nel Primo Mondo capitalista né nel Secondo Mondo socialista, e si ripromettevano di
percorrere una strada diversa. L’espressione
perse tuttavia quasi subito il suo significato
politico. Sotto la pressione di interessi contrastanti svanì infatti presto l’accordo tra i
paesi «non allineati», e soprattutto si rivelarono quasi irrisolvibili i loro numerosi e
drammatici problemi sociali ed economici.
«Terzo Mondo» divenne così rapidamente
sinonimo di povertà e arretratezza, insieme
causa ed effetto di una condizione di «sottosviluppo» apparentemente insuperabile.
Il Terzo Mondo al tempo
della Guerra fredda
Le cause del «sottosviluppo»
TURCHIA
SIRIA
LIBANO
ISRAELE
Oceano
LIBIA
AFGHANISTAN
GIAPPONE
CINA
IRAQ IRAN
EGITTO ARABIA
SAUDITA
Atlantico
VIETNAM
CAMBOGIA
INDIA
PAKISTAN OR.
SUDAN
ETIOPIA
Oceano
LAOS
PAKISTAN
Pacifico
FILIPPINE
CEYLON
BIRMANIA
THAILANDIA
Bandung
INDONESIA
Oceano
Indiano
Oceano
Pacifico
Nazioni aderenti alla conferenza di Bandung
Nazioni alleate degli USA
Nazioni alleate dell’URSS
I paesi del Terzo Mondo erano prima di tutto caratterizzati da debolissime strutture
economiche, sociali e politiche che si mostrarono completamente incapaci di assorbire l’impatto della modernità.
L’economia era basata quasi ovunque su
un’agricoltura di pura sussistenza, tesa al
soddisfacimento dei bisogni immediati del
coltivatore e della sua famiglia. Le industrie
erano scarse e i servizi essenziali – trasporti,
sanità, istruzione – quasi inesistenti. La situazione fu aggravata dall’autentico boom
demografico che si verificò nel Terzo Mondo tra 1950 e 1980, quando la popolazione di
Asia e Africa raddoppiò. Le risorse necessarie
al sostentamento risultarono insufficienti e
la mancanza di cibo causò fame e carestie;
la scarsità di medici e farmaci determinò il
sorgere e il diffondersi di terribili epidemie;
la mancanza di scuole e insegnanti non
consentì di combattere l’analfabetismo e
comportò l’impossibilità di formare il personale tecnico e amministrativo necessario
a guidare lo sviluppo.
Le strutture sociali di questi paesi erano
ancora imperniate per lo più sui clan e sui
gruppi tribali, spesso divisi da rivalità etniche o religiose. I popoli del Terzo Mondo
solo molto raramente riuscirono a esprimere
uomini politici all’altezza delle sfide da affrontare. I governanti erano spesso corrotti,
la democrazia mai praticata, i diritti dei cittadini negati: si affermarono così dittature oppressive, fondate sulla violenza e sulle armi.
L’influenza del
«neocolonialismo»
Un ulteriore, grave problema affliggeva il
Terzo Mondo: il perenne svantaggio nei
confronti dei paesi più ricchi del pianeta.
Tale squilibrio prese il nome di «neocolonialismo», ossia «nuovo colonialismo», dato
che aveva per protagonisti le ex colonie e le
ex potenze imperiali, ancora una volta in
posizione di dominio.
Il neocolonialismo si sviluppava in maniera molto semplice. Molti paesi del Terzo
Mondo, ricchissimi di risorse naturali ma
privi delle strutture per utilizzarle, erano
stati costretti a concedere ai loro ex dominatori i diritti di sfruttamento: erano state
avviate grandi coltivazioni di cacao, caffè,
cotone, zucchero, miniere di ogni tipo e industrie all’avanguardia, ma tutti i prodotti
erano indirizzati verso i mercati del mondo
Gli Stati partecipanti alla conferenza di Bandung
15.1 La nuova geopolitica
Terzo Mondo:
il primo a utilizzare questa
espressione fu nel 1952
l’economista francese
Alfred Sauvy. Egli aveva
in mente il Terzo Stato
protagonista della
rivoluzione francese del
1789: formato dal popolo,
non si identificava né con
il Primo Stato, composto
dal clero, né con il
Secondo Stato, composto
dalla nobiltà.
del pianeta: il Terzo
Mondo
La nascita del concetto di
«Terzo Mondo»
I rappresentanti di molti paesi di nuova indipendenza si riunirono nel 1955 alla conferenza di Bandung, città dell’isola di Giava,
in Indonesia. Tra i partecipanti c’erano Stati
di grande importanza come la Cina e l’India,
ma c’erano anche i due Vietnam, la Turchia,
l’Etiopia, la Liberia, l’Iran, l’Afghanistan, la
Birmania e molti altri. In totale 29 paesi.
In un clima di grande ottimismo per il
crollo del colonialismo, si discussero i problemi economici, politici e sociali che affliggevano i giovani paesi di Africa e Asia e
si stabilirono i principi che avrebbero regolato le loro relazioni: non aggressione, aiuto
reciproco, rispetto dei diritti umani. Nasceva – si disse allora – il movimento dei paesi
«non allineati», perché i membri della Conferenza affermarono la propria autonomia
sia dal blocco occidentale guidato dagli Stati Uniti, sia dal blocco orientale capeggiato
dall’Unione Sovietica.
Cominciò per questo a circolare l’espressione «Terzo Mondo» : gli Stati raccolti a
Bandung non si riconoscevano infatti né
L’indiano Nehru, insieme all’egiziano
Nasser (in primo piano) alla
conferenza di Bandung, Aprile 1955.
Fame e carestie nel Terzo Mondo: Etiopia e India.
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1945
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1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
p. 312
OPEC: la sigla sta per
Organization of Petroleum
Exporting Countries
(«Organizzazione dei
Paesi Esportatori di
Petrolio»). Fondata
nel 1960 da Iran, Iraq,
Kuwait, Arabia Saudita e
Venezuela, oggi raccoglie
14 paesi membri che
posseggono circa l’80%
delle riserve mondiali di
greggio.
 Tweet Storia p. 430
industrializzato. I ricavati delle vendite restavano dunque in mano agli occidentali, e,
mentre i governi locali corrotti non si preoccupavano di intervenire, le popolazioni
di Asia e Africa ottenevano percentuali di
guadagno irrisorie a fronte di una enorme
sottrazione di risorse.
Un clamoroso esempio di neocolonialismo fu quello delle cosiddette «sette sorelle», le sette maggiori compagnie petrolifere del mondo: cinque erano statunitensi,
come la Exxon e la Mobile, e due europee,
la British Petroleum e la Shell. Per decenni
queste compagnie estrassero il greggio dai
giacimenti dei paesi arabi, pagando modesti diritti di sfruttamento, e strinsero tra
loro accordi segreti per spartirsi il controllo
del mercato mondiale del petrolio. Le regole del gioco, per quanto riguarda il petrolio,
cambiarono solo quando, negli anni Sessanta, i paesi produttori nazionalizzarono i
giacimenti e si riunirono a loro volta in una
potente organizzazione, chiamata OPEC .
In questo modo, i popoli che detenevano la
materia prima poterono finalmente goderne i profitti vendendola a prezzi più vantaggiosi. Tuttavia, la dipendenza dall’Occidente
per molti fondamentali aspetti (in particola-
re finanziari e tecnologici), permane ancora
oggi in quasi tutta l’Africa subsahariana.
Una situazione
in apparenza irrisolvibile
I problemi del Terzo Mondo apparvero subito talmente gravi e drammatici da rendere necessario l’intervento della comunità
internazionale. Ecco perché, già a partire
dagli anni Cinquanta, nacque e si ingrossò
un fiume di prestiti in denaro, investimenti tecnologici e aiuti umanitari ai popoli in
difficoltà.
Tutto ciò era merito di singoli governi,
di associazioni, di organismi internazionali
come l’ONU o la Banca Mondiale, ma non
bastò a indirizzare su una strada più sicura
lo sviluppo dei giovani Stati di Asia e Africa.
Ancora al termine della Guerra fredda, essi
occupavano le posizioni più arretrate in
qualsiasi graduatoria mondiale del progresso economico e sociale. Solo il nuovo millennio avrebbe portato una consapevolezza
diversa sui rapporti tra la parte più ricca e
quella più povera del pianeta e sulle soluzioni da adottare per liberare la seconda dalla
tragedia della povertà  e dell’arretratezza.
Riunione dei paesi appartenenti all’OPEC.
Una lunga fila di persone di un campo profughi in attesa di ricevere aiuti umanitari.
Scavi all’aperto in una miniera d’oro, nella Sierra Pelada, Brasile.
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
15.2 L’India e la Cina
L’India verso la modernità
L’India riassunse in sé nel periodo della
Guerra fredda molte delle contraddizioni
che colpivano il Terzo Mondo. Tra 1947 e
1984 fu governata, con risultati considerevoli, dal Partito del Congresso: prima da
Jawaharlal Nehru e poi da sua figlia, Indira Gandhi. Adottando una pianificazione
quinquennale, modernizzarono l’agricoltura del paese e svilupparono un primo apparato industriale. Abolirono il millenario sistema delle caste, fortemente radicato nella
società, affermando la parità di diritti tra
tutti gli indiani, e promossero l’emancipazione della donna; compirono inoltre uno
sforzo straordinario per dotare il paese di
strade, scuole e ospedali.
In politica estera Nehru volle muoversi in maniera indipendente da Stati Uniti
e Unione Sovietica, mentre Indira Gandhi
cercò più decisamente l’appoggio di Mosca.
Entrambi comunque puntarono a rendere
l’India un soggetto autonomo della scena
internazionale.
Non mancarono problemi anche gravissimi. Il Pil cresceva a ritmi sostenuti ma
oltre un terzo della popolazione restava in
condizioni di miseria. L’agricoltura progrediva ma, partendo da posizioni di estrema
arretratezza, non riusciva a colmare i bisogni di una popolazione in straordinaria crescita demografica: gli indiani, meno di 200
milioni ancora al principio degli anni Quaranta del Novecento, erano oltre 700 milioni
a metà degli anni Ottanta.
Le tensioni con il Pakistan per il controllo
del Kashmir portarono inoltre allo scoppio
di due guerre, nel 1948 e nel 1965; la regione
del Kashmir, in territorio indiano, era infatti abitata in prevalenza da musulmani, che
animavano un forte movimento armato separatista. Inoltre Indira Gandhi appoggiò nel
1971 gli abitanti del Pakistan orientale, che
chiesero e ottennero l’indipendenza da Islamabad, fondando lo Stato del Bangladesh.
Infine, all’interno della stessa India non
cessavano le tensioni etniche e religiose.
Nel 1984 la stessa Indira Gandhi fu assassinata da un estremista di religione sikh .
I sikh, monoteisti, rivendicavano da tempo
la secessione del Punjab, uno Stato situato nella parte nord-occidentale dell’India:
Mohandas Gandhi con il futuro primo ministro
dell’Unione Indiana Jawaharlal Nehru.
l’omicida vendicava così la morte di oltre
mille suoi compagni, massacrati dall’esercito indiano nella città sacra di Amritsar. La
Gandhi lasciava un paese in forte crescita
ma ancora estremamente debole.
La dittatura di Mao Tse-tung
in Cina
Tra 1949 e 1976, la Cina sperimentò il potere
incontrastato di Mao Tse-tung. Capo della vittoriosa rivoluzione comunista, per far
fronte alla gravissima situazione di povertà
e per ricostruire il paese dopo la guerra civile, impose al paese drammatiche scelte in
campo sociale ed economico. Mao puntava
in generale a favorire la modernizzazione
del gigante asiatico, appena uscito da millenni di immobilismo.
Un primo piano quinquennale, varato nel
1953 con l’aiuto di tecnici sovietici allo scopo di promuovere l’industrializzazione del
paese, ottenne tuttavia risultati deludenti. Si
decise così di intervenire sull’agricoltura 
e nel 1958, attraverso il cosiddetto «grande balzo in avanti», l’intera società cinese
venne collettivizzata. I circa 600 milioni di
cinesi furono suddivisi in 70.000 «comuni
popolari», che riunivano in grandi unità autonome le famiglie, i contadini e gli operai.
Essi mettevano in comune i beni personali,
il lavoro e il denaro, provvedendo da soli a
servizi come istruzione e sanità, con l’obiettivo primario di raggiungere l’autosufficienza alimentare. Ma l’appello all’entusiasmo
rivoluzionario non bastò. L’incompetenza
e la mancanza di mezzi agricoli moderni
causarono una catastrofe: la produzione di
cereali crollò e terribili carestie si diffusero
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1945
sikh: parola che
significa «discepolo». La
religione sikh nacque nel
Cinquecento dall’unione
delle fedi indiusta e
musulmana. I sikh, che
abitano nel Punjab, sono
monoteisti e fieramente
nazionalisti.
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1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Un bambino cinese
in divisa maoista.
nelle campagne. Secondo le stime più prudenti, nel solo triennio 1958-1960 dieci milioni di cinesi morirono di fame.
Il fallimento del «grande balzo in avanti»
causò profonde spaccature in seno al Partito comunista cinese: Mao stesso dovette
abbandonare la carica di presidente della
Repubblica e per qualche anno il suo potere fu in pericolo. Solo alla metà degli anni
Sessanta recuperò pienamente il controllo
dell’apparato comunista. Convinto che gli
insuccessi precedenti fossero dovuti alla cattiva volontà dei cinesi, Mao lanciò allora nel
1966 la cosiddetta «Rivoluzione culturale».
Il suo fine era indottrinare la popolazione
secondo i dettami ideologici del marxismo,
per mezzo di una vera e propria «Rivoluzione culturale», nel nome dell’egualitarismo e del livellamento sociale. Il mezzo
usato fu la violenza: morte o internamento in campo di lavoro colpivano chiunque
mostrasse segni di «debolezza borghese»,
chiunque avesse propensioni intellettuali
e si distinguesse in qualche modo dai lavoratori manuali, chiunque desse segno di
godere di qualche privilegio economico o
sociale. Nessuno fu risparmiato: insegnanti, amministratori, tecnici, burocrati, artisti, funzionari vennero duramente repressi.
Strumento di Mao furono gli studenti, che a
Il presidente americano Nixon e Mao Tse-tung, 1976.
milioni si aggiravano per il paese agitando il
Libretto Rosso – raccolta dei pensieri del leader – e scagliandosi contro i presunti individui antirivoluzionari. La «Rivoluzione culturale» si esaurì nel 1969, ma le tensioni che
essa generò nella società e anche all’interno
del partito portarono i cinesi sull’orlo della
guerra civile e si placarono solo alla morte
del dittatore, avvenuta nel settembre 1976.
La Cina protagonista della
politica mondiale
Nei quasi trent’anni di dittatura maoista, la
Cina divenne una grande potenza, gettando le basi per l’odierna affermazione come
leader mondiale.
Dapprima vicina all’Unione Sovietica,
la Cina se ne distaccò a partire dagli anni
Cinquanta. Mao considerava infatti un tradimento la linea politica di Nikita Kruscev.
Pesanti polemiche divisero i due paesi e
culminarono negli scontri di confine lungo
il fiume Ussuri, nel 1969. Parallelamente,
Pechino cercò il dialogo con l’Occidente.
A farsi promotore di questa linea fu Zhou
Enlai, primo ministro e il più moderato tra
i collaboratori di Mao. Fecero epoca, all’inizio degli anni Settanta, gli incontri tra Mao
Tse-tung e il presidente americano Richard
Nixon. Essi segnarono l’ingresso della Cina
come attore politico di primo piano sulla
scena mondiale e misero fine al confronto
strettamente bipolare tra Stati Uniti e Unione Sovietica. La Repubblica popolare cinese,
che nel frattempo si era anche dotata di un
arsenale nucleare, vide riconosciuta la propria importanza nel 1971, quando subentrò
a Taiwan (la Repubblica nazionalista cinese)
come membro permanente del Consiglio
di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Un fortissimo controllo delle informazioni da parte dei politici cinesi fece sì che
pochissimo trapelasse a ovest sulle stragi
causate dal «grande balzo in avanti» e dalla
«rivoluzione culturale». Si verificò così un
grande paradosso: il paese che sperimentava una delle più oppressive dittature del
Novecento venne considerato dagli studenti occidentali del Sessantotto un modello di
società veramente democratica, ugualitaria
e alternativa a quella capitalista. Solo dopo
la morte di Mao fu possibile comprendere i
reali costi umani che l’esercizio del suo potere sulla Cina aveva comportato.
