Capitolo 4°
IL LAVORO NERO SECONDO GLI ISPETTORI:
EVOLUZIONE DEL FENOMENO
ED IMPATTO DELL’ATTIVITÀ ISPETTIVA
4.1
Introduzione
Nel raccogliere elementi utili per cercare di tratteggiare un quadro1 dei caratteri salienti e qualificanti del fenomeno del lavoro sommerso2 è sembrato non potesse mancare il contributo degli addetti all’attività ispettiva dei vari Enti interessati, di coloro
cioè che per professione sono impegnati a contrastarlo direttamente sul territorio.
Nel nostro Paese, in effetti, i soggetti istituzionali che a vario titolo sono impegnati nel
perseguire le violazioni alle norme che regolano le prestazioni lavorative e gli obblighi
contributivi e fiscali ad esse collegati sono una pluralità3: da parte nostra si è deciso di
coinvolgere nell’indagine gli appartenenti all’Inps, all’Inail, agli Ispettorati del lavoro e
all’Agenzia delle entrate con un criterio basato principalmente sulla considerazione del
ruolo storicamente svolto, di quello attualmente rivestito, nonché sul numero di persone assegnate all’attività di contrasto.
È stata un’indagine tipicamente esplorativa, che ha inteso sfruttare al massimo la
condizione di “attori partecipanti” che compete ai soggetti coinvolti, “drenando” da loro
la maggior quantità di informazioni possibili. Non avendo finalità di proiezione quantitativa non ci si è posti problemi di rappresentatività degli intervistati, se non quella
territoriale.
1.
Per sua natura questa è una realtà che difficilmente si può riuscire a “fotografare”: bisogna accontentarsi di un minor livello di precisione, cercando egualmente di raggiungere un elevato effetto di verosimiglianza.
2.
Si tralascia qui qualsiasi impegno di definizione puntuale del termine (questioni affrontate in altra
parte del Rapporto) attribuendogli semplicemente un significato residuale: tutto quello che non è regolare.
3.
A vario titolo investiti del ruolo (e con poteri differenti) sono, oltre i già citati Inps, Inail, Ispettorato
del lavoro, Agenzia delle entrate, anche l’Enpals, l’Enasarco, le Asl, la Guardia di Finanza, la Task
Force del Ministero del Lavoro.
143
Sono state effettuate ventuno interviste semi-strutturate nell’arco di sei settimane, con
una selezione degli ispettori non casuale, che tenesse conto dell’esperienza maturata,
della conoscenza del territorio e delle problematiche socio-economiche che lo interessano.4 I colloqui,5 pur essendosi svolti in forma molto libera, hanno ruotato attorno ad
una serie di temi precedentemente individuati, riconducibili essenzialmente a:
ƒ
una biografia professionale individuale per ricostruire sinteticamente il percorso
formativo e la storia lavorativa, le ragioni e le motivazioni delle scelte fatte, il grado
di soddisfazione attuale rispetto alle condizioni di lavoro, gli eventuali problemi e
difficoltà incontrate;
ƒ
una relazione particolareggiata sulla percezione del lavoro nero, sulle ragioni della
sua esistenza, sull’evoluzione nel tempo, sul grado di diffusione, sulle caratterizzazioni settoriali ed aziendali, sulle tipologie dei lavoratori coinvolti, sulle norme più
frequentemente violate;
ƒ
una ricostruzione dell’azione di contrasto, del suo mutare nel tempo, delle funzioni
e dell’efficacia della repressione, dei mutamenti normativi avvenuti e della loro coerenza con le esigenze presenti;
ƒ
una descrizione delle modalità di lavoro, dell’organizzazione, della programmazione, delle determinanti nell’azione, dell’articolazione della funzione ispettiva, del
coordinamento interistituzionale, del supporto sociale all’attività di contrasto;
ƒ
una valutazione delle politiche per l’emersione e dei mezzi a disposizione per intervenire efficacemente;
ƒ
una richiesta di esplicitare in maniera propositiva quali interventi siano necessari
al sistema per ridurre l’irregolarità.
L’impressione che si è tratta dal complesso delle interviste è stata quella di trovarsi di
fronte ad un insieme di operatori sicuramente molto competente e, nella grande maggioranza dei casi, anche molto motivato: rispetto alla vulgata comune, questi dipendenti pubblici appaiono sorprendentemente pieni di passione nei riguardi del proprio
lavoro, al quale attribuiscono un elevato significato sociale.
Non era qui previsto di quantificare l’attività svolta né da ciascun soggetto né dalle rispettive strutture di appartenenza,6 ma bensì di disvelare e socializzare pratiche, mec-
4.
La selezione è stata effettuata dai dirigenti delle rispettive strutture di appartenenza.
5.
Le conversazioni (condotte per la quasi totalità con la presenza contemporanea di due intervistatori),
per scelta ponderata, non sono mai state registrate su supporto magnetico. La formalizzazione degli
appunti raccolti è stata fatta subito dopo la conclusione dell’intervista stessa. Le affermazioni attribuite agli ispettori, e graficamente differenziate, non possono essere a rigore definite “testuali”.
6.
L’attività ispettiva è in altra parte del Rapporto monitorata.
144
canismi, ricorrenze che caratterizzano, secondo l’esperienza di ciascuno degli intervistati, la realtà del lavoro nero. Sicuramente gli addetti all’attività ispettiva sono tra
coloro che più sanno di questo universo produttivo parallelo, che quotidianamente frequentano, e possono aiutare ad evitare di leggerlo attraverso banali stereotipi spesso
fuorvianti per un’analisi corretta che voglia portare a intervenire adeguatamente sulle
situazioni ai margini o al di fuori dalla legalità.
Gli elementi emersi dall’indagine appaiono non privi di originalità e di sicura utilità sia
per un inquadramento metodologico della tematica sia per l’individuazione delle criticità.
4.2
Gli ispettori
Sono stati intervistati tre ispettori del lavoro dipendenti dalle Direzioni provinciali del
lavoro, dodici ispettori dell’Inps più un dirigente ispettivo provinciale ed uno regionale
del medesimo istituto, tre ispettori dell’Inail, un dirigente regionale del settore accertamento dell’Agenzia delle entrate: gli effettivamente operativi “sul campo” sono quindi
risultati diciotto.
Tutte le province sono risultate rappresentate, con una massima copertura per Vicenza (5) ed una minima per Belluno (1); nel complesso le donne sono sei, presenti per
tutti gli organismi, eccezion fatta per l’Agenzia delle entrate.
Anche in funzione delle caratteristiche inizialmente richieste, gli ispettori risultano
avere un’anzianità di servizio piuttosto elevata (oltre quindici anni di media, con un
solo soggetto con meno di 10 anni di servizio in qualità di ispettore). Nella maggioranza dei casi l’attività ispettiva è stata preceduta da una più o meno lunga permanenza in altra posizione lavorativa all’interno dei rispettivi enti. Il cambiamento poi è
avvenuto tramite percorsi diversi, in funzione dell’anzianità e della provenienza: per
alcuni si è trattato di un’indicazione da parte di un dirigente, per altri di una richiesta
di partecipazione ad una selezione interna, per altri ancora di un’assegnazione avvenuta a seguito dell’assorbimento di un altro Ente presso il quale svolgevano funzione
analoga. Solo per alcuni giovanissimi (un caso tra gli intervistati) il reclutamento avviene in base ad un concorso pubblico ad hoc, per partecipare al quale è ora previsto il
possesso della laurea (un tempo bastava il diploma).
“Un tempo gli ispettori erano scelti dal direttore, oggi ci sono i test e ci si muove su
richiesta individuale”(Int. 3).
145
“La selezione per essere avviati al ruolo avveniva principalmente per indicazione
del dirigente che cercava soprattutto una persona equilibrata ed affidabile. Veniva
data molta importanza alla preparazione giuridica, cosa che oggi non viene più
fatta, con perdita di competenza”(Int. 10).
La funzione di ispettore è stata cercata, o è stata ben accetta quando proposta, sulla
base di motivazioni abbastanza diffuse che in qualche modo servono anche a descrivere le caratteristiche salienti del ruolo, così come percepito da chi lo riveste:
“Aspiravo alla discreta autonomia che garantisce questo lavoro. Io poi ho un forte
interesse per il lavoro d’indagine, sono un po’ come un detective che conduce inchieste” (Int. 1).
“Poi ho fatto domanda per partecipare al concorso perché ero stufo del lavoro
d’ufficio e della mancanza di rapporto con altri colleghi e con la gente” (Int. 4).
“La scelta di questa attività per quanto mi riguarda è stata motivata da un bisogno di varietà e di autonomia” (Int. 5).
“Ho cercato questo lavoro perché volevo qualche cosa di più e di diverso:
responsabilità, autonomia, interessi. Ho trovato quello che cercavo, anche se il lavoro si è dimostrato essere del tutto diverso da quello che immaginavo dovesse
essere. C’è molta meno avventura e più necessità di meticolosità, di duro lavoro,
di pazienza, di saper, anche qui, affrontare la routine” (Int. 6).
“Il lavoro di ispettore mi piace, l’ho scelto perché dà una certa visibilità, sia dentro
che fuori dall’Ente. È un posto di responsabilità ed autonomia, che magari manca
di incentivazione economica, ma che viene scelto quando interessa a livello individuale” (Int. 7).
“Si fa questo lavoro solo quando ci sono le motivazioni adeguate per farlo con interesse. Del resto quando si esce si espone la propria faccia, non è come in ufficio”
(Int. 11).
“Per il resto l’agire dell’ispettore si basa su una motivazione propria, per il senso
di utilità nei confronti della collettività, dei lavoratori: non agisce certo la motivazione economica” (Int. 16).
