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S N 17
IS - 9
73
19
Giugno 2008
Numero 2
GIUDITTA
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
EDITORIALE
IN QUESTO NUMERO:
http://myspace.com/spore_esistenziali
Marcella Campo
http://artemazzoleni.com
Angelo Mazzoleni
http://passeart.it
Alessandro Passerini
http://annamadia.it
Anna Madia
http://fragmentart.it/
Orodè
http://stefanobonazzi.it
Stefano Bonazzi
http://www.modern-art.it/file/quadri.htm
Claudia Amadesi
http://stores.lulu.com/giangilo
Gilo
http://www.myspace.com/rgz_morto
Giovanni Carbone e
Andrea Siniscalchi http://stores.lulu.com/Joe_il_visionario
http://myspace.com/amaranto88
Amaranto
http://www.myspace.com/glitterballband
Glitterball
http://sandracarresi.it
Sandra Carresi
http://blog.libero.it/Lucevera1/
Ana
http://myspace.com/252481693
Nikirai
Maria C. Impagnatiello http://bricioledipazzia.splinder.com
http://myspace.com/lsb_art
Luca Saverio Beolchi
© Giuditta 2008
Tutti i diritti riservati.
Tutto il materiale originale contenuto in questa rivista è di
proprietà dei rispettivi autori.
E’ espressamente vietata la riproduzione, la pubblicazione e
la distribuzione, totale o parziale, senza previa
autorizzazione dei legittimi proprietari.
In copertina: “Bugiarda” di Elena Montiani
“L'editoria è uno strano mestiere. Usa lo
spirito per fare soldi, e i soldi per fare lo
spirito.” Gian Arturo Ferrari
Cari Lettori,
bentornati nel mondo di Bethulia, la città degli
artisti che lotta giorno dopo giorno per trovare il
proprio spazio in una società culturale sempre
più remota e insensibile.
Il primo numero della nostra rivista ha riscosso
risultati buoni oltre le aspettative: le sole
consultazioni online su Issuu.com hanno
raggiunto e oltrepassato le 350 unità.
Mi piacerebbe pensare a questo nostro piccolo
successo come al segno che qualcosa stia
cambiando. Il mondo di noi scrittori esordienti,
in effetti, è in grosso fermento: tante nuove
proposte si pongono tra noi e i nostri sogni.
Nascono lodevoli forum di supporto (tra i tanti
cito http://booksondemand.forumattivo.com/ ,
dedicato ai pionieri del Print On Demand),
nonché nuove riviste e antologie create, come la
nostra, dal basso; i blog degli esordienti, nati
come semplici mezzi promozionali, diventano
sorprendenti spazi di confronto (si legga
http://31ottobre.blogspot.com/ per esempio).
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Giuditta N° 2
Si sta attivando, in parole povere, un
interessante circuito virtuale che va oltre la
banale autopromozione telematica.
E intanto i promotori “ufficiali” della cultura che
fanno? Sono ancora lì, immobili, monolitici,
intenti a proporre contratti di edizione al limite
del ridicolo, il cui unico obiettivo è spremere le
tasche dell’autore in nome del dio Spreco - di
denaro, di carta, di tempo.
E’ oramai inevitabile affidarsi a nuove strade
con crescente ottimismo, a cominciare dal già
citato sistema POD (non possiamo non fare
pubblicità
all’ottimo
servizio
offerto
dall’italianissima Boopen).
Ancora un mondo poco popolare, invece, è
quello degli ebook: consiglio un salto sui portali
http://www.simplicissimus.it/
e
http://www.kultvirtualpress.com/index.asp per
ricredersi circa le sue potenzialità.
Apriamo dunque le danze con un pezzo di
Marcella Campo, col quale intendiamo prendere
una posizione contro il facile, svenevole e sterile
romanticismo che intossica la produzione di
numerosi emergenti. Buona lettura!
Amaranto
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Giuditta N° 2
Sul Romanticismo
di Marcella Campo
Non
so perchè il termine «Romanticismo», fuori
dalle aule di lettere, sia diventato sinonimo di acute
melensaggini insopportabili. Per me, che tendo
sempre a sviscerare il significato delle singole
parole, dire romanticismo significa richiamare temi
ottocenteschi come la rivalutazione della sfera del
sentimento,
del
pathos
e
dell'irrazionalità,
ricercando il gusto per il sublime e l'assoluto.
Sono
convinta che il romanticismo respiri
attraverso il luogo dionisiaco che è insito solo nelle
anime inclini allo Sturm und Drang, nello stesso
modo in cui il cor gentile era custodito unicamente
nel petto del poeta stilnovista, per intenderci.
Insomma niente a che vedere con mastodontici
mazzi di rose rosse, confezioni blu di baci Perugina,
romanzi rosa d'appendice, poesiole sugli occhi
paragonati a stelle rubate da improbabili padri
ladri e scempiaggini simili. No, no, no.
Si
parla, invece, di tempesta e passione. C'è più
romanticismo nel testo di ‘Closer’ cantato da Trent
che in un Trilogy regalato a San Valentino. Un
diamante è per sempre, ma il vero romanticismo è
improvviso ed urgente. L'amore è sinonimo di
scandalo per i benpensanti, poiché appare osceno
come in effetti solo la violenta dolcezza sa essere. In
fondo, che tempesta sarebbe se non fosse
veemente? Si tratta di profondi sconvolgimenti
interiori, ancor prima che di coinvolgimenti.
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Giuditta N° 2
C'è
questo passaggio dello sconvolgimento che
certa gente non prende in considerazione con il
debito rispetto e che semplicemente butta via, come
se si trattasse di una lente a contatto monouso. Ma,
se si fosse maggiormente ricettivi e sensibili, si
arriverebbe alla conclusione che, di questo
sconvolgimento, la pelle può accorgersi in tempi
non sospetti per la mente. La pelle, sì, lei
trepidante, sui corpi che custodiscono le anime
romantiche, sa sempre e prima. Sempre. E prima.
Prima della testa, prima del cuore, prima del
respiro, prima degli occhi. Pensaci. Anche quella
volta in cui... (tutti hanno una volta in cui) ecco, lei
sapeva già tutto fin dal principio.
Alcune persone non sono consapevoli della propria
corporeità, si limitano ad usare la materialità del
proprio fisico e non si accorgono invece di quanto il
corpo sia potenzialmente capace di sapere e quindi,
autonomamente, di saper scegliere. Il corpo intero
può essere uno strumento preziosissimo di
percezione verace. Scomporlo e prendere in
considerazione solo i cinque organi di senso, per
percepire, è davvero limitativo. Si sente anche con
lo stomaco, per esempio. Con le viscere.
Poi,
certo, un corpo senza anima è solo un
ammasso di tessuti. E, di ammassi di tessuti
ambulanti, più o meno piacevoli, ce ne sono molti.
Li si riconosce istantaneamente. Hanno l'occhio
scialbo, inebetito dalla vanità. Mancano di sguardo.
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Giuditta N° 2
Un paio d'occhi belli
ma disabitati sono come una
bocca sdentata, contornata da labbra carnose lucide
di rossetto. Si cade quasi nel ridicolo. Nel grottesco.
Similmente ci sono sguardi e ci sono occhi. Pochi
parlano di sguardi, molti parlano di iridi.
Forse perchè è più semplice discutere di colore
piuttosto che di luce e si predilige spesso la facilità,
scansando l'affronto dell'insolente bellezza della
complessità. In fondo, quando inizi a guardare
veramente qualcuno negli occhi, la cosa si
complica, può succedere che ci puoi finire dentro. A
quegli occhi. E poi sono cazzi. Impeto, turbamento,
scompiglio.
Nel
corso del tempo, ho perso tra i condotti della
memoria i volti di alcune persone. Penso a dei nomi
lontani e i visi che riesco ad associare sono ormai
solo sagome dai contorni sbiaditi, ma gli sguardi
che perforo, quelli no, non me li dimentico mai.
Come spiegare che non è una questione di unità di
misura quella che governa gli spazi temporali
romantici? Quei tempi interiori. Dilatati, nebulosi.
Mai stanchi perchè riempiti dal desiderio che
l'attesa è capace di alimentare continuamente, in
modo soffice e pungente insieme. Si vive in apnea
per ritardare, per puro piacere, il momento
dell'avido respiro. E' qualcosa di pazzesco, feroce,
soavemente crudele. Magnifico.
Marcella Campo
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
INDICE
Arte oggi
Nuova Arte Sincretica, di Angelo Mazzoleni__08
Ritratti di donna, di Alessandro Passerini__14
Silenzio in movimento, di Anna Madia__20
Fragmentart, di Orodè__26
Between Black & White, di Stefano Bonazzi__32
Un respiro chiamato arte, di Claudia Amadesi__38
Riflettori
“Per uccidere un gigante”, di Gilo__45
“Kain è idolatrato”, di G. Carbone e A. Siniscalchi__53
“Spore esistenziali”, di Marcella Campo__61
“I Canti della Luna”, di Amaranto__69
Presentazione dei Glitterball__76
Incanti e tormenti
“Il Mantello” di Sandra Carresi__79
“Poesie”, di Ana__82
“Necessità impellente di una rieducazione forzata”, di Nikirai__84
“Chiamalo pure flusso di coscienza”, di Nikirai__86
“Vino d’amore”, di Maria C. Impagnatiello__90
“Vegetalizzata”, di Maria C. Impagnatiello__93
“Giulia è fuori”, di Gilo__96
ARTE
OGGI
Il senso e il fine del contemporaneo
Angelo Mazzoleni
Alessandro Passerini
Anna Madia
Orodè
Stefano Bonazzi
Claudia Amadesi
Paralleli,
Con opere di Luca Saverio Beolchi__101
F.A.Q.,
Le nostre domande, le vostre risposte__108
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Giuditta N° 2
Nuova Arte Sincretica
Pubblichiamo un adattamento del Manifesto
artistico di Angelo Mazzoleni
Con
il presente Manifesto, alcuni artisti
hanno deciso di dar vita ad un progetto di
sperimentazione di nuovi percorsi di ricerca,
attraverso la fondazione del gruppo ”Nuova
Arte Sincretica“.
Sulla base di elementi che già ci accomunano,
intendiamo, tramite lo scambio di esperienze,
idee, emozioni e progetti, generare un
processo di sintesi storico-universalistica che
porti, nella libertà totale di ognuno, allo
sviluppo di un percorso tematico di sincresi
tra passato, presente e futuro.
Se ci accomuna il viaggio interiore attraverso
il tempo e la storia, tra le diverse culture del
mondo, alla riscoperta delle nostre origini e
radici, vogliamo parallelamente rivendicare il
nostro dissenso contro un certo tipo di
sistema “elitario”, diretto da poteri che, a fini
di profitto, si arrogano il diritto di governare
gran parte dell’attuale mercato dell’arte,
degradandone spesso il valore, imponendo
modelli e linee a senso unico.
PORTA SINCRETICA – Angelo Mazzoleni
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Giuditta N° 2
L’arte sincretica, pur ponendo al centro della
sua dinamica operativa la sperimentazione e
l’innovazione,
persegue,
senza
schemi
precostituiti, in modo libero ed istintivo,
un’arte “totale” basata sul recupero di ciò che
oggi e' andato perso, a causa di alcune
degenerazioni portate dalla globalizzazione e
da un certo mercato oligopolistico.
Proponiamo in forme nuove una ricerca
ispirata al recupero del concetto di bellezza
ed universalità dell’opera d’arte, trasposto nel
mondo attuale.
Come artisti, riteniamo di dover dare il
nostro contributo anche ad una difficile lotta
contro il degrado culturale e il conformismo
mediatico presente nella nostra società
globalizzata.
