-MSGR - 20 CITTA - 21 - 27/12/10-N:
21
CULTURA 21
& SPETTACOLI 21
IL MESSAGGERO
LUNEDÌ
27 DICEMBRE 2010
di ANNABELLA d’AVINO
S
ÁNDOR Márai lasciò
l’Ungheria nel 1948 e si
trasferì a Napoli, in una casa
a Posillipo, per quattro anni.
Da questa esperienza, di vita
e di emozioni, nacque il suo
romanzoIlsanguediSan Gennaro, uscito nel 1957 a Baden-Baden e pubblicato ora
da Adelphi (346 pagine, 19
euro, a cura di Antonio Donato Sciacovelli). La prima parte del romanzo è influenzata
da una visione della città illuminata dalla bellezza, oscurata dalla miseria, con una saggezza antica e un entusiasmo
ostinatamente giovane.
L’intellettuale è affascinato dal luogo dove vive il vecchio filosofo
italiano Benedetto Croce,l’artistaresta sedotto
daun’umanitàconsapevole di quanto
«la vita sia grandiosa e che
morire non è la cosa più importante». Lo straniero è assai incuriosito da certezze e
contraddizioni di quei popolani più superstiziosi che religiosi, che hanno «con i loro
santi un rapporto di familiare
intimità».
Con uno sguardo lucido,
comprensivo, spesso ironico,
a volte assai critico, costruisce un racconto corale intrecciando corpi, visi, parole, lamenti, litigi, risate degli abitanti del quartiere napoletano che sono tutti poveri,
«chiassosi e disperati». Pasqualino che a sei anni va a
prendere la spazzatura, Antonio che abbandona la scuola
perché non possiede un paio
di scarpe, un pescatore monco, un vecchio barone, un
maggiore in pensione che si
trascina dietro il proprio figlio idiota.
Mentre lo scrittore li descrive, loro osservano una
coppia di stranieri esuli, un
uomo e una donna, che ogni
sera camminano lentamente
«come chi ha paura di arriva-
CURIOSO
E IRONICO
Un racconto
corale
sulla città
partenopea
che Márai
(nella foto)
costruisce
intrecciando
corp visi,
litigi, risate
degli abitanti
di Posillipo
Lo scrittore
ungherese
visse infatti
per quattro
anni
a Posillipo
“Il sangue
di San Gennaro”
il romanzo
dello scrittore
ungherese
vissuto all’ombra
del Vesuvio
criminale». C’è lo sgomento
per tutti gli intellettuali che,
dopo aver combattuto fascismo e nazismo, erano caduti
preda di quella «truffa planetaria denominata bolscevismo». C’è soprattutto lo strazio smisurato per la perdita
della patria che comporta
l’isolamento in ogni altra patria possibile.
L’esilio (volontario come
lo fu per Márai) condanna a
sentirsi straniero dovunque,
a essere privato «ogni giorno
di un velo, uno schermo, uno
strato di pelle... senza fine,
fino a che la stessa identità si
dissolve». La conclusione è
affidata alle voci di tre forze
della natura: il Vesuvio, il
mare, il vento.«Dovesoffio io, non resta più nulla.
Sono io che
devodirel’ultima parola.
E poi verrà il
silenzio».
A quasi novant’anni, in
America dove si era stabilito,
Márai scelse il silenzio, suicidandosi. Solo, stanco, arreso
al dolore della sua vita e alla
sconfitta del suo esilio.
Márai nel ventre di Napoli
re in anticipo da qualche parte». Così attraverso i commentideisuoipersonaggi l’autore racconta se stesso. Perché quell’uomo cova un’enorme sofferenza e insegue una
spiritualità in grado di «redimere il mondo». Ma nemme-
no nel posto dove, due volte
l’anno, avviene il miracolo di
San Gennaro, è possibile il
miracolo della salvezza dell’anima.
Il suicidio dell’uomo apre
la seconda parte del libro: tre
voci - un poliziotto, un prete,
la donna dell’esule - tentano
di ricomporre il mistero di
una morte e di un’esistenza.
Sono le pagine in cui è forte la
presenza autobiografica dell’ungherese.
