Repubblica Italiana In nome del popolo italiano La Corte dei conti – Sezione giurisdizionale di Appello per la Regione siciliana composta dai magistrati: dott. Salvatore Cilia Presidente dott. Salvatore G.Cultrera Consigliere relatore dott. Pino Zingale Consigliere dott. Centro Licia Consigliere dott. Giuseppe Di Pietro Referendario ha pronunciato la seguente Sentenza n. 312/A/2013 nei giudizi di appello in materia di responsabilità, iscritti ai nn. 4360/Resp e 4399/Resp del registro di segreteria, promossi da Gambino Pietro, rappresentato e difeso dagli avv.ti Sergio Agrifoglio e Antonio Mimmo ed elettivamente domiciliato presso lo studio del primo in Palermo via Brunetto Latini 14, e da Giorgio Filippo rappresentato e difeso dall’avv. Massimo Giuffrida ed elettivamente domiciliato presso il suo studio in Catania via Rindone 4, per la riforma della sentenza n.2531/2012 del 13 settembre 2012 della Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana, contro 1 - Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale per la Regione siciliana; 2 - Procura generale presso questa Sezione d’Appello. Visti gli atti e i documenti di causa. 2 Uditi, nella pubblica udienza del 17 ottobre 2013, il relatore, consigliere Salvatore G.Cultrera, gli avv.ti Antonio Mimmo, Sergio Agrifoglio e Massimo Giuffrida ed il pubblico ministero nella persona del vice procuratore generale dott.ssa Maria Aronica. Fatto La vicenda di responsabilità all’odierno esame è incentrata su illecite sottrazioni di assegni e vaglia postali di pertinenza dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, avvenute nel 1992 e fino al marzo 1996, compiute dall’allora avvocato distrettuale dello Stato di Catania, avv. Pietro Gambino, e da un impiegato della stessa Avvocatura, signor Giorgio Filippo. Per tali fatti è stato instaurato procedimento penale da cui è emerso che il Giorgio Filippo, su incarico affidato dall’avvocato distrettuale Pietro Gambino, prendeva in consegna assegni e vaglia emessi da terzi in favore dell’Avvocatura erariale e li versava sul proprio conto corrente; lo stesso, successivamente, prelevava le somme derivanti dalla negoziazione sul suo conto dei suddetti titoli, non riversandole sul libretto bancario intestato all’Avvocatura dello Stato aperto presso la Cassa di Risparmio sicchè l’Avvocatura non veniva in possesso delle somme stesse. Con sentenza del 7 giugno 2007 del Tribunale di Catania il Giorgio ed il Gambino venivano condannati alla pena di anni due e mesi otto di reclusione ciascuno per peculato in concorso continuato; la sentenza è stata confermata dalla Corte di Appello di Catania con sentenza del 20 maggio 2008, mentre con sentenza n.399 dell’1 aprile 2009 la Cassazione dichiarava prescritto il reato ascritto ai prevenuti confermando le statuizioni civili a favore dell’Avvocatura dello Stato costitui- 3 ta parte civile nel giudizio di primo grado con atto depositato all’udienza del 18 dicembre 1998. In seguito all’attività istruttoria di sua competenza ed all’acquisizione degli atti relativi al processo penale il PM contabile ha rilevato che la sottrazione dei valori di cui si discute non possa che integrare in modo palese gli estremi della responsabilità contabile in senso stretto per cui chi ha il maneggio di denaro e valori della PA va considerato agente contabile, derivando in tal caso la responsabilità ex recepto con conseguente onere della prova in ordine alla restituzione delle somme di denaro sottratte, che viene a gravare sull’agente contabile. Il PM ha ritenuto sussistenti sotto il profilo soggettivo i presupposti per addebitare al Giorgio ed al Gambino una condotta dolosa o, quanto meno, di colpa grave onde li ha chiamati in giudizio per sentirli condannare al pagamento in favore dell’Avvocatura dello Stato di una somma pro capite di € 6.276,94.oltre accessori. Con la sentenza n. 2051/2012 la Sezione giurisdizionale ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata da entrambi i convenuti e nel merito ha accolto parzialmente la domanda del pubblico ministero statuendo la condanna di Giorgio Filippo al pagamento della somma di € 6.276,94 e di Gambino Pietro della minore somma di € 3.183,47, oltre accessori, in favore dell’Avvocatura generale dello Stato. Con ricorso, depositato in data 2 gennaio 2013, ha proposto appello il signor Giorgio Filippo con la rappresentanza e difesa dell’avv. Massimo Giuffrida che ha chiesto la riforma della sentenza con conseguente declaratoria di esenzione dalla responsabilità ascritta. 4 La difesa ritiene errata la statuizione di condanna nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata nel giudizio di primo grado sostenendo che la costituzione di parte civile dell’Avvocatura dello Stato nel processo penale non sarebbe atto idoneo ad interrompere la prescrizione del diritto azionato dal PM contabile; nel merito, la difesa sostiene la contraddittorietà della sentenza gravata ; rileva, a tal fine, la carenza di colpa grave dell’appellante considerato che ciò che aveva dato luogo al procedimento penale corrispondeva ad una prassi che si era instaurata di negoziare sul proprio conto corrente, su invito dell’avvocato distrettuale Gambino, gli assegni e i vaglia postali all’ordine dell’Avvocatura dello Stato per poi riversarli in favore di quest’ultima su un libretto di deposito presso la Sicilcassa, il che non risultava da alcun sistema di contabilità ufficiale; sostiene, inoltre, che l’annotazione nelle scritture dell’Avvocatura erariale delle somme provenienti dalle predette operazioni non sempre veniva eseguito dato che la contabilità di dette scritture era lacunosa e disordinata tant’è che non sarebbero stati reperiti interi quadrimestri di rendicontazione; la perizia contabile disposta d’ufficio nel processo penale avrebbe accertato lo stato di grave confusione della documentazione contabile in possesso dell’Avvocatura ma non avrebbe manifestato alcun elemento idoneo per avvalorare la tesi che le somme negoziate dall’appellante non siano state riversate alla stessa Avvocatura; sarebbe carente il danno erariale contestato non essendo stato rilevato alcun ammanco materiale di somme di denaro tenuto conto del riscontro contabile, in anni successivi a quelli cui si riferisce la vicenda, di somme di denaro per un importo di £ 46.895.084 di 5 cui non risultano individuate le partite di contenzioso, curato dall’Avvocatura, cui le stesse si riferissero ; la presenza di tali somme indicherebbe le deficitarie risultanze della perizia contabile d’ufficio esperita nel processo penale; lamenta, infine, la difesa, il rigetto della richiesta istruttoria di acquisizione di documentazione presso l’Avvocatura dimostrativa della sopravvenienza di cospicue somme di denaro sfuggite all’esame del perito d’ufficio. Con ricorso, depositato in data 11 dicembre 2012, ha proposto appello l’avv. Gambino Pietro con la rappresentanza e difesa degli avv.ti Sergio Agrifoglio e Antonio Mimmo. La difesa ritiene, in primis, errata la sentenza nella parte in cui ha respinto l’eccezione di prescrizione sollevata nel giudizio di primo grado. Il giudice di prime cure avrebbe dichiarato infondata l’eccezione de qua perché l’Avvocatura generale dello Stato si sarebbe ritualmente costituita parte civile nel processo penale per cui ha ritenuto tale atto idoneo a interrompere la prescrizione; una tale controeccezzione di interruzione della prescrizione non sarebbe stata, però, formulata nell’atto di citazione emesso dal PM contabile per cui il giudice contabile avrebbe illegittimamente esercitato un potere di rilevazione d’ufficio; la difesa osserva che la giurisprudenza di legittimità (Cass.civ.SS.UU. n.15661 del 2005) ha affermato che l’interruzione della prescrizione può essere rilevata d’ufficio solo quando questa si basi su allegazioni e prove che risultino ritualmente