Autonomia, responsabilità, visibilità (“Cosa vi hanno detto di noi, qui all’Istituto? Che
siamo le prime-donne? Lo sappiamo che dicono così”(Int. 5), bisogno di un lavoro che
proietti al di fuori delle mura dell’ufficio. Certo non ci sono solo aspetti positivi, il lavoro d’indagine non è solo azione, ma anche meticoloso studio delle carte, ricerca negli
146
archivi informatici, analisi delle normative. Ma se la motivazione che spinge è sufficientemente forte anche gli aspetti meno entusiasmanti si possono accettare.
In tutti i casi per l’accesso alla professione sono previsti percorsi formativi, di lunghezza molto variabile a seconda dell’Ente e dell’epoca, che recentemente si stanno accorciando in tutte le realtà, quasi che la necessità di avere a disposizione personale
immediatamente operativo abbia la prevalenza su quella di una preventiva qualificazione. Se ne lamentano gli ispettori intervistati (che, per età, hanno partecipato a
quelli lunghi, di durata attorno agli otto-nove mesi, di cui ricordano l’utilità e la validità intrinseca) che oggi in non pochi casi sono tra i “docenti” che formano le nuove
leve e che vedono un forte limite nella brevità dei tempi concessi (attorno ai tre mesi),
nel mentre per operare con efficacia oggi servirebbero più competenze di un tempo.
Ma ispettori, a loro giudizio unanime, si diventa per gradi, con il lavoro sul campo, imparando da coloro che hanno più esperienza e che ti affiancano nei primi periodi di
attività. È un lavoro che richiede anche una certa predisposizione, delle qualità di carattere particolari perché oggettivamente non facile, a partire dal tipo di rapporto che
si viene ad instaurare con “l’utenza” che spesso non è particolarmente ben disposta
verso chi ha pur sempre una funzione di controllo e, se del caso, di repressione.
“Manca oggi un percorso di formazione che prepari all’attività vera e propria, anche se poi, al momento dell’inserimento, si è affiancati ad un collega esperto che ti
consente di imparare”(Int. 1).
“La formazione, per quanto accurata, non è certo sufficiente a fare un buon ispettore: è un primo passo, un modo per fornire strumenti utili ad orientare i successivi momenti di apprendimento. Il lavoro sul campo è la vera palestra” (Int. 3).
“Dopo un buon corso di circa 9 mesi sono diventato ispettore. Il percorso di formazione però è una cosa che continua nel tempo” (Int. 4).
“Ho fatto un corso di circa 8 mesi che mi è parso, anche alla luce del poi, molto
buono: adesso i corsi sono più brevi” (Int. 6).
“La gente normale non è abituata a mentire, se sai parlare con loro, sai distinguere il momento di rabbia dal vero intento di offendere…se sei una persona paziente e sai come prendere le cose, vieni a capo di tutto. Bisogna anche capire lo
stato d’animo di chi ti sta davanti, come lui ti può vedere”(Int. 7).
147
“Si viene a contatto con realtà non sempre facili, spesso molto prossime alla delinquenza vera e propria. Bisogna saper valutare come comportarsi. Ed è una cosa
che si può anche imparare, se si ha un buon maestro”(Int. 9).
L’attività esterna è svolta all’Inps sempre in coppia, mentre nelle altre strutture gli organici non riescono a garantire costantemente questa modalità operativa che pure è
molto apprezzata dagli operatori sia per la migliore efficacia d’azione negli “accessi”,7
sia per il reciproco sostegno che gli ispettori vicendevolmente si possono scambiare,
sia perché rende più difficile la messa in atto di pratiche volte ad esercitare pressioni
indebite da parte degli “ispezionati”. Frequentemente gli ispettori si vedono costretti ad
operare chiedendo il sostegno delle forze dell’ordine perché i loro poteri,8 limitati per
legge, impediscono l’attuazione di un’efficace strategia di contrasto. Recentemente è
invalsa anche la modalità d’azione “dell’ispezione congiunta”, effettuata cioè contemporaneamente da appartenenti ad Istituti diversi, che ha permesso, al di là delle pratiche di coordinamento, di conoscere, valutare ed apprezzare anche il modo di operare
degli “altri” addetti all’attività ispettiva.
L’obiettivo principale dell’Inps è il controllo dell’unità locale per valutare la regolarità
dei pagamenti dei contributi e la verifica della correttezza della posizione contributiva
in merito alla situazione del carico contributivo e della sua corrispondenza con
l’effettiva posizione lavorativa; l’Inail è interessato alle condizioni lavorative dei singoli
addetti valutando la loro posizione assicurativa in funzione del rischio cui sono realmente esposti. Gli ispettori di questi due istituti non svolgono funzioni di polizia giudiziaria, ma solo di polizia amministrativa. L’Ispettorato del lavoro rileva tutti i tipi di irregolarità, sia delle attività completamente sommerse che le irregolarità parziali (casi
in cui alcuni tipi di contratti nascondono rapporti lavorativi di altra natura al fine di
risparmiare sui contributi e sulle imposte) ed i suoi ispettori hanno poteri di polizia
giudiziaria e possono operare con i militi in servizio presso il Comando Carabinieri
dell’Ispettorato del Lavoro. L’Agenzia per le entrate si occupa dell’evasione fiscale e può
avvalersi dell’opera della Guardia di Finanza.
È evidente che questa pluralità di attori, la cui attività si dispiega in spazi contigui ma
non perfettamente sovrapponibili, per massimizzare l’efficacia degli interventi ha una
7.
È il termine con il quale si definisce un’ispezione in un luogo di lavoro, per effettuare la quale è appunto garantito il potere di accesso “ai locali delle aziende, agli stabilimenti, ai laboratori, ai cantieri
e a qualsiasi altro luogo di lavoro come negozi, esercizi pubblici, studi professionali ed ai locali nei
quali viene svolta un’attività lavorativa assoggettabile alle norme di legge sull’assicurazione obbligatoria” (art. 3, comma 1 lett. a, l. 638/1983).
8.
“Gli ispettori non sono poliziotti. Né lo vogliono diventare” (Int. 13).
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sicura necessità di reciproca conoscenza e confronto, cosa che sta cominciando ad avvenire e che trova il consenso degli intervistati. Sul tema dei poteri conferiti non si è
colto nessun atteggiamento tendente ad esplicitare la necessità di un loro rafforzamento, con una responsabile valutazione degli oneri e responsabilità che ogni allargamento in questo campo comporterebbe. Sostanzialmente “il gioco delle parti” è accettato così com’è attualmente configurato. Piuttosto su altri versanti si dispiega la richiesta di cambiamento.
“Pur riconoscendo il miglioramento della dotazione tecnologica in uso, devo dire
che i mezzi messi a disposizione dovrebbero essere ulteriormente potenziati” (Int. 1).
“Oggi quello che serve è un analista, che sappia correlare le informazioni, gestendo le banche dati e che poi sappia fare comunicazione. Comunicare con
l’utenza è importantissimo, come muoversi con dati certi alle spalle. La vigilanza
all’esterno dovrebbe rappresentare non più del 10% del lavoro e dovrebbe essere
fatta a colpo sicuro”(Int. 13).
“Le differenze di trattamento tra persone che fanno la stessa cosa sono molto rilevanti (lo sappiamo e poi li vediamo quando facciamo insieme le congiunte) e non è
solo questione di trattamento economico ma anche di dotazione strumentale, della
disponibilità di mezzi e informazioni” (Int. 16).
“Così come siamo organizzati contrattualmente conviene fare ispezioni all’esterno
piuttosto che lavorare in ufficio facendo ricerche e confrontando dati. Il lavoro di
indagine a tavolino è penalizzante sul piano economico, frutta di più fare un’ispezione a vuoto. Bisogna cambiare se si vuole essere efficaci” (Int. 18).
Va anche detto che gli operatori, indipendentemente da dove lavorano, riconoscono le
differenze esistenti nella dotazione di supporto fornita all’attività ispettiva e comunemente giudicano l’Inps come l’istituto che più ha fatto su questo versante. Ma nonostante questo:
“Del resto sulla nostra preparazione non si discute, siamo noi che facciamo i consulenti ai consulenti del lavoro, ai sindacalisti. E poi la tradizione degli ispettori è
grandissima. Nessuno di noi cambierebbe per passare all’Inps, anche se lì sono
trattati meglio e hanno più mezzi, perché la tradizione è diversa, diverso lo spirito
che ci muove. Il nostro interesse è la sicurezza complessiva dei lavoratori, non
solo il versante economico della faccenda” (Int. 16).
C’è comunque uno spirito di appartenenza forte, un’identificazione col proprio istituto
di appartenenza, che magari in certi casi potrà anche essere patrigno, ma che ha con-
149
corso significativamente nella costruzione dell’identità professionale, inoculando alcune specificità.
Nella grande generalità gli ispettori hanno lavorato con grande continuità nella stessa
sede operativa, maturando una conoscenza profonda del territorio. Non pochi però degli intervistati appartenenti all’Inps sono stati coinvolti in esperienze temporanee di lavoro al sud, su progetti di intervento mirato (ad esempio quello sull’ indennità di maternità.9 In questi casi l’Istituto mobilita al Nord un certo numero di ispettori per delle
campagne di repressione di comportamenti fraudolenti attuati su vasta scala in alcune
regioni del meridione d’Italia. Sono state esperienze interessanti che hanno giovato agli
ispettori, facendo loro conoscere delle realtà lavorative ben diversamente connotate.
“Anch’io ho fatto esperienze a Catania e Taranto, delle quali ricordo soprattutto il
clima sociale diverso. Un mondo fatto di persone generalmente ingenue, molto
meno smaliziate di quelle che si incontrano qui. Ho fatto esperienza dell’indennità
di maternità, che le donne percepivano come cosa dovuta e non come una frode.
Non cercavano neppure di nascondere la loro estraneità al mondo agricolo oppure
mentivano davvero ingenuamente. Se avessi domandato loro se usavano la scala
per raccogliere le patate mi avrebbero risposto di sì” (Int. 5).
