04-08_50_anni_airc_dic15b.qxd 29-10-2013 15:13 Pagina 4 2005-2015 50 anni di AIRC La medicina personalizzata 2005-2015 ________________ Siamo arrivati al quinto decennio di vita di AIRC. A fianco di grandi successi nella cura, la scienza scopre che il cancro non è una sola malattia, ma una galassia che richiede interventi mirati. lanostrastoria.airc.it I 5 TUMORI PIÙ FREQUENTI TRA I MASCHI NEL 2014 TRA 0 E 49 ANNI TIROIDE LINFOMA NON HODGKIN CUTE TESTICOLO COLON-RETTO TRA 50 E 69 ANNI VIE AERODIGESTIVE SUPERIORI PROSTATA POLMONE VESCICA COLON-RETTO OLTRE I 70 ANNI POLMONE STOMACO PROSTATA IL PRIMO 5 PER MILLE ________________ Dal 2006 centinaia di migliaia di persone danno il proprio sostegno con il 5 per mille, per questo AIRC istituisce due programmi speciali con lo scopo di arrivare al letto del paziente VESCICA COLON-RETTO KATIA SCOTLANDI ________________ MARSHALL ________________ E WARREN VALENTINA ________________ La ricercatrice AIRC ha dato un grande contributo alle terapie per salvare i giovani pazienti dall’amputazione degli arti, nei tumori ossei Nel 2005 vincono il Nobel per aver scoperto che il batterio Helicobacter pylori può provocare l’ulcera e il cancro dello stomaco Grazie alla ricerca di Lucia del Mastro ha potuto portare avanti la gravidanza mentre faceva chemioterapia, per un tumore al seno 04-08_50_anni_airc_dic15b.qxd 29-10-2013 15:14 Pagina 5 2005-2015 50 anni di AIRC L’ultimo decennio È tempo di raccogliere i primi successi della genomica ________________ L’ultimo decennio ha visto arrivare al letto del malato le prime applicazioni pratiche della rivoluzione genomica. Alberto Bardelli è protagonista di una storia esemplare: dalla ricerca del gene responsabile della malattia alla messa a punto della biopsia liquida per monitorare l’efficacia delle cure a cura di FABIO TURONE è, alle porte di Torino, un laboratorio all’avanguardia, gestito con un metodo che si ispira a quello ideato all’inizio del Novecento da Sir Robert Baden-Powell: “Alle volte mi dicono che dirigo il mio laboratorio come un capo-scout” racconta divertito Alberto Bardelli, che all’Istituto per la ricerca e la cura del cancro di Candiolo è a capo del laboratorio di genomica molecolare. “In effetti sono stato negli scout dagli otto ai 21 anni, e sono convinto che per fare ricerca occorra creare un gruppo di persone di valore scientifico che abbiano anche la capacità di legare sul piano umano gli uni con gli altri, pur sapendo bene che la scienza è un ambito molto competitivo”. Bardelli è un esempio concreto, attraverso la sua storia professionale e scientifica, dei recenti sviluppi dell’oncologia. C’ Il nuovo millenio negli USA Piemontese aperto al mondo, Bardelli ha vissuto parecchi anni tra Inghilterra e Stati Uniti, ma è rimasto attaccatissimo alla sua terra: “La mia famiglia è originaria di Guarene D’Alba; io sono nato nel 1967 e sono cresciuto nella Torino industriale degli anni settanta e ottanta, in cui si diceva che si parlavano due lingue, il torinese e il calabrese”. Dopo le superiori la scelta cade sulla facoltà di biologia e durante gli anni dell’università approfitta del progetto Erasmus, partito da poco, per un periodo di soggiorno e studio al Ludwig Institute for Cancer Research di Londra. Nella capitale inglese è poi tornato dopo la laurea, conseguita con lode e menzione d’onore nel 1991, per ottenere anche il dottorato in biochimica e biologia molecolare all'University College, nel 1996. CON PIGLIO DA SCOUT ________________ Alberto Bardelli, direttore del laboratorio di genomica molecolare dell’IRCCS di Candiolo G I 04-08_50_anni_airc_dic15b.qxd 29-10-2013 15:14 Pagina 6 2005-2015 50 anni di AIRC ITALIANI D’AMERICA ________________ La famiglia Bardelli al completo: la moglie Daria, che negli Stati Uniti si è reinventata professionalmente, il figlio Francesco, nato a Baltimora, Alberto e la primogenita Maddalena La decisione che cambierà la sua vita e la sua carriera viene presa in un momento a dir poco complicato, quando si prospetta la possibilità di entrare nel laboratorio di uno tra i ricercatori più apprezzati e citati al mondo, il pioniere americano dello studio della genetica del cancro Bert Vogelstein: “Era il 1999. Mia moglie Daria, conosciuta agli scout e da poco sposata a Guarene, stava iniziando la carriera di avvocato, la primogenita Maddalena era nata da cinque mesi, e avevamo pochissimi soldi, ma decidemmo di partire per Baltimora, dicendoci che saremmo restati un paio d’anni”. L’incontro con Vogelstein è però di quelli che lasciano il segno: “Anche se avevo ricevuto una borsa di studio della Howard Hughes e