PICASSO – parte terza La svolta cubista avviene tra il 1906 e il 1907. In quegli anni vi fu la grande retrospettiva sulla pittura di Paul Cézanne, da poco scomparso, che molto influenza ebbe su Picasso. Nello stesso periodo, come molti altri artisti del tempo, non ultimo Amedeo Modigliani, anche Picasso si interessò alla scultura africana, sulla scorta di quella riscoperta quell’esotico primitivo che aveva suggestionato molta cultura artistica europea da Paul Gauguin in poi. Da questi incontri e dalla volontà di continua sperimentazione, che ha sempre caratterizzato l’indole del pittore, nacque nel 1907 il quadro Les demoiselles de Avignon che segnò l’avvio della stagione cubista di Picasso e che durerà circa 10 anni, un periodo di grande sperimentazione, in cui Picasso rimette in discussione il concetto stesso di rappresentazione artistica. In quegli anni fu legato da un intenso sodalizio artistico con George Braque. I due artisti lavorarono a stretto contatto di gomito, producendo opere che sono spesso indistinguibili tra loro, tanto che alcuni critici attribuiscono a Braque l’idea originaria. In questo periodo avvenne la definitiva consacrazione dell’artista che raggiunse livelli di notorietà mai raggiunti da altro pittore in questo secolo. Si notino le due figure sulla destra del dipinto, ispirate da oggetti d'artigianato africano. L’invenzione del Cubismo da parte di Braque e Picasso costituisce dunque un’opera comune, fondata su analoghe preoccupazioni e ricerche parallele. Questa eccezionale complementarietà non ha equivalente nella storia dell’arte. MA CHI HA FATTO CHE COSA? Rendiamo a Cesare quel che è di Cesare e a Braque quello che gli ha tolto la notorietà di Picasso. L’impronta di Cézanne è Braque, più profondamente. Ma quella del primitivismo è Picasso. Se Picasso ha “cézannizzato” il suo primitivismo, è stato sotto l’influenza di Braque. La prima opera qualificata come cubista è di Braque. Ma quella di cui si è detto che apriva la strada è di Picasso. Si può concordare quindi con quanto affermava Jean Cocteau, che ben lo conosceva, allorché, quando gli artisti sapevano che stava per arrivare Picasso, correvano a nascondere le loro opere: “Mi porterà via il mio modo di dipingere gli alberi, diceva uno, e l’altro: mi porterà via il sifone, sono stato io a dipingerlo per primo; si dava un’enorme importanza ad ogni minimo dettaglio e, se i colleghi temevano le visite di Picasso, è perché sapevano che il suo occhio avrebbe visto tutto, ingoiato tutto, digerito tutto e restituito tutto nei suoi quadri con una ricchezza di cui essi erano incapaci.” Il passaggio dal cubismo analitico al cubismo sintetico rappresenterà un momento fondamentale della sua evoluzione artistica. Il pittore appare sempre più interessato alla semplificazione della forma, per giungere al segno puro che contiene in sé la struttura della cosa e la sua riconoscibilità concettuale. I detrattori di Picasso affermano che la fase cubista dell'artista ha definitivamente aperto la strada all'arbitrario, su cui, in ultima analisi, si fonda la maggior parte dell'arte moderna: ormai, l'artista si concede qualsiasi licenza sia nella concezione dell'opera sia nella sua esecuzione. Il cubismo analitico (1910-1912) Il periodo analitico inizia nel 1910 in corrispondenza al fatto che ora il paesaggio occupa soltanto un ruolo limitato nelle opere di Picasso e di Braque. Chiusi nei loro atelier, i due artisti producono numerose nature morte a cui si aggiungono alcune figure e ritratti. L'immagine del visibile si frantuma, e i visi e gli oggetti (chitarre, bicchieri, violini, boccali...), a loro volta, si frammentano in una miriade di faccette. L'adozione di una molteplicità di punti di vista permette così di raggiungere una visione totale e di creare un oggetto estetico estremamente strutturato. Questa nuova concezione dello spazio pittorico e della forma favorisce la