“Ho fatto una breve esperienza di lavoro a Caltanisetta: è impossibile fare
l’ispettore in quel clima sociale. Capisco i colleghi che lì ci abitano” (Int. 1).
“Ho sempre lavorato qui, pur con 3 esperienze di tre mesi ciascuna al sud: Taranto, Brindisi, Ragusa. Tutte molto belle e formative, bella gente”(Int. 4).
Sono persone generalmente contente del lavoro che fanno; conoscono non solo a livello
specialistico la realtà che trattano e possiedono una visione d’insieme che conferisce
loro una giusta dose di distacco tale da poter capire anche le ragioni degli altri, compresi quelli che poi alla fine perseguono.
“Sono soddisfatta del lavoro che faccio, non ho particolari problemi con i colleghi,
forse qualcuno in più con la famiglia per i sacrifici di tempo che sono costretta a
fare e che poi ricadono su di essa” (Int. 11) .
9.
Era essenzialmente una frode ai danni dell’Inps perpetrata facendo risultare come addette all’agricoltura delle donne (quando incinte) che quell’attività non avevano mai praticato, con il fine di poter far
fruire loro l’indennità di maternità. La pratica era talmente diffusa che la percezione sociale era
quella che il “premio” fosse dovuto per il semplice fatto di attendere/avere un figlio.
150
Quelli intervistati hanno dimostrato una conoscenza del mondo del lavoro e delle questioni connesse molto approfondita, che li immunizza da una visione manichea dei
problemi.
“Servirebbe un’anagrafe delle sanzioni amministrative: buoni con la prima infrazione e poi intransigenti facendo cumulare anche il pregresso”(Int. 13).
“Le cose non sono mai tutte bianche o tutte nere. Non sempre c’è la volontà di frodare. In tanti casi le persone sono messe nelle condizioni di non poter fare diversamente. Bisogna capirle, far vedere loro che esistono delle strade diverse, dar
loro una possibilità”(Int. 14).
4.3
La struttura organizzativo/operativa locale
Gli stili di lavoro sono molto diversificati non solo in funzione dell’Istituto di appartenenza, ma anche tra sedi territoriali. Così accanto a chi si muove quasi esclusivamente a seguito di denuncia, c’è chi opera prevalentemente seguendo i piani e le strategie decisi a livello centrale e chi prevalentemente a livello periferico; ci sono poi coloro che strutturano dei piani settoriali redatti localmente e c’è chi opera a “vista”10
occasionalmente e chi più sistematicamente. Altrettanta diversità esiste sul versante
dell’indagine preparatoria che precede l’uscita: può essere molto lunga ed articolata,
con un esame meticoloso di documenti e dati statistici, come pure essenziale e poco
probante. Quasi sempre le due pratiche sono legate alle contingenze, non assurgono a
metodo (né in un caso né nell’altro), ma sono effetto della necessità.
“L’attività si muove molto sulle denunce che giungono dall’esterno e grazie anche
alla buona collaborazione con gli altri Enti, in particolare con la Finanza, in funzione dei rapporti instaurati dal nostro coordinatore, che ci consentono di effettuare delle buone uscite”(Int. 4).
“L’attività gira attorno alle denunce, che nel 90% sono anonime, ma circostanziate
e hanno consentito buoni riscontri. Le fanno per i motivi più vari: concorrenza sleale, invidia”(Int. 5).
10. Si intende con questa espressione una modalità di ispezione particolarmente adatta per i cantieri
edili (ma non sono esclusi i capannoni industriali) che muove dal presupposto che l’obiettivo sia inizialmente sconosciuto e che venga individuato perché “visto”: ad esempio girando in auto si nota una
gru e quindi si ispeziona il connesso cantiere.
151
“Il lavoro di indagine è fondamentale per poi fare ispezioni con risultato: così si
sono trovati 150 laboratori di cinesi senza fare troppi buchi”(Int. 11).
“Lavoriamo molto su segnalazione dell’Area Premi del nostro Istituto, ma anche su
progetti di iniziativa nei quali si individuano aree di intervento (ad esempio le imprese mai visitate). Oppure si opera a vista selezionando un territorio. Nel fare la
selezione si guarda a diversi fattori: quelli conosciuti come focolai di evasione (edilizia, pubblici esercizi), i comparti che stanno conoscendo un trend economico positivo e che sono quindi in forte espansione di manodopera. L’attività è molto spesso
d’indagine: si controllano le bolle, le fatture, si diventa poliziotti che in base ad indizi ricostruiscono le vicende” (Int. 12).
“Non c’è una strumentazione che consenta la socializzazione delle conoscenze:
certi fenomeni andrebbero previsti. Quando la manodopera specializzata di Gela è
stata messa in cassa integrazione proprio in un momento in cui le stesse professionalità erano richieste come il pane in carestia in questa zona, era da prevedersi
che si sarebbe installato un circolo peccaminoso. Come poi è accaduto. Bisogna
perciò arrivare ad invertire l’ordine dei comportamenti: prima indagare e poi
uscire. L’uscita dovrebbe essere quasi certa, oggi non è così” (Int. 13).
“L’attività dell’Ispettorato è mossa in gran parte da denuncia: singoli lavoratori,
sindacati, altri privati”(Int. 14).
“Molte sono le denunce che ci pervengono, ma ci si muove anche su iniziativa: a
monte c’è la tradizione d’azione in funzione della sicurezza complessiva del
lavoratore”(Int. 16).
La rete di rapporti (sia sul piano istituzionale che no) è comunque fondamentale per
riuscire ad operare con efficacia. Quasi tutti preferirebbero che esistesse un certo livello di strutturazione delle relazioni tra organi ispettivi, ma si accontentano quando
almeno sul piano personale i rapporti esistenti consentono di operare con maggiori
possibilità di successo.
Un vero coordinamento operativo, al di là di quello formalmente già esistente e posto
in capo all’Ispettorato del lavoro, ancora non c’è. Qualche passo in avanti si è fatto anche recentemente con la nuova campagna contro il sommerso (molto orientata ad
un’azione di induzione all’emersione più che alla repressione, un’opera da “promoter”
come è stato riferito), che ha consentito almeno di capire come operano “gli altri” e
quali sono le loro necessità per adempiere ai propri compiti.
“Io vedo come una primaria necessità operativa un forte collegamento con tutti coloro che operano nello stesso campo: per massimizzare i risultati e non disperdere
le energie. Ma il clima di collaborazione non sempre è buono. Neppure fra tutti gli
152
attori istituzionali: spesso noi socializziamo i nostri rapporti di ispezione, ma non
ne riceviamo quasi mai. Per il resto fondamentali sono i rapporti con la Guardia di
finanza che ha una conoscenza del territorio, una possibilità d’azione e un possesso d’informazioni veramente importante; con i Comuni, che attraversi i vigili
sanno tutto; con i consulenti del lavoro con i quali è giocoforza confrontarsi continuamente. Ma con tutti questi i rapporti sono essenzialmente di tipo personale”
(Int. 1).
“Vedo come auspicabile una certa unificazione degli organi ispettivi, o almeno un
loro coordinamento reale, pur conservando ciascuno le proprie specificità” (Int. 2).
“Diverso è il discorso su come bisogna operare sul campo per fare risultati. Sul territorio vigili e carabinieri sono quelli meglio informati (soprattutto gli ultimi), nei piccoli centri sanno veramente tutto di tutti. La collaborazione con gli altri enti è
buona anche se si scontra con i limiti giuridici (le diverse competenze assegnate, i
diversi poteri) e con i difetti, chiamiamoli di comunicazione” (Int. 7).
“Qui non ci sono molte segnalazioni dall’esterno, quelle che vengono fatte sono
sempre evase. I rapporti con gli altri enti di vigilanza sono sempre di tipo personale. Anche con la Finanza, dipende da chi si trova. Nell’organizzazione del lavoro
servirebbe che le attività straordinarie almeno andassero di pari passo con quelle
ordinarie, non che soffocassero queste ultime” (Int. 9).
Un passaggio a parte merita l’evidenziazione dei rapporti con il sindacato, molto diversamente percepiti dai vari interlocutori (in positivo come in negativo).
“Il sindacato localmente non è molto collaborativo: segnala solo dove gli conviene”
(Int. 3).
“Nel territorio non si può dire che gli ispettori siano ben visti (si preferisce la visita
di qualcun altro al posto nostro), ma la collaborazione è buona, anche con il sindacato, come con i consulenti del lavoro” (Int. 4).
“Nelle realtà industriali c’è ancora un sindacato che fa il suo mestiere, c’è una cultura che tollera meno le irregolarità” (Int. 10).
“Forse unici nel nostro genere riceviamo anche i verbali di conciliazione fatti dal
sindacato davanti all’Ispettorato” (Int. 17).
“Il sindacato in certi settori ha proprio mollato, lascia che facciano quello che vogliono, ha rinunciato al proprio mestiere di tutela del lavoro” (Int. 8).
153
Si è molto attenti nell’azione a differenziare tra le violazioni di forma e quelle di sostanza. Se si bada molto al numero di accessi complessivamente fatti per forza di cose
allora si sarà meno accurati nell’ispezione, se si accentra l’interesse sul lavoro nero si
sarà maggiormente pronti a sorvolare su altre violazioni. Comunque l’attività di vigilanza si gioca anche molto sulla visibilità nel territorio: percepire come reale il rischio
di incappare in un controllo spinge sicuramente ad adottare comportamenti virtuosi.
Gli ispettori sembrano convinti di questo ed ispirano spesso a questa filosofia anche la
loro strategia d’azione.
La preoccupazione sembra essere essenzialmente quella di riuscire a stabilire un rapporto di fiducia con le aziende e ciò non può essere ottenuto prescindendo da una coerenza di fondo nelle azioni intraprese. Ciò che è accaduto con il sommerso del resto
sembra ora ripetersi con la sequela dei condoni anche nei confronti della totalità dei
cittadini. La certezza dell’applicazione della norma come pure della sanzione ad essa
collegata sono alla base di un corretto rapporto tra Stato e cittadino e chi è chiamato
ad esporre la propria faccia per conto dello Stato vorrebbe potersi presentare senza
esibire comportamenti schizofrenici.