acquisite agli atti, vale a dire secondo le regole processuali, tra cui l’art.165 c.p.c. sulla documentazione che l’attore deve offrire in comunicazione all’atto della sua costituzione in giudizio. Rileva la difesa che nella fattispe- 6 cie, seppure la costituzione di parte civile sia astrattamente idonea ad interrompere la prescrizione e seppure sia stata ritualmente proposta nel giudizio penale, non sarebbe stata posta dal procuratore regionale a base dell’atto di citazione nei suoi elementi costitutivi, tant’è che la Sezione giudicante ha potuto averne notizia facendo ricorso al consueto riferimento agli atti del giudizio penale; in subordine, anche se si dovesse considerare che la prescrizione nei confronti del Gambino fosse stata validamente impedita dall’atto di costituzione di parte civile, essa resterebbe parzialmente eccepibile, dato che la costituzione di parte civile è del dicembre 1998, mentre i presunti fatti di appropriazione di somme di denaro sono avvenuti nel periodo 1992-1996, per cui resterebbero coperti dalla prescrizione gli anni 1992 e 1993 che sono anteriori al quinquennio antecedente alla costituzione di parte civile nel processo penale. In ordine al merito la difesa censura la sentenza impugnata che non avrebbe considerato l’assenza di danno per l’Avvocatura dello Stato. Le somme, che sarebbero state sottratte, non sarebbero altro che l’equivalente del pagamento degli onorari di avvocato e procuratore stabiliti dal giudice nei diversi contenziosi in cui l’Avvocatura dello Stato aveva esercitato il patrocinio a carico delle controparti soccombenti, la cui esazione viene curata dall’Avvocatura; non sarebbe, quindi, concepibile un rapporto reale tra l’Avvocatura ed il denaro corrispondente agli onorari di avvocato nemmeno a titolo di deposito; l’esazione di quelle somme implicherebbe soltanto il potere-dovere di ripartizione secondo regole particolari diverse da quelle fissate dalla tariffa degli avvocati; danneggiati sarebbero, pertanto, gli avvocati 7 dello Stato e non già l’Amministrazione di appartenenza. Mancherebbe, inoltre, il cosiddetto ammanco in quanto sarebbero state rinvenute somme di denaro per un importo di £ 46 milioni, di cui è rimasta ignota la provenienza, come dichiarato dall’avv. Pavone che è subentrato all’avv. Gambino in qualità di avvocato distrettuale; né sarebbe configurabile nei confronti dell’appellante Gambino la qualifica di agente contabile e non avendo avuto lo stesso alcun maneggio di valori della PA non avendo svolto alcuna delle attività minuziosamente e tassativamente indicate nell’art.74 della legge di contabilità di Stato e nell’art.178 del relativo regolamento; a tali fini la difesa osserva che la qualifica di agente contabile non potrebbe essere valorizzata dalla girata che l’appellante avrebbe apposto sugli assegni che l’impiegato Giorgio Filippo aveva ricevuto da terzi; la sentenza non avrebbe considerato che la girata sia atto di trasferimento di un diritto rappresentato da un titolo mentre, in realtà, la firma apposta dal Gambino non trasferiva alcun diritto non avendo egli un proprio diritto sul titolo che era intestato all’Avvocatura dello Stato; tale firma non avrebbe potuto avere alcun effetto sulla gestione del titolo perché il versamento degli assegni era, in ogni caso, un dovere del Giorgio, senza alcun bisogno di ordine od autorizzazione. Conclusivamente, la difesa chiede di dichiarare assolto il Gambino; in subordine di dichiarare prescritta l’azione del PM; in ulteriore subordine che sia esercitato il potere riduttivo nella misura massima. La Procura generale ha depositato in data 21 maggio 2013 separate conclusioni scritte in relazione all’appello del Giorgio e all’appello del Gambino esponendo per ciascuno di essi estese argomentazioni in 8 cui ha controdedotto alle singole eccezioni e domande formulate dagli appellanti delle quali ha chiesto il rigetto. In ordine alla