C’è la condanna del comunismo, «regime autoritario e
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PAGINE PER CRESCERE
Le bambine ribelli di Mark Twain e Radunsky
di FIORELLA IANNUCCI
O
TTO aforismi al vetriolo. Tutti dalla
parte delle bambine. E Consigli alle
bambine s’intitola infatti questo prezioso
vademecum scritto da Mark Twain nel
1906, per la prima volta proposto ai lettori
italiani da Donzelli (16 euro). Una chicca
imperdibile, e non solo per il testo. Sono le
tavole di Vladimir Radunsky, pluripremiato maestro dell’illustrazione e autore
di una trentina di innovativi libri per
bambini, il vero valore aggiunto di questo
albo. Più che la “traduzione” visiva degli
irriverenti consigli di Twain, un commento ironico e impertinente, un’accelerazione fuori dagli stereotipi di un’infanzia
politicamente corretta. Perché tutto, in
questo inaspettato libretto, si gioca sul filo
dellaprovocazione, dell’humour e del paradosso. «Le brave bambine non dovrebbero fare le smorfie alle maestre per ogni
minima offesa», esordisce un “tranquillizzante” Mark Twain. Che subito aggiunge:
«Quella è una ripicca da mettere in atto
solo nei casi veramente gravi». E via
MAESTRO
DI STILE
Uno degli
irriverenti
disegni
di Vladimir
Radunsky
per
“Consigli
alle
bambine”
di Mark
Twain
ammiccando. Perché, sia ben chiaro, il
padre di Tom Sawyer e di Huck Finn non
può che schierarsi, apertamente e con
convinzione, dalla parte dei bambini. Di
cui coglie tutta la gamma di quei sentimenti “negativi” (il rapporto conflittuale con il
fratellino minore,l’invidia per un’amichetta che possiede «una bambola speciale di
porcellana» invece di una «semplice pupa
di pezza piena di segatura», la perfidia
nell’imbrogliare o nel punire chi è più
piccolo) regolarmente epurati dall’“esemplare” letteratura di genere. Ma è proprio
nell’ambiguo rapporto con l’adulto che le
“bambine ribelli” di Twain superano se
stesse. Perché, per far valere le proprie
ragioni, occorre davvero essere molto sagge. «Non devi mai dimenticare che sono i
tuoi cari genitori a mantenerti e a darti il
permesso per non andare a scuola quando
fai finta di stare male. Ecco perché è bene
rispettare le loro piccole fissazioni, assecondare i loro capricci, tollerare le loro
piccolemanie, almeno finché non diventanoinsopportabili», chiosa divertitolo scrittore, di cui si celebrano i cento anni della
morte. E se Vladimir Radunsky sottoscrive a suon di linguacce in schizzi veloci più
di una smorfia, non possiamo non pensare
all’effetto di questi Consigli su genitori ed
educatori all’inizio del secolo scorso. Tant’è. A un genio come Twain i “bravi
bambini” non sono mai piaciuti.
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CITTA’ MITO
Il labirinto
di Costantinopoli
di GIULIANA MORANDINI
parizione dove ogni percorso
L “romanzo” assembla una razionale sembra smarrirsi, e
miriade di descrizioni, diari, scettici circa la possibilità che
impressioni, ricordi: lungo un grecità e romanità, radici delarco di tempo che va dai testi- l’Occidente, possano accogliemoni romani e greci agli intel- re agli anelli di seduzione della
lettuali escrittori dei nostri gior- vecchia mano dell’Asia e perseni. Silvia Ronchey e Tommaso guire un’integrazione di cultuBraccini costruiscono questa re: un problema che ha messo
esemplare “guida letteraria” (Il affanno a Casanova, a Lady
romanzo di Costantinopoli, Ei- Montagu e a buon numero di
naudi, 910 pagine, 28 euro): un europei illuminati e positivi.
Il nostro romanzo analizza
mosaico di colori e d’oro, un
arazzo prezioso del palazzo del con finezza ogni entusiasmo,
Sultano. La città per la posizio- ogni delusione, fa la conta delle
ne geografica ha accolto e visto passioni e dellefreddezze. Scrittori e filologi, gli autori dirigocrescerelastono un’orcheria, d’Oriente
stra di letture
e d’Occidene strumenti
te. La sapiencritici: l’effetza greca vi si
to è una maincontra con
gia, un libro
l’organizzache si percorzione dell’imre come la citpero romano
tà, con le sue
e si genera la
quinte di teacapitalebizantro, i dedali
tina. La Rusperturbanti.
sia ortodossa,
Ognuno dei
el’Europameprotagonisti
dievale e rinadi questa stoscimentale
ria di meravicontinuano a
glie è come se
La Moschea blu a Istanbul
vederla quale
vivesse nelle
città mitica,
cose che vede,
“senzatempo”, confine dei pensieri e delle esperienze. Poi l’I- ama e descrive, qualcosa della
slamne cambiail voltoe l’atmo- propria visione del mondo. Ecsfera. Le chiese divengono mo- co l’importanza delle prime imschee, i monumenti dell’Ippo- pressioni, a come si delinea il
dromo sono sommersidal proli- profilo della città a chi l’avviciferare del Palazzo dei Sultani, na dal mare. Ed ecco le nostalle bellissime vestigia quasi gie delle partenze, delle separascompaiono in una babele di zioni, vere cesure nel tessuto
della memoria. Nulla più di
costruzioni pittoresche: da alloCostantinopoli evoca, al di là
ra i visitatori ne seguono le delloscenario di assoluta belleztracce quasi a svelare una map- za e di intensa possibilità di
pa segreta. Colonne, sculture metamorfosi, la vita interiore.
frammentate o semplicemente Da Paolo Silenziario a Hugo e a
il loro ricordo, che affonda lon- Flaubert, a Byron e Chateautano: il tripode venuto da Delfi, briand su fino a Gide e a Le
i resti dei templi portati da Corbusier, Costantinopoli è lo
Efeso e da Balbec, gli obelischi schermo dove si proiettano senegizi. Geni della tradizione si sazioniprofonde e insiemesfugmescolano ai colori e ai profu- genti. Un labirinto, una foresta,
mi d’Oriente. I caicchi popola- un tessuto che afferra e infetta o
no le acque scintillanti, costu- respinge, un’impressione che
mi variopinti svelano una vita- più sfugge più si imprime nel
lità accesa e il flusso delle cultu- tessuto dell’esperienza. Come
re e delle lingue è un caleidosco- dice Kafavis: «Non troverai alpio dove ci smarrisce. Sorpren- tro luogo, non troverai altro
dono certe impressioni di scrit- mare,/ La Città ti verrà dietori europei, tra ‘700 e ‘900, tro...».
increduli di fronte a questa apRIPRODUZIONE RISERVATA
I
-TRX IL:26/12/10
20.49-NOTE:
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