Comune di Comacchio - Assessorato alla Cultura Università Ca’ Foscari - Cattedra di Archeologia Medievale Comacchio: una città alto-medievale e l’archeologia Da una Mostra a uno scavo a una Mostra, passando per un Convegno di S. Gelichi, E. Grandi, con una cartolina di R. Hodges L’intento di presentare a Comacchio gli atti del convegno internazionale sull’alto medioevo From one sea to another. Trading places in the European and Mediterranean Early Middle ages (Da un mare all’altro. Luoghi di scambio nell’Alto Medioevo europeo e mediterraneo), che si è tenuto nella nostra città nell’anno 2009, riflette adeguatamente l’attenzione che l’Amministrazione Comunale conferisce alla cultura e in particolare alla storia millenaria di questo territorio. La presentazione del volume vuole pertanto essere un momento qualificante all’interno di un fecondo percorso di studi, avviati nel 2006 dall’Università Ca’ Foscari di Venezia – Dipartimento di Scienze dell’Antichità e del Vicino Oriente (ora Dipartimento di Studi Umanistici) – dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e dal Comune di Comacchio, in una proficua sinergia che ha avuto quale frutto maggiore il risultato delle indagini archeologiche compiute dall’Università sul sito di Comacchio, sotto la direzione di Sauro Gelichi e Luigi Malnati. L’Amministrazione ha voluto produrre questo agile libretto, a firma Sauro Gelichi ed Elena Grandi, di cui queste brevi note sono poste a premessa istituzionale. È stato realizzato per avvicinare ai lettori e rendere più facilmente comprensibili le informazioni tratte dal monumentale libro degli atti, che per lo più è in lingua inglese, a motivo della sua diffusione internazionale. È importante ed opportuno operare costantemente per una adeguata comunicazione ai cittadini e al pubblico delle nuove ricerche, come del resto è stato fatto spesso a Comacchio in questi anni dall’Università di Venezia, durante gli scavi e nel corso delle iniziative successive agli stessi. Le indagini archeologiche effettuate nella zona antistante il sagrato della basilica concattedrale di Comacchio e nel settore nord-occidentale del centro abitato hanno portato alla luce reperti e strutture di grande interesse storico per la comprensione delle origini della nostra città e di altre nate nello stesso periodo, tra cui Venezia e Grado, ma anche per lo studio degli equilibri commerciali europei nell’alto medioevo. Gli esiti sono così confluiti in importanti iniziative culturali, di respiro internazionale, quali il convegno e la mostra archeologica “L’Isola del Vescovo”, allestita nell’anno 2009 nel Settecentesco Ospedale degli Infermi. Grazie agli studi di Sauro Gelichi e della sua équipe si è potuto risalire, così, al ruolo di primissimo piano ricoperto da Comacchio nei secoli VII e VIII d.C. quale porto commerciale di collegamento in un crocevia di percorsi d’acqua che servivano i territori longobardi e padani e le rotte mediterranee bizantine. I resti dell’antica cattedrale hanno confermato la presenza di una sede vescovile e di botteghe artigianali. La presentazione del volume, che raccoglie gli atti del convegno internazionale sugli empori e le rotte commerciali nell’Occidente altomedievale, permette all’Amministrazione Comunale di trarre nuovi stimoli per ripensare alla propria archeologia. Questa tappa offre anche l’opportunità di pianificare, con rinnovato vigore e interesse storico, altre ricerche nella direzione già intrapresa. Le Istituzioni hanno il dovere di salvaguardare il patrimonio archeologico, che ci consente di studiare la nostra storia, ricostruendo minuziosamente tutte le fasi in cui si è evoluta la nostra civiltà. Un sentito ringraziamento dunque va espresso al professor Sauro Gelichi e al professor Richard Hodges, curatori del volume degli atti, al Centro Interuniversitario per la Storia e l’Archeologia dell’Alto Medioevo che ne è l’Ente promotore e responsabile, all’Università di Venezia e a tutti coloro che ci hanno offerto questa straordinaria occasione per leggere e per conoscere il nostro passato, colmando tanti vuoti. Un ringraziamento particolare va anche alla Fondazione Cassa di Risparmio di Ferrara, la quale ha generosamente contribuito alla realizzazione del volume degli atti “From one sea to another. Trading places in the European and Mediterranean Early Middle ages”. Alice Carli Assessore alla Cultura Marco Fabbri Sindaco del Comune di Comacchio 2 Introduzione ‘‘Il grande storico belga Henri Pirenne e la sua scuola dedicarono accuratissime ricerche a dimostrare che l’avanzata musulmana nel VII e VIII secolo dell’era cristiana diede il colpo finale alle già traballanti relazioni commerciali tra Est ed Ovest; di conseguenza il pepe in Occidente divenne scarso come non mai”. C. M. Cipolla Il ruolo delle spezie (e del pepe in particolare) nello sviluppo economico del medioevo, in Allegro ma non troppo, Bologna 1988, p. 16 “In porto Parmisiano… piper oncias duas…”. Capitolare di Liutprando Biblioteca Comunale di Cremona Questo libretto ci è stato chiesto dall’Amministrazione di Comacchio. Un testo, di facile lettura, da pubblicare in occasione della presentazione, a Comacchio, di un libro ben più ostico da digerire: gli atti di un Convegno Internazionale che si è tenuto nel marzo del 2009 a seguito di una Mostra, ‘L’Isola del vescovo’. Atti di un Convegno che, all’inusualità dell’argomento, associano anche il problema della lingua (è scritto in gran parte in inglese). Ma tutto ha una sua ragionevole spiegazione: il tema non usuale, ma necessario, perché ci si prefiggeva lo scopo, come ha scritto Richard Hodges, di “dare il benvenuto a Comacchio nel club dei grandi siti europei altomedievali”; la lingua, ‘barbara’, perché entrare in quel club così esclusivo significa parlare uno stesso idioma universale (che oggi non è più, ahinoi, il latino!). Su Comacchio abbiamo già scritto molto, in questi ultimi anni, e molto, ancora, pensiamo di scrivere nel futuro, visto che è in cantiere un volume monografico sugli scavi della Cattedrale e di Villaggio San Francesco. Dunque, questo libretto non vuole ripetere che cosa pensiamo di Comacchio, né discutere il suo ruolo nell’ambito dell’archeologia medievale europea; né, infine, vuole condensare, “bignamino” in pillole, quanto è stato detto in occasione di quell’incontro (anche se qualche riferimento per un pubblico di ‘non addetti ai lavori’ è d’obbligo). Vuole essere, semplicemente, il racconto spiegato di un progetto; e la storia di un rapporto, non sempre facile, tra un gruppo di ricercatori e una comunità. L’archeologia ha una difficile funzione in una società come la nostra: difficile perché importa modelli, e dunque principi generali da cui discendono comportamenti, disposizioni e regole, che sono stati elaborati in un contesto socio-culturale molto diverso e cronologicamente lontano da quello attuale. Inoltre, se la Società è cambiata anche l’Archeologia non è più 3 la stessa. Tentare di coniugare, dunque, una nuova Archeologia con una diversa Società è una scommessa che la nostra Comunità Scientifica non ha ancora tentato di affrontare, ma indiscutibilmente dovrà farlo in un prossimo futuro (se non