MONICA CUVERTINO Il metodo per essere attore Il lavoro introspettivo tra arte e psicologia Il mondo intero è un teatro, e tutti, uomini e donne, non sono che attori. Ciascuno interpreta, quando è il suo turno, i differenti ruoli di un dramma. [Shakespeare, in Come vi piace] ON EDIZIONI 2 Il metodo per essere attore. Il lavoro introspettivo tra arte e psicologia. Autore: Monica Cuvertino Email: [email protected] Sito web: www.psicoteatria.com Copyright © 2004 – ON EDIZIONI Copertina e progetto grafico: arteviva ONeBook 3 INDICE rte Prima CAPITOLO 1 CAPITOLO 2 CAPITOLO 3 IL TEATRO A CAVALLO TRA L’800 E IL ‘900 E LA SUA RIVOLUZIONE 8 Il teatro alla fine del XIX secolo e la sua rivoluzione 9 Il contributo di Stanislavskij al modo di pensare il teatro 18 L’UOMO CHE HA INVENTATO IL TEATRO PSICOLOGICO 22 Cenni biografici 23 Una vita nell'arte 27 IL METODO STANISLAVSKI 33 L’idea di metodo 34 Un metodo articolato 37 Il lavoro dell'attore su se stesso, ovvero il metodo per attuare i sentimenti 40 L’articolazione Gli ingredienti: immaginazione, attenzione, memoria emotiva Gli strumenti: il “se magico”, le sezioni e i compiti di azione, il tempo-ritmo, le azioni fisiche L’energia: la fonte e i motori della creazione Gli assunti: verità e verità scenica, comunicazione e contatto, il pubblico e la sensibilità scenica interiore, la linea d’azione 43 45 53 62 65 Il lavoro dell'attore sul personaggio 74 Tecnica ed esercizi 82 Gli ostacoli 88 4 CAPITOLO 4 CAPITOLO 5 APPENDICI BIBLIOGRAFIA Il ruolo del regista 91 L'idea di scuola 95 DA STANISLAVSKIJ IN POI 97 Gli impatti sul modo di fare teatro 98 Reazioni e contrapposizioni 105 IL METODO VISSUTO 111 Oltre la letteratura 112 Il racconto di un regista che applica il Metodo 114 Lo sguardo di un'attrice che vive il Metodo 121 Testo integrale dell’intervista ad un regista che applica il Metodo Stanislavskij 130 Testo integrale dell’intervista ad un’attrice che vive il Metodo Stanislavskij 140 154 5 Che cos’è il Metodo Stanislavskij É un Metodo, articolato e puntuale, pensato e continuamente perfezionato per supportare l’attore di teatro nel suo lavoro su di sé e sul personaggio. L’obiettivo del Metodo è quello di rendere l’attore in grado di mettere se stesso, le proprie peculiarità e i propri vissuti, nella drammatizzazione e di esprimersi con verità, dando spazio al proprio bagaglio interiore oltre che espressivo. Stanislavskij amava chiamare il suo Metodo psicotecnica, ad evidenziarne i due ingredienti fondanti: il suo essere una tecnica, il suo avere quindi obiettivi concreti, realizzati attraverso degli strumenti e un modello di riferimento precisi, ma soprattutto il suo essere focalizzata sul lavoro dell’attore su se stesso, attraverso e sulla propria interiorità. 6 Parte prima Un metodo per essere attore Il mondo intero è un teatro, e tutti, uomini e donne, non sono che attori. Ciascuno interpreta, quando è il suo turno, i differenti ruoli di un dramma. [Shakespeare, in Come vi piace] 7 8 Capitolo 1 Il teatro a cavallo tra l’800 e il ‘900 e la sua rivouzione 9 Il teatro alla rivoluzione1 fine del XIX secolo e la sua A fine Ottocento l’Europa assiste alle fortune del dramma borghese, genere teatrale nato nella metà del Settecento e i cui padri furono Diderot e Goldoni, che domina la scena in Inghilterra e in Francia, raggiungendo l'apice del suo sviluppo con il norvegese Ibsen. Solo con lbsen, infatti, il tipico ambiente in cui si svolge la vita borghese, il salotto, da luogo neutrale si trasforma in emblema di un costume di vita complesso e contraddittorio, rivelando così la sua natura doppia e ambigua. Per un verso è la stanza in cui la famiglia riceve gli ospiti, luogo dunque delle relazioni sociali all'interno della casa borghese, ma per un altro costituisce un territorio privato, vero