Era già stato un onore: — ricordo di avere già usato questa parola — di averne avuto un primo, nel 1999, poi secondo invito un anno fa. La scelta della parola onore è più impegnativa di quello che mondanamente non si riterrebbe, o meglio frivolamente non si riterrebbe, perché anche nel mondo si può apprezzare nel giusto merito questa parola, perché l’onore è un atto pubblico. È una cosa che non comprendono mai molto bene i coniugi, che pensano che, sia quando si onorano, sia quando si disonorano, che è il fatto più frequente, si tratti di qualcosa che accade nel privato. Quando c’è atto d’onore, potrebbe perfino, parlando logicamente, venire registrato da un notaio. È stato un onore pubblico, dunque, quand’anche in questa stanza, anziché così numerosi, fossimo in cinque persone. Avevo pensato di iniziare così fino a menzionare quel pubblico ufficiale che è il notaio, e notaio significa che ciò che è avvenuto, in * Pronunciato nel Monastero Cistercense N.S. di Valserena il 18 gennaio 2003. Testo non rivisto dall’Autore. Revisione a cura di Gilda Di Mitri. © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Giacomo B. Contri – Il Pensiero di Cristo IL PENSIERO DI CRISTO* LA REGOLA: ORA ET … Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora questo caso denominato con la parola onore, potrebbe essere avvenuto su pubblica piazza, al cospetto dell’universo intero. È questo che significa ―notaio‖, ossia pubblico ufficiale: ciò che lui registra vale per tutti. Ebbene, ho pensato di iniziare dal ricordare l’introduzione di questa parola per oggi introdurne un’altra. Quando parlavo di onore mi riferivo innanzitutto a quello da voi graziosamente attribuitoci; spero solo che siamo stati capaci di rispondere un po’ allo stesso livello. Dicevo: sono partito da questo ricordo per oggi introdurre un’altra parola che ha la medesima natura di valore pubblico, con tutto ciò che di impegnativo ha qualcosa di pubblico. E quest’altra parola è la parola ―atto‖. Ritengo di stare, io personalmente, con Vera Ferrarini, Raffaella Colombo, Glauco Genga che è con noi qui per la prima volta, di stare compiendo un atto. Non so chi di voi abbia una cultura giuridica. Ma comunque, per la cultura giuridica la parola ―atto‖ è una parola molto impegnativa. Io non ho studiato diritto, ma in tanti anni mi sono buttato in queste idee. Fra gli atti vi sono quelle che si chiamano ―dichiarazioni‖, dove dichiarazione è pubblicamente impegnativa. Ma per dare spessore a questa parola, la prenderei così niente affatto alla lontana, ma piuttosto alla lontana nei documenti: mi riferisco alle prime righe della Genesi. Ora, io ritengo di poter dire che è vero che Dio ha fatto, voce del verbo ―fare‖, — non è dunque ancora la parola ―atto‖ ciò — ha fatto quel po’ po’ di cose, che chiamiamo la creazione. Io quando parlo di questo divento scherzoso: ha fatto le pecore, ha fatto le galassie, tutta quella roba lì. Dopo tutto è più complessa una pecora che tutte le galassie messe insieme che sono un po’ di roba molto elementare sparsa in giro. Una pecora è molto più complessa. Diciamo così, che ha fatto le pecore e le galassie. Non è ancora un atto. Del resto, come sapete bene — è un mio cavallo di battaglia, quello che sto dicendo adesso — il primo Concilio di Nicea (325 d.C.) si 2 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora premurò di mettere i puntini sulle ―i‖ su questa distinzione: il Figlio non è fatto, il Figlio è generato. Si tratta di un atto. Delle pecore e delle galassie potrebbe importarcene pochissimo, ma del Figlio è impossibile che non importi, perché che esso sia un atto significa che ci troviamo con un erede. Voi prendete un erede qualsiasi nel nostro mondo, che ha ereditato un pacco di azioni della Fiat. È chiaro che tutti i cittadini in tutto il mondo devono tenere conto che questo signore è un erede. Se uno mette mano sui beni di un erede sarà processato. Ecco perché si tratta di un atto. Tutti ne devono tenere conto e non possono non tenerne conto, salvo certe sanzioni. Ora la Genesi ci dice, in quelle celebri pagine iniziali, che compì l’atto — spero di riuscire a fare capire subito che non la sto pigliando affatto alla lontana — di porre in essere come si dice ancora nel diritto alcune cose (res, realtà) che furono chiamati uomini, a sua immagine e somiglianza. Eredità di pensiero, esseri di pensiero. Non erano né le pecore, né le galassie. Adamo ed Eva non furono soltanto creati; l’ordine era già quello della generazione, cioè degli eredi, cioè dei pensanti anzitutto. A immagine e somiglianza vuol dire eredità: è un concetto tecnico. Mio figlio è a mia immagine e somiglianza perché erediterà le mie azioni della Fiat, il mio nome. Questo significa a mia immagine e somiglianza: che è mio erede. E se sono riconosciuto figlio, il giorno dopo o entro una settimana, con tutti gli atti legali dovuti, è del tutto chiaro che io sono a immagine e somiglianza di mio padre, anche se nel mio aspetto non gli assomiglio per nulla. Sono sue erede, come sono a sua immagine e somiglianza. A proposito di pensiero farei subito un salto; perché stare lì a disquisire se il pensiero è umano o divino è perfettamente inutile; è semplicemente che è a immagine e somiglianza, cioè si tratta di erede. Mi sono venute tre frasi per dire qualche cosa su cos’è l’incarnazione. Una frase che mi è venuta è: Cristo è un uomo — è stato il primo 3 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora capitolo di contestazione pressoché il giorno dopo la resurrezione — perché ha il pensiero di un uomo. E come specifica san Paolo, senza gelosia, cioè senza zone separate; senza avarizia, più esattamente. La parola di san Paolo è avarizia, non è neanche gelosia: arpagmòn, proprio come Arpagone, quello di Moliére, l’avaraccio. Senza avarizia per il fatto di avere natura divina secondo la quale si sarebbe tenuto in disparte nel suo materasso divino i suoi originari dollari divini. È ciò che non ha fatto, dice san Paolo. Ossia, ha messo lì tutto. Un’altra frase che mi era venuta è questa: ma allora l’incarnazione è il fatto, che può sembrare curiosissimo e contestato da tutte le altre parti, che Dio ha pensato con la mia testa. Io lo so che verrebbe in mente di dire che sono io che devo pensare con la testa di Dio. Ma l’incarnazione è che Dio ha pensato con la mia testa. Ma proprio come comunemente si direbbe che ha mangiato con il mio stomaco. Se mangiava, mangiava con i miei denti e con il mio stomaco. È ovvio che erano i denti suoi e non i miei. Ma insomma, mangiava con i denti come i miei denti e con lo stomaco come il mio stomaco. Una terza frase per dire l’incarnazione. L’incarnazione è stata il lavoro di Dio sul pensiero dell’uomo, che poi era il suo stesso pensiero, per la condizione infelice in cui tale pensiero era cascato. Ora vengo alla notizia, cioè all’atto pubblico che compio insieme a loro davanti a voi in questa sede che mi sentirei di chiamare nella definizione di ciò che è il notaio, notarile, ossia che l’audizione ha un valore pubblico e non il polveroso notaio con i documenti. Se i coniugi avessero l’idea che ciò che fanno tra loro sono degli atti, che non si parte dall’amore, si parte dall’onore, allora si può cominciare anche a concepire che la parola amore abbia un senso. Altrimenti cancelliamola dal vocabolario. Bisogna essere logici in queste cose. Se non serve a niente, non significa niente, buttiamola via. La principale eresia, a mio parere l’unica nel genere eresie, ma già subito nei primi tempi del cristianesimo, si è chiamata docetismo. La 4 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora parola docetismo viene da un verbo greco che significa ―che sembra, appare così ma non è‖. Proprio il verbo ―sembrare‖ in opposizione a ―essere‖. E in riferimento a Cristo si diceva che l’umanità di Cristo era tutta una sceneggiata , un audiovisivo didattico: Domine Iddio voleva fare capire qualcosa alla gente e gli ha buttato lì un’apparenza di uomo come un attore in una sceneggiata; sceneggiata ben intenzionata ma comunque come in una classe dove alle dure cervici si installa qualcosa proiettando sullo schermo delle immagini, delle formule, delle frasi, dei raccontini… A me la questione del docetismo ha sempre interessato; forse ho impiegato quarant’anni ad arrivarci vicino, a capire qualche cosa: il docetismo in fondo aveva capito che finché l’umanità di Cristo, l’incarnazione, viene ravvisata nel fatto che aveva un organismo come il nostro, fin qui poteva avere ragione il docetismo. Dio con tutto il suo potere potrebbe benissimo essersi inventato dei numeri teatrali miracolosi. Avevano persino detto che quello che era morto in croce non era mica lui, ma un altro. Oppure: ha fatto sì — un po’ come Mandrake — che la gente vedesse che in croce c’era uno che moriva, ma non era vero niente. Non lo sto inventando io: è stato detto. No. Fin qui poteva avere ragione il docetista, che l’umanità fosse l’organismo sensibile di Cristo. Ma certo che è l’organismo sensibile. No! L’umanità di Cristo è il pensiero. Questo per me personalmente è stata una conquista immensa. Ma ora procedo. La notizia che ho da darvi è che, in modo minimo e certo frammentario, appena accennato, ma in ogni caso a datare dal 1999, quando siamo stati invitati qui per la prima volta, — questa notizia senza quella prima volta io oggi non sarei in grado di darvela: non so come sarebbe andato diversamente, ma