dal quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi. 86 - 00187 Roma
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ANNO XXXIV N. 6 GIUGNO 1986
ORGANO
MENSILE
DELL'AICCRE,
ASSOCIAZIONE
UNITARIA
DI
COMUNI,
PROVINCE,
Altierc
Spine1
REGIONI
giugno 1986
COMUNI D'EUROPA
2
Altiero
di Umberto Serafini
Agli Stati generali di Vienna del 1975 Altiero tenuti, provavano per i nuovi arrivati in galera,
venne in rappresentanza della Commissione i borghesi di «Giustizia e Libertà,,: i quali parlaEsecutiva di Bruxelles. Arrivò, mi pare, la sera vano dei loro processi con un romantico abprima della seduta solenne di chiusura - a cui bandono risorgimentale, patetico e pieno di riavrebbe partecipato il Presidente della Repub- ferimenti familiari. Debbo confessare che dublica austriaca - e mi cercò nell'albergo, ove rante questi racconti di Altiero io mi sono
risiedevo vicino al Palazzo dei Congressi, nella mentalmente sentito dalla sua parte, non
periferia di Vienna. «Ceniamo insieme?» «Si, ~ e r c h éio sia mai stato comunista, avendo scarAltiero, qui al ristorante dell'albergo, sono tato a priori questa disciplina, in quanto legata
stanchissimo» (avevo avuto una giornata emo- alla ragion di Stato, uno Stato che non mi intezionante e terribile, riuscendo a tirare dalla mia ressava se fosse socialista o meno, ma che certain extremis Gaston Defferre, presidente della mente aveva la logica miope e repressiva di uno
Commissione delle risoluzioni: il CCRE - al- Stato: ma perché non mi hanno mai convinto i
gruppuscoli intellettuali antifascisti, a cominlora C C E - non solo esigeva - ecco l'accordo
raggiunto - le elezioni europee, ma le voleva ciare dai liberalsocialista, che mi lasciava percon lo scopo di creare una assemblea cui sareb- plesso già dalla sua stessa fase di incubazione pibero spettati poteri costituenti; quando Altiero sana nel 1937 - forse sarebbe stato diverso se
vide la mattina appresso l'immensa sala con- avessi conosciuto Carlo Rosselli, con le sue digressuale approvare la prospettiva costituente, vinazioni politiche e la sua proposta di una Coebbe u n soprassalto e mi diede - incredibile - stituente europea antifascista - ;il mio interesil famoso pubblico abbraccio, che fece sorride- se era tutto per la sinistra laburista inglese, legare tutti quelli che conoscevano il nostro bufalo, ta alla classe lavoratrice di uno dei Paesi di più
mentre lui mi sussurava: «Bene, bene, Umber- avanzata industrializzazione (anche se già cominciavo a imbestialirmi per la sua scarsa sensito: una posizione così chiara non sono mai riu
scito a farla prendere a quei coglioni dell'U- bilità circa un «nuovo ordine» internazionale,
nion européenne des fédéralistes,,). Ma Altiero verso il quale erano più aperti alcuni liberali).
quella sera era allegro e sfottente, non ammet- Comunque il mio confronto con il carcere «riteva la stanchezza: «No, no: prendiamo una voluzionario» di Altiero non era qui, nel senso
macchina e ce ne andiamo a cenare in una oste- che fino allo scoppio della guerra io sono stato
ria della vecchia Vienna,,. F u una cena che non fedele - certamente con molta fatica e amarezscorderò e che mi costrinse, nella comparazio- ze - alla missione, che ritenevo doverosa per
ne con Altiero, a rivedere e soppesare anche un intellettuale - futuro insegnante - non tratutta la mia storia personale. Altiero - un Al- sformista, non partecipando ai littoriali della
tiero, almeno in quei tempi, raro, di solito così cultura né ad alcuna manifestazione culturale
poco portato all'intimismo e alle memorie - del seduttore Bottai o ad altra ambigua fronda
mi raccontava non tanto del confino quanto - come facevano viceversa tutti i miei coetadel periodo precedente del carcere e del senso nei, che sono diventati in questo dopoguerra,
di compatimento che lui comunista e i suoi cattolici e laici, di destra, di centro e di sinistra,
compagni «rivoluzionari professionali», già de- personaggi centrali delle istituzioni e dei partiti
Ventotene.
(taluni anche miei amici, da cui dissentivo acerbamente, restando solo come un cane) - : il
confronto con Altiero non era qui, no. La mia
«rivoluzione», con una autodisciplina assai cattiva, me la sono imposta con lo scoppio della
guerra, e ricordo di averne analizzato le premesse in un incontro casuale con due compagni di liceo, Manlio Cancogni e Carlo Cassola,
il giorno stesso in cui Mussolini dichiarò che
eravamo in guerra (faceva tutto lui) dal balcone
di Palazzo Venezia. Entriamo in una guerra
terribile, dissi; che sarà sicuramente perduta,
perché si rivolgeranno contro la Germania
I'URSS (su cui per altro avevo idee meno chiare) e, senza dubbio, gli Stati Uniti d'America.
L'Italia sarà a suo tempo bombardata, semidistrutta e invasa dalle forze militari delle democrazie alleate. Gli italiani, che corrono sempre
in soccorso del vincitore, diverranno in quel
momento (ma già forse sotto i bombardamenti) tutti democratici (o comunisti): occorre precedere i tempi e le conversioni per opportunismo, e abbattere il regime ai primi rovesci militari, e quindi già da ora non servono le conventicole chiacchierone antifasciste, ma occorre
penetrare nelle fabbriche (chi lo può e lo sa fare: è per questo che io ho successivamente giustificato solo, fra -gli intellettuali, l'«ambiguo»
Curiel; comunque ora prevedevo in qualche
modo gli scioperi a Torino del marzo'43) e «fare la guerra,,. Fare la guerra? Sì, affiancarsi coraggiosamente agli operai, ai contadini, al ceto
medio - pensavo - che saranno sacrificati nei
vari fronti, imparare a maneggiare le armi l'idea dell'affinamento per un attentato a Mussolini, obiettivo di tutt'altra strategia, debbo
confessare che non sono mai riuscito ad abbandonarla interamente e mi ci cullavo, più tardi,
la fantasia in trincea - e prepararsi a diventare
perriglieri, non muoversi con impazienza
puerile prima del tempo, guadagnarsi il rispetto umano (non politico) dei propri reparti e
scattare all'inizio della reale inversione - e solo allora - delle sorti della guerra. La realizzazione di questa logica rivoluzionaria per me è
stata una prova suprema e di assoluto rigore
(chi può scordare quando, in un giorno di licenza premio, uscii dalle infernali buchette di
Tobruk e nelle retrovie incontrai il medico di
famiglia - ormai generale comandante della sanità di tutta la Cirenaica - , che mi disse:
«Chiedi visita, sei sciupato: fra tre-quattro giorni parte la nave ospedale per l'Italia; prowedo
io»; ed io dissi di no, che non volevo abbandonare i miei soldati; e la sera dopo mi ritrovai
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nella mia buchetta dell'uadi Belgasem, sotto il
tiro dei cannoni, delle mitragliatrici, dei cecchini, tra i pidocchi e le pulci, con la sensazione
che io e i miei soldati eravamo abbandonati da
Dio e dagli uomini: bisognava stringere molto i
denti per far rientrare quella desolazione «locale» e «personale» nella razionalità dell'attesa decisa in funzione di una ipotizzata evoluzione
della guerra). Facevo il paragone col carcere di
Altiero e coi suoi collegamenti di «rivoluzionario professionale» all'obiettivo muoversi della
storia, che non bada ai casi umani singoli, e
non provavo alcun complesso di inferiorità
(solo, se mai, il fastidio di non essere sicuramente capito fino in fondo, essendo la mia una
posizione inconsueta, troppo «lungimirante»,
quasi incredibile, certo anomala).
Ma l'altro giorno Renato mi ha raccontato
un episodio, che più che farmi piangere mi ha
prima gelato e poi mi ha dato la misura esatta e
definitiva di Ulisse. Renato, il nostro bravo Renato, è il giovane che lavora all'AICCRE e porta il nostro prezioso materiale ai quattro angoli
di Roma, ma che dava anche, all'occasione, una
mano ad Altiero. Renato mi ha raccontato l'ultima volta che è stato con Altiero: lo ha accompagnato all'aeroporto, andava ad una seduta
del Parlamento Europeo, viaggiava solo. Altiero, col cancro in fase avanzata, aveva il catetere
e due sacchetti di urina ai fianchi; si muoveva a
disagio, soffriva, sedeva scomodamente sulla
macchina. «Che vuoi, Renato, bisogna fare il
proprio dovere, battersi per le idee in cui si erede, finché si ha anche un solo briciolo di energia. Stammi bene, arrivederci, Renato,,. Poi Altiero, che si avviava maldestramente all'aereo,
si è voltato ancora: «Anzi addio, Renato, non
credo che ci rivedremo,. Lo ha rivisto un attimo, in realtà, mi ha detto Renato, nella clinica
dove stava morendo: <<Era
circondato da parenti, mi sono appena fatto sulla soglia: l'onorevole Spinelli mi ha intravisto, mi ha fatto un sorriso e un cenno con la manon.
Forte, incrollabile, e buono: buono perché si
vive per gli uomini, non per martirizzare gli
uomini al letto di Procuste dei propri schemi
ideologici. Del resto il rapporto di Altiero con
Ursula è stato un capitolo della storia universale dell'amore gentile fra un uomo e una donna,
che ha avuto un intreccio con l'attività pratica
di Altiero, tutto sommato un <<politicodal volto umano,,: un federalista, appunto. I miei rapporti erano alternativi con Altiero e con Ursula, questa incantevole ebrea berlinese, moderna
e antica - anzi, direi, nella sua costante discrezione di quasi casalinga, malgrado una intelligenza straordinaria, più antica che moderna -.
Ricordo che una sera, al termine degli Stati generali di Venezia, nell'ottobre 1954, quando
con una lotta disperata, a poche settimane dalla
caduta della CED, riuscimmo a far passare la
richiesta, da parte di mille sindaci europei, di
elezioni europee a suffragio universale e di una
Comunità politica europea sovranazionale, dai
poteri limitati, ma reali - iniziando, primi fra
tutti, il rilancio europeo - ,mi aggiravo affranto in una calle e incontrai Altiero e Ursula: Ursula guardò Altiero come per incoraggiarlo e
Altiero mi disse: «Bravo! Avete ottenuto un risultato straordinario,. Debbo dire sorridendo
che io replicai secco: «Ma tu, Altiero, credevi
proprio che io fossi un cretino?,,.
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COMUNI D'EUROPA
Mi scuso se continuerò, volutamente, con un
ricordo molto soggettivo di Altiero: o, meglio,
con un ricordo del «mio» Altiero, necessariamente costruito nel rapporto fra lui e me, e
quindi inevitabilmente con l'intrusione di me e
delle mie preoccupazioni, dalle quali ricavavo
- accanto ad alcune distinzioni - un mio appoggio a lui e alle sue iniziative, appoggio che
credo di aver dato talvolta al limite delle mie
possibilità (forse soprattutto in due casi: quando, uscito di scena quasi interamente e in rotta
con gli stessi federalisti, lo aiutai a creare 1'Istituto per gli Affari Internazionali, lo IAI - allora avevo la responsabilità della presidenza della
Fondazione Adriano Olivetti e mi dovetti impegnare a tutto tondo, anche se poi gli oppositori diventarono o ridiventarono sspinelliani,,
-; e quando, lasciando per molte settimane
quasi ogni altra attività, credo di avergli «costruito,,, con l'aiuto di Anna, la mia collaboratrice di ogni giorno, il posto di Commissario a
Bruxelles). Perché dico questo?
Credo di essere uno dei pochi (o il solo?) dei
vecchi federalisti italiani, finiti in funzione dirigente, di formazione non spinelliana - lascio
fuori naturalmente quei pochi statisti italiani
non federalisti .di mestiere», che tuttavia accolsero di Altiero suggerimenti essenziali, che
hanno ben pesato negli avvenimenti successivi
dell'integrazione europea - . La formazione
federalista di Altiero e quella mia avevano alcune fonti comuni - Einaudi, per esempio - ,
ma anche fonti diverse: io mi ero formato alquanto prima, avevo subito l'influenza del
Kant della «Pace perpetua* (anche nella versione neo-kantiana della I1 Internazionale, trasmessami dal mio professore di storia e filoso-
fia di liceo, Aldo Ferrari, socialista riformista);
avevo poi studiato accanitamente, intorno al
1936-37, il Commonwealth britannico, subendo
una grande delusione ma anche iniziando la
scoperta del minoritario e lucido federalismo
inglese. Ma il mio dramma era sempre stato
quello di cercare l'occasione o lo strumento di
una iniziativa politica che incarnasse il mio federalismo: durante la guerra ho tentato di legare la prospettiva della mia «rivoluzione» - di
cui ho fatto un cenno sopra - al rovesciamento, di fronte al fallimento di Hitler, dell'Asse
Roma-Berlino per l'alternativa dell'Europa degli eguali, cioè della Federazione europea. Tuttavia ero tornato a casa nel 1946 dalla lunga prigionia indiana (quattro anni fuori della mischia) vagamente sperando che i ricostituiti
partiti socialisti assumessero, dopo tanto socialismo nazionale, una seria iniziativa europea,
accorgendomi immediatamente che era una
speranza mal riposta (potrei fare un altro discorso sulla mia attenzione ai movimenti cristiani e cattolici, non incoraggiati alla ribellione antihitleriana, durante la guerra, dalla Chiesa istituzionale o almeno dal Papa: il quale, viceversa, stava assumendo nell'immediato dopoguerra posizioni assai più chiare e razionali sul
nuovo ordine internazionale che non i partiti
nazionali). Nello stesso tempo avevo un problema personale: ero un disoccupato, che non
voleva fare la politica a tempo pieno, legandosi
a burocrazie partitiche, che non amava, e ad
antifascisti spocchiosi e «severi» di fresca conversione. Fu a questo punto - dopo un attimo
di esitazione: egli veniva dal rispettabile ma
astratto partito d'azione - che scopersi Altiero: un animale politico al servizio del federali-
Altiero Spinelli all'inizio della battaglia federalista.
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Spinelli alla tribuna degli Stati generali di
Roma (1964).
smo! Io ero costretto invece a fare politica per
imperativo categorico, senza passione per i
suoi risvolti: il successo mi ha sempre suscitato
noia; si deve cambiare il mondo, certamente,
ma la mia predilezione è sempre stata per la
meditazione filosofica o, al massimo, per il dialogo, ma prescindendo dal fare i conti con l'arte co& bene individuata da Machiavelli. Altiero
invece non solo era un esubernate animale politico, ma mi dette subito una grande lezione,
che poi è stata la sua costante lezione: individuare le occasioni politiche da trasformare in
realistiche battaglie federaliste. I giovanissimi
federalisti non conoscono i memorabili articoli
scritti da Altiero su un giornale, che è durato lo
spazio d'un mattino - «L'Italia Socialista» di
Aldo Garosci - ma ha avuto grande influenza
in Italia ed è stato letto da tutti i le&s politici
tra la fine del '47 e l'inizio del '49 (un grande
giornalista conservatore e nemico giurato di
Garosci mi diceva tuttavia: «mio caro, quel
giornale io me lo bevo quotidianamente come
un ovetto fresco,,): su «Italia Socialista,, Altiero
si battè per legare il Piano Marshall (del resto
interpretando l'idea originaria degli americani,
allora favorevoli all'unità europea) alla ricostituzione in senso unitario della distrutta economia europea occidentale, premessa a un salto di
qualità verso la Federazione (ma Altiero scrisse
poi su «Italia Socialista,, antiveggenti appunti
sul Patto Atlantico, già delineando quella che
tanti anni dopo - ai tempi di Kennedy - si sarebbe chiamata equa1 partnership, la quale a sua
volta esigeva un «polo» europeo federato).
L'animale politico Altiero si rivelò poi, più
in là, un geniale inventore di originali iniziative politiche: dal Congresso del Popolo Europeo di metà degli anni cinquanta al Club del
Coccodrillo ha avuto a ripetizione delle straordinarie «trovate» politiche, che per altro - altro punto da considerare - hanno démarré in
funzione del suo carisma (e chi non è animale
politico difficilmente ha un suo carisma, eccezion fatta per grandi leaders etico-religiosi, come Gandhi). Ecco dunque come dai nostri primi incontri io abbia sentito il dovere di orientare tutti i miei sforzi per esaltare il carisma di
Altiero e appoggiare il suo federalismo politicamente fondato.
