentemente dalla prestazione ottenuta (nella
versione originale il test viene interrotto dopo 6 errori consecutivi);
il tempo di esecuzione della prova: si è pensato di non dare alcun limite di tempo, né
di presentazione di ciascun disegno, né di esecuzione del compito (nella versione
originale il tempo massimo di presentazione di ciascun disegno è pari a 20 sec.);
il tipo di sollecitazione: si è stabilito di non fornire alcun tipo di aiuto semantico e/o
fonologico, ma si è pensato di stimolare il bambino a soffermarsi sulle figure in cui
esitava a dare la risposta, ponendo la domanda “Che cos’è? A cosa serve?” (nella
versione originale se il soggetto dà una risposta che indica una comprensione errata
del disegno o un’assoluta non comprensione, l’esaminatore procede con il fornire
dapprima un aiuto semantico e poi un aiuto fonologico).
l’addestramento alla prova: sono stati aggiunti 3 items iniziali di addestramento
(sole, pesce e topo) cosicché lo
sperimentatore potesse far vedere al
bambino/ragazzo come si doveva svolgere la prova facendo lui stesso ciò che veniva
richiesto al bambino (nella versione originale i 3 items di addestramento non erano
previsti).
Tali accorgimenti metodologici sono stati già utilizzati in precedenza da una ricerca
condotta da Bello, Capirci, Volterra (2004) con i bambini con sindrome di Williams.
L’esecuzione di tale prova individuale viene videoregistrata:
essendo, infatti, la
produzione in LIS, una semplice annotazione cartacea delle produzioni si rivelerebbe del tutto
insufficiente.
3.4.5 Narrazione: Frog, where are you?
La somministrazione è avvenuta in forma individuale. Il libretto della storia della Rana è
posizionato sul banco in posizione orizzontale di fronte al bambino. Quest’ultimo viene invitato
a sfogliare la storia senza limiti di tempo e gli viene detto “ecco la storia di un bambino, un cane
e una rana. Per prima cosa devi guardare tutte le figure, poi devi raccontarmi la storia. Se vuoi,
puoi riguardare le figure mentre racconti”. Le produzioni in LIS dei bambini e ragazzi del
campione, sono state tutte videoregistrate.
3.4.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e
narrazione di storie in sequenza
Adattamento
I testi delle prove sono stati “tradotti” in LIS da due adulti sordi segnanti nativi con la
consegna di essere il più aderenti possibili alla versione vocale. Tale aderenza garantisce la
possibilità di confronti fra il gruppo di ragazzi sordi e il gruppo di controllo udente e rispetta la
natura dei test.
Somministrazione e procedura
Sally-Ann 1 viene somministrato individualmente senza limiti di tempo. Si procede con
un racconto dal vivo della storia tramite bamboline e oggetti. I personaggi della storia, che per
adattamento culturale e per facilità sono stati rinominati Sara e Marco, vengono presentati al
bambino: “questo è Marco. Questa è Sara”.
Figura 14: Sally-Ann 1
Si procede poi con il racconto“Marco ha un sacchetto, Sara ha una scatola. Marco ha
anche una biglia e la mette nel sacchetto. Poi Marco esce e va a fare una passeggiata (il
pupazzo Marco esce dal campo visivo del bambino). Sara arriva, prende la biglia e la sposta
nella scatola (arriva il pupazzo Sara che sposta la biglia dal sacchetto alla scatola). Sara va via
(il pupazzo Sara esce dal campo visivo del bambino e torna il pupazzo Marco). Ora Marco
ritorna e vuole giocare con la biglia” si procede ora con le 4 domande del test:
1. falsa credenza: “Marco dove cercherà la biglia?”;
2. motivazione:“perché?”;
3. domanda sulla realtà:“dov’è la biglia veramente?”;
4. domanda di memoria:“Marco dove aveva messo la biglia all’inizio?”.
La somministrazione di Sally-Ann 2 avviene nello stesso modo, le uniche differenze sono
che:
i personaggi si invertono, ovvero il possessore della biglia e del sacchetto diventa
Sara mentre Marco ha la scatola;
Marco nasconde la biglia nella tasca dello sperimentatore anziché nella scatola
(come aveva fatto Sara nella prova precedente).
Figura 15: Sally-Ann 2
Per quanto riguarda la prova Smarties, lo sperimentatore mostra al bambino un tubetto di
Smarties e gli pone 4 domande:
Figura 16: Smarties
1. “Che cosa c’è qui dentro?”. A prescindere dalla risposta data lo sperimentatore apre
il tubetto e ne svela il reale contenuto (ovvero una matita).
Figura 17: Smarties
2. “No, una matita. Ora arriva Billy. Billy non ha visto questo tubetto. Secondo te
Billy che cosa pensa ci sia nel tubetto?” (domanda sulla falsa credenza altrui).
3. “Prima che tu guardassi nel tubetto che cosa pensavi ci fosse?” (domanda sulla
propria falsa credenza).
4. “Cosa c’è in realtà nel tubetto?” (domanda sulla realtà).
Per quanto riguarda le storie in sequenza, invece, viene consegnato al bambino il
cartoncino con la prima immagine della storia e gli viene detto “questa è la prima figura.
Guarda le altre figure e vedi se puoi usarle per fare una storia”. Se il bambino non risponde,
l’esaminatore nomina tutti gli oggetti nella prima figura e poi dice “qual è la figura
successiva?”. L’ordine scelto dal bambino viene annotato e, se non è corretto, sarà lo
sperimentatore a proporre la sequenza prestabilita. A questo punto si chiede al bambino “puoi
raccontare la storia?”. Tutte le narrazioni vengono videoregistrate. Per questa prova non sono
previsti limiti di tempo, ma è concesso un solo tentativo per ciascuna storia.
3.5 DESCRIZIONE DEL SISTEMA D’ANALISI E CODIFICA
3.5.1 Intervista
Per quanto concerne l’intervista è stata fatta un’analisi di tipo qualitativo delle risposte,
con il fine di ampliare il quadro anamnestico dei vari partecipanti. Quanto estrapolato da tali
interviste non sarà esplicitamente illustrato nel capitolo della presentazione dei risultati, ma sarà
tenuto in considerazione e utilizzato nella discussione finale degli stessi.
3.5.2 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)
Per la codifica di tale test si è seguito quanto riportato nel manuale senza alcuna
modifica.
3.5.3 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)
Come precedentemente detto nel paragrafo 4.3.3, il Peabody non è stato usato come un
test di livello, ma è stato somministrato integralmente. Data questa scelta, nella codifica non si è
potuto assegnare un quoziente linguistico (M=100; DS=15), ma si è semplicemente calcolato il
numero di risposte corrette rispetto al totale degli items, trasformandolo poi in percentuale (% di
risposte corrette sul totale).
3.5.4 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)
Nella codifica delle risposte prodotte da ciascun bambino e ragazzo durante il test di
denominazione di figure, si è pensato di adottare alcuni cambiamenti già usati in un precedente
studio sulla valutazione del lessico in popolazioni speciali (Bello, 2003-2004; Bello, Capirci,
Volterra, 2004) e di apportarne di nuovi, al fine di adattare lo strumento al campione selezionato.
Il sistema di codifica prevede una sola risposta per ogni item. Se viene fornita più di una
risposta, viene codificata l’ultima. La codifica delle risposte è la seguente:
1. risposte corrette: il bambino/ragazzo produce il segno (gruppo di sordi) o la parola
(gruppo di controllo) corrispondente alla figura presentata;
2. risposte errate: il bambino/ragazzo produce il segno o la parola non corrispondente,
o corrispondente solo in parte, alla figura presentata;
3. non risposte: il bambino/ragazzo non produce il segno o la parola corrispondente alla
figura presentata, dice di non sapere, di non ricordare.
Per quanto riguarda l’analisi qualitativa delle risposte errate si è fatto riferimento alle
categorie utilizzate da Kirk (1992) e adattate da Bello (2004); gli errori prodotti sono dunque
classificati nel seguente modo:
errori semantici: generalizzazioni – “barca” invece di “canoa” – sostituzioni –
“penna” invece di “matita”;
Figura 18: item 26 del BNT: canoa
circonlocuzioni: “quella che serve per suonare” invece di “arpa”, “quella per salire”
invece di “scala mobile”;
Figura 19: item 38 del BNT: arpa
errori fonologici: la sostituzione di un fonema in italiano - “carretta” invece di
“racchetta” – la sostituzione di un parametro formazionale10 in LIS;
Item 22 del BNT:
lumaca
Segno corretto: lumaca
Errore: fonologico
In Sign
Writing
In Sign
Writing
Figura 20: errori fonologici.
errori percettivi: “triangolo” invece di “piramide”, “ramo” invece di “asparago”,
“bilancia” invece di “giogo”, “lancia” invece di “asparago”;
10
Nella LIS sono stati identificati i seguenti parametri formazionali: 15 luoghi, 26 configurazioni, 6 orientamenti e 32
movimenti. Il principio che ha guidato nell’identificazione di questi parametri è un principio classico della linguistica.
Come nelle lingue vocali due fonemi si dicono distinti e significativi se esistono due parole che variano al variare dei
due fonemi (es. “pasta” e “basta”), così si dice che due parametri sono distinti se si individuano due segni con diversi
significati che si distinguono solo per una caratteristica: il luogo di esecuzione, la configurazione, l’orientamento o il
movimento (Caselli, Maragna, Pagliari Rampelli, Volterra, 1994).
risposte fuori target: risposte che rimandano ad elementi presenti nella figura ma
non sono l’oggetto della denominazione – “cubetto di ghiaccio” invece di “pinza” –
“cane” invece di “museruola”-;
Figura 21: item 58 del BNT: pinze
Figura 22: item 44 del BNT: museruola
altre risposte: risposte non legate all’oggetto della denominazione dal punto di vista
semantico, fonologico o percettivo – “macchina” invece di “museruola” -;
risposte incomplete: tale categoria è stata aggiunta solo per la codifica delle
produzioni in LIS. Comprende tutte quelle produzioni che, nonostante si possano
considerare corrette solo se eseguite con due segni, uno che rappresenta la
macrocategoria dell’oggetto che si vuole denominare, l’altro che lo specifica ( ad
esempio: “graticcio” in italiano, “grata” + “per i fiori” in LIS; “panchina” in italiano,
“sedia” + “lunga” in LIS), vengono invece effettuate erroneamente con un unico
segno, che risulta dunque corretto ma incompleto. Ad esempio l’item 27
MAPPAMONDO è composto da due segni, ovvero “mondo” + “girare”: se il
soggetto produce uno solo dei due segni, la risposta viene appunto considerata
incompleta.
Item 27 del BNT:
mappamondo
Errore: incompleto
(la prima parte del
segno è corretta,
ma manca la seconda)
Segno corretto: mappamondo
In Sign
Writing
In Sign
Writing
Figura 23: risposte incomplete.
O ancora l’item 42 STETOSCOPIO è composto da due segni: se il soggetto produce uno
solo dei due segni, la risposta viene appunto considerata incompleta.
Item 42 del BNT:
stetoscopio
Segno corretto: stetoscopio
In Sign
Writing
Errore: incompleto
(la prima parte del segno è
corretta,
ma manca la seconda)
In Sign
Writing
Figura 24: risposte incomplete.
descrizione forma: tale categoria è stata aggiunta solo per la codifica delle
produzioni in LIS. Comprende tutte quelle produzioni in cui il segnante si limita
esclusivamente alla descrizione dell’oggetto in questione, pur essendoci in LIS il
segno per l’item rappresentato nel test. Ad esempio, invece che segnare “maschera”,
viene descritta la forma della maschera, la sua espressione minacciosa e i suoi denti
affilati.
Item 18 del BNT:
maschera
Segno corretto: maschera
In Sign
Writing
Errore: descrizione
forma
In Sign
Writing
Figura 25: errore descrizione forma.
Lo stesso avviene anche per “biscotto”: viene descritta la forma del biscotto anziché
segnarne il nome.
Item 19 del BNT:
biscotto
Segno corretto: biscotto
In Sign
Writing
Errore:
descrizione
forma
In Sign
Writing
Figura 26: errore descrizione forma.
Per alcune figure (15, 16, 19, 23, 28, 51, 52 e 57) del Boston Naming Test, più di una
risposta è stata considerata corretta nelle produzioni in lingua vocale italiana. Ad esempio, la
figura denominata “pretzel” in inglese, può essere denominata nella lingua italiana come
“biscotto, ciambella, taralluccio, salatino” a seconda delle differenti espressioni regionali; la
figura corrispondente ad “hanger” in lingua inglese, può essere correttamente chiamata “gruccia,
stampella, appendiabiti” nella lingua italiana; la figura denominata “tripod” in lingua inglese ha
il corrispondente di “treppiede” o “cavalletto” in lingua italiana; per la figura “sedia a rotelle” si
è considerata corretta anche la parola “carrozzella”; per “corona” si è considerata corretta anche
“ghirlanda”; per “graticcio” si considerano corrette anche “grata” e “rete”; per “abaco”, infine, si
considera corretto anche “pallottoliere”. Molti di questi sinonimi sono stati considerati corretti
anche da Riva, et al. (2000), che hanno somministrato il Boston Naming Test a bambini italiani
di scuola elementare.
Lo stesso tipo di accorgimenti è stato usato anche nella codifica delle produzioni in LIS.
Tali accorgimenti sono dovuti principalmente al fatto che la raccolta dati è avvenuta in Piemonte
e che quindi, nelle produzioni dei ragazzi, non si potevano considerare come errati dei segni che
venivano semplicemente prodotti diversamente a causa di variazioni regionali. Come
precedentemente detto, in seguito a degli incontri con adulti sordi segnanti nativi di altre regioni
italiane e, in particolare, piemontesi, sono stati individuati quegli items (5, 9, 10, 11, 14, 27, 31,
43, 55, 57) che erano soggetti a variazioni dialettali. Ad esempio la figura 5 - fungo – a Torino
viene prodotta con una configurazione della mano dominante diversa da quella che viene usata
solitamente a Roma, anche la figura 10 – spazzolino – a Torino viene segnata con la
configurazione T chiusa (rappresentata dal simbolo # sopra la lettera) che, invece, a Roma
rappresenta l’azione di “lavarsi i denti” mentre l’oggetto, spazzolino, viene prodotto con la
configurazione G.
Si riportano per chiarezza alcuni esempi:
FISCHIETTO (item 5): viene considerata corretta la risposta sia con la
configurazione F (più usata in Piemonte), sia con la configurazione H (più usata nel
centro Italia);
Figura 27: Configurazione F
Configurazione H
ELICOTTERO (item 11): viene considerata corretta la risposta sia con la
configurazione della mano dominante 3 (più usata in Piemonte), sia con la
configurazione della mano dominante 5 (più usata nel centro Italia);
Figura 28: Configurazione mano dominante 3
Configurazione mano dominante 5
(Figure tratte dal Dizionario bilingue elementare della Lingua Italiana dei Segni, a cura di E. Radutzky, Edizioni
Kappa, Roma 1992).