vogliamo vedere disperso e mortificato il nostro patrimonio archeologico, o perché dilapidato da un’insensibilità crescente, o perché ‘imbalsamato’ in uno spazio senza tempo e senza vita). Il rapporto concreto con una realtà concreta, come quella comacchiese, può dunque rappresentare, come ha rappresentato per noi, un’esperienza molto istruttiva. La nostra scommessa, non lo nascondo ambiziosa, era infatti quella di trasferire un progetto (che nasceva da una precisa motivazione scientifica) elaborato altrove (per di più nella nemica storica, e rivale, Venezia!) in uno spazio ben preciso, fisicamente connotato, popoloso e chiaramente definito sul piano dell’identità; e tentare di far vivere, e di far crescere, quel progetto cercando di agglutinare, attorno ad esso, il massimo del consenso. Non perché pensiamo che non possano esistere idee, valori e forti convincimenti anche al di fuori di un’opinione comune e diffusa, spesso dettata dalla convenienza; ma perché riteniamo che, in tema di ‘beni pubblici’ (e il patrimonio archeologico lo è di diritto, sia nelle sue espressioni materiali che in quelle immateriali), la condivisione sia una procedura ineludibile, un passaggio non negoziabile. Così, far discendere l’azione archeologica da un progetto (e non viceversa, come quasi sempre accade) e tentare di spiegare e condividere le ragioni di quel progetto (che, oltretutto ha, come qualsiasi attività archeologica buona o cattiva che sia, un costo sociale elevato) è stata tra le priorità che ci siamo dati. Tutto questo è avvenuto, non lo nego, tra qualche inevitabile polemica, a mio giudizio dettata più da atavici fraintendimenti (e da un radicato senso di ‘distanza’ che permea qualsiasi locale rivendicazione) che non da una meditata convinzione etica e scientifica. Tuttavia non sempre siamo stati convincenti, anche se non ci possiamo rimproverare la ricerca costante di un dialogo, l’apertura quotidiana di canali di comunicazione diretta: e lo abbiamo fatto attraverso incontri pubblici (anche a livello politico) e attraverso lo strumento più facile che avevamo a disposizione, ma che raramente viene impiegato. Abbiamo, cioè, aperto il cantiere: anzi, l’abbiamo sempre lasciato aperto. Sfidando le ragioni della ‘segretezza’ archeologica, abbiamo messo alla prova i cittadini di Comacchio ponendoli a diretto contatto, senza diaframmi, con i loro ‘tesori’. E abbiamo anche cercato di raccontarli questi tesori che venivano ogni giorno alla luce, tentando di eliminare, insieme alle barriere fisiche, anche quegli ostacoli psicologici che spesso allontanano i cittadini dai loro beni. Un segmento della storia di questi luoghi è comunque emerso dalla penombra dove gli eventi umani l’avevano da tempo relegato; anzi, per un breve periodo, ha conosciuto pure ‘le luci di una ribalta’ internazionale. Così lo consegniamo alla collettività, sperando che sappia farne buon uso per il futuro. Per quanto ci riguarda, non ci resta che ringraziare le molte persone che al progetto su Comacchio hanno creduto, lo hanno aiutato a crescere e a concretizzarsi: i molti che qui hanno lavorato, insegnando ed imparando, e i molti che fuori da qui hanno guardato a questa esperienza con occhi, spero, che non siano stati solo quelli dell’amicizia. Sauro Gelichi Ferrara gennaio 2013 4 Le ragioni di un progetto archeologico e l’identità di Comacchio Sauro Gelichi Il progetto archeologico su Comacchio altomedievale nasce nel 2003, quando un gruppo di ricerca cominciò a lavorare all’allestimento della mostra ‘Genti nel delta’, un’esposizione organizzata in coincidenza con le celebrazioni dell’anniversario del Santo Patrono cittadino, cioè San Cassiano. L‘occasione rappresentava poco più di un pretesto per riprendere in considerazione un segmento temporale della storia di questo abitato che aveva conosciuto, nel passato, alterne vicende. Come è noto, le fortune archeologiche di questi luoghi erano cominciate verso gli anni ’20 del Novecento con le bonifiche di Valle Trebba e, a seguire, di Valle Pega, interventi che avevano avuto lo scopo di recuperare terre all’agricoltura e di far uscire dall’isolamento Comacchio, che fino ad allora era un isola. Queste bonifiche ebbero anche il merito di riportare alla luce, in maniera meno episodica di quanto non fosse avvenuto nel passato, i resti di alcune necropoli dell’antica Spina che, grazie ai loro corredi funebri, svolsero anche la funzione di porre alla ribalta nazionale questi dimenticati territori. La ricchezza quantitativa e qualitativa dei corredi etruschi non solo aveva attirato l’attenzione della comunità scientifica su Comacchio, ma aveva anche favorito la nascita di una percezione comune che identificava in quegli oggetti (e nelle popolazioni che li avevano prodotti e/o utilizzati) i progenitori dei pescatori e salinari lagunari. Se non per via diretta (Comacchio all’epoca di Spina non esisteva), l’antica città etrusca, e i suoi oggetti finalmente ritornati alla luce dopo un lungo oblio, sembravano ridare un senso identitario a questa comunità e l’aiutavano ad uscire da quello splendido isolamento nel quale si era trovata per secoli. Naturalmente le scoperte nelle Il regista Alfred Hitchcock nel 1960 alla ‘Mostra Valli non avevano restituito solo materiali dell’Etruria padana e della città di Spina’ a Bologna (http://www.flickr.com/ risalenti alla ‘stagione dell’oro’ spinetico. tenutasi photosilfattoquotidiano/5815486606/) Saltuariamente, infatti, erano venuti alla luce reperti di epoca romana ed ancora posteriore, che documentavano non solo l’ovvia frequentazione di questi luoghi in epoche più tarde, ma sembravano già delineare i caratteri e la fisionomia di un territorio senza più Spina. In particolare, sembravano già molto promettenti le scoperte in valle Ponti (Baro dei Ponti e Baro delle Pietre), a nord-ovest poco fuori l’abitato di Comacchio, da cui provenivano diversi elementi lapidei decorati altomedievali e, soprattutto, i ritrovamenti in loc. Motta della Girata, dove vennero alla luce i resti di una chiesa con annesso battistero e, vicino, un’estesa necropoli con più di duecento inumazioni. 