“Si sta bene attenti a distinguere le piccolezze, i piccoli errori formali, si bada alla
sostanza delle cose” (Int. 6).
“Rispetto ad un tempo il fuoco dell’azione mira soprattutto a renderci visibili sul
territorio, compiendo un’azione di induzione alla regolarizzazione. Le nostre ispezioni sono molto più veloci, non sono complete, mirano ad accertare solo poche
cose: si vuol far vedere che ci siamo e si è costretti a trascurare molto” (Int. 9).
“La presenza sul territorio, la visibilità, funge essa stessa da deterrente” (Int. 16).
“Una cosa importante nell’azione di contrasto al lavoro nero è rappresentata
spesso solo dalla presenza sul territorio, dalla visibilità presso i soggetti: in questo
modo si innescano catene di comportamenti virtuosi” (Int. 21).
Un problema molto sentito nell’articolare l’azione è quello della mentalità diffusa, di
come ci si sente percepiti dall’ambiente sociale in cui si opera, di come viene vissuta
l’illegalità, o ancora di cosa venga avvertito come illegale. Diverse sono le strategie che
bisogna adottare se ci si muove in un ambiente omertoso piuttosto che collaborativo,
diverso è se un comportamento è vissuto come sanzionabile o invece giustificabile11.
11. L’esempio dell’indennità di maternità sopra menzionata è chiarificatore.
154
“La cultura locale è ancora sana, viola per necessità! Anche se le cose cambiano.
Una volta era più facile il tentativo di corruzione, oggi no, oggi c’è la minaccia”(Int. 3).
“La gente normale non è abituata a mentire, se sai parlare con loro ti rivelano le
cose per quello che sono: il miglior informatore è l’imprenditore stesso. Non sempre
il lavoro è semplice, la Finanza è agevolata perché ha più poteri. Non sempre ci si
comporta come tra guardie e ladri leali, come in quell’impresa dove sopra un armadio c’era un faldone con l’indicazione ‘ore in nero operai’, io lo chiesi
all’impiegata e lei gentilmente me lo fornì” (Int. 6).
“La mentalità che si sta diffondendo è quella che dice: chissà se andrò mai in
pensione, quindi mi conviene prendere il più possibile oggi e non preoccuparmi
della sicurezza di domani. Così si giustifica la forte propensione allo straordinario
fuori busta, ecc.” (Int. 7).
“Ma è la cultura della legalità nel suo complesso che accusa delle falle”(Int. 10).
“Nei pubblici esercizi è una caccia inutile: scoperti i lavoratori in nero li regolarizzano e poi li tornano a licenziare. Molte delle commesse dei negozi e boutiques
chic del centro di Padova sono sicuramente in nero, sembra quasi che debbano essere loro a pagare per la fortuna che hanno di lavorare in un posto così” (Int. 18).
“In alcuni casi ci si sente in difficoltà a dover operare sul versante repressivo dato
che evidenti sono le strettoie nelle quali molti operatori sono costretti” (Int. 21).
Cosa si potrebbe fare, senza cambiare norme, agendo solo localmente, per migliorare
la situazione operativa ed organizzativa (oltre alle cose che già sono emerse e che sono
state sottolineate)?
Gli ispettori si richiamano essenzialmente a due ordini di interventi: da un lato una richiesta di specializzazione (diversamente formulata), dall’altra la possibilità di strutturare momenti di riflessione collettiva, di socializzazione delle esperienze e conoscenze.
“Trovo che sarebbe auspicabile una maggiore specializzazione territoriale degli
operatori, tale da garantire una più capillare conoscenza del territorio, come succede del resto per la Guardia di Finanza” (Int. 1).
“Vedrei come una necessità una certa specializzazione degli ispettori in funzione
dei settori produttivi, per favorire una conoscenza contrattuale più precisa” (Int. 2).
155
“Non esistono momenti di riflessione, di sistematizzazione dell’azione e delle conoscenze al nostro interno: se ne sente la mancanza, ma non c’è il tempo, schiacciati
dalla necessità di raggiungere i risultati operativi predeterminati” (Int. 4).
“Nell’organizzazione del lavoro manca un momento di riflessione che serva anche
per programmare l’attività con maggiore puntualità, facendo anche tesoro delle
esperienze condotte. Anche un’organizzazione con specializzazione territoriale più
ristretta agevolerebbe le operazioni e la capacità di indagine” (Int. 7).
“Nel lavoro complessivo sento molto la necessità di momenti comuni di riflessione e
di approfondimento, anche per la banale interpretazione della normativa” (Int. 11).
Come già sottolineato non emerge un’evidenziazione di limiti operativi particolarmente
legati ai poteri di intervento posseduti, quanto piuttosto la percezione della centralità
del coordinamento come momento che consente un reale passo in avanti nel miglioramento dell’azione, coordinamento che non deve per forza coincidere con la creazione
di un unico corpo ispettivo, ma che almeno deve garantire scambio e conoscenza reciproca. Forte è anche il bisogno di spazi di riflessione e di condivisione, per poter far
crescere la propria professionalità, per sentirsi confortati nelle proprie decisioni, per
poter agire a seguito di una strategia pianificata.
4.4
L’azione di contrasto
L’azione sul campo degli addetti all’attività ispettiva si richiama sicuramente ad una
molteplicità di funzioni, dipendenti in parte dalle specificità imputabili ai compiti propri degli Istituti di appartenenza, in parte dalle priorità definite a livello governativo.
Così accanto alla verifica delle condizioni che garantiscono la sicurezza sul lavoro, di
quelle volte ad assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori e di quelle volte al recupero di gettito sul versante contributivo-finanziario, si affiancano quelle di promozione
delle nuove normative volte a facilitare l’emersione delle attività sommerse.
Se l’attività ispettiva indirizzata ad assicurare l’osservanza delle disposizioni in materia
di lavoro e di previdenza sociale viene espletata in Italia da lungo tempo, è novità degli
ultimi anni l’ attenzione posta ad una funzione di prevenzione e controllo nella diffusione di forme irregolari di lavoro e, più in generale, alle forme dell’economia sommersa. L’attività ispettiva va configurandosi sempre più, e non senza contraddizioni,
156
con caratteri di prevenzione piuttosto che sanzionatori, con un’evoluzione quasi consulenziale del ruolo degli ispettori.
“A seguito della legge sull’emersione stiamo operando come dei promoter che
vanno nelle aziende non per reprimere, ma per ventilare la possibilità di sanare la
condizione irregolare. Certo è una cosa un po’ strana, poi una volta che li hai individuati non è che hanno tante possibilità di sottrarsi. È un ravvedimento che avviene quando ormai sono sotto scacco” (Int. 6).
“Non ha senso operare in questo modo, la legge c’è, chi vuole emergere lo faccia. Se
dopo l’attività di accertamento ti scopro allora ti sanziono. Punto e basta” (Int. 7).
“È chiaro che l’Istituto ha interesse ad avere come interlocutrice un’azienda viva
piuttosto che una morta (che non è più in grado di pagare niente) e che quindi
l’azione sanzionatoria deve tener conto delle condizioni oggettive, però quello che
ci viene chiesto adesso, facendo i promoter della legge sull’emersione, è tutta
un’altra cosa”(Int. 16).
Ma contrastare le pratiche irregolari, oltre a produrre un beneficio economico per la
collettività, assume anche un significato più generale, di validità per il mercato.
“L’azione di controllo svolge la fondamentale funzione di mantenere in equilibrio il
mercato che altrimenti risulterebbe drogato dai comportamenti scorretti. Ma è una
percezione che pochi hanno, anche se si sta diffondendo, a seguito ad esempio
dell’invasione dei Cinesi che provocano danni incalcolabili ai concorrenti. Il territorio è la chiave di volta, Comuni e Province, che hanno le conoscenze per individuare i fenomeni (e che sono inoltre penalizzati dai mancati gettiti), non hanno ancora
compreso che dovrebbero fornirci il massimo dell’appoggio, proprio per il benessere dei loro territori e dei loro cittadini, con un ritorno anche per loro. Potrebbero far
pagare meno tasse, aver più introiti. Sono bloccati (oltre che dall’insipienza) dal
non saper gestire i rapporti a livello locale”(Int. 13).
Ma l’attività di contrasto, che essa venga svolta con intento repressivo o piuttosto di
moral suasion, riesce ad incidere sul fenomeno del nero totale oppure no?
“Noi, con il nostro lavoro, in realtà riusciamo a prendere solo i più ingenui, gli altri
resistono e ci fregano. Forse siamo anche noi deboli numericamente e professionalmente”(Int. 18).
“Si fa nero perché è la condizione di sopravvivenza sul mercato o perché si è delinquenti. In tutti e due i casi è difficile cambiare la situazione”(Int. 9).
“Le condizioni sono molto diverse da luogo a luogo. Qui da noi il nero completo è
poco, si può anche pensare di colpirlo efficacemente. Ma quando sono stato in Me157
ridione mi son fatto l’idea che le cose vanno diversamente, che la posta in gioco è
diversa. Per la vastità del problema e per il clima sociale”(Int. 4).
“In molti casi il trovare irregolarità per l’Inps si traduce in un costo, non in un vantaggio (ad esempio documentare i versamenti spettanti a lavoratori di imprese
sparite costringe poi a completare le posizioni contributive dei lavoratori medesimi
aventi diritto con i soldi del Fondo)” (Int. 1).
“La catena di società legate da emissioni di fatture false rende molto dubbia la
possibilità per l’Istituto di rivalersi, perciò trovare non sempre si trasforma in un
guadagno. Il lavoro di ispezione è sempre più difficile, richiede sempre maggiore
preparazione: in provincia di Treviso ci sono forse i migliori consulenti del lavoro e
i migliori commercialisti, forse ci sono anche i migliori ispettori. È li gioco delle parti
che genera una crescita comune” (Int. 3).