RINOCERONTE (item 31): viene considerata corretta la risposta sia con la
configurazione Y (più usata in Piemonte), sia con la configurazione X (più usta nel
centro Italia);
Figura 29: Configurazione Y
Configurazione X
3.5.5 Narrazione: Frog, where are you?
Per la codifica delle Frog Story dei bambini sordi del nostro campione, si è deciso di
procedere con due tipi di analisi successive: una più di stampo linguistico, che prende in
considerazione diversi aspetti della LIS e una più di stampo narrativo (sulla base di quanto
pervenuto dalla letteratura). Per effettuare tali analisi sono dunque state ideate due griglie di
valutazione. Si è ritenuto indispensabile che la prima griglia di valutazione, quelle sulle
competenze in LIS, venisse compilata esclusivamente da sperimentatori sordi segnanti nativi con
un’eccellente competenza in LIS. I risultati ottenuti da tale analisi sono serviti alla compilazione
della seconda griglia. Qui di seguito vengono riportate le due griglie d’analisi:
1) nella griglia di valutazione delle competenze LIS gli aspetti che sono stati presi in
considerazione sono:
l’uso di componenti orali abbinate ai segni, così suddivise: componenti orali di parole –
COP-, ovvero quando il segnante fa il segno e contemporaneamente produce vocalmente la
parola italiana corrispondente al segno; componenti orali speciali –COS-, ovvero segni a cui
va necessariamente abbinata una specifica produzione orale perché siano dotati di
significato; altre componenti orali -COA-, ovvero parole onomatopeiche abbinate al segno,
ad esempio il segnante fa il segno rana e produce vocalmente cra cra. Per ogni componente
orale individuata si è annotato se veniva prodotta interamente (ad esempio fa il segno rana e
produce vocalmente rana), o se veniva prodotta parzialmente (ad esempio fa il segno rana e
produce vocalmente ra o na). Per ogni componente orale individuata si è inoltre annotato se
la produzione vocale era senza suono (il segnante produce il segno e abbina la componente
orale labializzandola ma non vocalizzandola), o se la produzione vocale era con suono (il
segnante produce il segno e abbina la componente orale vocalizzandola);
l’uso di Strutture di Grande Iconocità (Cuxac, 1996; Cuxac, 2000; Russo, 2000; Cuxac,
2001; Sallandre, 2001; Russo, 2004; Russo, 2004; Pizzuto et al., in stampa) come il
Trasferimento di Persona (il segnante impersonifica il referente del discorso), il
Trasferimento di Forma (il segnante impersonifica oggetti inanimati del discorso) e il
Trasferimento di Situazione (il segnante impersonifica situazioni ed eventi del discorso). Da
recenti ricerche francesi, infatti, si è visto come l’utilizzo di Struttura di Grande Iconicità sia
prerogativa di segnanti esperti e competenti, nonché di una maturità dell’organizzazione del
discorso in LIS;
l’uso di segni standard;
l’uso della coarticolazione (segno + segno, oppure segno + non segno);
l’uso di gesti;
l’uso del discorso diretto: anch’esso visto come indice di complessità del discorso
(Tomasuolo, 2002);
l’uso della dattilologia (alfabeto manuale);
la presenza di pause e la loro durata;
se la storia è stata complessivamente prodotta in LIS, in italiano segnato (IS), in italiano
segnato esatto (ISE) o in Italiano (I). Per LIS si intende la Lingua dei Segni Italiana, lingua a
tutti gli effetti con una sua grammatica e una sua sintassi; per IS si intende l’uso dei segni
della LIS ma la struttura grammaticale e sintattica dell’Italiano; per ISE si intende l’uso dei
segni della LIS con la struttura grammaticale e sintattica dell’Italiano accompagnata inoltre
dalla dattilologia (alfabeto manuale) per alcune parti del discorso come le desinenze dei
verbi, il genere delle parole, le preposizioni, gli articoli e tutte quelle parti del discorso
italiano che non hanno un loro specifico corrispondente in LIS; per I si intende una
produzione esclusivamente in lingua vocale italiana;
il numero complessivo di segni prodotti;
la presenza di errori a livello di singolo segno o a livello di struttura della frase.
2) Per l’ideazione della seconda griglia d’analisi sulla valutazione delle competenze
narrative in LIS, si è tenuto conto di quanto pervenuto in letteratura circa la valutazione delle
competenze narrative di bambini con sviluppo tipico e atipico.
Le procedure di codifica più usate
in letteratura sono quelle di Clifford, Reilly &
Wulfeck (1995) e di Reilly, Bates & Marchman (1998) largamente utilizzate per comprendere il
discorso narrativo in popolazioni speciali (bambini con danni cerebrali, disturbi del linguaggio,
ecc.). Questi sistemi di codifica valutano non solo la competenza grammaticale, l’abilità e la
produzione dei bambini, ma anche la loro abilità nell’arricchire la narrazione attraverso la
“evaluation” (valutazione personale). La rilevanza della valutazione personale all’interno della
narrazione si evidenzia chiaramente già a partire dal 1967 con il lavoro di Labov & Waletzky e
in seguito con gli studi sugli approcci evolutivi del pensiero narrativo (Reilly, Klima, Bellugi,
1990; Bamberg, Damrad-Frye, 1991; Reilly, 1992; Berman, Reilly, 1995; Bamberg, Reilly,
1996; Reilly, Bates, Marchman, 1998) ed include i seguenti tipi di valutazione:
1.
inferenze cognitive: inferenze sulla motivazione, sulla causalità, sugli stati mentali;
2. attrattori dell’attenzione (social engagement devices): cioè l’uso di frasi od
esclamazioni per catturare l’attenzione dell’interlocutore;
3. riferimenti a stati o comportamenti affettivi;
4. intensificatori: ripetizioni o marcatori enfatici;
5. risposte evasive (hedges): uso di parole del tipo “probabilmente, forse”, indicanti un
livello di certezza/incertezza, nel momento in cui si incontra una difficoltà nel
racconto.
Nella messa a punto della griglia di valutazione delle competenze narrative in LIS si sono
dunque tenuti in considerazione questi aspetti sopra elencati, ampliandoli però in base alle
specifiche peculiarità del campione di bambini e ragazzi sordi preso in esame: ad esempio nel
punto H della griglia sottostante – uso del lessico psicologico - si fa riferimento al punto 1 e 3
dell’elenco appena presentato - inferenze cognitive e riferimenti a stati o comportamenti affettivi
- ; nel punto G della griglia sottostante – abilità pragmatiche - si fa riferimento al punto 2 e 4
dell’elenco appena presentato - attrattori dell’attenzione e intensificatori - .
La griglia di valutazione delle competenze narrative LIS è stata ideata sulla base di uno
schema originariamente proposto da Reilly (1992) e in seguito riveduto da Bello e Capirci (in
stampa) e si presenta come segue:
A) INTRODUZIONE: CONTESTO/AMBIENTE
Vengono introdotti i personaggi della storia?
Si capisce dove si svolgono i vari eventi?
Si capisce quando si svolgono i vari eventi?
B) INFORMAZIONE
Descrizione letterale dei disegni (necessarie, aggiuntive)
Descrizioni elaborate inferenziali dei disegni (congruenti, incongruenti)
C) EPISODI DELLA STORIA
Definizione / prima annuncio del problema
collegamento
La ricerca della rana
collegamento
L’incontro con le api
collegamento
L’incontro con la talpa
collegamento
L’incontro con il gufo
collegamento
L’incontro con il cervo
collegamento
La caduta nell’acqua
collegamento
Risoluzione
Episodio del cane
Sequenza cronologica degli episodi
Totale episodi narrati
Totale collegamenti
D) LA RICERCA
La scomparsa della rana
Il ragazzo cerca la rana (una volta)
Ripetizione della ricerca (più di due volte)
Ritrovamento della rana
Totale punti ricerca della rana
E) INDICAZIONE
Sul foglio
Ridondante (indica il bambino + dice “bambino”)
Non ridondante (indica solamente)
Nello spazio
Indicazione linguistica
Indicazione di un oggetto reale
F) ABILITA’ LINGUISTICA
Prevalenza LIS / Italiano Segnato / Italiano Segnato Esatto / Italiano
Trasferimento di persona (TP)
Trasferimento di forma (TF)
Trasferimento di situazione (TS)
Discorso diretto (DD)
Dattilologia
Numero complessivo di segni prodotti
G) ABILITA' PRAGMATICHE (mantenere vivo l'interesse dell'interlocutore)
Attrattori dell’attenzione
Richiamo (visivo, tattile, di indicazione)
Suspence – domande retoriche
Effetti visivi e sonori
Intensificatori
Ripetizioni
Marcatori enfatici (allungamento, rallentamento)
H) USO DEL LESSICO PSICOLOGICO
Elemento motivato da un'emozione
Elemento motivato da un'intenzionalità/volontà
Elemento motivato da un giudizio morale
Elemento motivato da una cognizione
Tabella 6: griglia produzione Frog
Punto A: si inizia valutando la presenza o l’assenza dell’introduzione della storia ovvero
se vengono introdotti i personaggi (Stein, Glenn, 1982; Berman, Slobin, 1994): “c’è un bambino,
un cane e una rana” (è sufficiente l’introduzione di due personaggi su tre); se si capisce dove si
svolgono i vari eventi: “un bambino era nella sua cameretta insieme al suo cane”; e se si capisce
quando si svolgono i suddetti eventi: “una notte, mentre il bambino dormiva, la rana uscì dal
vaso e fuggì”.
Punto B: si procede poi con l’osservare se le indicazioni che il bambino fa sono
descrizioni letterali dei disegni: “c’è una rana che corre, ci sono delle api che volano”; oppure
se sono delle descrizioni elaborate inferenziali dei disegni: “c’è un cane che scappa perché le
api lo inseguono”.
Punto C: si prosegue poi con il rilevare la presenza/assenza del primo annuncio del
problema: “quando il bambino si sveglia si accorge che la sua rana non è più dentro al vasetto:
è fuggita” e di tutti gli episodi di cui è composta la storia, nonché dei collegamenti fra un
episodio e il suo successivo. Si valuta inoltre se vi è una risoluzione della storia:“il bambino
ritrova la rana e se la porta a casa; oppure: “il bambino e il cane trovano la rana insieme alla
sua compagna e tante ranocchiette, ne prendono una e se la portano a casa” e se gli episodi
sono narrati secondo una giusta cronologia o meno.
Punto D: si guarda inoltre, in dettaglio, alla ricerca della rana, ai tentativi che il bambino
fa per ritrovarla (se il bambino cerca la rana una sola volta o se vi è ripetizione nella ricerca) e
alla conclusione della storia, ovvero il ritrovamento effettivo della rana.
Punto E: si registrano tutte le indicazioni che il bambino fa durante la narrazione, sia
quelle ridondanti, come ad esempio quando indica sul foglio la figura del bambino e
contemporaneamente dice “il bambino”, sia quelle non ridondanti, ovvero quando indica
solamente un personaggio o un oggetto sul foglio. Si contano anche le indicazioni nello spazio,
sia di natura linguistica (nelle lingue dei segni l’indicazione nello spazio ha una sua valenza
grammaticale solitamente pronominale), sia di oggetti reali presenti nella stanza di valutazione o
nei dintorni (se ad esempio dopo aver narrato l’episodio del gufo, mostra allo sperimentatore che
fuori dalla finestra vi è un albero che somiglia molto a quello raffigurato nell’episodio del gufo).
Punto F: si procede poi con la valutazione delle abilità linguistiche che si estrapolano
dalla prima griglia di valutazione compilata da sperimentatori sordi segnanti nativi con
un’eccellente competenza in LIS: per spiegazioni più dettagliate relative al punto F si rimanda
alla lettura della prima griglia d’analisi nel presente paragrafo.
Punto G: si procede poi con l’analisi delle abilità pragmatiche, ovvero la capacità di
mantenere vivo l’interesse dell’interlocutore (Hudson, Shapiro, 1991), guardando gli attrattori
dell’attenzione come il richiamo visivo, tattile e di indicazione da parte del bambino nei
confronti dello sperimentatore, l’uso di strategie come la suspence, le domande retoriche, gli
effetti sonori (“il bambino cadendo nello stagno ha fatto splash” oppure “le api facevano ZZZ”)
e visivi (utilizzo di segni che siano l’equivalente della lingua vocale per “splash, ZZZ, boom”,
ecc.). Si indaga inoltre l’utilizzo di intensificatori come le ripetizioni (“il cane correva, correva,
correva”) e i marcatori enfatici (allungamento e rallentamento: espedienti usati anche in
cinematografia per sottolineare alcuni passaggi o di particolare interesse, o molto rapidi e
veloci).
Punto H: in ultimo, si valuta la presenza del lessico psicologico per spiegare stati
d’animo, eventi e situazioni (Bamberg, Reilly, 1996). In particolare si guarda la presenza di
eventi motivati da una emozione (“il bambino è arrabbiato perché il cane ha rotto il vaso”),
motivati da un’intenzione/volontà (“il cane corre forte perché vuole scappare dalle api”),
motivati da un giudizio morale (“il bambino guarda male il cane perché è stato cattivo”) o
motivati da una cognizione (“il bambino prende proprio quella rana perché pensa che sia la
sua”).
In base alla griglia sopra esposta è stato assegnato a ciascun partecipante un punteggio
complessivo della prestazione fornita nella prova di narrazione: tale punteggio ha il vantaggio di
essere sintetico, di essere rappresentativo dell’andamento generale delle performance e di
permettere confronti rapidi con altre ricerche (Bello, Capirci, in stampa). Questo punteggio va
da un minimo di 0 punti a un massimo di 5 punti così assegnati: 1 punto se viene presentato il
setting della storia, 1 punto se viene presentato il problema della scomparsa della rana, 1 punto
se sono rispettate le sequenze temporali della storia e se sono presenti i collegamenti fra un
episodio e l’altro, 1 punto se vengono esplicitati i tentativi di risoluzione del problema per più di
due volte, 1 punto se vi è una conclusione della storia ovvero la risoluzione del problema iniziale
3.5.6 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2, Smarties, riordino e
narrazione di storie in sequenza
Per la codifica di Sally-Ann 1 e 2 e di Smarties, ci si attiene a due criteri di riuscita del
compito largamente utilizzati in letteratura:
1. quello di Peterson e Siegal (1995) e Russel et al. (1998), che ritiene superati tali test
di falsa credenza nel momento in cui si sono superati sia Sally-Ann 1 che 2;
2. quello di Courtin (2002), che ritiene superato il compito se si risponde correttamente
a due prove su tre (fra Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties).
Per entrambi gli Autori i test si possono ritenere validi solo nel momento in cui il
soggetto risponde correttamente alle domande controllo: domanda sulla realtà: “Dov’è la biglia
veramente?”, “Cosa c’è in realtà nel tubetto?” e alla domanda di memoria:“Marco/Sara dove
aveva messo la biglia all’inizio?”, “Che cosa hai detto quando ti ho fatto vedere il tubetto
all’inizio?”. Solo nel momento in cui il bambino/ragazzo abbia risposto in modo esatto a tali
domande, si procede con la verifica della correttezza del test, che si ritiene dunque superato se si
è risposto correttamente a 4 domande su 4. Se anche il bambino/ragazzo rispondesse
correttamente alle prime due domande (quella sulla falsa credenza e quella sulla motivazione),
ma rispondesse in modo erroneo alle domande controllo, il test verrebbe invalidato.
Per quanto riguarda la codifica delle storie in sequenza, dopo aver valutato la correttezza
del riordino delle immagini (il riordino si considera corretto quando si sono posizionate
correttamente 4 immagini su 4), si procede con un’analisi dettagliata della produzione in LIS
(effettuata da sperimentatori sordi segnanti nativi) e delle competenze narrative del partecipante.
Ciascuna storia inoltre viene esaminata in relazione alla presenza o assenza di espressioni causali
o di stato mentale; gli altri casi vengono codificati come descrittivi.
Un enunciato si definisce causale se contiene una congiunzione “perché” (ad es.: “la
bambina è caduta perché è inciampata sul mattone”); se c’è un esplicito riferimento a
agente-verbo causale-oggetto o una costruzione passiva (ad es.: “l’albero ha rotto il
palloncino”); una frase con verbo causale (ad es.: “il mattone ha fatto cadere la
bambina”).
Si applica la categoria di stato mentale se l’enunciato contiene un’espressione di
stato mentale (“volere, credere, sapere, far finta, desiderare, ecc.”); un’attribuzione
implicita di uno stato mentale (ad es.: “il ragazzo è sorpreso di non trovare la sua
caramella”); l’attribuzione di un enunciato al protagonista, appropriato al suo stato
mentale, spesso sottolineato dall’intonazione o dall’espressione (ad es.: “lui grida:
dov’è finita la mia caramella?!”).
Si applica la categoria descrittiva per gli enunciati ambigui (oltre a quelli
esclusivamente descrittivi).
Nel presente lavoro di tesi verranno presentati esclusivamente i risultati del riordino delle
storie in sequenza.
CAPITOLO 4: PRESENTAZIONE DEI RISULTATI
4.1 Developmental Test of Visual-Motor Integration (VMI)
Sono stati inclusi nel campione solo i partecipanti che hanno ottenuto un QI pari o
superiore a 83 (con media 100 e deviazione standard 15), valutato tramite la prova cognitiva non
verbale VMI. Sono dunque stati inclusi nel campione solo i partecipanti che, secondo il manuale
del test, ottengono una prestazione media (83-117), buona (118-132) e molto buona (133-160);
sono stati esclusi quei bambini e ragazzi che hanno ottenuto una prestazione bassa (68-82) o
molto bassa (40-67).