Deng Xiao-ping: il volto
contemporaneo del comunismo
cinese
Scomparso il padre della rivoluzione, il potere venne assunto in Cina da Deng Xiaoping. Egli inaugurò una formula di governo
che per la sua efficacia dura ancora oggi.
Una formula che possiamo riassumere nella
massima: dittatura politica più libertà economica.
Il potere rimase saldamente nelle mani
del Partito comunista e non si ebbe mai alcuna apertura ad alcuna forma di dissenso.
In economia però Deng Xiao-ping concesse
una vasta libertà d’azione. La pianificazione
centralizzata fu abolita e la proprietà privata reintrodotta. Furono permesse la nascita
di aziende non sottoposte al controllo dello
Stato e la ricerca del profitto. Il risultato fu
che la produzione agricola e industriale della Cina si impennò, mentre il Pil prese a crescere ogni anno del 10% e più. Gli investitori
stranieri accorsero e Pechino divenne protagonista dei commerci internazionali. Nel
1980, infine, la Cina aderì alla Banca Mondiale e al Fondo Monetario Internazionale.
A partire da questi eventi, ci fu chi previde per la Cina una evoluzione in senso
democratico. Ma non fu così: la liberalizzazione economica favorì la creazione di un
ceto medio sempre più ampio e desideroso
di libertà, mentre i contatti con l’Occidente
spinsero soprattutto i giovani ad adottare
idee, parole d’ordine e modelli di vita nuovi. Ma proprio gli studenti furono vittime
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
di una sanguinosa repressione: nell’aprile 1989 si raccolsero in oltre un milione in
piazza Tien-An-Men  , a Pechino, davanti alle mura della Città Proibita, chiedendo insistentemente libertà d’espressione
e rispetto dei diritti umani. I carri armati
dell’esercito stroncarono la protesta e commisero una strage che colpì profondamente
l’opinione pubblica internazionale. Tuttavia l’isolamento internazionale cinese durò
poco: a pesare di più furono i giganteschi
interessi economico-commerciali in gioco.
Deng Xiao-ping riuscì in questo modo a
garantire la sopravvivenza del regime politico controllato dal Partito comunista ben
oltre la fine del comunismo in Europa orientale e Unione Sovietica.
Le tragiche vicende di Vietnam
e Cambogia
L’Indocina nei tardi anni Settanta rimase
al centro delle tensioni internazionali e –
dopo la guerra del Vietnam – continuò ad
essere terreno di scontro della dura rivalità
Est-Ovest. Nel 1975, l’intera Indocina passò
sotto il controllo delle forze comuniste, che
trionfarono in Vietnam, in Laos e in Cambogia. La conquista del potere da parte di questi regimi ebbe conseguenze tragiche per le
popolazioni.
Nella Repubblica socialista del Vietnam
la collettivizzazione dell’economia e la
violenta repressione di ogni opposizione
spinsero centinaia di migliaia di persone
ad abbandonare il paese. In particolare, il
L’ignoto contestatore che da solo e disarmato affronta
la colonna di carri armati in Piazza Tien-An-Men, 1989.
Un dipinto murale che rappresenta Deng Xiao-ping.
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1957 Entra in produzione la Fiat 500
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
ISRAELE
Lago di
Tiberiade
Nablus
Tel Aviv
Cisgiordania
Gerusalemme
Porto Said
El Arish
Striscia
di Gaza Gaza
Giordano
Mar Mediterraneo
Damasco
Alture
del S I R IA
Golan
Haifa
Il Cairo
Amman
Mar
Morto
GIORDANIA
Suez
Elat
E G I T T O
Penisola del Sinai
lfo
di
Su
ez
Nel 1967, temendo il coalizzarsi dei paesi
arabi, Israele lanciò un attacco preventivo
contro i suoi avversari. Nella breve e fulminante «Guerra dei Sei Giorni» (5-10 giugno)
conquistò il Sinai egiziano, le alture siriane
del Golan, occupò per intero Gerusalemme
– divisa in una parte araba e in una ebraica
dal 1949 – e si impadronì della Cisgiordania,
sulla riva occidentale del Giordano. I paesi
Direttrici di occupazione
Go
Le guerre di Israele
LIBANO
Territori occupati dopo la Guerra dei Sei Giorni
ez
Nei tre decenni successivi alla crisi di Suez
(1956), la questione mediorientale rimase
costantemente sotto gli occhi del mondo.
La ferita aperta nel 1948 dalla nascita di
Israele e dall’immediato scontro del nuovo
Stato con i paesi arabi dell’area infatti non
si rimarginò. Anzi, si approfondì a causa di
nuove violenze e si complicò per l’emergere dei palestinesi come attori fondamentali della vicenda. Furono decenni di guerre,
che esplodevano a fiammate improvvise, e
di poche, tenui speranze di pace. Tutto sembrava accadere senza un disegno preciso e
alla fine degli anni Ottanta, mentre si chiudeva l’epoca della Guerra fredda, il problema del Medio Oriente appariva irrisolvibile.
La Guerra dei Sei Giorni
o di
Aqab
a
Una crisi senza fine
arabi furono schiacciati, ma la sconfitta rinfocolò il rancore nazionalista verso Israele,
considerato ormai un nemico mortale.
Nel 1973 furono Egitto e Siria a muovere contro Tel Aviv. La Guerra del Kippur fu
così chiamata perché, allo scopo di sfruttare
l’effetto sorpresa, gli arabi scatenarono l’attacco durante lo Yom Kippur, festa ebraica
dell’Espiazione. I risultati del conflitto furono contraddittori. Vinto il panico iniziale,
Israele respinse l’assalto avversario e le sue
forze si fermarono, su intimazione dell’ONU,
quando già si trovavano sulla strada di Damasco. Dal punto di vista politico e propagandistico, la guerra fu tuttavia una grande
vittoria per i paesi arabi. Essi non riuscirono
a riprendersi i territori persi nel 1967, ma
scalfirono il mito dell’invincibilità dell’esercito di Israele e dimostrarono al mondo che
lo scontro mediorientale non poteva considerarsi risolto senza il loro consenso.
Alle due esplosioni belliche del 1967 e
1973 fece seguito infine nel 1982 l’operazione «Pace in Galilea». Israele invase il Libano
allo scopo di distruggere le basi insediatevi
dai palestinesi. Le forze di Tel Aviv si spinsero fino a Beirut e costrinsero gli avversari
ad abbandonare il paese. Durante l’invasione israeliana, 2000 palestinesi vennero
massacrati dai cristiani maroniti libanesi
nei campi profughi di Sabra e Chatila: una
strage, svoltasi con l’assenso silenzioso di
Tel Aviv, che riempì il mondo d’indignazione. Anche questa guerra, caratterizzata da
grandi violenze sui civili, ebbe come maggiore risultato – al pari delle due che l’avevano preceduta – l’accendersi di nuove e più
forti tensioni nella regione.
Su
St ret t o d i
Album p. 308
15.3 Il Medio Oriente
Nilo
Khmer Rossi: i khmer
sono l’etnia prevalente
della Cambogia, ma
molti di loro abitano in
Thailandia e nel Laos.
I Khmer Rossi dovevano
quindi il nome all’origine
etnica e all’ideologia
marxista del loro
movimento di guerriglia.
dramma dei cosiddetti boat people, che
cercavano di espatriare a bordo di imbarcazioni di fortuna, sollecitò una massiccia
campagna di aiuti umanitari da parte della
comunità internazionale. A
Ancora più dolorosi furono gli eventi che
accaddero in Cambogia, dove al termine di
un lungo conflitto civile avevano trionfato
i Khmer Rossi guidati da Pol Pot. Almeno
due milioni di persone furono trucidate perché colpevoli di opporsi all’edificazione del
comunismo. Molti di più vennero sradicati
dalle città, portati nelle campagne e messi al
servizio della collettivizzazione dell’agricoltura. Altri ancora furono rinchiusi in campi
di lavoro e rieducazione. Si trattò nel complesso di uno dei peggiori genocidi della
storia mondiale del Novecento, dove oltre il
25% della popolazione fu sterminata.
Tra 1977 e 1979, Vietnam e Cambogia
entrarono addirittura in conflitto tra loro
per dispute territoriali sull’area del delta
del Mekong (il principale fiume dell’area),
il primo con l’appoggio dell’Unione Sovietica, la seconda con il sostegno della Cina.
Il Vietnam vinse facilmente e stroncò il regime dei Khmer Rossi. La pacificazione della
Cambogia sarebbe però arrivata solo dopo
molti anni. Intanto, i tre paesi d’Indocina
sperimentavano con le leggi dell’economia
comunista una delle fasi di maggiore povertà e arretratezza della loro storia.
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
Monte Sinai
Golf
3
Aqaba
ARABIA
SAUDITA
I colloqui di Camp David
Le sole speranze di pace, in questo lungo
periodo, vennero per il Medio Oriente dal
gesto coraggioso di due uomini politici: il
primo ministro israeliano Menahem Begin
e il presidente egiziano Anwar el-Sadat.
Sotto gli auspici del presidente statunitense Jimmy Carter, Begin e Sadat si incontrarono a Camp David, nel Maryland,
e intrapresero lunghi colloqui di pace. Il
risultato fu il trattato firmato a Washington
nel marzo 1979: Israele si impegnò a restituire all’Egitto il Sinai, conquistato nel 1967.
cristiani maroniti:
cristiani di origine siriana
che prendono il nome
da San Marone, santo
vissuto nel V secolo.
È finita la «Guerra dei Sei Giorni»: civili israeliani entrano, il giorno dopo la conquista da parte
dell’esercito, nella città vecchia di Gerusalemme, fino a quel momento controllata dagli arabi, 1967.
Boat people, Vietnam.
Il presidente americano Carter e quello egiziano Sadat a Camp David, 1980.
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
L’Egitto, da parte sua, riconobbe il diritto
di Israele ad esistere, fino ad allora negato dall’intero mondo arabo. I due uomini
politici ricevettero per questo loro sforzo il
premio Nobel per la pace. Tuttavia Sadat fu
osteggiato dai governi della regione e considerato da molti arabi un traditore. Morì
nel 1981, assassinato da estremisti islamici
che non gli avevano perdonato le aperture
all’Occidente e a Israele.
Intifada: il termine
significa «insurrezione»
e indica la rivolta
scoppiata nel 1987 in
seguito alla morte di
quattro operai palestinesi
travolti da un camion
israeliano. Le violenze
si attenuarono nel 1991
ma terminarono solo nel
1993, dopo la firma a
Oslo degli accordi di pace
tra Israele e OLP.
I palestinesi: Yasser Arafat
e l’OLP
Nello svolgersi della crisi mediorientale acquistò via via voce il popolo palestinese.
Cacciato dalla sua terra nel 1948 e di nuovo
nel 1967, era privo di una patria e costretto
a vivere sotto l’occupazione israeliana o nei
campi profughi allestiti dai paesi arabi.
Ad assumere la rappresentanza dei palestinesi fu, a partire dagli anni Sessanta,
l’Organizzazione per la liberazione della
Palestina, l’OLP. A guidarla era Yasser Arafat, che senza tregua portò all’attenzione
dell’opinione pubblica mondiale la causa
del suo popolo, ottenendo presto l’attenzione riservata a un capo di Stato sia presso i
paesi arabi sia in tutto l’Occidente. E questo
nonostante i metodi da lui propugnati: Arafat predicava infatti la guerra contro Israele
e ammetteva il terrorismo come arma di
lotta.
L’OLP pose dapprima le sue basi in Giordania, poi da qui si spostò in Libano. Infine, dopo l’invasione israeliana del 1982,
Arafat pose il suo quartier generale in Tunisia, dove sarebbe rimasto per il resto degli
anni Ottanta. E proprio nel 1987 l’intrico
mediorientale arrivò a una svolta. Scoppiò
quell’anno l’Intifada , la «rivolta delle pietre» palestinese. Essa ebbe per protagonisti
i ragazzi di Cisgiordania e Gaza, i territori
occupati da Israele: armati solo di sassi e
fionda fronteggiavano in una lotta disperata
i soldati e i mezzi corazzati ebraici. La ribellione proseguì per anni, causando oltre mille
morti in uno stillicidio quotidiano di violenze, e divenne l’emblema di una situazione
di stallo che andava ad ogni costo risolto.
Se guerra e terrorismo non bastavano a decretare chi aveva diritto ad abitare in Palestina, allora doveva decidere la diplomazia.
Cominciarono così, dopo quattro decenni
di ostilità, colloqui diretti di pace tra palestinesi e israeliani, che negli anni Novanta
avrebbero portato la questione mediorientale in una fase del tutto nuova.
Yasser Arafat.
15.4 L’America Latina
Gli ostacoli allo sviluppo dei
paesi latinoamericani
L’America Latina del Novecento fu caratterizzata da molti fattori favorevoli che avrebbero potuto lanciarne lo sviluppo economico e sociale: non fu coinvolta direttamente
nei due conflitti mondiali, era abitata da una
popolazione giovane e dinamica, appariva
ricchissima di risorse agricole e materie
prime, aveva la libertà di scegliere il proprio
destino politico.
Lo sviluppo, invece, non si è mai materializzato: l’intera area latinoamericana
soffriva infatti di molte delle contraddizioni che, negli stessi decenni, colpivano Stati
ben più giovani e popoli assai più poveri in
Asia e Africa. Le grandi proprietà terriere e
le gerarchie sociali legate al latifondo sono
scomparse molto tardi, ostacolando la crescita di un’agricoltura moderna. La stessa
agricoltura ha costituito per troppo tempo
il settore trainante dell’economia, a scapito
di un’industria e di servizi poco sviluppati.
Amministrazioni inefficienti, disattente ai
bisogni dei cittadini e spesso corrotte hanno
caratterizzato la vita di questi paesi, colpiti
anche da una grave instabilità politica: in
America Latina la democrazia è stata spesso vissuta come una parentesi, tra dittature
militari e regimi autoritari.
Infine ha pesato non poco la vicinanza
del gigante statunitense, che ha esercitato
sul continente un oppressivo dominio economico e politico. Basti pensare alle miniere o alle sterminate piantagioni di prodotti
agricoli tropicali – dal caffè alle banane,
dallo zucchero al cacao – completamente in
mano a società estrattive e multinazionali
alimentari statunitensi e alle ripetute occasioni in cui Washington è intervenuta per
abbattere i governi che cercavano di svincolarsi dalla sua politica.
L’Argentina e il Brasile,
i due giganti del continente
sudamericano
Emblematiche sono le vicende di Argentina
e Brasile, i due paesi più grandi e importanti
del Sud America.
L’Argentina sperimentò a partire dal 1946
il regime di Juan Domingo Perón. Egli ave-
Intifada: bambini lanciano pietre contro dei carrarmati.
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
Evita e Juan Domigo Perón negli anni Cinquanta.
va creato un movimento nazionalista dai
tratti autoritari che aveva il suo principale
sostegno nei sindacati, negli operai e nei
descamisados del proletariato urbano, e
che invocava la collaborazione tra le classi
in nome dell’interesse della patria. Accanto
a lui, notevole peso politico ebbe la moglie
Evita Duarte: entrambi erano circondati da
un’ammirazione collettiva che sconfinava
nel culto della personalità. Il Partito giustizialista – così si chiamava il movimento di
Perón – ottenne buoni risultati e favorì la
crescita dell’industria e dell’occupazione.
Avviò inoltre le prime strutture di un Welfare
State diffuso ed efficiente. Ma la nazionalizzazione delle banche e delle assicurazioni,
l’esproprio dei latifondi e la redistribuzione
delle terre, la laicizzazione dello Stato e l’introduzione del divorzio crearono forti malumori nelle classi più abbienti e conservatrici
del paese. Lo stesso appoggio delle classi
popolari venne meno dopo qualche anno,
a causa di difficoltà economiche e una crescente inflazione. Perón fu rovesciato nel
© Loescher Editore – Torino
300
1945
descamisados :
masse prive di tutela
sindacale e protezione
politica; erano lontane
come mentalità dal
popolo contadino
e favorevoli a una
collaborazione tra le
masse e il leader.