monocromia e lo studio della luce. Poiché si caratterizzano attraverso una ricerca comune, risulta ora quasi impossibile distinguere con precisione le opere di Picasso da quelle di Braque, opere in cui, fra l'altro, i toni sono volontariamente ridotti alla gamma degli ocra e dei grigi. Il cubismo sintetico (1912-1914) Dopo il cubismo analitico (che porta a una sorta di "esplosione" del visibile) si presenta alla ribalta del movimento cubista il periodo sintetico. La "sintesi" (quale è realizzata soprattutto da Picasso, Braque, Gris...) inizia con l'introduzione progressiva di lettere stampate, di listelli di legno e di altri oggetti in trompe l'œil, attraverso collage e papiers collés, che si presentano come autentici brani di realtà integrati al quadro. Picasso, che aveva lavorato con questi artisti sul collage e il trompe-l’oeil, diceva: “Cézanne parte da una bottiglia per arrivare ad un cilindro, io parto da un cilindro per arrivare a una bottiglia.” Nel 1917, anche a seguito di un suo viaggio in Italia, Pablo Picasso imprime al suo stile una inversione totale. Abbandona quindi la sperimentazione per passare ad una pittura più tradizionale, dove le figure divengono solide e quasi monumentali. Questo suo ritorno ad un certo figurativo anticipa di qualche anno un analogo fenomeno che, dalla metà degli anni ’20 in poi, si diffonderà in tutta Europa segnando la fine delle Avanguardie Storiche. Lasciando da parte il «ritorno a Ingres» del 1915, la collaborazione ai Balletti Russi a partire dal 1917 e il periodo detto «pompeiano», caratterizzato dalla raffigurazione di pesanti matrone, sembra esserci, dunque, una perfetta continuità tra la pittura cubista di Pablo Picasso e la sua pittura di carattere surrealista, che s'inaugura nel 1925 con La danza (Tate Gallery, Londra) e che prosegue praticamente per una ventina d'anni, con un'estrema libertà nei confronti dei principi anatomici. Ballets Russes – costumi, libretto e Diaghilev Classicismo e surrealismo Nel periodo successivo alla prima guerra mondiale Picasso produsse lavori di stile neoclassico. Questo "ritorno all'ordine" è evidente nel lavoro di numerosi artisti europei negli anni venti; tra essi Derain, De Chirico, Severini, gli artisti dei movimenti del neooggettivismo in Germania e di Valori Plastici e Novecento in Italia. I dipinti e i disegni di Picasso di questo periodo richiamano volontariamente all'opera dei grandi maestri del Rinascimento italiano, in particolare a Raffaello, ed alla pittura neoclassica di Ingres. Durante gli anni trenta il minotauro sostituisce l'arlecchino come motivo ricorrente e compare anche in Guernica. L'uso del minotauro è parte da ascriversi all'influenza del surrealismo. Considerato da molti il più famoso lavoro di Picasso, Guernica è dedicato al bombardamento tedesco dell'omonima cittadina basca ed è rimasto esposto al Museum of Modern Art di New York fino al 1981, anno in cui è stato restituito alla Spagna. Esposto inizialmente al Casón del Buen Retiro e poi al museo del Prado, nel 1992 è stato trasferito al Reina Sofía in occasione della sua apertura. Pablo Picasso muore nel 1973 all'età di novantadue anni, è oggi generalmente considerato come il pittore più celebre del XX secolo e certamente l'artista che fino all'ultimo attimo della sua vita, non ha mai smesso di produrre un'arte sconcertante e sovrabbondante, un'arte sempre tesa ad alimentare controversie e discussioni. LE DONNE DELLA SUA VITA Mi piace soffermarmi, in particolare, su due figure femminili, tra le tante, seppure importanti, che hanno lasciato in Picasso un’impronta indelebile: Françoise Gilot e Dora Maar. Françoise Gilot (da un’intervista di Maria Francesca Cometto – Corriere della Sera, 28 aprile 2012 ) «Morirò senza avere mai amato», dichiarò un furioso Picasso a Françoise Gilot, l'unica che si sottrasse al massacro psicologico cui l'artista sottoponeva tutte le sue