PARTECIP
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
SORDI
ETA' QI VMI
6,1
109
7,5
89
8
102
8,9
94
8,11
101
9,1
92
9,4
102
9,5
87
9,7
131
9,11
100
10,7
103
11
83
11,2
100
11,3
90
11,4
90
11,8
114
11,9
88
83
11,11
12,7
105
12,7
90
12,9
92
113
12,10
13,3
108
13,4
85
13,6
100
13,9
99
13,9
83
14
83
14,6
96
14,6
96
UDENTI
ETA' QI VMI
6,6
131
7,6
105
7,11
99
101
8,7
98
9,1
106
9,3
9,9
105
90
9,9
9,8
105
9,1
137
10,6
93
99
10,6
11,6
100
105
11
94
11,3
121
11,3
11,7
96
93
11,6
12,5
86
100
12,3
112
13
12,6
106
13,1
94
13,4
97
13,7
114
13,9
92
98
13,4
101
14,1
119
14,2
103
14,2
Per quanto riguarda i partecipanti udenti, nessun bambino o ragazzo ha ottenuto un
punteggio al VMI inferiore a 83. Ciò è facilmente spiegabile se si pensa che sono state le
insegnanti stesse, compatibilmente con le età che ci occorrevano, a selezionare i bambini per le
prove. Sebbene gli sperimentatori si siano raccomandati di non fornirgli i nominativi solo degli
studenti più meritevoli ma anzi di fare in modo che i trenta ragazzi scelti come gruppo di
controllo fossero rappresentativi della varietà di una normale popolazione scolastica, sicuramente
le insegnanti non ci hanno proposto dei ragazzi su cui avevano dei dubbi circa le loro capacità
cognitive.
Per quanto riguarda i partecipanti sordi, invece, ne abbiamo incontrati 33: ad uno di
questi bambini non è stato proposto il VMI dal momento che oltre alla sordità presentava una
diagnosi di autismo; altri due bambini ai quali è stato proposto il VMI sono invece stati esclusi
dal campione avendo ottenuto un punteggio pari a 60 e 68 con una prestazione rispettivamente
molto bassa e bassa. A differenza di quanto è avvenuto per i bambini e ragazzi udenti, fra gli
sperimentatori e gli alunni sordi non c’è stato il “filtro” delle insegnanti.
Fra i partecipanti udenti e quelli sordi, nonostante tutti siano assolutamente nella norma,
si registra una differenza statisticamente significativa, calcolata tramite il Mann-Whitney Test
(p=0,039), per quanto riguarda le prestazioni nella prova cognitiva non verbale VMI a favore dei
partecipanti udenti. All’interno del gruppo di partecipanti sordi non vi è differenza
statisticamente significativa, calcolata tramite il t-Test (p=0,058 n.s.), fra i livelli di sviluppo
cognitivo dei partecipanti frequentanti la scuola bilingue e quelli frequentanti le scuole ordinarie
con Assistenti alla Comunicazione (rispettiva media delle prestazioni: 100,73 e 93,13) e neanche
fra coloro che hanno appreso più o meno tardivamente la LIS.
4.2 Prova linguistica di comprensione lessicale: Peabody Vocabulary
Test – Revised (PPVT-R)
Verranno qui di seguito illustrati i risultati relativi al compito di comprensione lessicale
da parte dei bambini e dei ragazzi sordi del campione e del relativo gruppo di controllo udente,
come segue:
risultati generali;
analisi del fattore età;
analisi del fattore tipo di scuola frequentata;
analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;
confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti.
Risultati generali
Il grafico sottostante mostra l’andamento delle risposte corrette al Peabody Test da parte
dei partecipanti sordi.
100%
90%
80%
% Risposte
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
1
8
15
22
29
36
43
50
57
64
71
78
85
92
99 106 113 120 127 134 141 148 155 162 169
Items Peabody
Figura 30: risposte corrette per item
Gli items del Peabody Test versione segnata, come già precedentemente detto nel par.
4.3.3, sono ordinati per difficoltà in italiano e non in LIS, e spesso, a parole italiane molto
difficili corrispondono segni molto più semplici e quindi di facile individuazione. Di
conseguenza la curva delle risposte corrette dei ragazzi sordi non è marcatamente decrescente
(come avviene invece per gli udenti), ma evidenzia un andamento del tutto oscillatorio. Si può
quindi affermare che il Peabody, nella sua versione segnata, seppur mantenga un andamento
decrescente delle risposte corrette man mano che il test va avanti, non sia più un test di livello.
Un’ulteriore analisi è stata quella di guardare, all’interno delle risposte corrette, quali
items sono stati prodotti dalla maggioranza dei partecipanti sordi. Dalla tabella sottostante, dove
sono riportate le percentuali di risposte corrette per ogni item, si osserva che alcune parole
presentate nella seconda metà del test e quindi considerate difficili nella versione italiana, sono
invece in LIS di facile individuazione (più dell’80% del campione risponde correttamente) per
diversi motivi:
1. sono items altamente iconici (evidenziati in viola), come ad esempio morsetto (111), sferico
(154), rostro (166): l’iconicità di alcuni segni facilita dunque l’individuazione dell’immagine
corretta, tanto che i ragazzi sordi del campione raggiungono difficilmente il ceiling (6 errori su 8
items consecutivi);
Figura 31: item 154 del Peabody – sferico (target 2)
2. sono items in cui la “traduzione” dall’italiano alla LIS facilita il riconoscimento dell’immagine
corretta corrispondente, dal momento che quelle stesse parole non esistono nell’uso corrente
della LIS:
a) o perché rappresentano categorie (cf. par. 4.3.3), come ad esempio nautico (133) che viene
“tradotto” con barca diversi tipi, oppure veicolo (141) che viene “tradotto” con macchina,
bicicletta, trattore, ecc. (items evidenziati in blu);
Figura 32: item 133 del Peabody – nautico (target 3)
b) o perché per esprimere quella parola si usa l’impersonamento attribuendolo al soggetto
dall’azione, come ad esempio
inclemente (129) che viene “tradotto” in LIS
impersonificando il referente dell’azione - se stiamo parlando di vento inclemente, come
nella figura del test, il segnante diventerà il vento impersonificandolo e facendone vedere la
forza; se stiamo parlando di una persona inclemente il segnante diventerà questa persona e
tramite le componenti non manuali ne esprimerà l’inclemenza- (item evidenziato in rosso);
Figura 33: item 129 del Peabody – inclemente (target 4)
c) o perché vengono espresse con sinonimi più semplici e frequenti nel parlato, come ad
esempio decrepito (94) che viene “tradotto” con vecchio, oppure esausto (119) che viene
“tradotto” con stanchissimo, oppure deambulazione (151) che viene “tradotto” con
camminare (items evidenziati in verde).
Figura 34: item 151 del Peabody – deambulazione (target 2)
Si sottolineano inoltre in giallo gli unici tre items della prima metà del test a cui meno del
50% del campione ha risposto correttamente e che quindi vengono considerati di difficile
riconoscimento in LIS: ramoscello (57), barriera (58), donnola (59).
1
2
3
4
5
6
7
8
9
ITEMS
autobus
mano
letto
trattore
serpente
barca
lampada
tamburo
freccia
% RISP.
CORRETTE
87%
83%
73%
80%
77%
87%
87%
83%
83%
89
90
91
92
93
94
95
96
97
ITEMS
sezionare
pedone
carogna
trasparente
salire
decrepito
gocciolare
falegname
isolamento
% RISP.
CORRETTE
67%
87%
80%
47%
80%
80%
83%
37%
67%
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
pinguino
penna
incidente
accarezzare
semaforo
ginocchio
tronco
sbucciare
gonfio
mucca
retino
allacciare
peloso
busta
catena
fasciatura
misurare
gabbia
paracadute
strappare
quadrato
vaso
isolamento
bacio
schedare
siringa
vuoto
nido
incollare
riposo
mappamondo
consegnare
tubolare
cucire
tamburello
bosco
vela
stirarsi
rubinetto
spalla
gomito
verdura
capsula
gambo
umano
80%
80%
87%
87%
83%
70%
80%
87%
87%
87%
87%
77%
83%
77%
80%
87%
73%
70%
83%
87%
80%
73%
70%
83%
87%
80%
80%
83%
87%
83%
83%
80%
80%
87%
60%
67%
73%
87%
83%
80%
87%
67%
87%
87%
73%
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
134
135
136
137
138
139
140
141
142
delusione
zanna
grave
assalire
indecisione
abrasivo
pneumatico
debole
rocchetto
meditare
spettro
guarnire
felino
morsetto
demolire
cornice
sorpreso
arco
quartetto
confidare
ometto
esausto
commerciale
calvo
traiettoria
piramide
elettrodomestico
costringere
comunicazione
baccello
costellazione
inclemente
rampicante
filtraggio
arido
nautico
entomologo
ardere
agrume
emissione
emaciato
goffrato
calice
veicolo
latta
43%
77%
30%
83%
53%
53%
63%
83%
80%
77%
70%
77%
77%
80%
63%
83%
60%
53%
77%
80%
47%
80%
70%
73%
83%
13%
40%
73%
60%
17%
40%
83%
33%
63%
57%
83%
53%
40%
47%
67%
37%
10%
73%
80%
40%
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
87
88
tuffarsi
gruppo
ramoscello
barriera
donnola
incatenato
artiglio
elicottero
medaglione
riva
bullone
disaccordo
decorato
balcone
premiare
issare
affaticato
cerimonia
narice
meccanico
rubacchiare
steccato
amo
arnese
cascata
assopito
spiegare
stupito
arciere
guardaroba
pedale
corteccia
dromedario
brocca
143
144
145
146
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
175
77%
70%
13%
43%
43%
63%
87%
83%
80%
70%
57%
83%
87%
77%
83%
87%
53%
87%
60%
87%
83%
70%
87%
80%
70%
83%
83%
60%
87%
83%
70%
83%
77%
47%
penisola
perpendicolare
tangente
trovatello
esultante
indigente
divergenza
antropoide
deambulazione
spatola
utensile
sferico
esterno
consumare
rombo
casseruola
fragile
rettile
regolabile
parallelogramma
imbottitura
cornea
rifornire
rostro
incandescente
arrogante
convesso
torretta
obelisco
quieto
cooperazione
collera
vitreo
63%
83%
20%
63%
83%
80%
60%
73%
87%
80%
37%
80%
30%
17%
63%
50%
63%
37%
17%
77%
87%
83%
67%
83%
60%
50%
77%
0%
87%
77%
30%
87%
53%
Tabella 8: percentuale di risposte corrette per item
Nonostante il campione sia troppo esiguo per estendere i risultati a considerazioni
generali, si è proceduto comunque con un primo riordino degli items in base ai dati raccolti e ai
risultati ottenuti.
Riordino
Items
1
2
Ordine
items originali
1
6
autobus
barca
%risposte
corrette
Riordino
Items
87%
87%
89
90
Ordine
items originali
68
87
balcone
dromedario
%risposte
corrette
77%
77%
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
7
lampada
12
incidente
13
accarezzare
17
sbucciare
18
gonfio
19
mucca
20
retino
25
fasciatura
29
strappare
34
schedare
38
incollare
43
cucire
47
stirarsi
50
gomito
52
capsula
53
gambo
61
artiglio
67
decorato
70
issare
72
cerimonia
74
meccanico
77
amo
83
arciere
90
pedone
151 deambulazione
imbottitura
163
obelisco
171
collera
174
2
mano
8
tamburo
9
freccia
14
semaforo
22
peloso
28
paracadute
33
bacio
37
nido
39
riposo
40 mappamondo
48
rubinetto
62
elicottero
66
disaccordo
69
premiare
75
rubacchiare
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
91
92
93
94
95
96
97
98
99
100
101
102
103
104
105
106
107
108
109
110
111
112
113
114
115
116
117
118
119
120
121
122
123
124
125
126
127
128
129
130
131
132
133
99
zanna
meditare
107
guarnire
109
felino
110
quartetto
116
162 parallelogramma
169
convesso
quieto
172
3
letto
26
misurare
31
vaso
46
vela
54
umano
calvo
121
costringere
125
calice
140
antropoide
150
15
ginocchio
27
gabbia
32
isolamento
56
gruppo
64
riva
76
steccato
79
cascata
85
pedale
108
spettro
120 commerciale
45
bosco
51
verdura
89
sezionare
97
isolamento
emissione
137
165
rifornire
60
incatenato
104
pneumatico
112
demolire
filtraggio
131
penisola
143
146
trovatello
rombo
157
fragile
159
44
tamburello
73
narice
77%
77%
77%
77%
77%
77%
77%
77%
73%
73%
73%
73%
73%
73%
73%
73%
73%
70%
70%
70%
70%
70%
70%
70%
70%
70%
70%
67%
67%
67%
67%
67%
67%
63%
63%
63%
63%
63%
63%
63%
63%
60%
60%
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
80
assopito
81
spiegare
84
guardaroba
86
corteccia
95
gocciolare
assalire
101
105
debole
cornice
113
122
traiettoria
129
inclemente
133
nautico
144 perpendicolare
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
83%
134
135
136
137
138
139
140
141
142
143
144
145
82
114
126
149
167
65
132
71
102
103
115
134
stupito
sorpreso
comunicazione
divergenza
incandescente
bullone
arido
affaticato
indecisione
abrasivo
arco
entomologo
60%
60%
60%
60%
60%
57%
57%
53%
53%
53%
53%
53%
58
147
esultante
83%
146
175
vitreo
53%
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
74
75
76
77
78
79
80
81
82
83
84
85
86
164
166
4
10
11
16
24
30
35
36
41
42
49
63
78
91
93
94
106
111
117
119
141
148
152
154
5
21
cornea
rostro
trattore
pinguino
penna
tronco
catena
quadrato
siringa
vuoto
consegnare
tubolare
spalla
medaglione
arnese
carogna
salire
decrepito
rocchetto
morsetto
confidare
esausto
veicolo
indigente
spatola
sferico
serpente
allacciare
83%
83%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
80%
77%
77%
147
148
149
150
151
152
153
154
155
156
157
158
159
160
161
162
163
164
165
166
167
168
169
170
171
172
173
174
158
casseruola
168
arrogante
88
brocca
92
trasparente
ometto
118
136
agrume
58
barriera
59
donnola
98
delusione
124 elettrodomestico
128 costellazione
135
ardere
latta
142
96
falegname
138
emaciato
153
utensile
160
rettile
rampicante
130
100
grave
155
esterno
173 cooperazione
145
tangente
127
baccello
156
consumare
161
regolabile
57
ramoscello
piramide
123
139
goffrato
50%
50%
47%
47%
47%
47%
43%
43%
43%
40%
40%
40%
40%
37%
37%
37%
37%
33%
30%
30%
30%
20%
17%
17%
17%
13%
13%
10%
87
23
busta
77%
175
170
0%
88
55
tuffarsi
77%
Figura 9: riordino del Peabody Test secondo un criterio di difficoltà degli items in LIS.
torretta
Il grafico sottostante mostra quello che sarebbe l’andamento delle risposte corrette al
Peabody Test da parte dei partecipanti sordi se la prova fosse proposta con gli items riordinati in
base alla difficoltà in LIS e non in italiano: la curva delle risposte corrette dei ragazzi sordi,
come si può osservare, diverrebbe marcatamente decrescente (come avviene per gli udenti in
lingua vocale). In futuro ci si propone dunque di somministrare in segni il Peabody Test
originale (cioè con gli items ordinati per difficoltà in italiano) ad un numero di partecipanti sordi
molto maggiore, nonché suddivisi per fasce d’età, di modo da poter individuare con maggior
rigore metodologico e statistico quello che sarà il nuovo ordine degli items in LIS. In questo
modo si potrebbe far sì che anche il Peabody versione segnata torni ad essere un test di livello.
120%
100%
% risp. corrette
80%
60%
40%
20%
0%
Items del Peabody da 1 a 175
Figura 35: risposte corrette per item in base al riordino del Peabody Test secondo un criterio di difficoltà
degli items in LIS.
Suddivisione per fasce d’età
Come si può osservare dal grafico sottostante, dai 12 anni in poi, ovvero dalle scuole
medie, tutti i partecipanti (tranne uno di 12 anni che frequenta la prima media) rispondono
correttamente ad almeno 120 items su 175. Nonostante quindi una prestazione generalmente
migliore dei più grandi versus i più piccoli, il fattore età sembra non essere determinante e
significativo per la riuscita del compito. Osserviamo infatti che un partecipante di 9,6 anni
ottiene il punteggio più alto di tutto il campione, anche rispetto a bambini che hanno 5 anni più
di lui. Si noti inoltre che le quattro prestazioni più carenti (meno di 120 items a cui è stato
risposto correttamente) sono da attribuirsi a bambini che hanno rispettivamente 9,6 anni, 11 anni
e 12 anni. Viceversa fra le sette prestazioni migliori (più di 140 items a cui è stato risposto
correttamente) vediamo che 6 bambini su 15 frequentano le scuole elementari. Sembra dunque
che il criterio di riuscita per tale compito sia legato ad altri fattori di tipo individuale più che
all’età, infatti non vi è correlazione statisticamente significativa, calcolata tramite il Test di
Spearman (correlazione non parametrica), fra l’età in mesi e le prestazioni nel Peabody Test
(r=0,317; p>0,05 n.s.).