“Qui ci si muove in un’ottica che porta a formalizzare solo azioni che hanno possibilità di successo (che sono cioè degnamente supportate da prove). In questo bisogna tener conto anche degli orientamenti della magistratura che ad esempio rispetto ai nuovi contratti tende comunque a salvaguardare la volontà espressa
dalle parti: non bisogna lottare contro i mulini a vento” (Int. 4).
“È il clima generale che è cambiato: chi oggi viene beccato tende a resistere in giudizio, non accetta di venire scoperto e di dover pagare. C’è una maggiore conoscenza delle regole e un minor rispetto per l’autorità. Il risultato è una minore efficacia dell’azione. Certo, sta anche a noi migliorare”(Int. 5).
“Manca la possibilità di correlare l’eccessiva produzione e l’approvvigionamento di
materie prime con il numero di dipendenti: il giudice non si accontenta di una dimostrazione di questo genere. Vuole i nomi dei dipendenti12. Non vale la presunzione come per la Finanza” (Int. 12).
Nel tempo pure il modo di operare è cambiato, perché nuovi sono gli strumenti a disposizione e perché diverse sono le forme organizzative adottate dagli Istituti. Come in
altra parte già è stato accennato, non per tutti la dotazione strumentale è identica, la
“valigetta informatica” assegnata agli Ispettori dell’Inps non è ad esempio patrimonio
anche degli operatori dell’Ispettorato del Lavoro. Ma ovviamente non si può restringere
la questione solo a questo, c’è proprio un discorso che riguarda le priorità ed il modo
12. Il riferimento è ad una sentenza della Cassazione che giudicherebbe non esigibili i contributi relativi
a prestazioni da parte di lavoratori non identificati. Sul tema le interpretazioni non sono certo univoche. A tale proposito si veda anche la rivista dell’Associazione degli ispettori L’Ispettore e la Società,
anno 21°, n. 1, Gennaio-Febbraio 2002.
158
con il quale si lavora, anche sfruttando le nuove tecnologie. Poi, anche su questi versanti le idee non sono concordi.
“Oggi c’è ad esempio una maggiore concentrazione dell’azione di repressione del
nero totale rispetto ad altri tipi di evasione contributiva parziale, e questo cambia
anche il modo di lavorare. Trovare attività completamente sommerse non consente
grandi giochi sulle banche dati” (Int. 1).
“Il lavoro è cambiato nel tempo in maniera molto intensa: il salto è avvenuto con
l’informatizzazione ed è stato un salto nel peggio. Perché? Perché il modo di lavorare è cambiato, togliendo ruolo all’individuo che un tempo era molto più
responsabilizzato: ogni impiegato della sezione ditte seguiva un certo numero di
imprese, verificava i loro comportamenti di mese in mese, l’arretrato contributivo
non veniva mai lasciato accumulare senza una spiegazione. Con i computer il lavoro si articola attorno alla fase di imputazione e nessuno verifica più la congruenza delle informazioni digitate. Ad esempio questa campagna sull’emersione,
condotta in modo inadeguato partendo da informazioni inattendibili, è il segno
dell’errore”(Int. 10).
“Con tutto quello che possono pensare magari i colleghi anziani, il lavoro sulle
banche dati è destinato a rafforzare la nostra attività. Ci possiamo muovere con
maggiore certezza, impostando le azioni con maggiore precisione. È ovvio che non
si può pensare che tutto venga fuori dai computer”(Int. 11).
“Dovremo cambiare il modo di lavorare, uscire praticamente a colpo sicuro, documentati e quasi certi del successo. Bisognerà lavorare ancora molto, ma la strada
è questa. Oggi per me su questo tema il miglior interlocutore è Lucio Stanca, il
Ministro dell’innovazione: a lui dovrebbe essere chiesto di mettere in rete le risorse
conoscitive esistenti per poi far fruttare le indagini” (Int. 13).
“Si lavora come si può, certo è che bisogna essere più preparati visto che ci si confronta con persone più preparate. Bisogna aver più strumenti perché anche chi
froda usa più strumenti” (Int. 15).
L’informatica sembra essere ancora oggetto di dibattito, ma l’atteggiamento di fondo è
equilibrato: non attese messianiche né demonizzazione preconcetta. Forse in questa
fase sembra di cogliere che la maggiore utilità dallo sfruttamento delle diverse banche
dati sia attesa sul versante del contrasto “individuale”, cioè per la focalizzazione della
condizione del singolo evasore/trasgressore più che per la possibilità di cogliere indicazioni di fondo in grado di spiegare da sole particolarità settoriali o territoriali.
Più volte è entrata nella discussione la nuova normativa sull’emersione. La strategia
italiana per la lotta all’emersione si articola attorno a due misure specificatamente de159
dicate: i contratti di riallineamento ed il cosiddetto “Programma di riemersione”.
L’obiettivo dei contratti di riallineamento è quello di favorire l’emersione delle imprese
irregolari attraverso uno scambio triangolare in cui aziende, sindacati e attori pubblici
si impegnano in un programma comune di graduale fuoriuscita dalla condizione di illegalità fiscale e giuslavoristica delle prime. Con i contratti di riallineamento si giunge
all’applicazione del Contratto collettivo nazionale di lavoro attraverso aumenti retributivi scaglionati lungo un determinato periodo di tempo. Parallelamente vengono predisposte norme legislative che garantiscono sgravi contributivi e fiscalizzazione degli
oneri sociali. I contratti di riallineamento sono nati spontaneamente come accordo privato tra le parti sociali e solo in seguito regolamentati per legge.
Il Programma di emersione è invece un provvedimento legislativo rivolto direttamente
all’imprenditore ed al lavoratore (l. 383/2001). Esso rappresenta una sorta di ravvedimento, supportato da facilitazioni fiscali e contributive sia per gli imprenditori che
per i lavoratori, che porta alla sistemazione di una serie di pendenze. Spetta alle
aziende emergere, tramite un’apposita dichiarazione, mentre i lavoratori possono aderire solo quando lo ha fatto l’azienda.
Per supportare l’attuazione della legge è stato predisposto un piano straordinario di
accertamento che ha coinvolto anche gli ispettori da noi intervistati. Nel periodo di
svolgimento delle interviste era operativo anche il provvedimento di regolarizzazione
degli stranieri, lavoratori dipendenti, colf e badanti, che è sicuramente da ascriversi
alle politiche di emersione del lavoro nero, vincolato com’era all’esistenza di un rapporto di lavoro e alla volontà del datore di lavoro.
“L’emersione non sarà una gran cosa. Forse avrà successo più la regolarizzazione e solo per quanto riguarda le badanti” (Int. 4).
“Le regolarizzazioni avranno successo con le badanti; l’emersione è troppo costosa, anche se il nero è oggi molto rischioso con le multe che possono essere applicate” (Int. 5).
“Rispetto alla legge sento di poter essere molto critico: mal fatta tecnicamente,
piena di contraddizioni, con una scansione temporale inadeguata. La possibilità
del riscatto volontario da parte del lavoratore solo in continuità di prestazione
viola l’inalienabilità del diritto. Secondo me non produrrà molto in termini di risultato. La domanda da farsi è: perché emergere? Il nero totale esiste perché altrimenti ci si troverebbe nella condizione di andare fuori mercato. Il grigio trova la
convenienza da entrambe le parti e quindi continuerà. La sanatoria attuale non
darà grossi risultati, neanche per le colf, data l’esosità. Meglio forse con le badanti” (Int. 6).
160
“La legislazione sull’emersione è molto carente, presenta profili di incostituzionalità, non porterà a grandi risultati. Meglio quella per gli extracomunitari” (Int. 7) .
“Anche questa azione sull’emersione non produrrà nulla, il costo è troppo elevato:
se ci fosse una riduzione delle sanzioni forse molti al posto di resistere concilierebbero, ma certe spese sono sufficienti ad uccidere un’azienda (piccola e in condizioni di stentata sopravvivenza). Anche le regolarizzazioni degli extracomunitari rischiano di andare male: è il tempo indeterminato che fa paura, la gente non sa
che per il lavoro domestico si può licenziare quando si vuole” (Int. 9).
“Quella sull’emersione è una legge di difficile applicabilità, quella sulla
regolarizzazione è positiva, più immediata, più facile” (Int. 11).
“La legge sull’emersione è complicata e pericolosa nei suoi incerti contenuti, sarà
difficile che trovi un rilevante consenso. Sarebbe stato preferibile un meccanismo
del tipo da oggi in poi, come quello adottato nella regolarizzazione degli stranieri,
non lasciare un’incertezza sul passato che non consente una pre-valutazione dei
costi. L’esperienza della legge sull’emersione ha fatto però costituire un vero coordinamento tra i 5 soggetti preposti che in qualche modo ha funzionato: ha dato
modo ai diversi operatori di conoscere il lavoro degli altri, di socializzare il proprio
modo di lavorare” (Int. 21).
Sono giudizi articolati, abbastanza uniformemente orientati, anche abbastanza severi
in alcuni casi, ma non preconcetti e a riprova di ciò basta osservare come mutino tra
legge e legge. I riscontri empirici sembrano comunque dar loro ragione, sia su un versante che sull’altro.
4.5
La percezione del fenomeno “sommerso” da parte degli ispettori
Il quadro che scaturisce dalle descrizioni degli ispettori è assai variegato, puntuale
nell’individuazione delle fattispecie e delle caratteristiche di fondo del fenomeno, molto
più articolato, spesso discrepante nelle valutazioni quantitative.
Come descrivono la realtà del lavoro nero? Intanto rilevano che c’è, anche se in minor
misura rispetto ad un’area diffusissima di grigio.
