nel Primo Mondo capitalista né nel Secondo Mondo socialista, e si ripromettevano di percorrere una strada diversa. L’espressione perse tuttavia quasi subito il suo significato politico. Sotto la pressione di interessi contrastanti svanì infatti presto l’accordo tra i paesi «non allineati», e soprattutto si rivelarono quasi irrisolvibili i loro numerosi e drammatici problemi sociali ed economici. «Terzo Mondo» divenne così rapidamente sinonimo di povertà e arretratezza, insieme causa ed effetto di una condizione di «sottosviluppo» apparentemente insuperabile. Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda Le cause del «sottosviluppo» TURCHIA SIRIA LIBANO ISRAELE Oceano LIBIA AFGHANISTAN GIAPPONE CINA IRAQ IRAN EGITTO ARABIA SAUDITA Atlantico VIETNAM CAMBOGIA INDIA PAKISTAN OR. SUDAN ETIOPIA Oceano LAOS PAKISTAN Pacifico FILIPPINE CEYLON BIRMANIA THAILANDIA Bandung INDONESIA Oceano Indiano Oceano Pacifico Nazioni aderenti alla conferenza di Bandung Nazioni alleate degli USA Nazioni alleate dell’URSS I paesi del Terzo Mondo erano prima di tutto caratterizzati da debolissime strutture economiche, sociali e politiche che si mostrarono completamente incapaci di assorbire l’impatto della modernità. L’economia era basata quasi ovunque su un’agricoltura di pura sussistenza, tesa al soddisfacimento dei bisogni immediati del coltivatore e della sua famiglia. Le industrie erano scarse e i servizi essenziali – trasporti, sanità, istruzione – quasi inesistenti. La situazione fu aggravata dall’autentico boom demografico che si verificò nel Terzo Mondo tra 1950 e 1980, quando la popolazione di Asia e Africa raddoppiò. Le risorse necessarie al sostentamento risultarono insufficienti e la mancanza di cibo causò fame e carestie; la scarsità di medici e farmaci determinò il sorgere e il diffondersi di terribili epidemie; la mancanza di scuole e insegnanti non consentì di combattere l’analfabetismo e comportò l’impossibilità di formare il personale tecnico e amministrativo necessario a guidare lo sviluppo. Le strutture sociali di questi paesi erano ancora imperniate per lo più sui clan e sui gruppi tribali, spesso divisi da rivalità etniche o religiose. I popoli del Terzo Mondo solo molto raramente riuscirono a esprimere uomini politici all’altezza delle sfide da affrontare. I governanti erano spesso corrotti, la democrazia mai praticata, i diritti dei cittadini negati: si affermarono così dittature oppressive, fondate sulla violenza e sulle armi. L’influenza del «neocolonialismo» Un ulteriore, grave problema affliggeva il Terzo Mondo: il perenne svantaggio nei confronti dei paesi più ricchi del pianeta. Tale squilibrio prese il nome di «neocolonialismo», ossia «nuovo colonialismo», dato che aveva per protagonisti le ex colonie e le ex potenze imperiali, ancora una volta in posizione di dominio. Il neocolonialismo si sviluppava in maniera molto semplice. Molti paesi del Terzo Mondo, ricchissimi di risorse naturali ma privi delle strutture per utilizzarle, erano stati costretti a concedere ai loro ex dominatori i diritti di sfruttamento: erano state avviate grandi coltivazioni di cacao, caffè, cotone, zucchero, miniere di ogni tipo e industrie all’avanguardia, ma tutti i prodotti erano indirizzati verso i mercati del mondo Gli Stati partecipanti alla conferenza di Bandung 15.1 La nuova geopolitica Terzo Mondo: il primo a utilizzare questa espressione fu nel 1952 l’economista francese Alfred Sauvy. Egli aveva in mente il Terzo Stato protagonista della rivoluzione francese del 1789: formato dal popolo, non si identificava né con il Primo Stato, composto dal clero, né con il Secondo Stato, composto dalla nobiltà. del pianeta: il Terzo Mondo La nascita del concetto di «Terzo Mondo» I rappresentanti di molti paesi di nuova indipendenza si riunirono nel 1955 alla conferenza di Bandung, città dell’isola di Giava, in Indonesia. Tra i partecipanti c’erano Stati di grande importanza come la Cina e l’India, ma c’erano anche i due Vietnam, la Turchia, l’Etiopia, la Liberia, l’Iran, l’Afghanistan, la Birmania e molti altri. In totale 29 paesi. In un clima di grande ottimismo per il crollo del colonialismo, si discussero i problemi economici, politici e sociali che affliggevano i giovani paesi di Africa e Asia e si stabilirono i principi che avrebbero regolato le loro relazioni: non aggressione, aiuto reciproco, rispetto dei diritti umani. Nasceva – si disse allora – il movimento dei paesi «non allineati», perché i membri della Conferenza affermarono la propria autonomia sia dal blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, sia dal blocco orientale capeggiato dall’Unione Sovietica. Cominciò per questo a circolare l’espressione «Terzo Mondo» : gli Stati raccolti a Bandung non si riconoscevano infatti né L’indiano Nehru, insieme all’egiziano Nasser (in primo piano) alla conferenza di Bandung, Aprile 1955. Fame e carestie nel Terzo Mondo: Etiopia e India. © Loescher Editore – Torino 292 1945 © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 293 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda p. 312 OPEC: la sigla sta per Organization of Petroleum Exporting Countries («Organizzazione dei Paesi Esportatori di Petrolio»). Fondata nel 1960 da Iran, Iraq, Kuwait, Arabia Saudita e Venezuela, oggi raccoglie 14 paesi membri che posseggono circa l’80% delle riserve mondiali di greggio. Tweet Storia p. 430 industrializzato. I ricavati delle vendite restavano dunque in mano agli occidentali, e, mentre i governi locali corrotti non si preoccupavano di intervenire, le popolazioni di Asia e Africa ottenevano percentuali di guadagno irrisorie a fronte di una enorme sottrazione di risorse. Un clamoroso esempio di neocolonialismo fu quello delle cosiddette «sette sorelle», le sette maggiori compagnie petrolifere del mondo: cinque erano statunitensi, come la Exxon e la Mobile, e due europee, la British Petroleum e la Shell. Per decenni queste compagnie estrassero il greggio dai giacimenti dei paesi arabi, pagando modesti diritti di sfruttamento, e strinsero tra loro accordi segreti per spartirsi il controllo del mercato mondiale del petrolio. Le regole del gioco, per quanto riguarda il petrolio, cambiarono solo quando, negli anni Sessanta, i paesi produttori nazionalizzarono i giacimenti e si riunirono a loro volta in una potente organizzazione, chiamata OPEC . In questo modo, i popoli che detenevano la materia prima poterono finalmente goderne i profitti vendendola a prezzi più vantaggiosi. Tuttavia, la dipendenza dall’Occidente per molti fondamentali aspetti (in particola- re finanziari e tecnologici), permane ancora oggi in quasi tutta l’Africa subsahariana. Una situazione in apparenza irrisolvibile I problemi del Terzo Mondo apparvero subito talmente gravi e drammatici da rendere necessario l’intervento della comunità internazionale. Ecco perché, già a partire dagli anni Cinquanta, nacque e si ingrossò un fiume di prestiti in denaro, investimenti tecnologici e aiuti umanitari ai popoli in difficoltà. Tutto ciò era merito di singoli governi, di associazioni, di organismi internazionali come l’ONU o la Banca Mondiale, ma non bastò a indirizzare su una strada più sicura lo sviluppo dei giovani Stati di Asia e Africa. Ancora al termine della Guerra fredda, essi occupavano le posizioni più arretrate in qualsiasi graduatoria mondiale del progresso economico e sociale. Solo il nuovo millennio avrebbe portato una consapevolezza diversa sui rapporti tra la parte più ricca e quella più povera del pianeta e sulle soluzioni da adottare per liberare la seconda dalla tragedia della povertà e dell’arretratezza. Riunione dei paesi appartenenti all’OPEC. Una lunga fila di persone di un campo profughi in attesa di ricevere aiuti umanitari. Scavi all’aperto in una miniera d’oro, nella Sierra Pelada, Brasile. Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda 15.2 L’India e la Cina L’India verso la modernità L’India riassunse in sé nel periodo della Guerra fredda molte delle contraddizioni che colpivano il Terzo Mondo. Tra 1947 e 1984 fu governata, con risultati considerevoli, dal Partito del Congresso: prima da Jawaharlal Nehru e poi da sua figlia, Indira Gandhi. Adottando una pianificazione quinquennale, modernizzarono l’agricoltura del paese e svilupparono un primo apparato industriale. Abolirono il millenario sistema delle caste, fortemente radicato nella società, affermando la parità di diritti tra tutti gli indiani, e promossero l’emancipazione della donna; compirono inoltre uno sforzo straordinario per dotare il paese di strade, scuole e ospedali. In politica estera Nehru volle muoversi in maniera indipendente da Stati Uniti e Unione Sovietica, mentre Indira Gandhi cercò più decisamente l’appoggio di Mosca. Entrambi comunque puntarono a rendere l’India un soggetto autonomo della scena internazionale. Non mancarono problemi anche gravissimi. Il Pil cresceva a ritmi sostenuti ma oltre un terzo della popolazione restava in condizioni di miseria. L’agricoltura progrediva ma, partendo da posizioni di estrema arretratezza, non riusciva a colmare i bisogni di una popolazione in straordinaria crescita demografica: gli indiani, meno di 200 milioni ancora al principio degli anni Quaranta del Novecento, erano oltre 700 milioni a metà degli anni Ottanta. Le tensioni con il Pakistan per il controllo del Kashmir portarono inoltre allo scoppio di due guerre, nel 1948 e nel 1965; la regione del Kashmir, in territorio indiano, era infatti abitata in prevalenza da musulmani, che animavano un forte movimento armato separatista. Inoltre Indira Gandhi appoggiò nel 1971 gli abitanti del Pakistan orientale, che chiesero e ottennero l’indipendenza da Islamabad, fondando lo Stato del Bangladesh. Infine, all’interno della stessa India non cessavano le tensioni etniche e religiose. Nel 1984 la stessa Indira Gandhi fu assassinata da un estremista di religione sikh . I sikh, monoteisti, rivendicavano da tempo la secessione del Punjab, uno Stato situato nella parte nord-occidentale dell’India: Mohandas Gandhi con il futuro primo ministro dell’Unione Indiana Jawaharlal Nehru. l’omicida vendicava così la morte di oltre mille suoi compagni, massacrati dall’esercito indiano nella città sacra di Amritsar. La Gandhi lasciava un paese in forte crescita ma ancora estremamente debole. La dittatura di Mao Tse-tung in Cina Tra 1949 e 1976, la Cina sperimentò il potere incontrastato di Mao Tse-tung. Capo della vittoriosa rivoluzione comunista, per far fronte alla gravissima situazione di povertà e per ricostruire il paese dopo la guerra civile, impose al paese drammatiche scelte in campo sociale ed economico. Mao puntava in generale a favorire la modernizzazione del gigante asiatico, appena uscito da millenni di immobilismo. Un primo piano quinquennale, varato nel 1953 con l’aiuto di tecnici sovietici allo scopo di promuovere l’industrializzazione del paese, ottenne tuttavia risultati deludenti. Si decise così di intervenire sull’agricoltura e nel 1958, attraverso il cosiddetto «grande balzo in avanti», l’intera società cinese venne collettivizzata. I circa 600 milioni di cinesi furono suddivisi in 70.000 «comuni popolari», che riunivano in grandi unità autonome le famiglie, i contadini e gli operai. Essi mettevano in comune i beni personali, il lavoro e il denaro, provvedendo da soli a servizi come istruzione e sanità, con l’obiettivo primario di raggiungere l’autosufficienza alimentare. Ma l’appello all’entusiasmo rivoluzionario non bastò. L’incompetenza e la mancanza di mezzi agricoli moderni causarono una catastrofe: la produzione di cereali crollò e terribili carestie si diffusero © Loescher Editore – Torino 294 1945 sikh: parola che significa «discepolo». La religione sikh nacque nel Cinquecento dall’unione delle fedi indiusta e musulmana. I sikh, che abitano nel Punjab, sono monoteisti e fieramente nazionalisti. Tweet Storia p. 430 © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 295 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda Un bambino cinese in divisa maoista. nelle campagne. Secondo le stime più prudenti, nel solo triennio 1958-1960 dieci milioni di cinesi morirono di fame. Il fallimento del «grande balzo in avanti» causò profonde spaccature in seno al Partito comunista cinese: Mao stesso dovette abbandonare la carica di presidente della Repubblica e per qualche anno il suo potere fu in pericolo. Solo alla metà degli anni Sessanta recuperò pienamente il controllo dell’apparato comunista. Convinto che gli insuccessi precedenti fossero dovuti alla cattiva volontà dei cinesi, Mao lanciò allora nel 1966 la cosiddetta «Rivoluzione culturale». Il suo fine era indottrinare la popolazione secondo i dettami ideologici del marxismo, per mezzo di una vera e propria «Rivoluzione culturale», nel nome dell’egualitarismo e del livellamento sociale. Il mezzo usato fu la violenza: morte o internamento in campo di lavoro colpivano chiunque mostrasse segni di «debolezza borghese», chiunque avesse propensioni intellettuali e si distinguesse in qualche modo dai lavoratori manuali, chiunque desse segno di godere di qualche privilegio economico o sociale. Nessuno fu risparmiato: insegnanti, amministratori, tecnici, burocrati, artisti, funzionari vennero duramente repressi. Strumento di Mao furono gli studenti, che a Il presidente americano Nixon e Mao Tse-tung, 1976. milioni si aggiravano per il paese agitando il Libretto Rosso – raccolta dei pensieri del leader – e scagliandosi contro i presunti individui antirivoluzionari. La «Rivoluzione culturale» si esaurì nel 1969, ma le tensioni che essa generò nella società e anche all’interno del partito portarono i cinesi sull’orlo della guerra civile e si placarono solo alla morte del dittatore, avvenuta nel settembre 1976. La Cina protagonista della politica mondiale Nei quasi trent’anni di dittatura maoista, la Cina divenne una grande potenza, gettando le basi per l’odierna affermazione come leader mondiale. Dapprima vicina all’Unione Sovietica, la Cina se ne distaccò a partire dagli anni Cinquanta. Mao considerava infatti un tradimento la linea politica di Nikita Kruscev. Pesanti polemiche divisero i due paesi e culminarono negli scontri di confine lungo il fiume Ussuri, nel 1969. Parallelamente, Pechino cercò il dialogo con l’Occidente. A farsi promotore di questa linea fu Zhou Enlai, primo ministro e il più moderato tra i collaboratori di Mao. Fecero epoca, all’inizio degli anni Settanta, gli incontri tra Mao Tse-tung e il presidente americano Richard Nixon. Essi segnarono l’ingresso della Cina come attore politico di primo piano sulla scena mondiale e misero fine al confronto strettamente bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La Repubblica popolare cinese, che nel frattempo si era anche dotata di un arsenale nucleare, vide riconosciuta la propria importanza nel 1971, quando subentrò a Taiwan (la Repubblica nazionalista cinese) come membro permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. Un fortissimo controllo delle informazioni da parte dei politici cinesi fece sì che pochissimo trapelasse a ovest sulle stragi causate dal «grande balzo in avanti» e dalla «rivoluzione