Siamo contrari alla mercificazione dell’arte e
della cultura oggi imperante ed alla
“spettacolarizzasione dell'arte” quando essa si
riveli priva di profondità di contenuti o frutto
di mode o di interessi mercantili.
IRAK – Angelo Mazzoleni
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Giuditta N° 2
Proponiamo il ritorno, in modo nuovo, ad un
processo creativo che riporti l’uomo e le sue
emozioni al centro dell’universo-opera,
riportando l’arte nei luoghi che le competono,
in modo che le opere accompagnino nel
tempo la vita di chi le abita. Non a caso
utilizziamo, accanto a quelli tradizionali,
materiali che abbiano la caratteristica di
essere il più possibile “naturali”, "vecchi", per
poter raccontare una storia o infinite storie
accanto alla nostra ed a quella di chi ci ha
preceduto.
Speriamo che le nostre opere sappiano
evocare, con le emozioni, anche la riscoperta
della humanitas, oggi parzialmente perduta, e
possano ricondurre l’osservatore verso le
fonti sorgive istintuali dell’essere, della nostra
storia e del nostro presente.
Angelo Mazzoleni
ORIENTE – Angelo Mazzoleni
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Ritratti di donna
L’arte di Passerini sfata il monito di De Chamfort,
“bisogna scegliere tra amare le donne e conoscerle”.
Da
giovane rimasi affascinato dalle figure di
Leonardo, poi questa attrazione verso la
pittura 'al femminile' mi portò ad ammirare i
lavori dei simbolisti e di Klimt, nelle cui tele
trovai un tipo di espressività simbolica e
sensuale di ammirevole potenza espressiva.
Tuttavia, coloro che reputo i miei veri maestri
sono gli esecutori artistici della Versilia, i
Mastri che a loro volta mi hanno reso tale. Mi
hanno insegnato quanto sia semplice, in
verità, eseguire un’opera col puro istinto, ma
solo dopo aver assimilato le tecniche
esecutive più disparate. Solo con una
consapevolezza dei materiali, delle tecniche, e
delle proprie capacità si può cominciare a
eseguire opere concrete, e non più fini a se
stesse. Mi fu trasmesso l’amore per la
semplicità esecutiva, la più efficace. Mi fu
insegnato che un’opera d’arte è per tutti, e
non per pochi: se la capisce un pastore che
transuma il suo gregge così come un critico
d’arte che presiede una mostra, allora la
propria arte è efficace.
FEDE MATERNA – Alessandro Passerini
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Nei
ALI’CICCIRINELLA – Alessandro Passerini
“Una delle persone più passionali che
conosca, sempre disponibile e
incredibilmente femminile.
L’immagine più forte che ho di lei é
questa, una sorta di surreale paesaggio
molto estivo e mediterraneo, dove i ricci
dei suoi capelli diventano quasi delle
folate di vento colorate.
Un dipinto istintivo per una persona
istintiva e vera.”
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miei quadri è prevalente la figura
femminile. Tutte donne e carissime amiche,
in alcuni casi amanti. Le donne hanno
influito profondamente nel mio sentire le
cose, fin da quando ero bambino, e da adulto
ancor di più. Sono tutte diverse, particolari,
uniche. Tutte mi hanno regalato colori vivi e
forti, dando vita ad immagini di quel che
vedo in loro e che loro stesse, sovente, non
riescono a vedere.
Ogni quadro ha una storia collegata, spesso
legata a quanto più rappresenta l’essenza
stessa delle donne ritratte.
Amarle, dal mio punto di vista, significa
conoscerle, e non mi sarebbe possibile
altrimenti. Riuscire poi a tradurre quel che
conosco così intimamente di loro in colori è
ancor più naturale quanto più è profonda la
conoscenza. Conoscerle e amarle, per me,
sono una diretta conseguenza una dell’altra.
Amare una donna che non si conosce
equivarrebbe ad amare un idea, un concetto,
ma amare una donna che si conosce così
profondamente da ritrarla in quella che è
l’immagine che si sente di lei, per me è Arte.
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Penso
che l’arte debba integrarsi in modo
armonico nella società, senza provocare o
inquietare. Troppi sono gli esempi di arte
sensazionalista che poco ha a che vedere con
abilità tecniche o ideologiche, più legata al
consumo, al commerciale, che al lato umano
del vivere quotidiano. Ne risulta una certa
povertà di contenuti, di sensazioni o
sentimenti; forse tale arte è lo specchio di un
artista che o non è in grado di trasmettere
quel che prova o proprio non prova
determinate sensazioni.
L’arte deve essere fruibile a tutti ed esprimere
sensazioni particolari, senza filtri o soluzioni
ermetiche.
Ma questo è solo un parere personale.
Alessandro Passerini
2MILA6 – Alessandro Passerini
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Giuditta N° 2
Silenzio in movimento
Anna Madia, finalista presso la National Portrait Gallery
di Londra, si racconta in quanto donna e artista.
L’arte
non è né uomo, né donna…Ma ai
giorni nostri ne ho sentiti di commenti a
riguardo…L’esser pittrice mi ha sicuramente
permesso di osservare e di partecipare alla
vita con una grande forza, con un coraggio
che a volte stento a credere di avere.
Fortunatamente ormai le donne artiste sono
tante, siamo tantissime…ma l’essere donna a
volte ti porta
a scontrarti con dei
meccanismi di pensiero tipici delle menti
ottuse…basta guardare un po’ più indietro…
Ho divorato storie di pittrici e scultrici del
passato, Camille Claudel ad esempio,
scultrice geniale rimasta nel dimenticatoio
fino agli anni settanta; o l’energia e la lotta di
Frida Khalo, l’impegno sociale di Kate
Kollwitz e così via… Esse sono state prima di
tutto grandi donne…devo a loro e a mia
madre tutto il coraggio che ho nell’affrontare
ogni giorno questo cammino. Sto lavorando
molto su me
stessa, per superare
sfaccettature del carattere non facili da
gestire con un lavoro come questo…senza la
pittura non so come avrei fatto!
BERLINO – Anna Madia
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Dipingere
LITTLE GHOST SONG – Anna Madia
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su tavola in grandi dimensioni è
abbastanza impegnativo a livello pratico:
questo è uno dei dipinti più grandi che ho
realizzato negli ultimi anni. ‘Little ghost song’
è il titolo di una canzone di Nick Cave.
La figura è colta in un momento di intimità
domestica e malinconica. Molto spesso i miei
personaggi non sono colti in azione, pensano,
riposano o guardano lo spettatore.
Gli occhi sono parte importante del mio
lavoro, dedico ad essi grande concentrazione:
la messa a fuoco ruota intorno ad uno
sguardo e alla luce che brilla all’interno di
una pupilla: il resto è spesso sfocato, quasi
non finito per non disturbare lo spettatore da
ciò che realmente conta: il silenzio in
movimento di ogni soggetto.
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Giuditta N° 2
La
situazione degli artisti italiani è a mio
giudizio un po’ precaria…purtroppo la moda
estereofila tipica del nostro paese non ci
permette di emergere come dovremmo.
Siamo costretti a tentare la sorte all’estero:
nei miei immediati progetti, sarò a Londra e
a Parigi. Da noi mancano le cosiddette
residenze d’artista, mentre ad esempio in
Francia ogni cittadina ne organizza una.
Non siamo tutelati…l’arte , la cultura sono
una grande risorsa per un paese, e invece noi
siamo costretti ad andare via per sperare di
crescere e di maturare artisticamente.
Ci sono in effetti dei concorsi o cose simili,
ma non bastano. Personalmente, a questo
punto del mio percorso posso dire di aver
ricevuto consensi
e opportunità; tuttavia
sento che solo andando via e scambiando
idee con altri artisti potrò maturare e
arricchire il mio lavoro. La tendenza è a star
da soli, a non far gruppo, ma sono convinta
(almeno per quanto mi riguarda) che solo
entrando in contatto con altre realtà sia
possibile dare maggior forza e poesia…
Anna Madia
AUTORITRATTO CON LE TRECCE – Anna Madia
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Giuditta N° 2
Fragmentart
L’artista Orodè ci racconta di sé, della sua esperienza
a Vincent City e della sua tecnica a mosaico
Ho
sempre disegnato! Da piccolo, chino alla
scrivania, ero lì a disegnare tartarughe e
pesci. E poi a ricopiare, ricopiare di tutto.
Quando mi trasferii a Perugia per studiare
Filosofia padroneggiavo già varie tecniche di
disegno. La mia preferita era quella di
disegnare senza guardare il foglio bianco,
osservando solo il soggetto o la modella. Ciò
mi permetteva di creare delle prime linee
molto energiche, su cui poi intervenire con
ricalchi e colori, col mosaico etc.
Ho studiato disegno sui nudi di tutti i grandi
ma l’innamoramento più grande è stato per le
nudità di Klimt e Schiele.
Molto ho appreso dalla mia terra, il Salento.
Ritengo tuttavia che i miei migliori maestri
siano i miei miti. A questi aggiungo la
ribellione di alcuni miei amici, per i quali vale
l’incipit di “Urlo” di Allen Ginsberg:
“Ho visto le menti migliori della mia
generazione distrutte dalla pazzia, affamate
nude isteriche, trascinarsi per strade di negri
all'alba in cerca di droga rabbiosa,
hipsters…”
MODELLA 23 – Orodè
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Nel 2000 mi trasferisco nella casa-museo del
pittore e scultore Vincent M. Brunetti, a
Guagnano (LE). Dopo aver cercato per anni
un posto simile, realizzai finalmente il sogno
di “bottega rinascimentale” e aggirai tutte le
trappole del “sistema” per una performance
di due anni e mezzo, durante la quale
realizzai oltre 250 metri quadri di opere
uniche al mondo sui muri interni ed esterni
della casa-museo. Utilizzai ceramica, sassi,
specchi, luci elettriche ed oggetti personali.
La pratica del mosaico mi è sempre stata
congeniale.
La
sua
bellezza
dipende
dall'energia
creativa
dell'artista
e
di
conseguenza dalle emozioni che provoca.
Il mosaico è oggi considerato una forma
d'Arte minore. E' l'ennesimo tabú, l'ennesimo
pregiudizio. Una volta ho avuto una
discussione con un pittore e professore
dell'Accademia delle Belle Arti di Biella:
continuava a dire che “si tratta non di Arte
ma di arte applicata".
Credo sia abbastanza scontato dover
giudicare un'opera dalla sua bellezza e non
dal genere in cui qualcuno l'ha catalogata.
Che importanza ha il mezzo, se attraverso il
mosaico riesco ad esprimere la mia anima?
TRIONFO DI BACCO – Orodè
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Che
cos’è il dire? Intendo il dire del poeta,
come il dire del pittore e dell’uomo.
Esso è nel Rimbaud che, a 21 anni, smette di
scrivere poesia e fugge dalla poesia scritta,
dicendo ch’è “merda”; è in Tim Buckley,
quando compone i suoi testi, trova le
musiche e dà vita alla sua voce; è in Miller,
quando si butta per strada a Parigi.
Alla scoperta! “En marche! En marche!”
Questa l’immagine che ho da sempre,
l’immagine maestra, la terra cui voglio far
ritorno e per la quale opero. Una terra
necessaria e libera. Una terra vera. Una
lingua vera. Non una lingua in costume,
omologata ai tempi televisivi, per giunta. Ma
una lingua coadiuvata da tutti i sensi, con gli
occhi che possono supplire alla voce, perché
specchio dell’anima.
E se così ridotti tracciamo dei segni su una
superficie
probabilmente
non
stiamo
perdendo tempo né ne rubiamo: è Arte!!!