Il relativamente poco sommerso totale:
ƒ
è soprattutto in edilizia, in agricoltura, nei pubblici esercizi e nel contoterzismo del
manifatturiero;
161
ƒ
nelle realtà industriali riguarda quasi esclusivamente le piccole e piccolissime imprese (spesso usate in outsourcing dalle grandi);
ƒ
è un modo di lavorare che coinvolge, in questa fase, in larga misura i cittadini
extracomunitari ed è strettamente collegato alla loro presenza più o meno regolare
sul nostro territorio13;
ƒ
vede giocare un ruolo assai diversificato dalle cooperative (tali solo nella forma,
perché in realtà vere aziende con un padrone ben individuabile): da forme spurie
di caporalato ad anelli essenziali di catene di sub-appalto, da funzioni conclamate
di agenzie interinali (non autorizzate) a fornitrici di manodopera da impiegare a
costo ridotto all’interno di altre imprese14;
ƒ
come fenomeni emergenti, e in certo senso del tutto particolari, si segnalano le
attività gestite dai Cinesi e la nuova articolazione che sta assumendo l’irregolarità
nel settore dei trasporti;
ƒ
il sommerso è responsabile di una non trascurabile mobilità sud-nord (anche qui
collegata al discorso degli appalti e alle “catene” attivate dagli stessi).
Il “grigio” (in un’accezione assai larga) è soprattutto frutto di:
ƒ
un uso improprio delle nuove e diffusissime forme contrattuali (co.co.co., associazioni in partecipazione);
ƒ
fittizie costituzioni in azienda da parte di individui che di altro non dispongono se
non delle proprie braccia (nessun bene strumentale);
ƒ
lavori svolti da pensionati, studenti, doppiolavoristi al di fuori di ogni regola;
ƒ
straordinari che non rientrano in nessuna contabilità.
Vediamo ora di analizzare un po’ più in dettaglio.
Era ovvio che chiedere agli ispettori un dimensionamento della realtà del lavoro nero (è
tanto, è poco, rispetto al passato sta crescendo o diminuendo) avrebbe prodotto una
serie di valutazioni molto soggettive, che poco sarebbero servite ai fini di una qualsiasi
misurazione, ma che in qualche modo ci avrebbero aiutato a capire l’atmosfera entro la
quale ciascuno di loro si sente chiamato ad operare. E i risultati sono stati in linea con
le aspettative, mostrando quanto la realtà che ci circonda sia effettivamente una co-
13. Vedi in proposito, sempre in questo Rapporto, i risultati dell’indagine condotta proprio su questo
tema.
14. Su questo tema interessante è la lettura di: Ministero del lavoro e delle Politiche Sociali Comando
Carabinieri Ispettorato del Lavoro, Rilevazione attività ispettiva. Anno 2002. Reperibile all’indirizzo
internet: http://www.minwelfare.it/News/Rapporto+Carabinieri+03.htm
162
struzione sociale e che la percezione che di rimando abbiamo di essa sia condizionata
da ciò che noi siamo: cultura, esperienza, convinzioni, conoscenze e quanto altro.
Giudizi molto diversi vengono espressi da soggetti che operano nelle stesse aree territoriali, magari da tempi diversi o con specializzazioni differenti.
“C’è sicuramente una presenza diffusa di lavoro nero, sia integrale che parziale,
accresciutasi nel corso degli anni e accentuatasi dal ’98 ad oggi, a causa
dell’intensificarsi del fenomeno migratorio e del ridotto controllo/potere sindacale
in azienda” (Int. 2).
“Nel corso degli anni il lavoro nero è aumentato ed è cambiato: un tempo erano i
nostri lavoratori che si muovevano nell’irregolare, magari per pochi mesi, all’inizio
dei contratti, nelle more di un’autorizzazione per Cfl, oggi sono soprattutto stranieri e giovani pensionati. Vi sono vere organizzazioni che lo gestiscono, non è più
solo l’agire di un singolo datore di lavoro o di un lavoratore”(Int. 3).
“In provincia il nero totale è poca cosa, anche tra gli extracomunitari. Molto invece
il grigio. Il nero soprattutto in edilizia, nei trasporti (aziende con sede all’estero),
nei pubblici esercizi. Molto lavoro grigio: sicuramente straordinario, co.co.co. che
mascherano il lavoro subordinato vero e proprio. Anche gli stranieri sono in regola
nelle grandi imprese, non sempre nelle piccole”(Int. 4).
“Dove il nero c’è, è generato dalla spinta della concorrenza, dal vortice degli appalti che riduce i margini di guadagno fino a poco più della sopravvivenza. In provincia i lavoratori in nero non sono tanti, molti pensionati. In agricoltura si cerca di
barare magari sul numero di giornate, in edilizia sull’orario o sulla cassa integrazione (oggi, tra l’altro, controlliamo anche le condizioni del tempo denunciate facendo uso dei servizi meteorologici. Così vediamo se nel dato posto, a quella data
ora, veramente pioveva)” (Int. 5).
“Il nero è in aumento, almeno come sensazione, per una serie di fattori particolari:
l’immigrazione, la mentalità, la minore presenza sul territorio del sindacato che rinuncia, in alcuni settori difficili come l’agricoltura, a far valere i diritti dei lavoratori” (Int. 6).
“In provincia il nero è presente nelle piccole imprese, altrimenti è una questione di
prestazioni spot, tipo lavoro domenicale o di tipo stagionale. Nelle grandi imprese
non facciamo quasi più ispezioni, dato che in quelle degli anni precedenti non si
trovavano più situazioni irregolari”(Int. 7).
“Il problema nel territorio è il reperimento della manodopera. Per il turismo, ad
esempio, neanche gli studenti sono più disponibili con la classica flessibilità di un
tempo, così nasce la necessità del ricorso agli extracomunitari ed in molti casi al
163
nero completo, quando i documenti non ci sono. Altrimenti, per stare sul mercato,
si regolarizza solo una parte del salario, quella dovuta contrattualmente, mentre
tutti sanno che i salari sono di ben altra entità. Ma il nero assoluto si fa solo
quando costretti, anche perché non conviene sotto nessun punto di vista. Per il grigio invece è una questione di mercato, la richiesta parte dai lavoratori, è la carenza di manodopera a dettare le regole: o mi dai gli straordinari in nero o non
vengo. In alcuni settori del manifatturiero sono i grandi fornitori a dettare le regole
e a impiccare i contoterzisti, generando dei mercati drogati: si scrive in busta paga
di più di quello che realmente si dà. È una situazione contraddittoria che esiste
solo perché i mercati del lavoro sono molto segmentati” (Int. 8).
“Il fenomeno per me è in crescita: nel ’90 si faceva fatica a trovare qualche lavoratore in nero, oggi sono moltissimi. E poi aumentano le violazioni parziali: il 70-80%
degli straordinari è in nero”(Int. 12).
“La presenza di contratti atipici ha permesso l’emersione (magari parziale) di figure un tempo relegate al nero completo, con un miglioramento in effetti, e contemporaneamente ha rappresentato anche un arretramento per certe altre posizioni lavorative, le cui garanzie si sono affievolite” (Int. 14).
“Fino a 10 o 15 anni fa c’erano lavoratori in nero anche tra i locali, oggi sono solo
gli extracomunitari quando sono clandestini. Magari ci sono più contratti strani e
periodi di prova molto allungati”(Int. 16).
Sulla diffusione settoriale l’accordo è invece molto più elevato, anche se con ovvie caratterizzazioni locali.
“I settori più esposti sono quelli dell’edilizia, del manifatturiero, degli esercizi pubblici, del contoterzismo in generale. Emergente è il terziario in funzione soprattutto
delle forme contrattuali adottate per ridurre gli oneri contributivi” (Int. 1).
“La provincia si trova in una condizione di pieno impiego e di ulteriore espansione
della produzione, con un disperato bisogno di manodopera (manovalanza e specializzati): questo genera situazioni che indubbiamente spingono all’irregolarità,
soprattutto rispetto ai lavoratori extracomunitari. Saldatori, carpentieri, lavoratori
in genere dell’edilizia sono di difficile reperimento: qui compaiono stranieri e meridionali. In entrambi i casi vi è propensione al nero, i primi perché privi del permesso di soggiorno, i secondi per la convenienza di poter guadagnare di più in
meno tempo, sommando magari anche i vantaggi dei sussidi percepiti. Questi tipi
di lavoratori sono spesso inquadrati da gruppi organizzati che li gestiscono (caporalato, spesso intrallazzato con la malavita), con grande frequenza in edilizia,
dove diventa la norma il subappalto e la falsa fatturazione, ma anche
nell’industria all’interno della quale la manodopera specializzata viene gestita (in
nero) come se fosse interinale. In alcuni casi l’utilizzatore finale può addirittura
164
essere in buona fede, può esibire una documentazione, falsa, che lo ha convinto
della regolarità della propria posizione”(Int. 3).
“Il nero è soprattutto in edilizia, nei trasporti (aziende con sede all’estero), nei pubblici esercizi. Dagli orafi non so, non si entra: hanno doppi cancelli, qualche collega è rimasto tra i due per un sacco di tempo”(Int. 4).
“I settori più a rischio sono quelli dell’edilizia e del trasporto, con le ditte con sede
all’estero”(Int. 5).
“Settori importanti sono il marmo, l’edilizia, l’agricoltura: tutte attività dove i nostri
lavoratori non vogliono più andare, per la rischiosità, per la fatica, ecc., così diventano zone d’impiego di extracomunitari e quindi (seppur non necessariamente) di
lavoro nero” (Int. 7).
“Non poco nero si ritrova nei servizi, nei ristoranti, negli alberghi, con non pochi rischi per la salute dei consumatori. Dopo quello che ho visto io non mangio quasi
mai in ristorante. Del resto poi le Asl non effettuano più controlli relativamente ai
libretti sanitari. Eppure quello sarebbe uno strumento efficace di intervento perché
prevede la chiusura del locale, quindi con un rischio elevato di mancato guadagno
per chi gestisce”(Int. 11).