cuore della casa vista come luogo dell'intimo. Con lbsen il salotto borghese svela inoltre una rete di intrecci pericolosi: le porte sono fatte per garantire l'intimità, ma possono anche aprirsi a orecchie indiscrete. Tutto il teatro borghese dell'Ottocento è traboccante di spazi insidiati, di muri e di porte che hanno orecchie. Prima di Ibsen il pubblico europeo si recava a teatro per compiere un rito mondano, e contemporaneamente per gusto di evasione e di intrattenimento. Con Ibsen avviene un primo decisivo rovesciamento: il teatro diventa lo specchio critico della società. Nei suoi drammi egli introduce una sorprendente novità formale, "la discussione": comodamente seduti su divani e poltrone, i suoi personaggi analizzano i problemi, parlano liberamente, sono più disponibili a dire l'indicibile, a trasformare il racconto in confessione. Di lì a poco Freud farà stendere i suoi clienti della borghesia viennese sul lettino. 1 Per un maggiore approfondimento invito il lettore a consultare alcuni volumi sulla storia del teatro, dai quali ho tratto molte delle informazioni qui contenute: AA.VV. Storia del teatro moderno e contemporaneo, Avanguardie e utopie del teatro, Einaudi, Torino 1990; AA.VV. Enciclopedia dello spettacolo Garzanti. Garzanti, Milano 1986; Oscar G. Brockett Storia del teatro: dal dramma sacro dell'antico Egitto agli esperimenti degli anni ottanta, Marsilio, Venezia 1988, oltre che interessanti siti internet che ho consultato e che si trovano elencati nella bibliografia del presente lavoro. 10 A cavallo dei due secoli il mondo del teatro viene sensibilmente toccato e influenzato dalle teorie freudiane. Questi influssi, attraverso Ibsen e lo svedese Strindberg, daranno luce al primo teatro contemporaneo. Un teatro attento ai temi sociali, impegnato in accurate analisi dei caratteri e dei vissuti individuali dei personaggi, dove l’introspezione viene elevata a elemento scenico e soprattutto, a motore delle vicende rappresentate. Il teatro del '900 pone così, al centro della scena l’individuo, nella sua complessità interiore e nelle sue contraddizioni che ora lo lanciano nel mondo, ora lo fanno ritrarre nella disperazione della solitudine. Verso la fine del secolo prevale l'influsso del naturalismo2 e del verismo con il teatro realista, il cui maggiore rappresentante italiano è Verga. In Italia il realismo approderà poi al senso del tragico di Luigi Pirandello. Nell’autore siciliano temi “improponibili” come la frammentazione della coscienza e il relativismo, vengono assunti a centro delle dinamiche drammatiche, in una continua e sempre irrisolta ricerca della distinzione fra verità e finzione. 2 Il naturalismo inglese si caratterizza per l'ironia bonaria nella quale non emerge alcun intento di denunciare i mali sociali per scrollare le basi della società; prevale invece il gusto di sorridere dei suoi difetti. I personaggi, veri gentlemen e dame, celano sotto i loro abiti sociali orgoglio, prepotenza, crudeltà, lussuria, gola e via dicendo, fino a completare la rassegna dei peccati capitali. Le maschere sociali crollano quando l'arrivo di uno sbarazzino mette a nudo tutte le verità; è questo un personaggio-espediente che generò nel pubblico dell’epoca almeno due reazioni opposte: gli spettatori si trovavano o a simpatizzare col suo gesto di rivelazione o, nella maggioranza dei casi, a scandalizzarsi e a ritrarsi indignati. Simbolo del teatro d’autore inglese della seconda metà del XIX secolo è senza alcun dubbio Oscar Wilde (1856-1900), spesso definito "l'enfant terrible" della letteratura anglosassone, esteta ed attore sia nella vita sia sul palcoscenico. Sbalordì il suo tempo con la sua eccentricità e il paradosso, servendosi dell'humor britannico per giocare con lo sdegno sempre affiorante nella sua società, per