Orodè
Orodè
KEYBEE – Orodè
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Between Black and White
Stefano Bonazzi, giovane artista di Ferrara,
rivendica la dignità del’arte digitale.
Ogni
mio lavoro è intriso della prospettiva
con la quale affronto la vita: una visione
disillusa e cinica che mi porta a concentrarmi
sugli aspetti negativi delle cose.
Questo mio modo di osservare la realtà non
vuole però essere un disincanto fine a sé
stesso, ma piuttosto un punto di vista
alternativo al buonismo diffuso e alla falsità
di fondo costitutivi della nostra società.
Il mio percorso creativo si snoda attraverso la
rappresentazione di stati d’animo tormentati,
ma mai definitivi. Mi affascinano le infinite
sfumature intermedie che colorano il nostro
vivere contemporaneo; amo i grigi, piuttosto
che il bianco e nero.
I sentimenti di inquietudine e disagio, che
appartengono in qualche modo a ognuno di
noi, così come l'approccio che abbiamo nei
confronti della morte, tematiche così
abitualmente occultate da una società che
dipinge sé stessa come eterea ed onnipotente,
sono i punti centrali attorno ai quali ruota il
mio lavoro.
COMA WHITE – Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2
Con
la coppia di lavori “The last day on
earth” ho tentato di esasperare la sensazione
di isolamento che la società moderna può
creare in un giovane.
La maschera a gas è simbolo di protezione
non verso la minaccia ambientale ma verso
quella umana.
I ritmi ossessivi, l’invadenza dei media (la
televisione ai piedi della ragazza), le pressanti
scadenze
quotidiane,
la
necessità
di
assumere continuamente delle maschere per
integrarsi nei rapporti sociali spingono i
giovani ad isolarsi sempre di più, fino ad
entrare in uno stato quasi catatonico e a
perdere il contatto con la realtà.
La necessità di rappresentare anche una
controparte maschile nasce dalla curiosità di
approfondire il discorso di queste “lande
desolate” dell’emarginazione.
La rosa che il ragazzo tiene in mano non è
un’offerta per la donzella dell'opera a fianco,
bensì un pegno per se stesso. Una sorta di
s.o.s. al maschile che non riesce comunque
ad ottenere riscontro, se non dagli uccelli che
svolazzano avidi di cibo e di idee sopra la sua
testa.
THE LAST DAY ON EARTH – Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Occorre
un nuovo modo di pensare e di
avvicinarsi all'arte. La perdita d'importanza
dell'artista-demiurgo, che firma e santifica ciò
che produce, rende necessaria un‘arte più
“user friendly”, un’opera che possa essere
compresa, scambiata, condivisa e fatta
propria da chiunque in tempi relativamente
brevi. Questo implica anche una nuova
concezione del pubblico, non più oggetto da
aggredire o da istruire, ma soggetto da
coinvolgere attivamente nel processo creativo
digitale. Le competenze tecniche tradizionali,
necessarie per stendere il colore ad olio in
modo corretto su una tela, possono, a mio
parere, essere equiparate agli anni di
apprendistato che impiega un disegnatore per
padroneggiare un software complesso come
Photoshop o Maya. Non importa il metodo di
realizzazione, la qualità dei materiali o il
curriculum dell'artista, l'importante è che
l'opera susciti emozioni in chi ne fruisce, viva
di vita propria grazie al messaggio di cui si fa
portatrice, questo è per me l'unico scopo
dell'arte.
Stefano Bonazzi
A BAD DREAM – Stefano Bonazzi
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Un respiro chiamato arte
Per Claudia Amadesi, pittrice e grafica nata ad Erba,
l’arte è un bisogno irrinunciabile, quasi fisiologico.
La
mia passione per la pittura è iniziata
prestissimo. La scelta per l’Istituto d’Arte è
stata
semplice,
l’alternativa
era
il
Conservatorio; a canto e pianoforte ho
preferito il disegno. Mi ci sono buttata così,
senza sapere niente, come allora succedeva,
scegliendo la sezione “Decorazione pittorica”.
In quei cinque anni ho imparato e fatte mie
tante tecniche e ho iniziato da subito a
sperimentare. Oggi è fantastico, penso ad una
cosa e la realizzo direttamente con il mio
mitico mac. Direte: con l’arte che cosa ha a
che fare? Beh, io mi divido continuamente fra
manualità totale, quando dipingo, e il digitale,
quando invece lavoro creando immagini con
photoshop. Nel 1990 sono entrata a far parte
di un gruppo artistico che mi ha insegnato
tanto, grazie a persone interessanti e capaci
di svolgere il loro lavoro in maniera
professionale. Lo stimolo di mostre e di temi
su cui lavorare ha poi fatto nascere in me la
voglia di crescere e di confrontarmi con il
pubblico, ed è stato un successo.
MATERNITA’ – Claudia Amadesi
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“Flamenco e ventagli” è uno dei quadri di
una lunga serie dedicata alla Spagna, che
amo
profondamente;
grande
motivo
d’ispirazione e gioia. Ho dipinto corride,
sevillana, flamenco, donne sensuali che
propagano la loro energia vitale con i colori
della terra e il rosso, passione, calore e
amore.
Tutti gli oggetti vengono colpiti dalla luce e
attraverso i miei occhi vengono rielaborati e
destrutturizzati per creare Immagini e forme.
Istanti che vengono fissati nella mente,
momenti da liberare sulla tela nell’attesa
della prossima visione.
La danza, la musica, le figure, la natura si
librano dalla mia mente nella tavolozza, per
poi essere "gettate" con impeto sulla tela.
Una sorta di connubio fra alchimia e magia
FLAMENCO E VENTAGLI – Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2
I
quadri più belli li vedo prima come in una
visione; poi, presa da una gran voglia di
dipingere, mi butto sul pavimento freddo,
dove adoro lavorare, e libero la mia mente e il
mio cuore.
Un aspetto che amo del mio lavoro è la gioia
che trasmette agli altri; il colore in primo
luogo è qualcosa che va oltre all'immaginabile
e poi la ricerca della forma, il filo conduttore.
Queste sensazioni le sento nascere dentro,
dal diaframma, e le respiro, le sento alitare.
Non potrei vivere senza assaporarle ogni
giorno.
Claudia Amadesi
“Quest’opera esprime tutta la
dolcezza e la sensualità di alcune
donne che, sulle dune del deserto,
si allontanano verso sera
all’orizzonte, portando dei secchi
sulle testa o fra le mani; tutto
prende il colore del cielo e della
sabbia.”
DONNE DI ZANZIBAR AL TRAMONTO
42
–
Claudia Amadesi
43
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Gilo
“Per uccidere un gigante”
RIFLETTORI
Segnalati per voi:
Per uccidere un gigante (Prosa)
Kain è idolatrato (Poesia)
Spore Esistenziali (Prosa)
I Canti della Luna (Poesia)
Glitterball (Musica)
44
“Ho
cominciato
a
scrivere "Per uccidere
un gigante" nel corso
dell'anno 2000. Non
avevo in mente nessun
tipo di narrazione
organica,
difatti
il
tutto è partito come
una sorta di diario
composto
di
frammenti, dettati più
da
ispirazioni
estemporanee,
piuttosto
che
da
oculate riflessioni.
Il leit motiv del libro è la difficoltà di uscire dalle
problematiche
impedenti
dell'infanzia
(il
tentativo di liberarsi dalla "infiltrazione paterna",
dalla sua violenza di pensieri, parole e azioni,
penetrata fin "nel mio dna"). Il primo passo per
sperare di salvarmi non poteva che essere quello
di allontanarmi da quella falsa rappresentazione
di me stesso, costruita in anni di negazioni,
violenze intellettuali, bugie, silenzi, che portavo
con me – dentro di me.
45
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Per uccidere un gigante”
Le problematiche relative alla sessualità, così
presenti all'interno del libro, non sono che
corollario a tutto questo. E' indubbio che la
nostra Italia sia fatta soprattutto di provincia. Ed
è indubbio che il vivere in provincia ti costringa
spesso a tagliar via interi pezzi di te,
semplicemente perché scomodi. Ma a volte si
creano
incongruenze
così
pesanti,
così
essenziali, tra il personaggio che sei costretto a
rappresentare e la persona che invece sei
veramente, che è inevitabile la crisi, il collasso, la
rottura degli equilibri. Si tratta di occasioni
preziose perché, se cavalcate, possono divenire
importanti veicoli di scoperta del proprio sé,
della
propria
natura
essenziale.
Questa
occasione mi è stata data, ed è anche di questo
che il mio libro tenta di parlare. In quest'ottica,
l'approdo finale del libro non è che un punto di
transito, rispetto alla sua prosecuzione nella vita
di tutti i giorni, e la scoperta della fondamentale
crudeltà e violenza della vita non può che
coincidere con un'importante occasione di
ri-partenza, alla ricerca di nuovi significati e
verso la scoperta di nuova forza.”
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46
Credo
di essere sempre stato così, un
"invertito", intendo. Forse sin dal grembo
materno. Magari sussultavo in presenza di un
aroma inconfondibilmente maschile talmente
estemporaneamente penetrante da insinuarsi
sin nel fluido gorgogliante della placenta di
mia mamma. Magari un'ombra fuggevole di
un profilo marmoreo, colta subitaneamente
in controluce, l'ombra di un bronzo di Riace
appena fuso sulla spiaggia rovente, mi faceva
sognare di giganti in attesa di me nel mondo
nuovo, appena al di là. Magari udivo risate
aperte provenienti da larghe ugole maschili e
queste erano per me la miglior culla e la più
appropriata ninna nanna. Odori, ombre,
risate. Rumori ovattati al grembo materno,
penetrati sino al mio dna fino a renderlo
infatuato di loro. Non sessualità, ancora un
feto, per cui. Solo odori, ombre, risate.
Riuscite a capire? Odori, ombre, risate.
Niente sesso. Sensualità. Consustanzialità
creata per magia. Navigavo in acque sicure,
sicuro di me, del mondo e della sua bontà,
del paradiso che mi attendeva pieno di odori,
presenze, allegria, mascolinità positiva. Pieno
pure di divinità, lontane, irraggiungibili,
47
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Per uccidere un gigante”
“Per uccidere un gigante”
dall'odore di camomilla appena colta,
incomprensibili e volanti, nel ventre di una
delle quali, deliziosa, avevo avuto destino
di incarnarmi.
anche se solamente per lo spazio di un
soffio? E non vale forse la pena di respirare,
soffrire, piangere, struggersi per un’intera
esistenza se anche solo per un momento ti è
data la possibilità di udire cori angelici e
beatitudini voluttuose, come echi risonanti
nel tessuto della normale aria respirata, di
adocchiare l’ineffabile attraverso l’inaspettata
metamorfosi dell’essere che hai accanto,
durante quei pochi momenti in cui i suoi
sacri lombi esplodono il proprio succo vitale
all’esterno, sul lenzuolo, sulla coperta o sul
tuo addome? Magari nella bocca, poi giù nello
stomaco, così che di lui tu serbi particelle in
te, così che una cosa sola sia stata creata e
resa in qualche modo indelebile, seppur
transitoriamente.
Non vale la pena di scendere dal più elevato
dei paradisi per cogliere una fulminea visione
beatifica, pur se anche attraverso il più atroce
degli inferni esistenziali?
*
Eiaculare.
Uno spasmo d’espressione. Uno
spasmo e una contrazione vitale, un gettito
ultraterreno, un prestito misericordioso
misericordiosamente breve, un’allucinazione
che passa come un lampo nella notte.
L’espressione di un divino totale, una
consunzione
maschile
inebriante
e
caramellosa, avvolgente come una spirale e
indipendente come un santone indiano. Un
interludio armonico in una disarmonia
difficilmente interrompibile. Una fugacità
dell’apparizione, un subitaneo spiraglio che si
richiude nel giro di qualche spruzzo estatico.