in ogni caso non sarei in grado di darvela — in pochissimi, si è costituita quella che chiamiamo una Fraternità e la chiamiamo Fraternità del Pensiero di Cristo. Quando dico Fraternità dico qualcosa di piena precisione: diciamo una fraternità che vive di quella coppia di termini, di quella specie di dittongo, che sono le due parole a voi perfettamente e meglio che a noi note che sono le parole orare e laborare, le due parole pregare e 5 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora lavorare, di ascendenza benedettina. Ma è qui che le cose devono essere dette nel modo più chiaro e più semplice: vedo se ci riesco. Avevo già introdotto che il pensiero dell’uomo, allorché è buono — l’aggettivo ―buono‖ che ho usato ha lo stesso senso di quando prendo un bicchiere in mano e dico: «È un bicchiere buono», ossia è fatto come deve essere fatto un bicchiere. Un bicchiere è pieno di bontà se è lì a fare il bicchiere, si lascia riempire, svuotare, riempire un’altra volta… —, ben fatto, lo è quando ha in mente una sola cosa: un fine che è quello di trovare un partner per arrivare a un fine. Cioè a un risultato e risultato vuol dire che l’albero si giudica dai frutti e non c’è buon giudizio se non c’è frutto: capitale. E detto all’umanità intera, «L’albero si giudica dai frutti». Non l’ha detto solo per i bravi imprenditori che sanno fare il loro mestiere di imprenditori. È vero per tutti. Che dunque il frutto e solo il frutto è il criterio dell’albero e dell’essere albero dell’albero. E significa che se anche avessimo la più perfetta conoscenza fisica, botanica, submicroscopica dell’albero potremmo benissimo fare come ha detto quello là nella parabola: adesso lo tagliate e lo trasformate in assi. Perché l’albero meriti di essere tenuto deve avere dato frutto, se no non è neanche un albero. Non è mai esistito un pensiero di questa specie nella storia dell’umanità. È esistito per classi: per esempio, i capitalisti chi sono? Sono quelli che se non danno frutto escono dal mercato. Ma sono solo quelli. E il capitale si fa per mezzo di un partner, un compagno. È la parabola dei talenti; sono in due a fare fruttare: uno ci mette il capitale e l’altro ci mette l’iniziativa per farlo fruttare. Volesse Dio che l’amore per noi avesse il significato della parabola dei talenti: si fa frutti in due, in due partner. La parabola dei talenti — e anche io sono arrivato alla mia età per riuscire a pensare questo nella parabola dei talenti; ci sono arrivato recentissimamente — ci dice questo: l’amore è la cooperazione, il rapporto formale e materiale di quei due perché il frutto si produca, perché vi sia valorizzazione. Quasi non conosciamo famiglie che abbiano questo criterio almeno per la coppia dei contraenti iniziali. 6 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora Ma è la stessa cosa che dice Gesù, allorché dice: «Ama il tuo prossimo come te stesso». È del tutto chiaro che non dice: «Ama il tuo prossimo» e fine della frase. Il «come te stesso» è il principio della frase, come nella parabola dei talenti. Il frutto va a beneficio di quello che ci ha messo il capitale e di quello che ha fatto fruttare il capitale: sei stato fedele nel poco, ci guadagnerai di molto. Lo svincolamento del frutto dalla parola amore, annulla l’amore e fa sì che tutti siano dei Romei e delle Giuliette: finisce tutto a rotoli! Chi di voi ha letto Giulietta e Romeo sa che la natura, o dis-natura, del rapporto di Giulietta e Romeo è che i frutti non c’entrano niente, fin da principio. Allora, io che dicevo che questo è il pensiero di natura, che Cristo ha in modo così preclaro, anzi, ricordo che la prima volta anziché illustrarvi Cristo, l’ho illustrato nell’incontro con la Samaritana e avevo cercato di dimostrare che è la stessa cosa che qui abbiamo detto nella parabola dei talenti. È anche stato poi trascritto nel libretto tirato fuori da qui. I connotati del pensiero di Cristo A questo punto viene l’orare, il primo dei due capitoli di questa regola, minimalissima, che comincia a regolarci. Perché arriva qui l’orare? È già qualcosa di preciso, molto preciso. Vi ho detto che questa Fraternità si dà il nome di Fraternità del Pensiero di Cristo. Proviamo a immaginarla con un’altra denominazione, in fondo consueta, nota, con parole note. Mettiamo che la chiamiamo la Fraternità del Volto di Cristo. È una parola che in tutta la tradizione cristiana ha avuto una continuità e un peso, a partire da san Paolo. Io non dico di no. Non mi ripugna la scelta di questa parola, se non che devo fare un passaggio. Ma chi l’ha mai visto il volto di Cristo? Sì, certo, un po’ di persone all’epoca, non c’erano i fotografi, non l’hanno portato al Maurizio Costanzo Show, non abbiamo dei video. Quindi la parola volto nel senso corrente non 7 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora porrebbe nessun significato per noi. Dico che basta fare un passaggio semplice — non sto facendo giochini con le parole — dalla parola ―volto‖ alla parola ―connotati‖. Ci sono i connotati, no? Quali sono i connotati del pensiero di Cristo, suoi? Ho già detto che il pensiero di Cristo è pensiero dell’uomo, ed è questa l’incarnazione, associata a tutto ciò che di organico compone un uomo o una donna. Quali sono i connotati, ciò che connota e quindi rende distinguibile il pensiero di Cristo rispetto al mio, al suo, al nostro, avendo detto che si tratta dello stesso pensiero, avendo anche detto che è inutile stare lì a perdersi se più divino che umano, perché tanto è uno solo: «a immagine e somiglianza» vuol dire che è uno solo? Altrimenti ci saremmo inventati uno schizofrenico che per metà fa Dio e l’altra metà fa l’uomo. È persino ridicolo pensarlo: cosa fa, la spola fra i suoi compagni della Trinità, e poi dopo sta un po’ con noi? Queste cose non vengono mai dette, ma una volta dette sono un’ovvietà, non si può pensarlo scisso in due, o vivente in due dimensioni distinte in cui un po’ se ne sta da una parte, un po’ dall’altra, un po’ fa Dio, un po’ fa l’uomo. È questa l’eresia capitale. I connotati sono ciò che lo distingue come pensiero d’uomo dal mio di pensiero d’uomo e come lo stesso pensiero. Eppure ci sono dei connotati che lo distinguono. Mi basta elencarli. Io sono arrivato a un’elencazione. Qualcuno potrebbe sapere fare meglio di me e trovare che anziché cinque connotati sono riconducibili a due piuttosto che a tre. Non mi importa ora la completezza della perfezione logica della mia esposizione. Ve li dico come al momento li ho individuati. Innocenza È vero che è lo stesso pensiero, la stessa eredità, la stessa «immagine e somiglianza», ma anche quando la mia mens — parlavamo prima della parola mente piuttosto della parola pensiero: non facciamo distinzione — ma anche quando la mia mente è — come ci è stato insegnato a comprendere — capace di distinguere il bene dal male, o 8 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, anche quando il mio pensiero fosse tutto intenzionato a dir bene dell’innocenza, il mio pensiero non è innocente. Il pensiero di Cristo è innocente. Per questo una volta ho fatto apologia di Pilato: è stato l’unico in tutta la storia della vita di Gesù che ha detto: «È un innocente». Può darsi che non sapesse con esattezza cosa stava dicendo, ma dirlo l’ha detto, in pubblico: atto pubblico. Qualcuno mi ha detto che tanti secoli fa qualcuno si era inventato pure un san Pilato. Io non mi sarei spinto fino a questo punto, ma certamente è meglio riabilitarne la figura ; è l’unico che ha proclamato l’innocenza di Cristo. Nel mio pensiero non sono innocente ancora prima che nei miei atti, o meglio nelle mie azioni. Ecco il primo tratto distintivo, il primo connotato del cosiddetto volto di Cristo. Non ingenuità Ne trovo un secondo. Adamo ed Eva ci sono cascati per ingenuità, e l’ingenuità non è una bella cosa. I bambini possono essere ingannati per ingenuità. Ma se posso essere ingannato, forse che l’ingenuità è una virtù? Eppure non possiamo accusare i bambini di essere ingenui. Però è un dato della natura del bambino che può essere ingannato. Dunque, essere ingenui non è una virtù. È una condizione per cui si passa, descriviamola come vogliamo, ma non possiamo dire che è una buona cosa essere ingenui, essendo la via vuoi del peccato originale, vuoi del danneggiare i bambini, etc. È ben orientato il pensiero dell’uomo: è tutta una questione di orientamento, sempre, perché chi è orientato anche conosce, ma chi conosce potrebbe non essere ben orientato. È tutto il terreno della filosofia della scienza dei nostri secoli. Comunque è nata tutta una teoria della conoscenza che è separata dall’orientamento del pensiero e dunque degli atti. La non ingenuità di Gesù è descrivibile in tutto il testo dei Vangeli, 9 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora ma almeno un esempio è la celebre frase: «Siate candidi come colombi e astuti come serpenti», che proprio la dice squadernata della non ingenuità che lo costituisce. Secondo connotato. Salute psichica Ce n’è un terzo. Avrei potuto metterlo per primo ed è quello che avrei potuto chiamare un’indiscutibile — anche se è sempre stato messo in discussione — pensare bene. Ma l’espressione pensare bene è ancora un po’ tradizionale, della storia della filosofia, tutte quelle cose. Allora io lo dico con un’espressione più sensibile ai nostri intelletti ed intelletti comuni. È un uomo psichicamente sano. Nella nostra