5 Santa Maria in Padovetere, la chiesa e il battistero Ambone da Valle Ponti, foto degli anni ’30 del secolo scorso (foto di A. Felletti, archivio di Antonio Bruno Felletti, Comacchio) Per quanto a rimorchio di un’archeologia che aveva nei tesori etruschi il suo centro, queste scoperte relative al periodo altomedievale riportavano (o avrebbero dovuto riportare) l’attenzione su un altro momento durante il quale questi territori erano stati decisamente importanti (e, curiosamente, per gli stessi motivi per cui lo erano stati durante il mondo antico). Le fonti scritte, infatti, e soprattutto un famoso documento conservato a Cremona (il c. d. Capitolare di Liutprando), raccontavano dell’esistenza, verso gli inizi del secolo VIII, di un insediamento che si chiamava Comacchio (proprio come l’abitato attuale) i cui abitanti avevano stipulato un trattato con i Longobardi per il commercio lungo il Po e i suoi affluenti. Da questo documento si apprendeva, dunque, che alle soglie dell’altomedioevo la frangia meridionale dell’estuario del Po era tornata ad essere decisiva Valle Trebba 1928. Disegno tratto dal nelle relazioni commerciali ed economiche tra “Giornale di Scavo” l’Adriatico (e, più in generale, il Mediterraneo) e l’entroterra padano (ora sotto il dominio longobardo). L’archeologia comacchiese, dunque, avrebbe potuto percorrere anche queste vie, se i malfermi passi che muoveva allora l’archeologia medievale, da una parte, e l’ingombrante peso del passato spinetico, dall’altra, non avessero consigliato altre strade. Non vi è dubbio che l’archeologia a Comacchio nasca sotto il segno di un fraintendimento, di una prospettiva di ricerca distorta. Comacchio, in quanto tale, è il prodotto di un processo formativo che niente ha a che fare con il mondo antico e con la città etrusca. Negli anni in cui l’emporio spinetico emergeva quale nodo commerciale, la zona dove sorgerà Comacchio era sommersa dalle acque dell’Adriatico. Nell’epoca immediatamente successiva, quella romana, un tipo diverso di popolamento aveva caratterizzato questi territori: vasti spazi di proprietà del fisco imperiale all’interno dei quali si alternavano fattorie a ville a piccoli nuclei abitati (vici), il più grande dei quali, Vicus Habentia, non assurse mai a 6 dignità di città. Una realtà insediativa profondamente modificata e mutata che, in condizioni storicoeconomiche completamente differenti, avrebbe però riconsegnato, ad un insediamento nuovo in un nuovo spazio strappato prima al mare, poi alla laguna, quel primato che dieci secoli prima era stato di Spina. Ma questo è l’unico possibile collegamento che ci è consentito avanzare tra Spina e Comacchio: niente di più di una coincidenza funzionale connessa con una rinnovata centralità delle vie d’acqua sulle vie terrestri. Si sarebbe tentati di addebitare ad un fraintendimento storiografico, da una parte, e ad un legittimo anelito di restituzione di beni (le ceramiche spinetiche), dall’altro, la responsabilità di aver lasciato il medioevo (nel suo complesso) in mano ad una colta erudizione che faceva a meno del dato materiale. Ma non è così, o non è solo questo. L’altomedioevo comacchiese, in particolare tra gli anni ’70 e ’90 del secolo scorso, Il Capitolare di Liutrprando (718-730) è stato infatti al centro di molti contributi scientifici con indicazione degli “habitatoribus che hanno cercato di recuperare il dato archeologico comaclo” e di contestualizzarlo. Tuttavia questo è avvenuto limitandone l’uso nell’alveo di una pratica tradizionale e piegandolo di fatto ad un tracciato disegnato da una storiografia che indulgeva alla ricostruzione ‘erudita’ e ai suoi tipici topoi (longobardo-bizantini, la guerra e il limes, la sequenza episcopale che affondava nella notte dei tempi). La ‘cultura materiale’, che avrebbe potuto aprire un seppur timido varco nella spessa coltre delle ovvietà comacchiesi, rimaneva timida spettatrice, illustratrice muta di storie raccontate da altri. In realtà, una lettura più smaliziata e aggiornata dell’edito archeologico e una riconsiderazione diretta dell’inedito, avvenuti in occasione della Mostra ‘Genti nel Delta’, dimostravano una situazione differente, e soprattutto differentemente relazionata con il Regno longobardo e l’Impero bizantino, prima, con l’Impero Carolingio, poi. Non erano solo nuovi oggetti a raccontare una diversa storia, ma era soprattutto un diverso approccio a tutto quanto il contesto archeologico comacchiese a profilare scenari interpretativi profondamente mutati; e a posizionare dunque Comacchio in un contesto nuovo, senza dubbio più stimolante. Inaugurazione della mostra ‘Genti nel Delta’ (16/12/2006) 7 Genti nel Delta. Punto d’arrivo e punto di partenza Sauro Gelichi Gli esiti degli studi avviati nel 2003 furono utilizzati per realizzare una sezione della Mostra ‘Genti nel Delta’ e contribuirono alla redazione di una parte, piuttosto corposa, del Catalogo che accompagnava quell’esposizione. L’analisi diretta di tutti i materiali rinvenuti a Comacchio, e la possibilità di studiare i risultati dei saggi praticati nel 1996 in loc. Villaggio San Francesco (alla periferia ovest dell’abitato, in occasione di una prima lottizzazione dell’area), fornirono gli strumenti di base per riformulare una piattaforma progettuale su Comacchio altomedievale. Gli studi sui materiali fecero innanzitutto emergere, con grande chiarezza, la presenza di un numero consistente di contenitori anforici (le c. d. anfore ‘globulari’), databili tra VIII e IX secolo. Scoperte un po’ ovunque nel passato (ma soprattutto nelle trincee di Villaggio San Francesco), queste anfore sono risultate essere una costante nei depositi comacchiesi che, nel contempo, andavano a caratterizzare in maniera molto originale, sia sul piano qualitativo che quantitativo (al Il catalogo della mostra momento, infatti, in nessun altro insediamento dell’Italia settentrionale ne è stato ritrovato un numero così alto). Poi, il posizionamento (geo-referenziazione) di tutti i ritrovamenti [in particolare le palificazioni scoperte dal Proni (assistente della Soprintendenza per i Beni Archeologici) negli anni ‘20 e ’30 e quelle emerse nell’area di Villaggio San Francesco negli anni ‘90], permisero di riconoscere, proprio in quella zona ad ovest dell’attuale abitato, un importante snodo dell’insediamento altomedievale, caratterizzato funzionalmente in senso marittimo e commerciale. Se non proprio il porto di Comacchio, almeno un porto di Comacchio nell’alto-medioevo, come dimostravano proprio le tipologie dei contesti archeologici messi in luce (banchine, piattaforme, terminazioni spondali). Inoltre, anche le altre tipologie di manufatti (i recipienti in Anfora globulare altomeceramica e pietra ollare, i vetri, i metalli) lasciavano intravedere dievale (dalla Crypta Balbi, una fisionomia della ‘cultura materiale’ comunque diversa da Roma) quella dei coevi insediamenti di terraferma e molto più vicina a quella che, nel frattempo, stava emergendo nella laguna veneziana. La Mostra del 2006 aveva messo in evidenza, dunque, le enormi potenzialità di questo sito e, soprattutto, ne aveva descritto, con chiarezza, le specificità, che erano innanzitutto quelle di ‘nuovo centro abitato’, sorto da nulla in una zona non precedentemente insediata. Inoltre, indipendentemente da come venisse qualificato nelle fonti scritte (castrum, insula, 8 Le ‘palafitte’ di Valle Ponti nel 1924, dal “Giornale di scavo” di F. Proni Resti lignei dalle trincee per i sottoservizi di Villaggio San Francesco etc.), Comacchio appariva molto più vicino ai coevi empori del nord Europa che non alle città italiche sopravvissute al collasso del mondo romano. E questo nonostante che le differenze fossero pure sostanziali, come ad esempio il ruolo che qui avevano giocato le gerarchie ecclesiastiche (l’arcivescovo di Ravenna, una stabile sede episcopale a partire dal secolo VIII) o quelle civili (quali erano, e quali erano state, le sue relazioni con il potere bizantino?). Per mettere meglio a fuoco il senso e il significato della Comacchio altomedievale, dunque, era necessario agire in due direzioni. La prima era quella di sganciare la storia del sito da una tradizione di studi che ne relegava il ruolo ad una dimensione