Tuttavia - anche qui sin dagli inizi - ho
avuto motivo di mantenere una mia autonomia da Altiero. Lui aveva, per così dire, a mo-
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dello Cavour, io Mazzini (tra l'altro il libretto
Una lettera di Spinelli al nostro
di Salvemini - altro mio autore - su Mazzini
mi aveva tenuto compagnia nella seconda metà
Direttore
degli anni trenta): senonché Altiero era geniale
I1 13 aprile 1979 su carta intestata della
come Cavour, ma non aveva a sua disposizione
Camera
dei Deputati, Altiero Spinelli
né un club influente, né una maggioranza parlascriveva
al
nostro Direttore:
mentare, né un re. Individuava le grandi occasioni, inventava dei mirabili marchingegni poCaro Umberto, sì, effettivamente nel
litici, ma non aveva potere: ~ e r òaveva fretta,
Palazzo si leggepoco (oltre le lettere di racera impaziente, si irritava per le occasioni che
comandazione che arrivano a iosa) e, per
<<passavano».
Pertanto la crescita del Movimendi più, io sono stato sempre u n mediocre
to Federalista Europeo e della stessa Union Eulettore, avendo sempre spilluzzicato qua e
ropéenne des Fédéralistes o di iniziative ~ ~ o p o l a - là nell'immensa vigna di quel che gli uori» destinate a svilupparsi con la lentezza e i limini da millenni scrivono, ed avendo
miti dei movimenti di base lo interessava, in
sempre avuto l'immodesta tendenza più a
fondo, relativamente: questi movimenti in sodare che a prendere.
stanza erano per lui il biglietto da visita senza il
Però per il tuo "Come divenni federaliquale non poteva essere accreditato come consta" il tempo e la voglia li ho trovati, sicusigliere del Principe. Così stranamente, per
ro che in questa meditazione autobiografiquasi tutta la sua vita post-bellica, questo
ca avresti anche parlato quasi de omniscistraordinario realista è stato costretto a servirsi
bili et quibusdam aliis.
dei metodi degli intellettuali illuministi (e non
Mi sei piaciuto soprattutto nel momento
a caso Altiero è diventato subito un grande
in cui, piccolo prigioniero in India, sei unestimatore di Jean Monnet). Direi che perfino
dato ad assicurare a un ufficiale inglese che
nell'operazione del Coccodrillo e del progetto
scindevi le tue responsahlità da quelle dedi Trattato di Unione europea - che senza
gli alleati!!!
dubbio rimarrà nella storia - egli sia stato il
Però... dici: "Convintomi al Tasso della
persuasore di un Principe, che in questo caso
ragionevolezza della Federazione europea,
era il Parlamento Europeo: ma era rimasta al di
ma anche, in sé, dell'importanza del fedefuori della sua orbita la premessa, cioè l'elezioralismo democratico..." Diavolo, avevi
ne a suffragio universale del Parlamento Euro17-18 anni, e Federazione e federalismo
peo stesso, dovuta in parte a quei due ceppi fenon erano poi dee correnti in quegli anni
deralisti che avevano, malgrado Altiero, lavoin Italia. Ti sei dimenticato di dire come le
rato ~mazzinianamente,,alla base, il CCE (soavevi incontrate.
pra ho ricordato gli Stati generali di Vienna del 1
Affettuosamente,
Altiero
1975) e «autonomia federalista,, di Mario Albertini, uno spinelliano più ortodosso di me Le responsabilità che Serafini scindeva
anzi, a lungo, il delfino di Altiero - , ma poi
da quelle degli alleati erano relative alla
dissenziente dall'impazienza del Nostro, che
bomba di Hiroschima, che egli riteneva
non riusciva mai, in perfetta buona fede, a scinun atto cinico contrario a tutti i valori di
dere le azioni in cui era coinvolto (l'utilizzaziouna democrazia che si voleva restaurare
ne delle «occasioni storiche,,, di cui ho parlato)
nel mondo. Spinelli poi aveva letto solo
e le sorti dell'unità europea, essendo così cola prima metà dello scritto di Serafini,
stretto più di una volta a parlare poi di «ultima
che aveva un seguito intitolato «I1 prospiaggia,,. Evidentemente diverso era in questi
fessor Aldo Ferra&, dove appunto egli
casi il metro di Albertini e il mio: Mario ha
raccontava come si erano formate le sue
svolto soprattutto una formidabile opera di stiidee federaliste e quali influenze aveva
molo e di coordinamento culturale -premessa
subito (il Tasso era il liceo classico di Ronecessaria a qualsiasi movimento che voglia
ma dove insegnava l'antifascista Aldo
crescere e durare nella società - ; io mi sono
Ferrari).
preoccupato costantemente, dalla fine degli anni quaranta, di fare del federalismo non un
semplice movimento d'opinione, ma un movi- comporterebbe) ha matrici culturali nobilmenmento appoggiato a strutture sociali, esigenze te internazionali, ma è poi sfornato con linemergenti della società (fronte democratico eu- guaggio e psicologia casalinghi, italiani, paesaropeo), istituzioni aperte naturaliter al coinvol- ni. Altiero, questo stupendo .cafone», era invegimento europeo e sovranazionale (in questo ce un autentico europeo (e qui parlare dei merisenso tra i1 1950 e il '53 ho indirizzato il CCE ti di Ursula non sarà mai bastevole: ma occorre
verso la «storica alleanza* o blocco storico,, aggiungere che Altiero aveva sempre «studiadelle autonomie locali - soffocate dallo Stato to», anche da comunista, per agire da europeo).
nazionale accentratore e corporativo - col fe- L'Europa, è ovvio, si fa con gli europei: cosa saderalismo politico sovranazionale).
premo fare noi, che dialogo non effimero teneE ora? Cavour è morto e chi o quale élite ne re aperto coi francesi, coi tedeschi, eccetera?
prenderà il posto? È un problema gravissimo, (1'Eurobarometro e non solo esso ci dicono che
che soggettivamente mi riporta ai dubbi e alle la disponibilità c'è: ma chi di noi saprà incidere
incertezze del 1946-47. Ma il vuoto che lascia profondamente «alla base,, in questi Paesi fraAltiero non è solo qui. Diciamolo con fran- telli?).
chezza: ho scomodato Mazzini (e avrei potuto
Caro Altiero, quante volte ho polemizzato
scomodare Carlo Marx, alcuni leaders cattolici con te: ma la tua statura la misuro dal vuoto
o altri), ma molto del federalismo che facciamo terribile che ora provo, da come sento la tua
in Italia (e vi associo una pesante autocritica, mancanza, o mio fratello maggiore, disperatamalgrado la formula CCE, ora CCRE, non la mente.
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COMUNI D'EUROPA
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Per continuare una battaglia difficile
ma indispensabile
di Gianfranco Martini
Quando si vuole ricordare una persona
scomparsa, soprattutto se ad essa ci uniscono
rapporti non episodici e marginali ma una profonda e collaudata consonanza di obiettivi e di
impegno, si è indotti a scavare non solo nella
sua vita ma anche, inevitabilmente, nella propria.
Ma se poi questa persona ha svolto, come è
il caso di Altiero Spinelli, una incisiva e, per
molti aspetti, originale azione politica, allora
non ci si può limitare ai ricordi puramente personali; la sua vita e la sua esperienza divengono
bensì oggetto di una riflessione riguardante il
passato, ma anche l'indicazione di piste da
esplorare per il futuro e di stimoli che vanno
raccolti da chi vuole continuarne l'azione.
Alla luce di questa premessa, la scomparsa di
Altiero S~inellimi suggerisce, tra tante altre
possibili, le seguenti considerazioni.
La prima riguarda un'esperienza lontana ma
non dimenticata, quella del Congresso del popolo europeo. Con la Conferenza di Messina, preludio alla creazione della Comunità economica
europea e dell'EURATOM, i federalisti avevano percepito che qualcosa stava cambiando nel
loro contatto con le Istituzioni e coi governi
nazionali dotati di poteri decisionali e quindi
nel dialogo che essi avevano precedentemente
tentato di intrattenere con i governi stessi. In
quel periodo, l'obiettivo prioritario diventa
perciò quello di ricercare piuttosto un dialogo
con i popoli: di qui nasce a Stresa, nel luglio
1956, la decisione dei federalisti di tutta Europa di creare il Congresso del popolo europeo
(CPE) col proposito di organizzare periodicamente nei vari Paesi elezioni primarie (sul tipo
americano) per la designazione di delegati, autentici rappresentanti del popolo europeo e di
premere sui governi nazionali affinché si giunga alla convocazione di una Assemblea costituente europea. Nei due anni successivi, in
molte città e comuni europei, vengono organizzate dette elezioni «primarie» e nel gennaio
1959 il Congresso, formato dai delegaii eletti,
torna a riunirsi per la seconda sessione a Lione.
In tale occasione viene approvato un progetto
di Trattato per la convocazione della Costituente europea elaborato da una Commissione
di giuristi e di federalisti sotto la guida del
Prof. Guy Héraud.
Fu in occasione della seconda Sessione di
Lione che ebbi per la prima volta (pur avendolo incontrato anche in precedenza, ma in modo troppo rapido), l'occasione di creare con
Altiero Spinelli un rapporto
approfondito
e più politico e di valutare direttamente non
solo le sue idee ma anche la sua forte personalità e la sua indiscussa tenacia.
La mia candidatura a dette elezioni primarie
nel Comune del Veneto ove allora abitavo e di
cui ero Sindaco, Lendinara, era certamente una
esperienza totalmente nuova, che mi coinvolgeva al tempo stesso come federalista e come
amministratore locale. Essa mi faceva misurare., Der la rima yolta,
. in modo più concreto (il
Comune di Lendinara era già aderente al Consiglio dei Comuni d'Europa dal 1953), il rap-
porto tra ente locale e battaglia europea, tra le
responsabilità che un eletto comunale assume
nei confronti dei problemi specifici della comunità territoriale che gli ha conferito il mandato e le responsabilità più ampie che egli ha
come portavoce dell'interesse, altrettanto reale, che i suoi concittadini hanno per la soluzione dei gandi problemi della pace, dello sviluppo, della democrazia in una dimensione che
travalica non soltanto i confini di un Comune
o di una Provincia ma persino quelli dello Stato nazionale di appartenenza.
Fu ~ r o p r i oin occasione del Congresso del
popolo europeo e della riunione di Lione che
ebbi modo di verificare, a contatto con altri
eletti al Congresso predetto, appartenenti a
Paesi diversi, il fondamento dell'intuizione che
aveva mosso Altiero Spinelli e i federalisti a
lanciare questa iniziativa. Pur condividendo
già da alcuni anni l'esperienza di militante del
MFE, rimasi particolarmente colpito dall'intervento di Altiero Spinelli nella Salle Mozart
(se ben ricordo) di Lione. Erano idee e programmi diversi e inconsueti anche per chi, come me, aveva iniziato assai presto l'impegno
politico e amministrativo e aveva quindi maturato una certa consuetudine con i temi generali
della crescita della democrazia, della riforma
delle istituzioni, dello sviluppo della società,
del quadro internazionale, già così teso, degli
anni '50. Spinelli spostava l'asse dell'interesse e
dell'impegno politico: l'azione politica assumeva una diversa dimensione, muovendosi su
piste ancora inesplorate, prive di precedenti,
almeno nel nostro continente, investendola di
un respiro inusitato per chi era abituato alla
politica <nazionale», pur senza divenire per
questo un esercizio astratto o un sogno intellettuale.
Sono andato a rileggermi quanto scriveva
Altiero Spinelli nelle «Lettere federalisten del
1955 circa il «nuovo corso federalista». L'obiet-
tivo era quello di «sollevare, organizzare metodicamente, sviluppare senza sosta una forza
popolare di opposizione e di sostegno, dandogli una veste e un contenuto federalista», attivando una serie di riunioni simultanee in tutti
i paesi della Comunità, allo scopo di «facilitare
in ogni europeo una presa di coscienza che gli
permetta di riconoscere che i suoi interessi, il
suo awenire, il suo destino sono legati all'avvenire della causa federalista: ne deriva quindi
la necessità di uno sforzo ascendente che parta
dalla base, e al quale vengano associate tutte le
forze progressiste capaci di affermarsi come tali: comuni e fabbriche, associazioni familiari e
corpi amministrativi, regioni e imprese, sindacati e cooperative, ex combattenti e leghe di
varia natura, società di pensiero, università,
chiese, in una parola tutti i raggruppamenti in
seno ai quali si manifestano la diversità e la
ricchezza delle attività umane. In questo modo, invece di essere lasciata alle trattative di
parte, parlamentari, diplomatiche, governative, la causa federalista diverrebbe una idea-forza radicata nel più profondo della realtà e delle
aspirazioni popolari ... È in questo spirito che
le assemblee locali o professionali sarebbero
chiamate ad esporre le loro rivendicazioni, tendenti ad inserire le loro particolari richieste nel
contesto dell'istanza federalista: ed è sempre in
A
Spinelli tra Giulio Andreotti e Aurelio Dozio nella sede dell'AICCRE per la celebrazione del
trentennale di «Comuni d'Europa* (1983)
...
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questo spirito che si approverebbero delle risoluzioni e che si designerebbero dei delegati con
il compito di portarle avanti ad un forum europeo: il Congresso del Popolo Europeo. Spetterà a questo Congresso chiedere che la costruzione dell'Europa sia affidata agli stessi Europei, al Popolo Europeo, tramite un'hssemblea
costituente europea liberamente eletta,,.
Anche se la storia e le circostanze di fatto
non si ripetono, questo Appello di Spinelli ha
ancora un'eco attualissima, ora che il problema
di fondo ritorna ad essere, per i federalisti e per
le Associazioni che essi animano, quello di
smuovere e chiamare a raccolta le forze della
società. Questa è una priorità che ritorna ogni
qualvolta l'essere i «consiglieri del Principe,,,
cioè il tentativo dei federalisti di influenzare i
governi, appare inefficace. In questo momento
l'Atto del Lussemburgo ha chiuso la strada in
tal senso e non vi sono sintomi seri di una
prossima riapertura.
Eppure Altiero Spinelli aveva percorso ed
esplorato anche questa strada nel corso della
sua lunga esperienza alla quale talvolta è stata
affibbiata l'etichetta di un massimalismo
astratto. In realtà Spinelli ci dà, con la sua vita,
una indicazione preziosa e valida tuttora: una
costante fedeltà agli obiettivi finali, assolutamente irrinunciabili, unita ad una duttilità di
inventiva che talvolta non gli ha risparmiato
riserve e critiche anche da persone a lui vicine.
Ad esempio, nei primi anni '50, quando si
stavano maturando le iniziative per una soluzione «europea. al problema decisivo della difesa, si sviluppò il dialogo tra i federalisti e alcuni uomini aventi responsabilità di governo o
comunque istituzionali (Schuman, Spaak, Ivan
Matteo Lombardi, Taviani, De Gasperi) in vista di una struttura di comunità politica europea da costruirsi tramite non una Conferenza
diplomatica ma un'hssemblea costituente. Altiero Spinelli ne parlò espressamente in varie
occasioni e ricordò la determinante azione di
De Gasperi nel suo rapporto al V Congresso
nazionale del MFE di Torino del dicembre
1952. Fu certo un momento particolare, favorito da alcuni elementi ed anche dal fatto che
...e fra Leo Solari e Gaetano Arfè.
giugno 1986
Un numero di «Europa federata* che riporta l'attività dei Comuni d'Europa; la lapide
apposta sul Municipio di Ventotene nel 40° del «Manifesto».
i Paesi membri della prima Comunità europea
erano solo 6 ed erano certamente animati, nel
dar vita a queste nuove Istituzioni, da convinzioni che l'allargamento successivo ha indebolito. Ma non è vero che il clima generale di
allora fosse più facile: parlare di esercito europeo comprendente forze militari tedesche a pochi anni dalla fine della guerra non era cosa
semplice e facilmente accettabile. Le forze politiche del nostro paese erano drammaticamente divise su questo punto. Inoltre, allora, non
vi era un Parlamento Europeo eletto pienamente rappresentativo, tessera di essenziale rilievo politico nella complessa architettura comunitaria.
