GIORGIONE
UN RINNOVATORE
VENEZIANO
All’inizio del XVI secolo si crea nella vicenda dell’arte italiana
una continuità di svolgimento tra Firenze e Roma, mentre le
esperienze artistiche di Venezia si compiono lungo un percorso
in gran parte originale, ma non meno ricco e fecondo; è l’altra
grande alternativa del rinascimento maturo.
Leonardo
Michelangelo
Raffaello
Giorgione è protagonista del rinnovamento della pittura veneziana, nell’arco di pochissimi anni si
affrancò coi legami della tradizione quattrocentesca e introdusse nell’ambiente artistico locale
l’apparato di forme del rinascimento maturo.
La personalità storica di Giorgione è
avvolta nel mistero: nato a Castelfranco
Veneto nel 1478, egli sembra aver
compiuto il proprio apprendistato presso
Giovanni Bellini, ma le sue opere rivelano
una cultura assai complessa, che esorbita
da un semplice tirocinio di bottega.
La sua attività pittorica conosciuta,
raccolta in un brevissimo arco cronologico – dall’inizio del secolo alla morte,
avvenuta nel 1510 - è straordinariamente
intensa e ricca di aspetti innovatori che
condizioneranno lo sviluppo della successiva pittura veneziana. Appassionato
di musica e poesia, frequenta gli ambienti
umanisti e i salotti delle migliori famiglie
veneziane. Nella sua opera sono evidenti
le influenze del Bellini, Durer e Leonardo.
Giorgione, Autoritratto
Giorgione svolge a Venezia un ruolo simile a quello di Leonardo a Firenze. Egli compie i primi passi verso quella
che verrà definita "pittura tonale". A Venezia ed in tutto l'ambiente lagunare cresce l'attenzione per la natura ed il
dato reale. Mentre a Firenze sembra imporsi uno stile governato dalla razionalità, da un criterio quasi matematico,
che tende all'idealismo, a Venezia le leggi prospettiche vengono tralasciate per le suggestioni coloristiche.
Se si potesse schematizzare in modo scarno (e quindi non del tutto esatto), verrebbe da dire che a Firenze
prevalgono linea e disegno, secondo una tendenza neo platonica all'ideale, mentre a Venezia vince il colore,
secondo una tendenza allo studio della realtà tipica della dottrina aristotelica.
Il suo stile, caratterizzato da un
sempre maggiore predominio del colore sulla linea e la composizione,
costituirà una delle cifre più caratterizzanti della pittura veneziana e
sarà di esempio per molti artisti fra i
quali Tiziano e Sebastiano del
Piombo.
Ancora oggi, dopo lunghi studi, la
critica attribuisce con certezza a
Giorgione solo pochi lavori. Il
Vasari, pone il pittore tra i fondatori
di "quella terza maniera che noi
vogliamo chiamare la moderna".
Con ciò lo storico fa riferimento al
Rinascimento maturo, ormai emancipato dagli stilemi quattrocenteschi. Se il Vasari insiste sull'influenza profonda di Leonardo su
Giorgione, oggi la critica tende ad
emancipare il pittore veneto per una
certa innovazione figurativa.
Delle opere giovanili di certa attribuzione, la
più celebre è la "Madonna con bambino fra i
Santi Liberale e Francesco", detta "Pala di
Castelfranco". Commissionata per la morte di
Matteo Costanzo, avvenuta nel 1504, dal
padre del giovane, la Pala venne posta nella
cappella della famiglia a Castelfranco Veneto.
L'opera è tradizionale nel soggetto della
"sacra conversazione", nella posizione simmetrica della Vergine e dei Santi, nell'altezza
del trono.Il confronto con la coeva Pala di San
Zaccaria di Giovanni Bellini (1505) permette
di valutare a pieno le novità del dipinto
Giorgionesco.
Si notano molte sostanziali innovazioni: la posizione elevata della
Madonna, tramite fra il sacro ed il mondo terreno, l'uso scaltro della
prospettiva che pone la linea d'orizzonte tra il trono e il basamento,
permettendo alla vista di partecipare alla vastità dell'immagine, il tutto
mantenendo con un sovradimensionamento l'importanza dei protagonisti dell'opera: la Madonna e il bambino. La tecnica usata non
prevede il disegno, se non nell'impianto prospettico, ma una stesura a
macchie di colore sovrapposto.