tipicamente regionale, la stessa che lo collegava in maniera Posizionamento delle ‘palafitte’ ritrovate esclusiva allo sfruttamento, pure importante, durante le bonifiche e delle trincee del 1996 del sale. Una storiografia che era propensa a nell’area archeologica di Valle Ponti e di leggere le vicende di questo abitato più nelle Villaggo San Francesco dinamiche politico-militari del Regno e poi dell’Impero (conflitto Longobardi-Bizantini, poi Franchi-Longobardi) che non in una quadro, di sicuro più interessante, di genesi di una nuova comunità. Inoltre, disincagliare la storia di Comacchio dalle vulgate locali, significava anche tentare un ardito ma plausibile confronto con un fenomeno che gli storici e gli archeologi nord Europei conoscevano bene, ma che sembrava del tutto estraneo alla realtà italiana: quello degli empori. Un percorso che ci aiutava meglio a capire Comacchio, l’urbanesimo altomedievale e, ancora, la fisionomia storico-economica del nord Italia durante l’altomedioevo. L’altra direzione era quella di pensare, in forme del tutto nuove, a dare un senso e una diversa organizzazione alla ricerca archeologica: non più una pratica collegata all’emergenza, dove non c’è attività che non sia il frutto del caso, ma una pratica che discendesse da 9 Comacchio nell’altro medioevo (disegno ricostruttivo di R. Merlo) un progetto, il quale a sua volta coordinasse e programmasse le indagini sul territorio. Non era difficile, bastava cominciare a mappare il rischio archeologico (e per alcune zone questo è stato anche fatto) e, di converso, ritagliare tra le risorse che l’Amministrazione doveva comunque investire per lavori di pubblica utilità, quei finanziamenti che avrebbero permesso, appunto, di fare vera prevenzione. In sostanza si trattava di applicare a Comacchio quello che si stava cercando di fare anche in altre province della regione, e L’area degli scavi attorno alla Cattedrale di farlo mettendo le risorse della collettività al servizio di un programma che doveva essere chiaro negli intenti, nelle procedure e nella finalità. Comacchio era nata nell’altomedioevo e dunque lavorare a Comacchio non poteva che trovare in quel particolare momento storico, e nelle sue testimonianze materiali, il suo principale motivo di interesse. Per farlo, però, era necessario essere credibili, proporre qualcosa che la cittadinanza avrebbe dovuto accogliere e condividere. Così, quando si seppe che l’Amministrazione comunale doveva rifare la pavimentazione intorno alla Cattedrale (cuore spirituale e civile della Comacchio storica), venne spontaneo proporre di far anticipare quelle ricerche sul sagrato da un approfondito ed esteso scavo archeologico: una volta tanto gli archeologi non sarebbero stati imbarazzati testimoni di un intervento in corso d’opera (tra le ruspe che incombono e la fretta che incalza), ma protagonisti di una ricerca scientifica, con i tempi che occorrevano e le modalità che si rendevano necessarie. La Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna, e il suo Soprintendente, furono altrettanto audaci sperimentatori nel condividere con noi quell’esperienza (nei modi, nei tempi). E così il lungo scavo intorno alla Cattedrale ebbe inizio. Era il 2006: sapevamo già molto di Comacchio, ma per la prima volta ci veniva offerta la possibilità di toccare con le nostre mani i depositi archeologici, e dunque di accedere direttamente ai segreti del sottosuolo. Le nostre speranze non vennero disattese. 10 L’isola del vescovo. Gli scavi presso la Cattedrale Elena Grandi Si è detto nelle pagine precedenti che la ricerca archeologica ha un costo – ed un impatto aggiungerei – sociale non indifferente. Ma l’aver investito qualche tempo e qualche risorsa in più per uno scavo archeologico stratigrafico, condotto manualmente, nel cantiere di Piazza XX Settembre, ha permesso di recuperare oggetti e dati fondamentali per conoscere la storia di Comacchio, dati che, con un diverso tipo di intervento, sarebbero andati perduti. Scavo stratigrafico e manuale: in queste parole è in qualche modo racchiuso il senso, oltre che il metodo, della nostra ricerca; e non è un concetto così scontato. Nei mesi trascorsi a lavorare in piazza, così spesso ci hanno chiesto perché scavavamo così, perché fare tutta quella fatica, pala, secchi, chini nel fango o sotto il sole, se non anche cosa cercassimo, che lì non c’era niente, alludendo a mirabili vasi spinetici palesemente più belli dei cocci monocromi e informi che con tanta cura raccoglievamo. Credo che le ragioni di questo modo di procedere, del nostro ‘cercare’, siano per lo più arrivate a chi, giorno dopo giorno, si è soffermato a bordo scavo, osservando in modo curioso – o molto spesso perplesso – l’avanzamento dei lavori. Ed è con l’intento di condividere con la comunità i risultati raggiunti che nel marzo del 2009, a scavo appena ultimato, perciò senza gli approfondimenti e la rielaborazione che sono tutt’ora in corso, è stata allestita la mostra ‘L’isola del vescovo. Gli scavi archeologici intorno alla Cattedrale di Archeologi al lavoro Lo scavo di una sepoltura Archeologi al lavoro 11 La sala dedicata alla bottega artigiana (foto di Arbali Walter) Artigiano al lavoro (bozzetto di R. Merlo) ‘Sulle dune sabbiose’: la prima sala della mostra Locandina della ‘L’Isola del vescovo’ mostra Fibbia in bronzo dalle fasi originarie di Comacchio (seconda metà VI sec d.C) Comacchio’, corredata dall’omonimo catalogo. La mostra raccontava le tappe salienti di mille e duecento anni di storia di Comacchio, riscoperte grazie ai 180 mq di scavo praticato tra il 2006 e il 2008 intorno al duomo di San Cassiano, in quella che, a ragione, abbiamo battezzato come ‘isola del vescovo’. Ripercorriamole brevemente. A circa tre metri dal piano di campagna abbiamo potuto individuare le prime testimonianze della storia dell’insediamento, deboli tracce di una capanna con focolare costruita direttamente sulle sabbie naturali. I reperti associati, tra cui una notevole fibbia in bronzo molto ben conservata, la datano alla seconda metà del VI secolo d.C.. Questo, dunque, è il momento in cui vennero occupate le dune e gli isolotti recentemente formatisi grazie all’avanzare dei depositi del delta; ma oggi sappiamo ancora molto poco di questa fase primigenia 12 Comacchio nella seconda metà del VI sec. d.C. (disegno di R. Merlo) Scorie di lavorazione del vetro Matrice in marmo per realizzare lettere in bronzo L’atelier artigianale dallo scavo di Piazza XX settembre Scorie di lavorazione dei metalli A destra: matrice in bronzo per realizzare cammei in vetro (dallo scavo di Piazza XX settembre). A sinistra: uno dei cammei che orna il reliquiario a capsella del Tesoro del Duomo di Cividale del Friuli (Museo Cristiano e Tesoro del Duomo, Parrocchia di S. Maria Assunta) 13 Comacchio nel VII secolo, quartieri artigianali e abitativi (disegno di R. Merlo) dell’insediamento. Molto più evidenti e ricchi di informazioni sono i resti archeologici della fase successiva: un’interessatissima struttura che ospitava attività artigianali e produttive di grande rilievo, come quelle della lavorazione dei metalli e del vetro, testimoniate da una fornace e fuochi