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documento:
Relatore/Autore:
Luogo e data:
Non siamo in un mondo senza Dio,
viviamo in un mondo con tanti idoli
Relatore
Don Flavio Grendele
Castelfranco Veneto,
09 novembre 2014
Categoria
Documento:
Classificazione: Sintesi/Trasposizione di relazione verbale non rivista dall’autore.
Intanto buongiorno a tutti quanti e ben trovati. Grazie anche per la pazienza che porterete perché
in questo periodo ho pensato a questo incontro e mi è venuto in mente a che cosa avremmo potuto
condividere insieme. Sono i momenti in cui pensi chi me lo fa fare di fare certi incontri perché non
è facile. E allora quando mi hanno chiesto anche di pensare al brano della Bibbia che magari ci
poteva fare anche da guida alla nostra riflessione a me è venuto in mente istintivamente questo
brano del libro dell'Esodo, che forse si sarà anche sembrato molto strano perché abbiamo sentito
come Mosè riceve un divieto da Dio cioè che non poteva vedere il suo volto.
Ecco vorrei partire proprio da questi brano per cercare poi di sviluppare la riflessione anche se
possono sembrare anche dei pensieri un po' alla rinfusa.
Allora il brano si inserisce in un momento di crisi per Mosè e anche per il popolo ebraico. Il popolo
fuori dall'Egitto, lo ha condotto nel suo cammino nel deserto, ha ricevuto anche le tavole della
legge e la Bibbia dice anche che Mosè sale sul monte per ricevere da Dio le istruzioni per costruire
la tenda del convegno, è quella struttura mobile che gli ebrei si portavano dietro nel deserto; è
molto interessante questa immagine di un Dio che si muove; di un Dio che cammina. Non è un Dio
statico, che se noi leggiamo il racconto della creazione nella Genesi troveremo che è un raccolto
molto simile ai racconti dei popoli antichi, ma noteremo che c'è una particolarità.
All'inizio, al quarto giorno e al settimo, Dio prende tempo, a differenza dei miti antichi quando il
racconto della creazione terminava con una richiesta da parte di Dio di una costruzione di una
casa; nel racconto biblico chiede di consacrargli un tempo che è il sabato.
Non so se avete mai notato che la parola tempo ha la stessa radici della parola tempio. Il luogo
dove noi possiamo incontrare Dio è proprio il nostro tempo. È un Dio che cammina; non è un Dio
che abita in un luogo.
Sono sempre gli uomini quasi che sembrano camminare. Papa Francesco direbbe nella sua ultima
enciclica che il tempo è più importante dello spazio. Mentre gli uomini hanno sempre la tentazione
di occupare gli spazi; perché pensano che occupando gli spazi occupino il potere. In realtà Dio
invece è un Dio che crea il tempo, che abita il tempo.
Il tempo è un grande dono che Dio ci ha dato e non a caso una delle grandi qualità del Dio della
Bibbia è la Magnanimità che è il pensare in grande. Dio da tempo agli uomini.
Ed allora ecco il Dio della Bibbia è il Dio che cammina con il popolo e per ciò Mosè sale sul monte
per ricevere questo tempo. È il Dio mobile che accompagna il popolo nel suo camminare nel
deserto.
Si vede che le indicazioni per costruire questa tenda erano un po' lunghe, il popolo si stanca e
chiede ad Aronne di costruire un vitello d'oro. Che non è tanto il bisogno di un mito ma il bisogno
di avere un'immagine, di dire “ma chi è Dio?” Vogliamo come capire meglio, c'è sempre il tentativo
di inquadrare bene Dio nei nostri schemi.
Allora Dio fa scendere Mosè dal monte, ed allora in questo contesto dice a Mosè che vuole
distruggere il popolo perché è stanco di questo popolo, dice anche a Mosè che farà di lui una
grande nazione ma con questa gente non vuole più avere a che fare.
Ed ecco che Mosè inizia a contrattare con Dio, è proprio in questo contesto che Mosè dice a Dio di
mostrargli la sua gloria. Certamente è una domanda molto ardita che nessuno aveva mai avuto
coraggio di fare a Dio. Anche perché la parola gloria per noi potrebbe sembrare semplicemente
qualche orpello che dice la grandezza, in realtà nella Bibbia la parola gloria indica il peso. Uno che
ha gloria vuol dire che ha peso.