180
161
154 155
160
157
145
140
131 129
136 134
157
155
146
139 141
132
160
156
146
131
129
123
122
136
123
118
120
111
103
100
80
60
40
20
Età Partecipanti
Figura 36: risposte corrette al Peabody Test a seconda delle età
14
,6
13
,9
13
,6
13
,3
12
,7
12
,1
11
,9
11
,4
11
,2
10
,7
9,
7
9,
4
8,
11
8
0
6,
1
Items peabody
158
155 153
Scuola frequenta
Il fattore scuola frequentata è invece decisamente rilevante per quanto riguarda la riuscita
nel compito di comprensione lessicale, infatti le medie dei punteggi dei bambini che frequentano
le due scuole sono diverse: i bambini che frequentano la scuola bilingue ottengono un punteggio
medio di 148,87 , mentre i bambini che frequentano le scuole ordinarie con Assistente alla
Comunicazione, ottengono un punteggio medio di 130,07. Questa differenza, calcolata tramite il
Mann-Whitney Test, è statisticamente significativa (Z=-3,054; p=0,002).
Come si può osservare dalle due linee di tendenza lineari del grafico sottostante, i
partecipanti frequentanti la scuola bilingue (linea di tendenza verde) ottengono un risultato
migliore in tale prova, rispetto ai partecipanti frequentanti scuole ordinarie con Assistente alla
Comunicazione (linea di tendenza blu): lo scarto diviene lievemente maggiore all’aumentare
dell’età dei partecipanti.
120%
100%
Perc. Risp. Corrette
80%
60%
40%
20%
0%
1
7
13 19 25 31 37 43 49 55 61 67 73 79 85 91 97 103 109 115 121 127 133 139 145 151 157 163 169 175
Items
Scuole ordinarie con AC
Scuola bilingue
Lineare (Scuola bilingue)
Lineare (Scuole ordinarie con AC)
Figura 37: risposte corrette al Peabody Test fornite in relazione alla scuola frequentata
Analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS
Si sono costituiti tre sottogruppi separando i bambini/ragazzi che sono stati esposti e
hanno appreso tardivamente la LIS (dalla scuola elementare in poi, ovvero dai 6 anni in su), dai
bambini che sono stati esposti e hanno appreso abbastanza precocemente la LIS (entro l’inizio
della scuola elementare, ma non dalla nascita, ovvero da 3 a 6 anni), dai bambini che sono stati
esposti e hanno acquisito precocemente la LIS (ovvero da 0 a 3 anni).
Nella tabella sottostante vediamo la percentuale di risposte corrette al Peabody fornite dai
partecipanti che hanno appreso tardivamente la LIS:
PARTECIP.
6
8
16
18
20
28
29
tot. 7
ETA'
9,1
9,5
11,8
11,11
12,7
14
14,6
PEABODY
132/175 = 75%
118/175 = 67%
129/175 = 73%
103/175 = 58%
146/175 = 83%
136/175 = 77%
156/175 = 89%
Tabella 10: Risposte corrette fornite al Peabody Test da coloro che hanno appreso la LIS dai 6 anni in poi.
Qui vediamo invece la percentuale di risposte corrette al Peabody fornite dai partecipanti
che hanno appreso abbastanza precocemente la LIS:
PARTECIP.
2
3
5
9
10
11
12
13
17
22
19
23
ETA'
7,5
8
8,11
9,7
9,11
10,7
11
11,2
11,9
12,1
12,7
13,3
PEABODY
129/175 = 73%
136/175 = 77%
122/175 = 69%
154/175 = 88%
161/175 = 92%
157/175 = 89%
111/175 = 63%
141/175 = 80%
146/175 = 83%
155/175 = 88,5%
153/175 = 87%
146/175 = 83%
24
25
26
27
30
tot.17
13,4
13,6
13,9
13,9
14,6
155/175 = 88,5%
160/175 = 91%
157/175 = 89%
131/175 = 74%
123/175 = 70%
Tabella 11: Risposte corrette fornite al Peabody Test da coloro che hanno appreso la LIS fra i 3 e i 6 anni.
Vediamo infine la percentuale di risposte corrette al Peabody fornite dai partecipanti che
hanno appreso precocemente la LIS:
PARTECIP.
1
4
7
14
15
21
tot. 6
ETA'
6,1
8,9
9,4
11,3
11,4
12,9
PEABODY
131/175 = 74%
134/175 = 76%
155/175 = 88,5%
123/175 = 70%
129/175 = 73%
158/175 = 90%
Tabella 12: Risposte corrette fornite al Peabody Test da coloro che hanno appreso la LIS fra 0 e 3 anni.
In ultimo si riporta una tabella riassuntiva che mostra, per ogni gruppo, la media delle età
dei bambini/ragazzi e la media percentuale delle risposte corrette fornite al Peabody Test.
Seppure l’ultimo gruppo risulti essere in media più piccolo di più di un anno rispetto agli altri
due gruppi (i risultati non sono quindi del tutto confrontabili), si può osservare come i
partecipanti di questo gruppo abbiano delle prestazioni più alte in media di 3,9 punti percentuali
se confrontati con coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Inoltre i partecipanti del
secondo gruppo ottengono delle prestazioni più alte in media di 6,8 punti percentuali rispetto a
coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Ciò fa supporre che, nonostante non si riveli una
differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=1,97; p=0,37], ci sia effettivamente un vantaggio
in coloro che hanno appreso la LIS precocemente per quanto riguarda un compito di
comprensione lessicale.
Media delle età
Risposte corrette
11,8
75,1%
11,4
81,9%
LIS app.tardivo – dai 6 aa. in poi
(7 bambini)
LIS app. semi precoce - dai 3 ai 6 aa.
(17 bambini)
LIS app.precoce - da 0 a 3 aa.
10
(6 bambini)
79,0%
Tabella 13: Risposte corrette percentuali fornite al Peabody Test rispetto a quando si è appresa la LIS.
Confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti
Dalla tabella sottostante si può vedere come la totalità dei partecipanti udenti, a
differenza del campione sordo, risponda correttamente a tutti gli items fino al settantacinquesimo
(che corrisponde a 9 anni e mezzo d’età). Questo ha senso se si pensa che il Peabody è un test di
livello standardizzato per la lingua italiana.
120%
Percentuale Risposte
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1
8
15 22
29 36 43
50 57 64
71 78
85 92 99 106 113 120 127 134 141 148 155 162 169
Items
Risposte Corrette
Figura 38: risposte corrette per item dei partecipanti udenti
Si può notare dal grafico sottostante come le prestazioni in questo compito di
comprensione lessicale siano molto differenti nei bambini e ragazzi sordi e in quelli udenti.
Questi ultimi, infatti, ottengono delle prestazioni marcatamente decrescenti come si può vedere
dalla linea di tendenza nera: fra le risposte corrette fornite agli items iniziali del test e quelle
fornite agli items finali, c’è uno scarto percentuale di 60 punti. Per i bambini e ragazzi sordi,
invece, lo scarto si riduce della metà, ovvero il 30% (linea di tendenza rossa). Per tale dato ci
potrebbero essere due spiegazioni plausibili: 1. come già detto in precedenza, l’ordine degli
items del test rispecchia una difficoltà crescente in italiano, e non in LIS, ed è dunque
comprensibile come negli udenti si osservi un decrescere più netto delle risposte corrette man
mano che il test va avanti; 2. il test stesso presenta degli items che non sono adatti, dal punto di
vista linguistico e culturale, ai partecipanti sordi e in cui la “traduzione” stessa facilita il
riconoscimento dell’immagine corretta: tali items sono per la maggioranza collocati nella
seconda metà del test. Si ritiene dunque che un riordino degli items possa far tornare il Peabody
versione segnata, un test di livello.
120%
100%
% Risposte
80%
60%
40%
20%
0%
1
7
13 19 25 31 37 43 49 55 61 67 73 79 85 91 97 103 109 115 121 127 133 139 145 151 157 163 169 175
Item peabody
SORDI
UDENTI
Lineare ( SORDI)
Lineare ( UDENTI)
Figura 39: confronto fra il gruppo di partecipanti sordi e il gruppo di controllo udente delle risposte corrette
al Peabody Test
Si può osservare dal grafico seguente come per i partecipanti udenti l’età migliori
nettamente le prestazioni fornite nel compito di comprensione lessicale, tanto che fra i bambini
di 6 anni ed i ragazzi di 15 anni vediamo uno scarto percentuale di 45 punti nelle risposte
corrette fornite; per i partecipanti sordi, invece, l’età sembra non essere un fattore determinante:
fra i partecipanti più piccoli e quelli più grandi, si osserva uno scarto percentuale di soli 10 punti.
180
160
140
Numero items corretti
120
100
80
60
40
20
14
,6
13
,9
13
,6
13
,3
12
,7
12
,1
11
,9
11
,4
11
,2
10
,7
9,
7
9,
4
8,
11
8
6,
1
0
Età partecipanti
SORDI
UDENTI
Lineare (SORDI)
Lineare (UDENTI)
Figura 40: confronto fra il gruppo di partecipanti sordi e il gruppo di controllo udente delle risposte corrette
al Peabody Test in base all’età dei partecipanti.
Valutando invece le performance del campione di bambini sordi e del campione di
bambini udenti (indipendentemente dalle età) si osserva come non vi sia una differenza
statisticamente significativa, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, fra le risposte corrette
fornite dei due gruppi (Z=-1,065; p=0,287 n.s.).
4.3 Prova linguistica di produzione lessicale: Boston Naming Test (BNT)
Verranno qui di seguito illustrati i risultati relativi ai diversi tipi di risposte ottenute al
compito di denominazione di figure da parte dei bambini e dei ragazzi sordi del campione e del
relativo gruppo di controllo udente, come segue:
risultati generali;
risposte corrette, non corrette e non risposte;
analisi qualitativa delle risposte non corrette;
analisi del fattore età;
analisi del fattore tipo di scuola frequentata;
analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;
analisi delle produzioni vocali effettuate;
confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti.
Risultati generali
Il grafico sottostante mostra l’andamento delle risposte corrette al BNT del campione
sordo. Si può chiaramente vedere come, nonostante la linea di tendenza ci mostri un andamento
comunque decrescente, ci sono molti picchi che si discostano da tale linea. Questo è
comprensibile se si pensa che l’ordine di presentazione degli items non corrisponde ad un
criterio di difficoltà crescente in LIS, ma in italiano.
100%
90%
80%
70%
60%
50%
40%
30%
20%
10%
Risposte Corrette
Goniometro
Sfinge
Graticcio
Pergamena
Asparago
Chiavistello
Fisarmonica
Piramide
Unicorno
Amaca
Pellicano
Scala mobile
Igloo
Domino
Rinoceronte
Castoro
Mappamondo
Freccetta
Vulcano
Racchetta
Biscotto
Stampella
Cammello
Polipo
Sega
Elicottero
Pettine
Matita
Fischietto
Letto
0%
Lineare (Risposte Corrette)
Figura 41: risposte corrette per item
Un’ulteriore analisi è stata quella di guardare, all’interno delle risposte corrette, quali
items sono stati prodotti dalla maggioranza dei partecipanti sordi. Dalla tabella sottostante, dove
sono riportate le percentuali di risposte corrette per ogni item, si osserva che solo a cinque figure,
evidenziate in giallo, tutti i partecipanti rispondono correttamente (3. matita; 4. casa; 8. fiore;
10. spazzolino; 21. racchetta). Interessante anche notare come alcune parole, evidenziate in
azzurro, che nella versione del BNT sono presentate nella seconda metà della prova perché
considerate difficili, risultano invece essere di agevole produzione per il campione in questione,
venendo cioè prodotte correttamente da più dell’80% dei partecipanti (38. arpa; 43. piramide;
44. museruola; 45. unicorno; 47. fisarmonica; 50. compasso; 51. chiavistello; 53. pergamena;
58. tavolozza).
BOSTON SCUOLE ORDINARIE CON A.C./SCUOLA BILINGUE
Items
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
Letto
Albero
Matita
Casa
Fischietto
Forbici
Pettine
Fiore
Sega
Spazzolino
Elicottero
Scopa
Polipo
Fungo
Stampella
Sedia a rotelle
Cammello
Maschera
Biscotto
Panchina
Racchetta
Lumaca
Vulcano
Cavall. mar.
Freccetta
Canoa
Mappamondo
Corona
Castoro
Armonica
percentuale
risp corrette
97%
100%
100%
87%
83%
93%
97%
100%
87%
100%
90%
93%
93%
87%
67%
87%
87%
73%
63%
67%
100%
93%
73%
43%
73%
37%
63%
53%
50%
87%
31
32
33
34
35
36
37
38
39
40
41
42
43
44
45
46
47
48
49
50
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
Items
Rinoceronte
Ghianda
Igloo
Trampoli
Domino
Cactus
Scala mobile
Arpa
Amaca
Battente
Pellicano
Stetoscopio
Piramide
Museruola
Unicorno
Imbuto
Fisarmonica
Cappio
Asparago
Compasso
Chiavistello
Treppiedi
Pergamena
Molle
Sfinge
Giogo
Graticcio
Tavolozza
Goniometro
Abaco
percentuale
risp corrette
77%
33%
43%
60%
50%
40%
77%
93%
67%
47%
40%
77%
87%
80%
80%
53%
93%
53%
17%
87%
80%
43%
83%
57%
33%
27%
40%
93%
53%
43%
Tabella 14: percentuale di risposte corrette per ogni item.
Alla luce di quanto sopra esposto si ritiene necessario che in futuro, in base a questo
lavoro e ad altre raccolte dati che si effettueranno, si possa standardizzare il BNT anche in LIS,
procedendo cioè con un riordino degli items per difficoltà crescente in LIS e non in italiano.
Nonostante il campione sia esiguo, in base alla percentuale di risposte corrette per ciascun item,
viene qui di seguito effettuato un primo riordino degli items per difficoltà crescente in LIS.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
11
12
13
14
15
16
17
18
19
20
21
22
23
24
25
26
27
28
29
30
Items ordinati
02. Albero
03. Matita
08. Fiore
10. Spazzolino
21. Racchetta
01. Letto
07. Pettine
06. Forbici
12. Scopa
13. Polipo
22. Lumaca
38. Arpa
47. Fisarmonica
58. Tavolozza
11. Elicottero
04. Casa
09. Sega
14. Fungo
16. Sedia a rotelle
17. Cammello
30. Armonica
43. Piramide
50. Compasso
05. Fischietto
53. Pergamena
44. Museruola
45. Unicorno
51. Chiavistello
31. Rinoceronte
37. Scala mobile
percentuale
risp corrette
100%
100%
100%
100%
100%
97%
97%
93%
93%
93%
93%
93%
93%
93%
90%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
87%
83%
83%
80%
80%
80%
77%
77%
percentuale
Items ordinati risp corrette
77%
31 42. Stetoscopio
73%
32 18. Maschera
73%
33 23. Vulcano
73%
34 25. Freccetta
67%
35 15. Stampella
67%
36 20. Panchina
67%
37 39. Amaca
63%
38 19. Biscotto
63%
39 27. Mappamondo
60%
40 34. Trampoli
57%
41 54. Molle
53%
42 28. Corona
53%
43 46. Imbuto
53%
44 48. Cappio
53%
45 59. Goniometro
50%
46 29. Castoro
50%
47 35. Domino
47%
48 40. Battente
43%
49 24. Cavall. mar.
43%
50 33. Igloo
43%
51 52. Treppiedi
43%
52 60. abaco
40%
53 36. Cactus
40%
54 41. Pellicano
40%
55 57. Graticcio
37%
56 26. Canoa
33%
57 32. Ghianda
33%
58 55. Sfinge
27%
59 56. Giogo
17%
60 49. Asparago
Tabella 15: riordino del BNT secondo un criterio di difficoltà degli items in LIS.
Risposte corrette, non corrette e non risposte
Come si può osservare dal grafico, vi sono il 70% di risposte corrette, il 24% di risposte
non corrette e solo il 6% di non risposte.
