Era già stato un onore: — ricordo di avere già usato questa parola —
di averne avuto un primo, nel 1999, poi secondo invito un anno fa.
La scelta della parola onore è più impegnativa di quello che
mondanamente non si riterrebbe, o meglio frivolamente non si
riterrebbe, perché anche nel mondo si può apprezzare nel giusto
merito questa parola, perché l’onore è un atto pubblico. È una cosa
che non comprendono mai molto bene i coniugi, che pensano che, sia
quando si onorano, sia quando si disonorano, che è il fatto più
frequente, si tratti di qualcosa che accade nel privato.
Quando c’è atto d’onore, potrebbe perfino, parlando logicamente,
venire registrato da un notaio. È stato un onore pubblico, dunque,
quand’anche in questa stanza, anziché così numerosi, fossimo in
cinque persone.
Avevo pensato di iniziare così fino a menzionare quel pubblico
ufficiale che è il notaio, e notaio significa che ciò che è avvenuto, in
*
Pronunciato nel Monastero Cistercense N.S. di Valserena il 18 gennaio 2003. Testo
non rivisto dall’Autore. Revisione a cura di Gilda Di Mitri.
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Giacomo B. Contri – Il Pensiero di Cristo
IL PENSIERO DI CRISTO*
LA REGOLA: ORA ET …
Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
questo caso denominato con la parola onore, potrebbe essere avvenuto
su pubblica piazza, al cospetto dell’universo intero. È questo che
significa ―notaio‖, ossia pubblico ufficiale: ciò che lui registra vale per
tutti.
Ebbene, ho pensato di iniziare dal ricordare l’introduzione di questa
parola per oggi introdurne un’altra.
Quando parlavo di onore mi riferivo innanzitutto a quello da voi
graziosamente attribuitoci; spero solo che siamo stati capaci di
rispondere un po’ allo stesso livello.
Dicevo: sono partito da questo ricordo per oggi introdurre un’altra
parola che ha la medesima natura di valore pubblico, con tutto ciò che
di impegnativo ha qualcosa di pubblico.
E quest’altra parola è la parola ―atto‖. Ritengo di stare, io
personalmente, con Vera Ferrarini, Raffaella Colombo, Glauco Genga
che è con noi qui per la prima volta, di stare compiendo un atto. Non
so chi di voi abbia una cultura giuridica. Ma comunque, per la cultura
giuridica la parola ―atto‖ è una parola molto impegnativa. Io non ho
studiato diritto, ma in tanti anni mi sono buttato in queste idee. Fra gli
atti vi sono quelle che si chiamano ―dichiarazioni‖, dove dichiarazione
è pubblicamente impegnativa.
Ma per dare spessore a questa parola, la prenderei così niente affatto
alla lontana, ma piuttosto alla lontana nei documenti: mi riferisco alle
prime righe della Genesi. Ora, io ritengo di poter dire che è vero che
Dio ha fatto, voce del verbo ―fare‖, — non è dunque ancora la parola
―atto‖ ciò — ha fatto quel po’ po’ di cose, che chiamiamo la
creazione.
Io quando parlo di questo divento scherzoso: ha fatto le pecore, ha
fatto le galassie, tutta quella roba lì. Dopo tutto è più complessa una
pecora che tutte le galassie messe insieme che sono un po’ di roba
molto elementare sparsa in giro. Una pecora è molto più complessa.
Diciamo così, che ha fatto le pecore e le galassie. Non è ancora un
atto.
Del resto, come sapete bene — è un mio cavallo di battaglia, quello
che sto dicendo adesso — il primo Concilio di Nicea (325 d.C.) si
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
premurò di mettere i puntini sulle ―i‖ su questa distinzione: il Figlio
non è fatto, il Figlio è generato. Si tratta di un atto.
Delle pecore e delle galassie potrebbe importarcene pochissimo, ma
del Figlio è impossibile che non importi, perché che esso sia un atto
significa che ci troviamo con un erede.
Voi prendete un erede qualsiasi nel nostro mondo, che ha ereditato un
pacco di azioni della Fiat. È chiaro che tutti i cittadini in tutto il
mondo devono tenere conto che questo signore è un erede. Se uno
mette mano sui beni di un erede sarà processato. Ecco perché si tratta
di un atto. Tutti ne devono tenere conto e non possono non tenerne
conto, salvo certe sanzioni.
Ora la Genesi ci dice, in quelle celebri pagine iniziali, che compì l’atto
— spero di riuscire a fare capire subito che non la sto pigliando affatto
alla lontana — di porre in essere come si dice ancora nel diritto alcune
cose (res, realtà) che furono chiamati uomini, a sua immagine e
somiglianza.
Eredità di pensiero, esseri di pensiero. Non erano né le pecore, né le
galassie. Adamo ed Eva non furono soltanto creati; l’ordine era già
quello della generazione, cioè degli eredi, cioè dei pensanti anzitutto.
A immagine e somiglianza vuol dire eredità: è un concetto tecnico.
Mio figlio è a mia immagine e somiglianza perché erediterà le mie
azioni della Fiat, il mio nome. Questo significa a mia immagine e
somiglianza: che è mio erede. E se sono riconosciuto figlio, il giorno
dopo o entro una settimana, con tutti gli atti legali dovuti, è del tutto
chiaro che io sono a immagine e somiglianza di mio padre, anche se
nel mio aspetto non gli assomiglio per nulla. Sono sue erede, come
sono a sua immagine e somiglianza.
A proposito di pensiero farei subito un salto; perché stare lì a
disquisire se il pensiero è umano o divino è perfettamente inutile; è
semplicemente che è a immagine e somiglianza, cioè si tratta di erede.
Mi sono venute tre frasi per dire qualche cosa su cos’è l’incarnazione.
Una frase che mi è venuta è: Cristo è un uomo — è stato il primo
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
capitolo di contestazione pressoché il giorno dopo la resurrezione —
perché ha il pensiero di un uomo. E come specifica san Paolo, senza
gelosia, cioè senza zone separate; senza avarizia, più esattamente. La
parola di san Paolo è avarizia, non è neanche gelosia: arpagmòn,
proprio come Arpagone, quello di Moliére, l’avaraccio. Senza avarizia
per il fatto di avere natura divina secondo la quale si sarebbe tenuto in
disparte nel suo materasso divino i suoi originari dollari divini. È ciò
che non ha fatto, dice san Paolo. Ossia, ha messo lì tutto.
Un’altra frase che mi era venuta è questa: ma allora l’incarnazione è il
fatto, che può sembrare curiosissimo e contestato da tutte le altre parti,
che Dio ha pensato con la mia testa. Io lo so che verrebbe in mente di
dire che sono io che devo pensare con la testa di Dio. Ma
l’incarnazione è che Dio ha pensato con la mia testa. Ma proprio come
comunemente si direbbe che ha mangiato con il mio stomaco. Se
mangiava, mangiava con i miei denti e con il mio stomaco. È ovvio
che erano i denti suoi e non i miei. Ma insomma, mangiava con i denti
come i miei denti e con lo stomaco come il mio stomaco.
Una terza frase per dire l’incarnazione. L’incarnazione è stata il lavoro
di Dio sul pensiero dell’uomo, che poi era il suo stesso pensiero, per la
condizione infelice in cui tale pensiero era cascato.
Ora vengo alla notizia, cioè all’atto pubblico che compio insieme a
loro davanti a voi in questa sede che mi sentirei di chiamare nella
definizione di ciò che è il notaio, notarile, ossia che l’audizione ha un
valore pubblico e non il polveroso notaio con i documenti.
Se i coniugi avessero l’idea che ciò che fanno tra loro sono degli atti,
che non si parte dall’amore, si parte dall’onore, allora si può
cominciare anche a concepire che la parola amore abbia un senso.
Altrimenti cancelliamola dal vocabolario. Bisogna essere logici in
queste cose. Se non serve a niente, non significa niente, buttiamola
via.
La principale eresia, a mio parere l’unica nel genere eresie, ma già
subito nei primi tempi del cristianesimo, si è chiamata docetismo. La
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
parola docetismo viene da un verbo greco che significa ―che sembra,
appare così ma non è‖. Proprio il verbo ―sembrare‖ in opposizione a
―essere‖. E in riferimento a Cristo si diceva che l’umanità di Cristo era
tutta una sceneggiata , un audiovisivo didattico: Domine Iddio voleva
fare capire qualcosa alla gente e gli ha buttato lì un’apparenza di uomo
come un attore in una sceneggiata; sceneggiata ben intenzionata ma
comunque come in una classe dove alle dure cervici si installa
qualcosa proiettando sullo schermo delle immagini, delle formule,
delle frasi, dei raccontini…
A me la questione del docetismo ha sempre interessato; forse ho
impiegato quarant’anni ad arrivarci vicino, a capire qualche cosa: il
docetismo in fondo aveva capito che finché l’umanità di Cristo,
l’incarnazione, viene ravvisata nel fatto che aveva un organismo come
il nostro, fin qui poteva avere ragione il docetismo. Dio con tutto il
suo potere potrebbe benissimo essersi inventato dei numeri teatrali
miracolosi. Avevano persino detto che quello che era morto in croce
non era mica lui, ma un altro. Oppure: ha fatto sì — un po’ come
Mandrake — che la gente vedesse che in croce c’era uno che moriva,
ma non era vero niente. Non lo sto inventando io: è stato detto. No.
Fin qui poteva avere ragione il docetista, che l’umanità fosse
l’organismo sensibile di Cristo. Ma certo che è l’organismo sensibile.
No! L’umanità di Cristo è il pensiero. Questo per me personalmente è
stata una conquista immensa. Ma ora procedo.