Attenti perché è interessante questa domanda perché il peso può schiacciare; ma Dio non
schiaccia.
Da allora la domanda di Mosè, Dio risponde che gli farà vedere la sua misericordia la sua bontà,
anche la grandezza del suo nome, che è lo stile di Dio; ma non potrà vedere il suo volto.
Nella Bibbia si dice che chi vede il volto di Dio muore. Siamo noi che abbiamo sempre bisogno di
fissare, di ridurre. Dio non si può vedere in faccia. Gli ebrei non hanno mai voluto raffigurare Dio
appunto per racchiudere Dio nelle nostre categorie. Perché c'è sempre il rischio di ridurlo.
Però possiamo vederlo di spalle. Dio passa, ancora per sottolineare il fatto che è un Dio che
cammina. Nella lingua ebraica spalle ha la stessa radice della parola futuro. Tu non puoi vedere Dio
lo devi seguire.
Lo si conosce quando lo si segue. Camminando dietro a lui, cammini un futuro che non conoscevi.
Sposarsi non significa essere sicuri ma camminare verso un futuro. Entrare dentro una pienezza di
vita. Dio diceva se vuoi conoscermi devi camminare con me verso un futuro, devi abbandonare i
tuoi schemi, le tue certezze, devi camminare con me; verso un futuro che neanche tu non
conoscerai.
Ecco la vera sfida dell'uomo non è tanto vedere Dio ma di camminare dietro a lui. Per questo
diventa importante, perché l'idea di camminare insieme è fondamentale.
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La salvezza dell'uomo non sta in una conoscenza astratta ma in un camminare. Mi viene in mente,
questa mattina abbiamo fatto un incontro della consulta dei laici ed è venuto un certo signor
Vancali (mi sembra) da Arezzo che dirige un centro per studenti che vengono da paesi che sono in
guerra, il nome di questo centro è la Rondine.
Ma accettano solo gli studenti con i rispettivi nemici. Per qui i ceceni se ci sono i russi, gli indiani se
ci sono i pakistani, e via dicendo.
Tutti i paesi in guerra e diceva che l'esperienza bella è che tu ti puoi costruire quando ti confronti
concretamente con il tuo nemico. Diceva che quando arrivano i palestinesi chi è che manda alla
stazione a prenderli? Gli ebrei.
E per la prima volta un palestinese stringe la mano ad un ebrei. E diceva che già stringersi la mano
è un passo. Mi ha colpito la conclusione perché diceva che un giorno gli telefonano dicendo che ci
sono i ceceni che voglio abbandonare questo centro.
Allora lui va ad incontrarli e cerca di capire quale sia il motivo per qui voglio andare via.
Il motivo è semplicissimo, è che non volevano che le loro mutande e calzini, non fossero lavati
nella stessa acqua dei russi.
Tutti le loro teorie sulla convivenza di culture diverse si sono infrante perché si rifiutano di mettere
nella stessa lavatrice i vestiti. E se ne sono andati. Dov'è che si impara la fraternità? Camminando,
non sui libri.
Il mio amico prete diceva sempre una coppia infondo impara a vivere insieme sul water. Dio lo
conosci facendo strada con lui. È simbolico questo, vuol dire entrare nelle piccole cose della vita. Fa
strada come.
L'immagine di fare sempre questi passi mi fa venire in mente un libretto di uno scrittore francese e
ad un certo punto racconta la storia di un suo compagno pilota che cade nelle cime delle montagne
del Perù, si salva ed inizia a camminare per raggiungere il villaggio vicino. È assillato dalla
preoccupazione di sopravvivere.
Perché se non trovavano il cadavere non potevano pagare l'assicurazione. Ma per riscuotere
l'assicurazione ci voleva almeno un testimone che dichiarasse che era morto.
La sua preoccupazione era lasciare la famiglia senza nessuna assicurazione, senza nessun soldo.
Ha camminato per cinque giorni e cinque notti nella neve preoccupato solo nel non prendere
sonno. Voi sapete che se si prende sonno si va incontro a una morte bianca.