eccezione di prescrizione contenuta in tali appelli, richiamata la copiosa giurisprudenza che annette alla costituzione di parte civile nel processo penale per gli stessi fatti l’effetto interruttivo della prescrizione nei giudizi contabili per il risarcimento del danno erariale, la Procura ha precisato che nell’atto di citazione è stata fatta espressa menzione della costituzione di parte civile dell’Avvocatura dello Stato nel processo penale e che la relativa documentazione è stata versata nel fascicolo processuale; non sarebbe, inoltre, configurabile una prescrizione parziale del danno, riferita agli anni 1992 e 1993, in quanto si tratterebbe nella fattispecie di illecito permanente che si sarebbe consumato con l’ultimo atto e pertanto con data finale nel 1996. In ordine alla prospettata carenza del danno erariale l’appellata Procura generale rileva, in primis, che gli assegni ed i vaglia postali sottratti dagli appellanti risultavano intestati all’Avvocatura dello Stato di Catania per cui per questo fatto non vi sarebbero dubbi sull’esistenza del danno configurato nell’atto di citazione essendo ininfluente la destinazione finale delle somme; circa la sopravvenienza della somma di 46 milioni di lire, a cui si affidano gli appellanti per sostenere la mancanza del danno, la Procura fa presente che non sarebbe possibile configurare alcun collegamento con l’ammanco verificatosi, così come ritenuto nella sentenza della Corte di Appello di Catania n.2943 del 2008. Per quanto riguarda la censura formulata nell’appello del Gambino in cui si sostiene la non attribuibilità allo stesso della qualifica di agente contabile viene rile- 9 vato che sia da considerarsi agente contabile chiunque si ingerisca, anche di fatto, nel maneggio del pubblico denaro cui sono assimilabili gli assegni ed i vaglia postali della cui sottrazione si discute nel presente giudizio ; la firma di girata apposta dal Gambino, rivestendo lo stesso all’epoca le funzioni di avvocato distrettuale rappresentante dell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, avrebbe assunto un valore fondamentale per consentire il versamento ( anomalo) sul conto corrente personale del Giorgio. Conclusivamente, la Procura generale ha chiesto il rigetto degli appelli con condanna alle spese. Alla pubblica udienza i difensori ed il pubblico ministero hanno ribadito le rispettive conclusioni. Diritto Preliminarmente si dispone la riunione dei giudizi ai sensi dell’art.335 c..p.c. in quanto sono stati proposti avverso la medesima sentenza. Ciò premesso, il Collegio ritiene, anzitutto, infondate le eccezioni di prescrizione del danno azionato dal PM contabile, formulate da entrambi gli appellanti nel giudizio di primo grado e, parimenti, riproposte nei ricorsi in appello con specifica censura avverso la sentenza impugnata che ha respinto tali eccezioni. Non è dubbio che il danno erariale di cui discute considerato nella sua interezza comprese le sottrazioni di assegni e vaglia postali commesse negli anni 1992 e 1993 – addebitato alla condotta degli odierni appellanti, ai quali, come già esposto nelle premesse in fatto, è stato imputato il reato di peculato continuato in concorso nel processo penale instaurato per i medesimi fatti appropriativi di valori ( assegni e vaglia postali) di pertinenza dell’Avvocatura distrettuale di Catania - sia divenuto cono- 10 scibile al momento in cui, in data 2 giugno 1998, il PM penale ha chiesto il loro rinvio a giudizio; tale richiesta, in cui è stata identificata la persona offesa nell’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania, è stata comunicata dalla Procura della Repubblica di Catania al procuratore regionale della Corte dei conti con nota del 3 giugno 1998 pervenuta il 17 giugno 1998 protocollata al n.99434. Risulta, inoltre, sempre dalla documentazione in atti, che l’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania si è costituita parte