Dipartimento Salute e Servizi Sociali Gli screening oncologici come quando perchè ARSLIGURIA A GENZIA REGIONALE SANITARIA IRCCS Azienda Ospedaliera Universitaria San Martino IST Istituto Nazionale per la Ricerca sul Cancro da un’idea della Rete Ligure HTA (formato da medici e tecnici delle Aziende Sanitarie liguri) il libretto è stato realizzato da: Settore Comunicazione, Ricerca, Sistema Informativo, Coordinamento progetti in sanità Dip. Salute e Servizi Sociali - Regione Liguria il testo è a cura di: dott.ssa Luigina Bonelli S.S. Prevenzione Secondaria e Screening, IRCCS AOU San Martino-IST, Genova; Coordinamento screening oncologici Regione Liguria dott. Paolo Bruzzi S.C. Epidemiologia clinica, IRCCS AOU San Martino-IST, Genova Indice Che cosa si intende per “prevenzione secondaria dei tumori”? pag. 7 Quali sono i modelli di prevenzione secondaria dei tumori? pag. 7 Perché occorre valutare attentamente le evidenze prima di consigliare pratiche per la prevenzione dei tumori? pag. 9 Quali sono le neoplasie per le quali esistono test di screening efficaci? pag. 15 I marcatori tumorali hanno un ruolo nella prevenzione secondaria dei tumori? pag. 16 Perché l’uso dei marcatori tumorali come test di screening in soggetti asintomatici è inappropriato? pag. 17 Ma il PSA? pag. 18 Raccomandazioni delle linee guida per l'uso del PSA pag. 20 Conclusioni pag. 21 Bibliografia pag. 22 Che cosa si intende per “prevenzione secondaria dei tumori”? L’insieme delle misure che possono essere adottate per ridurre l’incidenza delle forme incurabili di una malattia. E’ la combinazione inscindibile di due eventi: “diagnosi precoce e terapia efficace per quello stadio della malattia”. Quali sono i modelli di prevenzione secondaria dei tumori? Sono due: il modello individuale e il modello collettivo ossia lo screening organizzato. Prevenzione secondaria “individuale” Per screening spontaneo o individuale si intende l’effettuazione di test o di procedure di screening da parte dell’individuo come iniziativa spontanea. Si tratta di un’azione di prevenzione secondaria che è in genere decisa all’interno del rapporto tra l’individuo e il suo medico di fiducia. Lo screening spontaneo rappresenta il modello tipico dei paesi nei quali non esiste un servizio sanitario pubblico (esempio tipico in USA) e dove ogni attività, sia essa preventiva diagnostica o terapeutica, viene demandata al rapporto medico – paziente e, all’interno di questo, alla situazione assicurativa del singolo individuo. Nello screening spontaneo si tendono ad utilizzare precocemente (inizio in età giovane) e intensivamente (frequenti ripetizioni) tutti i test che potrebbero dimostrarsi utili anche solo a ridurre lo stato d’ansia dell’assistito. In questa situazione non è possibile accertare la reale efficacia dell’intervento effettuato e non è neppure possibile valutare l’adeguatezza del processo diagnostico adottato nei casi positivi al test di screening (ad esempio, escludere che sia stato prescritto un iter diagnostico troppo aggressivo o non idoneo a stabilire o escludere la presenza di malattia) o stabilire se si sono verificati danni iatrogeni. <<Il medico che si “lancia” in uno screening ha una responsabilità accresciuta verso i suoi “pazienti”: deve disporre di PROVE CONCLUSIVE che lo screening può alterare il corso naturale della malattia in una proporzione significativa delle persone sottoposte ad intervento (Cochrane e Holland, 1971)>> 7 Screening organizzato Riguarda unicamente pratiche che la sperimentazione clinica ha dimostrato essere capaci di ridurre in maniera significativa la mortalità e, in certi casi, la morbilità per una malattia mantenendo un rapporto favorevole tra i costi (economici, psicologici e sociali) ed i benefici ottenibili (riduzione della mortalità specifica per causa, adozione di trattamenti meno invasivi, recupero della capacità produttiva dell’individuo)1. Ha come obiettivo il beneficio della popolazione cui si rivolge e viene offerto dal Servizio Sanitario Nazionale in maniera attiva (invito personalizzato) e gratuita ai soggetti a rischio per età. Nello screening organizzato l’età è un fattore cruciale. Poiché ci si rivolge a una popolazione apparentemente sana, la prevalenza della malattia sarà bassa e poche persone ne trarranno reale vantaggio. E’ quindi importante ridurre al minimo sia i disagi sia i possibili danni. L’inizio dell’intervento è