Un gemito di vita, un ansito animato. E non
varrebbe la pena di spendere un’intera vita
solo che ci sia dato di osservare il fenomeno
anche
un’unica
volta,
di
godere
dell’espressione rapita del proprio uomo
perso in un’estasi ambrata lucente divina
48
*
Il mio caro babbino mi picchiava quando ero
piccolo. Non solo mi picchiava. Mi lanciava
49
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Per uccidere un gigante”
“Per uccidere un gigante”
messaggi continui e questi messaggi mi
comunicavano il totale rifiuto da parte sua
per la persona che ero, la sua totale
idiosincrasia nei miei confronti. L’origine di
tutti i mali, eppure anche l’origine di tutte le
beatitudini, per quanto difficile da accettare
possa sembrare. E se è vero che ti scegli i
tuoi genitori, prima di nascere, un motivo per
il quale io abbia scelto lui deve pur esserci
stato. E se io non avessi subito le sue ire non
avrei potuto essere la persona che sono,
passatemi la banalità, nel bene e nel male.
Non avrei potuto essere dannato, non avrei
potuto essere beato.
le orecchie, ma paradossalmente sereno.
Aveva guadagnato la tranquillità, se l’era
conquistata a fatica nel cuore nero della
notte, una piccola tana calda scavata sotto la
neve d’inverno. Ed era proprio allora che
delle dita invisibili gli s’insinuavano sotto la
pancia. (…)
Quelle mani e quelle braccia incorporee
arrivavano ad impossessarsi del suo corpo,
paralizzato dall’orrore, e dopo che la loro
presa si era fatta solida lo voltavano sulla
schiena, usandogli una delicatezza del tutto
incongruente. Si sottraevano, quindi, e
mollavano la presa, ma ecco che le dita
prendevano ad esplorare di nuovo, stavolta
dietro le spalle, fino a che non afferravano il
bamboccio, ridotto a un paraplegico
stecchito, da sotto l’incavo delle ascelle, e a
questo punto lo tiravano seduto, con
decisione, ma insieme ammantate di una
sorta d’assurda benevolenza. Sì, quelle mani
lo amavano, in qualche perversa maniera.
Rappresentavano i suoi torturatori, eppure lo
carezzavano, quasi a comunicargli tenerezza,
con la lampante immoralità di quella
profusione d’affetto che si stemperava in una
melassa maligna. Si sforzava di serrare gli
occhi, di tenerli chiusi stretti, ma ogni volta
una forza inusitata e che non proveniva da lui
lo costringeva ad aprirli, così che non c’era
resistenza che tenesse, e quello spettacolo,
alla fine, era davvero tutto per lui. Il buio
progressivamente si stemperava, mentre la
luce cresceva d’intensità ad illuminare con
sempre minor compassione la scena. Un’alba
mortifera, poi una mattina morbosa, infine
50
51
*
Dormiva. Bocconi, le coperte tirate fin sopra
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Per uccidere un gigante”
un mezzodì atrocemente sibilante.
Era una luce livida e accecante, sibilante
come ghiaccio azzurrino, capace di saturare
di sé ogni anfratto, ogni più piccola
insenatura, ogni zona d’ombra, così che tutto
appariva netto, quasi doloroso nella pienezza
della sua sostanza fisica. Era una luce capace
di fischiarti nelle orecchie, di farti gocciolare
il sangue dal naso, d’insinuartisi all’interno
del cranio in stiletti affilati e gelidi, di
strapparti alla vita e precipitarti in un inferno
fatto unicamente di ghiaccio secco, tagliente e
putrido. E quando tutto era svelato, ecco che
prendeva avvio un concerto stridente, un
tintinnare discordante di campanelli, a
provenire dalla soffitta, che apriva il proprio
pertugio proprio di fronte a lui, poco sulla
destra. Arrivava come in una cascata di
migliaia di piccoli sonagli dissonanti, prima
solo la loro eco in lontananza, poi sempre più
vicini, fino quasi a rimbombare nel cervello e
nelle ossa, in una stridente sinfonia percepita
d’anima, più che d’orecchio.
Infine Lui si presentava, superbo nella sua
oscenità dai mille volti.
Gilo
52
Giovanni Carbone e Andrea Siniscalchi
“Kain è idolatrato”
“E’ questa la nostra
prima fatica letteraria,
miscuglio più o meno
omogeneo di pensieri
e
ideologie
legate
strettamente
a
emozioni particolari
in
particolari
fasi
esistenziali,
pubblicato nel gennaio
2008 da editrice Lulu.
Questa “raccolta di
poesie”
racchiude
momenti di estrema
elevazione e altri di
ineluttabile declino, che tracciano scie parallele
per l’uomo e la propria anima, e partono dal
lontano 2005, anno in cui iniziammo a gettare i
primi abbozzi, alla fine del 2007, in cui ci
avviammo
a porre
in essere la sua
pubblicazione.
I temi che si mescolano e prendono vita in
questa nostra opera sono svariati: gli assoluti
ideali di Memoria e Coerenza, l’ambivalenza fra
53
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Kain è idolatrato”
il bene e il male nel mondo e all’interno di ogni
uomo (come testimonia la stupenda opera di
Giorgio Galotti dal titolo “Caino e Abele” che è
soggetto della nostra copertina), la lotta alla
piattezza e alle banalità della società, il non
arrendersi a un destino che sembra già scritto,
la lotta per i propri sogni.
Ma anche il tema del viaggio come crescita e
metafora di vita, il tema dell’amore posto in vari
suoi aspetti (dalla perdizione all'estasi), il tema
della vita e della morte, la grandezza dell’ arte e
di Dio e vari altri temi che rappresentano spunti
di ispirazione o esperienze di vita vissuta.”
> “Voltati padre”
> “Metamorfosi”
di Andrea Siniscalchi
di Giovanni Carbone
* Gli autori parlano della propria formazione.
* “Memoria e Corenza” di Andrea Siniscalchi
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Voltati padre
Non andare via...
Non voltarmi le spalle...
Lo so che ti ho deluso
Lo so...
Rispondimi ti prego
il tuo nome è sacro ancora per me
ti imploro,
voltati e sorridi
come al tempo in cui ti vidi
nel mio più bel sogno.
Padre,
regalami anche ora la tua fiducia
come un soffio magico.
Sei lontano
e io sbatto i pugni a terra
in cerca di dolore...
Sei lontano...
e non mi ascolti
non odi la mia angoscia
è un’altra prova?
Oh, si...
Oh Dio...
Fa che sia solo un’altra prova
I lineamenti della tua sagoma
si fanno più lievi
più invisibili.
Soffrirei in eterno il fuoco dell’abisso
in cambio di una tua maledizione.
Andrea Siniscalchi
54
55
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Kain è idolatrato”
“Kain è idolatrato”
Metamorfosi
Gli autori parlano della propria formazione.
Sono sdraiato
con gli occhi a un tappeto di stelle
mentre la città si pettina per la notte
vestendosi da puttana
per vendersi a qualche passante
il re dei topi è padrone del mondo
brindisi di decadenza
si avvelenano le sue strade
con assordanti risate
ceneri di civiltà
un Cristo lapidato
la sopravvivenza è sovversiva la notte
noi non alziamoci
...e adesso dormi.
Giovanni Carbone
56
Ciascun
uomo, e in particolare ogni artista,
nel suo percorso di crescita e di
appesantimento delle proprie ali si nutre
dell’influenza di innumerevoli fattori che,
simili a scalpelli, gli decorano l’anima.
Ognuno di noi ha avuto un percorso diverso,
anche se le nostre strade si sono incrociate
più volte e spesso abbiamo avuto simili
ispirazioni.
Da un punto di vista artistico, sono svariate
le influenze che si sono accalcate sulla nostra
penna, e di diversa origine, da maestri come
De Andrè a scrittori come Sclavi e Moore, da
filosofi come Talete di Mileto e Nietzsche a
poeti come Baudelaire.
Ma ancora prima, e soprattutto più
intensamente, le cause che ci hanno
"costretto" a scrivere non derivano da
personaggi
storicamente
fondamentali,
tantomeno noi abbiamo seguito (almeno
consapevolmente) passi già percorsi o idoli
grandi per oggettività. Ciò che aiutato la
nostra formazione scaturisce dalla "normale“
vita di ogni giorno e dagli svariati rapporti
57
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Kain è idolatrato”
“Kain è idolatrato”
umani che immancabilmente in essa vi si
intrecciano.
Sguardi, sorrisi buoni e cattivi, immagini
mitiche trasfigurate dalla nostra personale
visione delle cose, amore spicciolo poche
volte cancellato dalla vera luce del suo senso
assoluto e il dolore che ne consegue in una
plurivalenza di forme. Forse, però, è proprio
un vago senso di tristezza e d'inappagamento
a provocare la repulsione ai canoni
esistenziali della vita comune, e alle emozioni
comandate da momenti già scritti, a farci
ineluttabilmente vedere il mondo e i
significati nascosti con diversi colori.
E' proprio questo dilagare di delitti
inconsapevoli e stragi quotidiane a spingerci
a credere che qualcosa di più grande, per la
quale combattere e combattiamo, deve
esistere. Credo che la base della nostra
formazione risieda nell'estrema coscienza
dell'importanza di valori supremi che ogni
giorno impotenti vediamo sfiorire, dissiparsi
ed esplodere dinanzi a una superficialità che
li sfiora senza coglierli e una realtà che li
tiene in catena, troppo lontani dai nostri
occhi.
Memoria e Coerenza
58
Ciò
che ora vorremmo trattare, premesso
che è un tema a noi caro, non va confuso con
una
banale
alternativa
adolescenziale
tantomeno con una pura astrazione filosofica,
come si potrebbe supporre dal titolo.
Ciò cui l'uomo tende durante la propria
esistenza, in particolare colui che si ritiene
un artista, è di realizzare uno scopo che sia
per se stesso giusto o, almeno, che appaghi
una parte del suo essere. La quasi totalità
delle persone, raggiunta la maggiore età, è
convinta di avere chiara la suddivisione della
vita in cose utili e in cose superflue,
rifuggendo in questo modo sogni e idealità, a
favore di scopi razionali che lo inducono
inevitabilmente a condurre le proprie
giornate all'insegna di una inconsapevole
sopravvivenza.
Il solo modo che abbiamo di "sopravvivere
consapevolmente", risiede negli ideali della
Memoria e della Coerenza. La Memoria, per
iniziare, non va presa come "capacità di
ricordare", ma come riflessione organica delle
personali vicissitudini esistenziali e va usata
come strumento per dare senso ad azioni e
59
Giuditta N° 2
“Kain è idolatrato”
sentimenti passati e fare luce sulle trascorse
parti oscure della nostra coscienza.
La Coerenza di conseguenza, non deve
indurre a perpetuare i propri errori fino
all'estremizzazione di essi, ma al contrario,
riassumere tutto ciò che di buono scopriamo
nel passato per trasportarlo modificato nel
presente, senza però mai cambiarne le basi.
Questo che può sembrare un gioco dialettico,
nella schietta razionalità, si traduce con la
vita di tutti, ogni giorno.
Dalla conscia fusione di Memoria (per dare
significato al proprio io passato) e Coerenza
(per dare significato ai passi futuri) si può
elaborare
una strategia vincente per
costruirsi un sentiero personale che noi
potremmo percorrere senza essere deviati
dalle catene invisibili quotidiane che la realtà
c'impone, e la società trascina tra dolci
sorrisi e ipnotiche carezze. Questa per noi è
una strada dolorosa, ma è l'unica possibile
per non sprofondare nella tristezza di un
sogno sacrificato per un falso idolo di nome
"Destino". Speriamo di riuscire a scrivere
altri libri di poesie, di ridere alle battute e di
commuoverci nel vedere l'ultima puntata di
un cartone animato...