storia, nella storia dell’umanità, andatemi a trovare un uomo psichicamente sano. La sto dicendo grossa. Anzi, più grossa di così non si può dire. Noi stiamo pubblicando quella che è stato un breve libro di Albert Schweitzer. Tutti sanno di Albert Schweitzer, questo medico protestante, tedesco, musicista, studioso della Bibbia in particolare, che poi è andato in Africa a fare il medico. Ha scritto questo libro intitolato Valutazione psichiatrica di Gesù, e passa in rassegna una serie di autori tra 1800 e inizio 900 che si sono occupati della salute psichica di Gesù. Uno peggio dell’altro: uno schizofrenico, un melanconico, un paranoico, un nevrotico ossessivo, c’è di tutto. Però è molto interessante. Non mi sono mai interessato a fare polemica contro chi non la pensa come me; a me interessa quale questione è presente in un certo dibattito. Che quell’altro la pensi in modo completamente diverso da me è secondario rispetto al fatto che l’antitesi mette al centro un quesito importante per tutti. Se poi pensate a tutta quella serie di film hollywoodiani e non, in cui figura Cristo: in tutti è un pazzoide, un invasato, uno che grida frasi insensate: non si capisce perché vi è rappresentato il discorso della montagna. Sembra un pazzo come quelli che passano per le strade che ogni tanto si sentono gridare. Perciò, anche tutta la storia del cinema su Gesù ha pollice verso sulla 10 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora salute psichica di Gesù. E possiamo andare avanti così. Ho una piccola cultura sui vangeli gnostici ed è molto interessante perché nei vangeli gnostici Gesù è mentalmente insano. Nel vangelo di Giuda è un sadico infernale. Nel vangelo di Tommaso è un debile, uno stupidotto. E così via. Questo terzo punto, terza distinzione, sul connotato della salute psichica di Gesù è grosso. Tutta la storia della nostra cultura almeno moderna — secondo me già prima e ho citato gli gnostici che erano dei primi secoli a rappresentare Gesù come psichicamente insano — punta all’insanità psichica di Gesù e Albert Schweitzer in quel libro, passa in rassegna una serie di questi autori, psichiatri e psicologi abbastanza seri in quell’epoca. Eh no! A me queste cose non me le viene a dire! Qual è la soluzione di Albert Schweitzer? Alla fine si defila e dice che i Vangeli sono una cosa di tanto tempo fa e noi non possiamo porre un quesito di questo genere su uno che è venuto tanto tempo prima di noi. Non è vero! Vi so dimostrare che i personaggi di Sofocle, per esempio, che vengono addirittura tre secoli prima di Cristo, sono uno più pazzoide dell’altro. Aiace, Antigone, Edipo: tutti malati. Non si comprende perché su testi che comunque sono abbastanza successivi rispetto ai classici greci, non si potrebbe fare la stessa valutazione. Se avessimo davvero tanto tempo, passerei i testi di Gesù e farei vedere che addirittura è una invidiabile sanità. Ve ne dico solo una, che è citata anche da Albert Schweitzer ma per dire pollice verso, mentre invece è addirittura vistoso che il comportamento e le parole di Gesù in questo certo momento addirittura sono un grande modello della salute psichica specialmente per la nostra era: è l’episodio in cui dopo essere restato nel tempio a iniziare i primi passi della sua missione, padre e madre che erano partiti da Gerusalemme con la carovana non lo trovano più, inquieti. Voi vi ricordate che cosa gli dice: «Voi e io non ci conosciamo neanche. Ditemelo ancora una volta ed è finita!». Guardate che dice questo: «Cosa c’è fra voi e me?». Una piazzata ai suoi genitori così è difficile trovarne sulla faccia della terra. Non crediate che stia approvando la piazzata. Ossia, per essere più formali, vi rimprovero, 11 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora esplicitamente. Che cosa significa? Perché adduco questo episodio come sanità psichica? Siamo in un mondo di bambini. Uno è un adulto, sarebbe già un adulto a 13-14 anni. Si comincia a sognare di essere degli adulti dopo i 30 anni. Poi si vive in famiglia, si continua a considerare papà e la mamma come quelli che vigilano, ti controllano; non si hanno idee nella testa. L’età dal 14 ai 30 anni è un’età patologica. Nella nostra civiltà diventa una verità patologica. Gesù ci dà l’esempio che a 12 anni aveva già tutti i giochi psicologici compiuti. Non aveva alcun bisogno di padre e madre, il che non gli ha impedito, come profila quel passaggio evangelico, di tornare a casa con il padre e la madre, è stato benissimo con loro e non si è opposto a loro. Non ha fatto il sessantottino che spara nella schiena ai genitori, anche quando se lo meritano. Ma anche questo denota una buona sanità. Il sessantottino non era sano allorché per principio se la prendeva con i genitori. Ho detto: innocenza, non ingenuità, salute psichica. Vi informo che nella nostra generale cultura psicologica e psichiatrica di tutto il mondo, addirittura l’espressione ―salute psichica‖ non è ammessa, non è un pensiero considerato possibile, praticabile. Si parlerà di normalità statistica, anzi, si parla solo di quello, ossia di certe conformità. Nulla a che vedere con il pensiero, personale, ossia su ciò che fa di una persona una persona, essendo un’ovvietà che un corpo, un organismo, senza pensiero, è un cadavere. Ovvio ovvio, così. Non contraddittorio C’è un quarto tratto. Anche questo davvero rapidamente anche se meriterebbe un’attenzione. Il pensiero di Cristo non è mai contraddittorio. Potrebbe sembrare, come rigore, un capitolo di logica inserito. Essere contraddittorio è una cosa abbastanza grossa: se un edificio è contraddittorio cade giù. 12 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora Pensiero della resurrezione Poi ce n’è un quinto. E questo quinto è che si tratta in Gesù di un pensiero in grado di concepire la resurrezione. Per farla breve: Gesù ha potuto pensare la resurrezione. E come uomo. Non come dicevano i docetisti: a un certo punto ha fatto bye-bye ed è ritornato a casa sua, perché poi bisogna essere ridicoli in questo modo a volte, perché era davvero l’idea di bye-bye: ―Ci siamo visti per un po’… Adesso mi sono annoiato abbastanza e me ne vado‖. ―Ho fatto il mio lavoro, e adesso me ne vado‖. Un po’ come un militante politico: ―Ho fatto la parte che il partito mi ha assegnato …‖ e un giorno termina il mandato. Perché — questo è un pensiero che potrei far risalire a un paio di anni fa: si deve ingrandire e anche perfezionare — c’è qualcosa nel pensiero della resurrezione che non è pensabile da me, salvo l’idea che Dio può tutto e allora può anche fare resuscitare chiunque, ma questa è solo una deduzione. Si deduce dall’Essere perfettissimo, onnipotente, che qualsiasi cosa voglia la può fare: ma questo è soltanto un pensiero astratto che è privo di conseguenze. Il pensiero della resurrezione di Gesù è associato al pensiero della resurrezione di quelli che lì per lì avrebbe lasciato, avrebbe salutato. Ossia, non implica sé: implica sé con tutti, implica se stesso con tutti. E che con questi tutti ci starà bene: esperienza alquanto rara fra di noi umanità. Dato che mi preme almeno avere finito di dire qualche cosa sul primo capitolo della regola, il resto che potrei aggiungere su questo nocciolo riguardante la resurrezione, se ci sarà abbastanza tempo lo riprenderò; ora mi importava connotare la personalità, ossia una parola giuridica, del pensiero di Gesù rispetto al mio e a quello di ognuno di noi, nell’identità di pensiero con questi cinque, che non sono distinzioni nel senso di camere separate. La parola che mi viene è la parola giusta: che sono delle anticipazioni in un individuo, Gesù, dei connotati che potranno essere di tutti, ma non lo sono ancora. Posso aspirare all’innocenza, ma non l’ho; posso aspirare alla non 13 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora ingenuità, ma non l’ho, non l’ho del tutto; e quanto ad aspirare all’avere con solidità il pensiero della resurrezione, almeno un momento di prudenza. Fare posto Allora, questa Fraternità nel momento dell’orare potrebbe prescegliere, oltre al Padre nostro, preso come primo pezzo, come primo esempio dell’orare, altri quattro pezzi evangelici, riferiti al pensiero di Gesù, come quelli che per esempio ho menzionato, come il vero e proprio orare di questa Fraternità. Il Padre nostro e poi… e poi… e poi… Che siano poi tutti e cinque nello stesso giorno, o che siano disseminati… Lasciamoci alla frammentarietà e iniziarietà in cui siamo. Ma diciamo che io sarei di questa idea: che questa Fraternità abbia come suo primo orare cinque pezzi, come già il Padre nostro, che peraltro se l’è inventato lui, che io metterei nel capitolo della salute psichica di Gesù, secondo una mia certa riflessione al riguardo. E questo per quanto riguarda il primo momento di suddetta regola. A che cosa serve? Qui l’avevo scritto da un’altra parte, quindi lo dico con le parole che mi vengono. Perché mi inventerei come precetto di avere proprie recitazioni? — il Padre nostro si recita — che senso, nel significato di fine, ha un simile pregare? Significa fare posto, un posto che è tanto logico quanto reale, perché si prega in un intervallo di tempo nel posto in cui si sta, in piedi o seduti, quindi tempo e spazio; fare posto reale e anche logico nel mio pensiero a ciò in cui questo pensiero si distingue dal mio. Proprio fare posto. Costruire una chiesa o una cappella è fare posto. Gusto C’è una parola che può