© Loescher Editore – Torino
1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
1990
301
3
15
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
desaparecidos:
in spagnolo significa
«spariti» e venne
usato in tutto il Sud
America per indicare le
persone imprigionate,
torturate e uccise dalle
polizie segrete delle
dittature militari e delle
quali si persero le
tracce. Si calcola che i
desaparecidos durante il
regime argentino tra 1976
e 1982 siano stati circa
30.000.
embargo: divieto
di commerciare con un
determinato paese. È
una misura di ritorsione
economica e può essere
totale o parziale: totale se
riguarda ogni genere di
beni, parziale se riguarda
solo determinate merci,
per esempio armi, cibo,
petrolio.
1955 da un colpo di Stato militare.
Proprio i generali dell’esercito avrebbero
poi guidato a Buenos Aires dal 1976 una delle dittature più dure dell’intero Novecento
latinoamericano. Divennero allora familiari
ai telespettatori di tutto il mondo le madri
dei desaparecidos , che sfilavano silenziosamente davanti ai palazzi del potere per
ottenere notizie sui loro cari scomparsi.
La dittatura argentina cadde solo nel 1983
in seguito alla guerra delle isole Falkland,
combattuta e perduta nel 1982 contro il Regno Unito.
Il Brasile fu guidato quasi ininterrottamente, tra 1930 e 1954, dalla dittatura di Getulio Dornelles Vargas. Fondatore dell’Estado Novo, lo Stato Nuovo nazionalista e
conservatore, egli eliminò ogni opposizione
politica e si appoggiò ai ceti popolari, venendo addirittura chiamato «padre dei poveri». Fu deposto dai militari, che avrebbero
poi a loro volta assunto il potere. Il regime
dell’esercito durò dal 1964 al 1985 e fu caratterizzato dal tentativo di modernizzare il
paese. L’apertura ai capitali esteri e la promozione dell’industria statale non bastarono però a lanciare lo sviluppo economico
del Brasile. Né furono sufficienti a colmare
le gravissime diseguaglianze sociali che affliggevano il paese.
Fidel Castro circondato dai suoi guerriglieri mentre saluta dalla jeep entrando
a Cienfuegos dopo la vittoria sulle forze di Batista, 4 Gennaio 1959.
A metà degli anni Ottanta, finalmente, la
caduta dei governi militari sembrò riportare
stabilmente Argentina e Brasile sulla strada
della democrazia.
Cuba: il socialismo alle porte
degli Stati Uniti
A fronte di tali vicende risalta decisamente,
per la sua particolarità, l’esperienza di Cuba.
Qui la Rivoluzione socialista guidata da Fidel Castro abbatté nel 1959 la dittatura di
Fulgencio Batista. Il nuovo regime confiscò
e nazionalizzò subito i beni stranieri, abolì
il latifondo, distribuì la terra ai contadini ed
espulse dall’isola la United Fruits, la multinazionale statunitense che a quell’epoca controllava la metà delle piantagioni di
zucchero dell’isola caraibica. Washington
proclamò l’embargo commerciale contro Cuba e smise di importarne proprio lo
zucchero; l’Avana tuttavia trovò nell’Unione Sovietica un nuovo acquirente per i suoi
prodotti agricoli. Gli Stati Uniti, decisi a non
tollerare un regime marxista sulla soglia di
casa, organizzarono nell’aprile 1961 una
spedizione di oppositori di Castro nell’isola,
ma il cosiddetto «sbarco della Baia dei Porci» ebbe esiti fallimentari. Gli insorti non riuscirono infatti a provocare la sollevazione
dei locali contro il governo socialista e furono subito catturati. Si arrivò così nel 1962
alla «crisi dei missili» tra le due superpotenze e Cuba rischiò per qualche settimana di
diventare il pretesto di una nuova e terribile
guerra mondiale.
Negli anni successivi, Castro ebbe modo
di consolidare il proprio regime e godette di
una grandissima popolarità in America Latina, nell’intero Terzo Mondo e anche presso buona parte dell’opinione pubblica occidentale. Egli aveva infatti dimostrato che
si potevano battere gli Stati Uniti. Ulteriore
lustro gli veniva poi dalle conquiste sociali
realizzate in patria: proverbiale divenne allora la qualità dell’insegnamento e dell’assistenza sanitaria forniti a Cuba.
Emersero però anche i tratti autoritari
che accompagnavano la dittatura castrista,
dalla repressione del dissenso politico al divieto di lasciare l’isola ed emigrare. Col tempo apparve evidente che la pianificazione di
tipo sovietico e la mancanza di un’industria
avanzata non permettevano lo sviluppo di
una economia progredita. E quando l’Unio-
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
ne Sovietica, alla metà degli anni Ottanta,
smise di finanziare il regime cubano una
nuova povertà si affacciò nell’isola caraibica. La conclusione della Guerra fredda e
la dissoluzione del comunismo in Europa
resero più evidenti gli effetti dell’embargo
commerciale e misero Castro, isolato internazionalmente, in una condizione di grave
difficoltà.
Gli altri paesi sudamericani
Il Messico ha una Costituzione che risale al
1917 e da parecchi decenni gode ormai di
una stabile anche se sofferta democrazia.
Il suo esempio è tuttavia pressoché unico.
Come abbiamo già accennato, i popoli di
ogni altro paese di America centrale e meridionale hanno sofferto nel Novecento per
la violenza della lotta politica e l’imporsi di
rigide dittature.
Il Paraguay fu guidato dal generale Alfred Stroessner tra 1954 e 1989: uno dei regimi di destra più lunghi del Novecento. In
Cile, nel 1970, il nuovo governo capeggiato
dal socialista Salvador Allende promosse
la riforma agraria e la nazionalizzazione
delle banche e delle ricchissime miniere di
rame del paese (sottraendone la proprietà
a compagnie multinazionali americane).
Fidel Castro davanti a un aeroplano americano caduto al suolo, Baia dei Porci, 1961, Cuba.
In questo modo venne incontro al desiderio di maggiore giustizia ed equità nella
distribuzione delle ricchezze diffuso tra la
popolazione. E soprattutto svincolò il Cile
dagli interessi statunitensi, che attraverso le
grandi multinazionali controllavano buona
parte dell’economia locale e soprattutto il
mercato dello stesso rame. Allende venne
rovesciato nel settembre 1973 dall’esercito, con l’appoggio attivo degli Stati Uniti, e
morì mentre era impegnato nella difesa del
palazzo presidenziale. Il generale Augusto
Pinochet assunse il potere e lo mantenne
fino al 1989, imponendo al Cile il pugno di
ferro della dittatura militare.
I regimi politici in America Latina 1973-1986
1973
MESSICO
HAITI
REP.DOMINICANA
CUBA
GUATEMALA
HONDURAS
NICARAGUA
COSTA RICA
PANAMÀ
1986
MESSICO
CUBA
GUATEMALA
HONDURAS
NICARAGUA
COSTA RICA
PANAMÀ
VENEZUELA
BOLIVIA
HAITI
REP.DOMINICANA
ECUADOR
VENEZUELA
BOLIVIA
ECUADOR
PERÙ
PERÙ
BRASILE
BRASILE
BOLIVIA
BOLIVIA
PARAGUAY
PARAGUAY
CILE
CILE
Dittatura militare
URUGUAY
ARGENTINA
Dittatura populista
URUGUAY
ARGENTINA
Democrazia
Regime socialista
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1945
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1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
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1945
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di Oman
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La lunga e inutile guerra
tra Iran e Iraq
Altro effetto dell’affermazione di Khomeini
fu lo scoppio di un’ostilità da molto tempo
latente tra Iran e Iraq. Il dittatore dell’Iraq,
Saddam Hussein, pensò di approfittare del-
© Loescher Editore – Torino
304
Birjand
Kerman
Khorramshahr
Abadan
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Mashhad
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AFGHANISTAN
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G
Gli effetti della rivoluzione khomeinista
non tardarono a mostrarsi al mondo.
Nel novembre 1979, 52 cittadini statunitensi vennero presi in ostaggio nell’ambasciata USA di Teheran dagli studenti islamici, che chiedevano l’estradizione dello scià,
rifugiatosi proprio presso il governo nordamericano. Washington si rifiutò di cedere
e ne nacque una crisi diplomatica che fu
risolta con la liberazione degli ostaggi solo
nel gennaio 1981. Teheran si impegnò anche nel finanziamento dei movimenti integralisti islamici – come il libanese Hezbollah – che proprio in quegli anni nascevano e
raccoglievano consensi sempre maggiori tra
le masse musulmane.
In breve, agli occhi dell’opinione pubblica occidentale, la minaccia esercitata
dall’Iran si confuse con quella portata da
un altro protagonista dell’Islam dell’epoca. Era il colonnello Muhammar Gheddafi,
che deteneva il potere in Libia dal 1969 e
si era fatto strenuo difensore dell’arabismo
e – strumentalmente – anche della religione musulmana, contro l’influenza dei modelli di vita provenienti da Ovest. Ghedda-
Urmia
Q
Sostenitrici dell’ayatollah Khomeini, 1979, Teheran.
L’Iran dello scià Mohammad Reza Pahlevi
era un paese occidentalizzato. Il monarca,
che governava con il pugno di ferro, si era
sforzato per decenni di modernizzare e laicizzare la società. Per esempio, togliendo
potere al clero musulmano sciita e promuovendo l’emancipazione della donna.
Verso la fine degli anni Settanta, però, larghi
settori del paese gli erano contrari: dagli studenti, che desideravano più libertà, alla borghesia, che mal tollerava la forte ingerenza
degli Stati Uniti e delle compagnie petrolife-
fi contestava la supremazia
mondiale degli Stati Uniti e
ammetteva apertamente l’uso
del terrorismo come arma di
lotta. Fu per questo ritenuto il
mandante di numerosi attentati, come quello che nel 1988
causò l’esplosione in volo di
un aereo della compagnia
americana Pan Am e la morte di 270 persone. I tentativi
americani di eliminare fisicamente Gheddafi fallirono e
poco efficaci si mostrarono le
sanzioni economiche decise
dall’ONU contro la Libia.
Tripoli e Teheran, alla fine
degli anni Ottanta, venivano
considerate tra i peggiori fattori di destabilizzazione della politica internazionale.
AZERBAIGIAN
A
In Iran trionfa la rivoluzione
religiosa di Khomeini
Iran e Libia diventano nemici
giurati dell’Occidente
ARMENIA
UZ B E K I STA N
R
Verso la fine della Guerra fredda emerse nei
paesi islamici dell’Africa mediterranea e del
Vicino Oriente un fenomeno che nessuno
studioso o governante del mondo industrializzato aveva previsto: una nuova mescolanza tra fede musulmana e potere politico.
Dopo il raggiungimento dell’indipendenza, negli Stati dell’area si erano affermati
partiti e governi laici, che avevano operato
una netta separazione tra politica e religione. Vedevano infatti in tale divisione una
premessa indispensabile alla modernizzazione delle società arabe. Le masse popolari di questi paesi erano tuttavia rimaste
profondamente radicate nella fede musulmana. E quando il nazionalismo laico, il socialismo e il capitalismo si mostrarono uno
dopo l’altro incapaci di favorire uno sviluppo effettivo, il Corano tornò a svolgere per la
gente comune un ruolo guida fondamentale anche nella vita civile. Così, fu la volontà
popolare a imporre spesso ai governanti la
religione come misura e criterio delle scelte politiche. [Testimonianze  documento 8,
p. 319]
Si trattava di un fenomeno che l’Occidente, abituato ormai da lungo tempo alla
distinzione tra Stato e Chiesa, faticava a
comprendere, ma che doveva produrre da
subito immediate ripercussioni sulla politica internazionale. I primi chiarissimi segnali di quanto accadeva vennero dall’Iran.
[ I NODI DELLA STORIA p. 306]
RUSSIA
GEORGIA
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Fede e politica si confondono
nell’insegnamento dell’Islam
L’Iran
M
scena internazionale
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
re americane, alle masse popolari, religiose
e tradizionaliste. Tenuta a freno per lungo
tempo, la protesta alla fine scoppiò e non
lasciò scampo allo scià. Tra dicembre 1978 e
gennaio 1979, imponenti manifestazioni di
piazza e la rivolta di parte dell’esercito costrinsero Reza Pahlevi prima ad abdicare e
poi a fuggire.
I favori dell’opposizione si concentrarono allora sull’ayatollah Ruhollah Khomeini, capo religioso degli sciiti, uomo di grande carisma e autorevolezza. Il nuovo leader
dell’Iran rientrò dall’esilio nel febbraio 1979
e subito impose scelte che sbalordirono il
mondo. Nacque infatti a Teheran una repubblica islamica fondata sul Corano. I precetti
religiosi divennero legge dello Stato e tutto
il potere fu assunto dal clero. Ogni influenza dell’Occidente sulla società iraniana fu
eliminata, la cultura e l’intellettualità laica
messe a tacere, l’opposizione politica duramente repressa. Le donne vennero di nuovo
relegate a un ruolo subalterno. Khomeini
aveva insomma creato uno Stato di natura
religiosa, una vera e propria teocrazia .
IA
15.5 L’Islam irrompe sulla
I
sunniti e sciiti:
i sunniti prendono
il loro nome da
sunnah che significa
«tradizione»: sono
pertanto i musulmani
che si riconoscono nella
tradizione e costituiscono
la maggioranza dei
seguaci del’Islam. Gli
sciiti ritengono invece
che, dopo la morte di
Maometto, la guida
dell’Islam debba essere
riservata alla discendenza
del profeta attraverso
sua figlia Fatima e suo
cugino Alì. La differenza
fondamentale fra la
componente maggioritaria
e quella minoritaria
della comunità islamica
riguarda la presenza e
il ruolo della gerarchia
religiosa. L’Islam
infatti non è mai stato
strutturato in una chiesa
e i sunniti riconoscono
autorità religiosa solo
alla comunità dei
fedeli, rispettando alla
lettera l’affermazione di
Maometto: «La comunità
dei credenti non si
accorderà mai su un
errore».
Movimenti di guerriglia di sinistra sorsero e furono sconfitti, negli anni Sessanta,
nelle città e nelle campagne di Perù, Venezuela, Colombia, Uruguay. Lo stesso accadde in Bolivia, dove a guidare la ribellione
contro il regime militare fu Ernesto «Che»
Guevara, argentino, amico e compagno di
lotta di Castro, fautore di una rivoluzione
mondiale ai danni degli Stati Uniti. Guevara venne catturato e ucciso dai soldati boliviani nell’ottobre 1967, diventando da quel
momento il modello dell’intellettuale combattente per tutte le sinistre del pianeta.
Lunghe guerre civili furono infine combattute in Nicaragua ed El Salvador. In Nicaragua, la lotta tra il regime socialista di
Daniel Ortega e gli insorti filostatunitensi
causò tra 1979 e 1989 oltre 60.000 vittime,
concludendosi con il ritorno al governo dei
moderati. Nello Stato di El Salvador, lo scontro tra esecutivo dei militari e guerriglia comunista si protrasse dal 1979 al 1991, causando oltre 70.000 morti e chiudendosi con
una difficile pacificazione nazionale.
Al termine della Guerra fredda, l’America Latina appariva come un continente dai
mille contrasti, economici, sociali e politici.
E ancora lontano da uno sviluppo regolare
e pieno.
TURCH
3
Mare
Arabico
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Muhammar Gheddafi.
teocrazia: termine che
significa «potere di Dio».
La teocrazia è una forma
di governo in cui il potere
politico è subordinato al
potere religioso.
© Loescher Editore – Torino
1957 Entra in produzione la Fiat 500
1961 Gagarin primo uomo nello spazio
1969 Armstrong primo uomo sulla Luna
1986 Incidente nucleare di Chernobyl
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Il mondo diviso dalla Guerra fredda
L’Iraq
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la debolezza e dell’isolamento internazionale della nuova Repubblica per ottenere con
le armi due scopi: strappare all’Iran alcune
regioni di confine ricchissime di giacimenti petroliferi e abbattere la teocrazia degli
ayatollah. I sunniti al potere in Iraq temevano infatti che la maggioranza sciita della
popolazione subisse il fascino di Khomeini
e si ribellasse.