Andrea Siniscalchi
60
Giuditta N° 2
Marcella Campo
“Spore Esistenziali”
“Un giorno qualcuno
mi fece intendere che
uno
scrittore
sa
sempre cosa scrivere,
riesce
sempre
a
produrre qualcosa da
far
leggere
a
chicchessia.
Anche
quando non è in stato
di
grazia creativa.
Anche
quando
l’ispirazione
non
spinge sui tendini che
legano le sue dita.
Bene. Dunque io non
sono una scrittrice. Io sono solo bulimica di
parole. Ingoio, senza pausa, pensieri incatenati,
incrociati come lavori a maglia, confezionati da
mani esperte di ferri e filo. Ingoio dicevo. E poi
vomito,
senza
conoscere
sosta,
parole
inzaccherate. Vivo tra un mucchietto di parole
accatastate alla bene e meglio: non riesco a
metterle nel vostro ordine. Conosco solo il mio.
Il loro. E questo seguo, perché è l’unico
linguaggio interiore che conosco.
61
Giuditta N° 2
Non trovando un’unica parola già in uso
attraverso i canali di scrittura per descrivere la
forma e il sapore (alcuni armati di ottime
speranze lo chiamerebbero stile) dei pezzi
all’interno di questo mio libretto, ho deciso di
definire le mie composizioni qui presenti
«spore». La maggior parte di esse non sono
poesie, non sono racconti, sono brevi brani
scritti in prosa che hanno uno spiccato gusto per
l’immaginifico, ritratti abbozzati di scene in fieri.
Frammenti.
Le spore, in quanto cellule disidratate, mi hanno
sempre affascinata, poiché sono in grado di
disperdersi nell’ambiente per resistere a
condizioni avverse e, successivamente, generare
un essere vivente in habitat più adatti. Credo la
parola «spore» descriva in modo calzante i miei
componimenti.
E, preso per intero, questo mio lavoro può
essere definito un libro di ricordanze.”
>
>
>
>
Feticcio
Due centimetri di distanza
Entra in scena la dama nera
Classe, presunta
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62
Giuditta N° 2
“Spore Esistenziali”
Feticcio
Sulla pelle della spalla: il tepore morbido
delle labbra. L’alito dolce, che si posa lieve e
poi svanisce nel ricordo.
Un riflesso allo specchio mi guarda, cercando
di sfumare il perimetro delle ombre sui
contorni del mio volto.
Capelli raccolti con pettini di legno laccato
bianco.
Mani che si muovono concitate.
Compulsivamente le dita tagliano pezzi di
carne di pollo in bocconcini piccolissimi,
sfilacciandoli su un piatto. Il rumore delle
posate d’acciaio sulla porcellana.
Alzo la testa. Io non mi vedo. Io non ci sono.
Sollevo le palpebre con forza. Inarco le
sopracciglia, sembrano archi ad ogiva.
Spalanco gli occhi. Ma continuo a non vedere.
È come se mi avessero conficcato due gemme
di granato nelle orbite.
Mi trucco senza guardarmi. Sfioro il mio viso
per stendere polvere di talco.
Mi fermo al primo tocco. La bocca si allarga
sbigottita.
Ho una maschera incrostata sull’epidermide.
63
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Spore Esistenziali”
“Spore Esistenziali”
Due centimetri di distanza
Entra in scena la Dama Nera
Ciak. Si gira.
Stacco di gambe vertiginoso. Minigonna di
jeans. Cosce nervose. Camminata incerta su
trampoli scintillanti. Terzo occhio trapanato.
Schegge d’osso piantate nella carne, pelle
appesa a grucce spigolose. Non c’è luce nei
vostri occhi subacquei. Solo montaggi di
scarti di scene. Sorrisi marci.
Poi mi guardi e mi trafiggi. Gelosia indotta.
Non sei mai stato tanto bello quanto stasera.
(È Lei che mi ha truccato il viso.)
Mi si avvicina nel sonno, adornata da un
lenzuolo nero, si fa scivolare addosso tessuti
soffici che preannunciano un annullamento
pacifico.
Con le Sue candide dita stende sotto i miei
occhi della terra chiara, polvere iridescente.
Mi prende il viso tra le mani e mi bacia la
fronte. Mi sta benedicendo.
Mi accarezza. Delicata. Impercettibile il Suo
respiro mentre dischiude le labbra per
comunicare un silenzio notturno. È
bellissima. Spaventosamente attraente.
Dal basso, si propagano onde brevi. Sento
brividi percorrere un corpo che non posso
più gestire, soggiogato alla Sua volontà. Mi
guarda. Sorride. Calma.
Si allontana poi.
Dunque posso riappropriarmi della
lucidità del mio sguardo.
64
65
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Spore Esistenziali”
“Spore Esistenziali”
Sento un formicolio agli arti, intorpiditi.
Non mi guardo attorno. Respiro lentamente.
Sommessa. Sollevo le palpebre.
Fisso l’immagine proiettata nello specchio
che ho di fronte.
Ho del bianco sotto agli occhi.
Lo levo con i polpastrelli: è cipria che
profuma di rosa canina.
66
Classe, presunta
Seducente mi versi vino al metanolo in calici
di cristallo. Devo guardare il conflitto con
palpebre che sogghignano, altrimenti riesci a
picconare tutte le mie certezze. I disastri del
silenzio sono annientanti. Sublimi, le sue
cieche delizie.
Respiro polvere di gesso. Soffoco sorridendo.
Tienimi - ti prego - tienimi.
Io sono operatrice di mistificazioni. E tu sei
notaio di efferatezze.
Incendiami di urla isteriche.
Disperdi silenziosamente lacrime di cenere,
che svaniscono nell’aria che si solleva come
un velo d’organza.
Vittima, attratta ed invaghita del proprio
carnefice, mi abbandono a visioni distorte da
fumi viola.
Sei l’ombra di Morfeo che, morbida, si flette
srotolandosi al suolo, rincorrendo i passi di
un corpo delittuosamente ignaro del proprio
destino.
Seguo attentamente il procedere degli influssi
della sfera onirica sul reale: sono proiezioni
che alterano le mie fibre concrete.
67
Giuditta N° 2
“Spore Esistenziali”
Sogno. E mi sveglio. Voglio solo i tuoi occhi,
quegli occhi che mi scuotono, - non altri.
Mi sto prostituendo all’abbraccio di uno
sguardo.
Così, interrotta, ora, mi sento una crisalide.
Marcella Campo
68
Giuditta N° 2
Amaranto
“I Canti della Luna”
“Presento
il
mio
primo
percorso
poetico, intrapreso nel
periodo
primaverainverno
2006;
un
'diario in versi' nel
quale è cantato tutto
ciò che in quei mesi
ha attraversato i miei
pensieri e i miei
sentimenti.
La struttura si articola
per fasi lunari; la mia
voce nasce ingenua e
resta pudicamente
distaccata dall’oggetto del canto per buona parte
della prima metà della raccolta.
Superato il simbolico plenilunio, la semplicità
dei primi versi si corrompe, lasciando spazio ad
una vena cupa e tormentata, carica di sofferenza
ma anche di maggiore consapevolezza. Poesie
come ‘Asso di Spade’ inscenano il conflitto,
ricorrente nella raccolta, tra le ultime speranze e
le sempre più aspre delusioni che un adolescente
ormai diciottenne può subire.
69
Giuditta N° 2
Giunto il ciclo lunare alla sua conclusione, ormai
conscio di essere pari all'Albatros di Baudelaire,
rois de l'azur nei versi ma gauche et veule nel
confrontarmi con una società con la quale
semplicemente non so comunicare, cerco
all'interno di me stesso una sorta di regola di
vita,
un’ancora
che
mi
possa
salvare
dall'insensatezza della mia condizione.
La raccolta è carica di suggestioni oniriche ed
esoteriche; si può leggere pertanto come una
sorta di autoiniziazione, un occulto rito di
passaggio volto a condurmi verso la maturità
emotiva ed artistica.”
>
>
>
>
>
Il Canto della Luna
Piacere d’amore
Estate
Asso di Spade
Saggezza
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Giuditta N° 2
“I Canti della Luna”
Il Canto della Luna
Chiudi gli occhi.
Il sole è orgoglio
E violenza.
Lascia al fuoco la guerra
Lascia a terra le radici
Lascia all'aria il pensiero,
Come prima
Che potessi respirare
Ma l'acqua:
Non senti la luna?
Canta.
Senza violenza
Senza staticità
Senza doppiezza;
E la forza della sofferenza
In una parola che
Attende
Vuol essere scoperta.
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“I Canti della Luna”
“I Canti della Luna”
Piacere d’amore
Estate
La fiamma
Tra i capelli
S'insinua fino a terra
E scivola sinuosa
Tra i petali di rosa
La nostra sicurezza
Ci guida nell’attesa:
Assurda
Seguirà la morte
Tremenda
Nel suo eterno essere
E noi
Guardandoci
Perderemo
L’attimo
Fugaci
Di rugiada
Troppo deboli nel fuoco
Per opporci
Sorridi
Con occhi pieni
D'amore…
Niente è più
Dolce, che la nostra
Casa…
E il fumo
Ci cancellerà
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“I Canti della Luna”
“I Canti della Luna”
Asso di Spade
Saggezza
Oggi le parole non mi sfogano:
Cucimi le labbra
Con fili di ferro
E spine di rosa
Voglio mostrarti
Come si soffre
Secco pensare
E secco parlare
Perché l’acqua non scende da mesi
Elettrico vivere d’impulsi
Mentre atterro nel profondo del deserto
Ed è saggio non averne paura
Temperando vecchie acque in nuove
Brocche
Tu volgi gli occhi a terra
Mentre sfoderi spade
Non tue:
Rovesciati le viscere
Per scoprire tra le
Mani questi chiodi
E continuo il cammino
A piedi scalzi:
Nella sabbia si riflette la mia luna.
Amaranto
Disarmonico parlare
Alla mente senza cuore;
Contro il freddo
Metto il freddo del mio volto.
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“La band si attiva nel 2007 (sebbene i tre
suonassero insieme già da alcuni anni),
collezionando un bel numero di concerti, anche
su grandi palchi, principalmente nella zona del
centro sud Italia. Iniziano a lavorare sulla
composizione dei pezzi, con un’attenzione
particolare agli arrangiamenti e alla ricerca delle
soluzioni più ‘adatte’ per ogni brano. Comincia a
definirsi un sound rock, che strizza l’occhio a
quello d’oltremanica; viene scelta la lingua
inglese, per una questione di sonorità e per
accedere ad un pubblico che potesse trascendere
i confini nazionali. I testi variano da un
contenuto ‘impressionistico’ e psichedelico a
temi più concreti, come la verità nascosta dai
mass media, lo sfuggire di mano della vita, la
dipendenza da internet, fino a storie surreali.
Il susseguirsi molto veloce degli eventi, la
continua produzione di nuovo materiale, un
buon successo nei live, e proposte di produzione
da parte di etichette indipendenti hanno portato
la band in studio per la realizzazione del loro
primo Cd, registrato in parte negli studi
‘Melaesse’
con
Molecola
(fonico
dei
Tiromancino); attualmente il lavoro è in fase di
completamento. Titolo : I want the sun!”
I tre ragazzi sono convinti
che la “palla glitterata” sia
un logo veramente cool;
raffigura, nei sue mille
psichedelici colori, tutte le
sfumature del rock a cui
non vogliono rinunciare,
per riservarsi la possibilità
di sperimentare tutto ciò
che aggrada il loro gusto.