culturale». Si verificò così un grande paradosso: il paese che sperimentava una delle più oppressive dittature del Novecento venne considerato dagli studenti occidentali del Sessantotto un modello di società veramente democratica, ugualitaria e alternativa a quella capitalista. Solo dopo la morte di Mao fu possibile comprendere i reali costi umani che l’esercizio del suo potere sulla Cina aveva comportato. Deng Xiao-ping: il volto contemporaneo del comunismo cinese Scomparso il padre della rivoluzione, il potere venne assunto in Cina da Deng Xiaoping. Egli inaugurò una formula di governo che per la sua efficacia dura ancora oggi. Una formula che possiamo riassumere nella massima: dittatura politica più libertà economica. Il potere rimase saldamente nelle mani del Partito comunista e non si ebbe mai alcuna apertura ad alcuna forma di dissenso. In economia però Deng Xiao-ping concesse una vasta libertà d’azione. La pianificazione centralizzata fu abolita e la proprietà privata reintrodotta. Furono permesse la nascita di aziende non sottoposte al controllo dello Stato e la ricerca del profitto. Il risultato fu che la produzione agricola e industriale della Cina si impennò, mentre il Pil prese a crescere ogni anno del 10% e più. Gli investitori stranieri accorsero e Pechino divenne protagonista dei commerci internazionali. Nel 1980, infine, la Cina aderì alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale. A partire da questi eventi, ci fu chi previde per la Cina una evoluzione in senso democratico. Ma non fu così: la liberalizzazione economica favorì la creazione di un ceto medio sempre più ampio e desideroso di libertà, mentre i contatti con l’Occidente spinsero soprattutto i giovani ad adottare idee, parole d’ordine e modelli di vita nuovi. Ma proprio gli studenti furono vittime Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda di una sanguinosa repressione: nell’aprile 1989 si raccolsero in oltre un milione in piazza Tien-An-Men , a Pechino, davanti alle mura della Città Proibita, chiedendo insistentemente libertà d’espressione e rispetto dei diritti umani. I carri armati dell’esercito stroncarono la protesta e commisero una strage che colpì profondamente l’opinione pubblica internazionale. Tuttavia l’isolamento internazionale cinese durò poco: a pesare di più furono i giganteschi interessi economico-commerciali in gioco. Deng Xiao-ping riuscì in questo modo a garantire la sopravvivenza del regime politico controllato dal Partito comunista ben oltre la fine del comunismo in Europa orientale e Unione Sovietica. Le tragiche vicende di Vietnam e Cambogia L’Indocina nei tardi anni Settanta rimase al centro delle tensioni internazionali e – dopo la guerra del Vietnam – continuò ad essere terreno di scontro della dura rivalità Est-Ovest. Nel 1975, l’intera Indocina passò sotto il controllo delle forze comuniste, che trionfarono in Vietnam, in Laos e in Cambogia. La conquista del potere da parte di questi regimi ebbe conseguenze tragiche per le popolazioni. Nella Repubblica socialista del Vietnam la collettivizzazione dell’economia e la violenta repressione di ogni opposizione spinsero centinaia di migliaia di persone ad abbandonare il paese. In particolare, il L’ignoto contestatore che da solo e disarmato affronta la colonna di carri armati in Piazza Tien-An-Men, 1989. Un dipinto murale che rappresenta Deng Xiao-ping. © Loescher Editore – Torino 296 1945 Tweet Storia p. 430 © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 297 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda ISRAELE Lago di Tiberiade Nablus Tel Aviv Cisgiordania Gerusalemme Porto Said El Arish Striscia di Gaza Gaza Giordano Mar Mediterraneo Damasco Alture del S I R IA Golan Haifa Il Cairo Amman Mar Morto GIORDANIA Suez Elat E G I T T O Penisola del Sinai lfo di Su ez Nel 1967, temendo il coalizzarsi dei paesi arabi, Israele lanciò un attacco preventivo contro i suoi avversari. Nella breve e fulminante «Guerra dei Sei Giorni» (5-10 giugno) conquistò il Sinai egiziano, le alture siriane del Golan, occupò per intero Gerusalemme – divisa in una parte araba e in una ebraica dal 1949 – e si impadronì della Cisgiordania, sulla riva occidentale del Giordano. I paesi Direttrici di occupazione Go Le guerre di Israele LIBANO Territori occupati dopo la Guerra dei Sei Giorni ez Nei tre decenni successivi alla crisi di Suez (1956), la questione mediorientale rimase costantemente sotto gli occhi del mondo. La ferita aperta nel 1948 dalla nascita di Israele e dall’immediato scontro del nuovo Stato con i paesi arabi dell’area infatti non si rimarginò. Anzi, si approfondì a causa di nuove violenze e si complicò per l’emergere dei palestinesi come attori fondamentali della vicenda. Furono decenni di guerre, che esplodevano a fiammate improvvise, e di poche, tenui speranze di pace. Tutto sembrava accadere senza un disegno preciso e alla fine degli anni Ottanta, mentre si chiudeva l’epoca della Guerra fredda, il problema del Medio Oriente appariva irrisolvibile. La Guerra dei Sei Giorni o di Aqab a Una crisi senza fine arabi furono schiacciati, ma la sconfitta rinfocolò il rancore nazionalista verso Israele, considerato ormai un nemico mortale. Nel 1973 furono Egitto e Siria a muovere contro Tel Aviv. La Guerra del Kippur fu così chiamata perché, allo scopo di sfruttare l’effetto sorpresa, gli arabi scatenarono l’attacco durante lo Yom Kippur, festa ebraica dell’Espiazione. I risultati del conflitto furono contraddittori. Vinto il panico iniziale, Israele respinse l’assalto avversario e le sue forze si fermarono, su intimazione dell’ONU, quando già si trovavano sulla strada di Damasco. Dal punto di vista politico e propagandistico, la guerra fu tuttavia una grande vittoria per i paesi arabi. Essi non riuscirono a riprendersi i territori persi nel 1967, ma scalfirono il mito dell’invincibilità dell’esercito di Israele e dimostrarono al mondo che lo scontro mediorientale non poteva considerarsi risolto senza il loro consenso. Alle due esplosioni belliche del 1967 e 1973 fece seguito infine nel 1982 l’operazione «Pace in Galilea». Israele invase il Libano allo scopo di distruggere le basi insediatevi dai palestinesi. Le forze di Tel Aviv si spinsero fino a Beirut e costrinsero gli avversari ad abbandonare il paese. Durante l’invasione israeliana, 2000 palestinesi vennero massacrati dai cristiani maroniti libanesi nei campi profughi di Sabra e Chatila: una strage, svoltasi con l’assenso silenzioso di Tel Aviv, che riempì il mondo d’indignazione. Anche questa guerra, caratterizzata da grandi violenze sui civili, ebbe come maggiore risultato – al pari delle due che l’avevano preceduta – l’accendersi di nuove e più forti tensioni nella regione. Su St ret t o d i Album p. 308 15.3 Il Medio Oriente Nilo Khmer Rossi: i khmer sono l’etnia prevalente della Cambogia, ma molti di loro abitano in Thailandia e nel Laos. I Khmer Rossi dovevano quindi il nome all’origine etnica e all’ideologia marxista del loro movimento di guerriglia. dramma dei cosiddetti boat people, che cercavano di espatriare a bordo di imbarcazioni di fortuna, sollecitò una massiccia campagna di aiuti umanitari da parte della comunità internazionale. A Ancora più dolorosi furono gli eventi che accaddero in Cambogia, dove al termine di un lungo conflitto civile avevano trionfato i Khmer Rossi guidati da Pol Pot. Almeno due milioni di persone furono trucidate perché colpevoli di opporsi all’edificazione del comunismo. Molti di più vennero sradicati dalle città, portati nelle campagne e messi al servizio della collettivizzazione dell’agricoltura. Altri ancora furono rinchiusi in campi di lavoro e rieducazione. Si trattò nel complesso di uno dei peggiori genocidi della storia mondiale del Novecento, dove oltre il 25% della popolazione fu sterminata. Tra 1977 e 1979, Vietnam e Cambogia entrarono addirittura in conflitto tra loro per dispute territoriali sull’area del delta del Mekong (il principale fiume dell’area), il primo con l’appoggio dell’Unione Sovietica, la seconda con il sostegno della Cina. Il Vietnam vinse facilmente e stroncò il regime dei Khmer Rossi. La pacificazione della Cambogia sarebbe però arrivata solo dopo molti anni. Intanto, i tre paesi d’Indocina sperimentavano con le leggi dell’economia comunista una delle fasi di maggiore povertà e arretratezza della loro storia. Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda Monte Sinai Golf 3 Aqaba ARABIA SAUDITA I colloqui di Camp David Le sole speranze di pace, in questo lungo periodo, vennero per il Medio Oriente dal gesto coraggioso di due uomini politici: il primo ministro israeliano Menahem Begin e il presidente egiziano Anwar el-Sadat. Sotto gli auspici del presidente statunitense Jimmy Carter, Begin e Sadat si incontrarono a Camp David, nel Maryland, e intrapresero lunghi colloqui di pace. Il risultato fu il trattato firmato a Washington nel marzo 1979: Israele si impegnò a restituire all’Egitto il Sinai, conquistato nel 1967. cristiani maroniti: cristiani di origine siriana che prendono il nome da San Marone, santo vissuto nel V secolo. È finita la «Guerra dei Sei Giorni»: civili israeliani entrano, il giorno dopo la conquista da parte dell’esercito, nella città vecchia di Gerusalemme, fino a quel momento controllata dagli arabi, 1967. Boat people, Vietnam. Il presidente americano Carter e quello egiziano Sadat a Camp David, 1980. © Loescher Editore – Torino 298 1945 © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 299 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda L’Egitto, da parte sua, riconobbe il diritto di Israele ad esistere, fino ad allora negato dall’intero mondo arabo. I due uomini politici ricevettero per questo loro sforzo il premio Nobel per la pace. Tuttavia Sadat fu osteggiato dai governi della regione e considerato da molti arabi un traditore. Morì nel 1981, assassinato da estremisti islamici che non gli avevano perdonato le aperture all’Occidente e a Israele. Intifada: il termine significa «insurrezione» e indica la rivolta scoppiata nel 1987 in seguito alla morte di quattro operai palestinesi travolti da un camion israeliano. Le violenze si attenuarono nel 1991 ma terminarono solo nel 1993, dopo la firma a Oslo degli accordi di pace tra Israele e OLP. I palestinesi: Yasser Arafat e l’OLP Nello svolgersi della crisi mediorientale acquistò via via voce il popolo palestinese. Cacciato dalla sua terra nel 1948 e di nuovo nel 1967, era privo di una patria e costretto a vivere sotto l’occupazione israeliana o nei campi profughi allestiti dai paesi arabi. Ad assumere la rappresentanza dei palestinesi fu, a partire dagli anni Sessanta, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, l’OLP. A guidarla era Yasser Arafat, che senza tregua portò all’attenzione dell’opinione pubblica mondiale la causa del suo popolo, ottenendo presto l’attenzione riservata a un capo di Stato sia presso i paesi arabi sia in tutto l’Occidente. E questo nonostante i metodi da lui propugnati: Arafat predicava infatti la guerra contro Israele e ammetteva il terrorismo come arma di lotta. L’OLP pose dapprima le sue basi in Giordania, poi da qui si spostò in Libano. Infine, dopo l’invasione israeliana del 1982, Arafat pose il suo quartier generale in Tunisia, dove sarebbe rimasto per il resto degli anni Ottanta. E proprio nel 1987 l’intrico mediorientale arrivò a una svolta. Scoppiò quell’anno l’Intifada , la «rivolta delle pietre» palestinese. Essa ebbe per protagonisti i ragazzi di Cisgiordania e Gaza, i territori occupati da Israele: armati solo di sassi e fionda fronteggiavano in una lotta disperata i soldati e i mezzi corazzati ebraici. La ribellione proseguì per anni, causando oltre mille morti in uno stillicidio quotidiano di violenze, e divenne l’emblema di una situazione di stallo che andava ad ogni costo risolto. Se guerra e terrorismo non bastavano a decretare chi aveva diritto ad abitare in Palestina, allora doveva decidere la diplomazia. Cominciarono così, dopo quattro decenni di ostilità, colloqui diretti di pace tra palestinesi e israeliani, che negli anni Novanta avrebbero portato la questione mediorientale in una fase del tutto nuova. Yasser Arafat. 15.4 L’America Latina Gli ostacoli allo sviluppo dei paesi latinoamericani L’America Latina del Novecento fu caratterizzata da molti fattori favorevoli che avrebbero potuto lanciarne lo sviluppo economico e sociale: non fu coinvolta direttamente nei due conflitti mondiali, era abitata da una popolazione giovane e dinamica, appariva ricchissima di risorse agricole e materie prime, aveva la libertà di scegliere il proprio destino politico. Lo sviluppo, invece, non si è mai materializzato: l’intera area latinoamericana soffriva infatti di molte delle contraddizioni che, negli stessi decenni, colpivano Stati ben più giovani e popoli assai più poveri in Asia e Africa. Le grandi proprietà terriere e le gerarchie sociali legate al latifondo sono scomparse molto tardi, ostacolando la crescita di un’agricoltura moderna. La stessa agricoltura ha costituito per troppo tempo il settore trainante dell’economia, a scapito di un’industria e di servizi poco sviluppati. Amministrazioni inefficienti, disattente ai bisogni dei cittadini e spesso corrotte hanno caratterizzato la vita di questi paesi, colpiti anche da una grave instabilità politica: in America Latina la democrazia è stata spesso vissuta come una parentesi, tra dittature militari e regimi autoritari. Infine ha pesato non poco la vicinanza del gigante statunitense, che ha esercitato sul continente un oppressivo dominio economico e politico. Basti pensare alle miniere o alle sterminate piantagioni di prodotti agricoli tropicali – dal caffè alle banane, dallo zucchero al cacao – completamente in mano a società estrattive e multinazionali alimentari statunitensi e alle ripetute occasioni in cui Washington è intervenuta per abbattere i governi che cercavano di svincolarsi dalla sua politica. L’Argentina e il Brasile, i due giganti del continente sudamericano Emblematiche sono le vicende di Argentina e Brasile, i due paesi più grandi e importanti del Sud America. L’Argentina sperimentò a partire dal 1946 il regime di Juan Domingo Perón. Egli ave- Intifada: bambini lanciano pietre contro dei carrarmati. Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda Evita e Juan Domigo Perón negli anni Cinquanta. va creato un movimento nazionalista dai tratti autoritari che aveva il suo principale sostegno nei sindacati, negli operai e nei descamisados del proletariato urbano, e che invocava la collaborazione tra le classi in nome dell’interesse della patria. Accanto a lui, notevole peso politico ebbe la moglie Evita Duarte: entrambi erano circondati da un’ammirazione collettiva che sconfinava nel culto della personalità. Il Partito giustizialista – così si chiamava il movimento di Perón – ottenne buoni risultati e favorì la crescita dell’industria e dell’occupazione. Avviò inoltre le prime strutture di un Welfare State diffuso ed efficiente. Ma la nazionalizzazione delle banche e delle assicurazioni, l’esproprio dei latifondi e la redistribuzione delle terre, la laicizzazione dello Stato e l’introduzione del divorzio crearono forti malumori nelle classi più abbienti e conservatrici del paese. Lo stesso appoggio delle classi popolari venne meno dopo qualche anno, a causa di difficoltà economiche e una crescente inflazione. Perón fu rovesciato nel © Loescher Editore – Torino 300 1945 descamisados : masse prive di tutela sindacale e protezione politica; erano lontane come mentalità dal popolo contadino e favorevoli a una collaborazione tra le masse e il leader. © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 301 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda desaparecidos: in spagnolo significa «spariti» e venne usato in tutto il Sud America per indicare le persone imprigionate, torturate e uccise dalle polizie segrete delle dittature militari e delle quali si persero le tracce. Si calcola che i desaparecidos durante il regime argentino tra 1976 e 1982 siano stati circa 30.000. embargo: divieto di commerciare con un determinato paese. È una misura di ritorsione economica e può essere totale o parziale: totale se riguarda ogni genere di beni, parziale se riguarda solo determinate merci, per esempio armi, cibo, petrolio. 1955 da un colpo di Stato militare. Proprio i generali dell’esercito avrebbero poi guidato a Buenos Aires dal 1976 una delle dittature più dure dell’intero Novecento latinoamericano. Divennero allora familiari ai telespettatori di tutto il mondo le madri dei desaparecidos , che sfilavano silenziosamente davanti ai palazzi del potere per ottenere notizie sui loro cari scomparsi. La dittatura argentina cadde solo nel 1983 in seguito alla guerra delle isole Falkland, combattuta e perduta nel 1982 contro il Regno Unito. Il Brasile fu guidato quasi ininterrottamente, tra 1930 e 1954, dalla dittatura di Getulio Dornelles Vargas. Fondatore dell’Estado Novo, lo Stato Nuovo nazionalista e conservatore, egli eliminò ogni opposizione politica e si appoggiò ai ceti popolari, venendo addirittura chiamato «padre dei poveri». Fu deposto dai militari, che avrebbero poi a loro volta assunto il potere. Il regime dell’esercito durò dal 1964 al 1985 e fu caratterizzato dal tentativo di modernizzare il paese. L’apertura ai capitali esteri e la promozione dell’industria statale non bastarono però a lanciare lo sviluppo economico del Brasile. Né furono sufficienti a colmare le gravissime diseguaglianze sociali che affliggevano il paese. Fidel Castro circondato dai suoi guerriglieri mentre saluta dalla jeep entrando a Cienfuegos dopo la vittoria sulle forze di Batista, 4 Gennaio 1959. A metà degli anni Ottanta, finalmente, la caduta dei governi militari sembrò riportare stabilmente Argentina e Brasile sulla strada della democrazia. Cuba: il socialismo alle porte degli Stati Uniti A fronte di tali vicende risalta decisamente, per la sua particolarità, l’esperienza di Cuba. Qui la Rivoluzione socialista guidata da Fidel Castro abbatté nel 1959 la dittatura di Fulgencio Batista. Il nuovo regime confiscò e nazionalizzò subito i beni stranieri, abolì il latifondo, distribuì la terra ai contadini ed espulse dall’isola la United Fruits, la multinazionale statunitense che a quell’epoca controllava la metà delle piantagioni di zucchero dell’isola caraibica. Washington proclamò l’embargo commerciale contro Cuba e smise di importarne proprio lo zucchero; l’Avana tuttavia trovò nell’Unione Sovietica un nuovo acquirente per i suoi prodotti agricoli. Gli Stati Uniti, decisi a non tollerare un regime marxista sulla soglia di casa, organizzarono nell’aprile 1961 una spedizione di oppositori di Castro nell’isola, ma il cosiddetto «sbarco della Baia dei Porci» ebbe esiti fallimentari. Gli insorti non riuscirono infatti a provocare la sollevazione dei locali contro il governo socialista e furono subito catturati. Si arrivò così nel 1962 alla «crisi dei missili» tra le due superpotenze e Cuba rischiò per qualche settimana di diventare il pretesto di una nuova e terribile guerra mondiale. Negli anni successivi, Castro ebbe modo di consolidare il proprio regime e godette di una grandissima popolarità in America Latina, nell’intero Terzo Mondo e anche presso buona parte dell’opinione pubblica occidentale. Egli aveva infatti dimostrato che si potevano battere gli Stati Uniti. Ulteriore lustro gli veniva poi dalle conquiste sociali realizzate in patria: proverbiale divenne allora la qualità dell’insegnamento e dell’assistenza sanitaria forniti a Cuba. Emersero però anche i tratti autoritari che accompagnavano la dittatura castrista, dalla repressione del dissenso politico al divieto di lasciare l’isola ed emigrare. Col tempo apparve evidente che la pianificazione di tipo sovietico e la mancanza di un’industria avanzata non permettevano lo sviluppo di una economia progredita. E quando l’Unio- Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda ne Sovietica, alla metà degli anni Ottanta, smise di finanziare il regime cubano una nuova povertà si affacciò nell’isola caraibica. La conclusione della Guerra fredda e la dissoluzione del comunismo in Europa resero più evidenti gli effetti dell’embargo commerciale e misero Castro, isolato internazionalmente, in una condizione di grave difficoltà. Gli altri paesi sudamericani Il Messico ha una Costituzione che risale al 1917 e da parecchi decenni gode ormai di una stabile anche se sofferta democrazia. Il suo esempio è tuttavia pressoché unico. Come abbiamo già accennato, i popoli di ogni altro paese di America centrale e meridionale hanno sofferto nel Novecento per la violenza della lotta politica e l’imporsi di rigide dittature. Il Paraguay fu guidato dal generale Alfred Stroessner tra 1954 e 1989: uno dei regimi di destra più lunghi del Novecento. In Cile, nel 1970, il nuovo governo capeggiato dal socialista Salvador Allende promosse la riforma agraria e la nazionalizzazione delle banche e delle ricchissime miniere di rame del paese (sottraendone la proprietà a compagnie multinazionali americane). Fidel Castro davanti a un aeroplano americano caduto al suolo, Baia dei Porci, 1961, Cuba. In questo modo venne incontro al desiderio di maggiore giustizia ed equità nella distribuzione delle ricchezze diffuso tra la popolazione. E soprattutto svincolò il Cile dagli interessi statunitensi, che attraverso le grandi multinazionali controllavano buona parte dell’economia locale e soprattutto il mercato dello stesso rame. Allende venne rovesciato nel settembre 1973 dall’esercito, con l’appoggio attivo degli Stati Uniti, e morì mentre era impegnato nella difesa del palazzo presidenziale. Il generale Augusto Pinochet assunse il potere e lo mantenne fino al 1989, imponendo al Cile il pugno di ferro della dittatura militare. I regimi politici in America Latina 1973-1986 1973 MESSICO HAITI REP.DOMINICANA CUBA GUATEMALA HONDURAS NICARAGUA COSTA RICA PANAMÀ 1986 MESSICO CUBA GUATEMALA HONDURAS NICARAGUA COSTA RICA PANAMÀ VENEZUELA BOLIVIA HAITI REP.DOMINICANA ECUADOR VENEZUELA BOLIVIA ECUADOR PERÙ PERÙ BRASILE BRASILE BOLIVIA BOLIVIA PARAGUAY PARAGUAY CILE CILE Dittatura militare URUGUAY ARGENTINA Dittatura populista URUGUAY ARGENTINA Democrazia Regime socialista © Loescher Editore – Torino 302 1945 © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 303 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda io sp Ca Tabriz Ardabil Lago di Urmia T U R K M E N I S TA N Rasht Maragheh Zanjan Gorgan Qazvin Sanandai TEHERAN Hamadan Qom Kashan Borujerd Esfahan A N Zabol A o Bandar-e Bushehr fo Bandar-e Abbas l 1945 STA N KI KUWAIT P Zahedan Shiraz P er sic o BAHREIN Jask Chabahar Golf o di Oman QATAR EMIRATI ARABI UNITI La lunga e inutile guerra tra Iran e Iraq Altro effetto dell’affermazione di Khomeini fu lo scoppio di un’ostilità da molto tempo latente tra Iran e Iraq. Il dittatore dell’Iraq, Saddam Hussein, pensò di approfittare del- © Loescher Editore – Torino 304 Birjand Kerman Khorramshahr Abadan SAU D ITA Mashhad Yadz Ahvaz A RAB IA Sabzevar AFGHANISTAN I R G Gli effetti della rivoluzione khomeinista non tardarono a mostrarsi al mondo. Nel novembre 1979, 52 cittadini statunitensi vennero presi in ostaggio nell’ambasciata USA di Teheran dagli studenti islamici, che chiedevano l’estradizione dello scià, rifugiatosi proprio presso il governo nordamericano. Washington si rifiutò di cedere e ne nacque una crisi diplomatica che fu risolta con la liberazione degli ostaggi solo nel gennaio 1981. Teheran si impegnò anche nel finanziamento dei movimenti integralisti islamici – come il libanese Hezbollah – che proprio in quegli anni nascevano e raccoglievano consensi sempre maggiori tra le masse musulmane. In breve, agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, la minaccia esercitata dall’Iran si confuse con quella portata da un altro protagonista dell’Islam dell’epoca. Era il colonnello Muhammar Gheddafi, che deteneva il potere in Libia dal 1969 e si era fatto strenuo difensore dell’arabismo e – strumentalmente – anche della religione musulmana, contro l’influenza dei modelli di vita provenienti da Ovest. Ghedda- Urmia Q Sostenitrici dell’ayatollah Khomeini, 1979, Teheran. L’Iran dello scià Mohammad Reza Pahlevi era un paese occidentalizzato. Il monarca, che governava con il pugno di ferro, si era sforzato per decenni di modernizzare e laicizzare la società. Per esempio, togliendo potere al clero musulmano sciita e promuovendo l’emancipazione della donna. Verso la fine degli anni Settanta, però, larghi settori del paese gli erano contrari: dagli studenti, che desideravano più libertà, alla borghesia, che mal tollerava la forte ingerenza degli Stati Uniti e delle compagnie petrolife- fi contestava la supremazia mondiale degli Stati Uniti e ammetteva apertamente l’uso del terrorismo come arma di lotta. Fu per questo ritenuto il mandante di numerosi attentati, come quello che nel 1988 causò l’esplosione in volo di un aereo della compagnia americana Pan Am e la morte di 270 persone. I tentativi americani di eliminare fisicamente Gheddafi fallirono e poco efficaci si mostrarono le sanzioni economiche decise dall’ONU contro la Libia. Tripoli e Teheran, alla fine degli anni Ottanta, venivano considerate tra i peggiori fattori di destabilizzazione della politica internazionale. AZERBAIGIAN A In Iran trionfa la rivoluzione religiosa di Khomeini Iran e Libia diventano nemici giurati dell’Occidente ARMENIA UZ B E K I STA N R Verso la fine della Guerra fredda emerse nei paesi islamici dell’Africa mediterranea e del Vicino Oriente un fenomeno che nessuno studioso o governante del mondo industrializzato aveva previsto: una nuova mescolanza tra fede musulmana e potere politico. Dopo il raggiungimento dell’indipendenza, negli Stati dell’area si erano affermati partiti e governi laici, che avevano operato una netta separazione tra politica e religione. Vedevano infatti in tale divisione una premessa indispensabile alla modernizzazione delle società arabe. Le masse popolari di questi paesi erano tuttavia rimaste profondamente radicate nella fede musulmana. E quando il nazionalismo laico, il socialismo e il capitalismo si mostrarono uno dopo l’altro incapaci di favorire uno sviluppo effettivo, il Corano tornò a svolgere per la gente comune un ruolo guida fondamentale anche nella vita civile. Così, fu la volontà popolare a imporre spesso ai governanti la religione come misura e criterio delle scelte politiche. [Testimonianze documento 8, p. 319] Si trattava di un fenomeno che l’Occidente, abituato ormai da lungo tempo alla distinzione tra Stato e Chiesa, faticava a comprendere, ma che doveva produrre da subito immediate ripercussioni sulla politica internazionale. I primi chiarissimi segnali di quanto accadeva vennero dall’Iran. [ I NODI DELLA STORIA p. 306] RUSSIA GEORGIA ar Fede e politica si confondono nell’insegnamento dell’Islam L’Iran M scena internazionale Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda re americane, alle masse popolari, religiose e tradizionaliste. Tenuta a freno per lungo tempo, la protesta alla fine scoppiò e non lasciò scampo allo scià. Tra dicembre 1978 e gennaio 1979, imponenti manifestazioni di piazza e la rivolta di parte dell’esercito costrinsero Reza Pahlevi prima ad abdicare e poi a fuggire. I favori dell’opposizione si concentrarono allora sull’ayatollah Ruhollah Khomeini, capo religioso degli sciiti, uomo di grande carisma e autorevolezza. Il nuovo leader dell’Iran rientrò dall’esilio nel febbraio 1979 e subito impose scelte che sbalordirono il mondo. Nacque infatti a Teheran una repubblica islamica fondata sul Corano. I precetti religiosi divennero legge dello Stato e tutto il potere fu assunto dal clero. Ogni influenza dell’Occidente sulla società iraniana fu eliminata, la cultura e l’intellettualità laica messe a tacere, l’opposizione politica duramente repressa. Le donne vennero di nuovo relegate a un ruolo subalterno. Khomeini aveva insomma creato uno Stato di natura religiosa, una vera e propria teocrazia . IA 15.5 L’Islam irrompe sulla I sunniti e sciiti: i sunniti prendono il loro nome da sunnah che significa «tradizione»: sono pertanto i musulmani che si riconoscono nella tradizione e costituiscono la maggioranza dei seguaci del’Islam. Gli sciiti ritengono invece che, dopo la morte di Maometto, la guida dell’Islam debba essere riservata alla discendenza del profeta attraverso sua figlia Fatima e suo cugino Alì. La differenza fondamentale fra la componente maggioritaria e quella minoritaria della comunità islamica riguarda la presenza e il ruolo della gerarchia religiosa. L’Islam infatti non è mai stato strutturato in una chiesa e i sunniti riconoscono autorità religiosa solo alla comunità dei fedeli, rispettando alla lettera l’affermazione di Maometto: «La comunità dei credenti non si accorderà mai su un errore». Movimenti di guerriglia di sinistra sorsero e furono sconfitti, negli anni Sessanta, nelle città e nelle campagne di Perù, Venezuela, Colombia, Uruguay. Lo stesso accadde in Bolivia, dove a guidare la ribellione contro il regime militare fu Ernesto «Che» Guevara, argentino, amico e compagno di lotta di Castro, fautore di una rivoluzione mondiale ai danni degli Stati Uniti. Guevara venne catturato e ucciso dai soldati boliviani nell’ottobre 1967, diventando da quel momento il modello dell’intellettuale combattente per tutte le sinistre del pianeta. Lunghe guerre civili furono infine combattute in Nicaragua ed El Salvador. In Nicaragua, la lotta tra il regime socialista di Daniel Ortega e gli insorti filostatunitensi causò tra 1979 e 1989 oltre 60.000 vittime, concludendosi con il ritorno al governo dei moderati. Nello Stato di El Salvador, lo scontro tra esecutivo dei militari e guerriglia comunista si protrasse dal 1979 al 1991, causando oltre 70.000 morti e chiudendosi con una difficile pacificazione nazionale. Al termine della Guerra fredda, l’America Latina appariva come un continente dai mille contrasti, economici, sociali e politici. E ancora lontano da uno sviluppo regolare e pieno. TURCH 3 Mare Arabico OMAN Muhammar Gheddafi. teocrazia: termine che significa «potere di Dio». La teocrazia è una forma di governo in cui il potere politico è subordinato al potere religioso. © Loescher Editore – Torino 1957 Entra in produzione la Fiat 500 1961 Gagarin primo uomo nello spazio 1969 Armstrong primo uomo sulla Luna 1986 Incidente nucleare di Chernobyl 1990 305 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda L’Iraq T U R C H I A Irbil Mosul Eufr LIBANO at I Ba'qubah R BAGDAD IRAQ Karbala An-Najaf GIORDANIA Kirkuk e ar-Ramadi ar-Rutbah ISRAELE As-Sulaymaniyah T i g ri S I R I A Al-Amarah Ad-Diwaniyah An-Nasiriyah A R A B I A Bassora S A U D I T A KUWAIT A N la debolezza e dell’isolamento internazionale della nuova Repubblica per ottenere con le armi due scopi: strappare all’Iran alcune regioni di confine ricchissime di giacimenti petroliferi e abbattere la teocrazia degli ayatollah. I sunniti al potere in Iraq temevano infatti che la maggioranza sciita della popolazione subisse il fascino di Khomeini e si ribellasse. Saddam Hussein non raggiunse i suoi obiettivi. La guerra durò otto anni, dal 1980 al 1988, ma alla sua conclusione i confini rimasero quelli prebellici. L’Iran resistette oltre ogni previsione e un milione e mezzo di morti non fu sufficiente a stabilire quale dei due contendenti dovesse prevalere. Nel 1989 Khomeini morì e la successione venne affidata all’ayatollah Alì Rafsanjani, che non modificò la politica attuata dal padre della rivoluzione sciita. Di lì a poco l’Iraq di Saddam Hussein sarebbe tornato al centro della scena internazionale, scatenando la crisi che avrebbe portato alla guerra del Golfo. 