Saddam Hussein non raggiunse i suoi obiettivi. La guerra durò otto anni, dal 1980 al
1988, ma alla sua conclusione i confini rimasero quelli prebellici. L’Iran resistette oltre ogni previsione e un milione e mezzo di
morti non fu sufficiente a stabilire quale dei
due contendenti dovesse prevalere.
Nel 1989 Khomeini morì e la successione
venne affidata all’ayatollah Alì Rafsanjani, che non modificò la politica attuata dal
padre della rivoluzione sciita. Di lì a poco
l’Iraq di Saddam Hussein sarebbe tornato
al centro della scena internazionale, scatenando la crisi che avrebbe portato alla
guerra del Golfo.
1959
Rivoluzione cubana
1958-1959
Mao lancia il «grande balzo
in avanti»
1965-1969
Mao lancia la Rivoluzione
culturale
1965-1973
Guerra del Vietnam
1967-1982
Israele consolida i suoi confini
I NODI DELLA STORIA
Nello scenario della Guerra fredda, i conflitti nel Terzo Mondo
non erano sfuggiti, pur se complicati da ragioni squisitamente
locali, alla logica bipolare dello scontro tra Occidente capitalista
e Socialismo reale. Non fece certo eccezione la vasta area dei
paesi islamici, segnata da un recentissimo passato coloniale. La
questione palestinese e la scelta degli Stati Uniti e dei suoi alleati di sostenere Israele aveva contribuito a spingere il nazionalismo arabo a un’alleanza perlomeno tattica con l’Unione Sovietica. Ma se questa era stata la scelta di Nasser e di altri leader
panarabisti, diversi erano gli interessi delle famiglie regnanti
nell’Arabia Saudita, negli emirati del Golfo Persico e nella dinastia imperiale persiana dell’Iran. Pur confermando un’alleanza
di ferro con gli Stati Uniti, in questi paesi si erano sviluppate,
in forme diverse, correnti intransigenti dell’Islam. Nella penisola arabica, culla della religione musulmana, si era sviluppato il
movimento wahabita, fortemente conservatore, propugnatore
di una lettura integralista della legge islamica (sharia) e tuttavia
in ottimi rapporti con la dinastia regnante. Si trattava, ovviamente, di un movimento interno alla componente maggioritaria
dell’Islam, quella dei sunniti. Tra gli sciiti, maggioritari in Iran
ma anche in buona parte dell’Iraq, la situazione era diversa:
le componenti più intransigenti erano in forte contrasto con il
306
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governo autoritario ma laico dello scià Reza Pahlevi ed erano
oggetto di feroci repressioni da parte del regime iracheno del
nazionalista Saddam Hussein.
Nel 1979 avvennero due fatti destinati a cambiare per sempre
gli assetti politici e ideologici del mondo islamico. L’invasione
dell’Unione Sovietica dell’Afghanistan, oltre a suscitare una resistenza furibonda, alienò definitivamente le simpatie di quel
mondo verso lo storico avversario degli Stati Uniti. L’altro evento
fondamentale fu la rivoluzione khomeinista in Iran la quale, oltre a cacciare il regime dei Pahlevi, sperimentò il primo modello
di stato teocratico islamico della storia recente. L’Occidente
tardò a comprendere le conseguenze di questi cambiamenti.
Sul momento sembrarono positive le difficoltà dei sovietici in
una guerra del tutto simile a quella del Vietnam e il declino della
loro influenza sul mondo arabo. Ma si trattava di ragionamenti
miopi e di corto respiro. La diffusione dell’integralismo islamico
si fece massiccia; sostituì nei cuori delle masse mediorientali e
nordafricane la fiducia nel nazionalismo panarabista e socialista
di qualche decennio prima. Fu il brodo di coltura del terrorismo
internazionale la cui tragica risolutezza colpì al cuore l’America con l’attacco alle Twin Towers nel 2001.
1 Il Terzo Mondo, formato dai paesi che non si riconoscono né nel capitalismo né nel comunismo, è afflitto da gravi problemi politici, economici e
sociali. Alla metà degli anni Cinquanta, i nuovi paesi di Asia e Africa e quelli dell’America Latina vennero nell’insieme chiamati «Terzo Mondo». Essi non si riconoscevano
politicamente né nel blocco del Primo Mondo capitalista, né nel blocco del Secondo
Mondo socialista e preferivano definirsi «non allineati». Terzo Mondo divenne però
presto anche sinonimo di una gravissima situazione di arretratezza economica e
sociale. Nacque allora il termine «sottosviluppo», per indicare il lungo cammino che
quei paesi dovevano compiere sulla strada del benessere e della stabilità.
2 L’India sperimenta un lento ma costante progresso, mentre la Cina è passata attraverso gli sconvolgimenti del maoismo ed è ancora oggi dominata dal comunismo. Durante la Guerra fredda, la crescita dell’India fu travagliata
ma sensibile, sotto la guida di Jawaharlal Nehru e di Indira Gandhi. Modernizzate
agricoltura e industria, abolite le caste, i problemi vennero dalla povertà persistente e
dalle difficili relazioni con il Pakistan, con il quale l’India combatté due guerre. Terribili
sconvolgimenti furono causati in Cina dalla dittatura di Mao Tse-tung e dai suoi tentativi di modernizzare rapidamente il paese. Il «grande balzo in avanti» e la «Rivoluzione culturale» furono le due tappe principali di questo cammino. Il successore di Mao,
Deng Xiao-ping, lasciò notevole libertà economica, pur mantenendo il potere al partito
unico e schiacciando ogni opposizione al regime. Sanguinose e segnate da lunghe guerre furono anche le vicende dell’Indocina, e in particolare quelle di Vietnam e Cambogia.
3 1969
Gheddafi al potere in Libia
Quali sono le cause della diffusione dell’integralismo islamico?
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
1973
Colpo di Stato autoritario in Cile
1975-1979
Genocidio in Cambogia
1979
Rivoluzione islamica in Iran
1987
Scoppia l’Intifada in Palestina
1989
Repressione degli studenti in
Piazza Tien-An-Men
In Medio Oriente, l’intero periodo della Guerra fredda è caratterizzato
dallo scontro tra Israele e i paesi arabi per il possesso della Palestina.
Dopo la crisi di Suez del 1956, il Medio Oriente soffrì per la rivalità tra Israele e
i vicini arabi. Le guerre del 1967, 1973 e 1982 portarono al consolidamento dei
confini israeliani a danno delle popolazioni islamiche. Al contempo, crebbe il ruolo
dei palestinesi e del loro leader, Yasser Arafat, come legittimi aspiranti a un nuovo
e indipendente Stato. Speranze di pace, quasi subito disattese, vennero dall’accordo
del 1979 tra Egitto e Israele, stipulato a Washington. L’epoca della Guerra fredda si
chiuse sotto il segno dell’Intifada, la «rivolta delle pietre» dei palestinesi di Gaza e
Cisgiordania contro gli occupanti israeliani.
4 L’America Latina, afflitta da profonde sperequazioni sociali, sperimenta
regimi autoritari e populisti e solo negli anni Ottanta inaugura il passaggio
alla democrazia. L’America Latina, continente giovane e ricchissimo di risorse
naturali, era caratterizzato da strutture sociali legate al latifondo, da un’economia
povera ed agricola, da una grave instabilità politica e dalla pesante ingerenza
degli Stati Uniti. In tutti i paesi dell’area si affermarono durissime dittature militari.
Altre esperienze importanti furono il governo populista di Juan Domingo Perón in Argentina, il governo socialista di Salvador Allende in Cile, e la Rivoluzione socialista
cubana, condotta da Fidel Castro. Solo verso la metà degli anni Ottanta l’America
Latina è sembrata avviarsi finalmente sulla strada della democrazia.
5 Il risveglio dell’Islam ha forti ripercussioni sociali e politiche e nasce in
Iran un regime religioso che combatte apertamente i modelli ideali e di
vita imposti dall’Occidente. Nell’Africa mediterranea e nel Medio Oriente si verificò
il risveglio dell’Islam. La fede religiosa prese a influenzare sempre più spesso le
decisioni dei governanti, mescolandosi alla politica. Centro di questo fenomeno fu
l’Iran, dove nel 1979 trionfò la rivoluzione di Ruhollah Khomeini, fondatore di una
repubblica islamica teocratica e anti-occidentale. Analoga battaglia condusse dal
1969 in Libia Muhammar Gheddafi. Infine, Iran e Iraq si fronteggiarono in una
lunga e sanguinosa guerra tra 1980 e 1988.
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3
15
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
La prima guerra televisiva: il Vietnam
La guerra del Vietnam coinvolse le passioni politiche di un’intera generazione, quella degli anni Sessanta. Il
suo impatto fu dovuto soprattutto al fatto che si trattò della prima guerra in cui i mass media, e la televisione in particolare, seguirono da vicino gli eventi bellici, proiettandone le terribili immagini sulle opinioni
pubbliche occidentali, a partire da quella americana. Le strategie e le armi non convenzionali, tese a demolire
il morale dell’avversario e a combatterlo con ogni mezzo, furono ben presto conosciute e denunciate. Tuttavia, i mezzi di comunicazione di massa non solo garantivano un flusso inedito di informazioni, ma offrivano
nuove possibilità di manipolazione dell’opinione pubblica attraverso la propaganda. In ogni caso, l’esito
dell’intervento americano in Vietnam fu per molti versi condizionato dalla presenza della televisione.
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
Manifestazioni contro la guerra
Le cronache e le immagini dal fronte vietnamita alimentarono un crescente malcontento nella società americana e in tutto l’Occidente,
provocando manifestazioni di protesta soprattutto all’interno dei centri universitari, come a Berkeley.
Immagini scioccanti
I bombardamenti americani sui villaggi del Vietnam del Sud esposero la popolazione civile a gravissimi danni e perdite. Fu in
particolare l’uso del napalm a provocare terribili effetti che furono puntualmente documentati da fotografi e cineoperatori. Non
solo, i vietcong conducevano, nel Vietnam del Sud, una guerriglia che presupponeva un massiccio appoggio della popolazione
locale nelle campagne, per nascondersi e per sostenersi. Nel corso di alcune rappresaglie, le truppe americane furono protagoniste di alcuni massacri: le loro immagini scossero profondamente l’opinione pubblica americana, riducendo sempre più il suo
consenso alla guerra.
Gli studenti dell’Università Berkeley manifestano contro la guerra in Vietnam, marzo 1968.
La sconfitta americana
Il ritiro delle forze americane, avvenuto nel 1973, trovò un epilogo spettacolare nel 1975, quando le truppe del Vietnam del Nord
entrarono a Saigon. I funzionari dell’ambasciata americana e molti civili vietnamiti che avevano collaborato con le forze statunitensi
fuggirono con gli elicotteri dalla città ormai occupata dalle forze comuniste. Le immagini di quella drammatica fuga, che fecero il giro
del mondo, suggellarono il fallimento della politica americana in Vietnam: l’elicottero, emblema della potenza tecnologica e bellica
americana, divenne il segno della sua sconfitta.
Attacco con il napalm durante la guerra del Vietnam.
Vietcong uccisi durante uno scontro con l’esercito americano.
La propoaganda filo-americana
La televisione però non fu soltanto uno strumento essenziale
di informazione, ma anche un potente mezzo di propaganda. Il simbolo della guerra americana in Vietnam fu l’elicottero, che, in un contesto geografico particolarmente difficile
per i combattenti, poteva raggiungere le zone più impervie
della giungla e appoggiare localmente le truppe esposte a
imboscate o impegnate in operazioni di controllo o rastrellamento. Nelle rappresentazioni propagandistiche favorevoli al
conflitto l’elicottero era un elemento centrale.
Elicotteri americani depositano truppe
di rinforzo nel delta del Mekong, 1967.
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© Loescher Editore – Torino
Gli elicotteri evacuano americani e civili vietnamiti dal tetto dell’ambasciata USA di Saigon, 1975.
© Loescher Editore – Torino
309
3
15
Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Ragiona sul tempo e sullo spazio
Impara il significato
1
4
ATTIVITÀ
2
Osserva le cartine a p. 303 e descrivi le trasformazioni politiche che si verificano nell’America Latina; poi ricava
dal testo del capitolo informazioni più precise sui cambiamenti politici dei singoli stati.
1
2
3
4
5
6
7
8
9
10
Nel
Mao lancia la politica del «grande balzo in avanti»
Nel
la Rivoluzione socialista guidata da Fidel Castro abbatte la dittatura di Fulgencio Batista
Nel
Egitto e Siria attaccano Gerusalemme nella cosiddetta Guerra del Kippur
Nel
l’intera Indocina passa sotto il controllo delle forze comuniste, che trionfano in Vietnam, Laos e Cambogia
Nel
Mao lancia la «Rivoluzione culturale» che si propone di indottrinare la popolazione secondo i dettami
ideologici del marxismo, nel nome dell’egualitarismo e del livellamento sociale
Nel
un golpe militare, con l’appoggio attivo degli Stati Uniti, rovescia il governo di Salvador Allende e
instaura la dittatura militare del generale Pinochet
Nel
scoppia l’Intifada, la «rivolta delle pietre» palestinese, che ha per protagonisti i ragazzi di Cisgiordania e
Gaza, i territori occupati da Israele
Nel
la «Guerra dei Sei Giorni» si conclude con l’occupazione da parte di Israele di Sinai egiziano, alture del
Golan, Gerusalemme (l’intera città), Cisgiordania e striscia di Gaza
Nel
i carri armati cinesi stroncano brutalmente la protesta degli studenti raccolti in piazza Tien-An-Men, che
chiedevano libertà d’espressione e rispetto dei diritti umani
Nel
si concludono gli accordi di Camp David, con i quali Israele si impegna a restituire il Sinai all’Egitto
Scrivi quale significato assumono i seguenti concetti nel periodo della Guerra fredda.
1
2
3
4
5
6
7
8
Completa le frasi scrivendo l’anno esatto in cui accade l’evento; poi distingui con quattro colori diversi gli eventi
riconducibili alla Cina, quelli che riguardano l’Indocina, quelli che si riferiscono all’America Latina e quelli che
avvengono in Medio Oriente.
5
Il Terzo Mondo al tempo della Guerra fredda
Geopolitica
Secessione
Dettami ideologici
Espiazione
Maroniti
Intellettuale combattente
Estradizione
Dittatura militare
Prova a riflettere sul significato di «multinazionale» e, alla luce di quello che hai letto nel capitolo, spiega a che cosa si
riferisce; scrivi poi un esempio di multinazionale operativa ai giorni nostri.
Osserva, rifletti e rispondi alle domande
6
Osserva la mappa concettuale relativa ai regimi comunisti in Cina e Indocina. Poi rispondi alle domande.
Le vicende dei regimi comunisti in Cina e Indocina
Esplora il macrotema
3
Completa il testo.
Nel secondo dopoguerra, oltre al Primo Mondo capitalista e al Secondo Mondo (1)
,
nasce un terzo gruppo di Stati che prende il nome di «Terzo Mondo». L’espressione viene coniata in
seguito alla conferenza di Bandung (in Indonesia) del 1955, alla quale partecipano i rappresentanti
di molti paesi di Asia, Africa e America Latina che da poco hanno ottenuto l’(2)
; tali
Stati si definiscono «non allineati», poiché affermano la propria autonomia sia dal blocco occidentale
guidato dagli (3)
, sia dal blocco orientale capeggiato dall’Unione Sovietica. Tuttavia,
l’espressione perde ben presto il suo significato politico per divenire sinonimo di povertà e arretratezza.