ASCOLTA QUATTRO TRACCE DEL LORO EP:
Giovanni Lanese / Barbara Sica / Simone Antonini
(Voce e chitarra) / (Basso – loop station) / (Batteria)
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http://www.myspace.com/glitterballband
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Il mantello
di Sandra Carresi
Un racconto misterioso e sospeso; vita e morte,
talvolta, oltrepassano i confini della ragione.
INCANTI E
TORMENTI
Il cuore dello scrittore emergente
in formato digitale
Sandra Carresi
Ana
Nikirai
Maria Cristina Impagnatiello
Gilo
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Stava
per andare a letto. Un silenzio
notturno avvolgeva la casa. Con la mano
afferrò leggermente il lembo della coperta
affinché il corpo stanco potesse giacere in
quel letto solitario che odorava di bucato e
che attendeva solo Lei. Ad un tratto, prima di
entrare, sentì alle spalle un calore
insolito, qualcosa di caldo e di soffice le coprì
il corpo chiuso nella camicia di mussola.
Dania non si rendeva conto di che cosa
potesse essere. Lo specchio, di fronte, le
rimandava l’immagine di sempre, una donna
ancora giovane, minuta, dai lineamenti dolci
e delicati, stanca e spettinata.
Eppure quel calore le dava un’energia che
cinque minuti prima non aveva; la cosa la
spaventò. Se avesse dovuto descrivere che
indumento fosse quello che sembrava
cingerle le spalle, avrebbe potuto definirlo un
mantello di soffice velluto, qualcosa di scuro,
forse il nero, con un gran fiocco di raso che le
stringeva la gola, quasi a farle mancare il
respiro.
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Però era piacevole e le dava dei brividi che
certo non erano di freddo ma assomigliavano
molto a certi preliminari di un tempo forse
non lontano, ma non più praticati, anzi,
dimenticati. Con una scossa di spalle, finì di
aprire il letto ed entrò tirando su le coperte
quasi a coprirne la testa. Non voleva
ricordare niente, adesso era solo uno
strumento adatto solo al lavoro, fuori e
dentro casa.
Dentro il letto, le cose peggiorarono o
migliorarono, a seconda dei punti di vista. Il
calore del mantello adesso l’avvolgeva tutta,
dalla testa ai piedi, niente escluso. Pensò di
prendere una pillola per dormire, tanto,
l’indomani
avrebbe
potuto
rimanere
lì anche fino a mezzogiorno; niente lavoro.
Non riuscì ad alzarsi, una forza sconosciuta
la faceva rimanere immobile. A quel punto, si
arrese. Restò immobile nel letto, e lascìò
andare il suo corpo libero verso quel calore
conosciuto, accantonato, mai dimenticato.
Sognò, desiderò e amò. Il sole del mattino
non vide il suo risveglio, scaldò un corpo
ormai freddo.
Dissero tante cose. Che il suo volto era
sereno, che se ne era andata nel sonno, che
era nel suo letto con la camicia di mussola e
trina e che l’unica cosa strana, chissà perchè,
in una notte calda di metà maggio, dentro il
letto, il suo corpo fosse avvolto da un
mantello di velluto nero, legato da un nastro
di raso al collo, come un’antica dama pronta
per un incontro galante col suo uomo,
quell’uomo che aveva lasciato questa terra da
ormai cinque anni.
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Sandra Carresi
Giuditta N° 2
Poesie
di Ana
Immagini cristalline e fulminee caratterizzano
le composizioni di Ana; ve ne offriamo un assaggio.
UNA MAGIA
Colorerò il fango sotto i miei piedi
di splendenti tinte di brio
finché
una magia
lo renderà polvere d’oro.
*
IL BIVIO
Dopo il bivio
un solo percorso
incatenato.
Pochi fiori
che presto appassiscono.
E rovi.
Sassi taglienti,
occhi volti al sole,
nessuno svincolo dopo il bivio.
Giuditta N° 2
ARCOBALENO
Cavalcando i tuoi colori
scalo il cielo.
Tu squarci le nubi,
io scivolandoti addosso
sento dentro la vita.
*
SU DI TE
La mano sui fianchi
a guidarmi
come al buio a trovar casa.
Rapita
dalle tue dita curiose
ti seguo.
*
DESIDERIO
Mi spoglio
del tempo rimasto sulla pelle,
vestito di granito.
Nuda,
morbida
t’indosso, desiderio.
Ana
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Necessità impellente di una
rieducazione forzata di Nikirai
occhi indulgenti di papà, di sentirmi sporca,
di sentirmi euforica ed impaziente, di sentirti
muovere dentro di me, di sentirmi.
Di allontanare quest'apatia andante, di
costruirmi una capanna con le sedie e le
lenzuola... questa iniziazione intellettuale mi
ha forato lo stomaco, stomachevole è il
distacco... lo senti fin dentro le narici, e non
puoi
che
vomitare…rito
propiziatorio
camuffato fra favole in audio cassetta e
peluche tutti dentro un grosso scatolone
impolverato e ben conservato tra la trachea
ed il culo, in cerca di un gatto sporco e
malandato da adottare. ho una necessità
impellente di una personalità di marmo
massiccio bianco e rosa, di piangere, di
scopare, di una forzata rieducazione.
Un inno disperato all’infanzia perduta
e ai suoi irrinunciabili, impossibili ricordi
avrei
bisogno di stare al buio, di non vedere
né sentire nessuno, di parlare col mio gatto e
di annuire alle sue orecchie appuntite che tira
dietro alla testa non appena sente un rumore,
di una spremuta d'arance, di ricordare il
rumore dei pacchetti di fruit-joy che
mangiavamo tutti in una volta nascosti sotto
la scivola, di sentire l'odore delle figurine
quando le stacchi e le riattacchi con
meticolosa precisione e saranno sempre un
po’ storte, ho bisogno di far pipì davanti ai
garage
perchè
ci
rimproveravano
se
giocavamo a nascondino su e giù per le scale,
di succhiarmi le campanelle. ho bisogno del
cimitero per le formiche e per gli uccellini, di
chiudere gli occhi e vivere al buio, di vedere
lady oscar per una giornata intera, della
ragione e del non-senso, di mangiucchiare i
piedi delle barbie, sotto il letto per scappare
dai rimproveri o dalle punture, di mia madre
che mi rincorreva per tutto il balcone
fingendo di non riuscire a prendermi, degli
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Nikirai
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Giuditta N° 2
Chiamalo pure flusso
di coscienza di Nikirai
La lotta della scrittrice contro la sorda ipocrisia
di chi tenta malamente di arginare sè e gli altri.
cara la mia dottoressa "freud", con la f
minuscola.
Giuditta N° 2
sulla punta delle scarpe lucidate il tuo naso
adunco cerca una risposta
parli come se bastasse dire no perchè le cose
cambino. invece così si controllano, cara la
mia rachitica freud
stenditi e fissa tu intensamente il soffitto
-sedersi sul lettino è ormai obsoleto, che ne
dici?-
-cosa vedi-
(obsolèscere.. obsolèscere.. obsolèscere..)
una donna che fruga nella sua borsa
falso tono di convivialità... mi dà il vomito.
mi accomodo qui su questo seggiolone di
velluto pronta per essere imbavagliata.
Ho un'improvvisa voglia di limone.
-no grazie,non prendo niente- ti detesto nella
tua magrezza abbronzata con costose sedute,
nelle serate a teatro imbacuccata nei tuoi
capelli finto giallo, nella gomma masticata
voracemente
-no cosa vedi-
-chiedo scusa, ho smesso di fumarela vedo la cenere dentro il servizio d'argento...
o la tieni lì per ricordo. forse per
commemorazione?
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una donna che fruga nella sua borsa alla
ricerca di qualcosa
-no, cosa vediuna donna.
ECCO IL LIMITE
-l'immaginazione fervente- con la I MAISCOLA
PERO’-che ossimoro mia cara-
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
quale ossimoro?
io esco
hai dato all'edipo il nome di Edipo
e poi ti immagino con la maschera anti-età
delle 20.00
all'invidia del pene quello di invidia del pene
non ti ascolto più adesso
alla sfinge quello di Sfinge
fisso tra i capelli le violette di stagione
e a me quello di ossimoro?
-Immagini di scrivere la svolta, ma
scarabocchi carta straccia-
... dal punto in cui si toccano le mie cosce
sfregando viene fuori "un sordido ritratto"
mi fai dire:
non scarabocchio proprio niente.
no non voglio
ti insozzi le dita per sfogliare il taccuino delle
mie memorie e strabuzzi gli occhietti come se
solo tu, in questa stanza piena di ninnoli,
fossi in grado di trovare una cura al virus
letale
no non voglio
no non voglio
... rara avis...
tanto lo so che anche tu ci vedi qualcosa in
quel soffitto bianco.
io esco
basta voler smettere...
Nikirai
c'è aria rarefatta
io piango disperatamente
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Giuditta N° 2
Vino d’amore
Giuditta N° 2
nere, verdi, viola. Circondavano il
mio polso come un originale bracciale.
Mi hai impugnato, come una spada; mi hai
usata, per sconfiggere la noia delle tue
giornate, e delle tue notti.
E stringevi, forte, non volevi lasciarmi
andare, volevi tenermi con te come un
quadro appeso ad una parete vuota, appesa
per le braccia, impiccata come un'assassina.
Ho tagliuzzato il mio petto, in modo da poter
prelevarne il cuore e porlo ai tuoi piedi. Lo
vedi? E' ancora pulsante e grondante di
sangue. Cosa dici? Cosa stai tentando di
dirmi? Che il sangue sta sporcando la tua
candida camicia?
Mi dispiace, sono sincera. Avrei potuto
renderti invincibile. E invece, sono stata
costretta, te l'assicuro! No, non guardarmi
così, con quegli occhi impauriti. Io ti amo!
Capisci? ho dovuto! Ho dovuto legarti, non
potevo fare altrimenti! Saresti fuggito, mi
avresti lasciata pendente dalla parete. Non
potevo, no, non potevo permetterlo. Cosa?
Vuoi parlare? Vuoi dirmi qualcosa? E parla
amore mio...
"Tu sei pazza! Lasciami in pace! Slegami, per
l'amor del cielo!"
Slegarti? E perchè? Chi mi assicura che non
scapperesti? Rimarrai qui con me, ci
libereremo insieme, di questo peso vitale che
ci schiaccia contro il terreno. Non aver paura,
io ti amo. Li senti gli angeli? Piangono
lacrime di incenso, cantano litanie per noi, ci
riscaldano col loro bianco gelo. Colorerò il
soffitto d'ambra, e ti taglierò i capelli, ne farò
un monile, lo metterò intorno al mio esile
collo. Ti unirò a me, entrerai in me e finiremo
tutto insieme, insieme per sempre. Non
piangere, amore mio, non piangere. Non mi
trovi bellissima? Non mi sono mai sentita
così perfetta, così colma d'amore per te. Sono
finalmente completa! E lo sei anche tu, non te
ne accorgi? Sto riempiendo il tuo vuoto, non
lo senti? Era quello che volevi, sbarazzarti del
vuoto che ti ossessionava. Liberarti dello
sperma che ti annebbiava il cervello. Sono
stata utile? Bene, ne sono felice. E ora chiudi
gli occhi amore mio, chiudi quegli occhi
maledetti, smettila di fissarmi!
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91
di Maria Cristina Impagnatiello
Il dramma d’amore supera i suoi cliché abusati
e diventa occasione per scavare nella follia umana.
Macchie
Giuditta N° 2
Non guardarmi così, ti prego. Non guardarmi
come se volessi farti del male, io ti amo.