Ma è interessante come lui racconta questa sua fatica nel camminare questi cinque gironi.
Ricordate questo Dio che passa di spalle, se cammini verso il futuro dietro di me. Quello che salda
è il fare un passo.
Ancora un passo è sempre con lo stesso passo che si ricomincia. Noi parliamo sempre di grandi
passi, di grandi cammini; ricordare di fare un passo.
Mi viene in mente un altro passo della Bibbia la dove il popolo ebraico di fronte al Mar Rosso, dietro
ci sono gli egiziani che sono li con il fiato sul collo. Il popolo si mette a gridare, a reclamare contro
Dio.
Dio sembra che si arrabbi contro Mosè, Dio gli dice di muoversi. Loro possono fare un passo,
sempre a lamentarsi. Fare un passo verso l'altro, poi arriverà anche il secondo.
I passi si fanno uno alla volta. Non so se rendo l'idea. Questo Dio che passa la capacità di
camminare. Ora passo al secondo punto, voi mi direte come mai ti è venuto in mente questo testo,
perché nel tema che mi è stato chiesto.
Mi ha molto intrigato la parola essere dei testimoni, noi diciamo che dobbiamo essere dei
testimoni, testimoniale quello in qui crediamo. Mi è venuta in mente una frase di Massimo Recalcati
(mi sembra) non so se voi avete mai letto qualcosa lui fa lo psicologo, “i testimoni che vogliono
fare i testimoni, sono cattivi testimoni. Mentre si può dire che ho trovato un testimone solo
retroattivamente”. Cerchiamo di capire perché sono rimasto dentro a questa fare.
Perché la parola testimoni secondo qualcuno deriva dalla radice di stare come terzo e il testimone
perciò non è colui che presenta se stesso, non ha la preoccupazione di presentare la sua vita. È
colui che preoccupato di dimostrare in qualche maniera che gli altri percorrano la strada che lui ha
scoperto.
Il testimone non è quello che fatica a spiegare le cose agli altri; il testimone è quello che fa di
gusto quello che gli sembra che gli dia gusto alla sua vita, lo fa per soddisfazione. Se uno non fa
per soddisfazione è un cattivo testimone.
Il testimone non è quello che fa lunghe prediche è colui che dimostra che si può vivere con
soddisfazione la vita di ogni giorno.
Mi sembra che sia importante non dire cosa sia giusto e cosa no, ma il testimone che si può vivere
in questo mondo dando un senso alla propria vita. Non è sufficiente pretendere di essere testimone
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per esserlo. È testimone chi viene riconosciuto da un altro come testimone. E soprattutto il
testimone viene riconosciuto sempre di spalle, a posteriore come Dio, retroattivamente. Ma io
penso che è quello che ci capita nella vita. Come erano barbosi i nostri genitori con le loro
prediche, poi noi facevamo quello che ci pare.
Ma man mano che passano gli anni noi ci rendiamo conto che i nostri genitori ci hanno lasciato
qualcosa. Ci affiora qualcosa; ci riaffiora il senso della vita, quello che dava sapore alla vita.
Sapevano vivere con gusto la dedizione del lavoro, per i figli. Ci rendiamo conto come la nostra vita
ha un senso dopo.
Ci rendiamo conto sempre dopo, mai prima. Mentre qualche volta noi pretenderemo di essere
testimoni prima; solo dopo ci rendiamo conto che queste persone sono diventate dei testimoni per
la nostra vita ed ecco allora che è nello scorrere del tempo che per noi diventano significative e
soltanto nel momento noi scegliamo.
Gli altri possono essere dei testimoni per noi, ma noi dovremmo raccogliere la loro testimonianza,
se noi non la raccogliamo può anche andare persa. La testimonianza è una diga molto fragile, il
testimone non è uno che convince gli altri, offre la vita per gli altri, è un uomo che sa dire che la
vita contiene una promessa.
Se impari a vivere bene. Una promessa che non garantisce la felicità, nessuno può garantire la
felicità. Uno può arare il terreno, seminare il campo, proteggerlo ma noi non possiamo garantire
che il germoglio diventi un albero.