conquiste femminili. Donne che pure furono fonte di ispirazione, legate, ognuna, ai successivi cambiamenti di stile, come rimarcò anche il mercante Kahnweiler: «Non ho mai visto un'arte così fanaticamente autobiografica. Non c'è figura femminile che non sia il ritratto dell'amata di quel momento». «Ciao, hai vinto e a me piacciono i vincenti». Sono le ultime parole dette da Pablo Picasso a Françoise Gilot, pittrice e sua compagna dal 1943 al 1953. Gilot lo racconta in un’intervista alla «Lettura» nella sua casa-studio newyorchese dove tuttora, a 91 anni, dipinge a tempo pieno. «La mia mente è sempre al lavoro, anche mentre dormo: se sei un artista, devi esserlo 24 ore al giorno», spiega mostrando il suo ultimo quadro, un’opera astratta in giallo. «Picasso mi chiamò al telefono dopo che vinsi anche l’ultima delle tre cause con cui lui aveva cercato di bloccare la pubblicazione nel ’64 del mio libro Vita con Picasso — continua Gilot —. Certo non era contento, ma ammirava i vincenti come lui». Nel libro, un bestseller da oltre un milione di copie, c’è tutta la loro storia dal primo incontro in un ristorante a Parigi nel ’43, quando lei aveva solo 21 anni e lui 61, fino a quando dieci anni dopo lei lo lasciò, l’unica donna tanto indipendente e forte da osare un simile gesto. In mezzo, il comune amore per l’arte e la filosofia, due figli — Claude nel ’47 e Paloma nel ’49 —, i giorni felici in Costa Azzurra immortalati dalla celebre foto di Robert Capa dove Gilot cammina radiosa sulla spiaggia mentre Picasso, un passo indietro come un fedele servitore, regge l’ombrellone per proteggerla dal sole. Ma anche i tanti giorni neri in cui Picasso dava il peggio di sé, come uno dei minotauri-mostri delle incisioni che aveva mostrato a Gilot la prima volta che lei aveva visitato da sola il suo studio. Gilot ne parla senza rancore, con il distacco e la serenità di una donna che alla sua età è ancora bella, in perfetta forma e lucidissima, sopravvissuta non solo a Picasso (scomparso nel ’73 a 91 anni), ma anche a due mariti, il pittore Luc Simon (da cui divorziò nel ’62) e l’inventore del vaccino antipolio Jonas Salk (con cui rimase sposata felicemente per 25 anni fino alla sua morte nel ’95). Riluttante a concedere interviste, Gilot stavolta ha accettato perché il 2 maggio alla Gagosian Gallery sulla Madison avenue apre la mostra Picasso and Françoise Gilot: Paris-Vallauris 19431953, la prima in cui sono esposte insieme le opere della coppia. «Ci sono alcuni quadri della mia prima mostra del 1943 a Parigi, quelli visti da Picasso che poi mi mandò una lettera invitandomi a visitare il suo studio — racconta Gilot —. C’è il mio Autoritratto come una Civetta con Pablo, del ’48. La civetta nella mitologia greca era il simbolo della saggezza: nel quadro è appollaiata sulla spalla di Picasso. Il buffo è che avevamo davvero una civetta nello studio a Parigi: ce l’aveva data nel ’46 un suo aiutante, che l’aveva trovata con una zampa rotta. Picasso e io l’abbiamo adottata ed era molto utile: in casa avevamo parecchi topi e lei ne mangiava uno al giorno. Lui amava molto gli animali, abbiamo avuto anche piccioni, cani, capre: sulla civetta scherzavamo, dicendo che sembrava sempre di cattivo umore». Fra i quadri di Picasso ispirati a Gilot, sono esposte quattro versioni di La Femme-Fleur. «È uno dei primi ritratti che mi fece, ovviamente astratto —ricorda Gilot —. Sia lui sia io non abbiamo mai dipinto copiando la natura. È molto più interessante usare la memoria visiva: puoi selezionare qualsiasi aspetto di quello che hai osservato, di solito ricordi quello che ti piace, e poi ricomporlo come vuoi, in un modo completamente diverso. Questo stile ti dà un maggior grado di libertà». Quando la ventunenne Gilot incontrò Picasso, sapeva di avere davanti un monumento vivente, ma non era per niente intimidita. «Perché mai avrei dovuto esserlo? — chiede sbuffando — Come