La notizia che ho da darvi è che, in modo minimo e certo
frammentario, appena accennato, ma in ogni caso a datare dal 1999,
quando siamo stati invitati qui per la prima volta, — questa notizia
senza quella prima volta io oggi non sarei in grado di darvela: non so
come sarebbe andato diversamente, ma in ogni caso non sarei in grado
di darvela — in pochissimi, si è costituita quella che chiamiamo una
Fraternità e la chiamiamo Fraternità del Pensiero di Cristo. Quando
dico Fraternità dico qualcosa di piena precisione: diciamo una
fraternità che vive di quella coppia di termini, di quella specie di
dittongo, che sono le due parole a voi perfettamente e meglio che a noi
note che sono le parole orare e laborare, le due parole pregare e
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
lavorare, di ascendenza benedettina.
Ma è qui che le cose devono essere dette nel modo più chiaro e più
semplice: vedo se ci riesco. Avevo già introdotto che il pensiero
dell’uomo, allorché è buono — l’aggettivo ―buono‖ che ho usato ha lo
stesso senso di quando prendo un bicchiere in mano e dico: «È un
bicchiere buono», ossia è fatto come deve essere fatto un bicchiere.
Un bicchiere è pieno di bontà se è lì a fare il bicchiere, si lascia
riempire, svuotare, riempire un’altra volta… —, ben fatto, lo è quando
ha in mente una sola cosa: un fine che è quello di trovare un partner
per arrivare a un fine.
Cioè a un risultato e risultato vuol dire che l’albero si giudica dai frutti
e non c’è buon giudizio se non c’è frutto: capitale. E detto all’umanità
intera, «L’albero si giudica dai frutti». Non l’ha detto solo per i bravi
imprenditori che sanno fare il loro mestiere di imprenditori. È vero per
tutti. Che dunque il frutto e solo il frutto è il criterio dell’albero e
dell’essere albero dell’albero. E significa che se anche avessimo la più
perfetta conoscenza fisica, botanica, submicroscopica dell’albero
potremmo benissimo fare come ha detto quello là nella parabola:
adesso lo tagliate e lo trasformate in assi. Perché l’albero meriti di
essere tenuto deve avere dato frutto, se no non è neanche un albero.
Non è mai esistito un pensiero di questa specie nella storia
dell’umanità. È esistito per classi: per esempio, i capitalisti chi sono?
Sono quelli che se non danno frutto escono dal mercato. Ma sono solo
quelli. E il capitale si fa per mezzo di un partner, un compagno. È la
parabola dei talenti; sono in due a fare fruttare: uno ci mette il capitale
e l’altro ci mette l’iniziativa per farlo fruttare. Volesse Dio che
l’amore per noi avesse il significato della parabola dei talenti: si fa
frutti in due, in due partner. La parabola dei talenti — e anche io sono
arrivato alla mia età per riuscire a pensare questo nella parabola dei
talenti; ci sono arrivato recentissimamente — ci dice questo: l’amore è
la cooperazione, il rapporto formale e materiale di quei due perché il
frutto si produca, perché vi sia valorizzazione. Quasi non conosciamo
famiglie che abbiano questo criterio almeno per la coppia dei
contraenti iniziali.
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
Ma è la stessa cosa che dice Gesù, allorché dice: «Ama il tuo prossimo
come te stesso». È del tutto chiaro che non dice: «Ama il tuo
prossimo» e fine della frase. Il «come te stesso» è il principio della
frase, come nella parabola dei talenti. Il frutto va a beneficio di quello
che ci ha messo il capitale e di quello che ha fatto fruttare il capitale:
sei stato fedele nel poco, ci guadagnerai di molto.
Lo svincolamento del frutto dalla parola amore, annulla l’amore e fa sì
che tutti siano dei Romei e delle Giuliette: finisce tutto a rotoli! Chi di
voi ha letto Giulietta e Romeo sa che la natura, o dis-natura, del
rapporto di Giulietta e Romeo è che i frutti non c’entrano niente, fin
da principio.
Allora, io che dicevo che questo è il pensiero di natura, che Cristo ha
in modo così preclaro, anzi, ricordo che la prima volta anziché
illustrarvi Cristo, l’ho illustrato nell’incontro con la Samaritana e
avevo cercato di dimostrare che è la stessa cosa che qui abbiamo detto
nella parabola dei talenti. È anche stato poi trascritto nel libretto tirato
fuori da qui.
I connotati del pensiero di Cristo
A questo punto viene l’orare, il primo dei due capitoli di questa
regola, minimalissima, che comincia a regolarci. Perché arriva qui
l’orare? È già qualcosa di preciso, molto preciso.
Vi ho detto che questa Fraternità si dà il nome di Fraternità del
Pensiero di Cristo. Proviamo a immaginarla con un’altra
denominazione, in fondo consueta, nota, con parole note. Mettiamo
che la chiamiamo la Fraternità del Volto di Cristo. È una parola che in
tutta la tradizione cristiana ha avuto una continuità e un peso, a partire
da san Paolo. Io non dico di no. Non mi ripugna la scelta di questa
parola, se non che devo fare un passaggio. Ma chi l’ha mai visto il
volto di Cristo? Sì, certo, un po’ di persone all’epoca, non c’erano i
fotografi, non l’hanno portato al Maurizio Costanzo Show, non
abbiamo dei video. Quindi la parola volto nel senso corrente non
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
porrebbe nessun significato per noi.
Dico che basta fare un passaggio semplice — non sto facendo giochini
con le parole — dalla parola ―volto‖ alla parola ―connotati‖. Ci sono i
connotati, no?
Quali sono i connotati del pensiero di Cristo, suoi?
Ho già detto che il pensiero di Cristo è pensiero dell’uomo, ed è
questa l’incarnazione, associata a tutto ciò che di organico compone
un uomo o una donna. Quali sono i connotati, ciò che connota e quindi
rende distinguibile il pensiero di Cristo rispetto al mio, al suo, al
nostro, avendo detto che si tratta dello stesso pensiero, avendo anche
detto che è inutile stare lì a perdersi se più divino che umano, perché
tanto è uno solo: «a immagine e somiglianza» vuol dire che è uno
solo? Altrimenti ci saremmo inventati uno schizofrenico che per metà
fa Dio e l’altra metà fa l’uomo. È persino ridicolo pensarlo: cosa fa, la
spola fra i suoi compagni della Trinità, e poi dopo sta un po’ con noi?
Queste cose non vengono mai dette, ma una volta dette sono
un’ovvietà, non si può pensarlo scisso in due, o vivente in due
dimensioni distinte in cui un po’ se ne sta da una parte, un po’
dall’altra, un po’ fa Dio, un po’ fa l’uomo. È questa l’eresia capitale.
I connotati sono ciò che lo distingue come pensiero d’uomo dal mio di
pensiero d’uomo e come lo stesso pensiero. Eppure ci sono dei
connotati che lo distinguono. Mi basta elencarli. Io sono arrivato a
un’elencazione. Qualcuno potrebbe sapere fare meglio di me e trovare
che anziché cinque connotati sono riconducibili a due piuttosto che a
tre. Non mi importa ora la completezza della perfezione logica della
mia esposizione. Ve li dico come al momento li ho individuati.
Innocenza
È vero che è lo stesso pensiero, la stessa eredità, la stessa «immagine e
somiglianza», ma anche quando la mia mens — parlavamo prima
della parola mente piuttosto della parola pensiero: non facciamo
distinzione — ma anche quando la mia mente è — come ci è stato
insegnato a comprendere — capace di distinguere il bene dal male, o
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
il vero dal falso, il giusto dall’ingiusto, anche quando il mio pensiero
fosse tutto intenzionato a dir bene dell’innocenza, il mio pensiero non
è innocente. Il pensiero di Cristo è innocente.
Per questo una volta ho fatto apologia di Pilato: è stato l’unico in tutta
la storia della vita di Gesù che ha detto: «È un innocente». Può darsi
che non sapesse con esattezza cosa stava dicendo, ma dirlo l’ha detto,
in pubblico: atto pubblico.
Qualcuno mi ha detto che tanti secoli fa qualcuno si era inventato pure
un san Pilato. Io non mi sarei spinto fino a questo punto, ma
certamente è meglio riabilitarne la figura ; è l’unico che ha proclamato
l’innocenza di Cristo.
Nel mio pensiero non sono innocente ancora prima che nei miei atti, o
meglio nelle mie azioni.
Ecco il primo tratto distintivo, il primo connotato del cosiddetto volto
di Cristo.
Non ingenuità
Ne trovo un secondo.
Adamo ed Eva ci sono cascati per ingenuità, e l’ingenuità non è una
bella cosa. I bambini possono essere ingannati per ingenuità. Ma se
posso essere ingannato, forse che l’ingenuità è una virtù? Eppure non
possiamo accusare i bambini di essere ingenui. Però è un dato della
natura del bambino che può essere ingannato. Dunque, essere ingenui
non è una virtù. È una condizione per cui si passa, descriviamola come
vogliamo, ma non possiamo dire che è una buona cosa essere ingenui,
essendo la via vuoi del peccato originale, vuoi del danneggiare i
bambini, etc.
È ben orientato il pensiero dell’uomo: è tutta una questione di
orientamento, sempre, perché chi è orientato anche conosce, ma chi
conosce potrebbe non essere ben orientato. È tutto il terreno della
filosofia della scienza dei nostri secoli. Comunque è nata tutta una
teoria della conoscenza che è separata dall’orientamento del pensiero
e dunque degli atti.
La non ingenuità di Gesù è descrivibile in tutto il testo dei Vangeli,
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
ma almeno un esempio è la celebre frase: «Siate candidi come
colombi e astuti come serpenti», che proprio la dice squadernata della
non ingenuità che lo costituisce. Secondo connotato.
Salute psichica
Ce n’è un terzo. Avrei potuto metterlo per primo ed è quello che avrei
potuto chiamare un’indiscutibile — anche se è sempre stato messo in
discussione — pensare bene. Ma l’espressione pensare bene è ancora
un po’ tradizionale, della storia della filosofia, tutte quelle cose. Allora
io lo dico con un’espressione più sensibile ai nostri intelletti ed
intelletti comuni. È un uomo psichicamente sano. Nella nostra storia,
nella storia dell’umanità, andatemi a trovare un uomo psichicamente
sano. La sto dicendo grossa. Anzi, più grossa di così non si può dire.