di lavoro, da scorie metalliche e vitree, oltre che da un’ingente quantità di frammenti di crogioli in pietra ollare. All’interno di questa officina, nel tardo VII secolo, si producevano recipienti in vetro (probabilmente bicchieri), manufatti di grande pregio artistico (cammei vitrei), oggetti in metallo (tra cui lettere in bronzo) e oggetti in osso. La fornace individuata era probabilmente destinata alla soffiatura del vetro; lo scavo ha messo in luce solo una parte dell’atelier, lasciando presagire un complesso più ampio in cui si articolavano le diverse fasi di lavorazione e si svolgevano attività altamente specializzate. L’eccezionalità della scoperta è palese se consideriamo Planimetria ipotetica dell’area della primitiva chiesa vescovile, con il cimitero antistante (VIII sec. d.C.) 14 Frammenti dell’arredo scultoreo della chiesa vescovile usati come elementi di reimpiego nel secolo XI Frammento di colonna in marmo Frammento di trabeazione con iscrizione dedicatoria Frammento di trabeazione con figura togata che, per l’alto medioevo, i possibili confronti vengono solo da pochissimi luoghi: Roma, l’isola di Torcello (Venezia) e il monastero di San Vincenzo al Volturno (Isernia); anche guardando all’estero, quello di Comacchio resta un ritrovamento di estremo rilievo. Sul fare del secolo VIII l’edificio produttivo fu smantellato; l’area che occupava fu adibita a cimitero, con sepolture in semplici fosse disposte ordinatamente entro un limite topografico ben definito. La necropoli era collocata davanti alla prima cattedrale di Comacchio, che proprio in questo momento divenne sede vescovile. Questo edificio religioso fu distrutto nel X secolo ma numerosi elementi architettonici – calcari e marmi decorati, nonché tessere musive pavimentali – recuperati durante lo scavo, permettono di ricomporre e immaginare parte del suo arredo interno: recinti con pilastrini e plutei, colonne e capitelli, trabeazioni anche 15 Lastre marmoree e tessere musive pavimentali della chiesa altomedioevale iscritte. Sappiamo che tra IX e X secolo la chiesa era cinta da un fossato, delimitato da un terrapieno e da una palizzata lignea: questa è l’unica struttura difensiva che gli scavi hanno restituito. Forse, non a caso, la sua presenza è ascrivibile ad un periodo di instabilità data dai conflitti con i Veneziani e dalla minaccia saracena. Il secolo XI rappresenta un momento di riqualificazione del complesso vescovile: la chiesa fu ricostruita e ad essa vennero associati due grandi edifici porticati che delimitavano il sagrato antistante . Si tratta probabilmente del palazzo vescovile e di ambienti accessori, che restarono in uso fino al Quattrocento inoltrato. A partire da questo momento, dopo l’abbattimento del palazzo, l’area fu ancora una volta risistemata e destinata ad uso cimiteriale. Salvo interventi di carattere architettonico, come la realizzazione di un portale monumentale sul lato meridionale della chiesa, la costruzione di una torre campanaria e poi l’avvio del cantiere del duomo, l’uso di seppellire sul lato dell’edificio perdurò fino al XVIII secolo, quando il completamento del duomo di San Cassiano – quale è oggi – la sistemazione definitiva del sagrato. Quanto emerso da questa potente Denaro di Ludovico il Pio coniato a Venezia (819822) trovato nei livelli di distruzione della Chiesa Planimetria ipotetica dell’area episcopale nel secolo XI 16 stratigrafia è stato minuziosamente raccolto, catalogato, contato, pulito, in parte consolidato e restaurato, per poi essere analizzato in laboratorio, disegnato ed esaminato. Allo studio di questi materiali stanno partecipando specialisti italiani e stranieri, i quali hanno accolto l’invito a lavorare con noi, per lo più gratuitamente, grazie alla rilevanza dei ritrovamenti comacchiesi. Si tratta di studiosi di resti botanici, di resti ossei animali o umani, di numismatici, di storici dell’arte, di esperti di arti minori, di ceramologi. Sono poi in corso analisi di laboratorio che consentiranno di determinare, con l’aiuto delle scienze esatte, come la chimica e la fisica, quale fosse il contenuto delle anfore, quale la composizione e la tecnologia del vetro e del metallo che qui si lavorava e la possibile provenienza dei contenitori da trasporto. Grazie a questo lavoro d’équipe potremo sfruttare tutto il reale potenziale informativo di uno scarto di lavorazione, di un ‘banale’ coccio, di un campione di legno, di osso o di terreno. Materiali che a tanti sembrava un non senso raccogliere e che noi speriamo invece di poter concretamente tradurre in conoscenza per l’intera comunità. 17 Rosario in lignite da una sepoltura di età moderna Ingresso laterale monumentale della Cattedrale (XVI sec.) Un Po di economia. Comacchio emporio altomedievale Elena Grandi L’ipotesi che nell’alto medioevo Comacchio fosse stato uno snodo commerciale, tra i traffici marittimi e quelli diretti verso la pianura padana, era stata formulata sulla base del famoso trattato stipulato con i Longobardi nel 715. Il riesame della documentazione delle bonifiche presso Baro dei Ponti e dei più recenti interventi edilizi in Villaggio San Francesco ci aveva condotti ad un primo riscontro materiale di tale ipotesi: i pali e gli assiti di legno affiorati in quelle occasioni erano probabilmente da interpretarsi come i resti di strutture portuali. È in quella zona, dunque, che una volta conclusa la campagna di scavo in centro città, ci siamo diretti per praticare, tra il 2008 e il 2009, alcuni sondaggi di analisi diretta. Le esigenze prioritarie erano quelle di recuperare una sequenza affidabile, che ci permettesse di inquadrare cronologicamente quei pontili e tavolati, e di verificare se la teoria che si trattasse di infrastrutture portuali fosse percorribile. Quanto emerso dai sondaggi ha superato le nostre aspettative poiché il grado di conservazione delle strutture supersiti è eccezionale. Si tratta di pontili con pali infissi e assiti orizzontali, come quelli di cui ci era arrivata documentazione, e di strutture di spondali di contenimento che delimitano una banchina dotata di scivolo di alaggio. Resti di pontile in uno dei sondaggi di Villaggio San Francesco Banchina con scivolo di alaggio coperto di pece, discendente verso il canale (parte inferiore della foto) Struttura lignea di contenimento della banchina prospiciente un canale portuale e tracce di una struttura (magazzino?) bruciata (Villaggio San Francesco, scavo 2009) 18 Contenitore da trasporto in ceramica depurata da Comacchio Frammenti di contenitori da trasporto dallo scavo del porto (Villaggio San Francesco, scavo 2009) Anfore globulari alto medievali da Comacchio Il cospicuo numero di contenitori da trasporto raccolti, sostanzialmente l’unica classe di materiali qui presente, da un lato consente di datare queste costruzioni e il loro funzionamento tra il tardo VII secolo e l’inoltrato IX secolo, dall’altro conferma la funzionalità dell’area, prioritariamente commerciale. Il sito occupa un’area molto grande, stimabile in via preliminare in circa 75.000 mq., e corrispondente alla zona dell’attuale Villaggio San Francesco ed ex Zuccherificio, che nell’alto medioevo si articolava