figlia unica sono cresciuta in mezzo a persone molto più vecchie di me. Inoltre ero anch’io un’artista, una tra i giovani emergenti più riconosciuti sulla scena di Parigi di quegli anni. Allora gli artisti non avevano un buon rapporto con il pubblico e stavano vicini l’un l’altro. C’era la cosiddetta Repubblica delle Arti e della Letteratura e se tu ne facevi parte, anche se poco noto, eri trattato allo stesso modo di un Picasso». Ad affascinarla erano stati soprattutto l’intelligenza e il coraggio di Picasso. «Era molto brillante, aveva sempre idee interessanti e gli piaceva essere circondato da persone intelligenti, era costantemente in dialogo con poeti e scrittori oltre che con altri pittori, come Braque e Matisse — ricorda Gilot —. La mia generazione lo ammirava anche per la sua decisione di restare nella Parigi occupata dai nazisti: non aveva più il passaporto spagnolo, a causa di Franco, ma avrebbe potuto andare negli Stati Uniti, come fecero molti altri. Invece rimase lì, a rischio della sua vita, un gesto molto coraggioso». Anche fra Picasso e Gilot il dialogo era continuo, ma attento a non urtare le sensibilità reciproche. «Non parlavamo mai direttamente del nostro lavoro — precisa la pittrice —. Non puoi criticare quello che sta facendo l’altro, disturberebbe il processo creativo e sarebbe sgradevole, negativo. Invece discutevamo di arte in generale, comunicavamo facendo riferimento a pittori del passato». Diventare madre non ha reso più difficile essere artista. «Al contrario — sottolinea Gilot —, mi ha reso adulta. Prima avevo vissuto o sotto la tutela della mia famiglia o dedicata a Picasso. Poi la responsabilità verso i figli, volerli crescere normali, mi hanno fatto cambiare valori. A 31 anni avevo bisogno di indipendenza e di poter volare con le mie ali. Ho lasciato Picasso non perché non lo amavo più. Era la routine quotidiana a non essere più vivibile». Per qualche anno Gilot con i figli ha continuato a vedere Picasso. «Io sarei andata avanti così, ma lui non poteva sopportare l’idea che io avessi preso la mia libertà, era furioso — ricorda la pittrice —. La situazione è peggiorata dopo il suo matrimonio con Jacqueline nel ’61 e poi il mio libro nel ’64 è stata solo una scusa per smettere di vedere me e i nostri figli». Non è tenera Gilot con le altre compagne di Picasso e con le donne in genere. «Chi mi ha attaccato di più, distruggendo la mia immagine dopo l’uscita di quel libro, è stata la scrittrice Hélène Parmelin, moglie del pittore Édouard Pignon, un amico stretto di Picasso — dice Gilot —: voleva scrivere solo lei di Pablo! In effetti molti dei miei nemici erano donne che stavano attorno a Picasso, perché io ero l’unica che non poteva essere rimpiazzata». L’unica che non è stata abbandonata da Picasso. E che oggi, contrariamente a quanto ci si potrebbe aspettare, lo difende. «Picasso non ha mai impedito alle sue compagne di esprimersi — spiega Gilot -. Ma molte di loro erano solo muse, modelle, donne passive e non esseri umani che partecipano in una relazione. Picasso era più moderno di loro e si aspettava che una donna fosse anche creativa: la sua mente era sempre al lavoro e se non riuscivi a seguire il ritmo, non era abbastanza per lui. Se hai solo la bellezza, quando sfiorisce finisce anche la relazione». Il fatto che la prima moglie Olga Khokhlova, che lo sposò nel 1918 e che ruppe con lui nel 1935 senza però concedergli mai il divorzio, e Dora Maar, che lo conobbe nel 1936 e che sarebbe stata la sua amante per nove anni, «siano finite pazze dopo essere state lasciate da Picasso», e che Marie-Thérèse Walter, amante dal 1927 al 1935, e Jacqueline Roque, sposata nel 1961 e uccisasi con un colpo di pistola 12 anni dopo l’artista, «si siano suicidate dopo la sua morte, prova che quelle donne — conclude Gilot — erano comunque incapaci di esprimere qualcosa da sole: senza di lui non potevano vivere. Questo