G. Bellini, Pala di S. Zaccaria
Giorgione La Tempesta 1506-1508
tela 82 x 73 cm Venezia Gallerie dell’Accademia
Questo dipinto è uno dei più interessanti
del ‘500 italiano, per quanto non siamo
più in grado di riconoscere il soggetto
rappresentato, ma forse, anche all’epoca
in cui venne realizzato, il significato di
questo quadro non era immediatamente
percepibile. Fu commissionato a Giorgione nel 1507 circa dal nobile veneziano Gabriele Vendramin, un intellettuale dell’epoca. Quest’opera è stata ed
è oggetto di fervida discussione interpretativa che dura da oltre un secolo, e
non accenna a placarsi.
Non vi è nemmeno accordo sulle premesse del dibattito, se cioè l’immagine
racchiuda o meno una storia o una allegoria, o una fantasia dell’artista.
L’artista si concentra su un fenomeno naturale,
la tempesta per l’appunto, altro fatto inedito.
L’altra grande novità è la pittura tonale. Fino
a quel momento era il disegno che modellava le
figure, che delineava i volumi, che marcava gli
spazi, con Giorgione questo ruolo viene assunto
dal colore. Allo stesso tempo il colore unifica
l’opera con un tono generale; non ci sono più
forme delineate, racchiuse dal disegno, ma tutto
si fonde in modo armonioso e dolce
Il vero protagonista del quadro è il paesaggio, cosa
del tutto insolita per l’epoca, dove la figura umana
era preponderante e il paesaggio serviva da
sfondo. In questo caso invece l’uomo e la donna
con il bambino sono inseriti in modo armonioso nel
paesaggio, ne fanno parte, ma non hanno un ruolo
predominante, anzi sono spostati a lato.
I Tre Filosofi, 1508 circa Vienna Kunsthistiriscches Museum
Nei tre filosofi Giorgione unisce il nuovo
modulo monumentale della figura umana con lo spazio atmosferico della
natura. La solenne presenza dei tre
personaggi, issati in una sorta di piedistallo naturale, si impone per i vividi
colori e la nuova ampiezza dei volumi
panneggiati; ma ciò che prevale è
ancora una volta il paesaggio, che con
le sue forme determina la struttura
stessa del dipinto; l’immagine riportata
ai valori pittorici e tonali del colore
esprime ancora una volta la visione
giorgionesca dell’accordo tra uomo e
natura. Il significato di quest'opera è
impossibile da dare con certezza.
Nonostante ciò, i critici si sono per anni
sprecati nelle interpretazioni fornendone
alcune di indubbio valore.
Quest'opera fu commissionata a Giorgione da Taddeo Contarini, mercante della Serenissima di cui si
tramanda un interesse per le arti dell'occulto e l'alchimia. Analizzando l'opera si nota che vi sono
parecchi riferimenti e simbologie che tutt’oggi non ci danno la possibilità di sapere con precisione chi
siano questi tre personaggi. La critica in alcuni casi li ha identificati come i Re Magi, nell’atto di
decifrare la profezia sulla nascita del re dei re. In altri casi si crede si riferiscano alle tre grandi religioni,
l’Ebraismo, la fede Islamica e il Cristianesimo.
Giorgione (1510 circa )
La Venere dormiente, dipinto su tela, Gemäldegalerie, Dresda
Il dipinto, uno degli ultimi lavori di
Giorgione, ritrae una donna nuda il
cui profilo sembra seguire quello
delle colline sullo sfondo. L’opera è
spesso attribuita ad una collaborazione tra lo stesso Giorgione e
Tiziano, che dipinse a sua volta la
famosa Venere di Urbino. I capolavori messi a confronto lasciano
intravedere similitudini e differenze
che valgono la pena di essere
analizzati.
Se il tema e la composizione di queste opere
sono molto simili, lo spirito che pervade è del
tutto diverso: in Tiziano si trova un carattere
intimista, caloroso, sensuale e un’unità compositiva che manca alla VENERE del Giorgione,
posta in primo piano e non integrata nel
paesaggio, in modo da offrire un aspetto un po’
teatrale alla scena. Nell’opera di Tiziano la
materia è vibrante, i colori si fondono delicatamente gli uni con gli altri, mentre in
Giorgione i rapporti tra forma e colore sono più
taglienti e rendono più fredda l’atmosfera della
tela.
Tiziano, Venere di Urbino, 1538
FINE
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