proporre la trasgressione e la ribellione – sempre vestita di ironia – verso le convenzioni. Wilde scrisse commedie d'ambiente moderno come "Lady Windermere's Fan", "A Woman of No Importance" e "An Ideal Husband" nelle quali sembra utilizzare temi tradizionali come ladri scoperti, errori di gioventù, ricatti e scandali durante feste e ricevimenti. Ma, dietro alla banalità delle situazioni e al finale lieto concesso ad ogni sua commedia, affiora nelle battute sarcastiche del suo personaggio prediletto, lo sbarazzino – molte diventate aforismi acuti e pungenti sull’umana debolezza – un sottile attacco volto a demolire, attraverso l’ironia, la morale e le convenzioni tradizionali. La sua critica è rivolta contro la società inglese benpensante, nella quale si muovono silenziose marionette che, indossando rigide maschere sociali, distruggono ogni spirito libero. Wilde verrà da questa stessa società attaccato e estromesso. 11 Il naturalismo, che nasce in Francia con Emile Zola, attribuisce all’autore un ruolo di chiara illustrazione dei mali della società che si concretizza, per quanto riguarda la messa in scena del dramma, nell’esigenza di riprodurre con esattezza gli ambienti in cui si svolgono le vicende rappresentate, allo scopo di evidenziare con chiarezza i rapporti di causa ed effetto che si producono tra l’ambiente, gli eventi e i caratteri dei personaggi. In Germania, invece, Wagner3, come reazione allo spirito naturalista, produce drammi mitici ed epici. Il tentativo di integrazione tra poesia, musica e rappresentazione attuato da Wagner pone in risalto una crescente intenzione di arricchire le rappresentazioni moltiplicando gli ingredienti scenici. Le messe in scena fino a quel momento erano molto semplici, essenziali, musica, luci e scenografia non venivano curate. L’attenzione per la messa in scena fiorirà di lì a poco, realizzando delle produzioni raffinate, curate meticolosamente negli allestimenti; un pioniere, ma anche un maestro, di questa tendenza sarà Stanislavskij, la cui cura per gli allestimenti scenici si sposerà fin dagli albori con la dedizione alla preparazione degli attori. Prima della nascita del suo Teatro d’Arte di Mosca la preparazione degli spettacoli in tutta Europa non prevedeva che tre, quattro prove e, dalla consegna della parte – che spesso consisteva in appunti presi su un quadernetto direttamente dall’attore – alla prima dello spettacolo, passava in tutto una settimana. A questo dilettantismo Stanislavskij oppone una ricerca, che durerà tutta la vita, di un metodo per conferire allo spettacolo e al mestiere dell’attore una nuova dignità. 3 Il più elevato tentativo di dare alla Germania un grande teatro che emulasse quello greco fu intrapreso da Richard Wagner (1818-1883). Egli volle far risuscitare l'antica tragedia ispirandosi, però, alla storia, alle leggende e ai miti della terra germanica. I suoi sforzi si concretizzarono in epopee drammatiche nelle quali egli era autore sia della musica sia del testo. La critica contestò spesso il troppo frequente utilizzo della musica, che nella maggior parte delle rappresentazioni copriva quasi totalmente il libretto. Wagner intendeva portare in scena una forma organica e compatta di rappresentazione, in cui la musica sbocciasse dal cuore tematico della vicenda fiorendo sulla poesia; i suoi tentativi ebbero una riuscita soltanto parziale, poiché il suo spirito musicista prevalse su quello poetico sommergendo i versi. L'analisi dei testi poetici drammatici wagneriani rivela così una buona architettura nelle trame, che però si limitano ad individuare uno schema con un senso di incompiutezza che chiede di essere riempita da una necessaria integrazione musicale. Egli non trovò la sintesi che si era prefissato e nell’intento di restituire all'orchestra quell'importanza e quella funzione che il coro aveva ricoperto nella tragedia greca, superò l’equilibrio richiesto ad ogni rappresentazione teatrale e ridusse in secondo piano i personaggi e la vicenda. 