quindi fissato tenendo conto dell’età in cui l’incidenza della malattia comincia a diventare importante nella popolazione mentre la conclusione tiene conto del rapporto vantaggi/svantaggi che dopo una certa età si negativizza,ciò è dovuto alla minore attesa di vita dell’individuo rispetto alla lunga latenza con cui si manifestano i benefici dello screening. Ad esempio, la riduzione di mortalità indotta dallo screening mammografico inizia a manifestarsi dopo circa 4 anni e si realizza pienamente dopo una decina d’anni2, per cui una donna di 80 anni in cui viene diagnosticato mammograficamente un cancro asintomatico, avrà una riduzione del 30% (dal 3% al 2%) della probabilità di morire per carcinoma mammario a partire dagli 84-90 anni. Le due modalità di prevenzione sono profondamente differenti tra loro Il percorso della prevenzione individuale non sempre prevede l’impiego di esami e protocolli diagnostico-terapeutici di dimostrata efficacia poiché non esiste un percorso prestabilito: le varie tappe sono spesso gestite autonomamente dall’assistito, che acquisisce pareri dalle fonti più disparate e si può rivolgere per prestazioni anche a personale non specializzato. Lo screening organizzato offre all’utente “un pacchetto” di prestazioni che comprende un test di dimostrata efficacia, modalità di esecuzione ed interpretazione del test standardizzate, l’impiego di personale adeguatamente formato. Per i casi positivi al test sono disponibili percorsi diagnostici organizzati idonei a risolvere il problema specifico e a fornire l’eventuale indicazione terapeutica. Il tutto all’interno di un sistema rigidamente controllato. 8 Quando si utilizza un test (o più test) a scopo di diagnosi precoce occorre avere ben presente che l’anticipazione diagnostica non è di per sé sinonimo di beneficio e che è necessario valutare attentamente le evidenze scientifiche (che devono essere di qualità) a favore e contro l’intervento. Perché occorre valutare attentamente le evidenze prima di consigliare pratiche per la prevenzione dei tumori? Spesso nella pratica clinica corrente si tende a valutare l’utilità di un trattamento sulla base di ciò che si osserva quotidianamente e il parametro di valutazione più frequentemente utilizzato è la sopravvivenza dal momento della diagnosi3. Per esempio, se in soggetti con tumore diagnosticato precocemente la sopravvivenza a 5 anni è pari al 90% e in quelli con lo stesso tumore, ma diagnosticato in fase avanzata è pari al 30%, l’anticipazione diagnostica sembra aver conferito un enorme beneficio. In realtà, per molte neoplasie l’anticipazione diagnostica ottenuta con le metodiche disponibili non conferisce alcun vantaggio in quanto l’anticipazione del trattamento, pur essendo associata con un aumento anche importante della sopravvivenza, non è in grado di incidere in maniera significativa sul decorso della malattia: in questi casi un prolungamento della sopravvivenza dal momento della diagnosi è un beneficio solo apparente. 9 La Figura 1 mostra come la valutazione dell’efficacia della diagnosi precoce possa essere pesantemente distorta se si utilizza come misura del beneficio la sopravvivenza. Figura 1. Le diverse possibili conseguenze dell’anticipazione diagnostica (lead time bias) Inizio della malattia (microscopica) Individuo I Individuo II Malattia diagnosticabile senza sintomi diagnosi preclinica Malattia diagnosticabile per sintomi Progressione della malattia Morte diagnosi clinica aaaaaaaaaaaaaaM hanticipazione diagnosticah aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaM Individuo III aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaa beneficio L’individuo I I ha avuto diagnosi di malattia in seguito alla comparsa di segni clinici; il paziente è stato trattato ma, dopo un certo periodo di tempo, si è verificata una progressione della malattia cui è seguita la morte. L’individuo II II ha avuto diagnosi di malattia a seguito di test eseguiti in assenza di sintomi. Ha ricevuto il trattamento necessario ma ha avuto ugualmente una progressione della malattia ed è deceduto. Rispetto all’individuo I, l’individuo II ha avuto una sopravvivenza molto più lunga dal momento della diagnosi, ma tale miglioramento è stato solo apparente. Dalla figura risulta evidente che l’attività di prevenzione ha anticipato la diagnosi ma non ha posticipato la morte: quindi, pur contribuendo a prolungare la sopravvivenza dal momento della diagnosi, non ha in alcun modo contribuito a modificare la durata della vita del soggetto. Il risultato finale è solo un prolungamento dello stato di malattia. Anche l’individuo III ha avuto la diagnosi di malattia come conseguenza del programma di prevenzione con anticipazione della diagnosi e del trattamento così com’è accaduto per l’individuo II. Tuttavia, rispetto all’individuo II non ha avuto progressione di malattia e non si è verificato il decesso a causa della malattia. In quest’ultimo caso l’intervento è stato efficace: l’anticipazione della diagnosi e del trattamento hanno impedito l’evoluzione sfavorevole della malattia. 