Noi stiamo pubblicando quella che è stato un breve libro di Albert
Schweitzer. Tutti sanno di Albert Schweitzer, questo medico
protestante, tedesco, musicista, studioso della Bibbia in particolare,
che poi è andato in Africa a fare il medico. Ha scritto questo libro
intitolato Valutazione psichiatrica di Gesù, e passa in rassegna una
serie di autori tra 1800 e inizio 900 che si sono occupati della salute
psichica di Gesù. Uno peggio dell’altro: uno schizofrenico, un
melanconico, un paranoico, un nevrotico ossessivo, c’è di tutto. Però è
molto interessante.
Non mi sono mai interessato a fare polemica contro chi non la pensa
come me; a me interessa quale questione è presente in un certo
dibattito. Che quell’altro la pensi in modo completamente diverso da
me è secondario rispetto al fatto che l’antitesi mette al centro un
quesito importante per tutti. Se poi pensate a tutta quella serie di film
hollywoodiani e non, in cui figura Cristo: in tutti è un pazzoide, un
invasato, uno che grida frasi insensate: non si capisce perché vi è
rappresentato il discorso della montagna. Sembra un pazzo come
quelli che passano per le strade che ogni tanto si sentono gridare.
Perciò, anche tutta la storia del cinema su Gesù ha pollice verso sulla
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
salute psichica di Gesù.
E possiamo andare avanti così. Ho una piccola cultura sui vangeli
gnostici ed è molto interessante perché nei vangeli gnostici Gesù è
mentalmente insano. Nel vangelo di Giuda è un sadico infernale. Nel
vangelo di Tommaso è un debile, uno stupidotto. E così via.
Questo terzo punto, terza distinzione, sul connotato della salute
psichica di Gesù è grosso. Tutta la storia della nostra cultura almeno
moderna — secondo me già prima e ho citato gli gnostici che erano
dei primi secoli a rappresentare Gesù come psichicamente insano —
punta all’insanità psichica di Gesù e Albert Schweitzer in quel libro,
passa in rassegna una serie di questi autori, psichiatri e psicologi
abbastanza seri in quell’epoca. Eh no! A me queste cose non me le
viene a dire! Qual è la soluzione di Albert Schweitzer? Alla fine si
defila e dice che i Vangeli sono una cosa di tanto tempo fa e noi non
possiamo porre un quesito di questo genere su uno che è venuto tanto
tempo prima di noi. Non è vero! Vi so dimostrare che i personaggi di
Sofocle, per esempio, che vengono addirittura tre secoli prima di
Cristo, sono uno più pazzoide dell’altro. Aiace, Antigone, Edipo: tutti
malati. Non si comprende perché su testi che comunque sono
abbastanza successivi rispetto ai classici greci, non si potrebbe fare la
stessa valutazione. Se avessimo davvero tanto tempo, passerei i testi
di Gesù e farei vedere che addirittura è una invidiabile sanità.
Ve ne dico solo una, che è citata anche da Albert Schweitzer ma per
dire pollice verso, mentre invece è addirittura vistoso che il
comportamento e le parole di Gesù in questo certo momento
addirittura sono un grande modello della salute psichica specialmente
per la nostra era: è l’episodio in cui dopo essere restato nel tempio a
iniziare i primi passi della sua missione, padre e madre che erano
partiti da Gerusalemme con la carovana non lo trovano più, inquieti.
Voi vi ricordate che cosa gli dice: «Voi e io non ci conosciamo
neanche. Ditemelo ancora una volta ed è finita!». Guardate che dice
questo: «Cosa c’è fra voi e me?». Una piazzata ai suoi genitori così è
difficile trovarne sulla faccia della terra. Non crediate che stia
approvando la piazzata. Ossia, per essere più formali, vi rimprovero,
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
esplicitamente. Che cosa significa? Perché adduco questo episodio
come sanità psichica? Siamo in un mondo di bambini. Uno è un
adulto, sarebbe già un adulto a 13-14 anni. Si comincia a sognare di
essere degli adulti dopo i 30 anni. Poi si vive in famiglia, si continua a
considerare papà e la mamma come quelli che vigilano, ti controllano;
non si hanno idee nella testa. L’età dal 14 ai 30 anni è un’età
patologica. Nella nostra civiltà diventa una verità patologica. Gesù ci
dà l’esempio che a 12 anni aveva già tutti i giochi psicologici
compiuti. Non aveva alcun bisogno di padre e madre, il che non gli ha
impedito, come profila quel passaggio evangelico, di tornare a casa
con il padre e la madre, è stato benissimo con loro e non si è opposto a
loro. Non ha fatto il sessantottino che spara nella schiena ai genitori,
anche quando se lo meritano. Ma anche questo denota una buona
sanità. Il sessantottino non era sano allorché per principio se la
prendeva con i genitori.
Ho detto: innocenza, non ingenuità, salute psichica. Vi informo che
nella nostra generale cultura psicologica e psichiatrica di tutto il
mondo, addirittura l’espressione ―salute psichica‖ non è ammessa, non
è un pensiero considerato possibile, praticabile. Si parlerà di normalità
statistica, anzi, si parla solo di quello, ossia di certe conformità. Nulla
a che vedere con il pensiero, personale, ossia su ciò che fa di una
persona una persona, essendo un’ovvietà che un corpo, un organismo,
senza pensiero, è un cadavere.
Ovvio ovvio, così.
Non contraddittorio
C’è un quarto tratto. Anche questo davvero rapidamente anche se
meriterebbe un’attenzione. Il pensiero di Cristo non è mai
contraddittorio. Potrebbe sembrare, come rigore, un capitolo di logica
inserito. Essere contraddittorio è una cosa abbastanza grossa: se un
edificio è contraddittorio cade giù.
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
Pensiero della resurrezione
Poi ce n’è un quinto. E questo quinto è che si tratta in Gesù di un
pensiero in grado di concepire la resurrezione.
Per farla breve: Gesù ha potuto pensare la resurrezione. E come uomo.
Non come dicevano i docetisti: a un certo punto ha fatto bye-bye ed è
ritornato a casa sua, perché poi bisogna essere ridicoli in questo modo
a volte, perché era davvero l’idea di bye-bye: ―Ci siamo visti per un
po’… Adesso mi sono annoiato abbastanza e me ne vado‖. ―Ho fatto
il mio lavoro, e adesso me ne vado‖. Un po’ come un militante
politico: ―Ho fatto la parte che il partito mi ha assegnato …‖ e un
giorno termina il mandato.
Perché — questo è un pensiero che potrei far risalire a un paio di anni
fa: si deve ingrandire e anche perfezionare — c’è qualcosa nel
pensiero della resurrezione che non è pensabile da me, salvo l’idea che
Dio può tutto e allora può anche fare resuscitare chiunque, ma questa
è solo una deduzione. Si deduce dall’Essere perfettissimo,
onnipotente, che qualsiasi cosa voglia la può fare: ma questo è
soltanto un pensiero astratto che è privo di conseguenze.
Il pensiero della resurrezione di Gesù è associato al pensiero della
resurrezione di quelli che lì per lì avrebbe lasciato, avrebbe salutato.
Ossia, non implica sé: implica sé con tutti, implica se stesso con tutti.
E che con questi tutti ci starà bene: esperienza alquanto rara fra di noi
umanità.
Dato che mi preme almeno avere finito di dire qualche cosa sul primo
capitolo della regola, il resto che potrei aggiungere su questo nocciolo
riguardante la resurrezione, se ci sarà abbastanza tempo lo riprenderò;
ora mi importava connotare la personalità, ossia una parola giuridica,
del pensiero di Gesù rispetto al mio e a quello di ognuno di noi,
nell’identità di pensiero con questi cinque, che non sono distinzioni
nel senso di camere separate. La parola che mi viene è la parola
giusta: che sono delle anticipazioni in un individuo, Gesù, dei
connotati che potranno essere di tutti, ma non lo sono ancora.
Posso aspirare all’innocenza, ma non l’ho; posso aspirare alla non
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
ingenuità, ma non l’ho, non l’ho del tutto; e quanto ad aspirare
all’avere con solidità il pensiero della resurrezione, almeno un
momento di prudenza.
Fare posto
Allora, questa Fraternità nel momento dell’orare potrebbe
prescegliere, oltre al Padre nostro, preso come primo pezzo, come
primo esempio dell’orare, altri quattro pezzi evangelici, riferiti al
pensiero di Gesù, come quelli che per esempio ho menzionato, come il
vero e proprio orare di questa Fraternità. Il Padre nostro e poi… e
poi… e poi…
Che siano poi tutti e cinque nello stesso giorno, o che siano
disseminati… Lasciamoci alla frammentarietà e iniziarietà in cui
siamo. Ma diciamo che io sarei di questa idea: che questa Fraternità
abbia come suo primo orare cinque pezzi, come già il Padre nostro,
che peraltro se l’è inventato lui, che io metterei nel capitolo della
salute psichica di Gesù, secondo una mia certa riflessione al riguardo.
E questo per quanto riguarda il primo momento di suddetta regola.
A che cosa serve?
Qui l’avevo scritto da un’altra parte, quindi lo dico con le parole che
mi vengono.
Perché mi inventerei come precetto di avere proprie recitazioni? — il
Padre nostro si recita — che senso, nel significato di fine, ha un
simile pregare? Significa fare posto, un posto che è tanto logico
quanto reale, perché si prega in un intervallo di tempo nel posto in cui
si sta, in piedi o seduti, quindi tempo e spazio; fare posto reale e anche
logico nel mio pensiero a ciò in cui questo pensiero si distingue dal
mio. Proprio fare posto. Costruire una chiesa o una cappella è fare
posto.