essere aggiunta: cosa attendermi da questo fare posto? Stante che il mio di pensiero non è ancora così connotato, 14 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora il fargli posto ha in vista l’acquisizione del gusto affinché anche il mio pensiero diventi così connotato. L’acquisizione del gusto per l’innocenza, per la non ingenuità, per la salute psichica, per la non contraddizione, e per la resurrezione: e ho detto ―gusto‖. Ho detto bene, dicendo ―gusto‖. Una volta si prediligeva la parola ―passione‖ per dire ciò che spinge la mia azione. A mio parere, il primato è al gusto, non alla passione. E avere un gusto così mobilitante in una direzione così precisa, peraltro vista sotto cinque momenti o facce diverse, un simile fare posto perfeziona la mia vocazione che già esisteva. Vocazione Perché la vocazione non nasce da Domine Iddio: è il solo fatto dell’essere uomini, la vocazione. Il cane è spinto a mangiare; io sono spinto a inventarmi il cibo. È questa la differenza fra la vocazione e una causalità naturale. Scusate l’alimentarità del paragone, ma la vocazione è dalla parte del cuoco, che potenzialmente siamo tutti, perché la vocazione è inventiva. Il suo modello non è quello del militante di partito. Allora, ci metterà tutto il suo. E così che introduco oggi l’idea di vocazione. La vocazione nasce dalla natura, non nasce dalla vocazione religiosa. Noi siamo tutti vocati, chiamati, a iniziare qualche cosa, a essere imprenditori — diciamo così — in qualche modo, poco o tanto, della nostra esperienza. Anzitutto, a fomentare una partnership, una compagnia, perché avvenga uno scopo, e uno scopo felice. Grazia Questa è la vocazione di base, che riguarda tutti. Ma come diceva Tommaso d’Aquino nel celebre adagio, «Gratia non tollit sed perficit naturam», la grazia divina non toglie la natura, cioè come già siamo, ma la perfeziona, la sostiene, la pacifica e così via. In questo caso dal lato della parola natura — grazia e natura: antichi termini anche molto scolastici — sto mettendo la vocazione: l’uomo è già in vocazione, come si dice ―essere in macchina‖. C’è già dentro: 15 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora non esiste il non essere in vocazione. Gratia non tollit la vocazione detta ―naturale‖, ma la perfeziona. La grazia, potremmo dire, non toglie il pensiero di natura ma lo perfeziona. Ecco i cinque punti di prima. E in questo oggi Vera Ferrarini mi ha informato di una frase di Pasolini veramente istruttiva per l’errore che contiene. Di solito tutto il mondo si divide fra filo-pasoliniani e anti-pasoliniani. A me non importa nulla del dibattito in generale e di Pasolini, anche se in quel vecchissimo film che lui fece su Cristo, Il vangelo secondo Matteo, io non ero d’accordo e non sono d’accordo. Non mi piace. Cos’è questa storia che per rappresentare Gesù che parla bene dei bambini, come saprete, lo fa vedere lì che giocherella con un bambino, gli fa girare un cappello in testa, che sembra lo zio appena arrivato in casa. Poi ci sono cose che si condannano da sé per la banalità. La frase che Pasolini – da confrontare con quella che ho appena detto che la grazia non toglie ma perfeziona la natura, ossia per cui siamo già fatti o in cui siamo già costituiti – scrive in una lettera a un certo arcivescovo Fallani è una di quelle frasi che la metà dei cristiani di questo mondo prenderebbero per tanto spirituale, per tanto religiosa, per tanto pia, per tanto disponibile alla volontà di Dio, mentre è tutto il contrario: «Ciò che non può la natura, lo può la grazia». Non è così. La grazia aiuta, sostiene, corregge, rifà, ma è già la natura che sarebbe già pronta a fare il suo lavoro. E che in questa famosa e astrattissima parola ―grazia‖ come sempre è stato detto, vuole dire che la natura trova un buon partner: è sempre il principio del pensiero di natura. Si è trovato un compagno con il quale che la faccio. Partner Ma non perché sono un povero disgraziato e ho bisogno di qualcuno che mi tiri fuori dal fango. È la persona più sana del mondo, e anche più ricca del mondo, che sta bene con il partner. Non c’è da partire dal presupposto della miseria e allora il povero miserabile ha bisogno di aiuto. L’aiuto è il partner, è il compagno. Ed è nella migliore sanità16 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora santità che si lavora per avere il partner o gli si fa posto se arriva inatteso. Basta avere i mezzi: ancora il pensiero per riconoscerlo come partner. E la parola partner è da me prescelta perché è uno dei concetti principali di tutta la dottrina economica. Vuole dire che non si fanno affari se non c’è un partner. Idea raccoltissima da Gesù, come ho menzionato prima, specialmente ma non solo nella parabola dei talenti: ci sono due partner, fanno affari. Non mi direte che confondo gli affari di una specie con gli affari di un’altra specie: la FIAT non è esattamente il Regno dei cieli, anche se io non condanno il capitalista per principio. Ma in ogni caso, qualche distinzione viene fatta. Un po’ più di qualche. E allora, il passaggio che resterà da fare — mi dolgo se ho preso ora delle vie un po’ lunghe, mi sono fermato su punti che avrebbero potuto essere omessi —, ma diciamo che si tratterà di usare questo primo momento, o con una antica parola benedettina molto facile, orare, come premessa no, direi piuttosto come il correlato — per esempio le mie dita in questo momento hanno una relazione di correlazione — a lavorare come il correlato di questo orare, con un passaggio però che sarà inatteso, ma questo ve lo dico domani. Diciamo che non si tratta di mettere in opera un lavorare che consisterà nel meditare sul pensiero di Cristo. Curioso, ma vero. Si tratta di orare e basta, ossia di quell’atto che costituisce il posto reale e logico atto a connotati di pensiero di cui il mio di pensiero non è ancora corredato o in cui non è ancora corretto, o di cui non si è ancora arricchito. Dunque, il Veni Sancte Spiritu dice: «mentes tuorum visita». Io mi sono chiesto perché «visita»? C’è già il pensiero di Cristo. Risposta: non perché non si scrivano abbastanza libri di teologia su questo, ma perché l’orare come fare posto, per esempio come nella parabola delle vergini, al pensiero di Cristo nello «Spirito» qui è ravvisato un supplemento di sostegno al fare un tale posto. Così io lo colgo e interpreto. 17 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora Cogitatione E poi mi è venuta in mente mentre viaggiavamo in auto una frase che mi sono intentato io, non i santi padri, e potete farne quello che volete; non ho eccessiva presunzione a questo riguardo. Ma così come in una certa preghiera alla Vergine si dice: «Ego tali animatus confidentia…» (nel Memorare), a me così è venuto da dire: rivolgendosi al pensiero di Cristo si potrebbe coniare un mezzo verso così annotato: «ego tali animatus cogitatione», animato da un tale pensiero. Ecco il senso di quelle cinque preghiere, già tutte scritte, ma con un lavoro di selezione e porzione, non fosse che per il fatto che non si può una volta al giorno recitare tutti e quattro vangeli di fila come già nella preghiera liturgica di quel momento. Non esiste. E in questa frase, certo c’è il baricentro posto sopra la parola cogitatione, cioè «animato da un tale pensiero», ma quasi quasi se con le solite matite la parola cogitatione, pensiero, la sottolineerei una volta, la parola animatus la sottolineerei due. In quei cinque punti di cui ho parlato, in cui c’è una singolarità in cui il pensiero di Cristo, che è il mio come natura, si distingue così come si distingue dal pensiero di chiunque: innocenza, salute, non ingenuità, non contraddizione, possibilità del pensiero della resurrezione che nessuno saprebbe fare. 18 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri LABORA** Giacomo B. Contri Grazie per la nuova accoglienza ed attesa. Che Dio mi aiuti; non sono sicurissimo di essere sveglio come voi. Non posso dare tutte le garanzie. A proposito ancora della preghiera, non so se quella che ho esposto sia un’idea veramente originale o no, ma d’altronde l’aspirazione all’originalità non è mai una buona aspirazione. Quando uno trova qualche cosa, si accorge dopo se c’era qualcosa di originale o personale. È una annotazione, la novità, l’originalità. Non è buono che sia un’aspirazione. Anzi, se è un’aspirazione sarà soltanto la fotocopia di qualcosa che c’era già prima. In ogni caso, era l’idea di pregare o domandare. Sottolineo sempre che il verbo domandare deve essere proprio quello che si ritrova quando si parla, nel nostro mondo, della legge della domanda e dell’offerta. Non sto dicendo che è la stessa cosa che al supermercato, ma il rapporto è domanda-offerta. Anzi, c’è rapporto, anzitutto amoroso, in quanto c’è rapporto di domanda-offerta. E nella domanda si fa posto all’offerta. ** Pronunciato nel Monastero Cistercense N.S. di Valserena il 19 gennaio 2003. Testo non rivisto dall’Autore. Revisione a cura di Gilda Di Mitri. © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora La domanda è proprio fare posto all’offerta, come si dice preparare una stanza, preparare la tavola, metterci le sedie… O realizzare un’ospitalità. Si fa il posto. Le cinque voci, i cinque punti isolati ieri sono cinque connotati del pregare. Povertà-castità-obbedienza Me lo ricordava Raffaella Colombo questa mattina, che specialmente qui viene richiamata una parola dell’esperienza della