Cosa contribuì allora a favorire questa felice
congiuntura, questo avvicinamento tra movimenti e istituzioni? Gli storici se ne sono occupati e se ne occuperanno ancora. Personalmente credo, senza cadere nella tentazione che la
politica si identifichi e si esaurisca nei gesti personali, che la Kqualità» di alcuni governanti di
allora fosse ben diversa da quella che traspare
oggi in molti dei partecipanti ai Consigli europei della Comunità; qualità diversa per ~intelligenza» delle cose e per comprensione della gerarchia di importanza dei problemi affrontati,
diversa per autentica capacità di governo (dal
momento che si era capito che molti problemi
essenziali andavano governati ormai a livello
europeo e non più soltanto a livello nazionale),
diversa per coraggio di perseguire un disegno
di grande respiro, che aveva come presupposto
la limitazione delle sovranità nazionali, contro
resistenze ed interessi particolari.
In altre parole, quegli uomini di governo
erano in qualche modo costruttori di eun'altra
politica,, .
Può darsi che si sia trattato di una stagione
irripetibile, ma essa ha un significato anche attuale. La conclusione negativa della fase apertasi a Fontainebleau e chiusa a Lussemburgo, obbliga tutti noi ad interrogarci sul da farsi e a
prendere risolutamente la via di rilancio dell'iniziativa politica. Spinelli, già dall'inizio di
quest'anno, aveva cominciato a tessere la nuova tela nella Commissione istituzionale del
Parlamento Europeo, con la lettera inviata ad
alcune personalità europee, con i frequenti
contatti con i federalisti di vari Paesi d'Europa.
Una strategia si va ora delineando, non facile
ma necessaria. Essa deve essere europea e non
puramente nazionale, deve essere chiara
perché non si mobilitano i cittadini intorno a
progetti fumosi. Deve essere una strategia che
non esclude, nella sua attuazione, alcun strumento e alcuna iniziativa che possa servire a
raggiungere lo scopo, senza dogmatismi inutili, senza protagonismi, agendo a livello di opinione pubblica e di istituzioni. Questa mi sembra la testimonianza
valida che Altiero Spinelli ha lasciato ai suoi amici impegnati in una
battaglia così difficile, ma così indispensabile.
giugno 1986
7
COMUNI D'EUROPA
I1 vecchio e il nuovo Spinelli
di Luciano Bolis
A un mese dalla morte di Altiero Spinelli,
una volta superato, a fatica, lo sbigottimento
del primo momento, per quanto la gravità del
male non fosse ignota, una quantità di ricordi
si affacciano alla mente, ancora confusa, di chi
come me gli fu compagno di tanti anni nella
lotta quotidiana per la federazione europea. Soprattutto i ricordi più remoti, quelli che la memoria avrebbe più diritto a disperdere, e che
invece mi si ripresentano ora con estrema lucidità, quasi fosse ieri, risvegliandomi insieme le
sensazioni che in quel lontano tempo quegli
stessi fatti che ora ricordo suscitavano in me.
Della grandezza - umana e politica - di Spinelli, molto, se non tutto, è
stato scritto e
non vale quindi ripetere; anche perché, di quella sua natura, egli era certamente conscio, ma
non voleva che sconfinasse nella vanità, che
della vera gandezza è la negazione. In tal senso
non inquinò mai le sue ambizioni, che erano
quindi a misura della sua reale dimensione.
Di ognuno di noi si può dire che ha i difetti
delle proprie qualità.. Di Spinelli, che aveva
grandi qualità, si dovrebbe dire che aveva anche grandi difetti, che manifestava alternativamente alle qualità con la stessa noncuranza a
chi gli stava vicino, quasi che né gli uni né gli
altri lo riguardassero personalmente. Mai si pavoneggiò, si riteneva troppo in alto, e in certo
senso lo era, per doversi preoccupare non già di
apparire quello che forse non era, ma neanche
di essere riconosciuto per i suoi indubbi meriti,
come se ciò gli fosse semplicemente dovuto.
Era Spinelli e basta, perché ciò voleva già dire
tutto e quindi doveva bastare.
Se è vero quanto Protagora asseriva, che cioè
l'uomo è la misura di tutte le cose, ciò vale particolarmente per Spinelli, che si era creato una
misura tutta sua che non temeva confronti, anche se automaticamente diventava invece per
molti, e sarebbe sempre più diventata, la misura per definizione con cui apprezzare
sé stessi e
- le proprie azioni, nell'impari gara che insieme
conducevamo per realizzare il comune impegno.
Di Spinelli, come essere umano, si potrebbe
scrivere a lungo, nel bene e nel male. Com'è
ovvio, soprattutto nel bene, dove però correrei
il rischio di ripetermi. Nel «male», invece,
qualcosa di nuovo può forse ancora venir scoperto. Quindi cedo a questa tentazione giornalistica. Ma mi accorgo che la distinzione è artificiosa, perché Spinelli non si può capire che
globalmente. Anche i suoi difetti diventavano
infatti, per lui, delle qualità, o almeno non si
potevano distinguere gli uni dagli altri.
I1 nostro incontro è vecchio quanto una vita,
perché risale a 43 anni fa, quando ci siamo conosciuti in Svizzera nel '43 essendo entrambi
rifugiati, anche se io vivevo in un campo di internamento e lui invece fruiva di un regime di
relativa libertà, cioè fuori. Ma di ciò ho già
scritto altrove, come dei nostri contatti clandestini nella Milano del '44, e di quelli, finalmente alla luce del sole, della Roma del '46 nell'ambito del Partito d'azione, ugualmente ricordati altrove. così come ho eià
" ricordato anche
quel primo congresso nazionale federalista
dell'ottobre '46 al Conservatorio di musica Benedetto Marce110 di Venezia, di cui ricordo il
grande organo sopra la presidenza. Ma né lui
né Rossi vollero farsi vivi in tale occasione, se
non con una lettera in cui denunciavano - si
può immaginare con quale intimo tormento!
- l'inutilità di ogni nostro ulteriore sforzo inteso a realizzare la federazione europea; cosicché, a quel congresso, la continuità ideale di
Ventotene, messa in discussione da altri federalisti di diversa formazione, fu difesa principalmente da Rollier, da Usellini e da me, che a
stento riuscimmo a inserirne l'indicazione nella premessa allo statuto approvato appunto in
tale occasione.
I1 primo ricordo «costruttivo» che mi lega a
Altiero nel dopoguerra fu quindi il suo improvviso risveglio al discorso con cui, nel giugno del '47, il generale Marshall lanciò dalla
Harvard il suo famoso piano, che poi da lui
prese il nome e che conteneva un invito agli europei a mettersi d'accordo per organizzare insieme la ricostruzione del loro continente, quasi completamente distrutto da quella terribile
guerra.
Ricevetti allora da Rossi - dopo la parentesi
romana del Partito d'Azione, abitavo di nuovo
a Genova, dove avevo fatto la Resistenza una lettera che mi chiedeva se fossi disposto a
fare il segretario organizzativo del Movimento
a Milano, dove esso si era installato dopo la Liberazione, avendo ottenuto dal CLN una sede
degna al 27 della centralissima Via di Monte
Napoleone. Lui e Spinelli ne avrebbero invece
assicurato la direzione politica restando a Roma, dove quest'ultimo lavorava appunto alle
dipendenze del primo, che alla fine del governo
Parri, di cui aveva fatto parte, era stato nominato presidente dell'ARAR (un'importante
azienda di Stato creata nel clima post-bellico
per il recupero dei residuati di guerra).
Accettai subito e in quella prospettiva ci
demmo tutti molto da fare per riprendere in
mano il Movimento, che nel frattempo, cioè
nella spazio lasciato libero da quel loro momentaneo abbandono, era scivolato in altre
mani, precisamente in quelle di Campagnolo,
che si ostinava in un progetto di generale unificazione dell'Europa, senza tenere conto della
svolta che si era verificata nel frattempo per
l'equilibrio del mondo.
Sulle circostanze di quell'abbandono e della
successiva ripresa vorrei tuttavia precisare qualcosa, perché se anch'essi vanno senz'altro ricordati in omaggio alla verità storica, non vanno però neanche esageratamente accentuati e
soprattutto estesi oltre i loro limiti di tempo
reali, come fa per esempio Chiti-Batelli Cpur
tanto scrupoloso in tutte le sue citazioni, grazie
anche a una memoria di ferro che tutti gli invidiamo) in una nota intitolata, con incorreggibile vena caustica da fiorentino maledetto, «La
verità esoterica,,, codicillo a un articolo, su
«L'Italia del popolo» del I o giugno, dal titolo
«L'insegnamento di Spinelli,, e il sottotitolo
«De mortuis nihil nisi bene..
Ma torniamo ai fatti. In un primo tempo io
convertii alla «buona causa» la sezione di Ge-
Spinelli con Luciano Bolis e Ernesto Rossi (di spalle) ai Castelli romani (1951).
8
COMUNI D'EUROPA
che andava dalla ricerca dei fondi agli infiniti
piccoli problemi della gestione quotidiana,
compreso il tesseramento che allora si misurava a decine di migliaia di iscritti.
Oltre tutto, settimanalmente dovevo ancora
tornare a Genova per mandarvi avanti anche
quella «baracca»,che comprendeva tra l'altro la
direzione dell'Istituto storico della Resistenza,
che vi avevo fondato nel '48, e una consulenza
editoriale a quella Camera di Commercio, che
mi aiutava a vivere.
I miei contatti con Altiero sono così rimasti,
per qualche tempo, soprattutto epistolari. Nei
ritagli di tempo liberi, per esempio di sera, gli
inviavo spessissimo lunghi resoconti del mio
lavoro, ai quali più brevemente ma regolarmente egli rispondeva, commentando il trascorso e dandomi nuove istruzioni.
Per me non fu però, tutto sommato, un periodo felice! Avevo sì, come sempre, la soddisfazione del dovere compiuto, grazie a un lavoro di cui valutavo anche la relativa importanza
(tenevo in piedi un Movimento che, per la prima volta, cominciava ad espandersi un po'
ovunque, quindi anche nel Sud) ma, in quell'assillo, troppe cose mi mancavano invece sul piano umano, di cui sentivo fortemente il bisogno: in particolare proprio un atteggiamento
psicologico da parte del mio «giudice» che mi
ricompensasse di tanta fatica, riconoscendomi
magari anche un certo merito, che mi avrebbe
naturalmente spronato a fare ancora di più e
meglio.
Del classico metodo del bastone e della carota, direi che Altiero nei miei confronti abbondava nel primo ma scarseggiava invece nella seconda, tanto che mi sentivo sempre in colpa,
come qualcuno che non facesse abbastanza, o
abbastanza bene, ciò che ci si attendeva da lui.
Suppongo che nella stessa difficile situazione si
sia trovato anche Cabella, che fu vice di Altiero
a Roma agli inizi degli anni '50. Ma egli non
durò e abbandonò volontariamente il posto
per tornarsene alla sua Torino, che non avrebbe poi più lasciato fino al recente ~pensionamento» parigino. Ne1 '53 ripresi io stesso quel
posto che conservai poi fino al '59, quando, ri-
giugno 1986
tiratosi nuovamente Altiero, trasferii di nuovo
la segreteria a Milano dove rimasi fino alla partenza per Parigi nel '60, avendo assunto nel
frattempo la segreteria internazionale del Congresso del Popolo europeo. Ma quello sarebbe
un altro discorso, quando il mio rapporto con
Altiero divenne addirittura burrascoso ...
Tornando alla mia Milano della fine degli anni '40, ricordo che una volta protestai con Altiero per una sua lettera di cui non avevo gradito il tono e, con mia meraviglia, mi rispose subito rettificando il tiro e chiedendo scusa.
Un'altra volta - ma già nel periodo romano di
Piazza di Trevi, nella bella sede che cedetti poi
all'AICCE per riportare a Milano la Segreteria
del Movimento, di cui nel frattempo ero diventato titolare - reagendo risentito per qualcosa
di Altiero che non avevo apprezzato, gli ribattei polemicamente che lui non era il MFE, bensì il segretario del MFE, come per ricordargli
che doveva tener in maggiore conto anche il
punto di vista degli altri (e in particolare il
mio). Ma anche allora non abbozzò.
Questi pochi esempi dimostrano già che tali
questioni personali lo lasciavano perfettamente
indifferente. I1 suo non era quindi un comportamento deliberato, ma semplicemente
l'espressione spontanea di un modo di essere
che lo portava a non tener nel debito conto le
condizioni altrui; soprattutto nel complesso
mondo della psicologia, dove mal si destreggiava; e neanche tentava di farlo, non identificando neppure la natura e l'importanza del problema, che personalmente non lo interessava.
Avevo allora anche banali ma fastidiose difficoltà di lavoro con la sezione di Milano, con la
quale condividevo la sede e di cui era allora magna pars Giorgio Bernstein, il padre di Franco.
Questi scontenti e malumori, così preso tra
due fuochi, li dovevo quindi tenere tutti per
me.
Ripensandoci a distanza di tanti anni, dovrei
concludere che grande doveva essere davvero la
mia passione per quell'idea che Rossi e Spinelli
mi avevano istillato cinque anni prima nel comune rifugio svizzero, se per essa mi ostinavo a
sobbarcarmi una sequela di giornate così irte di
amarezze e difficoltà...
Quanto ad Altiero, bisognava capirlo! Era un
uomo che aveva passato metà della sua giovane
vita in situazioni eccezionalmente drammatiche: la militanza comunista sotto il regime fascista, l'arresto a vent'anni, dieci anni di carcere e sei di confino, appena il tempo per fondare
a Milano nell'agosto del '43 il Movimento in
pieno regime badogliano, e poi di nuovo un anno da rifugiato e un altro ancora da resistente, e
infine, nell'ambiente ent siasta ma anche
squinternato del post-liberazione, la delusione
di Yalta e l'inatteso fallimento del Partito
d'Azione. Sul piano personale, poi, doveva pesare l'insoddisfazione di una situazione che, se
lo faceva vivere, non poteva però certo costituire per lui un punto di riferimento adeguato
a quella somma di sacrifici e corrispondente alle legittime aspirazioni di una personalità di cui
lo stesso doveva avere sicura coscienza: quel
particolare e misterioso carisma che qualche
decennio più tardi doveva essergli universalmente riconosciuto, ma che allora restava, anIntorno a Robert Schuman (da sinistra) Altiero Spinelli, Guy Héraud, Luciano Bolis e Mi- cora inespresso, nel mondo dei sogni.
che1 Mouskhely (1959).
A me era così toccata in sorte la parte del ca-
nova che era allora una delle più forti in Italia e
faceva capo principalmente allo storico repubblicano Codignola (direttore della «Casa di
Mazzini,,, dove c'era anche la nostra sede),
nonché al socialista Poggi, al cattolico De Negri, al filo-comunista Marchisio e a tanti altri
dell'ambiente del C.L.N. Intanto i due aromanin stentarono non poco a sbarazzarsi dei gruppuscoli e movimentini che, dopo la Liberazione della città, vi si erano installati, interessandosi però più all'ideale mondialista che a quello
europeo, e comunque senza mai compiere azioni di rilievo, che non erano alla portata delle
loro modeste possibilità.
Rossi invece era allora una vera potenza, e
così i due riuscirono in poco tempo a fare di
quella piazza un buon centro politico-culturale
federalista europeo, come testimoniano le varie
manifestazioni, organizzate in particolare da
Rossi presso il teatro Eliseo (allora proprietà
di un altro antifascista azionista e federalista,
Vincenzo Torraca, già capo di gabinetto del
Presidente del Consiglio Parri), alle quali parteciparono anche uomini come lo stesso Parri,
Silone, Einaudi, Salvemini ed altri di corrispondente livello.
Ciò premesso, bisognava però ancora impossessarsi del Movimento come tale, cioè a livello
nazionale, e ciò avvenne con una riunione del
Comitato Centrale che si tenne a Milano agli
inizi del '48, col risultato di una maggioranza
risicata in cui, dato lo scarto di un solo voto tra
le due opposte tendenze, fu in realtà decisivo
quello di ciascuno di noi, che rese possibile l'insediamento della nuova Segreteria Spinelli-Bolis, e con essa l'adozione della nuova linea, considerata filo-americana ed elaborata ormai prevalentemente da Altiero.