Gli Stati del (4)
, infatti, benché diversi per storia e cultura, sono accomunati dalla
condizione di (5)
economico, dovuta alla presenza di debolissime strutture economiche,
sociali e politiche. L’economia è basata quasi ovunque su un’agricoltura di pura sussistenza, tesa al
soddisfacimento dei (6)
immediati del coltivatore e della sua famiglia; le industrie sono
scarse e i servizi essenziali quasi inesistenti. Un ulteriore, grave, problema è dato dal perenne svantaggio
nei confronti dei paesi più ricchi del pianeta. Tale squilibrio prende il nome di «neocolonialismo», ossia
«(7)
colonialismo»: esso, infatti, ha per protagoniste le ex colonie e potenze imperiali
che sfruttano le immense (8)
naturali dei paesi del Terzo Mondo.
Altra caratteristica comune è la forte instabilità politica di questi paesi: in essi permangono strutture
sociali imperniate per lo più sui clan e sui gruppi tribali, spesso divisi da rivalità etniche o religiose, che
portano all’affermazione di dittature oppressive, fondate sulla (9)
e sulle armi.
I problemi del Terzo Mondo rendono necessario fin da subito l’intervento della comunità internazionale.
A partire dagli anni Cinquanta singoli governi, associazioni, organismi internazionali (come l’ONU o la
Banca (10)
) tentano invano di sollevare le sorti di questi paesi con prestiti in denaro,
investimenti tecnologici e aiuti (11)
; solo il nuovo millennio avrebbe portato una
consapevolezza diversa sui rapporti tra la parte più ricca e quella più povera del pianeta e sulle soluzioni
da adottare per liberare la seconda da povertà e arretratezza.
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1 Quali sono i mezzi adottati da Mao Tse-tung per avviare la «Rivoluzione culturale»?
2 Qual è la politica economica introdotta da Deng Xiao-ping?
3 Qual è il terribile esito cui porta il regime comunista di Pol Pot?
Mostra quello che sai
7
Osserva l’immagine a p. 297 (a sinistra) e contestualizza la foto, spiegandone il valore simbolico.
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Documenti
L’universalizzazione dei diritti dell’uomo
Dalle dichiarazioni settecentesche alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, approvata dalle Nazioni
Unite il 10 dicembre 1948, si dipana uno degli aspetti fondamentali della modernità, cioè del tempo presente:
l’affermazione e la preservazione della dignità umana. È un principio pienamente accolto dall’articolo 3 della
nostra Costituzione, che afferma: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza
distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».
Il primo articolo della Dichiarazione («Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e diritti. Essi
sono dotati di ragione e di coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza») costituisce quindi
la sintesi di un lungo, contrastato percorso, le cui origini vanno intraviste nei processi rivoluzionari che dalla Gran
Bretagna di fine Seicento si allargarono al continente europeo con la Rivoluzione francese e, ancor prima, all’intero Occidente con la Rivoluzione americana.
Nel corso del XIX secolo i primi effetti della democratizzazione incominciarono a investire i sistemi politici, i quali
vissero il contrasto tra la persistenza della dimensione tradizionale e l’emergere di una umanità fino allora misconosciuta, ma con sempre maggiore forza rivendicante diritti civili, politici e poi sociali per tutti. Con la Grande guerra vennero spazzati via i residui del vecchio mondo, ma incominciò, specie sul piano europeo, una fase aspra
che sfociò, con i fascismi e con i regimi totalitari, nella Shoah, una pianificata eliminazione dell’altro, del diverso.
Già dopo la Grande guerra, il presidente degli Stati Uniti Woodrow Wilson enunciò la necessità di un’organizzazione mondiale. In una realtà nella quale lo sfruttamento coloniale e la discriminazione razziale erano ancora
attivi, fu edificata la Società delle Nazioni, costituita sulla base dei 14 punti di Wilson. Ma la sua rappresentanza
era fortemente inficiata dall’assenza dai suoi organi degli Stati Uniti e dell’Unione Sovietica e dal prevalere di una
concezione eurocentrica, che scontava la persistenza del colonialismo.
Con la Carta Atlantica sottoscritta dal presidente degli Stati Uniti Franklin D. Roosevelt e dal primo ministro
inglese Winston Churchill si posero le premesse del nuovo ordine mondiale che condusse, a guerra conclusa,
alla formazione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite. La Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo, approvata dall’assemblea, fu diretta conseguenza della tragica esperienza degli anni Trenta e della Seconda guerra
mondiale. La brutale degradazione della condizione umana che il nazismo mise in atto nel cuore della civiltà
occidentale, dalle cui radici si era sviluppato il plurisecolare movimento teso ad affermare e a realizzare i diritti
dell’uomo, condusse alla presa di coscienza di due aspetti fondamentali, tra essi strettamente connessi. Come
recita il preambolo della Dichiarazione, «il riconoscimento della dignità umana inerente a tutti i membri della famiglia umana e dei loro diritti, uguali ed inalienabili, costituisce il fondamento della libertà, della giustizia e della pace
nel mondo». Con la consapevolezza che «il disconoscimento e il disprezzo dei diritti dell’uomo hanno portato
ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani
godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più
alta aspirazione dell’uomo».
La Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, firmata a Parigi il 10 dicembre 1948, è composta da un preambolo e da 30
articoli che sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. I diritti dell’individuo vanno
quindi suddivisi in due grandi aree: i diritti civili e politici e i diritti economici, sociali e culturali. Si tratta di un codice etico di
importanza storica fondamentale: è stato infatti il primo documento a sancire universalmente (cioè in ogni epoca storica e in
ogni parte del mondo) i diritti che spettano all’essere umano. Idealmente, la Dichiarazione è il punto di arrivo di un dibattito
filosofico sull’etica e i diritti umani che nelle varie epoche ha visto impegnati filosofi e pensatori di varie scuole.
1 Che relazione esiste tra l’esperienza del totalitarismo in alcuni paesi, tra cui l’Italia, nella prima parte del XX secolo, e il
successivo riconoscimento dei diritti umani da parte della comunità internazionale?
2 Cosa limita l’efficacia delle dichiarazioni universali approvate dalle Nazioni Unite rispetto all’effettiva salvaguardia dei diritti
umani in tutti i paesi del mondo?
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1.I primi articoli della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
L’Assemblea Generale proclama la
presente Dichiarazione Universale
dei Diritti dell’Uomo come ideale
da raggiungersi da tutti i popoli e
da tutte le Nazioni, al fine che ogni
individuo e ogni organo della società, avendo costantemente presente
questa Dichiarazione, si sforzi di
promuovere, con l’insegnamento e
l’educazione, il rispetto di questi diritti e di queste libertà e di garantirne, mediante misure progressive di
carattere nazionale e internazionale, l’universale ed effettivo riconoscimento e rispetto tanto fra popoli
degli stessi Stati membri, quanto
fra quelli dei territori sottoposti alla
loro giurisdizione.
Articolo 1. Tutti gli esseri umani nascono liberi ed eguali in dignità e
diritti. Essi sono dotati di ragione di
coscienza e devono agire gli uni verso gli altri in spirito di fratellanza.
Articolo 2. (1) Ad ogni individuo
spettano tutti i diritti e tutte le libertà enunciati nella presente Dichiarazione, senza distinzione alcuna, per ragioni di razza, di colore,
di sesso, di lingua, di religione, di
opinione politica o di altro genere,
di origine nazionale o sociale, di
ricchezza, di nascita o di altra condizione. (2) Nessuna distinzione
sarà inoltre stabilita sulla base dello
statuto politico, giuridico o internazionale del Paese o del territorio cui
una persona appartiene, sia che tale
Paese o territorio sia indipendente,
o sottoposto ad amministrazione
fiduciaria o non autonomo, o soggetto a qualsiasi altra limitazione di
sovranità.
Articolo 3. Ogni individuo ha diritto
alla vita, alla libertà ed alla sicurezza
della propria persona.
Articolo 4. Nessun individuo potrà
essere tenuto in stato di schiavitù
o di servitù. La schiavitù e la tratta
degli schiavi saranno proibite sotto
qualsiasi forma.
Articolo 5. Nessun individuo potrà
essere sottoposto a trattamento o
punizioni crudeli, inumani o degradanti.
2.La matrice storica della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo
Lo storico Raffaele Romanelli individua il percorso storico della crescente generalizzazione e affermazione dei diritti universali
dell’uomo. In questo percorso di lungo periodo, egli individua una costante: l’ampliamento progressivo degli spazi di tutela della
dignità umana, man mano, si potrebbe dire, che la nostra sensibilità si lega alle accresciute conoscenze scientifiche. Nonostante il
ruolo che a partire dal 1948 un’istituzione globale come l’ONU ha assunto, Romanelli sottolinea le radici storicamente europee delle
Dichiarazioni dei diritti dell’uomo.
Il 26 agosto 1789 i rappresentanti
del popolo francese riuniti in Assemblea esposero in una solenne
Dichiarazione «i diritti naturali,
inalienabili e sacri dell’uomo», affinché, «costantemente presente
a tutti i membri del corpo sociale
essa rammentasse loro continuamente i loro diritti e i loro doveri».
[…] Un secolo e mezzo più tardi […]
il 10 dicembre 1948, l’Assemblea
generale dell’Organizzazione delle
Nazioni Unite (ONU) approvò una
«Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo» […]. Le organizzazioni
internazionali, ma l’Europa soprattutto, hanno proseguito su questa
strada. Nel 1950 è stata adottata una
«Convenzione europea dei diritti
dell’uomo e della libertà». Trascorso
un altro mezzo secolo, il 7 dicembre
2000 le più alte autorità dell’Unione Europea riunite a Nizza hanno
proclamato solennemente la «Carta
dei diritti fondamentali dell’Unione
Europea» […]. Molte altre dichiarazioni simili, patti e convenzioni si
sono aggiunti nell’ultimo cinquantennio in materia di diritti economici, sociali e culturali, civili e politici […]. Si arriva così a Gli obiettivi
del millennio, risoluzione adottata
dall’Assemblea generale dell’ONU
nel settembre 2000, che ribadisce
come valori fondamentali libertà,
eguaglianza, solidarietà, tolleranza, rispetto per la natura e responsabilità condivisa, e che impegna i
firmatari a non risparmiare «sforzo
alcuno per promuovere la democrazia, rafforzare le norme del diritto,
come pure il rispetto per tutti i diritti umani e le libertà fondamentali
riconosciute internazionalmente».
L’evidente parallelismo tra questi
testi mostra che essi appartengono
ad un’unica esperienza che collega
il Settecento ai nostri tempi e che
dalle prime dichiarazioni via via
amplia la sfera dei diritti.
R. Romanelli, Ottocento. Lezioni di storia contemporanea, I, Bologna, Il Mulino, 2011
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Documenti
La Costituzione italiana
Con le elezioni del 2 giugno 1946 le italiane e gli italiani non solo scelsero, con il referendum, la forma dello Stato,
ma provvidero anche a eleggere l’Assemblea costituente, l’organo chiamato a redigere la Costituzione, cioè la
legge fondamentale dello Stato. Essa venne approvata definitivamente dopo un intenso dibattito il 22 dicembre
1947 con 453 voti favorevoli e 62 contrari (l’estrema destra) ed entrò in vigore il 1° gennaio 1948.
L’approdo a una Costituzione condivisa non fu intralciato dai condizionamenti della Guerra fredda. Frutto di un
compromesso tra le diverse culture politiche – definito «storico» da Meuccio Ruini, presidente della Commissione
dei settantacinque costituenti chiamati alla prima definizione del testo –, la Costituzione si compone essenzialmente di due parti.
La prima sanziona l’affermazione dei diritti politici, di libertà e sociali. Con l’articolo 3 si afferma l’uguaglianza dei
cittadini, con l’articolo 4 il diritto al lavoro, con gli articoli 13, 18 e 21 le libertà personale, di associazione e di
manifestazione del pensiero, con gli articoli 39 e 40 la libertà sindacale e il diritto di sciopero, con l’articolo 49 il
diritto dei cittadini di associarsi in partiti. Sui diritti e sulle libertà politiche e civili, la Costituzione costituisce una
netta rottura rispetto al passato, dato che pone stretti vincoli al legislatore. L’affermazione dei diritti sociali, per
contro, contiene elementi programmatici, ed enuncia gli obiettivi da raggiungere, come è, per esempio, il caso del
diritto al lavoro. Pesò nella scrittura della Costituzione la stratificata presenza della cultura cattolica. Seppur minoritaria relativamente alla richiesta di introdurre nel testo l’indissolubilità del matrimonio, un impianto tradizionale
della famiglia con l’esclusione dei figli illegittimi e i finanziamenti pubblici alle scuole private, con il sostegno dei
comunisti e di gran parte dei liberali ottenne comunque l’inserimento dei Patti lateranensi del 1929, contenenti il
Concordato, nel nuovo ordinamento costituzionale.
La seconda parte delinea una Repubblica parlamentare, fondata sulla separazione dei poteri, sul bicameralismo
perfetto, sulla funzione equilibratrice del capo dello Stato, sulla Corte costituzionale come organo che giudica la
legittimità delle leggi, sull’indipendenza e autogoverno della magistratura, sul regionalismo e le autonomie locali,
sul referendum abrogativo.
La Costituzione ha un carattere rigido: ogni proposta di modifica deve seguire un particolare iter teso a rendere
meditata e condivisa la riforma. E non può essere mutata la forma repubblicana dello Stato.
A causa della faticosa evoluzione del sistema politico, la Costituzione rimase in larga parte inattuata fino al 1955,
quando fu avviata una lunga fase che condusse alla realizzazione di tutti gli istituti, conclusasi negli anni Settanta.
A partire dagli anni Ottanta la «grande riforma» proposta dai socialisti intendeva cambiare la Costituzione con
l’intento di favorire la democrazia dell’alternanza. Il tema della revisione costituzionale è stato da allora a oggi
al centro della vita politica italiana. Nominate diverse commissioni bicamerali che non approdarono ad alcuno
risultato, bocciata dal referendum popolare nel 2006 una proposta approvata in Parlamento di modifica radicale
della seconda parte, la Costituzione ha accompagnato la lunga e irrisolta transizione italiana, mostrando l’efficacia
dei meccanismi in essa contenuti.
«La data del 1° gennaio 1948 ha segnato la nascita di qualcosa che ha continuato a vivere, è vivo e ha un futuro: una tavola
di principi e di valori, di diritti e di doveri, di regole e di equilibri, che costituisce la base del nostro stare insieme. […] Il
processo risorgimentale ebbe per compimento lo Stato nazionale, che assunse i lineamenti di uno Stato liberale ma senza
il presidio di una Costituzione votata dai rappresentanti del popolo che prendesse il posto dello Statuto Albertino, concesso
per «volontà sovrana». Fu dopo la rottura autoritaria del ventennio fascista, con il voto e la scelta repubblicana del 2 giugno
1946 che l’Italia unita giunse all’approdo del costituzionalismo». (dal discorso tenuto dal Presidente Giorgio Napolitano il
1° gennaio 2008, in occasione della celebrazione del sessantesimo anniversario della Costituzione repubblicana)
1 Quali sono i principali orientamenti che hanno ispirato i costituenti?
2 Quali sono a tuo giudizio i più importanti diritti sanciti dalla nostra Costituzione?
3 Quali articoli della Costituzione ti sembrano ancora molto attuali e quali sono a tuo avviso «superati»?
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1.Gli articoli fondamentali della Costituzione della Repubblica italiana
Art. 1. L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.
La sovranità appartiene al popolo,
che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.
Art. 2. La Repubblica riconosce
e garantisce i diritti inviolabili
dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la
sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di
solidarietà politica, economica e
sociale.
Art. 3. Tutti i cittadini hanno pari
dignità sociale e sono eguali davanti
alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione,
di opinioni politiche, di condizioni
personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto
la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo
della persona umana e l’effettiva
partecipazione di tutti i lavoratori
all’organizzazione politica, economica e sociale del paese.
Art. 4. La Repubblica riconosce a
tutti i cittadini il diritto al lavoro e
promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.
Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità
e la propria scelta, un’attività o una
funzione che concorra al progresso
materiale o spirituale della società.
[…]
Art. 8. Tutte le confessioni religiose
sono egualmente libere davanti alla
legge.
Art. 11. L’Italia ripudia la guerra
come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di
risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni
di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un
ordinamento che assicuri la pace e
la giustizia fra le nazioni; promuove
e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo.
Art. 12. La bandiera della Repubblica è il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a tre bande verticali di
eguali dimensioni.