Il testimone è colui che accetta anche di fallire il suo compito. Accetta il fallimento. Quante volte
sentiamo dei genitori che dicono “Dov'è che ho sbagliato?” A me pare come che la domanda che
puoi ognuno si gioca la sua libertà.
Una vita offerta, uno può scegliere anche altre strade. La testimonianza non si impone per certi
versi è un invito per far strada ma uno deve decidere di fare un passo. Il genitore non può fare i
passi per i figli. Solo loro che devono fare il primo passo.
Il testimone fa un passo, un altro ancora ma sa che il figli deve muovere i suoi passi. La
testimonianza mi pare che in questo caso è radicalmente povera perché si metterà alla ricerca della
promessa della vita. Perché cammina verso un futuro che non è garantito, ti inoltra in un futuro
che non è garantito.
Noi vorremmo garantirci un cammino bello ma si tratta di camminare, di scoprire. Io penso che le
difficoltà, anche se difficili ci servono per capire, per maturare. È il Dio che ci da tempo perché noi
possiamo crescere.
C'è Massimo Cacciari che dice che la parola eredità ha la stesa radice della parola orfano. L'erede è
solo l'orfano. L'orfano non è l'erede solo quando muore il padre; voi sapere che l'eredità si può
anche rifiutare. L'orfano in fondo può rinunciare all'eredità paterna. Questo il vero senso. Essere
testimoni è anche accettare di fallire.
Essere testimoni significa anche di accettare di essere poveri, di essere fragili.
La testimonianza non è qualcosa che si impone. Siamo noi che lo pensiamo, che sia qualcosa di
luminoso che deve convincere gli altri. È qualcosa che da gusto alla nostra vita. Se noi viviamo con
gusto possiamo dire agli altri che c'è gusto. Mi viene sempre in mente la frase di Nietzsche quando
diceva: “Se i cristiani avessero di più la faccia da Risorto, anch'io crederei di più alla Risurrezione”.
A me fa sempre impressione quando vedo i cartelli per i sposi del tipo: “Pensaci, sei ancora in
tempo. Sei sicuro?” e via dicendo; poi ci lamentiamo se ci sono pochi giovani che non si sposano.
Hanno ragione: pensano che il matrimonio sia una prigione, è meglio non sposarci. Io penso che i
giovani possono sposarci se vedono coppie felici. Ma se si parla del matrimonio come la più grande
disgrazia del mondo….
Passo all'ultimo punto mi sembra che noi non possiamo essere dei testimoni se non ci abita il
desiderio.
Io non posso fare lunghi discorsi sulla strada da percorrere, posso solo percorrerla. E percorrendola
posso dimostrare che sono felice, che la mia vita ha un senso. La parola desiderio, secondo Giulio
Cesare, deriva dalla parola desiderantes. Chi erano i desiderantes? Erano i soldati che avevano
finito la battaglia e che di notte aspettavano il ritorno dei loro compagni senza sapere se erano
ancora vivi.
È un'immagine molto interessante; richiama l'attesa, la speranza, la veglia di notte senza stelle.
Ecco perché si chiama desideres senza stelle. Non c'è una stella che garantisce che i tuoi compagni
ritornino.
Allora perché mi veniva in mente questa immagine. Perché la domanda che ci viene posta è “Ma
noi adulti che desiderio desideriamo?” Tutti parlano dei giovani. A me sembra che il problema non
siano i giovani ma gli adulti. Gli adulti stanno passando quello che i nostri amici sociologi chiamano
passioni deboli. Cioè ci appassioniamo a cose che non hanno tanto senso, che non danno gusto alla
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vita. La vera domanda è: “Ma noi che desideri desideriamo?” Sappiamo dare passi a questi
desideri, che cosa vedono in noi i nostri figli, persone felici nella strada che stanno facendo? Ci
sono certi matrimoni che dopo un anno o due sono già vecchi. Del resto pensavo è quello che
tocchiamo. Chi era Gesù in fondo? Gesù desiderava vivere i desideri di Dio.
È passato tutta la vita a vivere i desideri di Dio. Ha cercato di risvegliare il desiderio degli uomini.
Non ha fatto altro che il desiderio nel cuore degli uomini potesse risvegliare. In fondo chi sono i
Santi? Erano persone che vivevano di desideri.