12 In Russia la stagione del realismo si apre con Nikolaj Gogol e Alexander Ostrovskij cui seguono, verso la fine del secolo XIX, le opere di Lev Tolstoj e Maksim Gor'kij. Anche Cechov può essere considerato un continuatore della tendenza naturalistica, sebbene in lui si evidenzino affinità con l’emergente simbolismo. I suoi drammi, che il Teatro d’Arte di Mosca porterà al successo nei primi anni del XX secolo, tratteggiano le inquietudini interiori di personaggi chiusi in ruoli e in un’epoca costrittivi, attraverso tragedie in cui dominano i silenzi, gli atti mancati, le soluzioni parziali e personali ad un dramma che è, in realtà, essenzialmente sociale. Già alla fine del XIX secolo si delinea una reazione al Verismo, che si esprime in modi differenti e, talvolta, contraddittori. Alcuni autori si dedicano ad una "idealizzazione" della "realtà", che appare povera e viene dispregiata per la sua incapacità di elevare gli animi oltre alle quotidiane brutture. Altri tendono a cogliere, oltre alle sue apparenze, un simbolo o un significato. Gli esteti, invece, predicano il ritorno all' "arte pura", priva di altro fine che se stessa. I poeti tragici o satirici, infine, vogliono fare della rappresentazione della realtà uno strumento di riforma morale. Tendenze lontane tra loro negli intenti e nella linea artistica seguita, accomunati però dalla volontà di andare oltre la nuda e povera realtà. L'800 è caratterizzato dalla nascita del mattatore, cioè del primo attore attorno al quale gravita lo spettacolo. È lui il protagonista del teatro ottocentesco e il suo ruolo si amplia sempre più fino ad offuscare quello di altri elementi del teatro. Di pari passo l'organizzazione delle compagnie subisce qualche alterazione: si forma la cosiddetta ditta, insieme di due o tre attori principali per le compagnie primarie di giro, si ha la creazione di teatri stabili e poi di compagnie secondarie, universitarie, dilettantesche. La separazione tra la vita dei comici e quella del resto della società, a fine ottocento è decisamente netta. Gli attori costituiscono una vera e propria società nella società, le cui modalità di vita, la cui cultura, le cui regole si differenziano da quelle del loro pubblico. Gli attori sono connotati come 13 classe a sé, e collocati su un gradino piuttosto basso della scala sociale: la loro cultura è isolata, non hanno nessuna educazione scolastica, hanno modi e linguaggio estremamente riconoscibili e differenti rispetto a quello della società borghese. Disprezzati tanto più dalle altre categorie di artisti, vengono considerati macchiati in profondità dalla loro vita errante, povera di stimoli culturali e mercenaria. In effetti gli attori vivono in comunità chiuse, dove il mestiere teatrale e la vita quotidiana faticano a scindersi e si contaminano a vicenda. Il mestiere d’attore – con i suoi ruoli prestabiliti – sfocia nell’abitudine di vita quotidiana e quest’ultima, a sua volta, con le sue rigide gerarchie, regole e costumi, sfocia nel mestiere condizionandolo. Non esiste il concetto di professionalità, e non si parla di arte ma di abitudine alla scena. Nelle compagnie vige, anche per motivi di economia della messa in scena, una ferrea suddivisione in ruoli4 stereotipati che divengono definitivamente assegnati agli attori. Essi “sposano” così un ruolo che poi porteranno avanti da uno spettacolo all’altro modificandolo solo lievemente, attraverso l’introduzione di piccole varianti, per adattarlo al nuovo canovaccio. I cliché, le abitudini, il manierismo caratterizzano quindi l’attore dell’Ottocento. A fine Ottocento a dominare