vocazione come anzitutto voi provate, sperimentate, che è la parola povertà, della celebre terna povertà-castità-obbedienza. Non vedo differenza fra questo fare posto, attivo, come per esempio è stato fatto il posto perché noi potessimo sedere, nonché parlare, e la povertà. Ci sono due idee della povertà. Una è la povertà del morto di fame, il che può accadere. Anziché il morto di fame si può essere carenti, lacunosi, in tante cose. E poi c’è la povertà del riconoscimento che occorre un supplemento — quella famosa grazia di cui si parla così distrattamente — perché un passo, un’iniziativa riesca. Una piccola annotazione ancora e poi proseguo e vengo al dunque di oggi, il lavorare. La parola supplemento la uso con una certa intenzione, intenzione illustrativa, ma anche pratica. Cosa vuol dire supplemento? Vero che è un’aggiunta, ma è un’aggiunta là dove non mancherebbe niente. È come il dessert: è un paragone sbagliato, molto sbagliato. L’avaro, il benestante avaro, Arpagone, è uno che ha tutto. Ha messo i soldi nel materasso, ma insomma… Ed è avaro perché non domanda il supplemento; ma non è un morto di fame. Il povero è chi ha 100 come l’avaro e afferma che per farsene qualcosa di quel 100 ha bisogno di un supplemento. Ancora i talenti: il signore che dà i talenti da investire non manca di niente, il capitale c’è. Ma afferra che vivere è il frutto, è fare fruttare. E allora si cerca un compagno per la fruttazione, per la produzione del frutto. 20 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora Io non sono contentissimo di come l’ho appena detto, ma mi rassegno ai miei propri mezzi. Ma è su questa via che intendo che potrei procedere facendo derivare anche castità e obbedienza da povertà. Diciamo che è la strada che seguirei. Io non ci provo neppure in questo momento, ma diciamo che mi pare di intuire che è la strada che seguirei. Immaginate che questa mattina, e immaginereste bene, mi sia alzato e abbia messo in pratica ciò che dicevo ieri a proposito dei cinque pezzi, a partire dal Padre nostro. Il tutto molto in breve: io sono uno speedy, tocca e scappa, una cosa rapidissima. Che dunque l’abbia fatto secondo quei cinque capitoli: la salute, la non ingenuità, l’innocenza, la non contraddizione che posso spiegare come il non essere uno che oggi ne dice una e domani il contrario, la resurrezione. Come cenno, se ci fosse il tempo, sulla non contraddizione, pensavo proprio di prescegliere quel passo lì come una delle cinque preghiere. È il passo che è rimasto oscurissimo, per quanto ne so io, in tutta la storia della predicazione, della esegesi, che è il passo dei tre eunuchi. Ci sono quelli che sono stati resi tali dalla violenza degli uomini, quelli che sono già così fin dal ventre della loro madre, e poi ci sono quelli che si fanno eunuchi per il regno. Sembrerebbe che si contraddice, perché é chiaro che Gesù è contrario alle prime due specie di eunuchi, è contrario alla violenza, all’essere resi eunuchi dalla violenza, e poi alla fine arriva a consigliare di farsi eunuchi per il regno dei cieli! All’apparenza è una bella contraddizione. So che nessuno non ne è mai venuto bene a capo. Devo dire che ne ho scritto qualche cosa e forse sono un presuntuoso, ma mi è sembrato di essere arrivato a una qualche conclusione. Ecco, usare come preghiera un pezzo in cui appare che Gesù si contraddica mi sembra una cosa anche – se la parola non è troppo frivola – divertente. Facciamo questo passo, che è il passo del lavorare. Ho pronunciato cinque parole, cinque capi, cinque connotati. Arrivo qui a parlare del lavorare che intendo essere la seconda parte di questa regola in due capitoli. Allora, mi invitate qui a parlarvi di questo 21 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora lavorare. Allora direi: ricominciamo tutto da capo. E comincerei parlandovi di queste cinque parole, anzitutto, individuate come i connotati del pensiero di Gesù, ma non come connotati di uno che poi ha una vita a parte, ma come i connotati in cui il mio di pensiero è in pecca, in difetto. Incominciamo pure da queste cinque parole e mi invitate a parlarne. Ebbene, non dovreste attendervi che io vi parli dell’innocenza, della non ingenuità, etc., nel pensiero di Cristo. No. Non farei questo. Ve ne parlerei come ne potrei parlare al mondo. Vi direi cosa significa innocenza, vi direi cosa significa ingenuità, vi parlerei di cosa vuol dire vivere senza contraddizione tutti i momenti, ossia farei un lavoro che potrebbe benissimo essere fatto da qualcuno che è perfettamente miscredente, diciamo laico. E a partire da queste cinque parole potrei iniziare un iter in cui vi parlo di tutte le parole del mondo. Vi parlo del vocabolario, vi parlo della lingua, di quella che si è confusa a Babele. Vi rifaccio in parole l’ordine riuscito o potenzialmente riuscito del mondo. L’espressione del tipo «Una lingua pura, delle labbra pure» che si trova nei Salmi. A partire dal desiderio che anche nel mio dire sia così, dire che è l’attività principale che noi abbiamo in tutta la giornata. Anche il silenzio non è vero che non è fatto di parole, di pensieri e parole: è pieno. Il lavorare di cui vi parlo è un lavorare al quale si possono dedicare tutti coloro che lo desiderano senza neppure essere credenti come presupposto. In modo più o meno esatto, il lavorare di cui vi parlo è il lavoro, proprio come contenuto di lavoro, del ri-scrivere il vocabolario della lingua italiana, fare l’enciclopedia Treccani. Una specie di lavoro cui può partecipare anche chi ha fatto la terza media, perché tutti parlano e non è vero che esiste una lingua più ricca di un’altra: esiste una lingua più erronea di un’altra. Non è vero che esiste un pensiero più ricco di un altro: esiste un pensiero più sbagliato di un altro. «Ti ringrazio perché queste cose le hai fatte sapere ai semplici e non ai dotti»: il vocabolario della Treccani, che è il lavorare di cui parlo, non 22 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora presuppone di avere fatto il dottorato al MIT. Anzi, posso dire di più: che l’idea di una Fraternità come questa, il cui lavoro è immettersi almeno, iniziare almeno, a rifare tutte le parole del mondo, mi è venuta anni e anni dopo che noi e tanti altri, anche non credenti, facciamo una certa scuola che chiamiamo con un certo nome. Il nostro lavorare è fare quel lavoro lì che già facevamo: gratia non tollit, sed perficit… Il contenuto di lavoro del lavoro di questa Fraternità — mio anzitutto, visto che sono io che sto parlando — è un lavoro che avevo già iniziato prima, un lavoro che c’era già. Ma giusto giusto come il benedettino di altri tempi poteva dedicarsi a fare i lavori di bonifica nella campagna d’intorno, perché c’erano le paludi. Magari lui si intendeva di bonifica più di quanto se ne intendesse il contadino. Per inventarsi di fare un lavoro di bonifica non occorre essere un benedettino, in linea di principio. O nella raccolta di documenti o di testi. Ma il benedettino può ritenere che il partire dal suo orare lo ponga in una posizione interessante nel fare il lavoro di bonifica della palude. Ripeto: il nostro laborare è un lavoro che già esiste; lo chiamiamo Studium, ma non importa: è l’estensione alle parole del pensiero come ne parliamo qui, pensiero di natura come perfetto in Cristo. Per questo dicevo: ricominciamo da capo. Io potrei parlarvi di quelle cinque parole senza neanche fare riferimento esplicito al pensiero di Cristo. E lo farei per gli italiani, per i cinesi, per gli americani, per i lunatici, per… Lavorare sui pensieri e sulle parole non è molto diverso dall’usare la zappa. C’è come una strumentazione che è molto affine a quella materiale: per questo ho detto prima che non occorre avere più della terza media. Nulla a che vedere con un club di intellettuali. Ma attenzione! Avere il buon pensiero — poi chiamato pensiero di natura per certe ragioni, quello che Cristo ha in forma perfetta — è questo a rendere veramente intellettuale. Il problema degli intellettuali di tutti i tempi, specialmente in era moderna, è di essere al di sotto dell’essere intellettuali. Proprio quella che si chiama intellighenzia, o 23 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora il concetto di intellettuale della nostra era, perché è un concetto molto recente, tanto più che poi è diventato intellettuale di partito, intellettuale che è al servizio di certi mandati molto particolari — come si dice in un certo gergo politico, ―un servo del padrone‖: si è spesso detto così ed è vero — oppure quante volte è stato detto e scritto che la posizione dell’intellettuale nella nostra era è una posizione vile: la verità intellettuale è propria dell’intellettuale. Ma basta poi mettersi a leggere per accorgersi di che cos’è la viltà intellettuale che è un vizio morale. Basta avere letto un bel po’ di cose, o anche dei giornali, e si scopre che cos’è il vizio morale della viltà, che non è affatto il prendere la fuga davanti al nemico. Anzi, il prendere la fuga davanti al nemico è anche buon senso: almeno salviamo la pelle, che è il consiglio che viene dato da tutti i generali esperti: piuttosto che farsi massacrare si prende la fuga. Guai ad avere un’idea di martirio come quello che va incontro a quello che gli darà le botte. Cerca di prendere la fuga e poi dopo si vedrà: se proprio non si può fare niente di diverso… In questo senso, l’atto della preghiera, come ho cercato un po’ di far intendere, anzitutto a me stesso, è un atto di forza morale, non è un atto di ritirato; un atto di coraggio intellettuale. Un’idea che mi era venuta ieri mattina: in fin dei conti, avere come contenuto del lavoro, per grandi e piccini, più colti e meno colti, mondanamente più colti, meno colti, in fondo potrebbe essere paragonato all’ambizione, all’aspirazione. Io ho una buona opinione dell’ambizione. Non è buona cosa esservi contro. Quando qualcuno ci viene a dire: «Cercate prima il Regno di Dio» che cosa c’è di più ambizioso? È un disegno imperiale! Che cosa esiste di più ambizioso di questo? È una cosa da Giulio Cesare. Non credo di diventare frivolamente poetico, né frivolamente spirituale se dico che, in fondo, lavorare a questo progetto potrebbe anche essere chiamato come il progetto di un ―cantico delle creature‖, laddove le creature in oggetto non siano creature della natura, ma sia gli uomini. Almeno in apparenza sembrerebbe che Francesco si sia riferito di più 24 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora alle creature della natura, della natura fisica; quando a un certo punto parlerà di Sorella morte, già si capisce che non è della natura fisica che sta parlando. Bene o non bene, ho designato il contenuto di questo lavoro. Non tanto bene, perché esiste ancora un sentore di intellettualismo in ciò che ho detto, malgrado abbia cercato di sbarazzare il terreno: non ci sono riuscito bene. Ma diciamo che il riferimento alla torre di Babele dà l’idea di che razza di lavoro sia il lavorare alla bonifica della lingua anziché alla bonifica della palude. Permettetemi, in questa santa sede, di richiamare in essa — l’ho fatto forse una volta, lo faccio per la seconda — il mio e nostro amato Freud, il quale ha una certa espressione dicendo: «Fare quel certo lavoro è un lavoro di civiltà come la bonifica dello Zuidersee», questo grande terreno paludoso dei Paesi Bassi. In alcuni anni in questi paesi hanno avuto come primo problema di civiltà nel loro paese di bonificare questa enorme palude, questa immensa palude che poi è diventata un’enorme insenatura marina. Dunque, bene o male che sia riuscito a rendere l’idea, il lavoro, il lavorare di cui si tratta è un lavoro di civiltà, al quale può essere associato chiunque, ossia non si pone a nessuno la pre-condizione neanche della fede e tanto meno del trattare gli articoli della fede come premesse logiche da cui tirare delle conclusioni. Pregare non è dedurre. Oltretutto in questo modo si riserverà la capacità logica al momento buono. Non si fa del pensiero di Cristo un pacchetto di postulati, come i cinque postulati di Euclide. Euclide è Euclide, il pensiero di Cristo è un’altra cosa. Pensiero essendo, non è un sistema di postulati. Dopo aver detto del cantico penso di poter terminare. Resurrezione. Io posso dire una parola in più su ciò che bene o male ho detto ieri, aggiungendo che potrei immaginare, riesco a immaginare di incontrare uscendo da qui e rientrando a Milano, una 25 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora persona, morta, a me nota — per esempio un mio vecchio amico, grande compagno, Ambrogio Ballabio, nostro grande collega — e me lo ritrovo vivo bello pimpante. Dunque sono abbastanza sicuro che non sarei meravigliato. Non mi verrebbe, non ho questo genere di emozioni. Ma semmai anche conoscendo bene la persona, Ambrogio, semmai potrebbe venirmi da chiedergli: «Ma cosa ti è venuto in mente di essere ancora qui?». Devo motivare la domanda. E a mio avviso è una domanda da farsi. Uno direbbe: «Ma come, ―Cosa ti è venuto in mente…‖?». Uno si aspetterebbe solo di risorgere, rinascere, ricominciare da capo. Eh no, non va così! Qual è il senso della domanda: «Ma, Ambrogio, cosa ti è venuto in mente di risorgere?», magari non perché l’ha fatto da solo ma perché l’ha fatto risorgere Dio, d’accordo; tutto questo è scontato. Perché? È stato anche tutto il buddismo a fare da sostrato al genere di battute che sto dicendo. A un buddista non verrebbe mai in mente di aspirare a una qualche resurrezione; aspirano soltanto a farla finita. Dato che stare a questo mondo, soprattutto avere dei desideri, che vuol dire avere dei pensieri, è stimato e giudicato da Buddha come qualche cosa che è puramente doloroso: io ormai traduco la parola ―dolore‖ in Buddha con la parola ―angoscia‖, perché è di questo che sta parlando; non del mal di denti o della fame fisica dei poveracci che vedeva nella città dove stava, nelle campagne. Il senso della mia domanda al mio amico che vedo lì indubbiamente risorto e senza dubbi su chi lo abbia fatto risorgere, il senso della domanda «Ma cosa ti è venuto in mente?» è che per fare, come assunzione di responsabilità da parte di Dio, e per accettarlo, come mia sottomissione all’atto resurrezionale di Dio, bisogna avere la certezza che non ricomincerà tutto da capo. È già andata male una volta… Per questo la mia domanda: «Ma cosa ti gira…?» o cosa è girato a Dio di fare ricominciare tutto da capo? Cieli nuovi e terra nuova: come fa ad essere tanto certo che non ricomincerà tutto da capo? Con uno come Gesù che risorge, c’è uno che almeno implicitamente 26 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora asserisce la certezza che non ricomincerà tutto da capo. E ho già detto ieri che la resurrezione di uno è immediatamente correlata da Gesù con quella di tutti: è questo il concetto di regno. Il concetto di regno, vuol dire tutti. Un po’ come si dice Regno d’Italia, che non c’è più, o la Cina. Parlare di appuntamento come la condizione della vita sociale, della produzione del frutto, presuppone, richiede una civiltà completa; una civiltà di tutti, di uno per tutti. Dicevo ieri parlando con Madre Monica che il contrario, anzi l’opposto dell’appuntamento, del regime dell’appuntamento, il che significa che è da almeno due partner che verrà il frutto, e che la parola amore si applica solo a questa situazione, la una frase che semplifica bene l’opposto della vita nel regime dell’appuntamento, che vuol dire una Città, è quell’orribile frase che dice: «Moglie e buoi dei paesi tuoi». Perché dico che è orribile? Perché dice che il legame che può stabilirsi fra due o più di due, è il legame dell’apprezzamento immediato: mi sono preso una ragazza perché è una bella ragazza, mi sono preso uno perché aveva altri connotati ancora, etc, anzi requisiti. È quello che si dice: «Moglie e buoi dei paesi tuoi», cioè i vicini nel senso più fisico-percettivo, a tu per tu, della parola. Finirà male. Di solito finisce male. I due innamorati finiranno male: finiranno come Giulietta e Romeo. Non c’è nessun amore fra Giulietta e Romeo. La parola «amore» è spesa male. Tutti i romanzi citano Giulietta e Romeo; lo chiamavano «amore», ma già voleva dire la morte; ma neanche la morte fisica, ma la fine del rapporto. Nessun appuntamento, non ne viene fuori niente, fino dal principio: era il puro a tu per tu, nel senso di «A me gli occhi». Per questo partivo ieri dal volto. Non è «A me gli occhi» di Cristo o i miei occhi negli occhi di Cristo. Questo è Giulietta e Romeo. Per questo dicevo i connotati: i connotati sono connotati del suo pensiero. Ad esempio, sposandomi, con chi io potrei dire che ho una relazione amorosa, effettivamente amorosa e reciprocamente? Con una persona di cui riconosco i connotati come ne ho parlato ieri. Allora, il vincolo matrimoniale sarà il vincolo con quei connotati. 27 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora Domanda Non capisco il senso. Giacomo B. Contri Vogliamo dire che mi sposo per procura? Non conosco neanche la persona che sposo, ma me ne sono fatto dare una descrizione sufficiente per sapere che di una persona così mi posso fidare, e che mi piacerà. Scherzando dicevo ieri a Madre Monica che la persona migliore con cui io potrei unirmi è una persona di cui ho avuto un dossier riservato dalla CIA. Sappiamo che la CIA è molto precisa in questo genere di cose, perché individuati i connotati di quella persona avrei una via all’incontro con questa persona, in base ai suoi connotati; è una via che non sente alcun bisogno di avere come primo passo la fotografia o l’ «a me gli occhi». L’ «a me gli occhi» è quella specie di seduzione che finirà male perché non c’è alcun sapere su connotato alcuno. Soprattutto se sarà una compagna nel senso dei talenti, ossia che ci metterà del suo. L’altro così può essere incontrato, a questa condizione; non c’è nessun incontro fra Giulietta e Romeo, che si incontrano come due auto in strada che si scontrano, con finale mortale di tutto il rapporto. Fra l’altro una cosa notevole è che fra loro non succede niente, neanche un po’ di sesso. È intelligente Shakespeare: non succede niente. Se volete, nulla di coniugale, in nessun senso. Perché si dia appuntamento, e in questo caso l’ho fatto vedere dal coniugio, occorre che vi sia un regno, una lingua, un mondo dell’affidabilità dei giudizi, il potere intendere l’affidabilità — sì o no — della persona che incontro. Per questo insistevo tanto sulla lingua, come contenuto, quella lingua da rifare, sul cantico delle creature umane come il regno dell’affidabilità in cui fin dalla mossa della resurrezione Cristo stesso si è dichiarato parte, parte della civiltà della resurrezione di tutti con uno. Per il fatto di risorgere si dichiara un membro di quella civiltà, come si dice: «Uno di noi», alla lettera. 