NON RISPOSTE
6%
RISP. NON CORRETTE
24%
RISP. CORRETTE
70%
Figura 42: percentuale di risposte corrette, non corrette e non risposte
Analisi qualitativa delle risposte non corrette
La categoria di errore più frequente è quella degli errori semantici 31% (es.: barca
anziché canoa; dadi anziché domino; uccello anziché pellicano) e degli incompleti 24% (si
rimanda al par. 3.5.4), seguita poi dalle circonlocuzioni 12% (es.: tipo usa a scuola anziché
abaco; serve pittore anziché treppiedi; contiene fuoco anziché vulcano), dagli errori fonologici
11% (si rimanda al par. 3.5.4), descrizione forma 11% (si rimanda al par. 3.5.4), di altre risposte
5% (es.: freddo anziché sfinge; tagliaerba anziché chiavistello; triangolo anziché corona), dei
percettivi 3% (es.: bastone anziché asparago; bilancia anziché giogo; tondo anziché corona) e
dei fuori target 3% (es.: cane anziché museruola; fiocco anziché corona; ghiaccio anziché pinza).
ALTRA RISPOSTA
5%
F.TARGET
3%
SEMANTICO
31%
INCOMPL.
24%
PERCETTIVO
3%
DESCR. FORMA
11%
FONOLOGICO
11%
CIRCONLOCUZIONE
12%
Figura 43: analisi qualitativa delle risposte non corrette suddivise per tipologia di errore.
Suddivisione per fasce d’età
Come si può osservare dal grafico sottostante, nonostante la linea di tendenza sia
direttamente proporzionale al crescere dell’età, un’analisi più attenta dei singoli partecipanti ci
mostra come il fattore età sembri non essere determinante per la riuscita del compito: fra i
bambini più piccoli e i ragazzi più grandi, osserviamo uno scarto percentuale di soli 15 punti.
Notiamo infatti che un partecipante di 9 anni ottiene il punteggio più basso di tutto il campione,
anche rispetto a bambini che hanno 3 anni meno di lui. Si noti inoltre che le quattro prestazioni
più carenti (meno di 30 items a cui è stato risposto correttamente) sono da attribuirsi a bambini
che hanno rispettivamente 8,7 anni, 9,1 anni, 9,6 anni e addirittura 12,4 anni. Viceversa fra le
sette prestazioni migliori (più di 50 items a cui è stato risposto correttamente) vediamo che ben
quattro bambini frequentano le scuole elementari. Sembra dunque che la riuscita in questo
compito non sia legata all’età cronologica, dal momento che non vi è correlazione
statisticamente significativa, calcolata tramite il Test di Spearman, fra l’età e il punteggio
ottenuto al Boston (r=0,345; p>0,05 n.s.); possiamo dunque ipotizzare la presenza di altre
variabili che possono spiegare la prestazione in questo compito.
60
56
54
51
50
53
53
51
46
43
37
39
36
33
45 46
48
49
46
46
37
32
32
30
46
42
41
40
Item
50
49
30
30
27
21
20
10
0
1
6,
8
11
8,
4
9,
7
9,
,7
10
,2
11
,4
11
,9
11
,7
12
,9
12
,3
13
,6
13
,9
13
,6
14
Età Partecipanti
Risposte Corrette
Lineare (Risposte Corrette)
Figura 44: risposte corrette al BNT a seconda delle età
Scuola frequenta
Il fattore scuola frequentata sembra invece essere decisamente rilevante per quanto
riguarda la riuscita nel compito di produzione lessicale, infatti le medie dei punteggi dei bambini
che frequentano le due scuole sono diverse: i bambini che frequentano la scuola bilingue
ottengono un punteggio medio di 48,87, mentre i bambini che frequentano le scuole ordinarie
con Assistente alla Comunicazione, ottengono un punteggio medio di 38,07. Questa differenza,
calcolata tramite il Mann-Whitney Test, è statisticamente significativa (Z=-3,159; p=0,002).
Come si può osservare dalla due linee di tendenza, i partecipanti frequentanti la scuola
bilingue (linea di tendenza gialla) ottengono un risultato migliore in tale prova, rispetto ai
partecipanti frequentanti scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (linea di tendenza
nera): lo scarto diviene maggiore all’aumentare dell’età dei partecipanti.
120%
% Risposte corrette
100%
80%
60%
40%
20%
as
a
Pe
t
Sp tine
az
zo
lin
o
Po
l
ip
Se
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A
sp
ar
a
Tr go
ep
pi
ed
i
Sf
in
ge
Ta
vo
lo
zz
a
C
Le
tto
0%
SCUOLA BILINGUE
SCUOLE ORDINARIE CON A.C.
Lineare (SCUOLA BILINGUE)
Lineare (SCUOLE ORDINARIE CON A.C.)
Items
Figura 45: risposte corrette al BNT fornite in relazione alla scuola frequentata
Un’analisi di tipo qualitativo delle risposte errate al BNT fornite dai partecipanti
frequentanti i due tipi di scuole, ci fa notare come non ci siano delle differenze significative nelle
tipologie di errore.
Analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS
Si sono costituiti tre sottogruppi, separando i bambini/ragazzi che sono stati esposti e
hanno appreso tardivamente la LIS (dalla scuola elementare in poi, ovvero dai 6 anni in su), dai
bambini che sono stati esposti e hanno appreso abbastanza precocemente la LIS (entro l’inizio
della scuola elementare ma non dalla nascita, ovvero da 3 a 6 anni), dai bambini che sono stati
esposti e hanno acquisito precocemente la LIS (ovvero da 0 a 3 anni).
Nella tabella sottostante vediamo la percentuale di risposte corrette al Boston fornite dai
partecipanti che hanno appreso tardivamente la LIS:
PARTECIP.
6
8
16
18
20
28
29
tot. 7
ETA'
9,1
9,5
11,8
11,11
12,7
14
14,6
BOSTON
21/60 = 35%
30/60 = 50%
46/60 = 76%
30/60 = 50%
45/60 = 75%
46/60 = 76%
42/60 = 70%
Tabella 16: Risposte corrette fornite al Boston da coloro che hanno appreso la LIS dai 6 anni in poi.
Qui vediamo invece la percentuale di risposte corrette al Boston fornite dai partecipanti
che hanno appreso abbastanza precocemente la LIS:
PARTECIP.
2
3
5
9
10
11
12
13
17
22
19
23
24
25
26
27
30
tot.17
ETA'
7,5
8
8,11
9,7
9,11
10,7
11
11,2
11,9
12,1
12,7
13,3
13,4
13,6
13,9
13,9
14,6
BOSTON
38/60 = 63%
43/60 = 71%
43/60 = 71%
38/60 = 63%
57/60 = 95%
54/60 = 90%
42/60 = 70%
49/60 = 81%
49/60 = 81%
54/60 = 90%
50/60 = 83%
44/60 = 73%
53/60 = 88%
54/60 = 90%
55/60 = 91%
32/60 = 53%
45/60 = 75%
Tabella 17: Risposte corrette fornite al Boston da coloro che hanno appreso la LIS fra i 3 e i 6 anni.
Vediamo infine la percentuale di risposte corrette al Boston fornite dai partecipanti che
hanno appreso precocemente la LIS:
PARTECIP.
1
4
7
14
15
21
tot. 6
ETA'
6,1
8,9
9,4
11,3
11,4
12,9
BOSTON
41/60 = 68%
27/60 = 45%
54/60 = 90%
39/60 = 65%
37/60 = 61%
46/60 = 76%
Tabella 18: Risposte corrette fornite al Boston da coloro che hanno appreso la LIS fra 0 e 3 anni.
In ultimo si riporta una tabella riassuntiva che mostra, per ogni gruppo, la media delle età
dei bambini/ragazzi e la media percentuale delle risposte corrette fornite al Boston Naming Test.
Seppure l’ultimo gruppo risulti essere in media più piccolo di più di un anno rispetto agli altri
due gruppi (i risultati non sono quindi del tutto confrontabili), si può osservare come i
partecipanti di questo gruppo abbiano delle prestazioni più alte in media di 5,9 punti percentuali
se confrontati con coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Inoltre i partecipanti del
secondo gruppo ottengono delle prestazioni più alte in media di 16,5 punti percentuali rispetto a
coloro che hanno appreso tardivamente la LIS. Ciò fa supporre che, nonostante non si riveli una
differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=5,42; p=0,067], ci sia effettivamente un
vantaggio in coloro che hanno appreso la LIS precocemente, per quanto riguarda un compito di
produzione lessicale.
Media delle età
Risposte corrette
11,8
61,9%
11,4
78,4%
LIS app.tardivo – dai 6 aa. in poi
(7 bambini)
LIS app. semi precoce - dai 3 ai 6 aa.
(17 bambini)
LIS app.precoce - da 0 a 3 aa.
(6 bambini)
10
67,8%
Tabella 19: Risposte corrette percentuali fornite al Boston rispetto a quando si è appresa la LIS.
Analisi delle produzioni vocali effettuate
Dall’analisi delle risposte fornite dai partecipanti si è notato come gran parte del
campione abbinasse ai segni prodotti anche una produzione vocale. Tali produzioni vocali sono
quasi sempre “equivalenti”, ovvero esprimono un contenuto identico (viene pronunciata la parola
italiana corrispondente all’item target per intero o non per intero) o semanticamente vicino al
segno espresso: ad esempio all’item 1 letto viene prodotto il segno letto e viene abbinata una
produzione vocale di letto; letti; let; dorme sul letto; materasso; dormire. All’item 18 maschera
viene prodotto il segno maschera e viene abbinata una produzione vocale di maschera; masc;
faccia; carnevale; faccia cattiva. All’item 40 battente viene prodotto il segno battente e viene
abbinata una produzione vocale di porta suona; maniglia; porta; campanello; bussare. Tale
contenuto, semanticamente vicino al segno prodotto, si ritrova sia nei segni corretti rispetto agli
items target, come appena mostrato, sia nei segni non corretti rispetto agli items target: ad
esempio all’item 19
biscotto viene prodotto il segno serpente (errore percettivo) e viene
abbinata una produzione vocale di serpente; animale. All’item 29 castoro viene prodotto il
segno scoiattolo o topo (errori semantici) e vengono abbinate rispettivamente le produzioni
vocali di scoiattolo e topo. All’item 43 piramide viene prodotto il segno tenda (errore percettivo)
e viene abbinata una produzione vocale di tenda.
In rarissimi casi si è osservata una “aggiunta”, ovvero una produzione vocale che esprime
un significato diverso rispetto al segno: all’item 35 domino viene prodotto il segno domino e
viene abbinata una produzione vocale di uguale visto televisione. All’item 47 fisarmonica viene
prodotto il segno fisarmonica e viene abbinata una produzione vocale di uomo soldi tanti. Tutte
le aggiunte riscontrate sono concettualmente collegate al segno.
Per “sostituzione” si intende invece quando la produzione vocale non accompagna alcun
segno prodotto. La sostituzione rispetto all’item target è stata usata in pochissimi casi, ovvero 5
casi su 1800 items somministrati: di queste 5 produzioni vocali 3 sono state senza suono e 2 con
suono. Ad esempio all’item 49 asparago non è stato prodotto alcun segno ma è stata prodotta
vocalmente la parola asparago. Di queste 5 produzioni vocali, 3 non sono corrette rispetto
all’item target. La sostituzione si osserva invece più frequentemente quando le produzioni,
rispetto all’item target, sono multiple. Ad esempio all’item 1 letto si può osservare la seguente
produzione:
Segno:
Produzione vocale:
bambino
letto
letto
dorme
In questo caso la parola bambino è vista come una “sostituzione” perché non accompagna
nessun segno prodotto (la parola letto è “equivalente” perché esprime un significato identico al
segno prodotto in contemporanea; dorme è invece una produzione solo segnica dal momento che
non vi è abbinata nessuna produzione vocale).
Nonostante l’estremo interesse di analizzare il tipo di produzioni vocali che vengono
abbinate ai segni, in questo lavoro di Tesi ci si è concentrati nel dare una stima quantitativa delle
produzioni vocali effettuate dal campione, più che nello studiarne la natura: si rimanda questo
approfondimento ad indagini successive.
Si è quindi proceduto analizzando, sul totale delle risposte fornite dal campione
(indipendentemente da quali fossero corrette o meno), il tipo di produzione effettuata dai
partecipanti. Le possibili modalità riscontrate sono: solo segno, segno e produzione vocale senza
suono (il segnante produce il segno e abbina la parola italiana corrispondente labializzandola ma
non vocalizzandola), segno e produzione vocale con suono (il segnante produce il segno e abbina
la parola italiana corrispondente vocalizzandola), solo produzione vocale senza suono
(labializzazione della parola italiana) e solo produzione vocale con suono (vocalizzazione della
parola italiana). Al totale complessivo degli items somministrati, ovvero 1800 (60 items X 30
bambini/ragazzi), sono state sottratte le “non risposte” per arrivare a un totale di 1704 items a cui
i partecipanti hanno risposto. A questi 1704 items, il 61,7% del campione risponde producendo
uno o più segni + una o più produzioni vocali, il 38,3% produce il solo segno, mentre meno
dell’1% fa una sola produzione vocale con o senza suono (3/1800 produzione vocale senza
suono, 2/1800 produzione vocale con suono): data l’irrilevanza dell’ultimo dato, non è stato
riportato nel grafico.
38,3%
61,7%
Solo segno
Segno+produzione vocale
Figura 46: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT.
Di questo 61,7% di risposte in cui compare il segno + la produzione vocale, vediamo che
il 35,5% produce il segno + una produzione vocale non sonora, il 17, 9% produce il segno + una
produzione sonora, mentre l’8,3% produce il segno + un suono onomatopeico. Nonostante
l’onomatopea sia una produzione vocale con suono, si è ritenuto importante separare queste due
categorie causa l’interesse del largo utilizzo di suoni onomatopeici usati dai bambini/ragazzi
sordi del campione. Si è notato inoltre che l’uso di suoni onomatopeici è più ricorrente negli
items che seguono:
l’item 5 fischietto dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea fff; fu fu fu; fu; fuuu;
l’item 9 sega dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata l’onomatopea
sss; zzz; fff;
l’item 13 polipo dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata l’onomatopea
plum plum; fffff; pa pa;plu plu; pu pu;
l’item 16 sedia a rotelle dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea mmm; rrr;
l’item 23 vulcano dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea ttt; vuf; puf puf; pu pu;
l’item 14 cavalluccio marino dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea fu; paa;
l’item 25 freccetta dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea fu; pu; fff; pum;
l’item 40 battente dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea pum pum; bum bum;
l’item 47 fisarmonica dove, oltre al segno (corretto o meno), viene abbinata
l’onomatopea bbb; fuu.
8,3%
17,9%
38,3%
35,5%
Solo segno
Segno+Prod.S-
Segno+Prod.S+
Segno+onomat.
Figura 47: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT.
Lo stesso tipo di analisi è stata condotta solo sulle risposte corrette (1270/1800) e si è
visto che la percentuale di produzioni solo segniche, segniche e vocali con o senza suono e
segniche con onomatopea, rimane pressoché inalterata.
9,2%
16,5%
36,4%
37,9%
Solo segno
Segno+Prod.S-
Segno+Prod.S+
Segno+onomat.
Figura 48: tipo di produzione usata nelle risposte corrette fornite al BNT.
Se però si va a vedere nel dettaglio l’uso delle modalità prescelte a seconda dei due
diversi tipi di scuola, vediamo che i bambini/ragazzi frequentanti le scuole ordinarie con
Assistente alla Comunicazione (grafico di sinistra) fanno più produzioni solo segniche e meno
produzioni segno + vocale rispetto ai bambini/ragazzi della scuola bilingue (grafico di destra).
34,4%
42,6%
57,4%
Solo segno
65,6%
Segno+produzione vocale
Solo segno
Segno+produzione vocale
Figura 49: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT dai partecipanti frequentanti le scuola
ordinarie con Assistente alla Comunicazione (sin) e frequentanti la scuola bilingue (dx).
Se inoltre analizziamo quali tipi di produzioni vocali sono state utilizzate, vediamo che i
bambini/ragazzi frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (grafico di
sinistra) producono il 42,6% di soli segni, rispetto al 32,4% dei bambini/ragazzi della scuola
bilingue (grafico di destra), il 16,8% di segni + produzioni non sonore versus il 52,8% dei
partecipanti della scuola bilingue, il 33,4% di segni + produzioni sonore versus il 3,1% e, in
ultimo, una percentuale simile di segni + suono onomatopeico (7,2% versus 9,7%). Più in
generale si può quindi affermare che la modalità di produzione prescelta dai bambini/ragazzi
frequentanti le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione che solitamente, come
abbiamo visto nel precedente capitolo, sono abituati all’utilizzo di un metodologia bimodale in
cui si segna e si parla contemporaneamente, scelgono o la produzione segnica + la produzione
vocale sonora oppure il solo segno. Per quanto riguarda invece i bambini/ragazzi frequentanti la
scuola bilingue vediamo che la modalità prescelta di produzione è quella del segno + la
produzione vocale non sonora, tipica infatti della cultura sorda. Va inoltre notato come un’altra
possibile spiegazione risieda nel fatto che nelle scuole ordinarie con Assistente alla
Comunicazione la somministrazione è stata effettuata in LIS da uno sperimentatore udente
seppur molto competente in lingua dei segni, mentre, nella scuola bilingue, la somministrazione
è stata effettuata sempre in LIS ma da uno sperimentatore sordo segnante nativo: si suppone che
tale differenza possa aver influenzato i bambini nelle produzioni (i bambini possono infatti aver
prodotto più segni + produzione vocale con suono per “agevolare” lo sperimentatore udente,
viceversa possono aver prodotto più segni + produzione vocale senza suono nel caso dello
sperimentatore sordo).
