Codice cliente: 8813030 Corriere della Sera Venerdì 5 Luglio 2013 Il ritratto Esteri 17 italia: 57575052495249 Così la moglie di Alberto del Belgio è riuscita a vincere le diffidenze di un popolo per l’«italienne» e a salvare il suo matrimonio dalla crisi Quando la «dolce Paola» faceva sognare in musica i figli dei minatori italiani Dai rotocalchi al trono: storia di una principessa L’italiana A sinistra, una vecchia immagine di Paola Ruffo di Calabria, con il consorte, il principe Alberto II, poco dopo la nascita del primogenito Filippo. A destra, la principessa prima di diventare regina con l’ascesa al trono del marito (1993). Più a destra, un’immagine recente di Paola, ormai regina dei belgi. Il prossimo 21 luglio, con l’abdicazione di re Alberto, anche Paola «l’taliana», come è chiamata affettuosamente in Belgio, lascerà ogni incarico DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BRUXELLES — «La la la la la la la/ Paola, dolce Paola/ in un mio sogno mi sono permesso/ Paola, la mano tremante/ ho sfiorato il suo viso/ gli ho colto un sorriso/ Paola dolce chimera…». Cantava Salvatore Adamo, allora 21 anni e oggi 70, figlio di un minatore italiano, 80 milioni di dischi venduti nel frattempo. Ed era l’anno 1964, quello in cui morì Palmiro Togliatti e Gigliola Cinquetti giurò «Non ho l’età…», il primo anno del topless e l’ultimo del boom economico, bollato da Ugo La Malfa come «euforico quinquennio che sta portando l’Italia sull’orlo dell’abisso». Ma intanto lassù in Belgio c’era lei, la «dolce Paola» di cui sognava Adamo: cioè Paola Margherita Maria Antonia Consiglia Ruffo di Calabria, dei principi di Scilla, Palazzolo e Licodia Eubea, 76 anni il prossimo 11 settembre, nata in un luogo della Versilia chiamato Poveromo, madre di 3 figli e oggi regina che il 21 luglio accompagnerà il re, il marito Alberto II, Ricordi Paola Ruffo di Calabria, consorte del re del Belgio Alberto II che il 21 luglio lascerà il trono al figlio Filippo, in uno scatto durante una vacanza in montagna a Sestrière sulla strada dell’abdicazione. Una stirpe di 700 anni, la sua, fra i cui antenati c’era anche la bellissima Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino e prima amante di Luigi XIV. E però anche Maria Mancini avrebbe sfigurato accanto a lei, Paola. Un giorno, venne classificata con Grace Kelly e Rania di Giordania fra le più belle principesse della storia contemporanea: ma questo non dice molto. Dicono di più i capelli biondi e gli occhi azzurro-viola di certe sue foto da ragazza, a Forte dei Marmi, mentre va in bici alla messa, o festeggia un piatto di cacciucco (la zuppa di pesce livornese) in trattoria, con gli amici. Nel 1958, a un ricevimento per l’incoronazione di Giovanni XXIII, conobbe Alberto e fu il colpo di fulmine: o forse un capolavoro diplomatico. Ma «l’italienne», così la bollarono i belgi, non ebbe anni facili. Un po’ snobbata, e un po’ criticata per l’insofferenza all’etichetta. Almeno fino all’incoronazione del marito, nel 1993. Dell’Italia si conoscevano solo le torme Colpo di fulmine Si innamorò di Alberto a Roma al ricevimento per l’incoronazione del Papa Buono Il club Un giorno venne classificata con Grace Kelly e Rania di Giordania fra le più belle affumicate dal carbone che sgobbavano nelle miniere di Charleroi, e le battutacce sulla mafia. Ma con Paola regina, la diffidenza popolare si placò: ben presto, «l’italienne» dagli occhi viola stregò anche i belgi. E anche Salvatore Adamo, che l’aveva conosciuta a una mostra: «La principessa — raccontò anni dopo — mi regalò un delicato sorriso e disse: “Se lei compone una canzone bella come Sei qui con me, io ne sarò felice”. Risposi un po’ confuso, “perché no?” e scrissi il testo di getto». «Dolce Paola» fu subito un successo, ma portò anche qualche imbarazzo nei salotti dell’aristocrazia belga: il figlio del minatore corteggiava la principessa? Ed era per caso ricambiato? Ne parlò anche il serioso giornale tedesco Die Welt. E anni dopo, ancora se ne parlava. Anche perché Adamo smentiva scherzosamente, «purtroppo non è vero...»; e lei taceva con un sorriso, dispensata da ogni smentita grazie al suo rango dinastico. Il rango non bastò però a evitare i pettegolezzi, che ben presto avvolsero la coppia. Si spettegolava su di lui, Alberto, per certe presunte serate goliardiche condite di leggiadre compagnie. E su di lei, «l’italienne», per certe altrettanto presunte fughe d’amore: al fianco di un industriale italiano, così si bisbigliava. I rotocalchi impazzivano, l’unica verità certa era che la coppia attraversava una seria crisi matrimoniale. Molti anni dopo, quando una giovane artista d’avanguardia di nome Delphine disse di essere la quarta figlia del re nata fuori dal matrimonio, si capì meglio. Ma allora, la crisi era ormai superata. Il re lo confessò al suo popolo televisivo, a Natale del 1999: «La regina ed io ci siamo ricordati dei periodi molto felici che abbiamo passato insieme, ma anche della crisi