Gusto
C’è una parola che può essere aggiunta: cosa attendermi da questo
fare posto? Stante che il mio di pensiero non è ancora così connotato,
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
il fargli posto ha in vista l’acquisizione del gusto affinché anche il mio
pensiero diventi così connotato. L’acquisizione del gusto per
l’innocenza, per la non ingenuità, per la salute psichica, per la non
contraddizione, e per la resurrezione: e ho detto ―gusto‖. Ho detto
bene, dicendo ―gusto‖. Una volta si prediligeva la parola ―passione‖
per dire ciò che spinge la mia azione. A mio parere, il primato è al
gusto, non alla passione. E avere un gusto così mobilitante in una
direzione così precisa, peraltro vista sotto cinque momenti o facce
diverse, un simile fare posto perfeziona la mia vocazione che già
esisteva.
Vocazione
Perché la vocazione non nasce da Domine Iddio: è il solo fatto
dell’essere uomini, la vocazione. Il cane è spinto a mangiare; io sono
spinto a inventarmi il cibo. È questa la differenza fra la vocazione e
una causalità naturale. Scusate l’alimentarità del paragone, ma la
vocazione è dalla parte del cuoco, che potenzialmente siamo tutti,
perché la vocazione è inventiva. Il suo modello non è quello del
militante di partito. Allora, ci metterà tutto il suo.
E così che introduco oggi l’idea di vocazione. La vocazione nasce
dalla natura, non nasce dalla vocazione religiosa. Noi siamo tutti
vocati, chiamati, a iniziare qualche cosa, a essere imprenditori —
diciamo così — in qualche modo, poco o tanto, della nostra
esperienza. Anzitutto, a fomentare una partnership, una compagnia,
perché avvenga uno scopo, e uno scopo felice.
Grazia
Questa è la vocazione di base, che riguarda tutti. Ma come diceva
Tommaso d’Aquino nel celebre adagio, «Gratia non tollit sed perficit
naturam», la grazia divina non toglie la natura, cioè come già siamo,
ma la perfeziona, la sostiene, la pacifica e così via.
In questo caso dal lato della parola natura — grazia e natura: antichi
termini anche molto scolastici — sto mettendo la vocazione: l’uomo è
già in vocazione, come si dice ―essere in macchina‖. C’è già dentro:
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
non esiste il non essere in vocazione. Gratia non tollit la vocazione
detta ―naturale‖, ma la perfeziona. La grazia, potremmo dire, non
toglie il pensiero di natura ma lo perfeziona. Ecco i cinque punti di
prima.
E in questo oggi Vera Ferrarini mi ha informato di una frase di
Pasolini veramente istruttiva per l’errore che contiene. Di solito tutto
il mondo si divide fra filo-pasoliniani e anti-pasoliniani. A me non
importa nulla del dibattito in generale e di Pasolini, anche se in quel
vecchissimo film che lui fece su Cristo, Il vangelo secondo Matteo, io
non ero d’accordo e non sono d’accordo. Non mi piace. Cos’è questa
storia che per rappresentare Gesù che parla bene dei bambini, come
saprete, lo fa vedere lì che giocherella con un bambino, gli fa girare un
cappello in testa, che sembra lo zio appena arrivato in casa. Poi ci
sono cose che si condannano da sé per la banalità.
La frase che Pasolini – da confrontare con quella che ho appena detto
che la grazia non toglie ma perfeziona la natura, ossia per cui siamo
già fatti o in cui siamo già costituiti – scrive in una lettera a un certo
arcivescovo Fallani è una di quelle frasi che la metà dei cristiani di
questo mondo prenderebbero per tanto spirituale, per tanto religiosa,
per tanto pia, per tanto disponibile alla volontà di Dio, mentre è tutto il
contrario: «Ciò che non può la natura, lo può la grazia».
Non è così. La grazia aiuta, sostiene, corregge, rifà, ma è già la natura
che sarebbe già pronta a fare il suo lavoro. E che in questa famosa e
astrattissima parola ―grazia‖ come sempre è stato detto, vuole dire che
la natura trova un buon partner: è sempre il principio del pensiero di
natura. Si è trovato un compagno con il quale che la faccio.
Partner
Ma non perché sono un povero disgraziato e ho bisogno di qualcuno
che mi tiri fuori dal fango. È la persona più sana del mondo, e anche
più ricca del mondo, che sta bene con il partner. Non c’è da partire dal
presupposto della miseria e allora il povero miserabile ha bisogno di
aiuto. L’aiuto è il partner, è il compagno. Ed è nella migliore sanità16
© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
santità che si lavora per avere il partner o gli si fa posto se arriva
inatteso. Basta avere i mezzi: ancora il pensiero per riconoscerlo come
partner. E la parola partner è da me prescelta perché è uno dei concetti
principali di tutta la dottrina economica. Vuole dire che non si fanno
affari se non c’è un partner.
Idea raccoltissima da Gesù, come ho menzionato prima, specialmente
ma non solo nella parabola dei talenti: ci sono due partner, fanno
affari. Non mi direte che confondo gli affari di una specie con gli
affari di un’altra specie: la FIAT non è esattamente il Regno dei cieli,
anche se io non condanno il capitalista per principio. Ma in ogni caso,
qualche distinzione viene fatta. Un po’ più di qualche.
E allora, il passaggio che resterà da fare — mi dolgo se ho preso ora
delle vie un po’ lunghe, mi sono fermato su punti che avrebbero
potuto essere omessi —, ma diciamo che si tratterà di usare questo
primo momento, o con una antica parola benedettina molto facile,
orare, come premessa no, direi piuttosto come il correlato — per
esempio le mie dita in questo momento hanno una relazione di
correlazione — a lavorare come il correlato di questo orare, con un
passaggio però che sarà inatteso, ma questo ve lo dico domani.
Diciamo che non si tratta di mettere in opera un lavorare che
consisterà nel meditare sul pensiero di Cristo. Curioso, ma vero. Si
tratta di orare e basta, ossia di quell’atto che costituisce il posto reale
e logico atto a connotati di pensiero di cui il mio di pensiero non è
ancora corredato o in cui non è ancora corretto, o di cui non si è
ancora arricchito.
Dunque, il Veni Sancte Spiritu dice: «mentes tuorum visita». Io mi
sono chiesto perché «visita»? C’è già il pensiero di Cristo. Risposta:
non perché non si scrivano abbastanza libri di teologia su questo, ma
perché l’orare come fare posto, per esempio come nella parabola delle
vergini, al pensiero di Cristo nello «Spirito» qui è ravvisato un
supplemento di sostegno al fare un tale posto. Così io lo colgo e
interpreto.
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
Cogitatione
E poi mi è venuta in mente mentre viaggiavamo in auto una frase che
mi sono intentato io, non i santi padri, e potete farne quello che volete;
non ho eccessiva presunzione a questo riguardo. Ma così come in una
certa preghiera alla Vergine si dice: «Ego tali animatus
confidentia…» (nel Memorare), a me così è venuto da dire:
rivolgendosi al pensiero di Cristo si potrebbe coniare un mezzo verso
così annotato: «ego tali animatus cogitatione», animato da un tale
pensiero.
Ecco il senso di quelle cinque preghiere, già tutte scritte, ma con un
lavoro di selezione e porzione, non fosse che per il fatto che non si
può una volta al giorno recitare tutti e quattro vangeli di fila come già
nella preghiera liturgica di quel momento. Non esiste.
E in questa frase, certo c’è il baricentro posto sopra la parola
cogitatione, cioè «animato da un tale pensiero», ma quasi quasi se con
le solite matite la parola cogitatione, pensiero, la sottolineerei una
volta, la parola animatus la sottolineerei due. In quei cinque punti di
cui ho parlato, in cui c’è una singolarità in cui il pensiero di Cristo,
che è il mio come natura, si distingue così come si distingue dal
pensiero di chiunque: innocenza, salute, non ingenuità, non
contraddizione, possibilità del pensiero della resurrezione che nessuno
saprebbe fare.
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
LABORA**
Giacomo B. Contri
Grazie per la nuova accoglienza ed attesa.
Che Dio mi aiuti; non sono sicurissimo di essere sveglio come voi.
Non posso dare tutte le garanzie.
A proposito ancora della preghiera, non so se quella che ho esposto sia
un’idea veramente originale o no, ma d’altronde l’aspirazione
all’originalità non è mai una buona aspirazione. Quando uno trova
qualche cosa, si accorge dopo se c’era qualcosa di originale o
personale. È una annotazione, la novità, l’originalità. Non è buono
che sia un’aspirazione. Anzi, se è un’aspirazione sarà soltanto la
fotocopia di qualcosa che c’era già prima.
In ogni caso, era l’idea di pregare o domandare. Sottolineo sempre che
il verbo domandare deve essere proprio quello che si ritrova quando si
parla, nel nostro mondo, della legge della domanda e dell’offerta. Non
sto dicendo che è la stessa cosa che al supermercato, ma il rapporto è
domanda-offerta. Anzi, c’è rapporto, anzitutto amoroso, in quanto c’è
rapporto di domanda-offerta. E nella domanda si fa posto all’offerta.
**
Pronunciato nel Monastero Cistercense N.S. di Valserena il 19 gennaio 2003.
Testo non rivisto dall’Autore. Revisione a cura di Gilda Di Mitri.
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
La domanda è proprio fare posto all’offerta, come si dice preparare
una stanza, preparare la tavola, metterci le sedie… O realizzare
un’ospitalità. Si fa il posto.
Le cinque voci, i cinque punti isolati ieri sono cinque connotati del
pregare.
Povertà-castità-obbedienza
Me lo ricordava Raffaella Colombo questa mattina, che specialmente
qui viene richiamata una parola dell’esperienza della vocazione come
anzitutto voi provate, sperimentate, che è la parola povertà, della
celebre terna povertà-castità-obbedienza. Non vedo differenza fra
questo fare posto, attivo, come per esempio è stato fatto il posto
perché noi potessimo sedere, nonché parlare, e la povertà.