9,7%
7,2%
42,6%
33,4%
3,1%
34,4%
52,8%
16,8%
Solo segno
Segno+Prod.S-
Solo segno
Segno+Prod.S-
Segno+Prod.S+
Segno+onomat.
Segno+Prod.S+
Segno+onomat.
Figura 50: tipo di produzione usata nelle risposte fornite al BNT dai partecipanti frequentanti le scuola
ordinarie con Assistente alla Comunicazione (sin) e frequentanti la scuola bilingue (dx).
In ultimo si è fatto lo stesso tipo di analisi solo sulle risposte corrette e si è visto, ancora
una volta, che la percentuale di produzioni solo segniche, segniche e vocali con o senza suono e
segniche con onomatopea, rimane pressoché inalterata.
10,5%
7,3%
39,1%
34,3%
19,3%
Solo segno
Segno+Prod.S-
Segno+Prod.S+
Segno+onomat.
1,8%
34,8%
52,9%
Solo segno
Segno+Prod.S+
Segno+Prod.SSegno+onomat.
Figura 51: tipo di produzione usata nelle risposte corrette fornite al BNT dai partecipanti frequentanti le
scuola ordinarie con Assistente alla Comunicazione (sin) e frequentanti la scuola bilingue (dx).
Confronto fra partecipanti sordi e partecipanti udenti
Dalla linee di tendenza sotto rappresentate si può notare come il gruppo di partecipanti
sordi (lineare gialla) ottenga complessivamente una prestazione simile, anche se leggermente
migliore, nel compito di produzione lessicale soprattutto dall’item 23 in poi, cioè via via che il
test si fa più difficile. Per questo dato ci potrebbero essere due spiegazioni plausibili: 1. come già
detto in precedenza, l’ordine degli items del test rispecchia una difficoltà crescente in italiano, e
non in LIS, ed è dunque comprensibile come negli udenti si osservi un decrescere più netto delle
risposte corrette man mano che il test va avanti; 2. l’elevata iconicità della LIS, rispetto
all’italiano, potrebbe favorire i partecipanti sordi rispetto agli udenti, facilitandoli nel compito di
denominazione di figure.
120%
% Risposte corrette
100%
80%
60%
40%
20%
0%
1 3
5 7 9 11 13 15 17 19 21 23 25 27 29 31 33 35 37 39 41 43 45 47 49 51 53 55 57 59
Items
udenti
sordi
Lineare (sordi)
Figura 52: confronto fra il gruppo di partecipanti sordi e il gruppo di controllo udente delle risposte corrette
al BNT
Dal grafico a barre seguente si può vedere come il 70% dei partecipanti sordi rispondano
correttamente alla denominazione di figure versus il 67% dei partecipanti udenti. Le risposte non
corrette sono invece il 24% per i partecipanti sordi versus il 28% per quelli udenti. La
percentuale di non risposte è pressoché identica (6% per i sordi; 5% per gli udenti). Si può
complessivamente dire che l’andamento delle risposte corrette, non corrette e non risposte è
molto simile per i due gruppi messi a confronto, infatti non vi è differenza statisticamente
significativa, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, fra le performance dei partecipanti sordi e
di quelli udenti (Z=-1,547; p=0,122 n.s.).
100%
90%
80%
% Risposte
67%
70%
70%
60%
50%
40%
28%
24%
30%
20%
5%
10%
6%
0%
RISPOSTE CORRETTE
RISPOSTE ERRATE
NON RISPOSTE
Categorie di risposta
TOT Udenti
TOT Sordi
Figura 53: percentuale di risposte corrette, non corrette e non risposte del gruppo di partecipanti sordi e di
quello udente.
Quello che invece cambia sono le tipologie di errore: per quanto riguarda il gruppo
udente vediamo l’uso di molte circonlocuzioni (40%) che probabilmente vengono sostituite nei
sordi dalle categorie incompleti (24%) (cfr. cap. 3, par. 3.5.4) e descrizione forma (11%) (cfr.
cap. 3, par. 3.5.4). In particolare quest’ultima viene vista proprio come una modalità tipica della
lingua dei segni, ovvero di una lingua visivo-gestuale: nel momento in cui non si è in grado di
denominare una figura, la si spiega descrivendo come si presenta graficamente, dal punto di vista
visivo, ovvero quello più saliente per una persona sorda. Nessuno dei bambini udenti del nostro
campione ha invece mai descritto la forma di un oggetto quando non lo conosceva, ma molti ne
hanno descritto la funzione.
50%
45%
40%
40%
38%
35%
31%
% Risposte
30%
24%
25%
20%
15%
12%
11%
11%
10%
8%
6%
3%
3%
3%
0%
al
tr
o
rg
.
pl
.
ta
de
sc
r.
f
in
co
m
c.
0%
pe
r
or
m
fo
n.
ci
rc
.
se
m
.
0%
5%
f.
5%
5%
Tipologie di errore
sordi
udenti
Figura 54: analisi qualitativa delle risposte non corrette suddivise per tipologia di errore nel gruppo di
partecipanti sordi e di quelli udenti a confronto.
Nel grafico sottostante si può vedere come l’età, anche nel confronto fra bambini sordi e
udenti, sembri non essere un fattore discriminante. Fra i bambini della scuola elementare e quelli
della scuola media, infatti, non si ha una differenza significativa circa le risposte corrette date al
BNT, sebbene si osservi comunque un miglioramento delle prestazioni con il crescere delle età.
77%
80%
70%
66%
70%
62%
% Risposte corrette
60%
50%
40%
30%
20%
10%
0%
SORDI SCUOLA
ELEMENTARE
SORDI SCUOLA
MEDIA
UDENTI SCUOLA
ELEMENTARE
UDENTI SCUOLA
MEDIA
Figura 55: risposte corrette al BNT con suddivisione in base alla scolarità.
4.4 Narrazione: Frog, where are you?
Verranno qui di seguito illustrati i risultati relativi al compito di narrazione da parte dei
bambini e dei ragazzi sordi del campione e del relativo gruppo di controllo udente, come segue:
risultati generali;
analisi del fattore età;
analisi del fattore tipo di scuola frequentata;
analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;
confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti.
Risultati generali
Nella tabella sottostante sono indicate le prestazioni nel compito narrativo dei
partecipanti sordi del campione (espresse secondo il punteggio utilizzato da Bello e Capirci, in
stampa) che va da un minimo di 0 a un massimo di 5 punti (cfr. cap. 3, par. 3.5.5). Come si può
vedere, più della metà del campione ottiene il punteggio massimo in questa prova.
% DI PARTECIPANTI CHE
PUNTEGGIO OTTENUTO
HANNO OTTENUTO QUEL
PUNTEGGIO
Punteggio 0
0%
Punteggio 1
0%
Punteggio 2
6,66%
Punteggio 3
13,33%
Punteggio 4
20%
Punteggio 5
60%
Tabella 20: punteggio complessivo espresso in percentuale ottenuto alla Frog Story.
Suddivisione per fasce d’età
Come si può osservare dal grafico sottostante il fattore età non influenza più di tanto la
riuscita nel compito di narrazione (si noti che il partecipante più piccolo del campione ottiene 5
punti, ovvero il punteggio massimo) infatti non vi è correlazione statisticamente significativa,
calcolata tramite il Test di Spearman, fra l’età in mesi e le prestazioni nella Frog Story (r=0,115;
p>0,5 n.s.).. Dalla linea di tendenza del grafico sottostante si può notare come al crescere
dell’età, il punteggio ottenuto aumenti in media di solo 0,5 punti.
Punteggio da 0 a 5
6
5
4
Punt. Complessivo FROG
3
Lineare (Punt. Complessivo
FROG)
2
1
14
13
,6
12
,7
12
,1
1
11
,8
11
,2
9,
4
9,
11
8,
9
6,
1
0
Partecipanti in ordine di età
Figura 56: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story per ciascun partecipante. I partecipanti sono ordinati
sull’asse delle x per età cronologica crescente.
Scuola frequenta
Il fattore scuola frequentata è invece decisamente rilevante per quanto riguarda la riuscita
nel compito di narrazione, infatti le medie dei punteggi dei bambini che frequentano le due
scuole sono diverse: i bambini che frequentano la scuola bilingue ottengono un punteggio medio
di 4,7 , mentre i bambini che frequentano le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione,
ottengono un punteggio medio di 3,9. Questa differenza, calcolata tramite il Mann-Whitney Test,
è statisticamente significativa (Z= -2,310; p=0,021).
Come si può osservare dalla due linee di tendenza, i partecipanti frequentanti la scuola
bilingue (linea di tendenza viola) ottengono un risultato migliore in tale prova, rispetto ai
partecipanti frequentanti scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione (linea di tendenza
blu): lo scarto diviene lievemente maggiore all’aumentare dell’età dei partecipanti.
6
5
punt. da 2 a 5
Scuole ordinarie con A.C.
4
Scuola Bilingue
3
Lineare (Scuole ordinarie
con A.C.)
2
Lineare (Scuola Bilingue)
1
Figura XXX: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story in relazione alla scuola frequentata
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15
partecipanti in ordine di età
Figura 57: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story in relazione alla scuola frequentata.
Analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS
Nonostante non si riveli una differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=4,04;
p=0,132] in coloro che acquisiscono la LIS entro i 3 anni di età o che l’apprendono fra i 3 e i 6
anni rispetto a coloro che l’apprendono in età scolare, sembra comunque, come si può notare dal
grafico sottostante, che ci sia un vantaggio nella prova di narrazione in coloro che acquisiscono
la LIS entro i 3 anni di età o che l’apprendono fra i 3 e i 6 anni, rispetto a coloro che
l’apprendono in età scolare (lo scarto percentuale è di 1 punto); si ricorda inoltre che il gruppo di
partecipanti che hanno appreso la LIS precocemente è più piccolo di quasi 2 anni rispetto al
gruppo che ha appreso la LIS dai 6 anni in poi.
Punteggio da 0 a 5
5
4
3
Serie1
2
1
0
Apprendimento tardivo
della LIS (età media 11,8)
Apprendimento semiprecoce della LIS (età
media 11,4)
Apprendimento precoce
della LIS (età media 10)
Apprendimento precoce/tardivo della LIS
Figura 58: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story in relazione all’età di apprendimento della LIS.
Confronto fra partecipanti sordi e partecipanti udenti
Come si può osservare dal grafico sottostante i partecipanti sordi della scuola bilingue
ottengono dei risultati migliori se confrontati con i ragazzi sordi delle scuole ordinarie con
Assistente alla Comunicazione e con i ragazzi udenti del gruppo di controllo. Si noti che dal
nono partecipante in poi, che corrisponde a un’età media di 11, 6 anni, tutti i ragazzi sordi della
scuola bilingue e tutti i ragazzi udenti ottengono il massimo del punteggio, a differenza dei
ragazzi sordi delle scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione che mostrano un
andamento più oscillatorio. La differenza fra tutti i ragazzi sordi e quelli udenti, calcolata con il
Mann-Whitney Test, non è però statisticamente significativa (Z=-0,082; p=0,935 n.s.).
6
Punteggio da 0 a 5
5
4
Scuole ordinarie con A.C.
Scuola Bilingue
3
Controlli udenti
2
1
0
1
2
3
4
5
6
7
8
9 10 11 12 13 14 15
Partecipanti in ordine di età
Figura 59: punteggio complessivo ottenuto alla Frog Story dai partecipanti sordi delle scuole ordinarie con
Assistente alla Comunicazione, dai partecipanti sordi della scuola bilingue e dai partecipanti udenti.
4.5 Teoria della Mente: Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties
Verranno qui di seguito illustrati i risultati, relativi alle prove di Teoria della Mente,
ottenuti dai bambini e dai ragazzi sordi del campione e del relativo gruppo di controllo udente,
come segue:
risultati generali;
analisi del fattore età;
analisi dei fattori età + tipo di scuola frequentata;
analisi dei fattori età + genitori sordi o udenti;
analisi del fattore apprendimento tardivo o precoce della LIS;
confronto con il gruppo di controllo di bambini e ragazzi udenti;
risultati del riordino delle storie in sequenza.
Risultati generali
Nell’esposizione dei risultati generali, come precedentemente detto nel paragrafo 3.5.6, ci si
attiene ai criteri di riuscita del compito utilizzati da Peterson e Siegal (1995) e Russel et al. (1998),
che ritengono superati tali test di falsa credenza nel momento in cui si sono superati entrambi SallyAnn 1 e 2, ed al criterio adottato invece da Courtin (2002), il quale ritiene superato il compito se si
risponde correttamente a due prove su tre (fra Sally-Ann 1, Sally-Ann 2 e Smarties).
E’ interessante notare dalla tabella come ci sia un’alta percentuale di ragazzi, a differenza
di quanto riportato in letteratura, che non supera le domande controllo (terza e quarta domanda) e
per i quali quindi il compito viene invalidato indipendentemente dalla correttezza o meno delle
risposte alle domande di falsa credenza e di motivazione (prima e seconda domanda). Importante
anche notare come tutti e 3 i bambini del gruppo dai 6 agli 8 anni, non superino le domande
controllo e non abbiano quindi accesso a nessuno dei 3 test. Nell’esposizione dei risultati a
seguire, quando si incontrerà una discordanza fra il numero di partecipanti ad un test e il totale
delle persone che lo hanno sostenuto, significherà appunto che la differenza è costituita da quei
bambini/ragazzi che non hanno risposto alle domande controllo e per i quali il test viene dunque
invalidato.
Sally-Ann (2 prove):
Supera 13/22 59%
(8 non superano domande controllo; 3/3 del gruppo 6-8 anni)
Smarties
Supera 18/26 69,2%
(4 non superano domande controllo; 3/3 del gruppo 6-8 anni)
2 prove su 3
Supera 15/21 71,4%
(9 non superano domande controllo; 3/3 del gruppo 6-8 anni)
I risultati del presente studio sono complessivamente migliori di quelli di Peterson e
Siegal (1995) e Russell et al. (1998): il 59% del nostro campione supera infatti Sally-Ann (2
prove) versus, rispettivamente, il 17%
di
Peterson e Siegal (studio condotto su 26
bambini/ragzzi di età compresa fra gli 8,1 e i 13 anni) e il 28% di Russell (studio condotto su 32
bambini/ragazzi di età compresa fra i 4,9 e i 16,11 anni).
Risultati per le 3 fasce d’età
S-A 1+2
0/0 = 0%
SMARTIES
0/1 = 0%
2/3
3 bb 6-8 aa:
0/0 = 0%
14 bb 9-11 aa:
6/11 = 54,5%
8/13 = 61,5%
7/11 = 63,6%
13 bb 12-14 aa: 7/11 = 63,6%
10/12 = 83,3%
8/10 = 80%
Come si può osservare dalla tabella, nessun bambino della prima fascia d’età (6 – 8 anni)
supera il compito: si potrebbe quindi ipotizzare che le false credenze di primo livello siano acquisite
dai 9 anni in poi. Si osserva inoltre un netto miglioramento nella terza fascia d’età, in particolar
modo se si considera il criterio di riuscita di Courtin (2 prove su 3).
Se analizziamo i risultati di Russell et al. (1998) in base all’età (nello studio di Peterson e
Siegal del 1995, invece, non è stata fatta una suddivisione in base alle età) vediamo che il gruppo di
bambini con media 6,7 anni ottiene il 17% di successo nel superamento di Sally-Ann 1 e 2, il
gruppo di bambini con media 10,11 anni ottiene il 10% di successo e il gruppo di ragazzi con media
15,5 anni ottiene il 60% di successo. I risultati dello studio di Russell sono dunque confrontabili
solo in parte con quelli della presente ricerca a causa di una suddivisione differente per età. E’
comunque interessante notare come, a differenza del nostro campione, la fascia d’età dei più piccoli
ottenga il 17% di successo dimostrando una prestazione addirittura migliore del gruppo di bambini
con media 10,11 anni d’età (10%). Un successivo studio di Peterson (2004) mostra invece una forte
correlazione fra età e acquisizione delle false credenze: i 5/6 del campione che superano tutte le
prove hanno infatti più di 9 anni, esattamente la linea di confine da noi individuata per il
superamento dei suddetti test.