28 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora E senza essere eccessivamente essere preoccupato di fare il capo, nel senso del boss. Si sentirebbe ridicolo se arrivassimo lì a nominarlo presidente della repubblica. Con questo poco almeno ho cercato un po’ di dire, a proposito della notizia di ieri di una Fraternità avente questi due capitoli di regola, senza neppure presupporre che tutti lavorando a un simile progetto siano dei credenti o dei preganti. Perché anche al pensiero di Cristo potrebbe lavorare un qualcuno che almeno in questo momento non vorrebbe essere in questa stanza, e di fatto è qualche cosa che sta succedendo. Però quella del «Cosa ti è venuto in mente di risorgere?» guardate che è una buona domanda, perché la questione è: ma come si fa ad essere certi che non ricominci tutto da capo? Domanda Io pensavo a una domanda, non so se ho capito. Come ha parlato del pensiero di Cristo a me è venuto in mente quando san Paolo dice: «Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù», dove non è tanto ―sentimenti‖ come si può intendere nella cultura odierna, ma proprio il modo di sentire, di pensare di Cristo Gesù. Poi lei ha parlato del lavorare. Quando si pensa il pensiero, si parla del pensiero, il pensiero è qui, il cuore sta qui, etc. Ma mi è sembrato di sentirlo come un pensiero che non può rimanere solo qualcosa di intellettualistico, ma qualcosa che porta a un certo modo di operare, che deve portare a un certo modo di operare. L’ho capito così. Mi chiedo se ho capito bene… Giacomo B. Contri Al punto che rinforzo quanto lei ha detto. Si ha al momento un’idea del pensiero come quella cosa astratta. Il mio parlare del pensiero è fare osservare che quest’idea del pensiero è un caso particolare del peccato degli uomini. Mi piacerebbe vedere la faccia di un confessore, 29 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora di un prete, che riceve un penitente e che dice, come contenuto della confessione, un po’ come se dicesse che ha appena strangolato sua zia e invece dello strangolamento andasse a confessare come peccato di avere un’idea astratta del pensiero. Io vorrei vedere la faccia di quel prete: non capisce neanche che cosa gli sta dicendo. Ma l’atto confessionale del penitente è dire: «allora è tutto sbagliato: se ho questa idea del pensare, c’è un peccato, un errore da qualche parte». Cambia tutto: perché io lo metto addirittura sul peccato. E senza senso di colpa alcuna. Chiamare una cosa ―peccato‖ è come annotare che questa cosa è un tavolo. Proprio una cosa chiara e tonda. Sostenevo anche ieri, e c’entra sempre con il pensiero, che cos’è il vero peccato originale? Peccato cardinale non è quello di Satanasso che dice una certa menzogna, ma è quello di Adamo ed Eva che si lasciano prendere da una certa idea, menzogna iniziale, e agiscono in essa, secondo essa. Ma qual è il peccato originale? È l’avere mangiato la mela? No, ci siamo già, ma è appena l’anticamera del peccato originale. Non è il mangiare la mela. Il peccato originale è quando Dio dopo si rivolge ad Adamo — la prima a mangiare la mela è Eva e poi la passa al suo legittimo sposo, al suo compagno, partner — e Adamo risponde: «Sì, sì, è vero che ho fatto questo. Ma è colpa sua, è stata lei». È il peccato originale, perché è il divorzio addirittura all’origine di tutti i tempi, di tutti i tempi dell’umanità. Il peccato originale è il divorzio di Adamo: smette di avere una compagna. Denunciandola, anziché riconoscere un errore a due, si stacca dall’appuntamento, si stacca dalla compagnia. Che cosa è questo? È il pensiero di Adamo. Peccare è uno dei casi del pensiero. Non pensa più secondo la compagnia, in questo caso con Eva. È proprio pensiero-pensiero. Se parlassimo della parola amore sarebbe lo stesso. Almeno Platone lo sapeva. Se parlassi della parola amore qui, io vi mostrerei che Platone sbagliava tutto sull’amore; ne ha tanto parlato e vi ha tanto sbagliato. Ma per lo meno aveva capito che parlare dell’amore e parlare del pensiero è la stessa cosa. Che non c’è l’amore qui e il pensiero lì. Sapete anche che si parla di teoria dell’amore platonico. È proprio una teoria filosofica, ma al tempo stesso è qualcosa di molto concreto: è la 30 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora concezione omosessuale dei rapporti amorosi, la dottrina ufficiale di Platone. Accorgersi, per esempio, che è falso il detto: «Chi dorme non piglia pesci». Chi dorme, intanto si riposa e risparmia le forze. Dormire è uno dei più grandi piaceri della vita. Non ho detto che è l’unico. Non stiamo in letargo dodici mesi all’anno. Neanche gli orsi. Ma poi uno si accorge che — anche in questo dobbiamo molto a Freud, ma solo perché avevamo un pensiero distorto prima — nel dormire si fanno quelle cose, quei pensieri, che chiamiamo sogni. È il pensiero che va avanti anche quando si dorme. Che cosa fanno i nostri sogni? Non prendono pesci, ma pensano a come fare a prenderli. L’espressione di Freud era che i sogni sono al servizio della soddisfazione dei desideri. È quello che ho detto: non facciamo del sonnanbulismo pescatorio, ma è la preparazione … So che comunque la sua domanda resta e resterà capitale, perché non ci riusciremo mai alla perfetta correzione dell’idea astratta del pensiero: lasciamo ogni speranza. È una direzione. Come la preghiera è la preparazione di un posto al pensiero di un altro, così il pensiero è a tal punto — attenzione alla scelta della parola: non dico concreto, ma dico reale — reale che si chiama anche, si può chiamare anche premeditazione. Cosa vuol dire premeditare? Preparo un atto o un insieme di atti, di un’ora dopo, di una settimana dopo. In tutta la nostra civiltà, ma anche nella storia del cristianesimo, perché non siamo stati di più bravi degli altri, com’è ovvio peraltro; resta tutto sommato una sola voce che abbia una concezione così realistica del pensiero; almeno una, ma purtroppo non è la migliore. Sapete qual è? È il codice penale. Il codice penale che dà l’ergastolo a uno è perché ha trovato la premeditazione dell’atto. Almeno il codice penale ha una corretta concezione realistica del pensiero: il pensiero è una realtà. È la realtà del premeditare, come si dice preparare una stanza, etc. Certo che sarebbe desiderabile che non fosse solo il codice penale ad accorgersi della realtà del pensiero. Ecco un altro fine dello scrivere il nostro cantico: che non sia solo il codice penale che si preoccupa di dare l’ergastolo o la sedia elettrica. Perciò, se volete 31 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora avere un’idea di come è l’intendere il pensiero, ma non perché ve lo insegno io, almeno pensate al codice penale. Madre Monica Tutta la tradizione monastica antica pensa questo. La dottrina sui pensieri. La vita del monaco deve prima di tutto agire sui pensieri: è la lotta contro i pensieri, quelli sbagliati. Giacomo B. Contri E anche quello che dicevi ieri sulla mente… Madre Monica Quella era una cosa collaterale. Ma tutta la tradizione monastica, anche prima di Benedetto, anche quella orientale, insiste tantissimo su questo. Giacomo B. Contri Quello che dici è capitale. Non avevo presente questo… Domanda Volevo dire anch’io una cosa su questo. È un po’ lunga però, ma vorrei almeno averla per propria domanda, sul pensiero, su ciò che stava dicendo ieri, e su quella che è la nostra tradizione benedettina. Non è una vera e propria domanda. La prima è la possibilità di questa corrispondenza. La seconda può essere anche una domanda. E mi spiego in maniera molto articolata. In questi ultimissimi giorni alcune di noi, fra cui la sottoscritta, abbiamo avuto l’onore di partecipare a un corso, che Madre Monica ha tenuto sulla vita di San Benedetto nei Dialoghi di San Gregorio Magno e la Madre ci diceva delle cose capitali sul pensare, sul pensiero e sul pensiero di Benedetto. E mi sembrava di cogliere una relazione molto stretta fra 32 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora questa che è la nostra tradizione, e quanto appunto ci veniva detto. Cerco di spiegarmi e poi verifichiamo la possibilità di una corrispondenza e chiedo perdono alla Madre se utilizzo in malo modo il suo pensiero, ma può intervenire e integrare. Il pensare di Benedetto in qualche modo è la famosa espressione dell’habitare secum1, con, sotto gli occhi di Dio; che può essere detto, e lo dice benissimo anche con altro termine San Gregorio, guardare a sé, l’esaminare, sotto gli occhi del Creatore. Oppure un’altra espressione, per me bellissima, è quella di custodire sé nel chiostro del pensiero: se intra cogitationis claustra custodire2. Pensando a questo e quello che la Madre ci stava dicendo in questi giorni, il primo punto fondamentale è la relazione strettissima tra pensare e pregare. Questo modo di guardare e di pensare, quindi, è già pregare. Fra l’altro san Paolo dice di pregare con intelligenza. Questo mi sembra il binomio. Ora che tipo di pensiero è questo? Come si stava dicendo adesso non è astrazione, non è teoresi, non è costruire un castello di idee, ma è pensare, guardare in questo senso me stesso in Dio. Quindi, mettere il mio pensiero con Dio. Qual è il risultato di questo mettere il mio pensiero in Dio? È la percezione della somiglianza e della differenza del pensiero. Il peccato in qualche modo è la percezione della differenza. La redenzione e la salvezza che mi sono date in Cristo, nel Figlio, è la percezione di una somiglianza. Pensare me stessa