Ci sono due idee della povertà. Una è la povertà del morto di fame, il
che può accadere. Anziché il morto di fame si può essere carenti,
lacunosi, in tante cose. E poi c’è la povertà del riconoscimento che
occorre un supplemento — quella famosa grazia di cui si parla così
distrattamente — perché un passo, un’iniziativa riesca.
Una piccola annotazione ancora e poi proseguo e vengo al dunque di
oggi, il lavorare.
La parola supplemento la uso con una certa intenzione, intenzione
illustrativa, ma anche pratica. Cosa vuol dire supplemento? Vero che è
un’aggiunta, ma è un’aggiunta là dove non mancherebbe niente. È
come il dessert: è un paragone sbagliato, molto sbagliato.
L’avaro, il benestante avaro, Arpagone, è uno che ha tutto. Ha messo i
soldi nel materasso, ma insomma… Ed è avaro perché non domanda il
supplemento; ma non è un morto di fame. Il povero è chi ha 100 come
l’avaro e afferma che per farsene qualcosa di quel 100 ha bisogno di
un supplemento. Ancora i talenti: il signore che dà i talenti da
investire non manca di niente, il capitale c’è. Ma afferra che vivere è il
frutto, è fare fruttare. E allora si cerca un compagno per la fruttazione,
per la produzione del frutto.
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Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
Io non sono contentissimo di come l’ho appena detto, ma mi rassegno
ai miei propri mezzi. Ma è su questa via che intendo che potrei
procedere facendo derivare anche castità e obbedienza da povertà.
Diciamo che è la strada che seguirei. Io non ci provo neppure in
questo momento, ma diciamo che mi pare di intuire che è la strada che
seguirei.
Immaginate che questa mattina, e immaginereste bene, mi sia alzato e
abbia messo in pratica ciò che dicevo ieri a proposito dei cinque pezzi,
a partire dal Padre nostro. Il tutto molto in breve: io sono uno speedy,
tocca e scappa, una cosa rapidissima. Che dunque l’abbia fatto
secondo quei cinque capitoli: la salute, la non ingenuità, l’innocenza,
la non contraddizione che posso spiegare come il non essere uno che
oggi ne dice una e domani il contrario, la resurrezione.
Come cenno, se ci fosse il tempo, sulla non contraddizione, pensavo
proprio di prescegliere quel passo lì come una delle cinque preghiere.
È il passo che è rimasto oscurissimo, per quanto ne so io, in tutta la
storia della predicazione, della esegesi, che è il passo dei tre eunuchi.
Ci sono quelli che sono stati resi tali dalla violenza degli uomini,
quelli che sono già così fin dal ventre della loro madre, e poi ci sono
quelli che si fanno eunuchi per il regno. Sembrerebbe che si
contraddice, perché é chiaro che Gesù è contrario alle prime due
specie di eunuchi, è contrario alla violenza, all’essere resi eunuchi
dalla violenza, e poi alla fine arriva a consigliare di farsi eunuchi per il
regno dei cieli! All’apparenza è una bella contraddizione. So che
nessuno non ne è mai venuto bene a capo. Devo dire che ne ho scritto
qualche cosa e forse sono un presuntuoso, ma mi è sembrato di essere
arrivato a una qualche conclusione. Ecco, usare come preghiera un
pezzo in cui appare che Gesù si contraddica mi sembra una cosa anche
– se la parola non è troppo frivola – divertente.
Facciamo questo passo, che è il passo del lavorare.
Ho pronunciato cinque parole, cinque capi, cinque connotati. Arrivo
qui a parlare del lavorare che intendo essere la seconda parte di questa
regola in due capitoli. Allora, mi invitate qui a parlarvi di questo
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
lavorare.
Allora direi: ricominciamo tutto da capo. E comincerei parlandovi di
queste cinque parole, anzitutto, individuate come i connotati del
pensiero di Gesù, ma non come connotati di uno che poi ha una vita a
parte, ma come i connotati in cui il mio di pensiero è in pecca, in
difetto. Incominciamo pure da queste cinque parole e mi invitate a
parlarne. Ebbene, non dovreste attendervi che io vi parli
dell’innocenza, della non ingenuità, etc., nel pensiero di Cristo. No.
Non farei questo. Ve ne parlerei come ne potrei parlare al mondo. Vi
direi cosa significa innocenza, vi direi cosa significa ingenuità, vi
parlerei di cosa vuol dire vivere senza contraddizione tutti i momenti,
ossia farei un lavoro che potrebbe benissimo essere fatto da qualcuno
che è perfettamente miscredente, diciamo laico. E a partire da queste
cinque parole potrei iniziare un iter in cui vi parlo di tutte le parole del
mondo. Vi parlo del vocabolario, vi parlo della lingua, di quella che si
è confusa a Babele. Vi rifaccio in parole l’ordine riuscito o
potenzialmente riuscito del mondo. L’espressione del tipo «Una
lingua pura, delle labbra pure» che si trova nei Salmi. A partire dal
desiderio che anche nel mio dire sia così, dire che è l’attività
principale che noi abbiamo in tutta la giornata. Anche il silenzio non
è vero che non è fatto di parole, di pensieri e parole: è pieno.
Il lavorare di cui vi parlo è un lavorare al quale si possono dedicare
tutti coloro che lo desiderano senza neppure essere credenti come
presupposto.
In modo più o meno esatto, il lavorare di cui vi parlo è il lavoro,
proprio come contenuto di lavoro, del ri-scrivere il vocabolario della
lingua italiana, fare l’enciclopedia Treccani. Una specie di lavoro cui
può partecipare anche chi ha fatto la terza media, perché tutti parlano
e non è vero che esiste una lingua più ricca di un’altra: esiste una
lingua più erronea di un’altra. Non è vero che esiste un pensiero più
ricco di un altro: esiste un pensiero più sbagliato di un altro.
«Ti ringrazio perché queste cose le hai fatte sapere ai semplici e non ai
dotti»: il vocabolario della Treccani, che è il lavorare di cui parlo, non
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
presuppone di avere fatto il dottorato al MIT.
Anzi, posso dire di più: che l’idea di una Fraternità come questa, il cui
lavoro è immettersi almeno, iniziare almeno, a rifare tutte le parole del
mondo, mi è venuta anni e anni dopo che noi e tanti altri, anche non
credenti, facciamo una certa scuola che chiamiamo con un certo nome.
Il nostro lavorare è fare quel lavoro lì che già facevamo: gratia non
tollit, sed perficit… Il contenuto di lavoro del lavoro di questa
Fraternità — mio anzitutto, visto che sono io che sto parlando — è un
lavoro che avevo già iniziato prima, un lavoro che c’era già.
Ma giusto giusto come il benedettino di altri tempi poteva dedicarsi a
fare i lavori di bonifica nella campagna d’intorno, perché c’erano le
paludi. Magari lui si intendeva di bonifica più di quanto se ne
intendesse il contadino.
Per inventarsi di fare un lavoro di bonifica non occorre essere un
benedettino, in linea di principio. O nella raccolta di documenti o di
testi.
Ma il benedettino può ritenere che il partire dal suo orare lo ponga in
una posizione interessante nel fare il lavoro di bonifica della palude.
Ripeto: il nostro laborare è un lavoro che già esiste; lo chiamiamo
Studium, ma non importa: è l’estensione alle parole del pensiero come
ne parliamo qui, pensiero di natura come perfetto in Cristo. Per questo
dicevo: ricominciamo da capo. Io potrei parlarvi di quelle cinque
parole senza neanche fare riferimento esplicito al pensiero di Cristo. E
lo farei per gli italiani, per i cinesi, per gli americani, per i lunatici,
per…
Lavorare sui pensieri e sulle parole non è molto diverso dall’usare la
zappa. C’è come una strumentazione che è molto affine a quella
materiale: per questo ho detto prima che non occorre avere più della
terza media. Nulla a che vedere con un club di intellettuali.
Ma attenzione! Avere il buon pensiero — poi chiamato pensiero di
natura per certe ragioni, quello che Cristo ha in forma perfetta — è
questo a rendere veramente intellettuale. Il problema degli intellettuali
di tutti i tempi, specialmente in era moderna, è di essere al di sotto
dell’essere intellettuali. Proprio quella che si chiama intellighenzia, o
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
il concetto di intellettuale della nostra era, perché è un concetto molto
recente, tanto più che poi è diventato intellettuale di partito,
intellettuale che è al servizio di certi mandati molto particolari —
come si dice in un certo gergo politico, ―un servo del padrone‖: si è
spesso detto così ed è vero — oppure quante volte è stato detto e
scritto che la posizione dell’intellettuale nella nostra era è una
posizione vile: la verità intellettuale è propria dell’intellettuale. Ma
basta poi mettersi a leggere per accorgersi di che cos’è la viltà
intellettuale che è un vizio morale. Basta avere letto un bel po’ di
cose, o anche dei giornali, e si scopre che cos’è il vizio morale della
viltà, che non è affatto il prendere la fuga davanti al nemico. Anzi, il
prendere la fuga davanti al nemico è anche buon senso: almeno
salviamo la pelle, che è il consiglio che viene dato da tutti i generali
esperti: piuttosto che farsi massacrare si prende la fuga. Guai ad avere
un’idea di martirio come quello che va incontro a quello che gli darà
le botte. Cerca di prendere la fuga e poi dopo si vedrà: se proprio non
si può fare niente di diverso…
In questo senso, l’atto della preghiera, come ho cercato un po’ di far
intendere, anzitutto a me stesso, è un atto di forza morale, non è un
atto di ritirato; un atto di coraggio intellettuale.