Cominciò così la mia collaborazione «pratica» con lui, - cui Rossi lasciava progressivamente spazio - che vide per qualche anno Spinelli a Roma, dedito soprattutto alla funzione
primaria di approfondire e attualizzare il suo
pensiero, che sarebbe poi stato gradatamente
accettato dall'intero Movimento; e me, come
in partibus infidelium, nella capitale lombarda,
oberato da un'incredibile routine di lavoro,
giugno 1986
pro espiatorio, essendo l'unica persona che, in
certo modo, dipendesse da lui e sulla quale egli
potesse quindi sfogare la propria impazienza;
che però doveva avere, nella sostanza, ben più
alti bersagli e cause, cioè una situazione politica
generale che egli sentiva gradatamente sfuggirgli di mano e contro la quale scontrava la sua
impotenza.
Ma il mio, anche se era il caso più esposto,
non era però il solo, perché era convinzione
comune di chi lo avvicinava che in lui difettasse, non dico la raffinata arte del presentarsi e
dell'esprimersi che potrebbe avere, per esempio, un francese della cosiddetta società, ma anche solo quella di cui disporrebbe un italiano
medio, che avesse cioè condotto una vita semplicemente normale.
Inoltre ho sempre pensato che gli mancasse
la disposizione adatta per saper giudicare d'acchito i suoi simili - qualità che invece possedeva in misura straordinaria la moglie Ursula
- e conseguentemente anche quella di scegliersi per il meglio i propri collaboratori.
A questo punto devo precisare che 1'Altiero
di questi ultimi anni, o decenni, è ben diverso
da quel primo da me allora conosciuto, perché
nel frattempo la vita gli ha insegnato molte cose: intendo la vita successivamente condotta in
condizioni relativamente anormali,,. Mi riferisco in particolare ai suoi rapporti con gli uomini, da saper prendere, nel suo stesso interesse,
per il giusto verso, attirandosene la simpatia,
pur senza mai cedere sull'essenziale, e soprattutto evitando gli atteggiamenti inopportuni
che li avrebbero, in sostanza, distaccati, anziché avvicinati.
Quando, lui vivo, potevo ancora permettermi di celiare sul suo conto, dicevo, volutamente esagerando, che era diventato un gran diplomatico. Però, su questo punto Ferri e Dastoli
mi contraddirono ammiccando. Certo loro,
che gli sono stati più vicini in questi ultimi anni, possono essere a conoscenza di tante gaffes
che a me invece, rimasto più distante, possono
essere sfuggite. Ma è anche vero che loro non
hanno conosciuto 1'Altiero dei primi tempi
che ho conosciuto io, perché altrimenti non gli
negherebbero, se non di aver raggiunto il traguardo, almeno di aver fatto molti progressi in
quella direzione.
Apparivano talvolta in Altiero, nel suo stesso
modo di stringere - o meglio di non stringere
- la mano, una certa freddezza, un qualcosa di
gelido, e comunque una mancanza di calore
umano, che forse mascheravano invece un fuoco interiore e quella capacità di ribellione che
in altri periodi della sua vita avrebbe dimostrat o di possedere. La sua tensione andava tutta alla ricerca di nuove, diverse e migliori condizioni politiche che gli consentissero l'attuazione
del suo grande disegno, cui tutto naturalmente
subordinava, compresi gli uomini e le cose.
A proposito dei suoi «progressi», devo dire
che il primo volume della sua autobiografia, 01treché piacermi, mi meravigliò moltissimo,
tanto da farmi sentire ora maggiormente il dolore di non poter mai leggerne il secondo, che
non ha fatto a tempo a scrivere, ma che ancor
più ci avrebbe interessato come federalisti, riferendosi c r o n ~ l o ~ i c a m e nal
t e eri odo di questa
sua attività che molti di noi avrebbero poi condiviso, ed io tra i primi.
COMUNI D'EUROPA
9
Spinelli tra Ernesto Rossi e Luigi Einaudi.
Vi ho trovato infatti un Altiero diverso e, se
posso dire, infinitamente migliore e compiuto,
più facile da capire e personalmente più simpatico rispetto a quello che avevo conosciuto e
frequentato decenni prima: in particolare una
gentilezza d'animo, una squisitezza di sentimenti che non solo ignoravo, ma di cui lo ritenevo assolutamente incapace.
Prima conoscevo soltanto lo straordinario
uomo politico ch'egli era; poi, attraverso quel
libro, ho apprezzato anche il grande scrittore.
E se penso all'ultimo tempo della sua vita, al
suo procedere calmo e cosciente verso la Morte
(che mi scrisse in una recente letrera proprio
con la maiuscola), devo rimangiarmi la pure affettuosa ironia con cui ho una volta commentato la sua pretesa, che mi pareva allora eccessiva, di farsi passar per «saggio». N o n so se egli è
stato tale fin dall'inizio, ma certo lo è poi divenuto progressivamente verso la fine.
I1 fascino che indubbiamente egli esercitò su
di me fin dai primi anni non mi veniva tanto
dalla sua persona - come invece fu indubbiamente nel caso di Rossi, forse perché accompagnato da un'ancora maggiore aurea di eroismo
- quanto dai suoi scritti, che mi aprirono la
mente ad orizzonti da me mai prima sospettati.
Ancora non ero in grado di sapere se il federalismo - mi si perdoni l'iperbole! - l'avesse davvero inventato lui, ma in ogni caso io l'ho imparato principalmente da lui e questo bastava
perché io lo riconoscessi istintivamente, insieme a Parri e a Schiavetti, come uno dei maggiori pilastri della mia stessa vita, cioè uno degli
uomini che maggiormente avrebbero influito,
nel miglior senso del termine, sulla mia formazione intellettuale; e mediatamente, cioè attraverso l'esempio, anche morale.
Capisco che chi, per ragioni di età, non abbia
vissuto quei tempi, stenti oggi a rendersi conto
di come certe situazioni si sono prodotte nella
realtà. Ma appunto per questo non mi rifiuto
ora di metterle su carta. Citerò solo l'esempio
delle difficoltà materiali di ogni genere che in
così larga misura condizionavano il nostro lavoro, e con esso le nostre vite e le relative possibilità di successo. Chi era passato attraverso
certe esperienze aveva però acquisito capacità
di adattamento certamente ignorate dai bravi
«figli di papà» di questa nostra società dei consumi. Voglio dire che, con pari indifferenza,
potevamo passare a condizioni di vita opposte,
secondo le circostanze momentaneamente imposteci in un mondo così cangiante.
Ricordo ad esempio che una volta, appunto
nel periodo in cui io stavo a Milano e lui a Roma, avendomi preannunciato il suo arrivo, sono andato a prenderlo alla stazione e poi l'ho
accompagnato fino a casa di Banfi, che gli dava
ospitalità, percorrendo insieme a piedi il lungo
percorso, lui stesso trascinandosi dietro una
grossa valigia in pegamoide che lo faceva quasi
scambiare per un emigrante. Eppure dopo la
guerra, a Roma, come membri della Segreteria
del Partito d'Azione, avevamo avuto entrambi,
anche se io solo successivamente, la macchina
con l'autista a disposizione! Evidentemente
non erano quelle le cose che c'interessavano, se
potevamo rinunciarci con tanta facilità. E così
l'idea di prendere un taxi non c'era neanche
passata per la testa...
Francesco Rossolillo, in un breve ma lucido
saggio pubblicato su «I1 federalista* dell'ottobre '84, conclude la sua analisi-confessione relativa al Nostro con queste parole: « H o una profonda ammirazione con Spinelli, anche se non
lo amo, e oggi lo sostengo con tutte le mie forze, anche se non sono un suo seguace». A parità
di ammirazione e di sostegno, io dovrei dire
che sono stato anche un seguace e l'ho amato,
con quel misto di «amore e odio» che caratterizza spesso gli amori infelici, cioè non corrisposti, che portano a delusioni d'amore.
U n amore che mi richiama alla memoria anche una sua lettera degli anni '60 - scrittami in
un momento forse più acuto del contrasto che
periodicamente ci opponeva all'interno della
nostra comune battaglia federalista - nella
quale considerava Albertini e me come suoi figli spirituali momentaneamente ribellatisi al
padre, ma che ad esso avrebbero infine fatto ritorno.
N o n ho atteso la sua morte per questo, ma
soltanto nello strazio delle scorse settimane ho
potuto avvertire appieno la pregnanza di quelle
vaticinanti parole.
COMUNI D'EUROPA
10
giugno 1986
Le sue vittorie e le sue sconfitte
sono anche nostre
di Alberto Cabella
L'ho conosciuto a Montreux per la fondazione dell'unione Europea dei Federalisti (agosto
1947) ma il primo vero «incontro» ha avuto
luogo a Ivrea il 16 novembre 1947 al Congresso
Regionale Piemontese del MFE, che segna per
Altiero una tappa significativa. Infatti è questa
la prima occasione che gli viene offerta di prendere contatto diretto con l'organizzazione federalista di base, e conferma pubblicamente la
sua intenzione di servirsi del movimento organizzato dei federalisti come strumento centrale
di azione politica. A Ivrea incontra una organizzazione di militanti, un giornale (l'Unità
Europea), un tessuto culturale forgiatosi nella
Resistenza, un vero e proprio movimento indipendente dai partiti e nello stesso tempo ciellenistico, operante sulla realtà sociale e politica.
I1 suo intervento al Congresso, per quasi tutti
noi forse troppo idealisti, fu una lezione di realismo politico: utilizzare il piano Marshall come una occasione storica irripetibile per ricostruire su nuove basi un'economia europea e di
conseguenza puntare sulla possibilità per 1'Europa di conquistarsi un'autonomia reale, senza
preoccuparsi dell'egemonismo americano, che
molti di noi per l'appunto temevano. Ricordo
che al fastoso ricevimento in casa Olivetti era
emozionato e raggiante insieme a Ursula che ci
conquistò tutti con il suo fascino garbato, la
sua sensibilità umana e la sua vivida intelligenza.
Forse per comprendere perché nell'estate del
1951 chiederà a me giovanissimo, fresco di laurea su Piero Gobetti, di venire a Roma ad affiancarlo come segretario nazionale aggiunto,
forse si deve partire da Ivrea e dalla fiducia assoluta che riporrà in me come federalista indipendente, sicuro delle mie capacità di svolgere
un ruolo ad un tempo politico e organizzativo
senza compromissioni partitiche. Se ripenso a
come Altiero si mosse all'interno della organizzazione federalista di cui si impadronisce al I1
Congresso Nazionale del MFE (Milano, marzo
1948), credo sia doveroso riconoscergli il merito altissimo di aver voluto forgiare uno strumento autonomo, un movimento-partito, con
un nucleo centrale quasi ~leninistan(eredità
della sua giovanile militanza comunista), un
nucleo di sicura fede e di assoluta indipendenza
dal Potere, dalle forze politiche, dagli interessi
costituiti: un nucleo dirigenziale di acciaio duro, non corruttibile, capace di trattare senza
pregiudizi con qualsiasi forza democratica, salvaguardando la originalità autonoma del Movimento Federalista. 11 che spiega la cura estrema
del controllare alla vigilia dei Congressi la lista
dei candidati alla Direzione Nazionale del
MFE, per garantirci che la maggioranza dei
suoi membri fosse costituita da «indipendenti»,
scegliendo subordinatamente tra i politici i più
sicuri, i
vicini a noi.
Questo sodalizio di una militanza che opera
le proprie scelte in modo autonomo è risultato
l'anello forte del nostro rapporto, al di là delle
divergenze che pure ci sono state, e che spiegano anche la mia rinuncia alla segreteria dopo
un paio d'anni senza che motivassi esplicitamente i dissensi, sia perché vi era accordo sugli
obiettivi di fondo (la federazione europea attraverso la costituente, la polemica con le vie funzionaliste, la battaglia nell'unione Europea dei
Federalisti per fare di essa una struttura sovranazionale), sia perché mosso innanzi tutto dalla preoccupazione di disporre di una mia professionalità autonoma.
Del mio periodo «romano», tra le molteplici
Spinelli (il primo a destra) alla prima manifestazione federalista di Roma durante l'intervento di Ferruccio Parri (1947).
iniziative assunte, mi piace ricordare su questo
giornale quella di avere persuaso Altiero a non
osteggiare la creazione di un movimento collaterale quale l'AICCE, che personalmente ritenevo utilissimo per un reale coinvolgimento
delle forze sociali del paese, e fu così che presi
parte ufficialmente, come rappresentante del
MFE, alla fondazione di questa organizzazione, che oggi è la più importante assise dell'europeismo organizzato.
Le divergenze con Altiero scaturivano dalla
sua vocazione di «politico»,tutto teso a svolgere un ruolo di consigliere dei Principi per determinarli a fondare un nuovo ordine europeo,
un'aspirazione questa che lo conduceva a privilegiare il momento diplomatico, espropriando
di fatto il Movimento del ruolo di protagonista
primario. Un'attitudine tutto sommato illuministica, che nelle circostanze politiche degli anni cinquanta in Italia, implicava il coinvolgimento di personaggi di partiti e di governo
dell'area di centro-destra, che al sottoscritto ripugnavano alquanto per il loro smaccato acritico servile americanismo.
Altiero e io ci ritroviamo all'inizio del 1955 a
Torino per dare vita al Congresso del Popolo
Europeo. Deluso dei suoi Principi
- e -principotti
~1tie;orecupera la sua vecchia pelle di riioluzionario per una radicale autonomia, anche se
come sempre in chiave strumentale, in quanto
per Spinelli il problema è quello di organizzare
una pressione popolare per riproporre alla classe politica e ai futuri Principi «le défi de l'histoire». Ricordo le lunghe ore di conversazione
in una domenica invernale, nel caffè della Stazione, per convincermi di prendere in mano la
complessa operazione che consiste nel mettere
in piedi un nucleo dirigenziale per il CPE e nel
definire una nuova strategia politica, mentre il
MFE avrebbe fornito una copertura ufficiale
restando più in ombra. Operazione complessa
perché era una svolta di 360' per il Movimento
Federalista e si trattava di formare nuovi quadri militanti non solo in Italia ma anche negli
altri paesi, in Francia in Germania in Belgio in
Olanda, predisponendo del materiale nuovo
per la formazione ideologica e politica, e per
una propaganda adeguata ai fini più rivoluzionari che ci ponevanio.
Fare appello al popolo europeo significava
interpretarne le attese in chiave europea, dare
spazio a rivendicazioni di tipo nuovo a livello
amministrativo (le autonomie locali e regionali), a livello economico (in campo industriale,
commerciale, agricolo), sociale (la scuola, i modelli culturali), politico (la costituente prefigu-
giugno 1986
rata da elezioni primarie sull'orma del Congresso indiano propugnato da Gandhi, la polemica con i partiti e le classi dirigenti nazionali,
ecc.). Nasce in questa ottica la proposta di «cahiers» di protesta e di rivendicazione di diversi
settori economici sociali e culturali (quale quello degli intellettuali torinesi predisposto insieme ad Albertini, con Noberto Bobbio e Gustavo Colonnetti), un fermento culturale che in
quarant'anni di vita del Movimento Federalista
non si era mai verificato. Se parlo di questo è
perché questa umiltà di Altiero di ricominciare
da capo, e la consapevolezza acquisita che si
debbano formare dei militanti di tipo nuovo,
segna a mio giudizio uno dei momenti più alti
del suo itinerario politico federalista.
Nel luglio-agosto del 1955 come Segretario
Generale del CPE organizzo degli stages di formazione a Stresa e Altiero viene a ciascuno per
tenere la lezione conclusiva; si cementano nuovi sodalizi e costruiamo per la prima volta una
struttura veramente sovranazionale di tipo partitico, che si fonda su cellule operative in una
decina di città europee.
Allora si viaggiava in treno, e così iniziamo
un faticoso vagabondaggio non solo a Parigi e a
Strasburgo per i tormentati comitati centrali
dell'UEF, ma anche a Lione, ad Anversa, ad
Ostenda, nelle città in cui fosse possibile predisporre delle elezioni europee che simboleggiassero la volontà popolare di infrangere la divisione degli stati per aprire il varco alla Costituente europea.
La prima sessione del CPE ha luogo a Torino
(dicembre 1957) e altre si succederanno nelle
città sopracitate gli anni seguenti. L'operazione
CPE conosce un certo successo, se si consideri
la nostra limitatezza in uomini e mezzi, ma i risultati sono modesti in rapporto all'obiettivo
ambizioso che ci eravamo posti. Alla fine degli
anni cinquanta la strategia del CPE entra in crisi e ben presto le nostre strade si separeranno.