1959 Rivoluzione cubana 1958-1959 Mao lancia il «grande balzo in avanti» 1965-1969 Mao lancia la Rivoluzione culturale 1965-1973 Guerra del Vietnam 1967-1982 Israele consolida i suoi confini I NODI DELLA STORIA Nello scenario della Guerra fredda, i conflitti nel Terzo Mondo non erano sfuggiti, pur se complicati da ragioni squisitamente locali, alla logica bipolare dello scontro tra Occidente capitalista e Socialismo reale. Non fece certo eccezione la vasta area dei paesi islamici, segnata da un recentissimo passato coloniale. La questione palestinese e la scelta degli Stati Uniti e dei suoi alleati di sostenere Israele aveva contribuito a spingere il nazionalismo arabo a un’alleanza perlomeno tattica con l’Unione Sovietica. Ma se questa era stata la scelta di Nasser e di altri leader panarabisti, diversi erano gli interessi delle famiglie regnanti nell’Arabia Saudita, negli emirati del Golfo Persico e nella dinastia imperiale persiana dell’Iran. Pur confermando un’alleanza di ferro con gli Stati Uniti, in questi paesi si erano sviluppate, in forme diverse, correnti intransigenti dell’Islam. Nella penisola arabica, culla della religione musulmana, si era sviluppato il movimento wahabita, fortemente conservatore, propugnatore di una lettura integralista della legge islamica (sharia) e tuttavia in ottimi rapporti con la dinastia regnante. Si trattava, ovviamente, di un movimento interno alla componente maggioritaria dell’Islam, quella dei sunniti. Tra gli sciiti, maggioritari in Iran ma anche in buona parte dell’Iraq, la situazione era diversa: le componenti più intransigenti erano in forte contrasto con il 306 © Loescher Editore – Torino governo autoritario ma laico dello scià Reza Pahlevi ed erano oggetto di feroci repressioni da parte del regime iracheno del nazionalista Saddam Hussein. Nel 1979 avvennero due fatti destinati a cambiare per sempre gli assetti politici e ideologici del mondo islamico. L’invasione dell’Unione Sovietica dell’Afghanistan, oltre a suscitare una resistenza furibonda, alienò definitivamente le simpatie di quel mondo verso lo storico avversario degli Stati Uniti. L’altro evento fondamentale fu la rivoluzione khomeinista in Iran la quale, oltre a cacciare il regime dei Pahlevi, sperimentò il primo modello di stato teocratico islamico della storia recente. L’Occidente tardò a comprendere le conseguenze di questi cambiamenti. Sul momento sembrarono positive le difficoltà dei sovietici in una guerra del tutto simile a quella del Vietnam e il declino della loro influenza sul mondo arabo. Ma si trattava di ragionamenti miopi e di corto respiro. La diffusione dell’integralismo islamico si fece massiccia; sostituì nei cuori delle masse mediorientali e nordafricane la fiducia nel nazionalismo panarabista e socialista di qualche decennio prima. Fu il brodo di coltura del terrorismo internazionale la cui tragica risolutezza colpì al cuore l’America con l’attacco alle Twin Towers nel 2001. 1 Il Terzo Mondo, formato dai paesi che non si riconoscono né nel capitalismo né nel comunismo, è afflitto da gravi problemi politici, economici e sociali. Alla metà degli anni Cinquanta, i nuovi paesi di Asia e Africa e quelli dell’America Latina vennero nell’insieme chiamati «Terzo Mondo». Essi non si riconoscevano politicamente né nel blocco del Primo Mondo capitalista, né nel blocco del Secondo Mondo socialista e preferivano definirsi «non allineati». Terzo Mondo divenne però presto anche sinonimo di una gravissima situazione di arretratezza economica e sociale. Nacque allora il termine «sottosviluppo», per indicare il lungo cammino che quei paesi dovevano compiere sulla strada del benessere e della stabilità. 2 L’India sperimenta un lento ma costante progresso, mentre la Cina è passata attraverso gli sconvolgimenti del maoismo ed è ancora oggi dominata dal comunismo. Durante la Guerra fredda, la crescita dell’India fu travagliata ma sensibile, sotto la guida di Jawaharlal Nehru e di Indira Gandhi. Modernizzate agricoltura e industria, abolite le caste, i problemi vennero dalla povertà persistente e dalle difficili relazioni con il Pakistan, con il quale l’India combatté due guerre. Terribili sconvolgimenti furono causati in Cina dalla dittatura di Mao Tse-tung e dai suoi tentativi di modernizzare rapidamente il paese. Il «grande balzo in avanti» e la «Rivoluzione culturale» furono le due tappe principali di questo cammino. Il successore di Mao, Deng Xiao-ping, lasciò notevole libertà economica, pur mantenendo il potere al partito unico e schiacciando ogni opposizione al regime. Sanguinose e segnate da lunghe guerre furono anche le vicende dell’Indocina, e in particolare quelle di Vietnam e Cambogia. 3 1969 Gheddafi al potere in Libia Quali sono le cause della diffusione dell’integralismo islamico? Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda 1973 Colpo di Stato autoritario in Cile 1975-1979 Genocidio in Cambogia 1979 Rivoluzione islamica in Iran 1987 Scoppia l’Intifada in Palestina 1989 Repressione degli studenti in Piazza Tien-An-Men In Medio Oriente, l’intero periodo della Guerra fredda è caratterizzato dallo scontro tra Israele e i paesi arabi per il possesso della Palestina. Dopo la crisi di Suez del 1956, il Medio Oriente soffrì per la rivalità tra Israele e i vicini arabi. Le guerre del 1967, 1973 e 1982 portarono al consolidamento dei confini israeliani a danno delle popolazioni islamiche. Al contempo, crebbe il ruolo dei palestinesi e del loro leader, Yasser Arafat, come legittimi aspiranti a un nuovo e indipendente Stato. Speranze di pace, quasi subito disattese, vennero dall’accordo del 1979 tra Egitto e Israele, stipulato a Washington. L’epoca della Guerra fredda si chiuse sotto il segno dell’Intifada, la «rivolta delle pietre» dei palestinesi di Gaza e Cisgiordania contro gli occupanti israeliani. 4 L’America Latina, afflitta da profonde sperequazioni sociali, sperimenta regimi autoritari e populisti e solo negli anni Ottanta inaugura il passaggio alla democrazia. L’America Latina, continente giovane e ricchissimo di risorse naturali, era caratterizzato da strutture sociali legate al latifondo, da un’economia povera ed agricola, da una grave instabilità politica e dalla pesante ingerenza degli Stati Uniti. In tutti i paesi dell’area si affermarono durissime dittature militari. Altre esperienze importanti furono il governo populista di Juan Domingo Perón in Argentina, il governo socialista di Salvador Allende in Cile, e la Rivoluzione socialista cubana, condotta da Fidel Castro. Solo verso la metà degli anni Ottanta l’America Latina è sembrata avviarsi finalmente sulla strada della democrazia. 5 Il risveglio dell’Islam ha forti ripercussioni sociali e politiche e nasce in Iran un regime religioso che combatte apertamente i modelli ideali e di vita imposti dall’Occidente. Nell’Africa mediterranea e nel Medio Oriente si verificò il risveglio dell’Islam. La fede religiosa prese a influenzare sempre più spesso le decisioni dei governanti, mescolandosi alla politica. Centro di questo fenomeno fu l’Iran, dove nel 1979 trionfò la rivoluzione di Ruhollah Khomeini, fondatore di una repubblica islamica teocratica e anti-occidentale. Analoga battaglia condusse dal 1969 in Libia Muhammar Gheddafi. Infine, Iran e Iraq si fronteggiarono in una lunga e sanguinosa guerra tra 1980 e 1988. © Loescher Editore – Torino 307 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda La prima guerra televisiva: il Vietnam La guerra del Vietnam coinvolse le passioni politiche di un’intera generazione, quella degli anni Sessanta. Il suo impatto fu dovuto soprattutto al fatto che si trattò della prima guerra in cui i mass media, e la televisione in particolare, seguirono da vicino gli eventi bellici, proiettandone le terribili immagini sulle opinioni pubbliche occidentali, a partire da quella americana. Le strategie e le armi non convenzionali, tese a demolire il morale dell’avversario e a combatterlo con ogni mezzo, furono ben presto conosciute e denunciate. Tuttavia, i mezzi di comunicazione di massa non solo garantivano un flusso inedito di informazioni, ma offrivano nuove possibilità di manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la propaganda. In ogni caso, l’esito dell’intervento americano in Vietnam fu per molti versi condizionato dalla presenza della televisione. Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda Manifestazioni contro la guerra Le cronache e le immagini dal fronte vietnamita alimentarono un crescente malcontento nella società americana e in tutto l’Occidente, provocando manifestazioni di protesta soprattutto all’interno dei centri universitari, come a Berkeley. Immagini scioccanti I bombardamenti americani sui villaggi del Vietnam del Sud esposero la popolazione civile a gravissimi danni e perdite. Fu in particolare l’uso del napalm a provocare terribili effetti che furono puntualmente documentati da fotografi e cineoperatori. Non solo, i vietcong conducevano, nel Vietnam del Sud, una guerriglia che presupponeva un massiccio appoggio della popolazione locale nelle campagne, per nascondersi e per sostenersi. Nel corso di alcune rappresaglie, le truppe americane furono protagoniste di alcuni massacri: le loro immagini scossero profondamente l’opinione pubblica americana, riducendo sempre più il suo consenso alla guerra. Gli studenti dell’Università Berkeley manifestano contro la guerra in Vietnam, marzo 1968. La sconfitta americana Il ritiro delle forze americane, avvenuto nel 1973, trovò un epilogo spettacolare nel 1975, quando le truppe del Vietnam del Nord entrarono a Saigon. I funzionari dell’ambasciata americana e molti civili vietnamiti che avevano collaborato con le forze statunitensi fuggirono con gli elicotteri dalla città ormai occupata dalle forze comuniste. Le immagini di quella drammatica fuga, che fecero il giro del mondo, suggellarono il fallimento della politica americana in Vietnam: l’elicottero, emblema della potenza tecnologica e bellica americana, divenne il segno della sua sconfitta. Attacco con il napalm durante la guerra del Vietnam. Vietcong uccisi durante uno scontro con l’esercito americano. La propoaganda filo-americana La televisione però non fu soltanto uno strumento essenziale di informazione, ma anche un potente mezzo di propaganda. Il simbolo della guerra americana in Vietnam fu l’elicottero, che, in un contesto geografico particolarmente difficile per i combattenti, poteva raggiungere le zone più impervie della giungla e appoggiare localmente le truppe esposte a imboscate o impegnate in operazioni di controllo o rastrellamento. Nelle rappresentazioni propagandistiche favorevoli al conflitto l’elicottero era un elemento centrale. Elicotteri americani depositano truppe di rinforzo nel delta del Mekong, 1967. 308 © Loescher Editore – Torino Gli elicotteri evacuano americani e civili vietnamiti dal tetto dell’ambasciata USA di Saigon, 1975. © Loescher Editore – Torino 309 3 15 Il mondo diviso dalla Guerra fredda Ragiona sul tempo e sullo spazio Impara il significato 1 4 ATTIVITÀ 2 Osserva le cartine a p. 303 e descrivi le trasformazioni politiche che si verificano nell’America Latina; poi ricava dal testo del capitolo informazioni più precise sui cambiamenti politici dei singoli stati. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 Nel Mao lancia la politica del «grande balzo in avanti» Nel la Rivoluzione socialista guidata da Fidel Castro abbatte la dittatura di Fulgencio Batista Nel Egitto e Siria attaccano Gerusalemme nella cosiddetta Guerra del Kippur Nel l’intera Indocina passa sotto il controllo delle forze comuniste, che trionfano in Vietnam, Laos e Cambogia Nel Mao lancia la «Rivoluzione culturale» che si propone di indottrinare la popolazione secondo i dettami ideologici del marxismo, nel nome dell’egualitarismo e del livellamento sociale Nel un golpe militare, con l’appoggio attivo degli Stati Uniti, rovescia il governo di Salvador Allende e instaura la dittatura militare del generale Pinochet Nel scoppia l’Intifada, la «rivolta delle pietre» palestinese, che ha per protagonisti i ragazzi di Cisgiordania e Gaza, i territori occupati da Israele Nel la «Guerra dei Sei Giorni» si conclude con l’occupazione da parte di Israele di Sinai egiziano, alture del Golan, Gerusalemme (l’intera città), Cisgiordania e striscia di Gaza Nel i carri armati cinesi stroncano brutalmente la protesta degli studenti raccolti in piazza Tien-An-Men, che chiedevano libertà d’espressione e rispetto dei diritti umani Nel si concludono gli accordi di Camp David, con i quali Israele si impegna a restituire il Sinai all’Egitto Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo della Guerra fredda. 1 2 3 4 5 6 7 8 Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con quattro colori diversi gli eventi riconducibili alla Cina, quelli che riguardano l’Indocina, quelli che si riferiscono all’America Latina e quelli che avvengono in Medio Oriente. 