in Dio significa: (A) da una parte pensare la mia contraddizione, la mia non innocenza, la mia ingenuità, la mia non resurrezione e quindi in qualche modo la mia morte. (B) Nel momento in cui mi pongo davanti a Dio così, penso e prego così, sto sostanzialmente in atteggiamento di verità, e quindi ho coscienza di questa differenza che è il peccato e il gusto, come diceva ieri, il desiderio, l’invocazione anche di una somiglianza, il mio pensiero in un certo senso partecipa già della somiglianza con il pensiero di 1 2 Gregorio Magno, Vita di San Benedetto, in Dialoghi, II, 3 Gregorio Magno, Vita di San Benedetto, in Dialoghi, IV, 2, 3 33 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora Cristo, cioè lo sperimenta in sé nella fede e per la fede. Sperimenta la potenza della resurrezione. È qualche cosa che la Madre ci stava dicendo in questi giorni. In un certo senso è una possibilità di guarigione del pensiero che di per sé resta un pensiero anche malato, e un pensiero ferito. E va bene: questa idea della guarigione per la tradizione benedettina si chiama conoscenza di sé, che è il pensiero; per il monaco la vita del cenobio, della fraternità, è una sorta di lavoro di bonifica analogo a quello che ci veniva detto. Questa è la corrispondenza. La domanda che poteva venirmi era questa. San Gregorio parla delle ferite del pensiero. Il peccato è questa malattia, questa ferita, che entra per la mente e il mio pensiero è sostanzialmente un pensiero malato. Allora mi chiedevo, rispetto all’itinerario tracciato un po’ in questo momento, le altre possibili convergenze con una tradizione specificamente nostra in questo senso, qual è la via di una guarigione, del recupero di una sanità della mente e del pensiero? E in questo, che posto ha il dolore, come itinerario di guarigione della mente? Domanda Una cosa che mi chiedevo tempo fa è se si può dire il pensiero di gratitudine come l’unico pensiero veramente intelligente. Gratitudine nel senso del pensiero che è capace di avere la memoria, di stare nella memoria di ciò che Dio ha compiuto. E nel contrario di questo, il pensiero invece della recriminazione, la lotta dei pensieri che la tradizione monastica illustra bene: il pensiero invidioso, il pensiero peccaminoso, il pensiero triste. Pensavo al pensiero di gratitudine come pensiero sano. Giacomo B. Contri Se io rispondessi lo farei da operaio che ha lavorato alla vigna, in questo caso la vigna del lavoro sui pensieri e le parole che ho detto prima. Vi porterei dei frutti di lavoro sul dolore, su almeno cinque delle parole che ha usato lei. Se io parlassi lo farei da operaio che 34 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora porta il mio frutto di lavoro. Io credo che lei possa essere una buona operaia come forse io un po’ potrei essere un discreto operaio. Può fare lei stessa il lavoro operaio che potrei fare io sui termini da lei introdotti. Lavoriamo. Facciamo della buona divisione del lavoro. Questa è una buona risposta. Sto solo cercando di risparmiarmi una parte della fatica, anche… Anche, eh? Non bisogna fare tutto… Una delle ragioni della gratitudine, in un soggetto non invidioso – perché l’avversare la gratitudine è invidia – una delle possibilità della gratitudine, anzi il caso più estremo della gratitudine è quando a fare sono gli altri: fanno tutto gli altri. Sono felice che uno faccia il papa e l’altro faccia il presidente della repubblica. Sono grato anche al presidente della repubblica. È questo il pensiero paolino, riguardo all’origine del potere. Sì, certo, non mi rifiuto di fare anch’io una parte del lavoro. Questa è la posizione da cui può sorgere la gratitudine, perché il lavoro lo fanno anche altri, allora mi ci metto anche io. Menzionavamo ieri quella parabola in cui Gesù dice: «Ma no! Voi potrete fare dei miracoli anche migliori e più grandi dei miei». Questa denota un’impostazione del pensiero davvero desiderabile. Che cosa è mai quest’idea che Dio sarebbe sempre lì a cercare di tenere il vertice! Per cui, in ogni caso, le sue opere saranno sempre più grandi. Questo non è Gesù: è Maciste! Il vero sovrano — una definizione possibile di sovranità — è quello che gode del frutto del lavoro di tutti, senza per questo essere uno sfruttatore. C’è il più grande errore di sempre in tutti, perché anche questo è patologico, di pensare alla sovranità come all’esercizio del comando. Il secolo scorso è stato pieno dell’esercizio del comando, e non è andata molto bene. Il pensiero utopico di alcuni che comandano, e gli altri fanno ciò che quella dozzina di individui hanno pensato. Per quanto riguarda l’intero riferimento a Benedetto e a Gregorio Magno aggiungo solo che avendo pieno assenso all’utilizzo loro della parola ―Dio‖, io ho soltanto spostato tutto sul nome ―Cristo‖, come implicito e solo in parte esplicito; vi invito a vedere le conseguenze 35 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora che derivano dalla integrale sostituzione verbale, non reale, del nome Cristo alla parola ―Dio‖. Perché fino alla parola ―Dio‖, ancora ancora, potrebbe essere un costrutto teologico. E si può bene riconoscere che nel corso dei secoli la parola ―Dio‖ ha giocato dei gran brutti scherzi. Lo stesso Cristo ha tenuto a mettere i puntini sulle i, dicendo: «Ma cosa volete che vi faccio vedere il Padre? Guardate me ed è fatta. Chi vede me, vede il Padre». Aveva tolto — altro atto del pensiero di Gesù — già lui il colossale equivoco che poi nei secoli si è riprodotto: ricostruire un concetto, un modello di Dio, che in moltissime occasioni ha perfettamente svuotato il pensiero di Cristo. È successo e strasuccesso. Il compiere questo atto del metterci sempre il pensiero di Cristo, anche nel pensare a Dio, di conseguenze ne ha tante. Il pensare al dolore, e all’esperienza della croce di Gesù, tra le cose che volevo dirvi, è che non è vero che Gesù in quella notte che ha preceduto l’arresto, la cattura, etc., che Gesù fosse angosciato, che il dolore di Gesù fosse l’angoscia. Ma neanche per sogno. L’angoscia è una specie di dolore e non un’altra specie di dolore. Non è affatto il caso di Gesù. La tristezza non è l’angoscia, come il lutto per una perdita non è l’angoscia. L’angoscia segnala l’insoddisfazione. Gesù quella sera era soddisfatto: consummatum est3, è fatta! Perché soddisfazione vuol dire che uno a un certo momento, proprio un momento temporale, può dire: «È fatta!». É la frase di Gesù: «È fatta!». In quel caso la soddisfazione di Gesù, perché proprio vuol dire che è fatta, che è compiuta. Non ho altre azioni da compiere. Che, notate bene, è l’implicito pensiero di quando andiamo a dormire, con la facoltà di dormire, cioè senza sofferenza d’insonnia. Chi non soffre di insonnia, la sua frase implicita è: consummatum est, questa giornata è fatta, non ho azioni da aggiungere, che facciano gli altri. Sapete che è un esercizio implicito della virtù della modestia riuscire ad addormentarsi, perché equivale all’implicita frase: «Adesso facciano gli altri», non pretendo di comandare il mondo, di essere io a fare tutto. Anzitutto, sono anche meno falso, in quella certa misura. 3 Vangelo di Giovanni 29, 30 36 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora È della soddisfazione di Cristo che si tratta nelle ore immediatamente precedenti la sua morte. Quindi, attenzione con la brava teologia della croce che se solo ne sento parlare mi viene l’orticaria e non ne voglio più sentire parlare, perché la morte di Cristo va correlata al giudizio di soddisfazione che è dato da Cristo qualche ora prima. É tutto inquinato dalla storiaccia di Kierkegaard che c’è dietro sull’idea che Cristo è insoddisfatto per tutta la sua vita: che la croce di Cristo è stata l’intera vita terrena di Cristo, che era annoiato, non ne poteva più, non aspettava soltanto che l’ora di tornarsene a casa sua. È un’idea fondamentale di Pascal: Gesù è stato angosciato per tutta la sua vita. In questo senso, la tristezza della notte di Gesù appena prima, a mio avviso, è della stessa specie della tristezza di Gesù quando è morto Lazzaro. Gli faceva comodo avere un amico così; comodo nel senso più onesto della parola. Gli faceva piacere avere un amico così. Probabilmente doveva essere anche un tipo con cui lavorava, con cui si intendeva, con cui si inventava delle cose, esattamente come le due ragazze, sorelle di Lazzaro. Perché lo fa risorgere? Uno, perché lo rivuole ancora, e due perché vuole fare un piacere alle sue amiche. La tristezza di Gesù, in quel caso, non è diversa dalla tristezza un momento prima della croce. Ma nella soddisfazione: «È fatta». E intorno a questo «È fatta», su questo «È fatta» fa perno l’intera storia del cristianesimo, solo su questo. «È fatta». Ecco, perché servirà il giudizio universale: diciamo che il lavoro cui vorremmo dedicarci, al quale tutti ci stiamo dedicando, è il lavoro per la fine del mondo. Dato che non penso ridicolmente alla fine del mondo con le fiamme, i crateri che si aprono, una specie di nuovo diluvio che farà finire tutto e poi il Signore ci prenderà su, la fine del mondo è che tutto possa essere giudicato. Che tutto possa essere giudicato e l’avere un pensiero compiuto è la medesima cosa. Quindi, facciamo il lavoro preparatorio del giudizio universale. È così, eh? E la guarigione è il lavoro preparatorio del giudizio universale, quando i pensieri dei tuoi saranno tutti noti. 37 © Opera Omnia di Giacomo B. Contri