che la nostra coppia ha attraversato in questi trent’anni…». Il popolo comprese, anche perché «l’italienne» era riuscita a farsi voler bene, e a far bene la regina, senza mai occupar troppo la scena. Forse aveva visto giusto, il figlio del minatore Adamo: «Paola dolce chimera/ quando una sera/ mi offrì il suo sguardo/ Paola nella sua maestà / ho visto in verità/ una colomba fragile/ la la la la la la…». Luigi Offeddu [email protected] © RIPRODUZIONE RISERVATA Il caso Da Piazza Taksim a Place Vendôme: la ribellione dei ragazzi turchi adottata dagli oppositori delle nozze gay in Francia. Ma i primi furono i dissidenti sovietici IN PIEDI CON UN LIBRO IN MANO. LA LETTURA COME RIVOLTA Non un vero gruppo né una massa: così la protesta diventa individuale SEGUE DALLA PRIMA Traevano ispirazione dalla rigorosa filosofia di Nikolaj Aleksandrovic Berdjaev che negava ogni forma di fusione collettiva delle volontà, e delle relative musiche e sventolii, così come ogni ascendenza al movimento operaio ottocentesco e più indietro alla tradizione militare. Al posto di tutti questi cerimoniali e paramenti, la pura e nuda presenza — l’esser lì — a simboleggiare una testimonianza singola e irriducibile a qualsiasi universale, un atto di responsabilità individuale e totale portato fino alle — quasi auspicate — conseguenze estreme. Il gesto pubblico sì, collettivo no. Le forme odierne del manifestare si stanno polarizzando. Da un lato l’antico e tradizionale corteo, l’antica e tradizionale folla, assume la dimensione del gigantesco, del colossale, come le impressionanti e ondeggianti maree umane delle piazze brasiliane ed egiziane, con il corredo — alquanto anticlimax — di fuochi d’artificio e botti vari. Dall’altro la nuova forma, inventata dai giovani turchi — quelli veri —, ma applicata con diligenza anche dagli oppositori francesi al mariage pour tous, consistente nello stare in piedi a diversi metri di distanza l’uno dall’altro nell’atto di leggere (o effettivamente leggendo) un libro. La lontananza 7 giorni Da una settimana in Place Vendôme, a Parigi, gli oppositori al «matrimonio per tutti» hanno organizzato una veglia: si inspirano alla protesta di piazza Taksim Proteste pacifiche Manifestanti francesi contro il «mariage pour tous» reciproca ha una funzione pratica difensiva e per questo verso poco berdjaeviana: il non incorrere nella fattispecie di manifestazione non autorizzata, come si può intuire dalla faccia e dai muscoli dei poliziotti francesi, non tanto addentro alla filosofia russa. Ma anche un evidente valore simbolico: non un gruppo, non una massa, non un insieme, ma singoli e autonomi individui, ognuno decidente per sé e responsabile di sé. L’elemento nuovo e inedito è il libro, fin qui assente dalle manifestazioni pubbliche. Non fa testo (è il caso di dirlo) infatti l’antologia di Mao Zedong, curata dal compianto e sfortunato Lin Biao e nota come Libretto rosso, minacciosamente brandita in infinite manifestazioni non solo in Cina, ma nel cuore della colta e civilissima Europa. Si trattava di «quel» libro, sacro com’è ovvio, e non di «un» libro qualsiasi e cioè «del» libro in quanto tale, così come è oggi. Anche in questo odierno uso del libro non è difficile ravvisare l’intento difensivo e poco berdjaeviano. Chi sta leggendo fa altro, non è occupato a turbare la quiete pubblica. Ma c’è qualcosa di più, forse di molto di più. Innanzitutto un dato sociale, di rispetto e di dissuasione sociale. Chi legge non è uno scamiciato, un energumeno intenzionato L’esempio turco a menar le mani. Appartiene a un ceto per definizione superiore, armato di un secolare prestigio tanto quanto si presenta ostentatamente indifeso. Ma soprattutto nel puro gesto del leggere, nell’isolamento fisico e nella concentrazione della lettura, si manifesta l’appartenenza a un ordine di realtà diverso da quella sensibile, più alto e lontano. Chi legge, proprio perché si sottrae, Genialità Il lato geniale della protesta è che collega il simbolo più forte dell’interiorità alla manifestazione pubblica È stato il coreografo turco Erdem Gunduz a lanciare per la prima volta la protesta pacifica dell’«Uomo in piedi» in piazza Taksim, Istanbul, il 17 giugno 2013. A lui si erano subito unite centinaia di persone rimaste in piedi in piazza per circa 6 ore. La notizia della particolare protesta ha fatto in breve il giro del web. L’hastag di Twitter #duranadam, ossia «l’uomo in piedi», è stato per giorni uno dei più utilizzati perché non è del tutto qui, presente, ci appare avvolto da una sorta di intangibilità, di immunità, da una campana di vetro che lo protegge. Il lato geniale di questa forma di manifestazione è proprio quello di collegare il più forte simbolo e talismano dell’interiorità — il libro — con quello che è apparentemente il suo opposto, cioè la dimensione dell’intervento pubblico. A pensarci bene una forma, forse la più efficace, di promozione del libro. Gian Arturo Ferrari © RIPRODUZIONE RISERVATA