civile nel processo penale de quo all’udienza del 18 dicembre dello stesso anno 1998; la sentenza del Tribunale di Catania, che ha definito in primo grado il processo penale, n.329 depositata il 3 luglio 2007, con la condanna degli imputati, odierni appellanti, alla pena di anni due e mesi otto di reclusione, ha contestualmente statuito la loro condanna al risarcimento del danno in favore della parte civile costituita, da liquidarsi in separato giudizio, ed alla corresponsione di una provvisionale immediatamente esecutiva di € 10.000,00. Le statuizioni a favore della parte civile risultano confermate dalla Corte di Cassazione nella sentenza n.399 dell’1 aprile 2099 con la quale è stato dichiarato prescritto il reato di peculato ascritto agli odierni appellanti. Il giudice di prime cure ha ritenuto, in conformità a consolidato orientamento giurisprudenziale, che il termine di prescrizione sia stato validamente interrotto dall’atto di costituzione di parte civile nel processo penale avente ad oggetto gli stessi fatti del giudizio contabile ( cfr. ex plurimis, Sezioni Riunite n.8/2004/QM; I Sezione Centrale n.283/2008 e n.315/2001; II Sezione Centrale n.227/2002; III Sezione Centrale d’Appello n.383/2003 e di questa Sezione sentenza 11 n.187/2013). Nel presente caso l’interruzione del termine di prescrizione, prodotta dalla costituzione di parte civile nel processo penale, riveste un carattere permanente, sussistendo i presupposti per l’applicazione della fattispecie prevista dall’art.2945, comma 2, c.c., in base alla quale, se l’interruzzione avviene mediante domanda proposta nel corso di un giudizio, la prescrizione non corre fino al momento in cui passa in giudicato la sentenza che definisce il giudizio. In relazione all’azione di risarcimento del danno intentata dall’Avvocatura dello Stato con la costituzione di parte civile nel processo penale la sentenza della Corte di cassazione n.399 dell’1 aprile 2009 ha confermato, infatti, le statuizioni civili già contenute nella citata sentenza del Tribunale di Catania n.329 depositata il 3 luglio 2007 e nella sentenza n.1374 del 27 maggio 2008 della Corte di Appello di Catania. Individuato, come già riferito, il dies a quo nella data del 2 giugno 1998, in cui venne formulata dal PM penale la richiesta di rinvio a giudizio, e tenuto conto che il termine di prescrizione è stato interrotto dalla costituzione di parte civile nel processo penale, ed è rimasto sospeso fino alla sentenza della Corte di cassazione, si deduce che, al momento della notifica, eseguita in data 12 settembre 2007, dell’invito a dedurre ai convenuti, odierni appellanti, il termine quinquennale di prescrizione non era da ritenersi affatto decorso . La difesa dell’appellante Gambino ritiene,inoltre, che sia inammissibile l’eccezione di interruzione della prescrizione derivante dalla costituzione di parte civile nel processo penale; a tal fine osserva che l’eccezione avrebbe potuto essere opposta solo dalla parte interessata per cui non avrebbe potuto essere rilevata d’ufficio dal giudice. Sul 12 punto vale precisare che la costituzione di parte civile dell’Avvocatura dello Stato nel processo penale, da cui il giudice di prime cure ha dedotto gli effetti interruttivi permanenti della prescrizione del danno azionato dal PM contabile, risulta dagli atti del processo penale versati nel giudizio di primo grado dallo stesso PM contabile attore; nell’ atto di citazione, alla pag.2, è stato richiamato espressamente l’atto di integrazione di costituzione di parte civile dell’Avvocatura generale dello Stato trasmesso con nota del 29 gennaio 2008 n.12268P. La stessa sentenza della Cassazione SS.UU. n.15661 del 27 luglio 2005, richiamata nell’atto di appello a sostegno della tesi esposta dalla difesa del Gambino, afferma il principio che le controeccezioni, come l’eccezione di interruzione della prescrizione, possono essere rilevate d’ufficio quando