Un’idea che mi era venuta ieri mattina: in fin dei conti, avere come
contenuto del lavoro, per grandi e piccini, più colti e meno colti,
mondanamente più colti, meno colti, in fondo potrebbe essere
paragonato all’ambizione, all’aspirazione. Io ho una buona opinione
dell’ambizione. Non è buona cosa esservi contro. Quando qualcuno ci
viene a dire: «Cercate prima il Regno di Dio» che cosa c’è di più
ambizioso? È un disegno imperiale! Che cosa esiste di più ambizioso
di questo? È una cosa da Giulio Cesare.
Non credo di diventare frivolamente poetico, né frivolamente
spirituale se dico che, in fondo, lavorare a questo progetto potrebbe
anche essere chiamato come il progetto di un ―cantico delle creature‖,
laddove le creature in oggetto non siano creature della natura, ma sia
gli uomini.
Almeno in apparenza sembrerebbe che Francesco si sia riferito di più
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
alle creature della natura, della natura fisica; quando a un certo punto
parlerà di Sorella morte, già si capisce che non è della natura fisica
che sta parlando.
Bene o non bene, ho designato il contenuto di questo lavoro. Non
tanto bene, perché esiste ancora un sentore di intellettualismo in ciò
che ho detto, malgrado abbia cercato di sbarazzare il terreno: non ci
sono riuscito bene.
Ma diciamo che il riferimento alla torre di Babele dà l’idea di che
razza di lavoro sia il lavorare alla bonifica della lingua anziché alla
bonifica della palude.
Permettetemi, in questa santa sede, di richiamare in essa — l’ho fatto
forse una volta, lo faccio per la seconda — il mio e nostro amato
Freud, il quale ha una certa espressione dicendo: «Fare quel certo
lavoro è un lavoro di civiltà come la bonifica dello Zuidersee», questo
grande terreno paludoso dei Paesi Bassi. In alcuni anni in questi paesi
hanno avuto come primo problema di civiltà nel loro paese di
bonificare questa enorme palude, questa immensa palude che poi è
diventata un’enorme insenatura marina.
Dunque, bene o male che sia riuscito a rendere l’idea, il lavoro, il
lavorare di cui si tratta è un lavoro di civiltà, al quale può essere
associato chiunque, ossia non si pone a nessuno la pre-condizione
neanche della fede e tanto meno del trattare gli articoli della fede
come premesse logiche da cui tirare delle conclusioni.
Pregare non è dedurre. Oltretutto in questo modo si riserverà la
capacità logica al momento buono. Non si fa del pensiero di Cristo un
pacchetto di postulati, come i cinque postulati di Euclide. Euclide è
Euclide, il pensiero di Cristo è un’altra cosa. Pensiero essendo, non è
un sistema di postulati.
Dopo aver detto del cantico penso di poter terminare.
Resurrezione. Io posso dire una parola in più su ciò che bene o male
ho detto ieri, aggiungendo che potrei immaginare, riesco a
immaginare di incontrare uscendo da qui e rientrando a Milano, una
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
persona, morta, a me nota — per esempio un mio vecchio amico,
grande compagno, Ambrogio Ballabio, nostro grande collega — e me
lo ritrovo vivo bello pimpante. Dunque sono abbastanza sicuro che
non sarei meravigliato. Non mi verrebbe, non ho questo genere di
emozioni. Ma semmai anche conoscendo bene la persona, Ambrogio,
semmai potrebbe venirmi da chiedergli: «Ma cosa ti è venuto in mente
di essere ancora qui?». Devo motivare la domanda. E a mio avviso è
una domanda da farsi. Uno direbbe: «Ma come, ―Cosa ti è venuto in
mente…‖?». Uno si aspetterebbe solo di risorgere, rinascere,
ricominciare da capo. Eh no, non va così!
Qual è il senso della domanda: «Ma, Ambrogio, cosa ti è venuto in
mente di risorgere?», magari non perché l’ha fatto da solo ma perché
l’ha fatto risorgere Dio, d’accordo; tutto questo è scontato. Perché? È
stato anche tutto il buddismo a fare da sostrato al genere di battute che
sto dicendo. A un buddista non verrebbe mai in mente di aspirare a
una qualche resurrezione; aspirano soltanto a farla finita. Dato che
stare a questo mondo, soprattutto avere dei desideri, che vuol dire
avere dei pensieri, è stimato e giudicato da Buddha come qualche cosa
che è puramente doloroso: io ormai traduco la parola ―dolore‖ in
Buddha con la parola ―angoscia‖, perché è di questo che sta parlando;
non del mal di denti o della fame fisica dei poveracci che vedeva nella
città dove stava, nelle campagne.
Il senso della mia domanda al mio amico che vedo lì indubbiamente
risorto e senza dubbi su chi lo abbia fatto risorgere, il senso della
domanda «Ma cosa ti è venuto in mente?» è che per fare, come
assunzione di responsabilità da parte di Dio, e per accettarlo, come
mia sottomissione all’atto resurrezionale di Dio, bisogna avere la
certezza che non ricomincerà tutto da capo. È già andata male una
volta…
Per questo la mia domanda: «Ma cosa ti gira…?» o cosa è girato a Dio
di fare ricominciare tutto da capo? Cieli nuovi e terra nuova: come fa
ad essere tanto certo che non ricomincerà tutto da capo?
Con uno come Gesù che risorge, c’è uno che almeno implicitamente
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
asserisce la certezza che non ricomincerà tutto da capo. E ho già detto
ieri che la resurrezione di uno è immediatamente correlata da Gesù
con quella di tutti: è questo il concetto di regno. Il concetto di regno,
vuol dire tutti. Un po’ come si dice Regno d’Italia, che non c’è più, o
la Cina.
Parlare di appuntamento come la condizione della vita sociale, della
produzione del frutto, presuppone, richiede una civiltà completa; una
civiltà di tutti, di uno per tutti.
Dicevo ieri parlando con Madre Monica che il contrario, anzi
l’opposto dell’appuntamento, del regime dell’appuntamento, il che
significa che è da almeno due partner che verrà il frutto, e che la
parola amore si applica solo a questa situazione, la una frase che
semplifica bene l’opposto della vita nel regime dell’appuntamento,
che vuol dire una Città, è quell’orribile frase che dice: «Moglie e buoi
dei paesi tuoi». Perché dico che è orribile? Perché dice che il legame
che può stabilirsi fra due o più di due, è il legame dell’apprezzamento
immediato: mi sono preso una ragazza perché è una bella ragazza, mi
sono preso uno perché aveva altri connotati ancora, etc, anzi requisiti.
È quello che si dice: «Moglie e buoi dei paesi tuoi», cioè i vicini nel
senso più fisico-percettivo, a tu per tu, della parola. Finirà male. Di
solito finisce male. I due innamorati finiranno male: finiranno come
Giulietta e Romeo. Non c’è nessun amore fra Giulietta e Romeo. La
parola «amore» è spesa male. Tutti i romanzi citano Giulietta e
Romeo; lo chiamavano «amore», ma già voleva dire la morte; ma
neanche la morte fisica, ma la fine del rapporto. Nessun
appuntamento, non ne viene fuori niente, fino dal principio: era il puro
a tu per tu, nel senso di «A me gli occhi». Per questo partivo ieri dal
volto. Non è «A me gli occhi» di Cristo o i miei occhi negli occhi di
Cristo. Questo è Giulietta e Romeo. Per questo dicevo i connotati: i
connotati sono connotati del suo pensiero.
Ad esempio, sposandomi, con chi io potrei dire che ho una relazione
amorosa, effettivamente amorosa e reciprocamente? Con una persona
di cui riconosco i connotati come ne ho parlato ieri.
Allora, il vincolo matrimoniale sarà il vincolo con quei connotati.
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
Domanda
Non capisco il senso.
Giacomo B. Contri
Vogliamo dire che mi sposo per procura? Non conosco neanche la
persona che sposo, ma me ne sono fatto dare una descrizione
sufficiente per sapere che di una persona così mi posso fidare, e che
mi piacerà.
Scherzando dicevo ieri a Madre Monica che la persona migliore con
cui io potrei unirmi è una persona di cui ho avuto un dossier riservato
dalla CIA. Sappiamo che la CIA è molto precisa in questo genere di
cose, perché individuati i connotati di quella persona avrei una via
all’incontro con questa persona, in base ai suoi connotati; è una via
che non sente alcun bisogno di avere come primo passo la fotografia o
l’ «a me gli occhi». L’ «a me gli occhi» è quella specie di seduzione
che finirà male perché non c’è alcun sapere su connotato alcuno.
Soprattutto se sarà una compagna nel senso dei talenti, ossia che ci
metterà del suo.
L’altro così può essere incontrato, a questa condizione; non c’è nessun
incontro fra Giulietta e Romeo, che si incontrano come due auto in
strada che si scontrano, con finale mortale di tutto il rapporto. Fra
l’altro una cosa notevole è che fra loro non succede niente, neanche un
po’ di sesso. È intelligente Shakespeare: non succede niente. Se
volete, nulla di coniugale, in nessun senso. Perché si dia
appuntamento, e in questo caso l’ho fatto vedere dal coniugio, occorre
che vi sia un regno, una lingua, un mondo dell’affidabilità dei giudizi,
il potere intendere l’affidabilità — sì o no — della persona che
incontro. Per questo insistevo tanto sulla lingua, come contenuto,
quella lingua da rifare, sul cantico delle creature umane come il regno
dell’affidabilità in cui fin dalla mossa della resurrezione Cristo stesso
si è dichiarato parte, parte della civiltà della resurrezione di tutti con
uno. Per il fatto di risorgere si dichiara un membro di quella civiltà,
come si dice: «Uno di noi», alla lettera.
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
E senza essere eccessivamente essere preoccupato di fare il capo, nel
senso del boss. Si sentirebbe ridicolo se arrivassimo lì a nominarlo
presidente della repubblica.