5 Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda Geopolitica Secessione Dettami ideologici Espiazione Maroniti Intellettuale combattente Estradizione Dittatura militare Prova a riflettere sul significato di «multinazionale» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega a che cosa si riferisce; scrivi poi un esempio di multinazionale operativa ai giorni nostri. Osserva, rifletti e rispondi alle domande 6 Osserva la mappa concettuale relativa ai regimi comunisti in Cina e Indocina. Poi rispondi alle domande. Le vicende dei regimi comunisti in Cina e Indocina Esplora il macrotema 3 Completa il testo. Nel secondo dopoguerra, oltre al Primo Mondo capitalista e al Secondo Mondo (1) , nasce un terzo gruppo di Stati che prende il nome di «Terzo Mondo». L’espressione viene coniata in seguito alla conferenza di Bandung (in Indonesia) del 1955, alla quale partecipano i rappresentanti di molti paesi di Asia, Africa e America Latina che da poco hanno ottenuto l’(2) ; tali Stati si definiscono «non allineati», poiché affermano la propria autonomia sia dal blocco occidentale guidato dagli (3) , sia dal blocco orientale capeggiato dall’Unione Sovietica. Tuttavia, l’espressione perde ben presto il suo significato politico per divenire sinonimo di povertà e arretratezza. Gli Stati del (4) , infatti, benché diversi per storia e cultura, sono accomunati dalla condizione di (5) economico, dovuta alla presenza di debolissime strutture economiche, sociali e politiche. L’economia è basata quasi ovunque su un’agricoltura di pura sussistenza, tesa al soddisfacimento dei (6) immediati del coltivatore e della sua famiglia; le industrie sono scarse e i servizi essenziali quasi inesistenti. Un ulteriore, grave, problema è dato dal perenne svantaggio nei confronti dei paesi più ricchi del pianeta. Tale squilibrio prende il nome di «neocolonialismo», ossia «(7) colonialismo»: esso, infatti, ha per protagoniste le ex colonie e potenze imperiali che sfruttano le immense (8) naturali dei paesi del Terzo Mondo. Altra caratteristica comune è la forte instabilità politica di questi paesi: in essi permangono strutture sociali imperniate per lo più sui clan e sui gruppi tribali, spesso divisi da rivalità etniche o religiose, che portano all’affermazione di dittature oppressive, fondate sulla (9) e sulle armi. I problemi del Terzo Mondo rendono necessario fin da subito l’intervento della comunità internazionale. A partire dagli anni Cinquanta singoli governi, associazioni, organismi internazionali (come l’ONU o la Banca (10) ) tentano invano di sollevare le sorti di questi paesi con prestiti in denaro, investimenti tecnologici e aiuti (11) ; solo il nuovo millennio avrebbe portato una consapevolezza diversa sui rapporti tra la parte più ricca e quella più povera del pianeta e sulle soluzioni da adottare per liberare la seconda da povertà e arretratezza. 310 © Loescher Editore – Torino 1 Quali sono i mezzi adottati da Mao Tse-tung per avviare la «Rivoluzione culturale»? 2 Qual è la politica economica introdotta da Deng Xiao-ping? 3 Qual è il terribile esito cui porta il regime comunista di Pol Pot? Mostra quello che sai 7 Osserva l’immagine a p. 297 (a sinistra) e contestualizza la foto, spiegandone il valore simbolico. © Loescher Editore – Torino 311 Documenti L’universalizzazione dei diritti dell’uomo Dalle dichiarazioni settecentesche alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, si dipana uno degli aspetti fondamentali della modernità, cioè del tempo presente: l’affermazione e la preservazione della dignità umana. È un principio pienamente accolto dall’articolo 3 della nostra Costituzione, che afferma: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali». Il primo articolo della Dichiarazione («Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza») costituisce quindi la sintesi di un lungo, contrastato percorso, le cui origini vanno intraviste nei processi rivoluzionari che dalla Gran Bretagna di fine Seicento si allargarono al continente europeo con la Rivoluzione francese e, ancor prima, all’intero Occidente con la Rivoluzione americana. Nel corso del XIX secolo i primi effetti della democratizzazione incominciarono a investire i sistemi politici, i quali vissero il contrasto tra la persistenza della dimensione tradizionale e l’emergere di una umanità fino allora misconosciuta, ma con sempre maggiore forza rivendicante diritti civili, politici e poi sociali per tutti. Con la Grande guerra vennero spazzati via i residui del vecchio mondo, ma incominciò, specie sul piano europeo, una fase aspra che sfociò, con i fascismi e con i regimi totalitari, nella Shoah, una pianificata eliminazione dell’altro, del diverso. Già dopo la Grande guerra, il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson enunciò la necessità di un’organizzazione mondiale. In una realtà nella quale lo sfruttamento coloniale e la discriminazione razziale erano ancora attivi, fu edificata la Società delle Nazioni, costituita sulla base dei 14 punti di Wilson. Ma la sua rappresentanza era fortemente inficiata dall’assenza dai suoi organi degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica e dal prevalere di una concezione eurocentrica, che scontava la persistenza del colonialismo. Con la Carta Atlantica sottoscritta dal presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e dal primo ministro inglese Winston Churchill si posero le premesse del nuovo ordine mondiale che condusse, a guerra conclusa, alla formazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, approvata dall’assemblea, fu diretta conseguenza della tragica esperienza degli anni Trenta e della Seconda guerra mondiale. La brutale degradazione della condizione umana che il nazismo mise in atto nel cuore della civiltà occidentale, dalle cui radici si era sviluppato il plurisecolare movimento teso ad affermare e a realizzare i diritti dell’uomo, condusse alla presa di coscienza di due aspetti fondamentali, tra essi strettamente connessi. Come recita il preambolo della Dichiarazione, «il riconoscimento della dignità umana inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace nel mondo». Con la consapevolezza che «il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo». La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, è composta da un preambolo e da 30 articoli che sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. I diritti dell’individuo vanno quindi suddivisi in due grandi aree: i diritti civili e politici e i diritti economici, sociali e culturali. Si tratta di un codice etico di importanza storica fondamentale: è stato infatti il primo documento a sancire universalmente (cioè in ogni epoca storica e in ogni parte del mondo) i diritti che spettano all’essere umano. Idealmente, la Dichiarazione è il punto di arrivo di un dibattito filosofico sull’etica e i diritti umani che nelle varie epoche ha visto impegnati filosofi e pensatori di varie scuole. 1 Che relazione esiste tra l’esperienza del totalitarismo in alcuni paesi, tra cui l’Italia, nella prima parte del XX secolo, e il successivo riconoscimento dei diritti umani da parte della comunità internazionale? 2 Cosa limita l’efficacia delle dichiarazioni universali approvate dalle Nazioni Unite rispetto all’effettiva salvaguardia dei diritti umani in tutti i paesi del mondo? 312 © Loescher Editore – Torino 1.I primi articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo L’Assemblea Generale proclama la presente Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo come ideale da raggiungersi da tutti i popoli e da tutte le Nazioni, al fine che ogni individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente questa Dichiarazione, si sforzi di promuovere, con l’insegnamento e l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra popoli degli stessi Stati membri, quanto fra quelli dei territori sottoposti alla loro giurisdizione. Articolo 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi sono dotati di ragione di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza. Articolo 2. (1) Ad ogni individuo spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere, di origine nazionale o sociale, di ricchezza, di nascita o di altra condizione. (2) Nessuna distinzione sarà inoltre stabilita sulla base dello statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui una persona appartiene, sia che tale Paese o territorio sia indipendente, o sottoposto ad amministrazione fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di sovranità. Articolo 3. Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona. Articolo 4. Nessun individuo potrà essere tenuto in stato di schiavitù o di servitù. La schiavitù e la tratta degli schiavi saranno proibite sotto qualsiasi forma. Articolo 5. Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti. 2.La matrice storica della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo Lo storico Raffaele Romanelli individua il percorso storico della crescente generalizzazione e affermazione dei diritti universali dell’uomo. In questo percorso di lungo periodo, egli individua una costante: l’ampliamento progressivo degli spazi di tutela della dignità umana, man mano, si potrebbe dire, che la nostra sensibilità si lega alle accresciute conoscenze scientifiche. Nonostante il ruolo che a partire dal 1948 un’istituzione globale come l’ONU ha assunto, Romanelli sottolinea le radici storicamente europee delle Dichiarazioni dei diritti dell’uomo. Il 26 agosto 1789 i rappresentanti del popolo francese riuniti in Assemblea esposero in una solenne Dichiarazione «i diritti naturali, inalienabili e sacri dell’uomo», affinché, «costantemente presente a tutti i membri del corpo sociale essa rammentasse loro continuamente i loro diritti e i loro doveri». […] Un secolo e mezzo più tardi […] il 10 dicembre 1948, l’Assemblea generale dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) approvò una «Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo» […]. Le organizzazioni internazionali, ma l’Europa soprattutto, hanno proseguito su questa strada. Nel 1950 è stata adottata una «Convenzione europea dei diritti dell’uomo e della libertà». Trascorso un altro mezzo secolo, il 7 dicembre 2000 le più alte autorità dell’Unione Europea riunite a Nizza hanno proclamato solennemente la «Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea» […]. Molte altre dichiarazioni simili, patti e convenzioni si sono aggiunti nell’ultimo cinquantennio in materia di diritti economici, sociali e culturali, civili e politici […]. Si arriva così a Gli obiettivi del millennio, risoluzione adottata dall’Assemblea generale dell’ONU nel settembre 2000, che ribadisce come valori fondamentali libertà, eguaglianza, solidarietà, tolleranza, rispetto per la natura e responsabilità condivisa, e che impegna i firmatari a non risparmiare «sforzo alcuno per promuovere la democrazia, rafforzare le norme del diritto, come pure il rispetto per tutti i diritti umani e le libertà fondamentali riconosciute internazionalmente». L’evidente parallelismo tra questi testi mostra che essi appartengono ad un’unica esperienza che collega il Settecento ai nostri tempi e che dalle prime dichiarazioni via via amplia la sfera dei diritti. R. Romanelli, Ottocento. Lezioni di storia contemporanea, I, Bologna, Il Mulino, 2011 © Loescher Editore – Torino 313 Documenti La Costituzione italiana Con le elezioni del 2 giugno 1946 le italiane e gli italiani non solo scelsero, con il referendum, la forma dello Stato, ma provvidero anche a eleggere l’Assemblea costituente, l’organo chiamato a redigere la Costituzione, cioè la legge fondamentale dello Stato. Essa venne approvata definitivamente dopo un intenso dibattito il 22 dicembre 1947 con 453 voti favorevoli e 62 contrari (l’estrema destra) ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948. L’approdo a una Costituzione condivisa non fu intralciato dai condizionamenti della Guerra fredda. Frutto di un compromesso tra le diverse culture politiche – definito «storico» da Meuccio Ruini, presidente della Commissione dei settantacinque costituenti chiamati alla prima definizione del testo –, la Costituzione si compone essenzialmente di due parti. La prima sanziona l’affermazione dei diritti politici, di libertà e sociali. Con l’articolo 3 si afferma l’uguaglianza dei cittadini, con l’articolo 4 il diritto al lavoro, con gli articoli 13, 18 e 21 le libertà personale, di associazione e di manifestazione del pensiero, con gli articoli 39 e 40 la libertà sindacale e il diritto di sciopero, con l’articolo 49 il diritto dei cittadini di associarsi in partiti. Sui diritti e sulle libertà politiche e civili, la Costituzione costituisce una netta rottura rispetto al passato, dato che pone stretti vincoli al legislatore. L’affermazione dei diritti sociali, per contro, contiene elementi programmatici, ed enuncia gli obiettivi da raggiungere, come è, per esempio, il caso del diritto al lavoro. Pesò nella scrittura della Costituzione la stratificata presenza della cultura cattolica. Seppur minoritaria relativamente alla richiesta di introdurre nel testo l’indissolubilità del matrimonio, un impianto tradizionale della famiglia con l’esclusione dei figli illegittimi e i finanziamenti pubblici alle scuole private, con il sostegno dei comunisti e di gran parte dei liberali ottenne comunque l’inserimento dei Patti lateranensi del 1929, contenenti il Concordato, nel nuovo ordinamento costituzionale. La seconda parte delinea una Repubblica parlamentare, fondata sulla separazione dei poteri, sul bicameralismo perfetto, sulla funzione equilibratrice del capo dello Stato, sulla Corte costituzionale come organo che giudica la legittimità delle leggi, sull’indipendenza e autogoverno della magistratura, sul regionalismo e le autonomie locali, sul referendum abrogativo. La Costituzione ha un carattere rigido: ogni proposta di modifica deve seguire un particolare iter teso a rendere meditata e condivisa la riforma. E non può essere mutata la forma repubblicana dello Stato. A causa della faticosa evoluzione del sistema politico, la Costituzione rimase in larga parte inattuata fino al 1955, quando fu avviata una lunga fase che condusse alla realizzazione di tutti gli istituti, conclusasi negli anni Settanta. A partire dagli anni Ottanta la «grande riforma» proposta dai socialisti intendeva cambiare la Costituzione con l’intento di favorire la democrazia dell’alternanza. Il tema della revisione costituzionale è stato da allora a oggi al centro della vita politica italiana. Nominate diverse commissioni bicamerali che non approdarono ad alcuno risultato, bocciata dal referendum popolare nel 2006 una proposta approvata in Parlamento di modifica radicale della seconda parte, la Costituzione ha accompagnato la lunga e irrisolta transizione italiana, mostrando l’efficacia dei meccanismi in essa contenuti. «La data del 1° gennaio 1948 ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è vivo e ha un futuro: una tavola di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare insieme. […] Il processo risorgimentale ebbe per compimento lo Stato nazionale, che assunse i lineamenti di uno Stato liberale ma senza il presidio di una Costituzione votata dai rappresentanti del popolo che prendesse il posto dello Statuto Albertino, concesso per «volontà sovrana». Fu dopo la rottura autoritaria del ventennio fascista, con il voto e la scelta repubblicana del 2 giugno 1946 che l’Italia unita giunse all’approdo del costituzionalismo». (dal discorso tenuto dal Presidente Giorgio Napolitano il 1° gennaio 2008, in occasione della celebrazione del sessantesimo anniversario della Costituzione repubblicana) 1 Quali sono i principali orientamenti che hanno ispirato i costituenti? 2 Quali sono a tuo giudizio i più importanti diritti sanciti dalla nostra Costituzione? 3 Quali articoli della Costituzione ti sembrano ancora molto attuali e quali sono a tuo avviso «superati»? 