queste si basano su allegazioni e prove che risultano acquisite agli atti; il che, come già precisato, corrisponde a quanto avvenuto nel presente caso in cui le allegazioni relative alla costituzione di parte civile sono state versate dal PM attore nel giudizio di primo grado. In base a quanto precisato non si ritiene rilevante, infine, il richiamo contenuto nell’appello del Gambino all’art.165 c.p.c e alle decadenze in esso previste in ordine all’onere imposto all’attore relativamente alla documentazione che lo stesso deve offrire in comunicazione all’atto della sua costituzione in giudizio; invero il giudizio di responsabilità risulta strutturato in maniera diversa da quello civile il che, ai sensi dell’art.26 del RD 1038 del 1933, rende inapplicabile al processo contabile il disposto di cui al citato art. 165 c.p.c, ed anche quello di cui all'art. 167 c.p.c. relativo alle decadenze (in terminis cfr. Sezione Terza Giurisdizionale Centrale d’Appello n. 66/2012; 13 Sezione Seconda Giurisdizionale Centrale d'Appello n. 255/2006, di questa Sezione n.232 del 2012). Passando alla valutazione delle censure degli appellanti mosse alla sentenza impugnata in ordine al merito delle responsabilità ad essi attribuite il Collegio ne rileva l’infondatezza. Come già precisato, per i fatti di illecita sottrazione di valori ( assegni e vaglia postali intestati all’Avvocatura distrettuale dello Stato di Catania ) imputati agli appellanti, si è svolto procedimento penale, che è stato definito - dopo le sentenze del Tribunale e della Corte di Appello di Catania di condanna per entrambi riconosciuti colpevoli di peculato continuato in concorso - con la sentenza della Cassazione n.399 dell’1 aprile 2009, che ha dichiarato estinto il reato medesimo per intervenuta prescrizione. Per regola giurisprudenziale consolidata, in forza del principio dell’unità della giurisdizione, il giudice civile o il giudice contabile può utilizzare come fonte del proprio convincimento le prove raccolte in un giudizio penale conclusosi ( come nella specie) con sentenza di non doversi procedere per causa estintiva del reato (per intervenuta prescrizione) e può porre a base dell’indicato convincimento gli elementi di fatto già acquisiti con le garanzie di legge in quella sede, esaminando direttamente il contenuto di dette prove, ricavandole dalla sentenza penale o, se necessario, dagli atti del relativo processo, in modo da valutare esattamente i fatti accertati, al fine poi di sottoporli a proprio vaglio critico ( cfr. Corte di cassazione Sez.I Civile , n.5009 del 2009). Orbene, dalla motivazione della sentenza della Corte di Appello di Catania, n.1374 del 27 maggio 2008, che conferma la sentenza del 14 Tribunale di Catania del 7 giugno 2007, emerge, in conformità alle risultanze delle testimonianze rese in dibattimento e dalla perizia contabile d’ufficio, che somme di denaro, in titoli e vaglia postali appartenenti all’Avvocatura dello Stato, erano state versate sul conto corrente bancario personale dell’impiegato Giorgio Filippo ( alcuni con firme per girata del Gambino avvocato distrettuale, altri, sebbene avessero la clausola “non trasferibile”, sempre con modalità note al Gambino che partecipava a tale “sistema”) ; inoltre, era risultato che il Giorgio non aveva proceduto al riversamento delle suddette somme, già acquisite al suo conto corrente, nel libretto di deposito dell’Avvocatura dello Stato; si legge nella sentenza che le predette circostanze appaiono inconfutabili perché il perito d’ufficio non ha assolutamente riscontrato che le somme di denaro dell’Avvocatura dello Stato - venute in possesso del Giorgio con l’avallo del responsabile dell’Avvocatura avv. Gambino – siano entrate nel patrimonio della stessa Avvocatura dello Stato. Si legge, altresì, nelle menzionate sentenze che, per quanto riguarda le somme di denaro ( circa £ 46 milioni) che sarebbero state rinvenute, come