2.Le radici della Costituzione: un dibattito in Assemblea costituente
Si riporta un brano di un saggio storico che ricostruisce il dibattito in aula sul progetto generale di Costituzione, svoltosi nel marzo
1947; si individua e afferma quello che per quasi tutte le principali culture politiche dei costituenti rappresentava la fondamentale
radice della Costituzione: l’antifascismo. La vita democratica e la stessa Repubblica si erano infatti affermati dopo la dittatura, la
guerra e la Resistenza.
C’era un valore condiviso da tutte le
forze antifasciste: «la ragione – chiarì il degasperiano Tupini – è che nella memoria di tutto il popolo italiano è ancora viva una storia recente
[…]: è la storia della dittatura del fascismo, con le note conseguenze di
guerra e di disfatta che hanno colpito al cuore l’uomo nelle sue libertà
personali, nella sua famiglia, in tutta la sua vita». In sede di Costituente, Roberto Lucifero, già esponente
del monarchico Partito democratico e dal dicembre 1947 all’ottobre
1948 segretario del Pli, […] avviò un
tentativo di sganciamento, per così
dire, della Costituzione dall’antifascismo […]. A suo avviso, il fascismo
doveva essere accantonato nel senso che «non ci deve più entrare né
in forma positiva né in forma negativa». [..] Seppure in disaccordo sui
modelli di democrazia da adottare,
seppure incerti rispetto alla costruzione delle regole della democrazia,
benché reciprocamente sospettosi,
i costituenti ebbero nella loro larga
maggioranza chiaro che l’affermazione delle libertà e l’avvio verso la
democrazia potevano avvenire solo
in contrapposizione al regime politico che aveva in Italia, in un arco
di tempo determinato, teorizzata
e realizzata la loro soppressione.
Come ha puntualizzato Scoppola:
«per la Costituzione del 1948 può
valere perciò quella identificazione
tra democrazia e antifascismo che
non può essere affermata invece
né sul piano astratto dei principi né sul piano storico generale: la
Costituzione democratica del 1948
è antifascista e l’antifascismo della
Costituzione stessa è democratico».
Questo legame era sentito così profondamente, costituiva a tal punto
il carattere della nuova fase democratica che, come affermò Lussu, «a
costo di non essere totalità, ma solo
maggioranza, la nostra democrazia
non dovrà mai rinunziare ad essere
democrazia antifascista».
P. Soddu, L’Italia del dopoguerra. 1947-1953: una democrazia precaria, Roma, Editori Riuniti, 1998
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Testimonianze
Documento 1
Testimonianze
L’articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite (capitolo 9)
Documento 3
De Gasperi e il Trattato di pace (capitolo 11)
La Seconda guerra mondiale causò circa cinquanta milioni di morti. E fu proprio l’enormità della tragedia a spingere i capi di governo
e di Stato di tutto il mondo a riaffermare la necessità della rinuncia alle armi e della risoluzione pacifica delle controversie internazionali. Sono questi i principi cardine dell’articolo 1 dello Statuto delle Nazioni Unite, sorte a San Francisco nel giugno 1945 per porre
fine agli orrori del conflitto appena concluso.
Il 10 agosto 1946, a Parigi, alla Conferenza dei paesi vincitori della Seconda guerra mondiale, fu concesso ad Alcide De Gasperi di
esporre il punto di vista del nostro governo sulle condizioni di pace imposte all’Italia. De Gasperi era in particolare preoccupato per
la perdita di Trieste, ma la sua perorazione appassionata non valse ad attenuare la punizione inflittaci per i torti mussoliniani. Il tono
e le parole del nostro presidente del Consiglio rendono bene la situazione di minorità in cui si trovava allora l’Italia.
Articolo 1
I fini delle Nazioni Unite sono:
1. Mantenere la pace e la sicurezza internazionale, ed a questo fine:
prendere efficaci misure collettive
per prevenire e rimuovere le minacce alla pace e per reprimere gli atti di
aggressione o le altre violazioni della
pace e conseguire, con mezzi pacifici e in conformità ai principi della
giustizia e del diritto internazionale,
la composizione o la soluzione delle
Questo Trattato è, nei confronti
dell’Italia, estremamente duro; ma
se esso tuttavia fosse almeno uno
strumento ricostruttivo di cooperazione internazionale, il sacrificio
nostro avrebbe un compenso. […]
L’Italia avrebbe subito delle sanzioni
per il suo passato fascista ma, messa
una pietra tombale sul passato, tutti
si ritroverebbero eguali nello spirito
della nuova collaborazione internazionale. Si può credere che sia così?
Evidentemente ciò è nelle vostre intenzioni, ma il testo del Trattato parla un altro linguaggio. […] Rammento che il comunicato di Potsdam del
2 agosto 1945 proclamava: «L’Italia
Documento 2
controversie o delle situazioni internazionali che potrebbero portare a
una violazione della pace.
2. Sviluppare tra le nazioni relazioni
amichevoli fondate sul rispetto e sul
principio dell’eguaglianza dei diritti e dell’auto-decisione dei popoli, e
prendere altre misure atte a rafforzare la pace universale.
3. Conseguire la cooperazione internazionale nella soluzione dei problemi internazionali di carattere econo-
mico, sociale, culturale o umanitario,
e nel promuovere e incoraggiare il
rispetto dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali per tutti senza
distinzione di razza, di sesso, di lingua o di religione.
4. Costituire un centro per il coordinamento dell’attività delle nazioni
volta al conseguimento di questi fini
comuni.
La «Primavera di Praga» nelle parole di un testimone dei fatti (capitolo 10)
Vaclav Havel, scrittore, drammaturgo e negli anni Novanta presidente della Cecoslovacchia e poi della Repubblica Ceca, cominciò
a fare politica attiva proprio nel periodo della «Primavera di Praga». La repressione sovietica e il ritorno all’ortodossia di regime lo
emarginarono infatti dagli ambienti del teatro praghese come persona non gradita, spingendolo a diventare uno dei più attivi e noti
difensori della libertà d’espressione nel suo paese. Ecco come ricorda, nella sua autobiografia, la sorpresa e l’entusiasmo che il
risveglio della Cecoslovacchia suscitò nel 1968 nei suoi stessi cittadini.
Dopo i cambiamenti di gennaio non
intuii – come molti altri miei concittadini, in particolare quelli che
non conoscevano i retroscena della
vita di partito e vedevano tutte quelle cose dal di fuori – cosa si stava
aprendo e cosa stava incominciando; mi sembrava che si trattasse solo
di un cambio della guardia nelle alte
sfere, e la cosa non mi interessava
molto. Fui molto sorpreso dal rapido sviluppo delle cose che poi seguirono. Sorpresi rimasero ovviamente
tutti, inclusa la direzione politica.
Questi sviluppi cioè non furono il
risultato di un preciso programma
o di una concorde volontà, ma il
manifestarsi di un’enorme pressio-
ne che esisteva nella società e che
trovò nelle lotte interne del partito e
nei cambiamenti politici una grossa
opportunità e favorevoli condizioni
per far saltare il coperchio che la imprigionava.
Non è vero che io sia riuscito a non
soggiacere all’euforia per tutto quello che succedeva. Penso che tutti
fossero sbalorditi da quegli eventi,
che tutti ne gioissero: giacché all’improvviso si cominciò a respirare liberamente, la gente poteva associarsi
liberamente, era scomparsa la paura,
i più svariati tabù erano caduti, a tutti
i più svariati conflitti sociali si poteva
dare un nome, si potevano dimostrare i più svariati interessi, i mass me-
dia tornarono a svolgere la loro vera
funzione, la consapevolezza sociale
cresceva – insomma, si scioglievano i
ghiacci e si aprivano le finestre – non
si poteva non essere affascinati e colpiti da tutte queste cose! […]
La cosa pericolosa era che i dirigenti,
non avendo una chiara idea di quello
che succedeva, non avevano neppure idea di come difenderlo [il risveglio
della Cecoslovacchia]. Stregati dalle
loro illusioni, si immaginavano che
avrebbero spiegato tutto all’Unione
Sovietica in riunioni ufficiali, che le
avrebbero fatto promesse, che avrebbero saputo tenere a freno la società,
che l’Unione Sovietica alla fine avrebbe dovuto capire e approvare.
fu la prima delle potenze dell’Asse
a rompere con la Germania, alla cui
sconfitta essa diede un sostanziale
contributo, ed ora si è aggiunta agli
Alleati nella guerra contro il Giappone». Tale era il riconoscimento di
Potsdam. Che cosa è avvenuto perché nel preambolo del Trattato faccia ora sparire dalla scena storica il
popolo italiano? […] Il carattere punitivo del Trattato risulta anche dalle
clausole territoriali. E qui non posso
negare che la soluzione del problema di Trieste implicava difficoltà oggettive che non era facile superare.
Tuttavia anche questo problema è
stato inficiato fin dall’inizio da una
persistente psicosi di guerra, da un
richiamo tenace ad un presunto
diritto del primo occupante e dalla
mancata intesa tra le due parti più
direttamente interessate. […] Chi
si fa interprete oggi del popolo italiano è combattuto da doveri apertamente contrastanti. Da una parte
egli deve esprimere l’ansia, il dolore,
l’angosciosa preoccupazione per le
conseguenze del Trattato. Dall’altra,
riaffermare la funzione della nuova
democrazia italiana nel superamento della crisi della guerra e nel rinnovamento del mondo operato con
validi strumenti di pace. Tale fede
nutro io pure.
A. Desideri, M. Themelly, Storia e storiografia, vol. 3, Firenze, D’Anna, 1997
Documento 4
Lo shock culturale: emigrare da Napoli a Milano (capitolo 11)
Alessandro è un ventiquattrenne di Poggio Reale, trasferitosi con la famiglia a Milano. Il suo sgrammaticato racconto sulle difficoltà
e le amarezze dell’emigrazione vale più di mille discorsi. E dice molto sullo shock prima di tutto culturale che colpiva chi passava
dall’ambiente umano, sociale ed economico del Sud a quello del Nord. Due mondi talmente diversi da apparire quasi non comunicanti.
La gente vengono qua che sono
sventurati. Lasciano il suo paese, se
fanno fortuna, se no tornano indietro. Io sono di Poggio Reale, comune
di Napoli. Stavo laggiù, era un anno
che ero sposato, non c’era lavoro, la
miseria, adesso può darsi che cambio vita, speriamo. […] Ho avuto
la fortuna di trovare subito lavoro
[…]. In casa pago 4.000 lire di affitto, 1.000 lire di luce, 200 di gabinetto
e 200 d’acqua e ho una stanza sola
in cantina. L’acqua bisogna andare
fuori a prenderla in cortile perché
c’è una sola fontana. Gabinetto lo
stesso […]. Noi siamo della Bassa
Italia, ci chiamano terroni, che siamo sporchi, che non vogliamo lavorare. Me n’è capitato due o tre fatti.
Uno mi dice: «Sei un terrone, non
avete voglia di lavorare. Venite qui
a togliere il pane ai milanesi». Ho
detto: «Te lo dici che non hai voglia
di lavorare, mettiamoci a lavorare
io e te lavori pesanti, e vedrai chi si
stanca prima». Perché sono abituati
al lavoro negli stabilimenti, hanno il
loro lavoro pulito, sono specializzati, sono andati a scuola, e non fanno
niente. Invece noi non abbiamo un
mestiere che da noi non ci sono gli
stabilimenti e il mestiere uno non se
lo impara mai.
G. Crainz, Storia del miracolo italiano, Roma, Donzelli, 1996
V. Havel, Interrogatorio a distanza, Milano, Garzanti, 1990
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Testimonianze
Documento 5
Testimonianze
La nascita d’Israele nelle parole di David Ben Gurion (capitolo 12)
Nella prima metà del maggio 1948 i soldati inglesi abbandonarono la Palestina salpando dal porto di Haifa. Il 14 maggio, dalle sale
del Museo di Tel Aviv, David Ben Gurion annunciò la nascita dello Stato d’Israele. L’uomo politico, che sarebbe diventato in breve anche primo ministro, ricordò al mondo che una lunga storia, tante sofferenze e una straordinaria tradizione religiosa davano al popolo
ebraico il diritto di creare in Palestina il proprio nuovo Stato.
In Eretz Israel [la terra d’Israele] è
nato il popolo ebraico, qui si è formata la sua identità spirituale, religiosa
e politica, qui ha vissuto una vita
indipendente, qui ha creato valori
culturali con portata nazionale e universale e ha dato al mondo l’eterno
Libro dei Libri [la Bibbia].
Dopo essere stato forzatamente
esiliato dalla sua terra, il popolo le
rimase fedele attraverso tutte le dispersioni e non cessò mai di pregare
e di sperare nel ritorno alla sua terra e
nel ripristino in essa della libertà politica. Spinti da questo attaccamento
storico e tradizionale, gli ebrei aspirarono in ogni successiva generazione a tornare e stabilirsi nella loro antica patria; e nelle ultime generazioni
ritornarono in massa. […].
Il diritto del popolo ebraico alla rinascita nazionale del suo Paese […]
fu riconosciuto nella dichiarazione
Balfour del 2 novembre 1917 e riaffermato col Mandato della Società
delle Nazioni che, in particolare, sanciva a livello internazionale il legame
storico tra il popolo ebraico ed Eretz
Israel […].
La Shoah che si è abbattuta recentemente sul popolo ebraico […] ha
dimostrato concretamente la necessità di risolvere il problema del
popolo ebraico privo di patria e di
indipendenza, con la rinascita dello
Stato ebraico in Eretz Israel, che spalancherà le porte della patria a ogni
ebreo e conferirà al popolo ebraico la
posizione di membro con pari diritti
nella famiglia delle nazioni. […]
Il 29 novembre 1947, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite adottò una
risoluzione che esigeva la fondazione
di uno Stato ebraico in Eretz Israel.
[…] Questo riconoscimento delle
Nazioni Unite del diritto del popolo
ebraico a fondare il proprio Stato è irrevocabile. […] Quindi noi […] siamo
qui riuniti nel giorno della fine del
Mandato Britannico su Eretz Israel
e, in virtù del nostro diritto naturale
e storico e della risoluzione dell’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, dichiariamo la fondazione di uno
Stato ebraico in Eretz Israel, che avrà
il nome di Stato d’Israele.
Da www.storiadisraele.blogspot.com (sito visitato il 27 giugno 2011)
Documento 6
Cronaca della caduta del Muro di Berlino (capitolo 13)
Al di là di ogni riflessione politica, sociale ed economica, della caduta del Muro di Berlino si può certamente affermare questo: fu la
rivincita della gente comune, degli uomini e delle donne che non si lasciano piegare dalla storia e cercano ostinatamente una luce
per sé e per i propri figli. In tale senso va la testimonianza dell’americano Robert Darnton, presente nella metropoli tedesca tra 1989
e 1990 e testimone diretto degli avvenimenti che segnarono la conclusione della Guerra fredda. Secondo le sue parole, furono gli
stessi berlinesi a scrivere la storia.
È probabile che non sapremo mai cosa
accadde all’interno della fatiscente
struttura di potere della Repubblica
Democratica Tedesca. Ma qualunque
possa esserne stato l’elemento scatenante, il vero protagonista dell’abbattimento del Muro era lì dinanzi agli
occhi di tutti la notte del 9 novembre:
il popolo di Berlino Est. Esso aveva
espugnato il Muro allo stesso modo
di come aveva invaso le strade nei due
mesi precedenti, di null’altro armato
che delle sue idee, della sua disciplina, e di quella forza che solo le grandi
masse possono sprigionare. Nel loro
sciamare a ovest, i cittadini di Berlino
Est parlavano il linguaggio della libertà, un linguaggio fatto di gesti, anziché
di altisonante retorica. Essi si sono
appropriati fisicamente del Muro; lo
hanno scalato, sfondato, demolito. La
stessa cosa è accaduta a Berlino Ovest.