314 © Loescher Editore – Torino 1.Gli articoli fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Art. 2. La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale. Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese. Art. 4. La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società. […] Art. 8. Tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge. Art. 11. L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo. Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di eguali dimensioni. 2.Le radici della Costituzione: un dibattito in Assemblea costituente Si riporta un brano di un saggio storico che ricostruisce il dibattito in aula sul progetto generale di Costituzione, svoltosi nel marzo 1947; si individua e afferma quello che per quasi tutte le principali culture politiche dei costituenti rappresentava la fondamentale radice della Costituzione: l’antifascismo. La vita democratica e la stessa Repubblica si erano infatti affermati dopo la dittatura, la guerra e la Resistenza. C’era un valore condiviso da tutte le forze antifasciste: «la ragione – chiarì il degasperiano Tupini – è che nella memoria di tutto il popolo italiano è ancora viva una storia recente […]: è la storia della dittatura del fascismo, con le note conseguenze di guerra e di disfatta che hanno colpito al cuore l’uomo nelle sue libertà personali, nella sua famiglia, in tutta la sua vita». In sede di Costituente, Roberto Lucifero, già esponente del monarchico Partito democratico e dal dicembre 1947 all’ottobre 1948 segretario del Pli, […] avviò un tentativo di sganciamento, per così dire, della Costituzione dall’antifascismo […]. A suo avviso, il fascismo doveva essere accantonato nel senso che «non ci deve più entrare né in forma positiva né in forma negativa». [..] Seppure in disaccordo sui modelli di democrazia da adottare, seppure incerti rispetto alla costruzione delle regole della democrazia, benché reciprocamente sospettosi, i costituenti ebbero nella loro larga maggioranza chiaro che l’affermazione delle libertà e l’avvio verso la democrazia potevano avvenire solo in contrapposizione al regime politico che aveva in Italia, in un arco di tempo determinato, teorizzata e realizzata la loro soppressione. Come ha puntualizzato Scoppola: «per la Costituzione del 1948 può valere perciò quella identificazione tra democrazia e antifascismo che non può essere affermata invece né sul piano astratto dei principi né sul piano storico generale: la Costituzione democratica del 1948 è antifascista e l’antifascismo della Costituzione stessa è democratico». Questo legame era sentito così profondamente, costituiva a tal punto il carattere della nuova fase democratica che, come affermò Lussu, «a costo di non essere totalità, ma solo maggioranza, la nostra democrazia non dovrà mai rinunziare ad essere democrazia antifascista». P. Soddu, L’Italia del dopoguerra. 1947-1953: una democrazia precaria, Roma, Editori Riuniti, 1998 © Loescher Editore – Torino 315 Testimonianze Documento 1 Testimonianze L’articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite (capitolo 9) Documento 3 De Gasperi e il Trattato di pace (capitolo 11) La Seconda guerra mondiale causò circa cinquanta milioni di morti. E fu proprio l’enormità della tragedia a spingere i capi di governo e di Stato di tutto il mondo a riaffermare la necessità della rinuncia alle armi e della risoluzione pacifica delle controversie internazionali. Sono questi i principi cardine dell’articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite, sorte a San Francisco nel giugno 1945 per porre fine agli orrori del conflitto appena concluso. Il 10 agosto 1946, a Parigi, alla Conferenza dei paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, fu concesso ad Alcide De Gasperi di esporre il punto di vista del nostro governo sulle condizioni di pace imposte all’Italia. De Gasperi era in particolare preoccupato per la perdita di Trieste, ma la sua perorazione appassionata non valse ad attenuare la punizione inflittaci per i torti mussoliniani. Il tono e le parole del nostro presidente del Consiglio rendono bene la situazione di minorità in cui si trovava allora l’Italia. Articolo 1 I fini delle Nazioni Unite sono: 1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine: prendere efficaci misure collettive per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di aggressione o le altre violazioni della pace e conseguire, con mezzi pacifici e in conformità ai principi della giustizia e del diritto internazionale, la composizione o la soluzione delle Questo Trattato è, nei confronti dell’Italia, estremamente duro; ma se esso tuttavia fosse almeno uno strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale, il sacrificio nostro avrebbe un compenso. […] L’Italia avrebbe subito delle sanzioni per il suo passato fascista ma, messa una pietra tombale sul passato, tutti si ritroverebbero eguali nello spirito della nuova collaborazione internazionale. Si può credere che sia così? Evidentemente ciò è nelle vostre intenzioni, ma il testo del Trattato parla un altro linguaggio. […] Rammento che il comunicato di Potsdam del 2 agosto 1945 proclamava: «L’Italia Documento 2 controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare a una violazione della pace. 2. Sviluppare tra le nazioni relazioni amichevoli fondate sul rispetto e sul principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale. 3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere econo- mico, sociale, culturale o umanitario, e nel promuovere e incoraggiare il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali per tutti senza distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione. 4. Costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni volta al conseguimento di questi fini comuni. La «Primavera di Praga» nelle parole di un testimone dei fatti (capitolo 10) Vaclav Havel, scrittore, drammaturgo e negli anni Novanta presidente della Cecoslovacchia e poi della Repubblica Ceca, cominciò a fare politica attiva proprio nel periodo della «Primavera di Praga». La repressione sovietica e il ritorno all’ortodossia di regime lo emarginarono infatti dagli ambienti del teatro praghese come persona non gradita, spingendolo a diventare uno dei più attivi e noti difensori della libertà d’espressione nel suo paese. Ecco come ricorda, nella sua autobiografia, la sorpresa e l’entusiasmo che il risveglio della Cecoslovacchia suscitò nel 1968 nei suoi stessi cittadini. Dopo i cambiamenti di gennaio non intuii – come molti altri miei concittadini, in particolare quelli che non conoscevano i retroscena della vita di partito e vedevano tutte quelle cose dal di fuori – cosa si stava aprendo e cosa stava incominciando; mi sembrava che si trattasse solo di un cambio della guardia nelle alte sfere, e la cosa non mi interessava molto. Fui molto sorpreso dal rapido sviluppo delle cose che poi seguirono. Sorpresi rimasero ovviamente tutti, inclusa la direzione politica. Questi sviluppi cioè non furono il risultato di un preciso programma o di una concorde volontà, ma il manifestarsi di un’enorme pressio- ne che esisteva nella società e che trovò nelle lotte interne del partito e nei cambiamenti politici una grossa opportunità e favorevoli condizioni per far saltare il coperchio che la imprigionava. Non è vero che io sia riuscito a non soggiacere all’euforia per tutto quello che succedeva. Penso che tutti fossero sbalorditi da quegli eventi, che tutti ne gioissero: giacché all’improvviso si cominciò a respirare liberamente, la gente poteva associarsi liberamente, era scomparsa la paura, i più svariati tabù erano caduti, a tutti i più svariati conflitti sociali si poteva dare un nome, si potevano dimostrare i più svariati interessi, i mass me- dia tornarono a svolgere la loro vera funzione, la consapevolezza sociale cresceva – insomma, si scioglievano i ghiacci e si aprivano le finestre – non si poteva non essere affascinati e colpiti da tutte queste cose! […] La cosa pericolosa era che i dirigenti, non avendo una chiara idea di quello che succedeva, non avevano neppure idea di come difenderlo [il risveglio della Cecoslovacchia]. Stregati dalle loro illusioni, si immaginavano che avrebbero spiegato tutto all’Unione Sovietica in riunioni ufficiali, che le avrebbero fatto promesse, che avrebbero saputo tenere a freno la società, che l’Unione Sovietica alla fine avrebbe dovuto capire e approvare. fu la prima delle potenze dell’Asse a rompere con la Germania, alla cui sconfitta essa diede un sostanziale contributo, ed ora si è aggiunta agli Alleati nella guerra contro il Giappone». Tale era il riconoscimento di Potsdam. Che cosa è avvenuto perché nel preambolo del Trattato faccia ora sparire dalla scena storica il popolo italiano? […] Il carattere punitivo del Trattato risulta anche dalle clausole territoriali. E qui non posso negare che la soluzione del problema di Trieste implicava difficoltà oggettive che non era facile superare. Tuttavia anche questo problema è stato inficiato fin dall’inizio da una persistente psicosi di guerra, da un richiamo tenace ad un presunto diritto del primo occupante e dalla mancata intesa tra le due parti più direttamente interessate. […] Chi si fa interprete oggi del popolo italiano è combattuto da doveri apertamente contrastanti. Da una parte egli deve esprimere l’ansia, il dolore, l’angosciosa preoccupazione per le conseguenze del Trattato. Dall’altra, riaffermare la funzione della nuova democrazia italiana nel superamento della crisi della guerra e nel rinnovamento del mondo operato con validi strumenti di pace. Tale fede nutro io pure. A. Desideri, M. Themelly, Storia e storiografia, vol. 3, Firenze, D’Anna, 1997 Documento 4 Lo shock culturale: emigrare da Napoli a Milano (capitolo 11) Alessandro è un ventiquattrenne di Poggio Reale, trasferitosi con la famiglia a Milano. Il suo sgrammaticato racconto sulle difficoltà e le amarezze dell’emigrazione vale più di mille discorsi. E dice molto sullo shock prima di tutto culturale che colpiva chi passava dall’ambiente umano, sociale ed economico del Sud a quello del Nord. Due mondi talmente diversi da apparire quasi non comunicanti. La gente vengono qua che sono sventurati. Lasciano il suo paese, se fanno fortuna, se no tornano indietro. Io sono di Poggio Reale, comune di Napoli. Stavo laggiù, era un anno che ero sposato, non c’era lavoro, la miseria, adesso può darsi che cambio vita, speriamo. […] Ho avuto la fortuna di trovare subito lavoro […]. In casa pago 4.000 lire di affitto, 1.000 lire di luce, 200 di gabinetto e 200 d’acqua e ho una stanza sola in cantina. L’acqua bisogna andare fuori a prenderla in cortile perché c’è una sola fontana. Gabinetto lo stesso […]. Noi siamo della Bassa Italia, ci chiamano terroni, che siamo sporchi, che non vogliamo lavorare. Me n’è capitato due o tre fatti. Uno mi dice: «Sei un terrone, non avete voglia di lavorare. Venite qui a togliere il pane ai milanesi». Ho detto: «Te lo dici che non hai voglia di lavorare, mettiamoci a lavorare io e te lavori pesanti, e vedrai chi si stanca prima». Perché sono abituati al lavoro negli stabilimenti, hanno il loro lavoro pulito, sono specializzati, sono andati a scuola, e non fanno niente. Invece noi non abbiamo un mestiere che da noi non ci sono gli stabilimenti e il mestiere uno non se lo impara mai. G. Crainz, Storia del miracolo italiano, Roma, Donzelli, 1996 V. Havel, Interrogatorio a distanza, Milano, Garzanti, 1990 316 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 317 Testimonianze Documento 5 Testimonianze La nascita d’Israele nelle parole di David Ben Gurion (capitolo 12) Nella prima metà del maggio 1948 i soldati inglesi abbandonarono la Palestina salpando dal porto di Haifa. Il 14 maggio, dalle sale del Museo di Tel Aviv, David Ben Gurion annunciò la nascita dello Stato d’Israele. L’uomo politico, che sarebbe diventato in breve anche primo ministro, ricordò al mondo che una lunga storia, tante sofferenze e una straordinaria tradizione religiosa davano al popolo ebraico il diritto di creare in Palestina il proprio nuovo Stato. In Eretz Israel [la terra d’Israele] è nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa e politica, qui ha vissuto una vita indipendente, qui ha creato valori culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno Libro dei Libri [la Bibbia]. Dopo essere stato forzatamente esiliato dalla sua terra, il popolo le rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare e di sperare nel ritorno alla sua terra e nel ripristino in essa della libertà politica. Spinti da questo attaccamento storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni ritornarono in massa. […]. Il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo Paese […] fu riconosciuto nella dichiarazione Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della Società delle Nazioni che, in particolare, sanciva a livello internazionale il legame storico tra il popolo ebraico ed Eretz Israel […]. La Shoah che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico […] ha dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del popolo ebraico privo di patria e di indipendenza, con la rinascita dello Stato ebraico in Eretz Israel, che spalancherà le porte della patria a ogni ebreo e conferirà al popolo ebraico la posizione di membro con pari diritti nella famiglia delle nazioni. […] Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una risoluzione che esigeva la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel. […] Questo riconoscimento delle Nazioni Unite del diritto del popolo ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. […] Quindi noi […] siamo qui riuniti nel giorno della fine del Mandato Britannico su Eretz Israel e, in virtù del nostro diritto naturale e storico e della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà il nome di Stato d’Israele. Da www.storiadisraele.blogspot.com (sito visitato il 27 giugno 2011) Documento 6 Cronaca della caduta del Muro di Berlino (capitolo 13) Al di là di ogni riflessione politica, sociale ed economica, della caduta del Muro di Berlino si può certamente affermare questo: fu la rivincita della gente comune, degli uomini e delle donne che non si lasciano piegare dalla storia e cercano ostinatamente una luce per sé e per i propri figli. In tale senso va la testimonianza dell’americano Robert Darnton, presente nella metropoli tedesca tra 1989 e 1990 e testimone diretto degli avvenimenti che segnarono la conclusione della Guerra fredda. Secondo le sue parole, furono gli stessi berlinesi a scrivere la storia. È probabile che non sapremo mai cosa accadde all’interno della fatiscente struttura di potere della Repubblica Democratica Tedesca. Ma qualunque possa esserne stato l’elemento scatenante, il vero protagonista dell’abbattimento del Muro era lì dinanzi agli occhi di tutti la notte del 9 novembre: il popolo di Berlino Est. Esso aveva espugnato il Muro allo stesso modo di come aveva invaso le strade nei due mesi precedenti, di null’altro armato che delle sue idee, della sua disciplina, e di quella forza che solo le grandi masse possono sprigionare. Nel loro sciamare a ovest, i cittadini