non è colpa di Picasso». Dora Maar Dora Maar (1907-1997), rappresentata in diverse opere del pittore, stimata fotografa, ben introdotta nella cerchia dei Surrealisti, colta, spregiudicata, indipendente, si lascia a poco a poco sopraffare dalla sadica personalità di Picasso. Prima, infatti, Picasso la induce ad abbandonare la fotografia per la pittura (dobbiamo a Dora tutta la documentazione fotografica delle fasi di realizzazione di Guernica, illustrata nell’esposizione di Palazzo Reale a Milano) e poi la deride con critiche distruttive: «Tanti segni per non dire niente...». Cominciò addirittura a picchiarla scatenando il lato fragile e masochista di lei che, da rabdomante, Picasso aveva subito colto: «Dora, per me, è sempre stata la donna che piange... Era l'incarnazione stessa del dolore... Un giorno, finalmente, sono riuscito a ritrarla così». Quel quadro, celeberrimo, è diventato uno dei più pagati di Picasso. Dopo sette anni condivisi con altre amanti, Dora viene lasciata e cade in una depressione dalla quale si riprende a stento dopo gli elettrochoc e la psicanalisi cui la sottopone Lacan. «Non sono stata l'amante di Picasso. Era solo il mio padrone», dirà poi nei lunghi anni trascorsi in totale solitudine, da autoreclusa. «Solo io so quello che lui è ...è uno strumento di morte ...non è un uomo, è una malattia». Dora Maar ritratta da Man Ray e fotografia di Dora Maar a Nush “ Si avvertiva immediatamente quando ci si trovava in sua presenza che quella non era una donna comune. Non era bella in senso classico, ma era un tipo che non si dimenticava facilmente. C'era nei suoi occhi una luce, uno sguardo straordinariamente luminoso, limpido come il cielo di primavera. Aveva una bella voce, una voce singolare, unica. Non ho mai conosciuto nessun altro con una voce come la sua. Era come un gorgheggio nel canto degli uccelli.“ Chi scrive è James Lord, lei è Henriette Theodora Markovich. Henriette, con la sua inseparabile rolleiflex, si muove sicura tra gli artisti e intellettuali che frequentano i bistrot lungo la vie lumiere. Siamo negli anni '30, anni di grandi fermenti. Lei è giovane, appena diciannovenne, e, con la famiglia, padre architetto croato e madre francese, è arrivata da poco a Parigi da Buenos Aires dove ha vissuto per anni. E' intelligente, colta, dotata di curiosità intellettuale ed è impegnata nel sociale. E' indipendente e anticonformista ed ha appena scelto la propria strada professionale. Dopo gli studi artistici tra lezioni di fotografia e pittura sceglierà la fotografia: suo nome d'arte, Dora Maar. Divide lo studio con altri artisti ed in pochi anni diventa una fotografa famosa e di grande talento. Si occupa di fotografie pubblicitarie e di moda utilizzando tecniche diverse: tagli prospettici e deformazioni, doppie esposizioni e collages, il tutto inframmezzato con immagini in cui ritrae angoli di città e scene di strada degradate con mendicanti e povertà e questa sarà sempre la sua personale e continua ricerca. Con fotomontaggi utilizza i personaggi delle foto di strada inserendoli in architetture ribaltate da rotazioni e deformate in camera oscura. Le sue fotografie mi ricordano le tele di De Chirico. Rappresentano spesso un lungo tunnel con in fondo la luce e un oggetto piuttosto difficile a identificarsi perché si trova in contro-luce Così Picasso descrive le fotografie di Dora a Françoise Gilot. Dora e Picasso si incontrano nel 1936, lei ha 25 anni, lui di anni ne ha 54. Per sette anni Dora sarà compagna e musa ispiratrice di Picasso e, senza alcun dubbio, vittima del suo genio creativo. Insieme passano un'estate felice, splendida, che si prolunga con un periodo molto ricco artisticamente. Picasso inizia Guernica e Dora è al suo fianco, solo lei può fotografarlo e lo fa di continuo,riprendendolo solo, mentre lavora, mentre sta con gli amici. Dora fotografa tutte le fasi della lavorazione e della