Essi si sono riappropriati di uno spazio che era loro, riversandosi sul Kurfürsterdamm, affollando gli autobus e
i bar, parcheggiando le loro minuscole
Trabant sul ciglio delle strade più lussuose, e quindi tornandosene trion-
fanti a est con un fiore per la fidanzata
o un giocattolo per un bambino. Si è
trattato di un momento di pura magia, la presa di possesso di una città da
parte della sua popolazione. Giovedì 9
novembre, sotto una luna piena, quasi schiacciati tra la scura sagoma del
Reichstag e la minacciosa mole della Porta di Brandeburgo, la gente di
Berlino ha ballato sul suo Muro, trasformando il più crudele degli scenari
urbani in uno spettacolo di allegria e
speranza, e ponendo fine a un secolo
di guerra.
R. Darnton, Diario berlinese 1989-1990, Torino, Einaudi, 1992
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Documento 7
Lo Statuto dei lavoratori e le condizioni della vita di fabbrica (capitolo 14)
Il 20 maggio 1970, il Parlamento italiano approvava la legge n. 300, intitolata «Norme sulla tutela della libertà e dignità dei lavoratori, della libertà sindacale e dell’attività sindacale nei luoghi di lavoro e norme sul collocamento». La legge, nota come Statuto dei
lavoratori, era destinata a rivoluzionare i rapporti di fabbrica tra il padronato e i prestatori d’opera, tradizionalmente svantaggiati nel
confronto. Ecco i suoi articoli più importanti.
Art. 1 – Libertà di opinione. I lavoratori, senza distinzione di opinioni
politiche, sindacali e di fede religiosa,
hanno diritto, nei luoghi dove prestano la loro opera, di manifestare liberamente il proprio pensiero, nel rispetto
dei principi della Costituzione e delle
norme della presente legge. […]
Art. 4 – Impianti audiovisivi. È vietato l’uso di impianti audiovisivi e di
altre apparecchiature per finalità di
controllo a distanza dell’attività dei
lavoratori. […]
Art. 5 – Accertamenti sanitari. Sono
vietati accertamenti da parte del datore di lavoro sulla idoneità e sulla
infermità per malattia o infortunio
del lavoratore dipendente. Il controllo delle assenze per infermità può
essere effettuato soltanto attraverso
i servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti, i quali sono te-
Documento 8
nuti a compierlo quando il datore di
lavoro lo richieda. […]
Art. 7 – Sanzioni disciplinari. […] Il
datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei
confronti del lavoratore senza avergli
preventivamente contestato l’addebito e senza averlo sentito a sua difesa. […]
Art. 8 – Divieto di indagini sulle opinioni. È fatto divieto al datore di lavoro, ai fini dell’assunzione, come
nel corso dello svolgimento del rapporto di lavoro, di effettuare indagini,
anche a mezzo di terzi, sulle opinioni
politiche, religiose o sindacali del lavoratore, nonché su fatti non rilevanti ai fini della valutazione dell’attitudine professionale del lavoratore.
Art. 9 – Tutela della salute e dell’integrità fisica. I lavoratori, mediante
loro rappresentanze, hanno diritto di
controllare l’applicazione delle norme per la prevenzione degli infortuni
e delle malattie professionali […].
Art. 14 – Diritto di associazione e di
attività sindacale. […] Il diritto di costituire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale, è
garantito a tutti i lavoratori all’interno dei luoghi di lavoro. […]
Art. 19 – Costituzione delle rappresentanze sindacali aziendali. Rappresentanze sindacali aziendali possono essere costituite ad iniziativa
dei lavoratori in ogni unità produttiva […]. Art. 20 – Assemblea. I lavoratori hanno diritto di riunirsi, nella unità produttiva in cui prestano la loro opera,
fuori dell’orario di lavoro, nonché
durante l’orario di lavoro, nei limiti
di dieci ore annue, per le quali verrà
corrisposta la normale retribuzione.
Non c’è niente al di sopra dell’Islam (capitolo 15)
La rinascita dell’Islam politico di questi ultimi decenni ha radici profonde. Per capirlo basta leggere gli scritti di Hassan el-Banna,
vissuto tra 1906 e 1949 e fondatore dei Fratelli Musulmani, un’organizzazione oggi particolarmente diffusa in Egitto. Secondo elBanna, l’insegnamento di Maometto è base dell’intera vita sociale, dei comportamenti individuali così come della struttura e delle
leggi dello Stato. Una teoria che, a partire dalla rivoluzione khomeinista in Iran, ha trovato in Medio Oriente molti estimatori e seguaci.
Il testo che segue è citato in un volume dello studioso Abdel-Malek.
Credo che è dovere del musulmano
fare rivivere la gloria dell’Islam, promuovendo la rinascita dei suoi popoli […].
Credo che il vessillo dell’Islam deve
dominare l’umanità e che il dovere di
ogni musulmano consiste nell’educare il mondo secondo le regole
dell’Islam. Prometto di lottare finché
vivrò per realizzare questa missione e
di sacrificarle tutto ciò che posseggo.
Credo che tutti i musulmani formano
una sola nazione unita dalla fede isla-
mica e che l’Islam ordina ai suoi figli
di fare del bene a tutti. Prometto di
fare ogni sforzo per rinforzare il legame di fratellanza fra tutti i musulmani
e per eliminare l’indifferenza e le divergenze fra le loro comunità […].
Credo che il segreto del ritardo dei
musulmani risiede nel loro allontanamento dalla religione e che la base
della riforma consisterà nel fare ritorno agli insegnamenti dell’Islam. […]
È l’Islam che fonda lo Stato sui principi della giustizia, stabilisce il gover-
no su diritti ben definiti e riconosce
a ciascuno dei membri delle classi
della nazione i suoi diritti, senza frustrazioni, mancati riconoscimenti o
ingiustizie. […] Questa è una lezione
che dovrebbero imparare i dirigenti
orientali che hanno voluto, o vorranno, cercare per i loro popoli una via
diversa da quella dell’Islam al fine di
fondare su di essa la rinascita. […] I
musulmani non potranno oggi avere
successo che seguendo la stessa via
del nostro maestro Maometto.
A. Abdel-Malek, Il pensiero politico arabo, Roma, Editori Riuniti, 1973
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Interpretazioni
Interpretazioni
Il Rapporto Beveridge e la sua influenza sulla società europea (capitolo 9)
L’Europa uscì distrutta dalla Seconda guerra mondiale. Dopo un trentennio di profonde sofferenze era fortissimo negli europei il
desiderio di pace, democrazia, benessere e crescita sociale. Proprio a tale desiderio andava incontro il Rapporto Beveridge. Come
racconta la storica statunitense Victoria De Grazia, le idee dello studioso britannico William Beveridge furono alla base del Welfare
State, che accudiva il cittadino soddisfacendo i suoi bisogni primari: mangiare, avere un tetto, essere curato nella malattia, avere
un’istruzione.
Il problema [del benessere] cominciava a emergere in termini completamente diversi rispetto al passato,
man mano che in tutta Europa nascevano coalizioni riformiste capaci
di argomentare politicamente il diritto a uno standard di vita decoroso.
Quando fu pubblicato, nel dicembre
del 1942, il Rapporto Beveridge fu il
primo segnale di questo profondo
cambiamento nelle aspettative degli
Europei. […] Il rapporto propose il
primo modello di quello che i contemporanei chiamavano eloquentemente Welfare State («Stato assistenziale») in contrapposizione al
Warfare State («Stato di guerra»). […]
Il rapporto elencava i cinque gigan-
teschi «mali sociali» – malattia, ignoranza, oziosità, squallore e indigenza
– che tormentavano i Britannici e
suggeriva una vasta gamma di rimedi: servizio sanitario nazionale per
tutti, piena occupazione, istruzione
secondaria universale, sussidi per la
casa e assicurazione statale contro
malattia, disoccupazione e vecchiaia. […]
Come risultò in seguito, il Rapporto Beveridge ispirò per i successivi
trent’anni le linee guida sia del governo laburista sia di quello conservatore. […] Nell’Europa intera, con
le inflessioni politiche più varie, si
riscontrarono posizioni simili a quelle sostenute dal Rapporto Beveridge
[…]. Quando il 21 novembre 1947
pronunciò il suo discorso di addio
davanti al Parlamento francese, Léon
Blum si vide finalmente riconoscere
un largo appoggio al suo proposito,
[…] di «migliorare la condizione della classe operaia e di conseguenza
il reale potere d’acquisto e dei salari
fino al limite massimo delle attuali
possibilità dell’economia francese».
Secondo quanto affermato nel 1948
dal cristiano-democratico Ludwig
Erhard poco prima di diventare ministro dell’Economia della Repubblica
Federale Tedesca, l’«economia attuale» […] sarebbe stata […] un’«economia di mercato socialmente impegnata e basata su criteri meritocratici».
Il «miracolo economico» italiano: più denaro, più consumi, più comodità per la vita di tutti i giorni
(capitolo 11)
Il «miracolo economico» italiano fu un fenomeno straordinario, talmente palese e impetuoso che i contemporanei poterono solo
prenderne atto, cercando al più di interpretare i mille risvolti di un cambiamento tanto massiccio e rapido. Aurelio Lepre ricorda che
l’effetto più immediato e tangibile del «miracolo economico» fu la maggiore disponibilità di denaro, subito impiegato per l’acquisto di
beni di consumo prima irraggiungibili e capaci di cambiare radicalmente lo stile e il tenore di vita delle famiglie italiane. Portandole
a un benessere che in precedenza mai nella storia avevano sperimentato.
Un altro settore economico il cui
sviluppo comportò rilevanti modifiche nei modi di vita fu quello degli
elettrodomestici, dalla lavatrice alla
lavastoviglie, dal frigorifero all’aspirapolvere. Nel 1951 l’Italia produceva 18.500 frigoriferi, nel 1957 ne
produceva 370.000 […]. Per le trasformazioni portate dall’uso degli
elettrodomestici nella vita quotidiana sono state svolte considerazioni
analoghe a quelle fatte per l’automobile e la televisione. Anche per
essi è stato osservato che il loro valore di status symbol fu considerato
superiore a quello che possedevano
intrinsecamente come strumenti
tecnologici: il mito della scalata sociale prevaleva su quello del trionfo
della tecnica, vista soprattutto come
uno strumento utile per conseguire
gli stessi obiettivi di prestigio sociale
che in passato si era cercato di raggiungere con altri mezzi. Ma le donne apprezzarono gli elettrodomestici
come uno strumento di liberazione
dall’asservimento al lavoro casalingo, soprattutto nelle campagne […].
Le condizioni di vita e le abitudini
degli italiani cambiarono lentamente, ma costantemente. Le «carte di
famiglia» della gente comune (per
esempio, i libri di conti) ne danno
una testimonianza significativa e
V. De Grazia, L’impero irresistibile. La società dei consumi americana alla conquista del mondo, Milano, Einaudi, 2006
importante. La famiglia di un ferroviere pugliese, V.P., nel 1949 acquistò
una bicicletta e fece riparare un apparecchio radio. Nel 1952 comprò
un ciclomotore e una cucina; nel
1953 una macchina da cucire, nel
1954 mobili per una stanza da pranzo e per l’ingresso, uno scaldabagno
e un «radiofono». La famiglia di un
impiegato genovese, A.M. (anche
la moglie era impiegata), nel 1950
acquistò una cucina, nel 1951 una
pelliccia, nel 1953 una macchina da
cucire, nel 1956 fece installare il telefono, nel 1957 comprò un televisore. Per la lavatrice avrebbe atteso il
1961, per il riscaldamento il 1963.
A. Lepre, Storia della prima Repubblica, Bologna, il Mulino, 1993
Una crescita senza eguali nella storia (capitolo 10)
La nascita d’Israele: il punto di vista arabo (capitolo 12)
Superato il trauma della grande crisi economica partita dagli Stati Uniti nel 1929 e chiuse le tragiche vicende della Seconda guerra
mondiale, l’Occidente conobbe a partire dal 1945 un periodo di sviluppo senza precedenti. Rosario Villari racconta alcuni particolari
di questo fenomeno riguardanti l’Europa.
Il conflitto tra Israele e i popoli arabi del Medio Oriente è una delle pagine più dolorose della storia contemporanea, peraltro non
ancora chiusa. Le sue radici immediate risalgono all’emigrazione ebraica in Palestina, nella prima parte del Novecento, e alle circostanze in cui nacque, nel 1948, lo Stato d’Israele. Valutiamo in proposito il punto di vista di Albert Hourani, inglese di origini libanesi,
che abbraccia la visuale filo-araba.
In Europa occidentale era in atto uno
sviluppo economico di straordinaria intensità […]. Nel periodo 19501969 la media della crescita annua
della produzione totale raggiunse il
4,7%, con punte del 6,3% e del 5,7%
in Germania e in Italia: tassi di crescita così alti non si erano mai registrati nella storia dell’Europa moderna.
[…] L’aumento dei salari, sostenuto
dall’azione dei sindacati, l’espansione del mercato interno ed esterno,
l’incremento dell’istruzione e dell’assistenza, il trasferimento delle innovazioni tecnologiche dal settore mili-
tare a tutta l’attività produttiva (con il
progressivo sviluppo dell’automatizzazione) contribuirono alla trasformazione economica del ventennio
1950-1970. In alcuni casi, l’azione dei
governi fu rivolta più direttamente,
con manovre fiscali e di incentivazione, a sostenere gli investimenti in
determinate aree, come avvenne in
Italia, con la creazione della Cassa del
Mezzogiorno, nella Scozia orientale,
nelle Fiandre e in alcune zone della
Francia. In genere prevalse in questa
fase l’economia mista, basata sul legame tra azione pubblica e politica,
da una parte, e iniziativa economica
dall’altra, che si realizzò in diversi
modi e con diversa intensità nei paesi
industrializzati. […] Considerate nel
loro insieme, le strutture del Welfare
State, create in momenti e a livelli diversi nel vari Stati ma con una sostanziale omogeneità, appaiono come
una delle grandi tappe storiche della
civiltà europea. Insieme allo sviluppo
economico e culturale del dopoguerra, la realizzazione del Welfare State
ha fatto riacquistare all’Europa un
ruolo centrale ed esemplare nell’evoluzione civile di tutto il mondo.
R. Villari, Mille anni di storia. Dalla città medievale all’unità dell’Europa, Roma-Bari, Laterza, 2001
Nel 1947 la Gran Bretagna decise di
investire della questione le Nazioni
Unite. Una speciale commissione
delle Nazioni Unite incaricata di studiare il problema partorì un progetto
di spartizione le cui condizioni erano ancora più favorevoli ai Sionisti [i
sostenitori della nascita di uno Stato
ebraico] di quanto lo fosse quello del
1937. […]
Man mano che si avvicinava la data
[del ritiro britannico dalla Palestina],
inevitabilmente l’autorità britannica
veniva meno, e scoppiavano combattimenti, in cui gli Ebrei ebbero
ben presto la meglio. Ciò a sua volta
portò alla decisione di intervenire da
parte degli Stati arabi confinanti […].
Il 14 maggio la comunità ebraica dichiarò la propria indipendenza come
Stato di Israele, che venne immediatamente riconosciuto dagli Stati
Uniti e dalla Russia, mentre forze
egiziane, giordane, irachene, siriane
e libanesi penetravano nelle parti a
maggioranza araba del paese. […] In
quattro campagne interrotte da altrettanti cessate il fuoco Israele riuscì
ad occupare la maggior parte del paese. In un primo momento per motivi prudenziali, e successivamente a
causa del panico e della deliberata li-
nea di condotta dell’esercito israeliano, quasi i due terzi dei componenti
la popolazione araba lasciarono le
proprie case e divennero profughi.
All’inizio del 1949 vennero stipulati
una serie di armistizi […] e vennero
create delle frontiere stabili. Nei confini di Israele era compreso circa il 75
per cento della Palestina […].
L’opinione pubblica dei paesi arabi fu
molto scossa da questi avvenimenti.
Essi vennero considerati una sconfitta
per i governi arabi. […] Nei paesi arabi
l’opinione prevalente fu quella che la
politica britannica aveva di fatto favorito i Sionisti.
A. Hourani, Storia dei popoli arabi, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1992
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Interpretazioni
Interpretazioni
La nascita d’Israele: il punto di vista ebraico (capitolo 12)
Che uomini erano i terroristi? (capitolo 14)
Paul Johnson, storico inglese vicino alle posizioni ebraiche, ci parla del clima d’assedio in cui Ben Gurion e gli ebrei vissero i fatti del
1948- 1949. Essi si ritenevano accerchiati dai popoli arabi e dunque mai al sicuro da un’aggressione che avrebbe messo in pericolo
l’esistenza stessa delle comunità ebraiche palestinesi.