le scene è il Grande Attore, apice espressivo dell’originario mattatore, la cui straordinaria presenza scenica tende ad annullare gli altri elementi scenici e drammaturgici. Egli ipnotizza il pubblico, lo scuote, lo tiene sospeso con gesti, voce e intensità interiore. Il Grande Attore rappresenta pienamente un modo di fare teatro dove il testo è poco centrale e nel quale, invece, prevale il talento individuale. Il Grande Attore usa rompere la coerenza narrativa del dramma, dando allo spettacolo, attraverso incoerenze psicologiche ed emotive introdotte nel 4 È infatti prassi per tutto l’Ottocento (in Italia la consuetudine permane fino ai primi decenni del Novecento) l’affidare in modo fisso un certo ruolo allo stesso attore. I ruoli sono specializzazioni fisse, quali l’attore giovane, il promiscuo, il caratterista, e consentono di distribuire con molta rapidità e semplicità le parti per ogni spettacolo. Ciò permette, soprattutto, la preparazione in tempi brevi di ogni nuova rappresentazione, poiché ogni attore possiede un serbatoio di esperienza specifica, che gli viene dall’esercizio in parti simili tra loro e che diviene ogni volta riutilizzabile per lo spettacolo. Vedi al riguardo, AA.VV. Storia del teatro moderno e contemporaneo, Avanguardie e utopie del teatro, Einaudi, Torino 1990 14 suo personaggio, nuovi significati, maggiore ambiguità e complessità. Il Grande Attore, cioè, riusciva a costringere la mente del suo spettatore a compiere salti al di fuori della logica dello spettacolo, dandogli accesso a problematiche generali ed esistenziali che andavano oltre la storia narrata. Eleonora Duse, Gustavo Modena, Sarah Bernhardt, Tommaso Salvini, Henry Irving sono alcuni dei grandi protagonisti di questo momento della storia del teatro. Una grande rivoluzione che segna il '900 è l'avvento della regia. In tutti i tempi il Teatro non ha potuto fare a meno di una direzione e di una messa in scena, ma mai come adesso la figura del regista assume una preminenza tale da sostituire quella dell'attore, e in certi casi, quella dell'autore. Il regista diviene “autore dello spettacolo”, ponendosi in un atteggiamento creativo oltre che gestionale. Il teatro registico del Novecento, però, si basa su un atteggiamento doppio rispetto a quello ottocentesco: pur contrapponendosi con decisione alle sue forme, non vive una netta frattura rispetto al suo emblema, il Grande Attore, al quale invece si ispira, valorizzando al suo interno quelle stesse qualità che lo rendevano “Grande”. I primi registi puntano cioè a realizzare un teatro che riesca ad ottenere un effetto equivalente a quello suscitato dalla presenza e dalla resa emotiva del Grande Attore. In particolare ricercano quelle schegge di sensazioni e quelle suggestioni di significato evocate nel pubblico al di là e al di fuori del testo rappresentato. Ma tale effetto vuole esser ottenuto attraverso mezzi assolutamente differenti, che passano attraverso la guida del regista, il lavoro approfondito sul testo e la formazione dell’attore. I registi studiano così da vicino l’espressione del Grande Attore. Stanislavskij e Salvini, Craig e Irving, Mejercol’d (ma non solo lui) e la Duse sono tutti esempi di un’ammirazione incondizionata, di un interesse profondo e di uno studio attento delle capacità e delle modalità espressive dei grandi attori di fine ottocento, portato avanti con atteggiamento “scientifico” da parte dei grandi registi di inizio secolo. Pionieri che hanno saputo vedere nel Grande Attore 15 “la capacità di portare avanti una elaborata azione di frantumazione dell’ordine esistente nello spettacolo per sostituirlo con una serie di flussi emotivi portatori di altri valori. Da qui è partito il lavoro della regia”.5 La nascita del regista, la progressiva valorizzazione del