Io tento la via stretta del partito federalista,
come conseguenza logica della scarsa incidenza
di elezioni europee meramente «simboliche»,
ma devo rassegnarmi ben presto di fronte alla
inadeguatezza dei nostri quadri, di formazione
genericamente democratica, incapaci di portare
avanti una strategia sociale più avanzata di sinistra europea federalista. Altiero invece, impaziente di rientrare nel gioco politico e di interpretarvi un ruolo efficace ritornerà alla sua vera vocazione di consigliere dei Principi (così fu
con De Gasperi e Adenaur.fino a Berlinguer e
Mitterrand) e in questi ultimi anni svolgerà
una funzione importante nel Parlamento Europeo, senza per altro impedire al reticolato diplomatico e a quello partitico parlamentare di
castrare i suoi progetti, dopo averlo applaudito. Recentemente sulla rivista «Affari Esteri»
(n. 69 - gennaio '86) Andrea Chiti-Batelli analizza lucidamente l'impasse spinelliana a Strasburgo e l'involuzione in atto nella politica degli stati europei tesi ad inventarsi in quest'ultimo decennio una nuova politica «nazionale»
nell'ambito europeo confederale.
Da almeno quindici anni non ci siamo più incontrati. Venuto a Parigi verso la fine del 1982
gli scrissi, fine gennaio '83, per esprimergli il
COMUNI D'EUROPA
11
Spinelli al tavolo della Presidenza del Congresso federalista di Ancona (1955).
desiderio di rivederlo. Mi rispose da Bruxelles
il 15 luglio '83, scusandosi del ritardo con una
lettera molto affettuosa, scritta «di notte». Successivamente ho cercato di organizzargli una
conferenza all'Istituto Italiano di Cultura di
Parigi presso il quale lavoro, ma non è stato
possibile incunearla nel suo fittissmo calendario di impegni.
Numerose sue lettere, scritte soprattutto negli anni cinquanta del CPE, sono a disposizione (a casa mia in Italia) di chi scriverà la storia
federalista di questo grande politico europeo il
quale resta un esempio speculare di come si
possa servire un ideale per tutta la propria esistenza. Dico bene «europeo» perché mi pare sia
il solo uomo politico italiano meritevole di
questo attributo.
Le sue vittorie e le sue sconfitte non sono soltanto sue, ma appartengono a tutta una generazione, anzi ad almeno due generazioni che non
potranno mai acquietarsi del fatto che avevano
avuto ragione.
Messaggio d i Altiero Spinelli al IX Congresso dell'AICCRE
( m a r z o 1986)
,
La battaglia per una vera Unione europea, democratica ed efficace, ingaggiata dal
Parlamento Europeo eletto è terminata con una sconfitta.
I capi della maggioranza dei governi europei, pur condividendo con il Parlamento la
consapevolezza della necessità di passare da una Comunità solo economica, poco efficiente e poco democratica, ad una Unione, decisero pigramente non già di adottare il
progetto preparato in tre anni di lavoro dai legittimi rappresentanti del popolo europeo, ma di affidare la redazione delle riforme ad una tradizionale conferenza intergovernativa, cioè di fatto alle diplomazie nazionali, bastioni dell'immobilismo in materia
europea, decise ad ammettere che qualcosa potesse cambiare solo a condizione che in
realtà nulla cambiasse. Era naturale che in queste circostanze la montagna della Conferenza intergovernativa partorisse il ridicolo topolino dell'Atto Unico.
Ciò è potuto awenire e la voce del Parlamento Europeo non è stata ascoltata, perché
nel momento decisivo della messa in moto della procedura per la riforma i capi dei nostri governi sono stati circondati dal silenzio dei loro paesi.
Ciò non dovrà ripetersi.
I1 Parlamento Europeo si sta accingendo ad una nuova battaglia per la Costituzione
europea e inviterà governi, parlamenti, comunità locali, cittadini, a riconoscere al
prossimo Parlamento eletto un mandato costituente, ad impegnarsi a sottoporre il progetto definitivo che il Parlamento avrà elaborato non alla demolizione da parte delle
diplomazie nazionali, ma direttamente alla ratifica dei Parlamenti nazionali, nonchk a
realizzare l'Unione europea anche solo fra i paesi decisi ad avanzare.
Se la vostra Associazione non si limiterà a sostenere nel vostro Congresso il Parlamento Europeo, ma inviterà Comuni e Regioni a mobilitarsi per far pressione sui loro
governi nazionali, sarà assai difficile per questi ignorare la vostra voce, e le probabilità
che la prossima battaglia sia vinta saranno assai maggiori.
Vi auguro quindi un buon lavoro e un forte impegno.
Altiero Spinelli
COMUNI D'EUROPA
giugno 1986
«Solo un uomo siffatto ha la vocazione
per la politica))
di Mario Albertini
È infinitamente triste non poter più parlare
con Altiero. In questo momento vorrei ricordare due cose: come l'ho conosciuto, che cosa
ho pensato di lui quando è scomparso e tutti
abbiamo sentito il bisogno di cercare, nel nostro pensiero, il significato della sua vita.
Io ho conosciuto Spinelli nel 1953. Ero stato
iscritto al MFE da quando avevo saputo che
esisteva (nel 1945), ma lo consideravo una organizzazione più culturale che politica. In prima
istanza fare politica è partecipare alla lotta per
il potere nella propria nazione, e così, pur
avendo odiato l'Italia, avevo fatto io come liberale di sinistra. Ma a grado a grado avevo dovuto abbandonare tutte le posizioni che avevo via
via preso perché constatavo che non avevano
sbocco. Mi sono trovato così prima fuori dal
partito liberale, per la repubblica, e poi fuori
da ogni schema precostituito di partito per partecipare al tentativo di ottenere l'unificazione
della sinistra democratica e la completa democratizzazione del PCI, e in questo modo un'Italia nella quale ci fosse l'alternativa di governo
nel senso pieno del termine, e nella quale la
gente non votasse più - allora lo facevano quasi tutti - per la Russia o per l'America. Questa
era l'Italia con la quale io pensavo che si potesse costruire l'Europa, nella quale mi riconoscevo pienamente.
Ma questa prospettiva non avanzava. Cominciai così ad accorgermi che c'era in questo disegno - allora comune a tanti antifascisti, e poi
via via riproposto - un vizio strutturale. Non
si poteva, per democratizzare compiutamente
l'Italia, puntare su un fatto organizzativo (la
trasformazione e l'unificazione dei partiti di sinistra), ma bisognava puntare su un grande fatto politico, cioè tale da provocare un profondo
mutamento di idee e di posizioni, e che fosse
inoltre tale da provocare, come conseguenza,
proprio quella del rinnovamento dei partiti.
Mi resi conto allora che il grande fatto di cui
aveva bisogno l'Italia era l'unificazione
dell'Europa. L'Europa come punto di partenza, e non, secondo il modo comune di vedere,
come punto di arrivo del rinnovamento.
Ma con questo rovesciamento di fronte si
presentava un ~roblemaestremamente difficile: una lotta politica che non puntasse sulla
conquista del potere nazionale, ma sulla costruzione del potere europeo. In apparenza, non ci
aveva pensato nessuno. In verità uno ci aveva
pensato: Spinelli. E aveva dato un seguito al
suo pensiero, il Movimento Federalista Europeo, che di colpo mi apparve come la sola organizzazione politica con valore strategico. H o
scritto a Spinelli, sono andato da lui, ho cominciato la mia azione nel MFE, e ancora oggi mi
chiedo che cosa avrei potuto fare senza Spinelli.
Vorrei ora dire di lui. A me pare che persino
nello stile di vita, ispirato a una semplicità
esemplare, a un realismo che non temeva alcuna verità, per amara che fosse, Spinelli abbia incarnato, in modo che si può dire perfetto, la figura dell'eroe politico, così come l'ha delineata
Max Weber.
Ricordo che Weber conclude il suo saggio su
«La politica come professione» con queste parole: «La politica consiste in un lento e tenace
superamento di dure difficoltà, da compiersi
con passione e discernimento al tempo stesso.
È perfettamente esatto, e confermato da tutta
l'esperienza storica, che il possibile non verrebbe raggiunto se nel mondo non si ritentasse
sempre l'impossibile. Ma colui il quale può accingersi a questa impresa deve essere un capo,
non solo, ma anche - in un senso molto sobrio della parola - un eroe. E anche chi non
sia l'uno né l'altro, deve forgiarsi quella tempra
d'animo tale da poter reggere anche al crollo di
tutte le speranze, e fin da ora, altrimenti non
sarà nemmeno in grado di portare a compimento quel poco che oggi è possibile. Solo chi
è sicuro di non venir meno anche se il mondo,
considerato dal suo punto di vista, è troppo
Spinelli Commissario della Comunità economica europea a Bruxelles negli anni 1970-76.
stupido o volgare per ciò che egli vuol offrirgli,
e di poter ancora dire di fronte a tutto ciò: non
importa, continuiamo! Solo un uomo siffatto
ha la vocazione per la politica,,.
Non si può dire meglio, e non si può dire altrimenti per ricordare Altiero Spinelli. Si deve
solo aggiungere che egli è stato un eroe della
politica perché è stato un eroe della ragione.
Ormai egli era riconosciuto, in tutta Europa,
come uno dei «padri fondatori,, accanto a Monnet, a De Gasperi, ad Adenauer, a Schuman.
Col tempo, che seleziona i valori, e stabilisce
il significato delle imprese storiche, egli sarà
certamente riconosciuto come una delle poche
grandi figure politiche del nostro secolo. Certo
è che nessuno come lui ha mai fondato esclusivamente sulla ragione il suo progetto politico.
È un fatto che, pur essendo italiano, S~inelli
non considerò affatto l'Italia come una realtà
da accettare prima ancora di averla sottoposta
all'esame della ragione. Ed è un fatto che, pur
essendosi convertito alla democrazia dopo
l'esperienza leninista della primissima giovinezza, egli non considerò affatto le grandi ideologie della nostra tradizione politica (liberalismo, democrazia e socialismo) come schemi
esclusivi, né come un confine mentale entro il
quale limitare l'ideazione politica.
È con questi riferimenti che appare chiaramente il senso del disegno europeo di Spinelli.
L'intero processo politico, nonostante il carattere sempre più unitario del processo storico,
resta ancora finalizzato solo ai cambiamenti da
introdurre nella propria nazione, come se ciò
bastasse per risolvere anche i grandi e pressanti
problemi di carattere continentale e mondiale:
persino la pace, in questa prospettiva, è vista
come un obiettivo che sarebbe perseguibile con
una pura e semplice sommatoria di oli ti che
nazionali. Spinelli si colloca invece sul versante
opposto. Essendosi liberato del condizionamento nazionale e di quello ideologico del passato, Spinelli è riuscito a progettare ex novo
un'azione costituzionale supernazionale dell'obiettivo strategico del nostro tempo in Europa:
l'unità, cioè la Federazione europea.
È stata così intrapresa per la prima volta
un'azione politica che non si basa sulla lotta
per la conquista e l'uso dei poteri costituiti (i
poteri nazionali), ma sulla lotta per la creazione di poteri nuovi. È la sola via per ristabilire
l'equilibrio tra capacità tecnologica e capacità
politica, e per incamminare il mopdo verso la
vera civiltà: la pace organizzata.
giugno 1986
COMUNI D'EUROPA
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Continuare la sua grand e lezione di realismo
di Carlo Alberto Graziani
La grandezza umana di Altiero Spinelli è nella sua vita, nell'itinerario da lui percorso per diventare saggio. L'incompiuta autobiografia splendida anche sul piano letterario - testimonia l'eccezionale odissea di un uomo che proprio al nome di Ulisse ha voluto legare la sua
vicenda.
Ma la gandezza politica di questo profeta
dell'Europa - come Spinelli è stato chiamato
soprattutto negli ultimi tempi - è affidata, ora,
alla sua morte. È a partire da oggi che si dovrà
verificare la validità del suo progetto politico.
È a partire da oggi che si vedrà se l'ultimo viaggio da lui vagheggiato, allorché ha esortato a riprendere il mare aperto, sia destinato a ripercorrere il mito dell'eroe itacense, pur esaltandolo in chiave di moderna e generosa utopia
(ma i miti e le utopie illuminano la storia degli
uomini), o se, invece, si sia incarnato o possa
incarnarsi in una strategia complessiva destinata a incidere nel tessuto politico.
I1 suo progetto, la sua strategia Spinelli li aveva. Ed era riuscito a imporli a singoli e a organizzazioni, fino a conquistare quel Parlamento
Europeo, Giano bifronte, che da un lato incarna la democrazia del popolo europeo e ne rappresenta l'espressione più alta e dall'altro è costretto a bruciare tutte le sue potenzialità privo
com'è di poteri significativi.
Gli interrogativi che oggi tutti dobbiamo
avere il coraggio di porre con la massima chiarezza sono i seguenti: la battaglia per l'Europa
- cioè per l'Unione politica, meglio per la Federazione europea - quale Spinelli stava combattendo, e con lui (non bisogna dimenticarlo)
combatteva il Movimento federalista europeo,
è una battaglia destinata a cessare con la scomparsa del suo protagonista? L'adesione massiccia del Parlamento Europeo al progetto di trattato per l'Unione era legata fondamentalmente
alla personalità del più autorevole e influente
dei parlamentari europei? In altri termini la
strategia di Spinelli muore con lui?
La risposta non può consistere in un atto di
fede. Se l'Europa è obiettivo politico, lo può essere solo perché questo obiettivo si iscrive nel
regno della ragione e non in quello della fede.
La crisi degli stati nazionali ha dato vita a forme di aggregazione interstatale che non sono
riuscite a infrangere la soglia della sovranità nazionale. Eppure, all'indomani della barbarie
dell'ultimo conflitto mondiale, appariva chiaro
a molti che il ripetersi delle guerre e delle dittature poteva essere evitato solo se si fosse riusciti a creare un solido potere sovranazionale: del
resto proprio questa consapevolezza profetica
aveva ispirato il rnanz&esto di Ventotene. Ma,
per un verso, l'opera di ricostruzione avviata
all'interno dei singoli stati europei dimostrava
nei fatti la possibilità del rafforzamento delle
istituzioni democratiche anche all'interno delle strutture nazionali e, dall'altro, i partiti che
rappresentavano quella componente della soD ~ Ùautenticamente internazionacietà euroDea
I
I
lista, cioè la classe operaia, restavano anch'essi
ancorati al quadro nazionale poiché il loro pri-
mo obiettivo era quello di elevare marxianamente il proletariato a «classe nazionale».
La scelta funzionalista era inevitabile ed è stata una scelta che ha finito per generare solo le
Comunità europee: un mostro se rapportato al
progetto federalista. Ma non poteva essere altrimenti, trattandosi di un progetto consumatosi - allora, al suo sorgere, ma anche per un
lungo periodo successivo - nella separatezza
più assoluta con le forze di base e in particolare
con il movimento operaio. D i quel progetto invece si impossessarono, tradendolo e snaturandolo, determinati interessi economici (in particolare gruppi monopolistici operanti sul mercato mondiale delle derrate alimentari e dei
prodotti agro-industriali) alla cui logica ha finito inevitabilmente per rispondere la costruzione comunitaria.
A questo punto la grande e solitaria lezione
di Spinelli è stata di realismo: prendere atto
che, per il modo come si era avviata, la costruzione comunitaria rappresentava comunque la
fase di un processo ormai irreversibile. N o n
era più possibile affrontare i veri problemi che
travagliavano i singoli stati europei se non in
chiave comunitaria. Di qui la sua scelta di impegno nelle istituzioni comunitarie: passaggio
obbligato per realizzare gradualmente quell'obiettivo che nelle brume di Ventotene a lui era
apparso come l'unico che consentisse nell'immediato di evitare il definitivo imbarbarimento.
Oggi la razionalità di questa scelta, che rende
la costruzione degli Stati Uniti d'Europa obiettivo politico, riposa non più su previsioni di
singoli pensatori, ma su fatti che scuotono e angosciano milioni di persone, agitano e creano
movimenti di massa nel mondo e in Europa: la
pace, l'ambiente, le risorse, la fame, i rapporti
Nord-Sud. Fatti tra loro strettamente collegati
e uniti anche da questo comune denominatore:
la loro ingovernabilità da parte dei singoli Stati
europei e delle istituzioni comunitarie.