Con questo poco almeno ho cercato un po’ di dire, a proposito della
notizia di ieri di una Fraternità avente questi due capitoli di regola,
senza neppure presupporre che tutti lavorando a un simile progetto
siano dei credenti o dei preganti. Perché anche al pensiero di Cristo
potrebbe lavorare un qualcuno che almeno in questo momento non
vorrebbe essere in questa stanza, e di fatto è qualche cosa che sta
succedendo.
Però quella del «Cosa ti è venuto in mente di risorgere?» guardate che
è una buona domanda, perché la questione è: ma come si fa ad essere
certi che non ricominci tutto da capo?
Domanda
Io pensavo a una domanda, non so se ho capito. Come ha parlato del
pensiero di Cristo a me è venuto in mente quando san Paolo dice:
«Abbiate in voi gli stessi sentimenti di Cristo Gesù», dove non è tanto
―sentimenti‖ come si può intendere nella cultura odierna, ma proprio il
modo di sentire, di pensare di Cristo Gesù. Poi lei ha parlato del
lavorare. Quando si pensa il pensiero, si parla del pensiero, il pensiero
è qui, il cuore sta qui, etc. Ma mi è sembrato di sentirlo come un
pensiero che non può rimanere solo qualcosa di intellettualistico, ma
qualcosa che porta a un certo modo di operare, che deve portare a un
certo modo di operare. L’ho capito così. Mi chiedo se ho capito
bene…
Giacomo B. Contri
Al punto che rinforzo quanto lei ha detto. Si ha al momento un’idea
del pensiero come quella cosa astratta. Il mio parlare del pensiero è
fare osservare che quest’idea del pensiero è un caso particolare del
peccato degli uomini. Mi piacerebbe vedere la faccia di un confessore,
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
di un prete, che riceve un penitente e che dice, come contenuto della
confessione, un po’ come se dicesse che ha appena strangolato sua zia
e invece dello strangolamento andasse a confessare come peccato di
avere un’idea astratta del pensiero. Io vorrei vedere la faccia di quel
prete: non capisce neanche che cosa gli sta dicendo. Ma l’atto
confessionale del penitente è dire: «allora è tutto sbagliato: se ho
questa idea del pensare, c’è un peccato, un errore da qualche parte».
Cambia tutto: perché io lo metto addirittura sul peccato. E senza senso
di colpa alcuna. Chiamare una cosa ―peccato‖ è come annotare che
questa cosa è un tavolo. Proprio una cosa chiara e tonda.
Sostenevo anche ieri, e c’entra sempre con il pensiero, che cos’è il
vero peccato originale? Peccato cardinale non è quello di Satanasso
che dice una certa menzogna, ma è quello di Adamo ed Eva che si
lasciano prendere da una certa idea, menzogna iniziale, e agiscono in
essa, secondo essa.
Ma qual è il peccato originale? È l’avere mangiato la mela? No, ci
siamo già, ma è appena l’anticamera del peccato originale. Non è il
mangiare la mela. Il peccato originale è quando Dio dopo si rivolge ad
Adamo — la prima a mangiare la mela è Eva e poi la passa al suo
legittimo sposo, al suo compagno, partner — e Adamo risponde: «Sì,
sì, è vero che ho fatto questo. Ma è colpa sua, è stata lei». È il peccato
originale, perché è il divorzio addirittura all’origine di tutti i tempi, di
tutti i tempi dell’umanità. Il peccato originale è il divorzio di Adamo:
smette di avere una compagna. Denunciandola, anziché riconoscere un
errore a due, si stacca dall’appuntamento, si stacca dalla compagnia.
Che cosa è questo? È il pensiero di Adamo. Peccare è uno dei casi del
pensiero. Non pensa più secondo la compagnia, in questo caso con
Eva. È proprio pensiero-pensiero.
Se parlassimo della parola amore sarebbe lo stesso. Almeno Platone lo
sapeva. Se parlassi della parola amore qui, io vi mostrerei che Platone
sbagliava tutto sull’amore; ne ha tanto parlato e vi ha tanto sbagliato.
Ma per lo meno aveva capito che parlare dell’amore e parlare del
pensiero è la stessa cosa. Che non c’è l’amore qui e il pensiero lì.
Sapete anche che si parla di teoria dell’amore platonico. È proprio una
teoria filosofica, ma al tempo stesso è qualcosa di molto concreto: è la
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
concezione omosessuale dei rapporti amorosi, la dottrina ufficiale di
Platone.
Accorgersi, per esempio, che è falso il detto: «Chi dorme non piglia
pesci». Chi dorme, intanto si riposa e risparmia le forze. Dormire è
uno dei più grandi piaceri della vita. Non ho detto che è l’unico. Non
stiamo in letargo dodici mesi all’anno. Neanche gli orsi. Ma poi uno si
accorge che — anche in questo dobbiamo molto a Freud, ma solo
perché avevamo un pensiero distorto prima — nel dormire si fanno
quelle cose, quei pensieri, che chiamiamo sogni. È il pensiero che va
avanti anche quando si dorme.
Che cosa fanno i nostri sogni? Non prendono pesci, ma pensano a
come fare a prenderli. L’espressione di Freud era che i sogni sono al
servizio della soddisfazione dei desideri. È quello che ho detto: non
facciamo del sonnanbulismo pescatorio, ma è la preparazione … So
che comunque la sua domanda resta e resterà capitale, perché non ci
riusciremo mai alla perfetta correzione dell’idea astratta del pensiero:
lasciamo ogni speranza. È una direzione.
Come la preghiera è la preparazione di un posto al pensiero di un
altro, così il pensiero è a tal punto — attenzione alla scelta della
parola: non dico concreto, ma dico reale — reale che si chiama anche,
si può chiamare anche premeditazione. Cosa vuol dire premeditare?
Preparo un atto o un insieme di atti, di un’ora dopo, di una settimana
dopo. In tutta la nostra civiltà, ma anche nella storia del cristianesimo,
perché non siamo stati di più bravi degli altri, com’è ovvio peraltro;
resta tutto sommato una sola voce che abbia una concezione così
realistica del pensiero; almeno una, ma purtroppo non è la migliore.
Sapete qual è? È il codice penale. Il codice penale che dà l’ergastolo a
uno è perché ha trovato la premeditazione dell’atto. Almeno il codice
penale ha una corretta concezione realistica del pensiero: il pensiero è
una realtà. È la realtà del premeditare, come si dice preparare una
stanza, etc. Certo che sarebbe desiderabile che non fosse solo il codice
penale ad accorgersi della realtà del pensiero. Ecco un altro fine dello
scrivere il nostro cantico: che non sia solo il codice penale che si
preoccupa di dare l’ergastolo o la sedia elettrica. Perciò, se volete
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
avere un’idea di come è l’intendere il pensiero, ma non perché ve lo
insegno io, almeno pensate al codice penale.
Madre Monica
Tutta la tradizione monastica antica pensa questo. La dottrina sui
pensieri. La vita del monaco deve prima di tutto agire sui pensieri: è la
lotta contro i pensieri, quelli sbagliati.
Giacomo B. Contri
E anche quello che dicevi ieri sulla mente…
Madre Monica
Quella era una cosa collaterale. Ma tutta la tradizione monastica,
anche prima di Benedetto, anche quella orientale, insiste tantissimo su
questo.
Giacomo B. Contri
Quello che dici è capitale. Non avevo presente questo…
Domanda
Volevo dire anch’io una cosa su questo. È un po’ lunga però, ma
vorrei almeno averla per propria domanda, sul pensiero, su ciò che
stava dicendo ieri, e su quella che è la nostra tradizione benedettina.
Non è una vera e propria domanda. La prima è la possibilità di questa
corrispondenza. La seconda può essere anche una domanda.
E mi spiego in maniera molto articolata. In questi ultimissimi giorni
alcune di noi, fra cui la sottoscritta, abbiamo avuto l’onore di
partecipare a un corso, che Madre Monica ha tenuto sulla vita di San
Benedetto nei Dialoghi di San Gregorio Magno e la Madre ci diceva
delle cose capitali sul pensare, sul pensiero e sul pensiero di
Benedetto. E mi sembrava di cogliere una relazione molto stretta fra
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
questa che è la nostra tradizione, e quanto appunto ci veniva detto.
Cerco di spiegarmi e poi verifichiamo la possibilità di una
corrispondenza e chiedo perdono alla Madre se utilizzo in malo modo
il suo pensiero, ma può intervenire e integrare.
Il pensare di Benedetto in qualche modo è la famosa espressione
dell’habitare secum1, con, sotto gli occhi di Dio; che può essere detto,
e lo dice benissimo anche con altro termine San Gregorio, guardare a
sé, l’esaminare, sotto gli occhi del Creatore.
Oppure un’altra espressione, per me bellissima, è quella di custodire
sé nel chiostro del pensiero: se intra cogitationis claustra custodire2.
Pensando a questo e quello che la Madre ci stava dicendo in questi
giorni, il primo punto fondamentale è la relazione strettissima tra
pensare e pregare. Questo modo di guardare e di pensare, quindi, è già
pregare. Fra l’altro san Paolo dice di pregare con intelligenza. Questo
mi sembra il binomio.
Ora che tipo di pensiero è questo? Come si stava dicendo adesso non è
astrazione, non è teoresi, non è costruire un castello di idee, ma è
pensare, guardare in questo senso me stesso in Dio. Quindi, mettere il
mio pensiero con Dio.
Qual è il risultato di questo mettere il mio pensiero in Dio? È la
percezione della somiglianza e della differenza del pensiero.
Il peccato in qualche modo è la percezione della differenza. La
redenzione e la salvezza che mi sono date in Cristo, nel Figlio, è la
percezione di una somiglianza.