testo, hanno come enorme conseguenza quella della professionalizzazione dell’attore, oltre che della sua differente collocazione sociale. I padri della regia – attori loro stessi – lavorano, attraverso i propri spettacoli e un’instancabile attività pedagogica, per formare un insieme di attori che possa eguagliare la forza e l’intensità del Grande Attore. Al “talento naturale” viene sostituito (o aggiunto, come nel caso di Stanislavskij che non fece mai della tecnica l’unico ingrediente per l’espressione autentica) il lavoro dell’attore su se stesso. La reazione al vecchio teatro da parte di autori e registi si concretizza così in laboratori sperimentali come gli "Studio" della Russia di Stanislavskij, i piccoli teatri francesi del "Cartel", il "Guild Theatre" di New York. Il Novecento, grazie al contributo dei primi registi-pedagoghi, trasforma così radicalmente il mestiere dell’attore e gli consente di assumere una nuova dignità anche rispetto alla società in generale e alla comunità degli artisti. Il teatro assume per la prima volta la legittimità e la credibilità di una forma d’arte. L’attore non è più un nomade chiuso in una compagnia che è per lui famiglia, comunità e società. Egli entra a far parte della società più ampia. Le sue peculiarità espressive, che facevano di lui un emarginato nell’epoca dell’attore caratterista, divengono oggetto di ammirazione e di distinzione. L’attore si distingue per la sua capacità di muoversi, per la sua voce addestrata, per una tecnica acquisita in scuole o “sul campo” e la differenza rispetto all’uomo comune viene riconosciuta come valore e non più come macchia. Il contributo di Stanislavskij in questo ribaltamento 5 M.Schino, in AA.VV., Storia del teatro moderno e contemporaneo, 1990, pag.54 16 dei rapporti tra attore e società è determinante, come vedremo meglio nella sezione che segue: “Stanislavskij aveva offerto agli attori un’idea nuova, alta, su quel che poteva essere il loro mestiere: un tempio dell’arte. Si era sforzato, cioè, di trasformare la diversità “bassa” del mestiere d’attore in una diversità artistica, alta”.6 La rivoluzione del teatro è globale: comprende non solo figure nuove come il regista o l’impresario, evoluzioni radicali come quella che porta all’attore professionista, ma riguarda anche la messa in scena. La cura per gli allestimenti aumenta notevolmente, lo spettacolo diventa un’opera a cui viene dedicato denaro e soprattutto tempo. La possibilità di lavorare a lungo su uno spettacolo, di cesellarlo, è una diretta conseguenza dell’avvento della regia e prevede un elevato numero di prove, la preparazione di uno spettacolo per volta, la definizione di partiture fisiche per ogni personaggio, un lavoro sul testo molto più approfondito rispetto al passato. Ormai il teatro è fatto di rapporti nuovi: luce e colore, musica e parola, vivono in stretto rapporto tra loro. Le singole arti, poesia, canto, recitazione, scenografia, rinunciano alla propria individualità per concorrere unitariamente ad una nuova e più efficace sintesi espressiva. Il teatro con il Novecento diventa un luogo nuovo, un luogo non più di emarginazione, ma di volontaria separazione dal resto della società. La diversità diventa oggetto di riflessione del teatro su se stesso: alcuni registi si batteranno per attribuirgli un ruolo centrale nella società, altri lo vorranno come luogo separato e in opposizione rispetto all’ordine esistente. Il teatro assume così un ruolo politico, una forma espressiva e artistica che fa della propria separatezza dalla società un’occasione per assumere un punto di vista indipendente: 6 Ibidem, pag.61 17 “Fino alla fine dell’Ottocento il teatro era di fatto luogo di emarginazione. Nel Novecento è diventato luogo di voluta marginalità, quindi di ribellione”.7 7 Ibidem, pag.63