Milioni di europei chiedono, per sé e per i
propri figli, di fuggire l'angoscia dell'olocausto
nucleare e di diventare strumento di pace, ma
gli Stati europei sono incapaci di assolvere a
qualsiasi ruolo di pacificazione; milioni di europei esigono di vivere in un ambiente pulito,
di porre fine al saccheggio delle risorse, allo
sfruttamento incontrollato delle fonti di energia, ma gli Stati europei sono coinvolti in una
Spinelli nell'emiciclo di Strasburgo durante la prima legislatura del Parlamento Europeo
eletto a suffragio universale e diretto (1979-1984).
COMUNI D'EUROPA
14
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PARLAMENTO EUROPEO
Progetto
di TraMto
che Istituisce
IVnlone
europea
spirale che non riescono a dominare, dove le
scelte vengono dettate in funzione non dell'uomo, della qualità della sua vita, della sua sicurezza, bensì sempre e comunque della produzione; milioni di europei piangono sulle sorti
della maggioranza dell'umanità, ma i singoli
stati europei contribuiscono ad accrescere la
frattura tra ricchi e poveri, tra area del benessere e area della fame. Insomma, milioni di europei vogliono contare, ma i singoli Stati europei
contano sempre meno.
La battaglia per l'Europa diventa allora la
battaglia perché i cittadini europei possano
condizionare democraticamente le scelte decisive per le sorti del nostro continente e del
mondo intero.
Come però questi fatti sono in grado di diventare strumento di riforma delle sclerotiche,
e sclerotizzanti, istituzioni comunitarie? Come
è possibile invertire radicalmente la politica comunitaria ed evitare che la Comunità continui
a operare, almeno per tanta parte, in funzione
della realizzazione degli interessi di alcuni potentati economici?
I1 salto di qualità intravisto da Altiero Spinelli, e legato in un certo momento storico (cioè
fino a oggi) alla sua lucida e appassionata iniziativa, è affidato alla capacità che ha il Parlamento Europeo, proprio perché espressione alta
della democrazia europea, di collegarsi a quei
movimenti di massa che devono vedere in esso
lo strumento riformatore, se si vuole i l j d w a tore.
Inquadrata in questa luce l'adesione così larga del Parlamento Europeo al progetto di
Unione non può essere più considerata passiva
adesione all'utopia di un trascinatore, ma consapevole accettazione del proprio ruolo che è
rivoluzionario.
Si chiarisce allora la portata storica dell'incontro tra Altiero Spinelli e il Partito comunista italiano; incontro tanto più importante
poiché non è stato Spinelli - come lui teneva a
sottolineare - ad avvicinarsi (o riawicinarsi) al
PCI, ma quest'ultimo al progetto federalista:
basterebbe ripercorrere gli appassionati discor-
si di Enrico Berlinguer e alcuni documenti ufficiali fino alle indicazioni del 17' congresso per
rendersi conto di come l'adesione a tale progetto sia entrata a far parte della strategia del Partito.
L'importanza storica di questo incontro è data dal fatto che una parte consistente della forza organizzata dei lavoratori presente in Europa, superando una tradizionale separatezza e
dando concreta prospettiva al proprio internazionalismo, ha raccolto la sfida e si è impegnata
a condurre in prima fila la battaglia per il processo di integrazione politica del vecchio continente, a partire dall'area comunitaria, nella direzione verso cui tendono quei milioni di cittadini europei.
A questo impegno devono seguire le realizzazioni concrete: ed esse devono passare attraverso iniziative volte a rafforzare il ruolo del Parlamento Europeo come concreto interlocutore
del popolo europeo, dei suoi movimenti, dei
suoi partiti; e si tratta di iniziative che non pos-
giugno 1986
sono limitarsi ad alcuni momenti specifici e settoriali, ma devono riuscire a coinvolgere la
quotidianità dell'azione politica e in tale quotidianità a creare quelle alleanze che si rendono
necessarie per il perseguimento dell'obiettivo.
È su questa base chele forze della sinistra europea possono oggi porre le basi per la realizzazione dell'unione politica dell'Europa, della
Federazione europea.
Di qui la tremenda responsabilità di coloro
che, collocandosi in questa area politica, intendono proseguire la battaglia di Altiero Spinelli
per quella Unione che, sia pure in prospettiva
non vicinissima, appare oggi concretamente
possibile: una responsabilità nei confronti della
società, ma anche una responsabilità nei confronti non solo della società ma anche della memoria di Spinelli: perché egli sia ricordato non
come il profeta dell'utopia, ma come il precorritore e l'artefice dello stato sovranazionale.
E questo è anche il senso di una personale testimonianza.
Messaggio di Altiero Spinelli, presidente della commissione
istituzionale del Parlamento Europeo, ai XVI Stati generali del
Consiglio dei Comuni e delle Regioni d'Europa a Berlino
L'azione per l'Unità federale europea sta attraversando un momento difficile, ma la
forza di un'idea è dimostrata dal modo come essa sa risorgere dalle sconfitte e sormontare le difficoltà.
I governi stanno ora pensando solo alla ratifica del cosiddetto *Atto Unico*, il topolino nato dalla montagna della Conferenza intergovernativa di Lussemburgo. Partiti e
parlamenti nazionali - con qualche lodevole eccezione - non se ne occupano perché il
tema non è al loro ordine del giorno. La Commissione esecutiva, con le orecchie tese
solo a quel che il Consiglio desidera o non desidera, non guarda più lontano dell'Atto
Unico, alla cui elaborazione essa ha largamente collaborato. Il Parlamento Europeo,
circondato da questo grande silenzio, esita e molti suoi membri sono tentati fortemente dalla rassegnazione e dagli innocui giri di danza consultivi cui l'Atto Unico li invita.
La situazione della Comunità intanto si aggrava. L'Europa è stata drammaticamente
assente durante tutta la recente crisi del Mediterraneo. Le risorse proprie si stanno
nuovamente inaridendo. Non c'è bilancio per il 1986. I1 Consiglio, pur sapendo che
tutti gli stati ratificheranno l'Atto Unico, si rifiuta di anticipare anche solo di un giorno la messa in opera delle misure da esso previste per creare il mercato veramente unico e rinvia a data da destinarsi la modifica delle sue procedure di decisione necessaria
per consentire il voto a maggioranza. La perversa politica dei prezzi agricoli continua a
produrre stoccaggi e costi in misura crescente.
In queste circostanze, nella commissione affari istituzionali del Parlamento Europeo
stiamo battendoci per impostare la battaglia per il mandato costituente da riconoscere
al Parlamento Europeo che sarà eletto nel giugno 1989, unica via per uscire dalla attuale crisi della Comunità. Affinché questa via sia percorsa sino in fondo è indispensabile
coinvolgere i cittadini europei in questa battaglia, attraverso l'organizzazione di referendum consultivi sull'unione europea in tutti paesi della Comunità, e ottonere l'impegno dei governi (o della maggioranza di essi) a sottoporre direttamente alle ratifiche
nazionali il progetto di Costituzione che sarà elaborato dal Parlamento Europeo.
A voi, come a tutti i federalisti di tutta Europa, spetta il compito non solo di ammonire sui pericoli cui i nostri popoli vanno incontro e sul significato democratico della
Costituente europea, ma anche il compito di vegliare da vicino sui deputati europei,
spronandoli se esitano, approvandoli se agiscono bene, criticandoli se agiscono male.
Sono certo che saprete rispondere a questa sfida, poiché avete dimostrato di esserne
capaci durante tutta l'azione che ha portato il Parlamento Europeo ad approvare il
progetto del 14 febbraio 1984 e nella preparazione della manifestazione di Milano del
giugno 1985.
Siate tenaci!
Altiero Spinelli
giugno 1986
COMUNI D'EUROPA
15
«Ho corso ormai la mia corsa.. .D
di Edmondo Paolini
L'ultima volta che ho parlato a lungo con Altiero è stato il 6 maggio, nella stanza 220 della
clinica Mater Dei, a Roma. Gli avevo telefonato il giorno prima e mi aveva invitato ad andare di pomeriggio, quando era lasciato tranquillo dalle varie cure mediche.
Stava in poltrona leggendo «La Repubblica»,
che mise subito sul letto. La prima impressione
che ricevetti fu abbastanza buona e glielo dissi.
Mi confermò di sentirsi più sollevato, per la
prima volta dopo alcuni giorni, per effetto di
alcuni interventi e cure avute il giorno prima e
nella stessa mattinata. Mi descrisse il suo stato
di salute, con tutti i sintomi e le varie conseguenze. Ma felice per la sua serenità, appena velata da sguardi che qualche volta mi superavano, gli rammentai i suoi ultimi due interventi
polemici: nel marzo all'Associazione stampa
estera, durante la presentazione del Centro
«una sinistra per l'Europa» e, soprattutto, l'intervista all'«Espresso» sui drammatici fatti del
Mediterraneo, che aveva provocato la lettera
critica di Folena sullo stesso periodico. Sorrise
ammiccando e subito mi disse: «Sai, gli ho appena risposto a Folena, dicendogli tre cose*.
Mentre parlava si animava e prese a gesticolare
nel modo a tutti noi familiare. «Primo, gli ho
scritto, se qualcuno ti dà un calcio, ridaglielo
subito, anche più forte, e poi comincia a discutere. Secondo, non hai capito niente del mio
giudizio sull'intervento americano: il concetto
era che, dato che l'Europa non esiste, Reagan
... Terzo ...,L Esitò per riflettere, ma fu un attimo, che la memoria si fece subito nitida. «Terzo, invece di andare alle marce della pace, studia, studia...», terminò ridendo.
Entrò un infermiere per preparargli una flebo. Gli chiesi come si trovasse nella clinica.
«Bene, bene; qui c'è un infermiere che mi conosceva di nome, non so se mi aveva sentito alla radio o visto alla televisione, e che lo ha detto in giro. Subito si sono affacciati tutti a salutarmi; pensano che sia importante,,. Sorrise ancora.
Gli domandai se era stanco e desiderasse restare solo. «No, no, anzi mi stanca leggere*.
Gli parlai allora dell'appoggio pieno che, la settimana prima, agli Stati generali di Berlino, gli
amministratori locali del CCRE avevano dato
al suo progetto di affidare il mandato costituente al Parlamento Europeo e dell'azione eccezionale condotta in questo senso dal relatore
generale, l'amico federalista Gabriele Panizzi.
L'aver convinto - gli dissi - dopo due giorni
di vivace dibattito soprattutto i sindaci inglesi e
tedeschi ad approvare referendum-campione
nelle loro ciaà per i poteri costituenti al P.E. e,
addirittura, a raccogliere nei loro municipi dei
cahiers de dolèances, mi sembrava un risultato
importante. «Certo - intervenne - solo quest'azione fuori d'Italia è importante; se fosse
solo per l'Italia la battaglia per la Federazione
europea sarebbe già vinta ... o quasi,,. E subito
continuò: ma è importante anche che nel progetto di trattato sia prevista la difesa comune,
anzi, più che la difesa, non mi importa che siano in comune esercito o aviazione, ma che sia
comune l'organismo che gestisce la difesa, cioè
un governo europeo,,. «È molto che ci torni sopra», commentai: e gli ricordai lo scambio di
battute a Strasburgo, mentre stava entrando
nell'emiciclo per la votazione del progetto di
trattato, nel testo «politico». Gli avevo chiesto
un pronostico e mi rispose: «Spero che andrà
bene, credo che andrà bene. Ma se non andasse
c'è sempre qualche altra cosa, si può sempre ricominciare da qualche altro punto ...» e, visto
che non completava il pensiero, avanzai «la difesa comune?», Lui ammiccò ed entrò nell'aula
(ricordo quest'episodio strasburghese a quanti
hanno parlato pih volte di uno Spinelli «ultima
spiaggia,,, cioè di un politico solo tattico seduto, dopo la sconfitta, a leccarsi le ferite). I1 discorso scivolò per un po' sulla CED e sul parallelismo con il momento attuale. Mi accennò
anche ad una grande iniziativa europea per rilanciare politicamente il processo unitario con
il coinvolgimento di personalità politiche europee (solo qualche giorno dopo l'ho collegata alla lettera che lui, Ripa di Meana, Emanuele
Gazzo e ~ o c h altri
i
avevano inviato, per indire
una sorta di conclave sul futuro dell'Europa, ad
alcune decine di uomini politici europei).
Poi gli chiesi a che punto fosse il seguito delle
memorie. «Sono appena al '48, e non ne sono
pienamente soddisfatto; ci ho lavorato poco.
Mi sono sentito mancare le forze proprio il
giorno che avevo stabilito di riprendere il lavoro». Mi offersi di facilitarlo, andando da lui con
il registratore, per mettere in chiaro eventualmente le linee principali. «No, non sono capace di lavorare con il registratore; poi in questo
periodo non riesco a concentrarmi, mi stanco
subito, invece ci vuole attenzione ... e molto
tempo. Se esco da questa situazione ne riparliamo, ammesso che esca di qui ... e soprattutto
che ne esca ancora capace di ragionare, ché questo sarebbe ancora più grave». Interruppe le
mie proteste affettuose «...Sai, non credere che
la vecchiaia sia una discesa lenta e regolare. So-
no pochi gradini, molto profondi ...»e accompagnò le parole con un eloquente gesto della
mano. Da quando parlavamo, era passata più di
un'ora, per la prima volta poneva il problema
di non riuscire a farcela. «Forse, dovrò rinunciare alla laurea honoris causa che vogliono darmi a Pavia fra un po'». «Non lo sapevo, gli dissi. Quante ne hai?». «Quattro, quella dell'università di Longhborough, di Padova, di Bruxelles e di Hull; ma, senza offesa per nessuno, la
laurea a cui tengo di
è quella di Bruxelles
dove eravamo io, Nelson Mandela, Willy
Brandt, Simone Veil e Andrei Sacharov*.
Qualcuno telefonò ed Altiero prese l'agendina per dare appuntamento per una visita. Mi
pregò poi di avvicinargli una sedia per riposare
le gambe, scusandosi e ringraziandomi più volte (la sua gentilezza e affettuosità mi colpiva
sempre in una persona apparentemente rude,
impetuosa, smentendo chi lo conosceva solo
superficialmente: ricordo le sue insistenze
quando una sera, a conclusione della cena ufficiale a Strasburgo per festeggiare la trionfale
votazione favorevole al suo progetto di trattato, volle accompagnarmi al mio albergo in
macchina, malgrado lui fosse visibilmente stanco, anche se raggiante e commosso. E chi non è
Spinelli ritorna a Ventotene in occasione del 40° anniversario del «Manifesto» (1981).
COMUNI D'EUROPA
rimasto toccato dalla sua affettuosa, dolce premura nei rapporti con Ursula?).
"E Ursula, come l'ha presa?». «Ma, sai, Ursula è fatta così: si arrabbia per le piccole cose,
per le stupidaggini, ma di fronte ai grandi problemi diventa un leone». E dopo qualche secondo concluse con un sorriso «... e adesso è un
leone! Mi dispiace solo che, dopo tanti anni,
per la prima volta avevamo deciso di prenderci
una vacanza vera. Avevamo già prenotato una
pensione in Engadina, in Svizzera...». «Ma è
proprio questa l'occasione di andarci per la
convalescenza»,lo interruppi. «Non credo proprio che andremo ...», disse con voce senza
espressione.
Restammo un momento in silenzio, poi, improvvisamente mi chiese: «Che ne pensi del
centro di Torino, di Pistone?».Gli risposi subito che era una iniziativa molto importante per
conservare e valorizzare la documentazione federalista e che tutti noi eravamo daccordo per
potenziarlo. Gli parlai anche del grosso lavoro
di recupero e di catalogazione che Pistone stava
facendo. Mentre parlavo mi guardava fisso. Poi
squillò il telefono: era suo nipote, Altiero lo
rassicurò sulla sua salute. Mentre era al telefono bussarono alla porta ed entrò l'avvocato
suo amico. Altiero salutò il nipote, promettendogli che lo avrebbe richiamato più tardi.
Anch'io lo salutai ed uscii.