dichiarato dall’avv. Pavone, subentrato all’avv. Gambino nella carica di avvocato distrettuale di Catania dal dicembre 1996, all’atto del suo insediamento, non risulta dimostrato né che tali somme siano esaustive degli ammanchi riscontrati a seguito degli incassi del duo Gambino-Giorgio mediante versamento nel conto corrente del Giorgio, né che sia certo quando queste somme siano entrate ed in che modo nella disponibilità dell’Avvocatura dello Stato. La sentenza di primo grado impugnata ha affermato in modo corretto 15 la responsabilità degli appellanti sulla scorta degli atti processuali acquisiti dal giudizio penale ed ha, comunque, ritenuto che, trattandosi di responsabilità contabile in senso stretto, la stessa, come in tutti i casi di ammanco di valori della PA, deriva ex recepto; nessuna ragionevole giustificazione della mancata restituzione delle somme di denaro risulta fornita dagli appellanti; la circostanza addotta dai difensori che i convenuti, odierni appellanti, non rivestissero la qualifica di agenti contabili in senso formale, secondo le classificazioni contenute nell’art.178 del RD n.827/1924, non può avere alcuna rilevanza ai fini che qui interessano; chiunque nell’ambito della pubblica amministrazione abbia maneggio, anche in via di fatto, di denaro (comunque di pertinenza della stessa amministrazione anche se questa lo riscuote o lo riceve per conto di terzi) è considerato agente contabile e, quindi, è soggetto a tutti i doveri e gli obblighi degli agenti contabili. Sotto tali profili non si ritiene fondata la contestazione mossa della difesa del Gambino secondo cui questi non potrebbe essere equiparato all’impiegato Giorgio Filippo accusato di avere sottratto le somme di denaro per il motivo che la sua firma apposta sugli assegni sia stata considerata erroneamente alla stregua di una “girata” atteso che la “girata” sarebbe un atto di trasferimento di un diritto e che nessun diritto il Gambino aveva sul titolo che era intestato all’Avvocatura dello Stato. Sul punto è agevole ribadire che, come accertato nel processo penale, i versamenti fatti dal Giorgio sul proprio conto corrente delle somme di denaro, costituiti da titoli e vaglia postali intestati all’Avvocatura dello Stato, sono avvenuti comunque sempre con modalità note al 16 Gambino che partecipava a tale sistema” ( cfr. sentenza Corte di Appello di Catania n.1374 del 27 maggio 2008). In ordine alla quantificazione del danno posto a carico dei convenuti, odierni appellanti, il Collegio rileva che nei confronti dell’avv. Gambino è stata disposta nella sentenza impugnata un riduzione della quota a suo carico nella misura del 50% ; la statuizione della riduzione della somma posta a carico del Gambino è passata in giudicato non avendo né la Procura regionale né la Procura generale interposto appello incidentale. Il Collegio, inoltre, ritiene che non sussistono i presupposti per un ulteriore esercizio del potere riduttivo, invocato dagli appellanti, attesa la particolare gravità della condotta addebitata agli stessi. Sono da ritenere assorbite e, comunque, implicitamente rigettate, tutte le altre questioni ed argomentazioni delle parti in causa logicamente incompatibili con quanto deciso dal Collegio ( Cass. 13342/1999). Le spese seguono la soccombenza. . P.Q.M. La Corte dei conti, Sezione giurisdizionale di Appello per la Regione siciliana, definitivamente pronunciando, rigetta entrambi gli appelli di cui alle premesse riuniti ai sensi dell’art.335 del c.p.c. Condanna gli appellanti al pagamento in favore dello Stato delle spese del presente giudizio che si liquidano in euro 664,36 suddivise in due quote eguali. Così deciso in Palermo, nella camera di consiglio del 17 ottobre 2013 . 17 L'estensore F.to (Salvatore G.Cultrera) Depositata in segreteria nei modi di legge. Palermo 06/11/2013 Il direttore della Segreteria F.to (dott. Nicola Daidone) Il presidente F.to (Salvatore Cilia)