Sangue e lacrime fuse insieme, sarà il nostro
vino d'amore, brindiamo alla vita e alla
morte, alla pioggia e al dolore, agli angeli e
all'incenso, e ai tuoi occhi, così belli, e miei,
nel palmo della mia mano.
Maria Cristina Impagnatiello
92
Giuditta N° 2
Vegetalizzata
di Maria Cristina Impagnatiello
Un racconto intriso di sadomasochismo, che indaga
zone inconfessabili della sessualità femminile.
Ad un tratto mi sentii nuda.
Mi girai. I suoi occhi mi stavano svestendo
pian piano, stavano smontando ogni pezzo,
senza fretta, ma con avidità. Mi perforava,
trafiggeva, percorreva il mio corpo dal
cervello
all'ombellico
alle
caviglie;
si
impossessava di me; lui, così, immobile, io,
inerte, incapace, di muovermi, di rivestirmi,
di coprirmi; ero invasa, contaminata da
quegli occhi affamati, smisi di opporre
resistenza. Ero nuda, nuda di fronte a lui. E
glielo mostravo, il mio corpo, ostentavo le
mie
forme, cercavo di usarmi per
impossessarmi anch'io di lui; ma lui voleva
tutto; cominciò ad appropriarsi dei miei
organi interni, lo stomaco, il cuore, il
cervello.
Vegetalizzata.
Ci sedemmo a tavola, uno di fronte all'altra,
lui con la sua bambola di porcellana
completamente
spolpata dell'anima, io
disposta a subire lo stesso destino, incurante,
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
ipnotizzata da quel sorriso di vittoria, che lo
rendeva padrone di me, di lei, di chiunque
avesse voluto.
Lentamente. Mi alzai andai verso l'uscita mi
infilai nel bagno. Vomitai. Volevo sputarlo
fuori quel bastardo, non mi avrebbe avuta,
non me.
"Sshh, non lo diremo a nessuno".
Era dietro di me, mi desiderava, ero già sua.
Glieli diedi; il mio corpo, il mio stomaco, il
mio cervello, il mio cuore; ne abusava
soddisfatto, spingeva la mia testa verso il
basso, mi piegava a piacimento, come un
manichino, un burattino.
Vegetalizzata.
Usata.
Sconfitta.
Seduta a terra.
Nell'angolo nord-ovest del bagno.
Lui si lavava le mani ammirandosi allo
specchio. Sorrideva compiaciuto. Sistemò i
capelli. Tirò su la zip. Stese una grinza della
giacca. Avvicinò il suo viso al mio, come per
baciarmi, mi trafisse ancora una volta, con i
suoi occhi di marmo,"Ssshhh, non lo saprà
nessuno".
Mi abbandonò, quel virus letale mi aveva
colpito e aveva affondato.
Vegetalizzata.
Di colpo eccitata.
Mi riappropriavo di me, e ne volevo ancora,
volevo che mi usasse ancora, ero sua, dovevo
essere sua.
Non mi aveva neanche lasciato godere, non
me l'aveva permesso. Anche il mio piacere era
diventato suo, non avevo potuto sentirlo.
Volevo, ne volevo anch'io. Mi alzai. Cominciai
a toccarmi, davanti allo specchio.
Si aprì la porta del bagno. Entrò lei, la
bambola di porcellana. Mi guardò, sofferente,
con un lampo di eccitazione negli occhi. Mi
toccò, mi baciò. Mi servii di lei, la usai per
me.
Ci sistemammo i vestiti, uscimmo dal bagno.
Lui ci venne incontro. Andammo via insieme.
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Maria Cristina Impagnatiello
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
ha cinquant'anni, vive in una villa di
duecento metri quadri, un marito e tre figli che
frequentano l'università. E' la mia collega di
turno. Quando lavoriamo insieme, telefona e
telefona ai tre ragazzi, a sincerarsi che stiano
bene, che non facciano troppo tardi la sera
quando escono, che abbiano soldi a sufficienza,
che tutto sia a posto. Io la prendo in giro, le
chiedo se mai i suoi figli l'abbiano mandata a
quel paese o abbiano sbottato: "Mamma, hai
rotto le balle!"
Giulia non se la prende per la mia invadenza,
anche perché ci conosciamo e tolleriamo a
vicenda da un paio di anni, risponde invece
tranquilla: "No, non l'hanno mai fatto… E perché
dovrebbero poi rispondermi così?", come se
fosse la cosa più naturale del mondo tempestare
di telefonate i figli neo-postadolescenti senza
riceverne in cambio qualche staffilata di quando
in quando. Ogni volta che chiama, io la
sbeffeggio un po'. Un paio di volte Antonio,
quello a cui telefona più spesso, quello con cui,
mi spiega lei, ha un feeling più immediato che
con gli altri, ho sentito che sbottava: "Ma cosa
vuole quel coglione??", e quel coglione ero io.
Giulia rideva, mentre Antonio aggiungeva:
"Senza offesa, eh, digli che scherzo", anche se
non so quanto stesse davvero solo scherzando.
Pomeriggio dopo pomeriggio, ma soprattutto
sera dopo sera dopo sera, il caravanserraglio di
telefonate procede ininterrotto, stessi toni, stessi
motti, stesse rassicurazioni, stesso rispetto
assoluto dei figli per la madre. Alle volte mi sono
chiesto da dove derivasse quel loro rispetto
incondizionato, e se davvero fossero solo senso
di rispetto e vicinanza affettiva con la madre a
far sì che quei ragazzi mai si mostrassero
scocciati, mai evitassero di rispondere alla
chiamata, alle numerose chiamate tempestanti.
Un paio di settimane fa ero di turno il
pomeriggio. Salgo in reparto, ma Giulia non è
ancora arrivata, ed è strano perché di solito è lì
prima di me. Così chiedo di lei.
"Come?! Non sai nulla?!", chiede stupita Serena.
"E cosa dovrei sapere?", faccio io.
Così mi raccontano: Giulia era arrivata al lavoro,
il giorno prima - turno straordinario - tranquilla
(fintamente tranquilla?) e scherzosa come
sempre. Era stata vista conversare serenamente
col portiere, poi entrare nello spogliatoio per
cambiarsi. Eppure in reparto non era mai salita.
Al suo posto era arrivata una telefonata (che mi
era stata descritta come semi-delirante) nella
quale Giulia, agitata, affermava concitata che
doveva andar via, che non sapeva quando, e
nemmeno se, sarebbe tornata, in ogni caso si
sarebbe fatta viva lei.
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Giulia è fuori
di Gilo
Nell’era del voyeurismo più spudorato, difficilmente siamo
disposti a guardare oltre la superficie delle persone.
Giulia
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Durante quella sua settimana di assenza a volte
qualcuno mi ha chiesto di lei, ma davvero non
sapevo cosa potesse essere successo, né avevo
avuto l'ardire di chiamarla - non volevo essere
invadente - solo qualche sporadico sms; nei suoi
accludeva rassicurazioni che stava bene, orrore
per lo schifo del mondo, fastidio per la falsa
premura di alcune colleghe, più interessate al
gossip in quanto tale che davvero partecipi alla
problematicità della vicenda umana.
Finalmente ci siamo rivisti, turno di notte.
Terapia delle 21, sistemazione dei pazienti per il
riposo, poi ci fermiamo in cucina a mangiare
qualcosa. Preparo la pizza: ho portato le basi,
che guarnisco, poi cuocio il tutto nel fornetto
elettrico del reparto. Un goccio di birra e, non so
se per quello, la lingua di Giulia si scioglie, come
mai aveva fatto prima. Io non oso chiedere, non
sono fatti miei, e poi il posto di lavoro non è
certo il luogo migliore per delle confidenze. Ma è
lei a esordire con: "Vuoi sapere?"; io annuisco,
sorpreso della sua disponibilità e voglia di
raccontare.
Dopo che si era cambiata, già in divisa da
infermiera, l'avevano chiamata da casa. Era uno
dei figli, per metterla al corrente di quanto
appena accaduto: il padre era entrato in casa
mollando
la
porta
alle
spalle,
non
accompagnandola, così che il meccanismo di
chiusura automatica l'aveva fatta sbattere.
Riccardo, il più piccolo, si era lamentato, gli
aveva chiesto di stare più attento la prossima
volta. Ne era nato un putiferio. Antonio si era
mosso a difesa del fratello, semplicemente
dandogli ragione. A quel punto il marito aveva
scagliato una forchetta contro di lui, che per
evitarla aveva sbattuto violentemente la testa
contro la cappa di cucina, quindi era caduto a
terra, svenuto. Non ancora pago, il marito aveva
afferrato un piatto e glielo aveva fracassato sulla
testa, quindi aveva imboccato la porta di casa,
come ogni altra volta che qualcuno aveva osato
offendere il suo orgoglio di padre-padrone.
Resto sbigottito dal racconto di Giulia. Lei
prosegue, e mi racconta anni e anni – decenni –
di sofferenze, inseguimenti per conto terzi, caffè
corretti alla droga, anoressia, avversione totale
del marito nei confronti di Antonio, il più
grande, il più responsabile, quello con cui Giulia
ha un feeling più immediato. Il tutto
nell'indifferenza più totale delle istituzioni,
nell'impossibilità a trovare ascolto o aiuto da
parte di qualcuno, nelle difficoltà a lasciare
quell'uomo, perché "poi chi mi campa, con tre
figli a carico?" e per le ritorsioni che teme di
poter subire. Ecco cos'era, quella strana cosa
che correva tra lei e i figli. Solidarietà tra vittime
dello stesso regime. E un inevitabile, assoluto
rispetto reciproco. Solo loro conoscevano fino in
fondo l'inferno condiviso.
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
E solo tra loro quel legame poteva essere così
tenace, saldo, difficile da intaccare.
Come uno dei figli avrebbe mai potuto esordire
con un: "Mamma, m' hai rotto i coglioni"? Come
avrebbe mai potuto anche solo osare pensare
d'interrompere, pur se solo per lo spazio di un
minuto, quel sodalizio che la vita ha così
inevitabilmente sancito?
Alla fine del racconto di Giulia mi sono
vergognato. Con quale leggerezza avevo sparato i
miei giudizi su di lei, con quale superficialità
l'avevo a volte etichettata come "fuori di testa",
con quale boria noncurante l'avevo spesso
incitata a trovarsi un bravo terapeuta… E quanto
spesso il nostro giudizio arriva prima di una
vera, profonda conoscenza dell'altro, noncurante
della storia che magari si porta dietro, delle
ferite che non vediamo, ma che indelebilmente
ne segnano l'anima. Come siamo bravi a
imbastire trame nelle quali alla fine salviamo
solo noi, e forse pochi altri, a giustificare solo la
nostra di esistenza, mentre di tutti gli altri siamo
solo buoni a vedere quanto sbagliano, quanto
sono fuori di testa, quanto irrimediabilmente
fatti male. Cavolo, questa nostra piccola testa,
sempre così brava a giudicare, così pronta a
tagliare, così solerte a fissare, separare,
cristallizzare quei suoi piccoli, definitivi
pensieri…
Gilo
100
PARALLELI
Arte e poesia allo specchio
Luca Saverio Beolchi
“Mi chiamo Luca Saverio Beolchi, ho 29 anni.
Ho fatto il liceo scientifico, studiato pianoforte e chitarra al
centro professione musica. Filosofia all'università Statale di
Milano. Ho fatto 4 personali e più di trenta collettive. Spesso
dipingo dal vivo in alcuni locali di Milano e Alessandria, a
volte in teatro. Hanno scritto di me e pubblicato miei lavori
Kult, Glamour, Il Piccolo, il Corriere della Sera, 24minuti, la
Repubblica. Sono il direttore di Lobodilattice.