avevamo limitato all’osso le spese per la casa e per l’auto – avevo comperato una macchina che gli americani chiamano un ‘lemon’, piena di magagne – mi ritrovai presto in difficoltà. Bussai alla porta di Vogelstein e lui, appena capì la situazione, prese il libretto degli assegni e mi chiese di che somma avevo bisogno. Quell’assegno l’ho restituito tre anni dopo – anche grazie alla capacità di mia moglie di reinventarsi in un lavoro, responsabile del personale, che poi ha continuato a fare in Italia – e nel frattempo ho conosciuto un personaggio straordinario, che ama lanciare coraggiosamente sassi nello stagno, 04-08_50_anni_airc_dic15b.qxd 29-10-2013 15:14 Pagina 7 2005-2015 50 anni di AIRC per promuovere il dibattito scientifico e andare oltre gli attuali limiti della conoscenza”. È alla Johns Hopkins University di Baltimora con Vogelstein, negli anni in cui si completa la mappatura dell’intero genoma umano, che Bardelli aggiunge alla visione basata su biochimica e biologia molecolare la chiave della genetica, pubblicando sulla rivista Science un articolo sulla genomica dei tumori che dal 2004 a oggi è stato citato in oltre 1.800 articoli scientifici successivi. Ed è lì che decide di concentrarsi sul tumore del colon-retto: assai frequente, spesso diagnosticato quando ha già prodotto metastasi, e con uno sviluppo e una progressione di cui si conoscono tutti gli stadi. Dal laboratorio al malato La permanenza in uno dei templi della ricerca oncologica si è già prolungata molto più del previsto, anche per la nascita del secondogenito Francesco, quando nel 2004 la famiglia decide di tornare a Torino, dove Bardelli ha ottenuto il posto di professore associato di istologia presso la Facoltà di medicina, e la direzione del programma di ricerca sulla genomica dei tumori e terapie anticancro mirate creato dall'Istituto di Candiolo e associato all'IFOM di Milano. IL CONFESSIONALE ________________ Per assicurare una buona collaborazione all’interno del gruppo di ricerca, Bardelli ha incontri regolari faccia a faccia con ciascuno dei suoi collaboratori, che hanno ribattezzato questo momento “the confessional” È qui in Italia che aggiunge al proprio armamentario di ricercatore anticancro il punto di vista del clinico, e del malato: “È iniziata in quel momento la preziosa collaborazione con Salvatore Siena, oncologo dell’Ospedale Niguarda di Milano: aveva scritto a Vogelstein, che lo aveva indirizzato a me, suggerendo di unire le forze per mettere l’approccio tecnologico e la ricerca in laboratorio al servizio del quesito clinico, poiché Siena era interessato a capire come mai solo alcuni pazienti rispondevano alla terapia”. L’approccio multidisciplinare, oggi molto apprezzato e condiviso, fino a pochi anni fa appariva inconsueto: “La scelta di affiancare la ricerca traslazionale a quella di base andava un po’ controcorrente, ma grazie ai macchinari all’avanguardia messi a disposizione a Candiolo dalla generosità dei piemontesi, tramite la Fondazione piemontese per la ricerca sul cancro siamo riusciti a trasferire in clinica, nella corsia d’ospedale, le conoscenze acquisite sul ruolo di geni come KRAS, BRAF e NRAS nel determinare la risposta ai farmaci” ricorda Bardelli. Queste ricerche sono finanziate anche da AIRC, attraverso un Programma speciale 5 per mille, coordinato da Paolo Comoglio. La lotta alla resistenza SI IMPARA ANCHE DAI PIÙ SFORTUNATI ________________ “Racconto molto spesso la storia della giovane paziente americana colpita da ben 12 lesioni al fegato, grazie alla quale abbiamo potuto capire a fondo la correlazione tra quello che il suo tumore mostrava nelle TC e alla biopsia e quello che potevamo osservare nel sangue, con la cosiddetta biopsia liquida. Lo racconto spesso, ma ogni volta mi commuovo al ricordo” rievoca Bardelli. “Aveva meno di 30 anni, ed era in cura negli Stati Uniti, al Massachusetts General Hospital. I colleghi americani ci contattarono per chiedere se potevamo aiutarli a capire come mai non rispondesse alla terapia. La metà delle lesioni era regredita, ma l’altra metà era cresciuta, ciascuna con un andamento indipendente: era come se fossero 12 pazienti diversi. Studiando il suo caso insieme con i medici e i radiologi abbiamo potuto mettere in relazione l’andamento della malattia con quello che trovavamo nel sangue”. È per una forma di pudicizia e rispetto che Bardelli tiene per sé il nome di questa ragazza americana che ha coraggiosamente, e generosamente, accettato di fare un’ultima biopsia solo per aiutare i ricercatori: “In un certo senso ha donato il corpo alla scienza. Purtroppo non è bastato per