su almeno due isole principali, individuate grazie alla cartografia storica e all’analisi delle foto aeree. In queste ultime è possibile osservare come in questa zona confluiscano importanti vie acquee, che mettevano in comunicazione Comacchio con le rotte padane e marittime adriatiche. Banchine e piattaforme lignee 19 fungevano quindi da attracco e luogo di stoccaggio. Imbarcazioni locali a fondo piatto, adatte a percorrere i bassi fondali dei fiumi della pianura Padana, garantivano la distribuzione delle merci nell’entroterra. Questo quadro potrà essere arricchito da contributi di tipo geo-pedologico e ambientale, che aiutino a leggere la conformazione del paesaggio e le trasformazioni dell’ambiente terracqueo in età antica. Comacchio, pertanto, doveva essere in primis un centro di smistamento: beni che giungevano in Adriatico, anche da lontane rotte mediterranee, venivano reindirizzati verso l’entroterra del Regno longobardo. Tra questi beni sono da annoverare sicuramente il vino, come dimostra l’analisi del contenuto di alcune anfore, le spezie e, molto probabilmente, anche il garum (salsa di pesce) e l’olio, come emerge dalle fonti scritte dell’epoca. Oltre ad alimenti, dovevano probabilmente transitare per Comacchio anche tessuti, benché nessun documento li menzioni direttamente. Ma dal porto dovevano partire anche prodotti locali, come ovviamente il sale, e una serie di beni, in vetro e in metallo, d’uso comune e di lusso, frutto dell’attività artigianale rivelata dagli scavi archeologici intorno alla Cattedrale. Un centro cerniera tra mare e terra, dunque, inserito all’interno di un sistema economico che, prima di tutto, doveva essere funzionale alle esigenze del Regno longobardo durante il secolo VIII. Insediamenti di questo tipo si stavano Rilievo digitale del terreno con individuazione delle sviluppando nello stesso periodo due isole nelle quali si articolava il porto di Comacchio nella laguna veneziana o si sarebbero sviluppati poco più tardi nel sud Italia Il porto di Comacchio nell’alto medioevo (particolare (come ad esempio Amalfi). Per l’alto del disegno di R. Merlo) Adriatico, tuttavia, non esistono riscontri archeologici di porti altomedievali, interessanti confronti invece sono rintracciabili nel nord Europa (per esempio in Olanda e Germania), dove un’archeologia più attenta alle fasi postclassiche ha indagato estesi empori lagunari e fluviali che presentano strutture di approdo del tutto simili a quelle di Comacchio. Le ricerche condotte hanno così evidenziato i caratteri dell’insediamento comacchiese, la sua vocazione e la natura delle sue relazioni economicocommerciali. Comacchio, in sostanza, nasce e si sviluppa essenzialmente per il particolare ruolo economico che viene a 20 svolgere. Per tali motivi non sembra improprio assegnargli l’appellativo di emporio, un termine che non ritroviamo nelle fonti latine coeve, ma che bene esprime la specifica natura mercantile del centro e richiama, come abbiamo detto, un analogo fenomeno nord europeo. Comacchio emporio intermediario tra le rotte orientali/bizantine e i mercati padano/continentali Il tragitto delle navi dei Comacchiesi lungo il Po, come descritto nel Capitolare 21 Da un mare all’altro. Comacchio in una dimensione europea Elena Grandi Nel 2009, i frutti di sei anni di ricerche erano perciò maturi per inserire a pieno titolo Comacchio all’interno del dibattito di portata europea sull’economia altomedievale e sugli emporia. Insieme alla mostra ‘L’Isola del vescovo’, tra il 27 e il 29 marzo 2009 aprirono i battenti di Palazzo Bellini per ospitare il convegno internazionale ‘From one sea to another. Trading places in the European and Mediterranean Early Middle Ages – Da un mare all’altro. Luoghi di scambio nell’Alto Medioevo europeo e mediterraneo’. Nell’incontro, dunque, si andava a parlare di luoghi di scambio, emporia, ovvero insediamenti commerciali costieri sviluppatisi nei primi secoli del medioevo, specificatamente tra VII-X secolo, tanto nei lontani mari nordici quanto in quelli più meridionali. Decidere di organizzare un convegno internazionale a Comacchio è stata, anche questa, una scelta ambiziosa, per molte ragioni, non ultime quelle meramente logistiche. L’esito è stato più che soddisfacente, come si è percepito subito per il fermento che c’era in città, per la curiosità e l’entusiasmo manifestato da studiosi stranieri e dal pubblico di fronte all’opportunità di visitare, magari per la prima volta, ‘la piccola Venezia’, per la partecipazione, non solo di specialisti, alle tre giornate e, infine, per la caratura degli interventi, che tutti hanno potuto agevolmente seguire grazie alla traduzione simultanea prevista dall’Amministrazione. All’evento hanno preso parte archeologi, storici e numismatici provenienti da tutta Europa e da oltre Oceano e, come ha scritto uno dei partecipanti, “A Comacchio gli specialisti hanno scoperto le scoperte degli altri e hanno creato contatti intellettuali e comunicazioni oltre confini geografici e disciplinari che ancora oggi sono così raramente superati”. Il risultato apprezzabile è un corposo volume di 576 pagine, che raccoglie 22 contributi nei quali si presentano ricerche condotte in contesti diversi e Un momento del convegno ‘From one sea to another’, da sinistra lontani, tra il Mare del Nord e a destra M. McCormick, R. Hodges, S. Gelichi, C. Wickham e S. Gasparri (foto di Arbali Walter) l’Africa del Sahel, e nei quali si 22 discute molto di approcci metodologici. Perché confrontare metodi e risultati, interrogarsi sul significato delle proprie fonti – siano esse materiali o scritte – su come studiare il fenomeno degli emporia o le dinamiche economico-commerciali alto medievali, è un passo fondamentale per affinare i propri strumenti di ricerca e, in ultima analisi, per cercare di ricomporre il passato di un luogo collocandolo nella corretta prospettiva storica. Il fatto che, durante il Convegno, archeologi e storici abbiano cercato un percorso comune di rilettura delle fonti, che si sia cercato di riflettere sui tratti caratterizzanti gli empori alto medievali e, nel contempo, di individuarne le specificità locali ha portato a nuovi stimoli e interessanti percorsi di ricerca. Ma cosa si intende per empori nell’alto medioevo? Quali ne sono, appunto, i principali tratti caratterizzanti? Innanzitutto, stiamo parlando di insediamenti sorti e sviluppatisi tra VII e X secolo in aree non precedentemente insediate, localizzati sulla costa, in molti casi prossimi a importanti vie fluviali di comunicazione. Centri, dunque, sorti in aree deltizie, presso foci, in contesti fluvio-lagunari che, in certa misura, sono la loro forza e la loro ‘debolezza’. Grazie a queste localizzazioni, infatti, gli empori erano in connessione con circuiti commerciali di lunga e media distanza e, nel contempo, erano isolati e protetti dalla naturale conformazione dell’ambiente circostante, ma erano soggetti alla variabilità del paesaggio e dei sistemi acquei, tanto significativa da incidere, allora come oggi, nello sfruttamento delle risorse e nella gestione delle infrastrutture. Questi siti, inoltre, si formarono in aree marginali e di transizione