Avete mai pensato perché San Francesco fosse così importante? Perché in fondo ha saputo vivere
un profondo desiderio di umanità che ha da dire una parola ad ogni umanità. Aveva un desiderio
grande di realizzare la sua vita.
Siamo persone che sanno cercare, che sanno camminare, che la loro vita val la pensa di essere
vissuta. Che accetta anche che la sua proposta possa fallire.
Noi dobbiamo solo mostrare che val la pena di coltivare dei desideri. In che modo? Facendo un
passo alla volta. Non grandi cammini, non grandi viaggi. Essere testimoni allora significa proprio
essere abitati da un desiderio profondo, da un desiderio di umanità che ci è venuto incontro.
Convinti che in quel desiderio c'è anche il senso del nostro si. Vorrei concludere anche
chiacchierando.
Come vedete sono anche pensieri ancora un po' crudi. Vorrei concludere con una storiella, sapete
quelle che magari si leggono prima di dormine. L'ho presa da un libro francese: “Come far bere un
asino che non ha sete? Rispettando la sua libertà.
C'è una risposta sola. Trovare un altro asino che abbia sete che berrà a lungo con gioia e piacere.
Non per dargli il buon esempio ma perché ha sete veramente. Solamente sete solo sete. Un giorno
forse suo fratello preso dall'invidia penserà se non fa bene gettare il suo muso anche lui nella
tinozza d'acqua fresca”.
Essere testimoni che cosa vuol dire? Imparare come infondere questo, se siamo uomini che
desiderano, che camminano, che muovono il passo, uomini che riescono a suscitare il desiderio.
Uomini che bevono perché hanno sete non per dare il buon esempio. Tante volte rischiamo di fare
le cose per dare il buon esempio.
Solo se siamo assetati possiamo dare il buon esempio.
Vi ricordate il passo del piccolo principe? Abbiamo trovato la pastiglia per togliere la sete e lui
rispondeva, ma che senso ha togliere la sete? Perché abbiamo calcolato che facendo a meno di
bere nella vita si risparmiano tot minuti, tot ore.
Il piccolo principe allora risponde ma se io avessi dei minuti io camminerei piano verso una fontana
di acqua fresca.
Credo che sia questo il nostro problema. Il problema non è di rendere le nostre parrocchie
attrattive, ma siamo noi uomini ad aver sete. E che in qualche maniera aiutano anche gli altri ad
aver sete.
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Dal libro dell’Esodo (33, 18-23)
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Gli disse: "Mostrami la tua gloria!". 19 Rispose: "Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e
proclamerò il mio nome, Signore, davanti a te. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver
misericordia avrò misericordia". 20 Soggiunse: «Ma tu non potrai vedere il mio volto, perché nessun
uomo può vedermi e restare vivo». 21 Aggiunse il Signore: "Ecco un luogo vicino a me. Tu starai
sopra la rupe: 22 quando passerà la mia gloria, io ti porrò nella cavità della rupe e ti coprirò con la
mano, finché non sarò passato. 23 Poi toglierò la mano e vedrai le mie spalle, ma il mio volto non si
può vedere".
SALMO 62/63
O Dio,tu sei il mio Dio,
dall'aurora io ti cerco,
ha sete di te l'anima mia,
desidera te la mia carne
in terra arida, assetata, senz'acqua.
Così nel santuario ti ho contemplato,
guardando la tua potenza e la tua gloria.
Poiché il tuo amore vale più della vita,
le mie labbra canteranno la tua lode.
Così ti benedirò per tutta la vita:
nel tuo nome alzerò le mie mani.
Come saziato dai cibi migliori,
con labbra gioiose ti loderà la mia bocca.
Quando nel mio letto dite mi ricordo
e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all'ombra delle tue ali.
A te si stringe l'anima mia:
la tua destra mi sostiene.
Ma quelli che cercano di rovinarmi
sprofondino sotto terra,
siano consegnati in mano alla spada,
divengano preda di sciacalli.
Il re troverà in Dio la sua gioia;
si glorierà chi giura per lui,
perché ai mentitori verrà chiusa la bocca.
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