realizzazione di Guernica facendone un diario fotografico unico che costituisce ancora oggi un dossier famoso e molto prezioso. Contribuisce anche materialmente alla creazione dell'opera. Anche lui la ritrae di continuo: la donna che piange, la donna con il gatto, il volto deformato da spigoli e diagonali, occhi sbarrati e spiritati. Lei dirà: ”…sono la donna che piange, sono la donna verde dei quadri del genio, sono l'idea stessa del dolore: il mio, il suo, il dolore del mondo.” Lui afferma che è la donna che lo fa più ridere tra tutte quelle (diverse decine) che ha avuto e ciò nonostante la ritrae sempre come la donna che piange. “…ho migliaia di ritratti fatti da lui, ma nessuno è Dora Marr. Sono tutti Picasso.“ Picasso la convince ad abbandonare la fotografia e a riprendere la pittura e lei lo fa subendo quotidianamente le sue critiche distruttive: “… tanti segni per non dire niente “ . Così il suo lavoro è deriso senza pietà, mai è all'altezza. Il loro rapporto attraversa una fase particolarmente dura e sofferta. Dora è distrutta ed arriva a dire: “ …solo io so quello che lui è …è uno strumento di morte …non è un uomo, è una malattia “ All'orizzonte una nuova e giovane amante che esibisce in pubblico la sua gravidanza. Lei, Dora, è sterile “…l'aridità, il deserto, io sono il luogo dove si getta il seme e non fiorisce “. La resistenza di Dora si spegne a poco a poco inghiottita dalla depressione. Da qui il ricovero in una clinica psichiatrica e gli elettroschok, poi la psicoanalisi con Lacan che le promette la guarigione. “ Tutti pensavano che mi sarei uccisa dopo il suo abbandono. Anche Picasso se lo aspettava. Il motivo principale per non farlo fu di privarlo della soddisfazione “. Dopo due anni di analisi Dora ritrova il proprio equilibrio e con esso la forza di riprendere in mano la propria vita. Solo molti anni dopo, già anziana, a settant'anni, si riavvicina alla fotografia utilizzando materiali sempre diversi . Muore sola nel 1997. In sintesi… Fernande Olivier (1881-1966), fu il primo ufficiale folle amore di Picasso a Parigi. Trascorsero insieme sette anni, dal 1904 al 1912, quelli della miseria nell'abitazione studio al Bateau-Lavoir, a Montmartre. Lui era gelosissimo e la teneva chiusa in casa al punto da andare sempre a fare la spesa di persona. Lei riuscì lo stesso a tradirlo, ma anche Picasso la tradiva con l'amica di lei, Eva Gouel. Alla fine Fernande se ne andò con Ubaldo Oppi, conosciuto attraverso il futurista Gino Severini. Picasso scrisse a Braque: «Fernande se n'è andata. Come farò per il cane?». Uscì di casa con undici franchi in tasca e rimase sempre povera. Nel 1956, sorda e malata, ottenne da Picasso una piccola pensione in cambio della promessa di non pubblicare le sue memorie finché l'artista fosse rimasto in vita. Lei morì sette anni prima di lui e nemmeno da quel libro, uscito nel 1988, ricavò una lira. Eva e Picasso, intanto, si trasferirono in boulevard Raspail, in un quartiere più borghese, ma la loro relazione durò solo tre anni perché Eva morì di cancro, e tuttavia durante la malattia, lui non si fece mai mancare la compagnia. La svolta arriva nel 1916 con Olga Kokhlova, modesta danzatrice nei balletti russi di Diaghilev. Picasso la sposa nel 1918 e quando la presenta alla madre, questa dice: «Oh mia povera piccola, non sai a che cosa vai incontro. Nessuna donna potrà essere felice con mio figlio, perché lui è già sposato con la pittura». La vita matrimoniale in effetti non fa per lui e ben presto fa irruzione Marie-Thérèse Walter (1909-1977), una minorenne vista per strada, all'uscita della Galerie La Fayettes. Picasso la sistemò in una casa di fronte alla sua così da imporre un supplizio quotidiano a Olga che alla fine chiederà il divorzio e lo porterà in tribunale imponendogli la cosa più temuta: la divisione del patrimonio. Olga morirà vent'anni dopo, ormai pazza, mentre la diafana Marie-Thérèse, bionda