Dai risultati del presente studio si nota quindi come il fattore età, calcolato tramite una
regressione multipla lineare Stepwise, sia significativo. Facendo infatti entrare nel modello come
primo predittore la competenza narrativa (Frog), il modello spiega il 30% della varianza in modo
significativo (R2=0,298; F=11,91; p=0,002); facendo in seguito entrare nel modello il secondo
predittore (età in mesi), vediamo che anche la proporzione di varianza spiegata che viene aggiunta
al modello (+17,5%) è statisticamente significativa (R2=0,475; F=12,229; p=0,001).
Risultati delle 3 fasce d’età + scuola frequentata
Se procediamo con un’analisi più dettagliata che non tenga conto solo dell’età dei
partecipanti, ma anche della scuola frequentata, notiamo come dai 9 anni in poi il 100% dei bambini
e ragazzi frequentanti la scuola bilingue superino tutti i test, sia adottando il criterio di riuscita di
Peterson e Siegal (1995) e Russel et al. (1998), sia quello di Courtin (2002): il fattore scuola
frequentata infatti risulta essere statisticamente significativo in favore della scuola bilingue.
Interessante comunque notare che i bambini della fascia d’età 6-8 anni, seppur frequentanti la
scuola bilingue, non superano tali test di Teoria della Mente, come a dire che vi è comunque un
ritardo nell’acquisizione di queste competenze rispetto ai coetanei udenti, che viene però recuperato
all’aumentare dell’età dei partecipanti, anche grazie al tipo di scuola frequentata: si parla infatti di
ritardo d’acquisizione e non di deficit.
Sally-Ann (2 prove):
3
bb 6-8 anni
- 3 scuola bilingue
14
13
bb 9-11 anni
0/0
0%
6/11
54,5%
- 8 scuole con A.C.
1/6
16,7%
- 6 scuola bilingue
5/5
100%
bb 12-14 anni
7/11
63,6%
- 7 scuole con A.C.
2/6
33,3%
- 6 scuola bilingue
5/5
100%
Smarties
3
Tot 13/22 (59%)
Tot 18/26 (69,2%)
bb 6-8 anni
- 3 scuola bilingue
14
13
bb 9-11 anni
0/1
8/13
0%
61,5%
- 8 scuole con A.C.
3/8
37,5%
- 6 scuola bilingue
5/5
100%
bb 12-14 anni
10/12
83,3%
- 7 scuole con A.C.
5/7
71,4%
- 6 scuola bilingue
5/5
100%
2 prove su 3 (2 S-A e Smarties)
3
Tot 15/21 (71,4%)
bb 6-8 anni
- 3 scuola bilingue
14
13
bb 9-11 anni
0/0
0%
7/11
63,6%
- 8 scuole con A.C.
2/6
33,3%
- 6 scuola bilingue
5/5
100%
8/10
80%
- 7 scuole con A.C.
4/6
66,7%
- 6 scuola bilingue
4/4
100%
bb 12-14 anni
Età + genitori sordi o udenti
Per tale analisi è stata presa in considerazione solo la fascia d’età 9-11 anni, perché era
l’unica dove ci fosse una discreta incidenza di bambini sordi figli di genitori sordi. Come si può
vedere dalla tabella sottostante non ci sono differenze significative fra i due gruppi: tale
considerazione è stata anche confermata dal Mann-Whitney Test che mostra come non ci siano
differenze statisticamente significative fra bambini sordi figli di genitori sordi o figli di genitori
udenti (Z= -0,713; p=0,476 n.s.).
S-A 1+2
SMARTIES
bb con genitori sordi (5)
2/4=50%
3/5=60%
3/4=75%
bb con genitori udenti (9)
4/7=57,1%
5/8=62,5%
4/7=57,1%
14
2/3
bb 9-11 aa:
Sebbene il numero di partecipanti di tale analisi sia del tutto insufficiente per estendere i
risultati a considerazioni più generali, si procede comunque con un confronto di tali risultati con gli
studi fatti in letteratura.
Nel 1999 Peterson e Siegal condussero uno studio con 59 bambini sordi con media 9,5 anni
(età compresa fra i 5,6 e i 13 anni). Il campione della ricerca era così suddiviso: 11 bambini sordi
segnanti figli di genitori sordi (Bse-GS), 14 bambini sordi con educazione oralista figli di genitori
udenti (Bor-GU) e 34 bambini sordi segnanti figli di genitori udenti (Bse-GU). I risultati ottenuti da
tale studio differiscono notevolmente dalla presente ricerca: i bambini sordi segnanti figli di genitori
sordi ottengono infatti dei risultati decisamente migliori rispetto agli altri due gruppi, ovvero l’82%
di successo in Sally-Ann 2 prove e il 100% di successo in Smarties. Tali risultati sono paragonabili
a quelli del gruppo di controllo udente (86% di successo in Sally-Ann 2 prove e 90% di successo in
Smarties).
59
S-A 1+2
SMARTIES
bb media 9,5 aa (5,6 - 13):
-
11 Bse-GS
82%
100%
-
14 Bor-GU
64%
71%
-
34 Bse-GU
38%
59%
-
21 B udenti
86%
90%
Anche uno studio del 2000 di Courtin mostra come i bambini sordi segnanti figli di genitori
sordi ottengano dei risultati migliori rispetto ai bambini educati oralmente figli di genitori udenti e
ai bambini segnanti figli di genitori udenti.
2/3 PROVE
155
bb 5-8 aa:
-
37 Bse-GS
90%
-
45 Bor-GU
45%
-
54 Bse-GU
28%
-
39 B udenti (4-6 aa)
39%
Apprendimento tardivo o precoce della LIS
Dal momento che la differenza fra i dati da noi ottenuti nella precedente analisi e i dati
riportati in letteratura discordano molto, ci siamo interrogati sul cosa voglia dire “avere i genitori
sordi”. Essere figli di sordi non garantisce infatti necessariamente l’acquisizione della lingua dei
segni in modo spontaneo, dal momento che i genitori sordi potrebbero, a loro volta, essere stati
educati oralmente e non essere segnanti. Al contrario, una bambina sorda del nostro campione,
figlia di genitori udenti segnanti, ha ad esempio avuto una baby-sitter sorda segnante nativa per 8
ore al giorno dall’età di 6 mesi in poi (età della diagnosi di sordità): non è dunque da considerarsi
segnante nativa anche questa bambina figlia di udenti? Ci è sembrato dunque più opportuno
suddividere il campione in base al periodo effettivo di apprendimento della LIS, separando i
bambini che sono stati esposti e hanno appreso tardivamente la LIS (dalla scuola elementare in
poi, ovvero dai 6 anni in su), dai bambini che sono stati esposti e hanno appreso abbastanza
precocemente la LIS (entro l’inizio della scuola elementare ma non dalla nascita, ovvero da 3 a 6
anni), dai bambini che sono stati esposti e hanno acquisito precocemente la LIS (ovvero da 0 a 3
anni).
MEDIA
SALLYANN 1+2
SMARTIE
S
2/3
PROV
E
33,3%
57,1%
33,3%
11,9
83,3%
84,6%
90,9%
10,8
25%
60%
75%
DELLE
ETA’
I) LIS app.tardivo – dai 6 aa. in poi
(7 bambini)
11,8
II) LIS app. semi precoce - dai 3 ai 6 aa.
(17 bambini)
III) LIS app.precoce - da 0 a 3 aa.
(6 bambini)
Tabella 21: Risposte corrette fornite ai compiti di teoria della mente rispetto a quando si è appresa la LIS.
Nonostante non si riveli una differenza statisticamente significativa [Chi2(2)=1,79;
p=0,407], si riscontra comunque un effettivo vantaggio in coloro che hanno appreso la LIS
precocemente per quanto riguarda i compiti di teoria della mente. La tabella mostra chiaramente
come i bambini che hanno appreso precocemente la LIS (II e III gruppo) ottengano
complessivamente dei risultati decisamente migliori rispetto ai bambini che hanno acquisito
tardivamente la LIS e ciò vale in particolare per il II gruppo (ciò è sicuramente influenzato dal
fatto che il II gruppo ha 13 mesi in più del III gruppo e, come abbiamo precedentemente visto,
l’età è un fattore molto rilevante ai fini del superamento dei compiti di teoria della mente).
L’unico dato ad essere discordante con tale considerazione è quello evidenziato in rosso (25%):
questo dato potrebbe essere spiegato dall’esiguità del campione e dalla inferiore età cronologica
dei partecipanti del gruppo stesso. I risultati ottenuti in questa analisi sono paragonabili con le
ricerche prima presentate di Peterson e Siegal (1999) e di Courtin (2000), come a dire che
probabilmente il fattore significativo non è tanto se i genitori sono sordi o udenti (dato che ciò
non garantisce che siano necessariamente segnanti) quanto se la LIS è stata acquisita
precocemente e in modo spontaneo.
Confronto con il gruppo di controllo udente
In letteratura diversi Autori riportano che l’età di acquisizione delle false credenze è, per i
bambini con sviluppo tipico, fra i 4 ed i 6 anni: “sembra che tra i 4 e i 6 anni emerga una nuova
abilità cognitiva. I bambini acquisiscono la capacità di rappresentare false credenze e di costruire un
enunciato veritiero o ingannevole relativamente alla credenza di una persona” (Wimmer, Perner,
1983).
Il gruppo di controllo udente, abbinato ai bambini e ragazzi sordi del campione, ottiene il
73% di successo secondo il criterio di riuscita di Peterson e Siegal e Russel et al., l’86% secondo il
criterio di riuscita di Courtin e il 93% nella prova Smarties. Interessante notare che nessuno dei
bambini e ragazzi del gruppo di controllo udente è stato escluso dalle prove per non aver superato le
domande controllo, a differenza invece di quanto è accaduto per i partecipanti sordi (il 30% di
questi ultimi non ha risposto correttamente alle domande controllo). Infatti se nell’analisi statistica
non consideriamo i partecipanti sordi che non hanno risposto correttamente alle domande controllo
e che quindi sono stati esclusi dal campione, non si osserverà una differenza significativa (calcolata
con il t-Test); se invece reinseriamo anche coloro che non hanno risposto correttamente alle
domande controllo, assegnando loro un punteggio di -1 e assumendo quindi che la loro prestazione
sia in qualche misura peggiore di coloro che superano le domande controllo ma non supera il test, la
differenza fra partecipanti sordi e udenti, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, risulterà allora
statisticamente significativa in favore del secondo gruppo (Z= -1,994; p=0,046).
Si può quindi dire che complessivamente si osserva nei bambini sordi un ritardo di
acquisizione delle false credenza di circa 4 anni rispetto ai bambini con sviluppo tipico e che questo
ritardo viene poi recuperato dai 9 anni in su.
Risultati del riordino delle storie in sequenza
Diciotto bambini/ragazzi su trenta, ovvero il 60% del campione, riordinano correttamente le
immagini delle storie in sequenza. Diversamente da quanto si potrebbe pensare non si osservano
maggiori difficoltà nel riordino delle storie mentalistiche rispetto a quelle meccanicistiche o
comportamentali.
Se suddividiamo il campione in base al grado scolastico, vediamo che il 53% (9/17) dei
bambini frequentanti le scuole elementari riordina correttamente la sequenza di immagini, versus il
69% (9/13) dei ragazzi delle scuole medie: la differenza calcolata tramite una correlazione non
parametrica, ovvero il Test di Spearman, non risulta essere significativa (r= 0,177; p>0,05 n.s.).
Notiamo inoltre che su quindici bambini/ragazzi frequentanti le scuole ordinarie con
Assistente alla Comunicazione, meno della metà riordinano correttamente le sequenze, ovvero il
46%, mentre fra i quindici bambini/ragazzi frequentanti la scuola bilingue 11 superano il test,
ovvero il 73%. Tale dato, calcolato tramite il Mann-Whitney Test, non risulta essere significativo
(Z= -1,466; p=0,143 n.s.) ma, se si procede con un’analisi più dettagliata e si va a vedere per
ciascun bambino quante storie ha effettivamente riordinato correttamente (ad es. il primo
partecipante non supera la prova nella sua totalità, ma se si osserva nel dettaglio si può vedere che
ha superato ben 4 storie su 6), la differenza fra le due scuole, calcolata tramite il Mann-Whitney
Test, risulta essere statisticamente significativa (Z= -2,229; p=0,026).
Per quanto riguarda il gruppo di controllo udente, l’80% supera il test e più della metà degli
errori vengono compiuti nel riordino delle storie mentalistiche: nonostante ciò la differenza fra
partecipanti sordi e udenti, calcolata tramite il Mann-Whitney Test, non risulta essere
statisticamente significativa (Z= -1,327; p>0,05 n.s.).
STORIE
STORIE
MECCANICISTICHE
COMPORTAMENTALI
SCUOLA
ETA' CLASSE
FREQUENTATA
palloncino
mattone
dolci
il gelato
Scuole bilingue
6,1
I elem
ok
ok
ok
1; 3; 2; 4
Scuole bilingue
7,5
II elem
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
8
II elem
ok
ok
1; 4; 3; 2
ok
Scuole con AC
8,9
III elem
ok
ok
ok
1; 4; 2; 3
Scuole con AC
8,11 III elem
ok
ok
1; 4; 2; 3
ok
Scuole con AC
9,1
III elem
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
9,4
IV elem
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
9,5
III elem
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
9,7
IV elem
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
9,11 IV elem
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
10,7
V elem
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
11
IV elem
1; 3; 2; 4
ok
1; 2; 4; 3
ok
Scuole bilingue
11,2
V elem
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
11,3
V elem
ok
ok
1; 2; 4; 3
1; 4; 2; 3
Scuole con AC
11,4
V elem
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
11,8
I media
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
11,9
V elem
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
11,11 V elem
1; 3; 2; 4
1; 2; 4; 3
ok
1; 4; 2; 3
Scuole bilingue
12,7 II media
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
12,7 II media
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
12,7 II media
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
12,9 II media
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
13,3 II media
ok
1; 2; 4; 3
ok
1; 3; 2; 4
Scuole bilingue
13,4 II media
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
13,6 III media
ok
ok
ok
ok
Scuole bilingue
13,9 III media
1; 3; 2; 4
ok
ok
ok
Scuole con AC
13,9 II media
1; 4; 3; 2
1; 2; 4; 3
ok
1; 3; 2; 4
Scuole con AC
14
III media
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
14,6 III media
ok
ok
ok
ok
Scuole con AC
14,6
III media
ok
ok
ok
26/30=86,6% 27/30=90% 26/30=86,6%
STORIE
MENTALISTICHE
caramella
1; 4; 2; 3
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
1; 4; 3; 2
ok
ok
ok
ok
ok
1; 3; 4; 2
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
l'orsetto
ok
ok
1; 2; 4; 3
ok
ok
ok
RISULTATO
ok
ok
ok
1; 3; 4; 2
ok
1; 3; 4; 2
1; 3; 2; 4
1; 3; 2; 4
ok
1; 4; 2; 3
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
ok
1; 3; 2; 4
ok
ok
non superato
SUPERATO
non superato
non superato
non superato
SUPERATO
SUPERATO
SUPERATO
SUPERATO
SUPERATO
SUPERATO
non superato
SUPERATO
non superato
non superato
non superato
SUPERATO
non superato
SUPERATO
SUPERATO
SUPERATO
SUPERATO
non superato
SUPERATO
SUPERATO
non superato
non superato
SUPERATO
SUPERATO
ok
ok
ok
ok
ok
SUPERATO
24/30=80%
27/30=90%
23/30=76,6%
18/30=60%
Discussione
Si è osservato che i bambini sordi superano i test di TdM dai 9 anni in poi; le ipotesi sono
dunque: 1) che non possediamo gli strumenti adatti per valutare le loro capacità e che quindi
bisognerebbe mettere a punto dei nuovi strumenti valutativi più idonei; 2) che la TdM si sviluppa
nei bambini sordi con tempi diversi che ci portano quindi a parlare di ritardo nell’acquisizione di
competenze e non di deficit, dal momento che queste competenze vengono in seguito acquisite.
I risultati ottenuti nel presente studio (il 59% supera Sally-Ann 2 prove) sono
complessivamente migliori di quelli riscontrati in letteratura: Peterson e Siegal, 1995 (il 17% supera
Sally-Ann 2 prove) e Russell et al., 1998 (il 28% supera Sally-Ann 2 prove).