non solo dal punto di vista ambientale ma anche politico, e non assunsero mai il ruolo di centri amministrativi. Negli empori erano presenti lavorazioni artigianali specializzate, che realizzavano oggetti in metallo, osso, vetro e ceramica: produzioni documentate molto bene a livello archeologico, alle quali, nel caso di Comacchio, possiamo ragionevolmente aggiungere quella del sale e, forse, anche quella di alimenti in salamoia. L’economia di questi centri costieri, dunque, sembra reggersi sul traffico e sullo smercio di beni importati e, nel contempo, su attività manifatturiere, benché non sia ancora chiaro in che misura i prodotti locali fossero destinati a consumi interni o all’esportazione. Comacchio alto medievale offre molti riscontri rispetto a questo quadro: nato su dune di recente formazione, sulle sponde dell’Adriatico, in prossimità dell’antico corso del Po, all’interno del suo delta e protetto dalle lagune. Era poi relativamente lontano da Ravenna, in un territorio controllato a livello formale dai Bizantini ma economicamente rivolto all’entroterra. Ai Longobardi, infatti, nonostante alcuni tentati divieti, si rivolgevano i traffici commerciali. Gli scavi in Piazza hanno testimoniato la presenza di lavorazioni artigianali, tanto di oggetti d’uso quotidiano quanto di beni di lusso. Le infrastrutture portuali di Baro Ponti/Villaggio San Francesco sostenevano attività di smistamento di carichi provenienti dalle rotte mediterranee verso percorsi fluviali diretti all’interno della penisola e, nel contempo, potremmo supporre avvenissero attività di trasporto in senso inverso di prodotti alpini (pietra ollare, pelli?) destinati ad una rete commerciale a mediocorto raggio di ambito padano. Se la vocazione emporica della Comacchio delle origini può dirsi chiarita nei termini generali, numerosi sono ancora gli aspetti da indagare. Il Convegno si è chiuso infatti delineando possibili prospettive di ricerca e lasciando molte domande aperte: quale fu l’impulso per la nascita della città? Perché si sviluppò proprio nel tardo VII secolo? Fu una iniziativa autonoma della comunità, che sfruttò una posizione favorevole e un momento 23 La copertina del volume degli atti del convengo Localizzazione dei principali siti e empori affini a Comacchio politico di particolare debolezza dell’autorità, o, invece, fu il frutto di un progetto voluto da un potere centrale o entrambe le cose in momenti successivi. Comacchio, come abbiamo visto, si configura come un centro di smistamento che per un certo periodo, prima che altri vettori emergessero, svolse attività di trasporto e ridistribuzione delle merci lungo tutto il Po, ma cosa veniva corrisposto ai mediatori per queste attività? Denaro? Altri beni di prima necessità non disponibili in loco? Come erano organizzati i Comaclenses e i loro traffici? Quale era l’effettiva estensione e l’organizzazione interna del porto? E qual era il volume dei traffici che supportava? La fine di Comacchio, poi, dipese da variazioni ambientali, da mutati equilibri politici o da schiaccianti concorrenti sul piano logistico-economico? Questi sono alcuni dei temi sui quali stiamo riflettendo e la pubblicazione dei dati di scavo potrà essere un ulteriore passo nella ricomposizione dei tratti identitari dell’originaria comunità di Comacchio. 24 Richard Hodges Direttore dell’Università di Pennsylvania, Museo di Archeologia e Antropologia ora Presidente dell’American University of Rome Una cartolina da… Comacchio città commerciali alto-medievali del Mare del Nord – Hamwic, la Southampton di epoca sassone, Dorestad, nei Paesi Bassi, Haithabu in Germania e Ribe in Danimarca. Nord e Sud Europa venivano accomunati in una nuova visionaria interpretazione dell’alba del Medioevo. Poco tempo dopo sono andato a Comacchio per vedere il posto con i miei occhi. Era come continuare il pellegrinaggio degli anni ’70, quando avevo visitato tutti gli empori del nord Europa, assaporando il meglio dell’archeologia dell’Alto Medioevo in luoghi così diversi come la tranquilla Birka, sul lago svedese di Mälaren, o la ventosa Domburg sull’isola olandese di Walcharen. Infatti, appena arrivato in questo nuovo scavo nel cuore della città - piazza XX settembre vicino alla cattedrale barocca – ho volto lo sguardo giù agli archeologi italiani, vestiti elegantemente mentre con entusiasmo portavano via i depositi di colore nero, quando uno di questi si è alzato di scatto. Fissava affascinato qualcosa di minuscolo nella sua mano. Fortunata scoperta! Consegnò l’oggetto scintillante al suo supervisore. Facendolo rotolare tra le sue dita, questo barbuto signore mi annunciò, con un sorriso saputo, che si trattava di un denaro coniato a Venezia poco dopo che Ludovico il Pio era diventato imperatore (Carolingio) nell’814. Comacchio si trova vicino alla foce del Po, a pochi chilometri dalla costa del Mare Adriatico. È a 30 L a mia prima apparizione su Youtube (nell’epoca che precede Twitter e Flickr) ha immortalato la mia gioia raggiante nell’ascoltare Sauro Gelichi descrivere i suoi primi scavi a Comacchio. Partecipavamo ad un Convegno nella città toscana di Poggibonsi, abbastanza lontana dal porto adriatico che Sauro stava descrivendo. Essendo moderatore di quella sezione del Convegno, riuscii a fare una raffica di domande prima che il pubblico potesse avere la parola. Perché ero così eccitato? Sauro Gelichi, Professore di Archeologia Medievale all’Università di Venezia, non solo aveva descritto la scoperta del porto commerciale – emporio – di Comacchio, ma aveva ‘condito’ abilmente le sue conclusioni comparando questa nuova scoperta con le grandi 25 Una veduta di Comacchio Ossessioni dei ‘Secoli Bui’ Mappa dei commerci km di distanza a nord della capitale imperiale, e poi bizantina, di Ravenna e a circa 100 km a sud di Venezia. Ed è con Venezia che è ora collegata, grazie alle innovative ricerche di Sauro. Oggi la città somiglia, per molti aspetti, ad un modesto quartiere della Serenissima. Ci sono canali e strette barche, un labirinto di passaggi, e, sopra tutto, un cielo piatto. I gabbiani volano intorno alla città prima di dirigersi verso est per ‘ripulire’ i molti canali e le insenature. I turisti vi giungono dai resort sulla costa, a nord e a sud, per mangiare frutti di mare e, in particolare, le anguille. Famosa appunto per le sue anguille, ogni ristorante e bar è pronto a cucinare queste ‘creature’ fritte, dopo che sono state battute e poi fatte a dadini. Fuori dalla città, case da pesca con reti congiungono il corso d’acqua dopo Porto Garibaldi alla costa. Sono questi pescatori a fare oggi, di Comacchio, una città turistica. 