Nei giorni successivi risentii due volte Altiero per telefono, prima di andare a Strasburgo
alla sessione di maggio del Parlamento Europeo. Al ritorno, era giovedì sera, 15 maggio, la
figlia Barbara mi informò al telefono che Altiero non andava affatto bene. Attraverso gli amici cari ad Altiero, Pier Virgilio Dastoli e Viviane Schmit, e Gianni Ruta, che ogni mattina gli
portava i giornali, seguii quotidianamente il declino sempre più rapido, fino a quando, giovedì 22, mi telefonarono che si era aggravato ulte-
PROBLEM
FEDERAZ
EUROPEA
giugno 1986
lumbo, ha raccolto, insieme alle parole di Chiti-Batelli, illustrative del «Manifesto di Ventotene», e alla successiva conferenza di Spinelli,
nel volume «Europa, padri e figli», riprendendone la registrazione); la seconda, nella mia lettura delle sue memorie uCome ho tentato di diventare saggio. Io, Ulisse», fatta per «Comuni
d'Europa» (n. 9, settembre 1984).
Ricordare invece un momento sereno dei
suoi ultimi giorni terreni, vuole essere per me
un modo per trasmettere anche ad altri amici
l'immagine viva della sua persona, così come
ho avuto sempre la fortuna di conoscere (tranne, forse, che ai funerali della figlia Diana): ricordo di un Altiero aperto, amichevole, irruento, vivace, severo, affettuoso, così come le pagine della sua biografia ci avevano confermato e
su cui, credo, gli amici e le persone che lui stimava possono testimoniare.
Così lo ricordo durante il ritorno commosso
Forse, ricordare Altiero Spinelli presuppone- a Ventotene, quando per il quarantennale del
va un giudizio sulla sua persona e sulla sua ope- Manifesto, il 10 e 11 ottobre 1981, fu scoperta
ra, piuttosto che una riflessione personale, e dalla figlia Renata la lapide commemorativa sul
per di più riferita agli ultimi giorni della sua muro del Municipio, e nella successiva visita
esistenza. Ma lascio ad altri farlo, come in que- «guidata» agli alloggi dei confinati, al muretto
sto numero di «Comuni d'Europa», o in altre panoramico, al porticciolo, alle sue ginestre. E
sedi, dalle commosse parole di Pier Virgilio ancora a Ventotene, qualche anno dopo,
Dastoli, sulla piazza di Montecitorio, davanti nell'incontro che mi pregò di organizzare con
alla salma di Altiero, ai meditati editoriali di il Movimento federalista, il lungo abbraccio
Emanuele Gazzo sull'«Agence Europen (con la con Mario Albertini e, idealmente con tutti i
proposta del Comitato d'Azione Altiero Spi- federalisti della prima ora, con i meno vecchi e
nelli); dalla nota di Anna Maria Merlo su «I1 con i giovani militanti, presente, come in tutte
importanti, la sua insostituibile
Manifesto*, alle umane espressioni di Enrico le occasioni
Mattei su «I1 Tempo». Da parte mia ho già compagna di tante lotte, Ursula. Così durante
avanzato il mio giudizio soprattutto in due oc- il suo intervento al Liceo Virgilio di Roma, pricasioni, quando Altiero era vivo, non quindi ma delle elezioni europee del '79, dove catturò
sotto l'emozione della perdita: nel 1983, alla l'attenzione di centinaia di studenti settantottiFondazione Dragan di Roma, dove lo presen- ni (e uno era presente, in ricordo di quel giortai, sulla base di motivazioni storiche e politi- no, ai suoi funerali) e poi, terminato il dibattiche, come uno dei più grandi uomini politici to, quando mi portò a vedere la sua sede clandegli ultimi decenni, uno dei pochi che hanno destina di dirigente della gioventù comunista,
saputo legare così strettamente la teoria alla durante il fascismo, in una traversa di via Giuprassi, la meditazione all'azione, come Ghandi lia, non lontano dalla scuola.
E ancora, lo ricordo nel giorno del conferi(parole pronunciate a braccio, ma che la passione di un altro amico federalista, Marce110 Pa- mento della laurea honoris causa all'università
di Padova, circondato da tanti amici, con quel
suo discorso che resta, a mio giudizio, uno dei
più sapienti da lui pronunciati. E la memoria di
tanti interventi in convegni, tavole rotonde,
congressi, conferenze - vere lezioni politiche
- ,che ogni volta facevano compiere agli interi
lavori un salto di qualità.
Ma particolarmente mi piace ricordarlo a
Strasburgo: le chiacchierate piene di giudizi,
valutazioni, messaggi politici, andando avanti e
dietro rapidamente davanti l'emiciclo prima
che cominciassero le sedute o in qualche intervallo. Ma soprattutto la sua immagine durante
le storiche sedute che hanno segnato le tappe
della sua grande battaglia per tentare di dare al
Parlamento Europeo la dignità e all'Europa
l'unità federale: in quei momenti, in quei discorsi in cui riecheggiava Ventotene, la distanza fra i nani della politica nazionale (governanti e burocrati) come li ha definiti con efficace
immagine Emanuele Gazzo, e il gigante Spinelli diventava abissale e noi federalisti eravamo
fieri di essere con lui, come oggi di continuare
la comune lotta per la Federazione europea fino a quando anche noi, come Altiero mi scrisse
una volta citando le parole di San Paolo, avremo ormai corso la nostra corsa...
riormente. Andai in clinica dove, con alcuni
amici - Francesco Parlagreco, Gino Majocchi,
Gabriele Panizzi, Roberto Santaniello, Anna
Baghi, Luciano Bolis, Francesco Gui, Andrea
Chiti-Batelli, Gianna Radiconcini, e mia moglie Anna - rimanemmo fino a tarda notte.
Prima di andare via, per tornare qualche ora
dopo, salii un momento nella stanza di Altiero,
che era assistito da Ursula, dalle figlie Barbara,
Sara e Renata con il marito. Altiero respirava
lentamente, ma regolarmente. Non mostrava
segni di grande sofferenza. Così l'ho lasciato
per l'ultima volta. Qualche ora dopo, alle 8.15,
Pier Virgilio ci portava da basso la notizia della
fine: il tenue filo che lo aveva tenuto in vita si
era spezzato, ma per annodarsi strettamente alla storia.
giugno 1986
COMUNI D'EUROPA
17
Altiero Spinelli: un eroe politico
del nostro tempo
di Pier Virgilio Dastoli
Altiero Spinelli è morto, «così come una can- è stata matrice di un nazionalismo forsennato.
dela si spegne casualmente quando un soffio Io sono stato invece tra coloro che da essa hanporta via la sua fiamma o quando il lucignolo si no appreso una insormontabile antipatia per le
annega nella cera fusa che ne circonda la base»: parole stesse di nazione e patria e per la loro
così aveva scritto nelle prime pagine del suo pretesa di accaparrare l'anima umana... Diven«Io, Ulissen.
tato comunista, non era tanto contro il fasciQualcuno ha detto che Altiero è morto com- smo italiano e per un'ideale di Italia che mi
battendo come un partigiano sulla montagna. schieravo, quanto contro il capitalismo e l'imE, come un partigiano, si è battuto fino all'ulti- perialismo mondiali e per un nuovo ordine
mo per l'Europa democratica e federale, così mondiale». «Ero diventato comunista, perché
come si era battuto per la democrazia e la li- agitato dalla passione politica per l'azione e per
bertà, pagando con il carcere e con il confino.
il comando, sedotto da un'organizzazione che
È morto come un partigiano sulla montagna, si presenta come un clero, depositario delle seperché fino all'ultimo ha anteposto la sua scelta grete leggi che regolano la morte delle vecchie
di vita federalista all'esigenza, fisicamente or- e la nascita delle nuove società umane, deciso a
mai pressante, di sostare per riprendere fiato prendere il potere assoluto necfssario per creaprima di awiare la nuova fase della lotta, della re la nuova e perfetta società». E per questo che
sua lotta per l'unità dell'Europa.
le «mie meditazioni sono sempre state rivolte
Qualcun altro ha scritto «se l'Europa aveva assai più verso i problemi del potere, della sua
un'anima, questa se ne è andata con Altiero nascita, delle sue forme e del suo dramma, che
Spinellis: ed ha unito così il suo giudizio, non verso i problemi della giustizia sociale, apsenz'anima e senza speranza, alla retorica fune- parendomi quest'ultima sempre essenzialmenbre di chi ha parlato delle idee e delle azioni di te come uno, ma solo uno, dei compiti del poAltiero come di una raccolta di incartamenti da tere».
archiviare, insieme alla storia di altre utopie
I1 secondo momento concerne l'incontro di
politiche non realizzate.
Altiero con Gramsci: egli «opponeva (alla viOccorrerà ora continuare la lotta di Altiero sione bordighiana, n.d.r.) la visione di un parti«fino al giorno in cui il popolo europeo avrà to che definiva allora avanguardia del proletatrovato la sua unità», con lo stesso coraggio e la riato, intendendo con ciò sottolineare che esso
stessa pienezza di pensiero che hanno contrad- doveva sentirsi legato alla classe di cui per l'apdistinto oltre sessant'anni di attività politica: punto era l'avanguardia, e perciò tuffato nella
tre anni di antifascismo militante, dieci anni di vita politica quotidiana in cui il proletariato si
carcere e sei di confino. vent'anni dedicati alla
fondazione ed alla guida del Movimento Federalista europeo in Italia ed in Europa, quattro
anni all'insegnamento all'università Johns
Hopkins, cinque anni al171stitutoAffari Internazionali, sei anni alla Commissione delle Comunità Europee ed infine dieci anni al Parlamento Europeo.
Verrà il momento di ripercorrere il suo
straordinario cammino politico e culturale per
ritrovare il filo che riunisce il suo primo «incontro» significativo (quello con il Lenin di
«Che fare*, che ha «posto un sigillo», sul suo
destino personale, con la teoria del partito dei
rivoluzionari professionali) con gli incontri avvenuti vent'anni dopo ed egualmente significativi con Luigi Einaudi e con la letteratura federalista inglese ed in particolare con Lione1 Robbins ed il suo «The economic causes of war».
Vorrei qui tuttavia ricordare alcuni momenti
essenziali del cammino politico e culturale di
Altiero, che più hanno contribuito a fondare
quella che sarebbe ~ ostata
i la vera vita, reale e
piena, di Altiero: la vita federalista.
I1 primo momento concerne l'adesione di Altiero alla federazione giovanile comunista,
nell'autunno del 1924.
«La mia adesione al partito comunista - scrive Altiero - non era la risposta a una, sia pur
iniziale, esperienza politica nazionale. La scena
che fin dall'inizio si era imposta alla mia attenzione non era occupata dall'Italia ... era riempita dalla furiosa guerra. cui avevano ~ a r t e c i ~ a Spinelli in uno dei suoi ultimi interventi a
to popoli di tutta la terra e dalle sue cinsegu;nze... Per molti miei coetanei la guerra mondiale Strasburgo (1985).
-
trovava, mirando sempre ad individuare i punti su cui far leva, le strade da aprire, affinché le
cose potessero avanzare. La concezione bordighiana dell'attesa passiva nella purezza ideologica e quella gramsciana della ricerca continua
dell'azione da compiere hic et nunc si scontrarono in quegli anni (1925-1926, n.d.r.) ...: nel,
piccolo angolo della mia attività partecipai
anch'io a questo dibattito, sentendomi congeniale al volontarismo storicista di Gramsci, di
Labriola e del giovane Marx, assai più che al
ferreo determinismo storico di Bordigan.
I1 terzo momento concerne l'influenza di
Hegel sul «cataclisma intellettuale» prodotto
nelle convinzioni comuniste di Altiero.
«Durante i molti anni passati in sua compagnia - ha scritto Altiero - scoprii ed imparai
il metodo di apprendimento che credo sia quello prescritto da Pitagora ai suoi discepoli e che
è rimasto il metodo fondamentale con cui ho
arricchito il mio spirito. Esso consiste nel lasciarsi sommergere in silenzio dal pensiero di
chi appare ed è sentito come maestro. I suoi
pensieri, ora luminosi e illuminanti, ora oscuri
e pressoché incomprensibili, si depositano nel
fondo della mia mente e lì, dopo un certo tempo di incubazione nella penombra dell'intelletto - in quello che un giorno avrei chiamato
linguaggio notturno - o appassiscono e
muoiono, o gettano radici e fruttificano ... Quel
che ho fatto più mio dell'insegnamento hegeliano è il senso ora chiaro, ora misterioso, sempre drammatico, del moto dialettico delle cose
e dei pensieri. Da quel che esiste si sprigiona
sempre maleficamente quel che porta alla sua
distruzione, alla quale non si resiste tentando
di recuperare quel che c'era inizialmente, ma
giungendo ad una creazione nuova ... Se mi si è
radicato nell'animo un senso panico dell'essere
e del non essere, del divenire e del morire, lo
devo a molte voci che mi sono giunte da vicino
e dal fondo dei secoli, ma, dal punto di vista intellettuale, a Hegel più che a chiunque altro,,.
«Di tutte le sue opere quella che ho amato ed
amo di
è la Fenomenologia dello Spirito...
mi accorsi presto che la Fenomenologia era
una storia analoga a quelle del viaggio d'oltretomba di Dante, delle avventure di Don Chisciotte, delle imprese di Faust, mai verificatesi
ma poeticamente pur sempre esemplari e gravide di effetti catartici. Raccontava il dramma
immaginario di una coscienza filosofica che diventa quel che sta conoscendo; che se ne riscuote sentendo esplodere in sé la contraddizione e maturare la metamorfosi; che rinasce,
COMUNI D'EUROPA
stupita essa stessa del suo nuovo aspetto così
fresco, così ricco di promesse prima insospettate; che si lancia in una nuova awentura... avevo sempre affrontato intrepidamente l'apparire
in me delle impreviste metamorfosi di quel che
era apparso fino al momento prima roccia solida e indistruttibile, ma il coraggio era anche accompagnato da un tal quale pudore. I miei
compagni erano portati a vedere in me un avventuriero dello spirito, pretenzioso e leggero,
talvolta pericoloso di cui era bene diffidare.
Sentivo ingiusta questa diffidenza, ma la comprendevo e perciò nella misura del possibile celavo e attenuavo pudicamente le metamorfosi
allorché cominciavano a manifestarsi, come se
fossero una malattia. Hegel, con la sua Fenoqenologia, mi ha fatto sentire che non di una
malattia si trattava, ma della vita stessa della
mia coscienza e che ne potevo andare fiero».
I1 quarto momento concerne la rottura con il
partito comunista e le ragioni che hanno portato Altiero «intellettualmente in mare aperto,,.
«È stato un monologo sulla libertà - ha
scritto, vent'anni dopo la rottura, Altiero in
una rivista francese, - iniziato dal momento in
cui le porte del carcere si sono chiuse alle mie
spalle, un monologo che si è venuto mano mano allargando e approfondendo. Si è trattato
della libertà che mi sono presa di sottoporre a
critica il comunismo, della libertà che ha aleggiato nello spirito di tutti i grandi che ho chiamato intorno a me e che mi hanno tenuto
compagnia con i loro libri; della libertà che è
svanita in Russia, in Italia, in Germania; della
libertà che mi è stata tolta e che desidero. La
conclusione cui non posso sottrarmi è che se
per nulla al mondo vorrei rinunziare alla mia
libertà, se l'ho difesa in me stesso contro i muri
di pietra e contro quelli di idee, che mi circondano, se per essa ho accettato di distruggere
tanta parte di me, devo volerla anche per il mio
prossimo. Perciò, dopo dieci anni di riflessioni,
vi lascio e mi accingo a passare nel campo di coloro che non sempre riescono, ma almeno si
propongono di limitare il potere, necessario,
ma demoniaco, dei governanti, di metterlo al
servizio della comunità, di garantire la libertà
dei cittadini,,.
I1 quinto e ultimo momento concerne l'incontro con Ernesto Rossi e con lo spirito giacobino.