Pensare me stessa in Dio significa: (A) da una parte pensare la mia
contraddizione, la mia non innocenza, la mia ingenuità, la mia non
resurrezione e quindi in qualche modo la mia morte. (B) Nel momento
in cui mi pongo davanti a Dio così, penso e prego così, sto
sostanzialmente in atteggiamento di verità, e quindi ho coscienza di
questa differenza che è il peccato e il gusto, come diceva ieri, il
desiderio, l’invocazione anche di una somiglianza, il mio pensiero in
un certo senso partecipa già della somiglianza con il pensiero di
1
2
Gregorio Magno, Vita di San Benedetto, in Dialoghi, II, 3
Gregorio Magno, Vita di San Benedetto, in Dialoghi, IV, 2, 3
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
Cristo, cioè lo sperimenta in sé nella fede e per la fede. Sperimenta la
potenza della resurrezione. È qualche cosa che la Madre ci stava
dicendo in questi giorni. In un certo senso è una possibilità di
guarigione del pensiero che di per sé resta un pensiero anche malato, e
un pensiero ferito. E va bene: questa idea della guarigione per la
tradizione benedettina si chiama conoscenza di sé, che è il pensiero;
per il monaco la vita del cenobio, della fraternità, è una sorta di lavoro
di bonifica analogo a quello che ci veniva detto. Questa è la
corrispondenza.
La domanda che poteva venirmi era questa. San Gregorio parla delle
ferite del pensiero. Il peccato è questa malattia, questa ferita, che entra
per la mente e il mio pensiero è sostanzialmente un pensiero malato.
Allora mi chiedevo, rispetto all’itinerario tracciato un po’ in questo
momento, le altre possibili convergenze con una tradizione
specificamente nostra in questo senso, qual è la via di una guarigione,
del recupero di una sanità della mente e del pensiero? E in questo, che
posto ha il dolore, come itinerario di guarigione della mente?
Domanda
Una cosa che mi chiedevo tempo fa è se si può dire il pensiero di
gratitudine come l’unico pensiero veramente intelligente. Gratitudine
nel senso del pensiero che è capace di avere la memoria, di stare nella
memoria di ciò che Dio ha compiuto. E nel contrario di questo, il
pensiero invece della recriminazione, la lotta dei pensieri che la
tradizione monastica illustra bene: il pensiero invidioso, il pensiero
peccaminoso, il pensiero triste. Pensavo al pensiero di gratitudine
come pensiero sano.
Giacomo B. Contri
Se io rispondessi lo farei da operaio che ha lavorato alla vigna, in
questo caso la vigna del lavoro sui pensieri e le parole che ho detto
prima. Vi porterei dei frutti di lavoro sul dolore, su almeno cinque
delle parole che ha usato lei. Se io parlassi lo farei da operaio che
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
porta il mio frutto di lavoro. Io credo che lei possa essere una buona
operaia come forse io un po’ potrei essere un discreto operaio. Può
fare lei stessa il lavoro operaio che potrei fare io sui termini da lei
introdotti. Lavoriamo. Facciamo della buona divisione del lavoro.
Questa è una buona risposta.
Sto solo cercando di risparmiarmi una parte della fatica, anche…
Anche, eh? Non bisogna fare tutto…
Una delle ragioni della gratitudine, in un soggetto non invidioso –
perché l’avversare la gratitudine è invidia – una delle possibilità della
gratitudine, anzi il caso più estremo della gratitudine è quando a fare
sono gli altri: fanno tutto gli altri. Sono felice che uno faccia il papa e
l’altro faccia il presidente della repubblica. Sono grato anche al
presidente della repubblica. È questo il pensiero paolino, riguardo
all’origine del potere. Sì, certo, non mi rifiuto di fare anch’io una parte
del lavoro. Questa è la posizione da cui può sorgere la gratitudine,
perché il lavoro lo fanno anche altri, allora mi ci metto anche io.
Menzionavamo ieri quella parabola in cui Gesù dice: «Ma no! Voi
potrete fare dei miracoli anche migliori e più grandi dei miei». Questa
denota un’impostazione del pensiero davvero desiderabile. Che cosa è
mai quest’idea che Dio sarebbe sempre lì a cercare di tenere il vertice!
Per cui, in ogni caso, le sue opere saranno sempre più grandi. Questo
non è Gesù: è Maciste!
Il vero sovrano — una definizione possibile di sovranità — è quello
che gode del frutto del lavoro di tutti, senza per questo essere uno
sfruttatore.
C’è il più grande errore di sempre in tutti, perché anche questo è
patologico, di pensare alla sovranità come all’esercizio del comando.
Il secolo scorso è stato pieno dell’esercizio del comando, e non è
andata molto bene. Il pensiero utopico di alcuni che comandano, e gli
altri fanno ciò che quella dozzina di individui hanno pensato.
Per quanto riguarda l’intero riferimento a Benedetto e a Gregorio
Magno aggiungo solo che avendo pieno assenso all’utilizzo loro della
parola ―Dio‖, io ho soltanto spostato tutto sul nome ―Cristo‖, come
implicito e solo in parte esplicito; vi invito a vedere le conseguenze
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
che derivano dalla integrale sostituzione verbale, non reale, del nome
Cristo alla parola ―Dio‖.
Perché fino alla parola ―Dio‖, ancora ancora, potrebbe essere un
costrutto teologico. E si può bene riconoscere che nel corso dei secoli
la parola ―Dio‖ ha giocato dei gran brutti scherzi. Lo stesso Cristo ha
tenuto a mettere i puntini sulle i, dicendo: «Ma cosa volete che vi
faccio vedere il Padre? Guardate me ed è fatta. Chi vede me, vede il
Padre». Aveva tolto — altro atto del pensiero di Gesù — già lui il
colossale equivoco che poi nei secoli si è riprodotto: ricostruire un
concetto, un modello di Dio, che in moltissime occasioni ha
perfettamente svuotato il pensiero di Cristo. È successo e strasuccesso.
Il compiere questo atto del metterci sempre il pensiero di Cristo, anche
nel pensare a Dio, di conseguenze ne ha tante.
Il pensare al dolore, e all’esperienza della croce di Gesù, tra le cose
che volevo dirvi, è che non è vero che Gesù in quella notte che ha
preceduto l’arresto, la cattura, etc., che Gesù fosse angosciato, che il
dolore di Gesù fosse l’angoscia. Ma neanche per sogno. L’angoscia è
una specie di dolore e non un’altra specie di dolore. Non è affatto il
caso di Gesù. La tristezza non è l’angoscia, come il lutto per una
perdita non è l’angoscia. L’angoscia segnala l’insoddisfazione. Gesù
quella sera era soddisfatto: consummatum est3, è fatta! Perché
soddisfazione vuol dire che uno a un certo momento, proprio un
momento temporale, può dire: «È fatta!». É la frase di Gesù:
«È fatta!». In quel caso la soddisfazione di Gesù, perché proprio vuol
dire che è fatta, che è compiuta. Non ho altre azioni da compiere. Che,
notate bene, è l’implicito pensiero di quando andiamo a dormire, con
la facoltà di dormire, cioè senza sofferenza d’insonnia. Chi non soffre
di insonnia, la sua frase implicita è: consummatum est, questa giornata
è fatta, non ho azioni da aggiungere, che facciano gli altri.
Sapete che è un esercizio implicito della virtù della modestia riuscire
ad addormentarsi, perché equivale all’implicita frase: «Adesso
facciano gli altri», non pretendo di comandare il mondo, di essere io a
fare tutto. Anzitutto, sono anche meno falso, in quella certa misura.
3
Vangelo di Giovanni 29, 30
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
Il pensiero di Cristo – La regola: ora et labora
È della soddisfazione di Cristo che si tratta nelle ore immediatamente
precedenti la sua morte. Quindi, attenzione con la brava teologia della
croce che se solo ne sento parlare mi viene l’orticaria e non ne voglio
più sentire parlare, perché la morte di Cristo va correlata al giudizio di
soddisfazione che è dato da Cristo qualche ora prima.
É tutto inquinato dalla storiaccia di Kierkegaard che c’è dietro
sull’idea che Cristo è insoddisfatto per tutta la sua vita: che la croce di
Cristo è stata l’intera vita terrena di Cristo, che era annoiato, non ne
poteva più, non aspettava soltanto che l’ora di tornarsene a casa sua.
È un’idea fondamentale di Pascal: Gesù è stato angosciato per tutta la
sua vita.
In questo senso, la tristezza della notte di Gesù appena prima, a mio
avviso, è della stessa specie della tristezza di Gesù quando è morto
Lazzaro. Gli faceva comodo avere un amico così; comodo nel senso
più onesto della parola. Gli faceva piacere avere un amico così.
Probabilmente doveva essere anche un tipo con cui lavorava, con cui
si intendeva, con cui si inventava delle cose, esattamente come le due
ragazze, sorelle di Lazzaro. Perché lo fa risorgere? Uno, perché lo
rivuole ancora, e due perché vuole fare un piacere alle sue amiche.
La tristezza di Gesù, in quel caso, non è diversa dalla tristezza un
momento prima della croce. Ma nella soddisfazione: «È fatta». E
intorno a questo «È fatta», su questo «È fatta» fa perno l’intera storia
del cristianesimo, solo su questo. «È fatta».
Ecco, perché servirà il giudizio universale: diciamo che il lavoro cui
vorremmo dedicarci, al quale tutti ci stiamo dedicando, è il lavoro per
la fine del mondo.
Dato che non penso ridicolmente alla fine del mondo con le fiamme, i
crateri che si aprono, una specie di nuovo diluvio che farà finire tutto e
poi il Signore ci prenderà su, la fine del mondo è che tutto possa
essere giudicato. Che tutto possa essere giudicato e l’avere un
pensiero compiuto è la medesima cosa.
Quindi, facciamo il lavoro preparatorio del giudizio universale. È
così, eh? E la guarigione è il lavoro preparatorio del giudizio
universale, quando i pensieri dei tuoi saranno tutti noti.
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© Opera Omnia di Giacomo B. Contri
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