salvarla, ma ci ha dato un’inestimabile ricchezza: l’opportunità di accumulare nuove conoscenze sul cancro, a beneficio di tutti i malati”. A Candiolo il gruppo è ora composto da 12 ricercatori di varie nazionalità, a cui Bardelli dedica almeno due volte al mese un’ora per una chiacchierata faccia a faccia: “Lo hanno scherzosamente battezzato ‘the confessional’, il confessionale, perché io insisto che per lavorare bene dobbiamo per forza essere una comunità in cui tutti sanno su cosa lavorano gli altri e come procede la loro ricer- DICEMBRE 2015 | FONDAMENTALE | 7 04-08_50_anni_airc_dic15b.qxd 29-10-2013 15:14 Pagina 8 EVOLUZIONE ANTICANCRO ________________ La biopsia liquida permette di studiare nel tempo l’evoluzione del tumore per conoscerne i punti deboli e imparare a colpirlo con più efficacia LA CONQUISTA SCIENTIFICA ________________ Quando la terapia mirata del tumore del colon metastatico smette di funzionare, può bastare un’interruzione perché recuperi l’efficacia perduta: è questa l’ultima importante scoperta, pubblicata sulla rivista Nature Medicine nel giugno scorso, ottenuta con la “biopsia liquida” messa a punto dal gruppo di Bardelli, in collaborazione con quello di Salvatore Siena dell’Ospedale Niguarda di Milano. A differenza della biopsia vera e propria, che preleva con un ago un campione di tessuto, questa comporta un semplice prelievo di sangue, che viene poi sottoposto a sofisticati esami per rilevare il DNA che le cellule tumorali rilasciano in circolo, messi a punto con l’aiuto determinante della bioinformatica. Questo test è molto meno invasivo della biopsia classica, per cui può essere ripetuto con frequenza: “Spesso quando le lesioni sono numerose capita che rispondano ciascuna a modo proprio al farmaco, alcune regredendo e altre continuando a crescere” spiega Bardelli. “La ricerca mostra che l'evoluzione dei cloni cellulari resistenti non procede in maniera lineare e irreversibile, ma è dinamica e risente dell'esposizione 8 | FONDAMENTALE | DICEMBRE 2015 ai farmaci. Questi esercitano una pressione selettiva che favorisce alcune cellule a svantaggio di altre. In particolare, i livelli di mutazione del gene KRAS, che rendono inefficaci le cure, oscillano in relazione alla presenza o meno dei medicinali cetuximab e panitumumab". Obiettivo delle ricerche è riuscire a seguire ciascun paziente nel tempo per individuare precocemente il momento in cui il tumore è più vulnerabile alle terapie: “Il cancro è in continua evoluzione, per sconfiggerlo occorre essere pronti a mettere a punto rapidamente contromosse sempre nuove” spiega Bardelli. “Ormai conosciamo i principali oncogeni e abbiamo farmaci che colpiscono la aggior parte di questi. Ma per vincere il cancro è l’evoluzione che dobbiamo sopraffare, controllando o eliminando l’evoluzione potremo superare la resistenza e avere risultati duraturi. Anche per questo è importantissimo poter studiare i tessuti malati dei pazienti che vorranno farne dono alla scienza, dopo la morte. Se il progetto che abbiamo in cantiere sarà approvato dal comitato etico dell’Ospedale di Niguarda, come speriamo, potremo capire sempre meglio che cosa non ha funzionato nelle terapie, e mettere a punto le contromisure più efficaci, un po’ come fa incessantemente il nostro sistema immunitario”. ca” racconta. L’obiettivo del lavoro di questi anni è quello di contrastare la capacità del tumore di escogitare sempre nuove forme di resistenza, per cui i farmaci non funzionano su tutti i pazienti e anche in quelli in cui funzionano spesso i benefici svaniscono dopo 612 mesi. Il pensiero lo accompagna anche quando alle cinque e mezzo del mattino del sabato esce di casa con l’amico che chiama scherzosamente “il mio fidanzato alpinista”, conosciuto durante il servizio civile trascorso come obiettore di coscienza insieme ai bambini Down (“È stato l’anno più bello della mia vita”), per andare sulle sue Alpi. D’inverno a fare sci-alpinismo, nelle stagioni calde a pescare nei torrenti di montagna, seguendo i sentieri percorsi dalle bande partigiane di cui ama ricostruire le storie (“Beppe Fenoglio è il mio scrittore preferito”). E il pensiero lo accompagna quando s’interroga su cosa fare della vigna della cascina di famiglia di Guarene, che ha rilevato dai fratelli del papà perché restasse in famiglia: “Durante la guerra il nonno Felice l’aveva convertita a frutteto, per sfamare i sei figli, e da allora è rimasta incolta, quello che chiamiamo gerbido: io vorrei provare a produrre nuovamente vino. Non ho ancora deciso se Dolcetto, Nebbiolo o Arneis, ma di certo sarà un vino tradizionale piemontese”.