26 Ma torniamo alla mia personale ossessione con questo porto. Per quanto riguarda il suo passato, occupando uno degli estuari dei rami del Po vicino al mare Adriatico, Comacchio fu un porto sorprendentemente importante in epoca etrusca. Fonti di età longobarda mostrano come questo ruolo sia stato rinnovato nel tardo VII e VIII secolo e evidentemente come questo centro sia prosperato quando Ravenna divenne sempre di più un avamposto isolato di Bisanzio. I ‘Comaclenses’(gli abitanti di Comacchio, cioè) sono meglio conosciuti grazie ad un capitolare o patto, stipulato nel 715-731 dal re longobardo Liutprando. Questo straordinario documento fornisce le istruzioni per il pagamento dei pedaggi dovuti in alcuni porti e in alcune città della pianura padana, come Bergamo, Brescia, Cremona, Mantova, Parma e Piacenza, luoghi oramai ‘decaduti’ dopo il collasso del mondo romano. Il sale sembra essere stato il principale carico verso questi porti fluviali del Regno longobardo. Il patto del 715-731, naturalmente, ha suscitato molto interesse tra gli storici. L’interpretazione attuale è che Comacchio fosse una sorta di entità commerciale indipendente, come risulta dal trattato stipulato tra i Longobardi e i loro vicini Bizantini, residenti nell’esarcato di Ravenna. Ma ci sono differenze Comacchio, collegato da una rete di ponti e canali, è stato descritto come ‘piccola Venezia’ di interpretazione tra l’essere un centro autonomo indipendente situato tra due territori oppure essere in qualche maniera collegato con il potere bizantino. Una generazione più tardi questo centro era comunque sotto il dominio longobardo, cioè nel 756, quando il re franco aveva marciato oltre le Alpi per sostenere il Papa Stefano che era stato assediato. Pipino costrinse in quell’occasione il re longobardo, Astolfo, alla pace e gli ingiunse di restituire Comacchio al Papato. Passando velocemente nel IX secolo, e a seguito del trattato di Aquisgrana nell’812 tra l’Imperatore dei franchi, Carlo Magno e i Veneziani di Rialto, il destino di Comacchio venne segnato. Una vivida pittura del XIX secolo nel Museo di Comacchio illustra la fine della città nell’anno 881, quando fu saccheggiata dai suoi vicini. Il patto nell’epoca lombarda del 715-731 ha sempre affascinato anche Sauro Gelichi. Si tratta di una rara descrizione del commercio nell’Alto-Medioevo, con il sale e forse altri beni preziosi che passano da Comacchio verso una serie di città dell’interno, alcune oramai decadute, e verso alcuni monasteri lungo il Po, che doveva essere una delle strade marittime più importanti dell’altomedioevo europeo. Da qui, si potrebbe supporre, manufatti pregiati potrebbero essere passati e, attraversate le Alpi, potrebbero essersi diretti verso il bacino del Reno e poi, ancora, verso il Mare del Nord e l’Inghilterra Anglo-Sassone e la Danimarca. I ‘Bronzi copti’ (bacili e bottiglie), ad esempio, che si trovano nei cimiteri franchi e inglesi del VII secolo potrebbero aver viaggiato lungo questo percorso, da un luogo all’altro, prima di entrare in Europa attraverso Comacchio. Comacchio, in breve, è stata per un certo tempo una porta di accesso alla Cristianità latina, nell’ambito dei regni intorno al mare del Nord. Nel corso di questi anni Sauro, avendo ben presente questo fatto, ha scandagliato i fianchi fangosi dei profondi rivi e canali, per interrogare quegli oggetti che potrebbero indicare esattamente dove i famosi Comacchiesi hanno vissuto. Poi, negli anni ’90 del secolo scorso, uno scavo di emergenza realizzato in occasione di una nuova lottizzazione, ha portato alla luce i ceppi di legno fradicio di pontili e banchine che appartenevano esattamente a quel periodo. Così cominciarono quelle ricerche di Sauro che hanno portato a nuovi scavi accanto alla cattedrale e alla ricerca del porto. Comacchio rivelata Questa primavera sono venuto a vedere una mostra, L’isola del Vescovo, nel settecentesco Ospedale degli Infermi – ora sede del museo della città- che illustrava i risultati dei nuovi scavi accanto alla Cattedrale. Dopo l’inaugurazione è stato organizzato un Congresso Internazionale per dare il benvenuto a Comacchio nel club dei grandi siti europei alto-medievali. La mostra prova che l’emporio aveva un’ampiezza di circa 30-40 ettari. Oltre a questo, i suoi ampi depositi di anfore per il vino e per il garum, la pietra ollare dalle Alpi, e una produzione locale di vetro confermano il volume dei suoi scambi commerciali tra la pianura padana e l’Adriatico settentrionale, con alcuni contenitori che provengono da ancora più lontano, ad esempio dal Mar Nero. Gli attenti scavi del 2007 intorno alla Cattedrale offrono suggerimenti archeologici allettanti e promettenti. Qui sono stati trovati i resti di una officina artigiana che produceva il vetro con tutte le sue strutture più o meno al loro posto: resti della costruzione in mattoni, la fornace, insieme a quelle altre strutture che ancora 27 Comacchio altomedievale in un disegno di un artista (C. Negrelli) Una tradizionale barca comacchiese oggi si vedono a Murano, nei pressi di Venezia. Questa bottega, però, ha cominciato la sua attività nel tardo VII secolo, producendo probabilmente lampade e vetri da finestra per i monasteri locali. Mucchi di tessere in vetro colorato dimostrano che la materia prima veniva strappata dai muri a mosaico degli edifici romani in abbandono. Dall’800, o giù di lì, però, le officine vennero smantellate per fare posto alla chiesa che ha preceduto l’attuale cattedrale e intorno ad esse vennero realizzate semplici sepolture in terra. La celebre moneta di Ludovico il Pio, trovata per caso durante gli scavi, segna il momento in cui l’officina venne trasferita altrove. I vividi scarti della bottega artigiana e delle attività commerciali dimostrano che questo è stato senza ombra di dubbio il motore delle politiche economiche regionali. Non c’è da stupirsi, quindi, se sulla scia della tregua con i Carolingi, i Dogi di Venezia decisero di schiacciare i loro vicini comacchiesi. Nessuno scavo, per tutta la lunghezza dei 1000 chilometri del mare Adriatico, ha prodotto qualcosa 28 di simile a quello che ha rivelato Comacchio. Ma, ritornando al dibattito trasmesso da Youtube, questi primi ritrovamenti non sono che un allettante antipasto delle ricchezze archeologiche che potrebbe rivelarci Venezia. La prospettiva di poter penetrare e conoscere questi depositi durante la nostra vita, dati i problemi dell’impaludamento, resta tuttavia improbabile. Ma qui a Comacchio – nella nuova mostra di Sauro così come nelle sue future ricerche archeologiche – la storia della trasformazione del mondo romano e quella dell’origine del medioevo è stata riscritta. Se oltre a questo amate anche le anguille, allora Comacchio è davvero il posto giusto per voi. Sauro Gelichi, professore di Archeologia Medievale alla Mostra ‘Genti nel Delta’ * Traduzione del contributo “A postcard from Comacchio”, apparso nel maggio 2009 nella rivista Current World Archaeology Bibliografia Sugli scavi recenti a Comacchio: S. Gelichi, D. Calaon, E. Grandi, C. Negrelli, Comacchio tra IV e X secolo: territorio, abitato e infrastrutture, in R. Francovich – M. Valenti (a cura di), IV Congresso nazionale di Archeologia medievale, San Galgano, Firenze 2006, pp. 114-123. S. Gelichi, D. Calaon, E. Grandi, C. Negrelli, “… castrum igne combussit…”. Comacchio tra Tarda Antichità e Alto Medioevo, “Archeologia Medievale”, XXXIII, 2006, pp. 19-48. S. Gelichi, C. Negrelli, D. Calaon e E. Grandi Il quartiere episcopale di un emporio altomedievale. Gli scavi nel centro storico di Comacchio e la sequenza dei materiali, in R.Auriemma – S. Karinja (a cura di), Terre di mare. 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