e occhi azzurri, si suiciderà impiccandosi quattro anni dopo la morte di Picasso. Nonostante gli avesse dato un'altra figlia, Maya, anche lei, cui Picasso vietava di ridere «Mi diceva sempre: sii seria!», fu sostituita dalla bruna e formosa Dora Maar alla quale seguì Françoise Gilot, l'allieva ventiduenne di un suo amico pittore. Picasso aveva 63 anni e all'inizio della loro relazione le aveva detto indicandole la polvere sulle scale: «Per me tu conti come quella polvere». Non andò esattamente così. Contrariamente al solito, Françoise dopo dieci anni e due figli, Claude e Paloma, lasciò Picasso. Lui minacciò il suicidio, ma lei si mise a scrivere le memorie della sua vita che l'artista cercò in tutti i modi di non far pubblicare e poiché non ci riuscì, si vendicò ripudiando i due figli. Le conquiste continuarono e quando ormai erano scoccati i settant'anni, nel 1952, Picasso si innamora di Jacqueline Roque (1927-1986) che sposerà in segreto alle soglie degli ottant'anni (lei ne aveva 35). Anche Jacqueline si suiciderà, con un colpo di pistola alla tempia, nel 1986, dopo aver sbrogliato i complicati problemi dell'eredità del pittore ed essere diventata miliardaria. Queste, le donne di Picasso, le più note e conosciute, quelle che l’hanno accompagnato durante la sua lunghissima vita. Sono questi i nomi che ricorrono negli anni, contrassegnando il suo vivere e singolarizzando la sua opera. I loro volti e i loro corpi sono tutti riconoscibili e facilmente è possibile risalire al periodo della loro realizzazione: i tratti, le somiglianze, i caratteri di ognuna sono talmente espliciti da rendere inconfondibili, nelle fattezze e nel segno, i riferimenti ad ognuna di esse. Nulla viene tenuto celato e, quasi, quel profferirne senza riserve il corpo e l'anima, mette nell'imbarazzo la lettura che, davanti a tanto ardire, talvolta, risulta timorosa e turbata. Ma non solo Fernande, o Olga, o Françoise, ma anche dona Maria, la madre, Lola e Conquita, le sorelle, Pepa, la zia, e Gertrude Stein, l'amica e sostenitrice…e molte altre ancora che la storia non ricorda. Brevemente, occasionalmente sono entrate nella vita di Picasso e, silenziosamente ed inconsapevolmente, hanno fatto si che quel filo costante e duraturo che ha tenuto insieme la vita dell'artista, attraverso la presenza della donna, non si sia mai spezzato: talvolta interrotto ma sempre riannodato, altre volte sfilacciato ma poi recuperato. Donne amate, donne conosciute, donne vissute, donne incontrate, ma accanto ad esse altre: La Céléstine le protagoniste di romanzi del passato, Celestina ad esempio, o quelle ispirate da storie o leggende ma soprattutto quelle create, o meglio, elaborate, trasformate, sfigurate, composte e ricomposte, dalla sua bizzarra e geniale inventiva. Una vita a tappe, scandita da donne diverse; un'arte a tappe, espressa con stili diversi; donna e stile, c'è sempre corrispondenza. Una donna, un'emozione artistica nuova, un'energia propulsiva coinvolgente che porta Picasso a fare, fare ed ancora fare, cercare, trovare, possedere da un lato l'anima e domare dall'altro la materia. Dunque, Picasso e la donna compagna, la donna ispiratrice, la donna rivale, la donna da usare, la donna madre, la donna intellettuale, la donna, sempre presente, modella del suo fare e musa del suo pensiero. Attraverso la presenza femminile, di cui non si priverà mai nel corso della sua lunghissima vita, è possibile guardare all'artista attraverso un filtro, dato appunto dal rapporto con le sue donne, che ci permette di indagare un uomo rude e aspro, irascibile, sospeso tra il fare ed il pensare del fare, ostinato, e scoprire un uomo intelligente, inquieto ed ancora oggi, per certi aspetti, impenetrabile. E così il conoscere un poco più da vicino le sue compagne ci potrà permettere di avvicinarci ai molteplici meandri di una personalità complicata e per certi versi ancora oscura.