~Ernesto- scrive Altiero - aveva raggiunto
da tempo la consapevolezza che nessuna società umana con le sue regole, le sue sicurezze,
le sue capacità di sviluppo ordinato può nascere e sussistere se non ci sono alla sua origine e
nel suo durare uomini che, avendo adottato
certe scale di valori, certi ideali di civiltà, pensano ed agiscono attenendosi ad essi. Gli ideali di
civiltà sono un prius rispetto alla condotta razionale, come in matematica gli assiomi lo sono rispetto ai teoremi. Non se ne può dimostrare logicamente né la necessità, né la superiorità rispetto ad altri ideali, e perciò ad altre
civiltà. Si può solo descriverne la nascita ed assumerli con un atto di volontà, dichiarando a
sé e al mondo intero da che parte si sta. All'inizio di qualsiasi società in formazione c'è sempre solo una minoranza che ha adottato certi
ideali di civiltà e induce, non solo con la forza
ma anche con la forza, tutti ad accettarli. Anche la più liberale e democratica delle società
ha al suo inizio una dittatura, aperta o coperta,
di alcuni, che si propongono di educare i loro
concittadini alle libertà personali e politiche,
all'onestà, alla giustizia, all'uguaglianza, alla solidarietà umana, alla democrazia ...Dalla più fosca, ma anche più grandiosa delle loro incarnazioni, Ernesto li chiamava tutti giacobini ...
ma una società diventa stabile e solida solo se
l'azione giacobina riesce ad ottenere l'adesione
volenterosa ai suoi valori. La critica fondamentale sua alla dittatura comunista non era perciò
di essere dittatura, ma di esserne una che proponeva di creare e creava una società capace di
funzionare solo con un regime politico dispotico permanente».
«Provenendo da un'esperienza intellettuale
diversa, ero arrivato anch'io alla conclusione
che è l'uomo con le sue decisioni e azioni a
creare la scala di valori ed ero passato dalla meditazione sulla nascita della morale personale a
quella sui momenti storici nei quali erano apparsi coloro che la Bibbia chiamava profeti e
Nietzsche legislatori del futuro... Sentivo che il
momento si awicinava nel quale avrei dovuto
metter fine al comodo rifugio nella morale
prowisoria e rispondere infine alla domanda
che mi andavo ponendo da quando avevo lasciato il partito comunista: che cosa sarei andato a fare nella slabbrata e cadente cittadella democratica. Per immodesta che potesse apparire
la mia risposta, comprendevo ora che essa non
avrebbe potuto consistere che nell'alzarmi e dire che sarei stato uno dei giacobini di cui la democrazia avrebbe avuto bisogno per impiantarsi, portatore di ideali fermi e di proposte
precise sul come far prosperare la città democratica del futuro,,.
Dicevo più sopra che occorrerà ora continuare la lotta di Altiero «fino al giorno in cui il popolo europeo avrà trovato la sua unità,,. Occorrerà farlo avendo a mente tre principi ai quali
Altiero si è attenuto fedelmente durante tutta
la sua azione federalista.
In primo luogo, dobbiamo essere consapevoli con lui che il compito di realizzare l'unità federale dell'Europa non spetta ad un'imprecisabile generazione di un imprecisabile futuro, ma
spetta alle nostre generazioni ed intorno a questo compito bisogna agire ripetendo a noi stessi
quel che disse Lutero dinanzi ai giudici della
Chiesa che lo processavano: Hier stehe ich. Ich
kann nicht anders. Gott helfe mir!
In secondo luogo, dobbiamo agire sapendo
che la linea di divisione fra forze di progresso e
forze di conservazione non è quella tradizionale fra sinistra e destra, ma fra chi si propone di
adoperare il potere di cui dispone per promuovere l'unificazione europea e chi si affanna ancora a promuovere il consolidamento delle sovranità nazionali.
In terzo luogo, dobbiamo batterci essendo
coscienti del fatto che la forza dell'idea federalista sta nella sua capacità di risorgere - più forte - dopo ogni sconfitta. Ancora in questi mesi, dopo il miserevole risultato della Conferenza di Lussemburgo, lo spettacolo offerto dai
nostri governi in occasione dell'incidente alla
centrale nucleare di Chernobyl, della crisi libico-americana, dell'inaccettabile protervia razzista del regime sudafricano di Botha, ha mostrato in tutta la sua evidenza l'urgenza e la necessità di dare una risposta a livello europeo se-
giugno 1986
guendo la via maestra indicata dall'idea federalista.
Dicevo che occorrerà ora continuare la lotta
di Altiero, con la stessa pienezza di pensiero che
ha contraddistinto tutta la sua lotta politica.
Con «pienezza di pensiero», egli intendeva dire
- per fare alcuni esempi - che, quando si afferma che l'unità dell'Europa potrà essere raggiunta solo evitando le forche caudine del metodo intergovernativo e del negoziato fra diplomatici nazionali, ciò significa che la sola via
percorribile è quella di affidare al Parlamento
Europeo il mandato di elaborare la Costituzione democratica dell'unione europea, perché
sia sottoposta direttamente alle ratifiche nazionali.
Quando si afferma che l'unità dellYEuropa
potrà essere raggiunta solo mobilitando i cittadini europei, ciò significa che la sola via percorribile è quella di dare ai cittadini il diritto di
esprimersi nelle forme previste dalle Costituzioni nazionali (o nelle forme che le Costituzioni nazionali non vietano espressamente: è il
caso della Costituzione italiana e della Legge
Fondamentale della Repubblica Federale di
Germania): cioè attraverso l'organizzazione di
referendum consultivi sui contenuti dell'unione europea e sulle procedure necessarie per realizzarla.
Quando Si afferma, infine, che l'unità
dell'Europa deve essere in primo luogo unione
politica e cioè unità nella elaborazione, nella
decisione e nella gestione della politica estera e
della difesa, ciò significa che la sola via percorribile è quella di creare un potere democratico
europeo, cioè un governo europeo controllato
democraticamente da un Parlamento Europeo.
Occorrerà continuare la sua lotta e per far
questo sarà importante riferirsi costantemente
al patrimonio di riflessioni che Altiero ha lasciato scritto.
Di queste riflessioni, alcune costituiscono
materiale preziosissimo per l'azione federalista,
come l'esperienza fatta durante il lavoro
dell'assemblea ad hoc e, trent'anni dopo, durante l'iniziativa del Coccodrillo al Parlamento
Europeo, l'azione svolta nel quadro del Congresso del Popolo Europeo e l'analisi sull'organizzazione del potere in Europa.
Altre riflessioni concernono aspetti importanti del processo di integrazione europea (dalla riforma della PAC, alla politica industriale e
tecnologica, dalla politica finanziaria alla cooperazione con i paesi in via di sviluppo) e conservano attualità e significato innovativo
straordinari.
Altre infine concernono problemi intorno ai
quali buona parte della sinistra europea si aggira da anni comportandosi - per dirla con Altiero - *come gatti intorno alla pentola col latte troppo caldo,,. Esemplare l'atteggiamento
sulle questioni della sicurezza e della difesa
dell'Europa e le polemiche che hanno marcato
in questi anni i rapporti fra Altiero e la sinistra
quando si è discusso o si sono prese decisioni
concernenti quest'aspetto essenziale dell'identità e dell'indipendenza dell'Europa.
A queste riflessioni e alle altre alle quali Altiero ci ha spesso sollecitato, ci si dovrebbe dedicare con quella voglia di avivere edificando»
che ha contraddistinto la vita di Altiero Spinelli.
COMUNI D'EUROPA
giugno 1986
l'ultimo intervento di Spinelli
Ai federalisti, con i federalisti*
Quando noi parliamo del referendum, ed è
nella strategia una cosa importante, dobbiamo
stare attenti a non presentare le cose in modo
che il referendum sembri il fatto centrale,
perché questo potrebbe essere una truffa come
non c'è stata mai nessun'altra. I1 referendum
potrebbe essere una domanda: «siete per
l'Unione europea o no?». Ci sarebbe il 99% che
dice sì, e non significa niente; e si avrebbe avut o la soddisfazione di fare un altro imbroglio;
noi dobbiamo fare un'azione, e allora sappiamo che la dobbiamo fare a livello europeo.
Stiamo attenti a dire: cominciamo a farla nel
Lazio, poi a Roma, poi magari nel quartiere di
Monteverde, dobbiamo invece cercare di farla
a livello europeo. I1 referendum è lo strumento
con cui noi vogliamo cercare di ottenere un
certo sostegno popolare a quei governi che volessero o che avessero intenzione di proporre i
poteri costituenti al Parlamento Europeo. La
formula fondamentale è questa: mai più un lavoro costituente per l'Unione europea in mano ai diplomatici. Quindi, in partenza, mai ricorrere all'art. 236, perché questo articolo stabilisce che sarà una conferenza diplomatica che
deve preparare questo lavoro. E la cosa fondamentale. Se noi non la spuntiamo non abbiamo
ottenuto niente. Vi assicuro che se alla Commissione istituzionale viene fuori che noi dobbiamo ancora una volta fare un'azione che deve approdare ad una nuova iniziativa tipo Milano - quindi sulla base dell'art. 236 convochiamo una conferenza - io me ne vado dalla
Commissione e dal Parlamento Europeo. Cioè
il Parlamento farà quello che vuole, ma io mi
ritiro, non ho più niente a che fare con cose di
questo genere, perché troppe volte c'è stato
questo imbroglio e questa volta è stato patente,
sotto gli occhi di tutti, che cosa volesse dire
avere affidato ai ministri, sorretti dai diplomatici, la costruzione dell'unione europea.
I1 mandato costituente deve essere questo:
noi, governi tale, tale e tale (non possono essere due, devono essere quanto meno quella maggioranza critica che abbiamo detto, con i 2/3
della popolazione), noi invitiamo il Parlamento Europeo a preparare un progetto di Unione
europea, che si ispiri al progetto che era stato
preparato e che deve avere queste tre, quattro,
cinque caratteristiche (perciò un mandato di
non più di una pagina) e, noi governi, ci impegniamo, dopo il voto del Parlamento Europeo,
a sottoporlo alla ratifica dei nostri Stati. Cioè
noi rompiamo con una tradizione millenaria la
quale stabilisce che i trattati sono negoziati tra
rappresentanti dei governi. Noi avremo vinto
la battaglia se il P.E. avrà questo mandato costi-
* Pubblichiamo il testo dell'ultimo intervento di Spinelli, tenuto al Comitato centrale del Movimento federalista
europeo, il 15 marzo scorso, nella registrazione fatta da Radio Radicale, che ci ha gentilmente fornito il nastro.
Spinelli, accolto da un lunghissimo e affettuoso applauso, ha voluto inserirsi nel dibattito già in corso, per cui le
sue parole - che volutamente abbiamo lasciato in forma
discorsiva - si rifanno, in gran parte, a quanto stava emergendo
- nella seduta, in particolare modo al tema del referendum e dei rapporti fra Unione Europea e Comunità.
tuente. Infatti si tratta di una costituzione,
perché la Comunità esiste, perché esiste 1'Assemblea, esiste un complesso di leggi, di diritti,
di doveri ecc. Però se noi avremo avuto il referendum, e anche altre cose, ma il mandato non
esiste, o è del tipo: preparateci un progetto e
poi noi faremo una conferenza per dargli una
forma definitiva, avremo perduto la battaglia,
come abbiamo perso nel '52 con l'Assemblea
ad hoc, come abbiamo perso questa volta e come tutte le volte che si è presa la via della conferenza diplomatica. Questa è la cosa fondamentale.
Arrivati a questo punto sappiate chiaramente
che allora noi non dobbiamo sostenere la formula della revisione prevista dalla Comunità,
dobbiamo fare un'altra cosa, un altro progetto.
Non è una novità; la Dieta Svizzera ha fatto un
altro progetto, non ha riformato la vecchia costituzione confederale; la Convenzione di Filadelfia non si è preoccupata di che cosa succedeva della Confederazione, ha fatto un altro pro-
IO, Ulisse.
19
getto. Noi facciamo un altro progetto nel quale
dobbiamo dire che quei paesi che lo sottoscrivono fanno proprio tutto 1itcquis communautaire, gli impegni che ci sono, ma si impegnano
a fare con i metodi nuovi tutte le modifiche future. Per cui, per es., ci saranno i regolamenti
agricoli come adesso, ma non avverrà più che
la politica agricola sarà fatta da lobbies agricole
come ora sicché probabilmente i risultati saranno un po' diversi; così per tante altre cose.
Noi diciamo che la Commissione dovrà esserci, ma non sarà più l'attuale Commissione,
perché, se vogliamo fare sul serio, essa dovrà essere formata dal presidente, non imposta dai
singoli governi; sarà una Commissione che deve avere la fiducia del Parlamento Europeo,
che avrà un carattere governativo, che adesso
non ha.
Poi, noi non possiamo preoccuparci dei rapporti fra l'Unione e la Comunità. Se noi vogliamo modificare i regolamenti agricoli, per
dirne una, e vogliamo sopprimere il sostegno ai
prezzi che adesso la Comunità attua lo possiamo fare o non lo possiamo fare? Se c'è fra i
membri dell'unione una volontà di fare questo
lo possiamo fare. I1 problema con gli altri, con
quelli che stanno fuori dell'unione, può essere
COMUNI D'EUROPA
20
che dicano: c'è un Trattato che voi avete sottoscritto, avete questi impegni e ci dovete stare.
Non secessione, però: io sarei contro ogni secessione. Senz'altro ci stiamo, visto che voi
non volete negoziare. Ma, per esempio, bisogna votare ogni anno un bilancio, e noi non lo
voteremo più, e non frequenteremo più il Consiglio, nessuno ci può obbligare a frequentarlo
e quelli si ritrovano con un pugno di mosche in
mano; vale a dire, abbiamo un'arma con cui
possiamo dire: egregi signori, voi avete tutto il
diritto di dire che non ci volete stare. Dopo di
che, se le cose vanno così, ma chi se ne preoccupa di'come va a finire la Comunità. Voi sapete
che non c'è un documento da cui risulti come
ha finito di esistere la Confederazione americana; nessuno lo sa. E quando hanno cominciato,
guardate che non c'erano tutti, c'era qualche
Stato che aveva detto di no, il Maine, il Vermont (non mi ricordo quale altro) e non si sa
come è scomparsa la Confederazione, eppure è
scomparsa. Anche il dollaro, che avevano già
stabilito di fare, ha continuato ad esistere, anzi
è anche un po' più solido. E noi dobbiamo tenere presente che ci deve essere questa rottura.
Ora io sono convinto che a noi non conviene, in questo momento, dire chiaramente che
la Comunità morirà. Noi dobbiamo dire che
giugno 1986
faremo l'unione, l'Unione assorbirà, fra quelli
che ci stanno, tutti gli impegni che sono stati
presi dalla Comunità, ma li svilupperà, facendo
i cambiamenti proprio perché non si riesce a
farli con gli strumenti attuali. E con i paesi che
non ci vogliono stare negozieremo per avere
migliori rapporti possibili, punto e basta. Non
andate al di là di questo, a questo punto. Alla fine vedremo come si negozia e chi ci sta, chi cede, chi dice all'ultimo momento che cambia
opinione: gli si lascia la porta aperta. Però state
attenti: tenete presente che il criterio sul quale
si giudicherà se questa battaglia, primo, si fa, secondo, si vince, è che noi non vogliamo più
una cosa negoziata dai governi. Vogliamo che i
governi accettino quello che è negoziato dai
rappresentanti dei popoli. E allora anche il referendum serve per fare questo, e il fatto che si
comincia da una sola parte è la prova che si può
cominciare, che non ci si lascia frenare e via dicendo.
Ecco, questo nelle vostre meditazioni sui rapporti tra Comunità e Unione ditelo, tenendo
presente ciò che diceva Martini: cioè, che le cose esteriormente si debbano presentare semplici, interiormente bisogna studiare bene la complessità del problema, che bisogna parlare greco con i greci, barbaro con i barbari, come di-
L'ultima foto di Spinelli (Comitato centrale
del MFE del 15 marzo 1986).
ceva San Paolo. Detto tutto questo, San Paolo
poi parlava sempre della stessa cosa, o in greco
o in barbarico, parlava sempre dello stesso suo
problema centrale e così dico anch'io in questa
situazione. Grazie.
La commemorazione pubblica, in piazza Montecitorio, di Altiero Spinelli morto il 23 maggio 1986 a Roma (nella foto, da sinistra, Pier
Virgilio Dastoli e Mario Albertini).
Ricordano in questo numero Altiero Spinelli:
Umberto SERAFINI
Gianfranco MARTINI
Luciano BOLIS
Alberto CABELLA
Mario ALBERTINI
Carlo Alberto GRAZIAN1
Edmondo PAOLINI
Pier Virgilio DASTOLI
L'intervento di Spinelli al Comitato Centrale del MFE.
COMUNI D'EUROPA
Organo dell'A.1.C.C.R.E.
A N N O XXXIV - N. 6
GIUGNO 1986
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Redattore capo: EDMONDO PAOLINI
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Anno XXXIV Numero 6 - renatoserafini.org