I tre fattori che risultano dunque significativi per la riuscita del compito sono:
l’ETA’: i bambini della fascia 6-8 anni non superano nessuno dei criteri di riuscita;
la SCUOLA BILINGUE: evidente nella fascia di età intermedia 9-11 anni. Il fattore scuola
sembra influenzare i tempi diversi di acquisizione (dai 9 anni in poi il 100% dei
bambini/ragazzi della scuola bilingue che ha accesso al test, cioè risponde correttamente alle
due domande controllo, supera i test di teoria della mente a differenza del 25% dei bambini
/ragazzi che frequentano le scuole ordinarie con Assistente alla Comunicazione); anche nei
bambini/ragazzi della scuola bilingue però il ritardo di 3-5 anni rispetto al gruppo di
controllo udente permane;
l’APPRENDIMENTO PRECOCE DELLA LIS: sebbene tale fattore non abbia un peso
determinante come i primi due, si può supporre che tali bambini abbiano acquisito, fin da
piccolissimi, uno stile comunicativo e conversazionale più adeguato con i loro genitori.
Non si evidenzia invece un effetto connesso al fattore genitori sordi o udenti ma ci si
propone, nel futuro, di aumentare il numero di partecipanti figli di genitori sordi per avere un
quadro più preciso della situazione. Sarà inoltre interessante indagare la correlazione fra teoria della
mente e stili comunicativi precoci genitore-bambino.
4.6 Correlazioni statisticamente significative fra prove
Un ulteriore passo è stato quello di correlare fra loro i diversi test per vedere quali relazioni
esistevano fra essi. La correlazione più forte che si osserva è quella fra il Peabody e il Boston
(entrambe prove lessicali) (r = 0,70; p<0,001).Queste due prove hanno infatti in comune il 49%
della variabilità: la possibilità di ottenere un punteggio alto in uno dei due compiti è dunque
spiegata per il 49% dalla riuscita nell’altro compito (quindi i bambini che vanno bene in uno di
questi due test sono gli stessi che vanno bene anche nell’altro).
Il Peabody inoltre correla con la teoria della mente (r = 0,463; p<0,01) e con la Frog Story
(r=0,458; p<0,02) in misura uguale. Ciascuna di queste due prove ha in comune con il Peabody il
21% della variabilità.
Il Boston, invece, correla con la Frog in misura maggiore, vi è infatti il 35% della variabilità
in comune (r=0,595; p<0,001), e con la teoria della mente, seppure in misura minore, vi è infatti il
16% della variabilità in comune (r=0,401; p<0,028). Ciò ha senso se si pensa che sia il Boston, sia
la Frog, sono compiti di produzione.
Importante ricordare che queste prove sono tutte correlate fra loro e quindi la variabilità che
reciprocamente condividono può essere in comune anche con altre tra le variabili intercorrelate.
Il VMI, test cognitivo non verbale, correla principalmente con la prova narrativa (r=0,641;
p<0,001) e, in secondo luogo, con la prova di comprensione lessicale (r=0,371; p<0,05).
I compiti di teoria della mente, oltre che correlare con le prove di vocabolario come
precedentemente detto, e con il riordino delle storie in sequenza (r=0,384; p<0,04), correlano in
modo molto forte con la Frog Story (r=0,546; p<0,002) tanto che per ogni punto che un bambino
prende in più alla Frog Story, ci si può aspettare un punto in più nei compiti di teoria della mente
(come si può vedere dalle linee parallele del grafico sottostante. Linea continua: Frog Story; linea
tratteggiata: teoria della mente): lo stesso non avviene in senso inverso. E’ dunque possibile avere
una prestazione alta nella Frog Story e un punteggio basso nella prove di teoria della mente, mentre
è molto improbabile avere un punteggio alto nella prove di teoria della mente e una prestazione
bassa nella Frog Story (nel grafico sottostante si può infatti vedere come un solo partecipante sia
collocato nella parte superiore dell’area del grafico). Sembra che la Frog Story, e quindi la
competenza narrativa, sia una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere dei buoni
risultati nei compiti di teoria della mente. Si può quindi supporre che evidentemente le capacità
narrative non bastino per superare i compiti di teoria della mente, infatti ciò che inoltre incide molto
è il fattore età e, in misura statisticamente significativa seppur minore, il fattore scuola bilingue.
Figura 60: Correlazione fra le prove di teoria della mente e la prova narrativa Frog Story.
CONCLUSIONI E PROSPETTIVE FUTURE DI RICERCA
In questo paragrafo verranno riassunti i principali risultati emersi, in riferimento agli scopi
della ricerca.
Il primo scopo era quello di adattare o costruire degli strumenti di valutazione che fossero
idonei per le persone sorde e che fossero quanto più possibile analoghi a quelli utilizzati
abitualmente per la lingua vocale. A tal fine, come primo stadio, abbiamo ritenuto necessario avere
una valutazione delle abilità cognitive non verbali tramite il Developmental Test of Visual-Motor
Integration -VMI- (Beery, 1967). Successivamente, per una stima della comprensione del
vocabolario in LIS è stato adattato il Peabody Vocabulary Test (Dunn, Dunn,1981): grazie all’aiuto
di sordi segnanti nativi, il test è stato “tradotto” in LIS e somministrato integralmente ai partecipanti
perché, essendo gli items del test ordinati per difficoltà crescente in italiano e non in LIS, la prova
non poteva più essere utilizzata “a livello”. Per la produzione del vocabolario si è invece utilizzato
il Boston Naming Test –BNT- (Kaplan, Goodglass, Weintraub, 1983), una prova di denominazione:
ai bambini e ragazzi del campione è stato chiesto di produrre in LIS le figure del test. L’analisi delle
risposte fornite dal campione è stata riadattata pensando al campione preso in esame. Si è inoltre
ritenuto importante avere informazioni circa le competenze narrative di questi bambini grazie alla
Frog story (Mayer, 1969). In ultimo, si è ritenuto interessante esplorare l’acquisizione di una teoria
della mente, sempre utilizzando la lingua dei segni: a tal riguardo ci sono due teorie contrastanti, la
prima delle quali vede la teoria della mente come una abilità indipendente da altre capacità, mentre
la seconda considera invece questa acquisizione strettamente collegata ad altre capacità ed in
particolare al linguaggio. I bambini sordi divengono quindi un importante “test” per distinguere fra
le due ipotesi dal momento che molti di loro hanno diverse carenze linguistiche, ma capacità
cognitive non verbali intatte. Le prove adottate sono Sally-Ann 1 e 2 (Peterson, Siegal, 1995),
Smarties (Perner, Frith, Leslie e Leekam, 1989) e le storie in sequenza (Rhys-Jones e Ellis, 2000).
Il campione di questa ricerca è costituito da trenta bambini e ragazzi sordi di età compresa
fra i 6 e i 14 anni e dal rispettivo gruppo di controllo udente. Tutti i partecipanti hanno una sordità
grave (soglia fra 70 e 90 decibel) o profonda (con soglia uguale o superiore ai 90 decibel) e
conoscono, seppur in misura diversa, la lingua dei segni. Le storie scolastiche di questi bambini
sono però molto differenti: quindici bambini sono inseriti in scuole ordinarie con Assistente alla
Comunicazione nelle quali sono quindi gli unici sordi in un contesto scolastico e linguistico
esclusivamente di udenti; gli altri quindici frequentano invece una scuola bilingue italiano/LIS in
cui, in una stessa classe, è previsto l’inserimento di più bambini sordi e la presenza di un interprete
per tutta la durata delle ore scolastiche. Nella scuola bilingue, inoltre, tutti (professori, collaboratori
scolastici, alunni, ecc.), conoscono almeno in parte la LIS.
I risultati di tale indagine ci mostrano che i bambini sordi ottengono complessivamente delle
performance pari a quelle dei loro coetanei udenti, sia nella comprensione che nella produzione del
vocabolario.
Per quanto riguarda la prova di comprensione si ritiene necessario, in futuro, somministrare
tale prova a un numero maggiore di partecipanti, in modo di poter effettuare un riordino degli items
per difficoltà crescente in LIS e di poter avere dei dati di riferimento su questa particolare
popolazione.
Per quanto concerne la produzione del vocabolario, si vuole sottolineare che nell’analisi
delle produzioni non corrette le categorie di errore sono quantitativamente uguali a quelle degli
udenti, ma qualitativamente diverse: i bambini sordi, se non conoscono l’item che gli è stato chiesto
di denominare, tendono a descriverne la forma dell’oggetto raffigurato, usando quindi il canale
sensoriale per loro più saliente, cioè la vista; i bambini udenti, invece, usano delle circonlocuzioni
vere e proprie: si è dunque ipotizzato che la descrizione della forma di un oggetto “sia la
circonlocuzione dei bambini sordi”. E’ inoltre interessante notare come la maggioranza delle
produzioni dei bambini del nostro campione sia effettuata tramite il segno e una produzione vocale
abbinata, solitamente non sonora.
Per quanto riguarda le narrazioni, i risultati ottenuti dai partecipanti sordi sono
complessivamente equivalenti a quelli dei partecipanti udenti. I bambini e ragazzi sordi frequentanti
la scuola bilingue, però, se confrontati con i partecipanti sordi delle scuole ordinarie con Assistente
alla Comunicazione, producono delle narrazioni più lunghe, più ricche e meglio strutturate:
mediamente vengono introdotti più frequentemente i personaggi della storia, il luogo in cui questa
si svolge e il tempo in cui accade, vengono narrati più episodi della storia, vi sono più collegamenti
fra un episodio e il suo successivo, vengono fatte più inferenze congruenti, le competenze
pragmatiche sono più alte (suspence, effetti visivi e sonori, ripetizioni, marcatori enfatici, ecc.), più
frequentemente viene usato il lessico psicologico per spiegare quanto accade nella storia e sono
presenti più strutture di Grande Iconicità (considerate indice di complessità in LIS).
Per quanto riguarda la teoria della mente vediamo che i bambini sordi superano tali prove
dai nove anni in poi, con un ritardo di circa cinque anni rispetto ai bambini udenti. Questo accade
anche per coloro che hanno appreso la lingua dei segni precocemente, ovvero in età prescolare. Le
ipotesi sono dunque: 1) che non possediamo gli strumenti adatti per valutare le loro capacità e che
quindi bisognerebbe mettere a punto dei nuovi strumenti valutativi più idonei; 2) che la teoria della
mente si sviluppa nei bambini sordi con tempi diversi, che ci portano quindi a parlare di ritardo
nell’acquisizione di competenze e non di deficit, dal momento che queste stesse competenze
vengono in seguito acquisite.
I risultati ottenuti nel presente studio nelle prove di teoria della mente (il 59% supera SallyAnn 2 prove) sono complessivamente migliori di quelli riscontrati in letteratura: Peterson e Siegal,
1995 (il 17% supera Sally-Ann 2 prove) e Russell et al., 1998 (il 28% supera Sally-Ann 2 prove).
Importante sottolineare che nove bambini su trenta del nostro campione non hanno avuto accesso al
test perché non hanno risposto correttamente alle domande controllo e sono dunque stati esclusi (a
differenza dei bambini udenti in cui nessuno non risponde correttamente alle domande controllo).
I tre fattori che risultano significativi per la riuscita del compito sono:
l’ETA’: i bambini della fascia 6-8 anni non superano nessuno dei criteri di riuscita;
la SCUOLA BILINGUE: evidente nella fascia di età intermedia 9-11 anni (il 100% di questi
bambini, a parte quelli che sono stati esclusi per non aver risposto correttamente alle
domande controllo, supera le prove). Il fattore scuola sembra influenzare positivamente il
padroneggiamento della teoria della mente, nonostante il ritardo d’acquisizione permanga;
l’APPRENDIMENTO PRECOCE DELLA LIS: si è ritenuto importante non andare solo a
considerare le famiglie di provenienza dei bambini sordi (genitori sordi o udenti) ma
considerare piuttosto l’età di apprendimento della LIS. Questo perché il fatto di avere
genitori sordi non garantisce automaticamente che venga usata la LIS in famiglia: i genitori
sordi, infatti, potrebbero essere stati educati con il metodo oralista e non essere
assolutamente dei seganti fluenti; o viceversa dei genitori udenti potrebbero aver effettuato
molto precocemente delle scelte per favorire l’acquisizione della LIS nei loro bambini sordi,
come ad esempio prendere una baby-sitter sorda segnante nativa quando il figlio era ancora
neonato. Per tutte queste ragioni si è deciso quindi di considerare l’età di
acquisizione/apprendimento della LIS e si è visto che i bambini sordi che hanno acquisito la
LIS precocemente hanno probabilmente avuto, fin da piccolissimi, uno stile comunicativo e
conversazionale più adeguato con i loro genitori che li ha facilitati nei compiti di teoria della
mente.
Nonostante il campione troppo esiguo non permetta generalizzazioni, sembra che non si
evidenzi un effetto connesso al fattore genitori sordi o udenti.
Riprendendo quindi l’interrogativo postoci in precedenza, si direbbe che la teoria della
mente sia effettivamente collegata ad altre capacità ed in particolare al linguaggio, tanto che gli
unici due fattori che sono risultati significativi nella predittività della riuscita in tali compiti, a parte
l’età cronologica, sono principalmente la scuola frequentata e, in misura minore, l’acquisizione
precoce della LIS. Si può quindi supporre che aver acquisito precocemente una lingua che viene
condivisa con i propri genitori e avere la possibilità a scuola di poter comunicare senza sforzo e in
modo naturale, riduca le lacune conversazionali che invece incontrano i bambini sordi, segnanti e
non, che non hanno acquisito la LIS precocemente e che non sono inseriti in un ambiente scolastico
segnante.
Dall’analisi della correlazione fra le varie prove, si evince che i test di comprensione e
produzione lessicale correlano in modo molto forte fra loro. Inoltre il Peabody, essendo un compito
di comprensione lessicale, correla nettamente con la riuscita nei compiti di teoria della mente e,
seppur in misura minore, con la Frog Story. Il Boston, invece, essendo un test di produzione
lessicale, correla in modo forte con la Frog e in misura minore con la teoria della mente. Il VMI,
test cognitivo non verbale, correla principalmente con la prova narrativa e, in secondo luogo, con la
prova di comprensione lessicale. I compiti di teoria della mente, oltre che correlare con le prove di
vocabolario e con il riordino delle storie in sequenza, correlano in modo molto forte con la Frog
Story tanto che per ogni punto che un bambino prende in più alla Frog Story, ci si può aspettare un
punto in più nei compiti di teoria della mente, anche se lo stesso non avviene al contrario. E’
dunque possibile avere una prestazione alta alla Frog Story e un punteggio basso nella prove di
teoria della mente, mentre è molto improbabile avere un punteggio alto nella prove di teoria della
mente e una prestazione bassa alla Frog Story. Sembra che la Frog Story, e quindi la competenza
narrativa, sia una condizione necessaria ma non sufficiente per ottenere dei buoni risultati nei
compiti di teoria della mente. Si può quindi supporre che le capacità narrative non bastino per
superare i compiti di teoria della mente: infatti ciò che inoltre incide molto è il fattore età e, in
misura significativa seppur minore, il fattore scuola bilingue.
Per quanto riguarda le future prospettive di ricerca, ci si propone innanzitutto di ampliare il
campione in generale e quello di bambini sordi figli di genitori sordi in particolare: l’ampliamento
del campione permetterebbe di avere dei dati di riferimento specifici per i bambini sordi, utili
soprattutto per quanto riguarda le prove di vocabolario. Inoltre, confrontando i dati raccolti con
bambini e ragazzi sordi, con quelli di adulti sordi segnanti nativi e non, si potrebbe indagare la
maturazione delle competenze narrative in LIS ovvero quali sono le competenze che vengono
acquisite prima di altre. Sarebbe inoltre interessante indagare la correlazione fra la teoria della
mente e gli stili comunicazionali precoci genitore-bambino. Ci si propone tra l’altro di confrontare i
risultati ottenuti nel presente studio con quelli di altri gruppi di ricerca italiani che hanno
somministrato agli stessi partecipanti di questa ricerca i medesimi test, ma in lingua e modalità
diverse, cioè l’italiano orale e scritto, al fine di indagare le stesse competenze nelle due lingue. In
ultimo, come precedentemente detto, ci si propone di mettere a punto un protocollo di valutazione
per bambini e ragazzi sordi che comprenda la valutazione linguistica delle abilità di vocabolario
(comprensione e produzione), la valutazione sintattico-grammaticale, la valutazione delle abilità
narrative e della teoria della mente, nelle tre modalità: segnato, parlato e scritto.
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La valutazione delle abilità linguistiche in - Padis