di Berlino Est parlavano il linguaggio della libertà, un linguaggio fatto di gesti, anziché di altisonante retorica. Essi si sono appropriati fisicamente del Muro; lo hanno scalato, sfondato, demolito. La stessa cosa è accaduta a Berlino Ovest. Essi si sono riappropriati di uno spazio che era loro, riversandosi sul Kurfürsterdamm, affollando gli autobus e i bar, parcheggiando le loro minuscole Trabant sul ciglio delle strade più lussuose, e quindi tornandosene trion- fanti a est con un fiore per la fidanzata o un giocattolo per un bambino. Si è trattato di un momento di pura magia, la presa di possesso di una città da parte della sua popolazione. Giovedì 9 novembre, sotto una luna piena, quasi schiacciati tra la scura sagoma del Reichstag e la minacciosa mole della Porta di Brandeburgo, la gente di Berlino ha ballato sul suo Muro, trasformando il più crudele degli scenari urbani in uno spettacolo di allegria e speranza, e ponendo fine a un secolo di guerra. R. Darnton, Diario berlinese 1989-1990, Torino, Einaudi, 1992 318 © Loescher Editore – Torino Documento 7 Lo Statuto dei lavoratori e le condizioni della vita di fabbrica (capitolo 14) Il 20 maggio 1970, il Parlamento italiano approvava la legge n. 300, intitolata «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento». La legge, nota come Statuto dei lavoratori, era destinata a rivoluzionare i rapporti di fabbrica tra il padronato e i prestatori d’opera, tradizionalmente svantaggiati nel confronto. Ecco i suoi articoli più importanti. Art. 1 – Libertà di opinione. I lavoratori, senza distinzione di opinioni politiche, sindacali e di fede religiosa, hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto dei principi della Costituzione e delle norme della presente legge. […] Art. 4 – Impianti audiovisivi. È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per finalità di controllo a distanza dell’attività dei lavoratori. […] Art. 5 – Accertamenti sanitari. Sono vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla infermità per malattia o infortunio del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può essere effettuato soltanto attraverso i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono te- Documento 8 nuti a compierlo quando il datore di lavoro lo richieda. […] Art. 7 – Sanzioni disciplinari. […] Il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza avergli preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. […] Art. 8 – Divieto di indagini sulle opinioni. È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini, anche a mezzo di terzi, sulle opinioni politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore. Art. 9 – Tutela della salute e dell’integrità fisica. I lavoratori, mediante loro rappresentanze, hanno diritto di controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali […]. Art. 14 – Diritto di associazione e di attività sindacale. […] Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. […] Art. 19 – Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali. Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa dei lavoratori in ogni unità produttiva […]. Art. 20 – Assemblea. I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera, fuori dell’orario di lavoro, nonché durante l’orario di lavoro, nei limiti di dieci ore annue, per le quali verrà corrisposta la normale retribuzione. Non c’è niente al di sopra dell’Islam (capitolo 15) La rinascita dell’Islam politico di questi ultimi decenni ha radici profonde. Per capirlo basta leggere gli scritti di Hassan el-Banna, vissuto tra 1906 e 1949 e fondatore dei Fratelli Musulmani, un’organizzazione oggi particolarmente diffusa in Egitto. Secondo elBanna, l’insegnamento di Maometto è base dell’intera vita sociale, dei comportamenti individuali così come della struttura e delle leggi dello Stato. Una teoria che, a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran, ha trovato in Medio Oriente molti estimatori e seguaci. Il testo che segue è citato in un volume dello studioso Abdel-Malek. Credo che è dovere del musulmano fare rivivere la gloria dell’Islam, promuovendo la rinascita dei suoi popoli […]. Credo che il vessillo dell’Islam deve dominare l’umanità e che il dovere di ogni musulmano consiste nell’educare il mondo secondo le regole dell’Islam. Prometto di lottare finché vivrò per realizzare questa missione e di sacrificarle tutto ciò che posseggo. Credo che tutti i musulmani formano una sola nazione unita dalla fede isla- mica e che l’Islam ordina ai suoi figli di fare del bene a tutti. Prometto di fare ogni sforzo per rinforzare il legame di fratellanza fra tutti i musulmani e per eliminare l’indifferenza e le divergenze fra le loro comunità […]. Credo che il segreto del ritardo dei musulmani risiede nel loro allontanamento dalla religione e che la base della riforma consisterà nel fare ritorno agli insegnamenti dell’Islam. […] È l’Islam che fonda lo Stato sui principi della giustizia, stabilisce il gover- no su diritti ben definiti e riconosce a ciascuno dei membri delle classi della nazione i suoi diritti, senza frustrazioni, mancati riconoscimenti o ingiustizie. […] Questa è una lezione che dovrebbero imparare i dirigenti orientali che hanno voluto, o vorranno, cercare per i loro popoli una via diversa da quella dell’Islam al fine di fondare su di essa la rinascita. […] I musulmani non potranno oggi avere successo che seguendo la stessa via del nostro maestro Maometto. A. Abdel-Malek, Il pensiero politico arabo, Roma, Editori Riuniti, 1973 © Loescher Editore – Torino 319 Interpretazioni Interpretazioni Il Rapporto Beveridge e la sua influenza sulla società europea (capitolo 9) L’Europa uscì distrutta dalla Seconda guerra mondiale. Dopo un trentennio di profonde sofferenze era fortissimo negli europei il desiderio di pace, democrazia, benessere e crescita sociale. Proprio a tale desiderio andava incontro il Rapporto Beveridge. Come racconta la storica statunitense Victoria De Grazia, le idee dello studioso britannico William Beveridge furono alla base del Welfare State, che accudiva il cittadino soddisfacendo i suoi bisogni primari: mangiare, avere un tetto, essere curato nella malattia, avere un’istruzione. Il problema [del benessere] cominciava a emergere in termini completamente diversi rispetto al passato, man mano che in tutta Europa nascevano coalizioni riformiste capaci di argomentare politicamente il diritto a uno standard di vita decoroso. Quando fu pubblicato, nel dicembre del 1942, il Rapporto Beveridge fu il primo segnale di questo profondo cambiamento nelle aspettative degli Europei. […] Il rapporto propose il primo modello di quello che i contemporanei chiamavano eloquentemente Welfare State («Stato assistenziale») in contrapposizione al Warfare State («Stato di guerra»). […] Il rapporto elencava i cinque gigan- teschi «mali sociali» – malattia, ignoranza, oziosità, squallore e indigenza – che tormentavano i Britannici e suggeriva una vasta gamma di rimedi: servizio sanitario nazionale per tutti, piena occupazione, istruzione secondaria universale, sussidi per la casa e assicurazione statale contro malattia, disoccupazione e vecchiaia. […] Come risultò in seguito, il Rapporto Beveridge ispirò per i successivi trent’anni le linee guida sia del governo laburista sia di quello conservatore. […] Nell’Europa intera, con le inflessioni politiche più varie, si riscontrarono posizioni simili a quelle sostenute dal Rapporto Beveridge […]. Quando il 21 novembre 1947 pronunciò il suo discorso di addio davanti al Parlamento francese, Léon Blum si vide finalmente riconoscere un largo appoggio al suo proposito, […] di «migliorare la condizione della classe operaia e di conseguenza il reale potere d’acquisto e dei salari fino al limite massimo delle attuali possibilità dell’economia francese». Secondo quanto affermato nel 1948 dal cristiano-democratico Ludwig Erhard poco prima di diventare ministro dell’Economia della Repubblica Federale Tedesca, l’«economia attuale» […] sarebbe stata […] un’«economia di mercato socialmente impegnata e basata su criteri meritocratici». Il «miracolo economico» italiano: più denaro, più consumi, più comodità per la vita di tutti i giorni (capitolo 11) Il «miracolo economico» italiano fu un fenomeno straordinario, talmente palese e impetuoso che i contemporanei poterono solo prenderne atto, cercando al più di interpretare i mille risvolti di un cambiamento tanto massiccio e rapido. Aurelio Lepre ricorda che l’effetto più immediato e tangibile del «miracolo economico» fu la maggiore disponibilità di denaro, subito impiegato per l’acquisto di beni di consumo prima irraggiungibili e capaci di cambiare radicalmente lo stile e il tenore di vita delle famiglie italiane. Portandole a un benessere che in precedenza mai nella storia avevano sperimentato. Un altro settore economico il cui sviluppo comportò rilevanti modifiche nei modi di vita fu quello degli elettrodomestici, dalla lavatrice alla lavastoviglie, dal frigorifero all’aspirapolvere. Nel 1951 l’Italia produceva 18.500 frigoriferi, nel 1957 ne produceva 370.000 […]. Per le trasformazioni portate dall’uso degli elettrodomestici nella vita quotidiana sono state svolte considerazioni analoghe a quelle fatte per l’automobile e la televisione. Anche per essi è stato osservato che il loro valore di status symbol fu considerato superiore a quello che possedevano intrinsecamente come strumenti tecnologici: il mito della scalata sociale prevaleva su quello del trionfo della tecnica, vista soprattutto come uno strumento utile per conseguire gli stessi obiettivi di prestigio sociale che in passato si era cercato di raggiungere con altri mezzi. Ma le donne apprezzarono gli elettrodomestici come uno strumento di liberazione dall’asservimento al lavoro casalingo, soprattutto nelle campagne […]. Le condizioni di vita e le abitudini degli italiani cambiarono lentamente, ma costantemente. Le «carte di famiglia» della gente comune (per esempio, i libri di conti) ne danno una testimonianza significativa e V. De Grazia, L’impero irresistibile. La società dei consumi americana alla conquista del mondo, Milano, Einaudi, 2006 importante. La famiglia di un ferroviere pugliese, V.P., nel 1949 acquistò una bicicletta e fece riparare un apparecchio radio. Nel 1952 comprò un ciclomotore e una cucina; nel 1953 una macchina da cucire, nel 1954 mobili per una stanza da pranzo e per l’ingresso, uno scaldabagno e un «radiofono». La famiglia di un impiegato genovese, A.M. (anche la moglie era impiegata), nel 1950 acquistò una cucina, nel 1951 una pelliccia, nel 1953 una macchina da cucire, nel 1956 fece installare il telefono, nel 1957 comprò un televisore. Per la lavatrice avrebbe atteso il 1961, per il riscaldamento il 1963. A. Lepre, Storia della prima Repubblica, Bologna, il Mulino, 1993 Una crescita senza eguali nella storia (capitolo 10) La nascita d’Israele: il punto di vista arabo (capitolo 12) Superato il trauma della grande crisi economica partita dagli Stati Uniti nel 1929 e chiuse le tragiche vicende della Seconda guerra mondiale, l’Occidente conobbe a partire dal 1945 un periodo di sviluppo senza precedenti. Rosario Villari racconta alcuni particolari di questo fenomeno riguardanti l’Europa. Il conflitto tra Israele e i popoli arabi del Medio Oriente è una delle pagine più dolorose della storia contemporanea, peraltro non ancora chiusa. Le sue radici immediate risalgono all’emigrazione ebraica in Palestina, nella prima parte del Novecento, e alle circostanze in cui nacque, nel 1948, lo Stato d’Israele. Valutiamo in proposito il punto di vista di Albert Hourani, inglese di origini libanesi, che abbraccia la visuale filo-araba. In Europa occidentale era in atto uno sviluppo economico di straordinaria intensità […]. Nel periodo 19501969 la media della crescita annua della produzione totale raggiunse il 4,7%, con punte del 6,3% e del 5,7% in Germania e in Italia: tassi di crescita così alti non si erano mai registrati nella storia dell’Europa moderna. […] L’aumento dei salari, sostenuto dall’azione dei sindacati, l’espansione del mercato interno ed esterno, l’incremento dell’istruzione e dell’assistenza, il trasferimento delle innovazioni tecnologiche dal settore mili- tare a tutta l’attività produttiva (con il progressivo sviluppo dell’automatizzazione) contribuirono alla trasformazione economica del ventennio 1950-1970. In alcuni casi, l’azione dei governi fu rivolta più direttamente, con manovre fiscali e di incentivazione, a sostenere gli investimenti in determinate aree, come avvenne in Italia, con la creazione della Cassa del Mezzogiorno, nella Scozia orientale, nelle Fiandre e in alcune zone della Francia. In genere prevalse in questa fase l’economia mista, basata sul legame tra azione pubblica e politica, da una parte, e iniziativa economica dall’altra, che si realizzò in diversi modi e con diversa intensità nei paesi industrializzati. […] Considerate nel loro insieme, le strutture del Welfare State, create in momenti e a livelli diversi nel vari Stati ma con una sostanziale omogeneità, appaiono come una delle grandi tappe storiche della civiltà europea. Insieme allo sviluppo economico e culturale del dopoguerra, la realizzazione del Welfare State ha fatto riacquistare all’Europa un ruolo centrale ed esemplare nell’evoluzione civile di tutto il mondo. R. Villari, Mille anni di storia. Dalla città medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2001 Nel 1947 la Gran Bretagna decise di investire della questione le Nazioni Unite. Una speciale commissione delle Nazioni Unite incaricata di studiare il problema partorì un progetto di spartizione le cui condizioni erano ancora più favorevoli ai Sionisti [i sostenitori della nascita di uno Stato ebraico] di quanto lo fosse quello del 1937. […] Man mano che si avvicinava la data [del ritiro britannico dalla Palestina], inevitabilmente l’autorità britannica veniva meno, e scoppiavano combattimenti, in cui gli Ebrei ebbero ben presto la meglio. Ciò a sua volta portò alla decisione di intervenire da parte degli Stati arabi confinanti […]. Il 14 maggio la comunità ebraica dichiarò la propria indipendenza come Stato di Israele, che venne immediatamente riconosciuto dagli Stati Uniti e dalla Russia, mentre forze egiziane, giordane, irachene, siriane e libanesi penetravano nelle parti a maggioranza araba del paese. […] In quattro campagne interrotte da altrettanti cessate il fuoco Israele riuscì ad occupare la maggior parte del paese. In un primo momento per motivi prudenziali, e successivamente a causa del panico e della deliberata li- nea di condotta dell’esercito israeliano, quasi i due terzi dei componenti la popolazione araba lasciarono le proprie case e divennero profughi. All’inizio del 1949 vennero stipulati una serie di armistizi […] e vennero create delle frontiere stabili. Nei confini di Israele era compreso circa il 75 per cento della Palestina […]. L’opinione pubblica dei paesi arabi fu molto scossa da questi avvenimenti. Essi vennero considerati una sconfitta per i governi arabi. […] Nei paesi arabi l’opinione prevalente fu quella che la politica britannica aveva di fatto favorito i