Tra anni Sessanta e Ottanta, la società e la politica italiane dovettero fronteggiare la minaccia del terrorismo. Il terrorismo italiano
fu terrorismo nero e rosso, ma si inserì in realtà in un fenomeno che riguardò diversi paesi d’Europa e anche altri continenti: basti
pensare al terrorismo palestinese antiebraico o a quello sudamericano. Walter Laqueur offre l’identikit del terrorista contemporaneo,
evidenziando la sua diversità dal terrorista anarchico ottocentesco e mettendone in rilievo la ferocia: lo scopo doveva essere raggiunto a qualsiasi costo.
Una volta votata alle Nazioni Unite la spartizione, gli arabi decisero
di distruggere tutti gli insediamenti
ebraici e incominciarono immediatamente ad attaccarli. […]
Il mandato britannico sarebbe finito solo il 15 maggio, ma ai primi di
aprile Ben Gurion […] ordinò all’Haganah [la forza paramilitare ebraica] di collegare fra loro i vari gruppi
ebraici unificando per quanto possibile il territorio assegnato a Israele
dalle Nazioni Unite. La mossa […]
riuscì quasi completamente: gli ebrei
[… costituirono] così il nucleo dello
Stato di Israele: in pratica vinsero la
guerra prima che incominciasse.
Ben Gurion proclamò l’indipendenza il venerdì 14 maggio nel museo di
Tel Aviv […]. Fu formato immediatamente un governo provvisorio, ma
quella notte stessa incominciarono
le incursioni aeree egiziane. Il giorno seguente, mentre gli ultimi inglesi
partivano, l’esercito arabo iniziava
l’invasione, che non ebbe molto effetto, salvo per l’occupazione della
Città Vecchia di Gerusalemme […].
Gli israeliani però conquistarono altri territori.
L’11 giugno fu conclusa una tregua di
un mese. Gli Stati arabi ne approfittarono per rinforzare i loro eserciti,
mentre gli israeliani si assicuravano
grandi quantità di armamenti pesanti […]. Quando i combattimenti
ripresero, il 9 di luglio, fu ben presto
evidente che gli israeliani avrebbero avuto la meglio: […] occuparono
ampie zone di territorio al di là delle
frontiere della spartizione. Gli arabi
concordarono una seconda tregua
[…] ma le violenze continuarono e
intorno alla metà di ottobre gli israeliani lanciarono un’offensiva […] che
si concluse con la presa di Beersheba.
Alla fine dell’anno l’esercito israeliano era forte di centomila uomini e
adeguatamente equipaggiato e aveva
stabilito nella zona una preponderanza che non ha mai più perduto.
P. Johnson, Storia degli ebrei, Milano, Longanesi, 1991
I terroristi, si dice, sono degli idealisti; sono più umani e più intelligenti
dei criminali comuni. Simili giudizi,
veri o no che siano, danno uno scarso contributo alla comprensione
del terrorismo contemporaneo. La
grande umanità dei vecchi terroristi
russi è fuori discussione; ma ciò non
si può dire della maggior parte dei
movimenti terroristici che hanno
fatto la loro apparizione negli ultimi decenni. In ogni caso, alcuni dei
peggiori orrori nella storia dell’umanità sono stati perpetrati proprio da
coloro il cui idealismo era indubitabile. […]
Molti terroristi latino-americani ed
tura del terrorismo oggi è mutata e
i comportamenti umanitari non costituiscono più la norma. Il terrorista
dell’ultima generazione può predicare la fratellanza umana e talvolta anche metterla in pratica; ma, il più delle volte, si è liberato da ogni scrupolo
morale e si è convinto che tutti sono
colpevoli. Egli può volgersi contro i
suoi stessi compatrioti e uccidere i
suoi compagni come nemici, perché
la vita umana non è più il suo valore supremo. I terroristi non mirano
soltanto a uccidere, ma a diffondere
confusione e paura. Essi credono che
il loro grande fine giustifichi tutti i
mezzi, per quanto atroci.
W. Laqueur, L’età del terrorismo, Milano, Rizzoli, 1987
Il fallimento delle grandi utopie (capitolo 13)
Lo storico tedesco Joachim Fest spiega perché chi tenta di tradurre un’ideologia in un sistema politico e sociale concreto arriva inevitabilmente all’instaurazione di un regime totalitario. Fascismo, nazismo e comunismo fallirono non perché l’utopia da cui partirono
venne applicata malamente, ma perché la realtà è complessa e tale complessità non può essere annullata, pena l’annullamento della
volontà degli uomini e quindi lo schiacciamento della vita sociale.
Con il socialismo è fallito, dopo il nazionalsocialismo, l’altro grande tentativo utopico del secolo. Ciò che si
conclude con questo evento è la convinzione, durata più di duecento anni,
che il mondo potesse essere totalmente cambiato in base a un’idea. Sono
andati in frantumi tutti quegli ingegnosi sogni per un futuro dell’umanità che hanno fatto del mondo un
colossale mattatoio. La rivolta [dei
paesi dell’Est], al di là dei motivi più
evidenti, è stata soprattutto una rivolta contro il terrore delle idee […]. Di
tutti gli sforzi utopistici non è rimasta
in effetti che un’immensa scia di or-
europei hanno un’istruzione di livello universitario; sanno scrivere bene
e parlare bene. Ma ciò non significa
che siano più maturi, che abbiano
maggiore buon senso e maggiore
umanità di chi non ha avuto la fortuna di frequentare l’università. Con
alcune notevoli eccezioni, questi terroristi hanno mostrato di possedere
molta ingenuità politica. I grandi
problemi e le prospettive del futuro
sono per loro di scarsa importanza;
spesso sono stati manipolati, consapevolmente o inconsapevolmente,
da forze estranee.
I vecchi terroristi si astenevano da
atti di deliberata crudeltà. Ma la na-
rore che si è impressa nella coscienza
come un’esperienza traumatica. […]
Si può dire ancora una volta che l’utopia hitleriana è fallita per la follia insita
in essa, per l’ossessione con cui intendeva far regredire uno stato industriale
a un popolo semiarcaico di contadini
e guerrieri, per le idee fisse delle lotte
razziali e dei misteri del sangue con
cui sfidò la coscienza civilizzata del
mondo intero. Per quanto riguarda il
socialismo le cose stanno diversamente. I richiami a un retaggio umanitario universale gli hanno procurato
per lungo tempo non solo l’energia
derivante dalla fede e la disponibilità
al sacrificio di milioni di seguaci, ma
anche, e ben al di là dell’estensione
effettiva del suo potere, comprensione e simpatie sia tacite che organizzate. Nondimeno, dopo settant’anni,
l’esperimento è rovinato su se stesso:
[…] per il suo sistema di menzogne,
per le innumerevoli contraddizioni tra apparenza e sostanza e, si può
anche dire, per l’insolubile contrasto
tra utopia e realtà. […] Ciò che manca
agli ordinamenti fondati sull’utopia è
anche la sola cosa che costituisce le
società moderne: l’apertura alle questioni complesse e alle sfide, e quindi
la capacità di riformarsi.
J. Fest, Il sogno distrutto. La fine dell’età delle utopie, Milano, Garzanti, 1992
Schiacciare la protesta di Tien-An-Men nel nome del partito e del regime (capitolo 15)
La Cina è oggi per peso politico ed economico uno dei maggiori attori della scena internazionale. Il grande paese asiatico si è costruito questa posizione nella seconda metà del Novecento, attraverso un percorso affatto lineare e spesso, anzi, segnato da enormi
tragedie. Una di queste fu la rivolta studentesca di Piazza Tien-An-Men, che venne repressa nel sangue: Francesco Sisci racconta
come in quel giugno 1989 la Cina sembrò ritornare improvvisamente al passato.
Alla fine di quella giornata terribile
nessuno forse si aspettava sul serio
tanta resistenza e che corresse tanto sangue. La croce rossa cinese il 4
giugno sostiene che sono morte 2600
persone, alti comandi militari invece
il giorno dopo mi dicono che ne sono
morte 7000. […]
L’impressione è che l’intervento
violento sia stato deciso di comune
accordo, ma che non tutti volessero correre il rischio di un massacro.
La reazione della popolazione ha di
nuovo spaccato l’esercito. [… Sembra che si sia creata] una frattura tra
le due anime dei militari: quella che
pensa a servire il popolo e quella per
cui il popolo è solo il partito. […]
Quando, il 9, Deng Xiao-ping riappare alla televisione, sembra arrivata la
fine. Il vecchio leader non è morto,
e intorno a lui si stringono tutti gli
anziani del partito, compatti a benedire il massacro. Il potere dà di
nuovo l’immagine di unità e moderazione. Si andrà avanti con le riforme, ma con grande rigore politico,
questa la formula di Deng. […] Con
il ritorno di Deng, ricomincia a funzionare anche la polizia. Nei giorni
successivi decine di migliaia di persone, forse oltre centomila, vengono arrestate. La tv prima le mostra
in catene, emaciate, poi, dopo le
sanzioni economiche dell’estero, le
nasconde. E nasconde anche le con-
danne a morte. Ufficialmente sono
una decina in tutto il paese, ma forse solo a Pechino, nei primi giorni
dopo Tien-An-Men, sono un centinaio. Ogni dato d’ora in poi diventa
incerto, non ci sono più riscontri
ufficiali o ufficiosi. La Cina richiude
il suo manto e, come se nulla fosse
successo in questi cinquanta giorni e in questi dieci anni, riprende a
usare il vecchio armamentario comunista: la propaganda martellante
nelle scuole, a cominciare da asili
ed elementari. Più tardi rimanda gli
studenti in campagna a «imparare
dai contadini e dall’esercito», proprio come vent’anni prima durante
la rivoluzione culturale.
F. Sisci, La differenza tra la Cina e il mondo, Milano, Feltrinelli, 1994
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© Loescher Editore – Torino
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Unità 3 • Il mondo diviso dalla Guerra fredda
Verso la Prima prova: tema di argomento storico
Verso il Colloquio orale: preparazione dell’argomento a scelta
1 Scegli una delle seguenti tracce predisposte dal Ministero per gli esami di Stato del 2004, del 2005 e del 2007 (puoi
3 Riscrivi la seguente bibliografia relativa agli anni della Guerra fredda scegliendo un criterio uniforme per tutti i testi
trovare altre tracce nell’Appendice della tua Guida all’Esame di Stato ) e scrivi un tema di argomento storico che non
superi le quattro pagine del foglio protocollo.
I due volti del Novecento. Da un lato esso è secolo di grandi conquiste civili, economiche, sociali, scientifiche, tecniche; dall’altro
è secolo di grandi tragedie storiche. Rifletti su tale ambivalenza del ventesimo secolo, illustrandone i fatti più significativi.
Europa e Stati Uniti d’America: due componenti fondamentali della civiltà occidentale. Illustra gli elementi comuni e gli elementi
di diversità fra le due realtà geopolitiche, ricercandone le ragioni nei rispettivi percorsi storici.
La fine del colonialismo moderno e l’avvento del neocolonialismo tra le cause del fenomeno dell’immigrazione nei paesi europei.
Illustra le conseguenze della colonizzazione nel cosiddetto Terzo Mondo, soffermandoti sulle ragioni degli imponenti flussi di
immigrati nell’odierna Europa e sui nuovi scenari che si aprono nei rapporti tra i popoli.
citati, poi cerca su Internet dei siti autorevoli che trattano lo stesso argomento e scrivi anche la sitografia.
• A. Fontaine / Milano / 1968 / Mondadori / Storia della Guerra fredda
• Roma / 1972 / J. B. Duroselle / Storia diplomatica dal 1919 al 1970 / Ed. dell’Ateneo
• Feltrinelli / D. F. Fleming / 1964 / Milano / Storia della Guerra fredda / 1917-1960
• 1966 / Torino / Un asso nella manica. La diplomazia americana: Potsdam e Hiroshima / G. Alperovitz / Einaudi
• Einaudi / 1975 / G. e J. Kolko / Einaudi / I limiti della potenza americana. Gli Stati Uniti nel mondo dal 1945 al 1954 / Torino
• G. Calchi Novati / 1963 / Neutralismo e Guerra fredda / Ed. di Comunità / Milano
• R. Aron / Milano / Pace e guerra tra le nazioni / 1970 / Ed. di Comunità
• Bologna / E. Aga Rossi / Gli Stati Uniti e le origini della Guerra fredda / 1984 / Il Mulino
• Da Yalta alla perestrojka / Laterza / G. Mammarella / Roma-Bari / 1990
• Da Roosevelt a Gorbacev / C. Pinzani / Firenze / Ponte alle Grazie / 1991
Verso la Terza prova: quesiti a risposta multipla
• Bologna / G. Mammarella / Europa e Stati Uniti dopo la Guerra fredda / 2011 / Il Mulino
2 Segna con una crocetta la risposta corretta.
• C. Pinzani / Feltrinelli / Il bambino e l’acqua sporca / 2010 / Milano
1 Nel corso del processo di Norimberga vennero condannati:
a gli ebrei.
bi capi nazisti.
c i soldati tedeschi.
dgli oppositori di Hitler.
2Quale di queste potenze non faceva parte del Patto
Atlantico?
a Stati Uniti.
bRegno Unito.
c Italia.
dSpagna.
3 L’ONU nacque nel:
a 1944.
b1945.
c 1947.
d1949.
4I piani economici quinquennali in Unione Sovietica davano
la priorità a:
a l’agricoltura.
bla produzione di beni di consumo.
c l’industria pesante.
dl’industria leggera.
5Quale dei seguenti Stati non fu una «democrazia
popolare»?
a La Repubblica Democratica Tedesca.
bLa Iugoslavia.
c La Polonia.
dLa Romania.
• Milano / P. Deery, M. Del Pero / Spiare e tradire / Feltrinelli / 2011
Verso il Colloquio orale: guida all’esposizione orale
4 Facendo riferimento alla traccia fornita qui di seguito, prepara una breve esposizione sul secondo dopoguerra italiano
(capitolo 11), che potrai poi esporre oralmente.
6 Nel 1962 si verificò:
a la costruzione del Muro di Berlino.
bl’assassinio di Kennedy.
c lo sbarco sulla Luna.
dla crisi dei missili di Cuba.
Fine della Seconda guerra mondiale à Comitato di liberazione
nazionale à Governo unitario à Partito comunista italiano,
Partito socialista italiano, Democrazia cristiana e partiti minori
à Ricostruzione materiale e morale dell’Italia à Referendum
popolare
Monarchia à Repubblica
7 Il Civil Rights Act fu fatto approvare da:
a John Fitzgerald Kennedy.
bMartin Luther King.
c Lyndon Johnson.
dNessuno dei precedenti.
Incontro delle tre grandi tradizioni presenti in Assemblea
à Liberale, cattolica e socialista à Principi fondamentali, diritti
e doveri dei cittadini, ordinamento della Repubblica à Valori
della libertà e della democrazia à Pieno sviluppo dell’individuo
Assemblea Costituente à Costituzione
Piano Marshall à Sostegno a governi moderati
à Governo De Gasperi (democristiani e parlamentari di centro)
à Rottura dell’unità dei partiti e dell’unità sindacale
à Contrasti politici
Elezioni del 1948 (libere) à Tensioni derivanti
dalla Guerra fredda à Vittoria della Democrazia
cristiana e sconfitta del Fronte popolare
à Centrismo
Ricostruzione dell’economia italiana à Crescita dell’industria
à Aumento dei salari à Consumismo
à Trasformazioni sociali à Necessità di una coalizione più
ampia à Ingresso nel governo del Partito socialista italiano
(Nenni) à Centrosinistra à Riforme deboli
Boom economico à Benessere e contraddizioni
8 Quale paese si ribellò a Mosca nel 1956?
a L’Ungheria.
bLa Polonia.
c La Cecoslovacchia.
dLa Romania.
Emigrazione meridionale à Sradicamento sociale e scempio
edilizio
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