Sull’evidenziazione di queste nuove forme di aggiramento della normativa attraverso
un uso improprio delle forme contrattuali del para-subordinato o dell’associazione in
partecipazione, già molte affermazioni sono state riportate, comprese alcune che evidenziano come tramite esse una certa parte di nero è forse pure emersa. Su questo
versante gli ispettori sembrano preoccupati della negazione di diritti ai lavoratori quasi
quanto del danno causato agli Istituti per la ridotta, o assente, riscossione di tributi. È
un problema di razionalizzazione e di giustizia contributiva, che dipende in maniera
quasi esclusiva dal legislatore.
“Vi è l’uso improprio delle co.co.co. che con una campagna mirata potrebbe essere
stroncato, è una questione di volontà e di insistenza. Vale la strategia che fu attuata a suo tempo con la l. 223, quando tutti coloro che vi potevano ricorrere lo fecero, cambiando denominazione e riassumendosi i loro lavoratori con tutti gli
sgravi (e con il sindacato che contrattava). Questo fu la legge in Polesine. Ma con
un’azione intensa la pratica fu stroncata ed oggi si potrebbe fare altrettanto con le
collaborazioni”(Int. 9).
“Le co.co.co. sono ormai ovunque, anche in agricoltura!”(Int. 12).
165
“Le associazioni in partecipazione si trovano anche nei servizi di ambulanza dei
privati”(Int. 18).
Il fenomeno migratorio in entrata, che ha interessato in questo ultimo decennio in
maniera intensa il Veneto, gioca un ruolo non secondario rispetto al sommerso. Lo fa
soprattutto in relazione alla congiuntura economica, ai trend demografici della regione, alla connotazione produttiva del Nord-est, ai livelli di benessere raggiunti, alla
ormai strutturale carenza di manodopera che le imprese denunciano, ai meccanismi
burocratici che regolano l’ingresso di stranieri non comunitari nel nostro Paese.
L’insieme di tutti questi fattori genera situazioni che predispongono all’irregolarità lavorativa, quasi costringono ad essa, mentre intanto altri soggetti, pronti a cogliere le
occasioni, approfittano del momento e si innestano nel gestire l’illegalità.
“Il fenomeno migratorio rappresenta un grande serbatoio di nero: per la presenza
di interessi comuni tra le parti, per una mentalità che non riconosce obblighi verso
lo Stato, per la necessità di fare soldi il più presto possibile data la brevità del progetto migratorio (in questo senso i ricongiungimenti familiari portano una maggiore
propensione all’integrazione). Vi è quindi una differenza anche in funzione della
nazionalità d’origine che genera un diverso comportamento condizionato dalla distanza del luogo d’origine, della possibilità quindi anche di farvi ritorni periodici
(basta pensare alla differenza tra uno slavo e un senegalese). L’essere disponibile
al lavoro irregolare non è una condizione legata solo all’eventuale stato di clandestinità, ma dipende anche dal progetto migratorio, dalla possibilità/volontà di
massimizzare il guadagno immediato”(Int. 1).
“Esiste sicuramente un collegamento tra l’etnia ed il settore produttivo di lavoro,
ad esempio i serbi ed i croati sono presenti nell’edilizia e nel metalmeccanico, i
senegalesi nell’industria in genere, ma mai in edilizia, i cingalesi nei lavori di servizio. C’è anche una certa diversa propensione al nero. E poi attenzione ai grandi
numeri di aziende aperte da extracomunitari: spesso sono solo o scatole vuote o
singoli individui costretti ad aprire partita Iva per poi lavorare come dipendenti”(Int. 3).
“L’atteggiamento legalitario (e la paura dei rischi da assumere violando la legge)
permea il clima sociale, che influenza anche le nuove comunità che vi si insediano: anche gli extracomunitari sono largamente regolari (eccezion fatta per le
badanti). Qui anche i cinesi quasi assenti, non hanno attecchito”(Int. 2).
“Ci sono datori di lavoro che sarebbero pronti subito a metterli in regola, ma non
possono. Hanno magari già fatto tutta la trafila per il permesso di soggiorno, ma
sono restati fuori dalla quota. Ormai si conoscono, ti chiedono cosa fare”(Int. 7).
166
“C’è chi era convinto di aver assunto un lavoratore interinale, invece erano tutte
carte false, dal permesso di soggiorno alla documentazione della società pseudointerinale”(Int. 10).
“Nell’edilizia moltissimi provengono dal sud. Vengono con i pulmini, si fermano
due settimane e poi tornano a casa per un week end lungo. Stanno in albergo,
mangiano fuori. Tutto pagato in nero, da aziende di sub appalto che non riesci
mai a chiudere in un angolo. Magari l’ultima ditta della catena non ha nessun dipendente ed è intestata ad un insegnante in pensione che non sa niente”(Int. 13).
“L’organizzazione del lavoro nero diventa sempre più articolata: grandi numeri di
aziende artigiane fittizie, create per generare fatture false o per nascondere
lavoratori individuali che altro non vendono se non la loro stessa prestazione. In
edilizia aziende meridionali che assumono lavoratori extracomunitari, giochi al ribasso sugli appalti che evidenziano il nero, corsa agli acquisti di immobili per impiegare denaro sporco”(Int. 18).
“Certo ci sono anche situazioni penose, dove si vede proprio lo sfruttamento, persone tenute sulla corda, pagate poco, senza diritti, solo perché manca un pezzo di
carta che gli consenta di dire ‘anch’io ho diritto’. Ce ne sono, ce ne sono”(Int. 12).
E poi viene sottolineata la realtà dell’immigrazione cinese, particolare in tutti i suoi
modi di organizzarsi, di ramificarsi sul territorio, di gestire le attività economiche.
“Un capitolo a parte sono i cinesi con la loro organizzazione sul territorio, con i laboratori che si spostano velocemente ed i lavoratori che vengono spostati. Lavorano nelle confezioni e nelle scarpe. Su 250 lavoratori trovati 180 erano irregolari
e gli altri con versamenti per poche ore. Per loro e per gli esercizi pubblici andrebbe bene un collegamento tra prestazione lavorativa e libretto sanitario (oggi
inesistente) che consentirebbe dei controlli incrociati”(Int. 7).
“La concorrenza dei cinesi spiazza i piccoli laboratori, precipitandoli ancora di più
verso l’illegalità”(Int. 9).
“I cinesi soprattutto, che sono veramente un mondo a parte, ma che alle spalle
hanno sempre come committenti aziende nazionali che li sfruttano e mandano
fuori mercato i concorrenti (pelletterie e confezioni)”(Int. 10).
“I cinesi sono un vero fenomeno a parte: impegnano i soldi ricavati nell’acquistare
immobili, ristoranti e bar. Circa il 60% del lavoro nel tessile in provincia di Padova
è fatto da loro, con laboratori molto mobili e manodopera altrettanto. Sono molto
ben istruiti dai consulenti del lavoro e sanno come rispondere (o non rispondere)
durante le ispezioni. Hanno una rete che interessa l’intero Triveneto, Bologna,
Prato e Milano” (Int. 11).
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“I cinesi sono un esempio, con assenza di orario, vivono e lavorano nello stesso
luogo, sfruttano i bambini, sottraggono i documenti ai lavoranti” (Int. 16).
“Invece i cinesi entrano nei settori destinati a scomparire per il troppo elevato costo del lavoro: rappresentano un’alternativa al decentramento produttivo (anche
perché utilizzano capitale fisso a basso costo e manodopera a costo praticamente
zero). Sono visti bene dagli imprenditori che sarebbero destinati a sparire e non
saprebbero a chi vendere l’attività; dai terzisti che non si vedono costretti a montare catene di lavoro all’estero; da chi vende immobili ed attività commerciali anche al doppio del loro valore (perché loro hanno necessità di impegnare i capitali
accumulati). La gente comune non li vede, non li teme, non li percepisce come impegnati in attività malavitose. Chi subisce il danno sono i concorrenti buttati fuori
dal mercato e la comunità nel suo insieme che si vede sottrarre risorse” (Int. 21).
E tra gli strumenti organizzati di gestione del nero compaiono le cooperative o, meglio,
pseudo-cooperative.
“C’è un giro di manodopera straniera enorme, gestito da una cooperativa fittizia,
il cui vero capo crediamo di avere individuato. È un pregiudicato, vive come un pascià, sembra irraggiungibile dalla legge. Ed è una truffa costruita con molti documenti falsi e con numeri di persone attorno al migliaio”(Int. 1).
“Anche il mondo della cooperazione svolge un ruolo non indifferente nel sommerso: cooperative solo formali, nella sostanza con un “padrone”; cooperative che
agiscono all’interno di aziende senza vero appalto di attività; cooperative fittizie
create per comodo e fornite di documentazione falsa. Sono spesso organizzazioni
articolate, con base magari in meridione, con giri di denaro estremamente elevati
che riescono ad agire soprattutto per la strutturale carenza di manodopera dei
nostri territori”(Int. 4).
“Le cooperative sono molto seguite dagli ispettori: partecipano al fenomeno
agendo all’interno delle aziende, dove non potrebbero”(Int. 5).
“Abbiamo documentato un enorme affare legato alle cooperative che nascevano e
morivano nel giro di niente, sempre con gli stessi intestatari. È stato difficile perché operavano in mezza Italia, rendendo difficile anche seguirle”(Int. 16).
Ma il nero non riguarda l’estero solo in funzione dei lavoratori che qui vengono a lavorare, ma anche per un diverso tipo di flussi.