Sionisti. A. Hourani, Storia dei popoli arabi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1992 320 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 321 Interpretazioni Interpretazioni La nascita d’Israele: il punto di vista ebraico (capitolo 12) Che uomini erano i terroristi? (capitolo 14) Paul Johnson, storico inglese vicino alle posizioni ebraiche, ci parla del clima d’assedio in cui Ben Gurion e gli ebrei vissero i fatti del 1948- 1949. Essi si ritenevano accerchiati dai popoli arabi e dunque mai al sicuro da un’aggressione che avrebbe messo in pericolo l’esistenza stessa delle comunità ebraiche palestinesi. Tra anni Sessanta e Ottanta, la società e la politica italiane dovettero fronteggiare la minaccia del terrorismo. Il terrorismo italiano fu terrorismo nero e rosso, ma si inserì in realtà in un fenomeno che riguardò diversi paesi d’Europa e anche altri continenti: basti pensare al terrorismo palestinese antiebraico o a quello sudamericano. Walter Laqueur offre l’identikit del terrorista contemporaneo, evidenziando la sua diversità dal terrorista anarchico ottocentesco e mettendone in rilievo la ferocia: lo scopo doveva essere raggiunto a qualsiasi costo. Una volta votata alle Nazioni Unite la spartizione, gli arabi decisero di distruggere tutti gli insediamenti ebraici e incominciarono immediatamente ad attaccarli. […] Il mandato britannico sarebbe finito solo il 15 maggio, ma ai primi di aprile Ben Gurion […] ordinò all’Haganah [la forza paramilitare ebraica] di collegare fra loro i vari gruppi ebraici unificando per quanto possibile il territorio assegnato a Israele dalle Nazioni Unite. La mossa […] riuscì quasi completamente: gli ebrei [… costituirono] così il nucleo dello Stato di Israele: in pratica vinsero la guerra prima che incominciasse. Ben Gurion proclamò l’indipendenza il venerdì 14 maggio nel museo di Tel Aviv […]. Fu formato immediatamente un governo provvisorio, ma quella notte stessa incominciarono le incursioni aeree egiziane. Il giorno seguente, mentre gli ultimi inglesi partivano, l’esercito arabo iniziava l’invasione, che non ebbe molto effetto, salvo per l’occupazione della Città Vecchia di Gerusalemme […]. Gli israeliani però conquistarono altri territori. L’11 giugno fu conclusa una tregua di un mese. Gli Stati arabi ne approfittarono per rinforzare i loro eserciti, mentre gli israeliani si assicuravano grandi quantità di armamenti pesanti […]. Quando i combattimenti ripresero, il 9 di luglio, fu ben presto evidente che gli israeliani avrebbero avuto la meglio: […] occuparono ampie zone di territorio al di là delle frontiere della spartizione. Gli arabi concordarono una seconda tregua […] ma le violenze continuarono e intorno alla metà di ottobre gli israeliani lanciarono un’offensiva […] che si concluse con la presa di Beersheba. Alla fine dell’anno l’esercito israeliano era forte di centomila uomini e adeguatamente equipaggiato e aveva stabilito nella zona una preponderanza che non ha mai più perduto. P. Johnson, Storia degli ebrei, Milano, Longanesi, 1991 I terroristi, si dice, sono degli idealisti; sono più umani e più intelligenti dei criminali comuni. Simili giudizi, veri o no che siano, danno uno scarso contributo alla comprensione del terrorismo contemporaneo. La grande umanità dei vecchi terroristi russi è fuori discussione; ma ciò non si può dire della maggior parte dei movimenti terroristici che hanno fatto la loro apparizione negli ultimi decenni. In ogni caso, alcuni dei peggiori orrori nella storia dell’umanità sono stati perpetrati proprio da coloro il cui idealismo era indubitabile. […] Molti terroristi latino-americani ed tura del terrorismo oggi è mutata e i comportamenti umanitari non costituiscono più la norma. Il terrorista dell’ultima generazione può predicare la fratellanza umana e talvolta anche metterla in pratica; ma, il più delle volte, si è liberato da ogni scrupolo morale e si è convinto che tutti sono colpevoli. Egli può volgersi contro i suoi stessi compatrioti e uccidere i suoi compagni come nemici, perché la vita umana non è più il suo valore supremo. I terroristi non mirano soltanto a uccidere, ma a diffondere confusione e paura. Essi credono che il loro grande fine giustifichi tutti i mezzi, per quanto atroci. W. Laqueur, L’età del terrorismo, Milano, Rizzoli, 1987 Il fallimento delle grandi utopie (capitolo 13) Lo storico tedesco Joachim Fest spiega perché chi tenta di tradurre un’ideologia in un sistema politico e sociale concreto arriva inevitabilmente all’instaurazione di un regime totalitario. Fascismo, nazismo e comunismo fallirono non perché l’utopia da cui partirono venne applicata malamente, ma perché la realtà è complessa e tale complessità non può essere annullata, pena l’annullamento della volontà degli uomini e quindi lo schiacciamento della vita sociale. Con il socialismo è fallito, dopo il nazionalsocialismo, l’altro grande tentativo utopico del secolo. Ciò che si conclude con questo evento è la convinzione, durata più di duecento anni, che il mondo potesse essere totalmente cambiato in base a un’idea. Sono andati in frantumi tutti quegli ingegnosi sogni per un futuro dell’umanità che hanno fatto del mondo un colossale mattatoio. La rivolta [dei paesi dell’Est], al di là dei motivi più evidenti, è stata soprattutto una rivolta contro il terrore delle idee […]. Di tutti gli sforzi utopistici non è rimasta in effetti che un’immensa scia di or- europei hanno un’istruzione di livello universitario; sanno scrivere bene e parlare bene. Ma ciò non significa che siano più maturi, che abbiano maggiore buon senso e maggiore umanità di chi non ha avuto la fortuna di frequentare l’università. Con alcune notevoli eccezioni, questi terroristi hanno mostrato di possedere molta ingenuità politica. I grandi problemi e le prospettive del futuro sono per loro di scarsa importanza; spesso sono stati manipolati, consapevolmente o inconsapevolmente, da forze estranee. I vecchi terroristi si astenevano da atti di deliberata crudeltà. Ma la na- rore che si è impressa nella coscienza come un’esperienza traumatica. […] Si può dire ancora una volta che l’utopia hitleriana è fallita per la follia insita in essa, per l’ossessione con cui intendeva far regredire uno stato industriale a un popolo semiarcaico di contadini e guerrieri, per le idee fisse delle lotte razziali e dei misteri del sangue con cui sfidò la coscienza civilizzata del mondo intero. Per quanto riguarda il socialismo le cose stanno diversamente. I richiami a un retaggio umanitario universale gli hanno procurato per lungo tempo non solo l’energia derivante dalla fede e la disponibilità al sacrificio di milioni di seguaci, ma anche, e ben al di là dell’estensione effettiva del suo potere, comprensione e simpatie sia tacite che organizzate. Nondimeno, dopo settant’anni, l’esperimento è rovinato su se stesso: […] per il suo sistema di menzogne, per le innumerevoli contraddizioni tra apparenza e sostanza e, si può anche dire, per l’insolubile contrasto tra utopia e realtà. […] Ciò che manca agli ordinamenti fondati sull’utopia è anche la sola cosa che costituisce le società moderne: l’apertura alle questioni complesse e alle sfide, e quindi la capacità di riformarsi. J. Fest, Il sogno distrutto. La fine dell’età delle utopie, Milano, Garzanti, 1992 Schiacciare la protesta di Tien-An-Men nel nome del partito e del regime (capitolo 15) La Cina è oggi per peso politico ed economico uno dei maggiori attori della scena internazionale. Il grande paese asiatico si è costruito questa posizione nella seconda metà del Novecento, attraverso un percorso affatto lineare e spesso, anzi, segnato da enormi tragedie. Una di queste fu la rivolta studentesca di Piazza Tien-An-Men, che venne repressa nel sangue: Francesco Sisci racconta come in quel giugno 1989 la Cina sembrò ritornare improvvisamente al passato. Alla fine di quella giornata terribile nessuno forse si aspettava sul serio tanta resistenza e che corresse tanto sangue. La croce rossa cinese il 4 giugno sostiene che sono morte 2600 persone, alti comandi militari invece il giorno dopo mi dicono che ne sono morte 7000. […] L’impressione è che l’intervento violento sia stato deciso di comune accordo, ma che non tutti volessero correre il rischio di un massacro. La reazione della popolazione ha di nuovo spaccato l’esercito. [… Sembra che si sia creata] una frattura tra le due anime dei militari: quella che pensa a servire il popolo e quella per cui il popolo è solo il partito. […] Quando, il 9, Deng Xiao-ping riappare alla televisione, sembra arrivata la fine. Il vecchio leader non è morto, e intorno a lui si stringono tutti gli anziani del partito, compatti a benedire il massacro. Il potere dà di nuovo l’immagine di unità e moderazione. Si andrà avanti con le riforme, ma con grande rigore politico, questa la formula di Deng. […] Con il ritorno di Deng, ricomincia a funzionare anche la polizia. Nei giorni successivi decine di migliaia di persone, forse oltre centomila, vengono arrestate. La tv prima le mostra in catene, emaciate, poi, dopo le sanzioni economiche dell’estero, le nasconde. E nasconde anche le con- danne a morte. Ufficialmente sono una decina in tutto il paese, ma forse solo a Pechino, nei primi giorni dopo Tien-An-Men, sono un centinaio. Ogni dato d’ora in poi diventa incerto, non ci sono più riscontri ufficiali o ufficiosi. La Cina richiude il suo manto e, come se nulla fosse successo in questi cinquanta giorni e in questi dieci anni, riprende a usare il vecchio armamentario comunista: la propaganda martellante nelle scuole, a cominciare da asili ed elementari. Più tardi rimanda gli studenti in campagna a «imparare dai contadini e dall’esercito», proprio come vent’anni prima durante la rivoluzione culturale. F. Sisci, La differenza tra la Cina e il mondo, Milano, Feltrinelli, 1994 322 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 323 Unità 3 • Il mondo diviso dalla Guerra fredda Verso la Prima prova: tema di argomento storico Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta 1 Scegli una delle seguenti tracce predisposte dal Ministero per gli esami di Stato del 2004, del 2005 e del 2007 (puoi 3 Riscrivi la seguente bibliografia relativa agli anni della Guerra fredda scegliendo un criterio uniforme per tutti i testi trovare altre tracce nell’Appendice della tua Guida all’Esame di Stato ) e scrivi un tema di argomento storico che non superi le quattro pagine del foglio protocollo. I due volti del Novecento. Da un lato esso è secolo di grandi conquiste civili, economiche, sociali, scientifiche, tecniche; dall’altro è secolo di grandi tragedie storiche. Rifletti su tale ambivalenza del ventesimo secolo, illustrandone i fatti più significativi. Europa e Stati Uniti d’America: due componenti fondamentali della civiltà occidentale. Illustra gli elementi comuni e gli elementi di diversità fra le due realtà geopolitiche, ricercandone le ragioni nei rispettivi percorsi storici. La fine del colonialismo moderno e l’avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell’immigrazione nei paesi europei. Illustra le conseguenze della colonizzazione nel cosiddetto Terzo Mondo, soffermandoti sulle ragioni degli imponenti flussi di immigrati nell’odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono nei rapporti tra i popoli. citati, poi cerca su Internet dei siti autorevoli che trattano lo stesso argomento e scrivi anche la sitografia. • A. Fontaine / Milano / 1968 / Mondadori / Storia della Guerra fredda • Roma / 1972 / J. B. Duroselle / Storia diplomatica dal 1919 al 1970 / Ed. dell’Ateneo • Feltrinelli / D. F. Fleming / 1964 / Milano / Storia della Guerra fredda / 1917-1960 • 1966 / Torino / Un asso nella manica. La diplomazia americana: Potsdam e Hiroshima / G. Alperovitz / Einaudi • Einaudi / 1975 / G. e J. Kolko / Einaudi / I limiti della potenza americana. Gli Stati Uniti nel mondo dal 1945 al 1954 / Torino • G. Calchi Novati / 1963 / Neutralismo e Guerra fredda / Ed. di Comunità / Milano • R. Aron / Milano / Pace e guerra tra le nazioni / 1970 / Ed. di Comunità • Bologna / E. Aga Rossi / Gli Stati Uniti e le origini della Guerra fredda / 1984 / Il Mulino • Da Yalta alla perestrojka / Laterza / G. Mammarella / Roma-Bari / 1990 • Da Roosevelt a Gorbacev / C. Pinzani / Firenze / Ponte alle Grazie / 1991 Verso la Terza prova: quesiti a risposta multipla • Bologna / G. Mammarella / Europa e Stati Uniti dopo la Guerra fredda / 2011 / Il Mulino 2 Segna con una crocetta la risposta corretta. • C. Pinzani / Feltrinelli / Il bambino e l’acqua sporca / 2010 / Milano 1 Nel corso del processo di Norimberga vennero condannati: a gli ebrei. bi capi nazisti. c i soldati tedeschi. dgli oppositori di Hitler. 2Quale di queste potenze non faceva parte del Patto Atlantico? a Stati Uniti. bRegno Unito. c Italia. dSpagna. 3 L’ONU nacque nel: a 1944. b1945. c 1947. d1949. 4I piani economici quinquennali in Unione Sovietica davano la priorità a: a l’agricoltura. bla produzione di beni di consumo. c l’industria pesante. dl’industria leggera. 5Quale dei seguenti Stati non fu una «democrazia popolare»? a La Repubblica Democratica Tedesca. bLa Iugoslavia. c La Polonia. dLa Romania. • Milano / P. Deery, M. Del Pero / Spiare e tradire / Feltrinelli / 2011 Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale 4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sul secondo dopoguerra italiano (capitolo 11), che potrai poi esporre oralmente. 6 Nel 1962 si verificò: a la costruzione del Muro di Berlino. bl’assassinio di Kennedy. c lo sbarco sulla Luna. dla crisi dei missili di Cuba. Fine della Seconda guerra mondiale à Comitato di liberazione nazionale à Governo unitario à Partito comunista italiano, Partito socialista italiano, Democrazia cristiana e partiti minori à Ricostruzione materiale e morale dell’Italia à Referendum popolare Monarchia à Repubblica 7 Il Civil Rights Act fu fatto approvare da: a John Fitzgerald Kennedy. bMartin Luther King. c Lyndon Johnson. dNessuno dei precedenti. Incontro delle tre grandi tradizioni presenti in Assemblea à Liberale, cattolica e socialista à Principi fondamentali, diritti e doveri dei cittadini, ordinamento della Repubblica à Valori della libertà e della democrazia à Pieno sviluppo dell’individuo Assemblea Costituente à Costituzione Piano Marshall à Sostegno a governi moderati à Governo De Gasperi (democristiani e parlamentari di centro) à Rottura dell’unità dei partiti e dell’unità sindacale à Contrasti politici Elezioni del 1948 (libere) à Tensioni derivanti dalla Guerra fredda à Vittoria della Democrazia cristiana e sconfitta del Fronte popolare à Centrismo Ricostruzione dell’economia italiana à Crescita dell’industria à Aumento dei salari à Consumismo à Trasformazioni sociali à Necessità di una coalizione più ampia à Ingresso nel governo del Partito socialista italiano (Nenni) à Centrosinistra à Riforme deboli Boom economico à Benessere e contraddizioni 8 Quale paese si ribellò a Mosca nel 1956? a L’Ungheria. bLa Polonia. c La Cecoslovacchia. dLa Romania. Emigrazione meridionale à Sradicamento sociale e scempio edilizio 324 © Loescher Editore – Torino © Loescher Editore – Torino 325