Disegno
copertine e locandine per gruppi indie rock. Amo
l'illustrazione. Scrivo parecchio. Mi capita di esser pubblicato
su libri di poesia che non legge nessuno e riviste dove si
guardano prevalentemente le immagini. Ho uno scooter.
Coordino progetti di contaminazione urbana legati alla frangia
militante
più
underground
dell'arte
contemporanea.
Una mia canzone è stata disco del giorno in radio.
Un mio poemetto onirico è stato usato per lo spettacolo ACTO
di J.D.P. Lopez. Ho customizzato il PRIMO modulo dei
ventiduemila del wiki PUZZLE4PEACE. Sovente sono un
cattivo attore per cortometraggi e video clip indipendenti.
Muovendomi tra latte di vernice e pennelli, persuasione e
retorica, bytes e sistemi operativi, mi piace pensare di
camminare su una linea dell'orizzonte immaginaria.”
101
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
Il pianoforte è allegro e sedicente.
la canzoncina di ofelia.
C'è anche il trombone.
Quando scrivere ricorderà
qualcosa.
Chi ha fatto guerra alle parole con
le parole
è stato sconfitto.
Trovarsi qui è il segno della
perdizione
Una pozzanghera nel vissuto
quotidiano
che si trasforma in lago poi in
fiume
e sfocia nel mare
l'oceano della perdizione
il tempo smarrito e la vita
sciupata
il silenzio dopo la morte
…
Alba senza sonno, si spoglia il fiore – Ls B
102
103
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
…
Verde nei polmoni
le montagne con l'assenza di
doveri,
la libertà dell'animale allo stato
brado
chiusa nella gabbia del vivere
sociale,
la scatola degli uomini
dello Stato, delle responsabilità
…
Alba senza sonno, il fiore lucertola – Ls B
104
105
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
…
e la successione, la continuità
i martelli giganti con le gambe,
che seminano
il panico nelle città oniriche,
I ragni velenosi le coccinelle
spietate
gli eserciti di formiche
e tutti i potenti dell’ universo
in perenne guerra tra loro
per sopravvivere
per mangiarsi
secondo le regole di Dio.
Luca Saverio Beolchi
MR Kaufmann – Ls B
106
107
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
"L'arte è la menzogna che ci permette di
conoscere la verità." (Pablo Picasso)
F.A.Q.
Le nostre domande, le vostre risposte
Gilo
Giovanni Carbone & Andrea Siniscalchi
Orodè
Claudia Amadesi
Maria Cristina Impagnatiello
Luca Saverio Beolchi
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L’arte dello scrivere è forse la
menzogna che permette all’artista, e
a lui soltanto, di ricostruire la
propria verità?
Mi trovo spesso ad essere sconcertato da
quanta
mancanza di verità ci sia in giro o, forse più
propriamente, di ricerca di verità. Si vive in una
specie di limbo, all'interno del quale mai è dato di
mettersi in gioco fino in fondo, fino al
coinvolgimento della propria radicalità.
Mi riferisco ad una radicalità che non sia solo di
maniera o di pura facciata, ma profondamente
insita in quell’indefinito mai univocamente
definibile che è la natura umana.
“La verità vi renderà liberi", diceva Gesù, ma è
solo ricercando la verità personale, rispetto a se
stessi, che si può poi aspirare a ricercare quella
interindividuale (sociale, politica).
Immagino che Picasso, nella sua frase, si riferisse
a una dimensione (e forse a una missione)
eminentemente politica dell'arte e, poco più a
monte, al processo stesso di creazione artistica.
In questo tipo di movimento e di ricerca si è
spesso soli, "più raro con un unico compagno", ma
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
niente conta come la verità, nulla come il fine del
perseguimento dell'onestà.
Si tratta di un tipo di coraggio che spesso manca
in una società come la nostra (mi riferisco in
particolare a quella italiana), nella quale sembra
sempre che tutti gli scogli debbano essere
appianati, che su tutto ciò ch'è scomodo si debba
chiudere un occhio, o anche due, fare finta che
non esista. Lungo questo percorso sovente la
cultura si arena e inaridisce, non facendo che
divenire convenzionalità pura o mero esercizio
scolastico. E l'intellettuale, insieme con lei, finisce
per ristagnare in un palustre autocompiacimento
narcisistico, privo di radice, quindi di radicalità, e
di un reale carnale e incarnato movimento
liberatorio. Quando proprio il movimento è ciò
che più conta. Il viaggio più della meta. La
tensione più dell'arrivo.
Lo sforzo conta sopra tutto. Uno sforzo fiducioso
nel fatto che prima o poi qualcosa arriva, ma
sforzo mai concluso, sempre pronto a ripartire,
perché quando ti adagi sei morto, alla fine non
esisti più, se non in forma di simulacro vivente di
un te stesso ormai passato; come un'attempata
diva, attaccata con le unghie e con i denti ai bei
tempi che furono, imbalsamata in silicone e
botulino, ma con un orrore infinito negli occhi.
"L'arte ha bisogno o di solitudine, o di miseria,
o di passione. E' un fiore di roccia che richiede
il vento aspro e il terreno rude.“ (A. Dumas)
Gilo
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Può l’artista essere felice? Oppure
egli è chiamato nella vita a scegliere
tra la propria arte e la felicità?
E’ indiscutibilmente vero che nel mondo dell’arte
le migliori creazioni derivino dall’elaborazione del
sofferto, dalla contemplazione del dramma, della
piattezza dell’esistenza. Tuttavia non è l’arte a
portare sofferenza, ma la sofferenza a portare
all’arte.
Noi stessi, nella nostra opera, lanciamo il nostro
grido di disperazione, il nostro grido di ribellione
alle banalità di questa società; c’è da dire però che
noi non ci lasciamo trafiggere e avvilire dalle
sofferenze, ma lottiamo, ed è questa stessa lotta
che ci apre uno spiraglio, una alternativa al
dolore, perché lo stesso lottare ci pone in una
condizione di orgoglio per noi stessi.
Essere fieri della propria resistenza, della propria
eroicità nei confronti della vita è pur sempre una
forma di felicità. Forse dovremmo solo fermarci
ogni tanto per capire che è li a portata di mano,
mentre noi la lasciamo passar via indifferenti.
Giovanni Carbone &
Andrea Siniscalchi
111
Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
"L'arte consiste nel fare qualcosa
di nessun valore e in seguito
di venderla." (Frank Zappa)
Arte e mercato costituiscono un
autentico conflitto?
Arte
e mercato costituiscono un autentico
conflitto! Pressappoco grande quanto quello che
c’è tra ideale e reale o tra sogno e realtà.
La mia arte è dovuta ad una mancanza troppo
grande che diviene eccedenza e per cui il denaro
non può essere una consolazione. L’assoluto che
inseguo con l’arte, la fuga dal tempo che mi
permetto con l’arte sono di una bellezza
indescrivibile, sono la mia guarigione dalla noia,
dalla solitudine, dal non sense che ho intorno,
sono il mio tempo che non regalo a nessun
traditore. Sono i graffiti che lascio.
Il mercato è un usuraio, un commensale alla
tavola dell’arte, ma l’artista intanto dov’è? L’artista
è a respirare nelle sue opere.
Il mercato attuale dell’arte è un bubbone virulento
di una società degenerata, rotta. Ci sono troppi
artisti famosi che fanno il gioco dei potenti,
creando ulteriore confusione.
Per me la bellezza è tutto!
"Che cos'è l'arte se non un modo
di vedere?“ (Thomas Berger)
Che cosa riesce a vedere l’artista che
sfugge invece allo spettatore dei suoi
quadri? E’ opportuno considerare
l’artista come un mediatore tra il
mondo e le persone?
Più
che un mediatore, è colui che ci comunica il
suo pensiero attraverso l’espressione visiva.
Non è detto che l’artista interpreti in modo logico
e corretto il mondo; lo trasforma in astratto, lo
vanifica, lo peggiora, lo distrugge e allora perché
considerarlo un mediatore? Sono più del parere
che l’arte sia un modo di “essere”, trasformata in
“vedere” per l’artista stesso e per gli altri.
Sentirsi appagato per qualcosa che ha dipinto, per
l’artista, va oltre tutto il resto, senza riserve.
Il dipinto è il suo io interiore, è la comunicazione
del suo stato, del suo divenire.
Non sempre può essere capito; il giusto
compromesso sarebbe quello di trovare un modo
di comunicare agli altri senza canoni e restrizioni,
dal momento che, quando lo spettatore si limita
alla visione d’insieme, ecco che gli sfugge il senso.
Orodè
Orodè
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Claudia Amadesi
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
“Ho voluto la perfezione e ho rovinato quello
che andava bene.” (Claude Oscar Monet)
E’ mai possibile per l’artista
considerare una propria opera
compiuta?
Credo
che un’opera possa considerarsi compiuta
solo nella sua prima versione, nel momento stesso
in cui essa prende vita, quando l’autore riesce a
dare una forma fisica e materiale alla sua idea, ai
suoi pensieri. Ma non appena l’autore si accinge a
modificarla, a correggere qualcosa che fino a
quell’istante era stata spontanea ed autentica, essa
diverrà eternamente incompiuta.
Un’opera non sarà mai perfetta agli occhi del suo
creatore, ma diverrà costantemente perfettibile,
soggetta a continui miglioramenti, che andranno a
rovinare e a contaminare l’idea pura originaria,
fornendo ogni volta un significato nuovo rispetto a
quello precedente, arricchendo sempre più il
concetto primario, e spesso rovinando il risultato
finale. Per questo motivo si dovrebbe evitare il più
possibile qualsiasi modifica, inserendola solo ove
necessario, ma soprattutto sarebbe bene dar vita
ad un’idea solamente quando si è del tutto
consapevoli di ciò che si intende creare.
"L'arte deve disturbare, la scienza deve
rassicurare." (Georges Braque)
E’ legittimo porre un limite all’arte,
stabilire un grado di “decenza” oltre
il quale essa non possa spingersi?
Il bisogno di limitare l’arte è tipico
della società borghese o proprio
della natura umana?
Il
limite è una questione morale. Ogni società ha
la sua. Ogni società giudica indecente e
peccaminoso qualcosa di differente.
Da sottolineare è la mancanza di assoluto.
Il bisogno di limitare in generale, non solo l’arte,
è tipico della natura umana.
Io credo che l’arte non debba necessariamente
disturbare e che la scienza non sia per niente
rassicurante.
L’arte deve illudere, deve farlo profondamente,
con la stessa intensità compenetrante che ha, su
certe anime, la religione.
La scienza invece, a possederla, è l’oblio oltre il
limite.
Luca Saverio Beolchi
Maria Cristina Impagnatiello
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Giuditta N° 2
Giuditta N° 2
GRAZIE
Grazie a tutti i meravigliosi artisti con i
quali ho avuto la fortuna di collaborare:
Elena Montiani, Marcella Campo,
Angelo
Mazzoleni,
Alessandro
Passerini,
Anna
Madia,
Orordè,
Stefano Bonazzi, Claudia Amadesi,
Giovanni
Carbone
e
Andrea
Siniscalchi,
Glitterball,
Sandra
Carresi, Ana, Nikirai, Maria Cristina
Impagnatiello, Luca Saverio Beolchi.
Grazie agli altri membri del “Team
Giuditta”:
MrMagic (consulenza, revisione)
Franziska (consulenza)
Amaranto
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AL PROSSIMO
NUMERO DI GIUDITTA?
Proponiti all’indirizzo
[email protected]
Giuditta N°3 uscirà
il 22/09/2008
Ti aspettiamo!
Giuditta N° 2
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