“Nell'ampia fenomenologia della categoria lavoro sommerso soffermerei l'attenzione su una sua forma particolare, specifica al mercato dell'autotrasporto di
merci in conto terzi. Fenomeno a cui va posta particolare attenzione vista l'invasività nel settore, con le allarmate denunce delle categorie sociali e delle autorità di
polizia. Il meccanismo ideato prevede che l’imprenditore dell'autotrasporto cloni la
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propria impresa nei paesi dell'Est, ovvero nei Balcani, costituendo società di capitali di cui risulta intestatario. A questa società clonata è affittato il ramo di
azienda costituito dal trasporto merci dell'impresa italiana ed inoltre vengono ad
essa girati i contratti di leasing relativi ai mezzi. Il risultato è nei fatti. Su 20
aziende di autotrasporti accertate nel 2002 dall'Inps di Vicenza, le 12 di media
grandezza che possiamo considerare significative (da 15 a 100 mezzi) hanno in
forza al massimo 1 dipendente che coordina il traffico nazionale e/o internazionale, mentre la forza lavoro è costituta dagli autisti che risultano dipendenti(?)
dell'impresa estera clonata. Gli effetti di tali operazioni sono evidenti: l' impresa
clonata con i suoi autisti svolge attività di autotrasporto garantendo i contratti dell'impresa italiana senza peraltro rispettare le norme in materia di lavoro, previdenza, contratti di lavoro, circolazione stradale. Secondo le associazioni di categoria intervenute nel dibattito in corso invocando la concorrenza sleale, questo fenomeno è il frutto della multilocalizzazione a rete delle imprese del Nord Est. Infatti queste imprese clonate si localizzano nei distretti industriali esteri ove le imprese vicentine e trevigiane si sono insediate e operano da cerniera per gli approvvigionamenti di materie prime in Italia e da rifornitori del mercato europeo.
L'innesco della nostra attenzione è stato determinato da una serie di incidenti autostradali che hanno coinvolto autotreni di passaggio dopo aver caricato materie
prime a Vicenza. La Polstrada si è coordinata con l'Inps e l'Ufficio Stranieri della
Questura per controllare questi flussi di manodopera in violazione delle leggi sull'immigrazione. Vedremo come si svilupperanno le indagini” (Int. 17).
Insieme a tante considerazioni fattuali, ad esiti di interventi, a risultati di indagini, a
descrizione di fenomeni ormai più volte riscontrati, emergono anche alcune considerazioni maggiormente relative ad impressioni, o meglio, a riflessioni che seguono una
pratica giornaliera.
“Rispetto ad un tempo c’è più nero: è cresciuta l’intermediazione e ciò genera illegalità. Di fronte agli esiti di un’ispezione sono le aziende più grandi a fare la maggiore resistenza. I piccoli, invece, molto spesso fanno scelte dettate loro dai consulenti del lavoro, non sanno neppure bene cosa gli conviene, si affidano” (Int. 9).
“C’è una mentalità di diffusa illegalità, condita con la sfiducia nel sistema pensionistico: prendo oggi quello che viene e poi si vedrà” (Int. 11).
“C’è una perdita di coscienza, una mancanza di fiducia nel sistema previdenziale
che porta a comportamenti che si credevano superati da parte dei lavoratori. Il
contenzioso poi, da parte delle aziende, è aumentato moltissimo, forse dell’80%”
(Int. 14).
169
4.6
Conclusioni
Non è questo un capitolo di conclusioni nel senso comune del termine, quello cioè
dove sommariamente si tirano le fila di quello che è stato l’esito della ricerca. Questa
indagine in fondo non mirava ad arrivare a qualche risultato specifico, ma, come si diceva all’inizio, a raccogliere quanti più elementi possibili che potessero essere utili ad
inquadrare il fenomeno del sommerso nella realtà veneta, partendo dall’osservazione
di chi è istituzionalmente deputato a combatterlo.
Il capitolo conclusivo non può allora che essere quello nel quale vengono proposte le
riflessioni prospettiche degli ispettori, le mutazioni auspicate perché le cose, dal loro
punto di vista, possano migliorare; dal versante del contrasto, certamente, ma anche
da quello delle condizioni strutturali, perché il sommerso non debba verificarsi (o almeno in maniera minore).
Ovviamente una certa attenzione è da loro posta anche all’interno delle organizzazioni di
appartenenza, ai possibili mutamenti operativi che potrebbero agevolare il miglioramento.
“Vedo un’evoluzione dell’attività volta sempre più a percepire l’impresa come un
cliente, al quale si offrono servizi. Solo dopo, se del caso, viene l’azione repressiva
che, per essere efficace, dovrebbe avere maggiori strumenti di deterrenza, non
solo multe irrisorie. Importante è comunque agire prima che le situazioni di nero si
stabilizzino e perciò visitare presto le aziende nuove, i clienti, per offrire da subito
i servizi. L’Inps ha interesse che l’azienda sia viva e in buona salute per contribuire cospicuamente, non che venga stroncata dagli esiti dell’ispezione”(Int. 1).
“Il contrasto dovrebbe avvenire in forma unificata per essere più efficace e per
dare una migliore immagine di sé (non andare in 8 a fare un’ispezione, non andarci da uffici diversi a pochi giorni di distanza). Billia aveva molto puntato sulla
qualificazione del personale, sulla sua capacità di creare cultura all’esterno. Oggi
questa politica sembra un po’ tramontata”(Int. 3).
“Molto si giocherà sulla nostra preparazione, dobbiamo essere messi nelle condizioni di essere aggiornati e competenti”(Int. 9).
“Non è vero che la magistratura ha assunto diversi atteggiamenti: sono gli ispettori che devono metterla in condizione di giudicare in base alle prove raccolte.
Quando un rapporto è fatto male non si può vincere. Non è il magistrato, è
l’ispettore che non sa lavorare. Su questo versante noi dobbiamo migliorare. E poi
serve un coordinamento reale, che oggi, diciamolo, non esiste. Certo ci sono problemi di specificità, anche di gelosie. I soliti problemi legati alla vita delle organizzazioni complesse. Forse si andrà verso un’Agenzia unica dell’attività ispettiva”
(Int. 20).
170
Non è a voler sottolineare continuamente questo aspetto, ma ancora una volta non
viene fatta menzione della necessità di un aumento di poteri, piuttosto si ribadisce il
bisogno di coordinamento, questa volta disvelando anche possibili origini di resistenze
e reticenze. Sentita in egual misura è la necessità di veder crescere la propria professionalità per restare al passo con i cambiamenti che stanno avvenendo.
Anche sul versante legislativo le idee si dimostrano chiare.
“Esiste un grigio fatto da pensionati che una volta usciti dalle imprese, data la
loro specializzazione, risultano difficilmente sostituibili: l’abolizione del divieto di
cumulo agevolerebbe la regolarità dei rapporti. In sostanza, interventi miranti a ridurre il nero devono cercare di rendere possibile il regolare: chi assume deve poter
regolarizzare i lavoratori stranieri senza dover attendere anni e senza trafile burocratiche”(Int. 3).
“Una cosa che servirebbe sarebbe un testo unico sulla legislazione del lavoro, ormai assolutamente necessario”(Int. 7).
“Le nuove forme contrattuali agevolano lo scivolamento nella perdita dei diritti: costano meno anche se le attività vere e proprie non sono distinguibili dal semplice
lavoro subordinato. Tutte le commesse in associazione in partecipazione, tutte
quelle co.co.co.: basterebbe un uguale livello contributivo e sparirebbero. Si dice
che gli ammortizzatori sociali consentono sempre un uso improprio15, è vero, ma
commercianti e artigiani spremono pensioni per i loro collaboratori versando un
niente. È un sistema iniquo nel suo insieme”(Int. 10).
“È essenziale una semplificazione normativa: non si possono addebitare
all’impresa dei costi di gestione tanto elevati; se fare la busta paga di un part-time
costa di più che fare quella di un dipendente a tempo pieno (dati contabili dei consulenti del lavoro giustificati con la ragione che la complicazione normativa fa impiegare più tempo) vuol dire che non ci siamo. Servirebbe poi parificare tutti i tipi
di versamento con uguali aliquote per qualsiasi posizione e poi una seria detrazione d’imposta sul lavoro domestico”(Int. 13).
“Ad esempio i Pubblici esercizi, è un’attività ad alta imprevedibilità nell’utilizzo di
manodopera. L’assunzione di singoli lavoratori per poche ore è attività troppo
complessa e costosa. Il vaucher (paga globale) sarebbe un’ottima soluzione.
Un’aliquota unica per tutto il lavoro, autonomo e dipendente, sarebbe una
semplificazione utilissima e logica“(Int. 19).
15. Si veda in proposito, ad esempio, dal Rapporto 1999/2001 dell’Inps in Sistema Previdenza, anno
XVIII, n.204/205, pg. 92.
171
“Non serve una grande complessità: abbassare le aliquote e portare tutti i trattamenti ad un livello unico. Basterebbe questo”(Int. 20).
“Molto è dovuto ad una normativa assolutamente inadeguata (ad esempio per
quanto riguarda i flussi migratori) o ancora non molto conosciuta (sui contratti atipici, riguardo ai giornalieri). C’è poi la partita dei familiari dei lavoratori autonomi:
moltissimo nero. Anche qui ci vorrebbe un intervento legislativo ad hoc che spianasse la strada a strumenti semplici di regolarità lavorativa in queste fattispecie”
(Int. 21).
Semplificazione, equità, trasparenza: poche regole uguali per tutti, togliendo alibi all’illegalità e cercando una più ampia condivisione delle leggi fondamentali. Più di tanti
nuovi strumenti di controllo, di azioni promozionali, un’azione decisa sulle norme.
Non sembra un giudizio affrettato né un’eccessiva semplificazione, quanto piuttosto
un orientamento che mira alla radice del problema, riconoscendo anche le ragioni di
chi si pone in condizioni di oggettiva illegalità quasi costretto da fattori esterni, ma cercando anche di limitare gli spazi d’azione per coloro che volontariamente cercano in tutti
i modi di sfruttare l’intrigo della giungla normativa per sottrarsi a qualsiasi obbligo.
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Il lavoro nero secondo gli ispettori