10 C’è un secondo motivo per il quale lo screening può essere associato con un apparente aumento della sopravvivenza senza dare però alcun reale beneficio, e al contrario, essere foriero di danni iatrogeni: test ripetuti periodicamente per anticipare la diagnosi di una neoplasia tendono, infatti, ad individuare preferibilmente tumori indolenti, con una storia naturale più lunga che, nel tempo, hanno più occasioni di essere diagnosticati ancora in fase preclinica (casi (a), nella figura 2). Questi tumori hanno di per sé una prognosi favorevole e si associano, quindi, a una più lunga sopravvivenza anche in assenza di screening. I tumori aggressivi, possono avere una storia preclinica così breve (casi (b), nella figura 2) da non essere mai “intercettati” da un test di prevenzione. Figura 2. Possibile diverso decorso preclinico dei casi all’interno della stessa malattia (lenght bias) (a) (b) (b) (b) (b) primo test (a) Decorso preclinico della malattia (a). lungo (b). breve (a) (b) (a) secondo test terzo test 11 I risultati di uno studio effettuato negli anni ‘70 negli USA, presso la Mayo Clinic, sono l’esempio più rappresentativo di questo tipo di distorsione. In questo studio soggetti forti fumatori sono stati randomizzati a ricevere per 6 anni uno screening intensivo con radiografia del torace ed esame citologico dell’espettorato (gruppo di intervento) oppure nessuna specifica sorveglianza, la cosiddetta “usual care” (gruppo di controllo)4. Il progetto non ha mai dimostrato, in alcuna sua fase, una riduzione della mortalità per carcinoma polmonare nel gruppo sottoposto a radiografia del torace e citologia dell’espettorato mentre si è sempre osservata, anche dopo 20 anni di follow up, una migliore sopravvivenza nei pazienti con cancro del polmone diagnosticato in corso di screening rispetto a quelli diagnosticati nel gruppo di controllo (figura 3)5. % sopravvivenza Figura 3. Sopravvivenza a 20 anni dei casi con tumore polmonare diagnosticato in corso di screening e nel gruppo di controllo 12 Un risultato sconvolgente (per quei tempi) dello studio è che nel gruppo ‘screening’ fu diagnosticato un eccesso del 25% di tumori polmonari (206 contro 160) che nel gruppo di controllo non erano ancora comparsi dopo più di 20 anni. Gran parte di questo eccesso è stato attribuito alla forma estrema di distorsione che porta ad una errata interpretazione della sopravvivenza, ossia alla sovradiagnosi. La sovradiagnosi (eccesso di casi diagnosticati) è uno dei problemi più delicati della prevenzione secondaria in quanto implica che vengano diagnosticate forme di tumore che, pur avendo tutte le caratteristiche della malignità, hanno una aggressività biologica modesta o quasi nulla. In tutti i programmi di prevenzione una parte dei casi diagnosticati sono “pseudomalattia” in quanto, per effetto della mortalità competitiva, questi tumori non sarebbero mai stati diagnosticati durante la vita dell’individuo. E’ quindi importante tenere questo fenomeno entro limiti accettabili per non inficiare il beneficio dell’intervento. In figura 4 l’effetto è bene evidente: se non ci fosse stata sovradiagnosi dopo qualche anno dalla fine del progetto, una volta scontata l’anticipazione diagnostica dovuta allo screening, il numero di casi di tumore diagnosticati avrebbe dovuto essere molto simile nei due gruppi di pazienti. Invece, il gruppo sottoposto a screening continuava ad avere circa 1/3 di casi di tumore polmonare diagnosticati in più e una migliore sopravvivenza rispetto al gruppo non screenato mentre la mortalità per tumore polmonare era sovrapponibile nei due gruppi6. Figura 4. Mayo Lung Project: incidenza cumulativa di carcinoma polmonare per braccio di studio e anno di diagnosi 13 La sovradiagnosi porta con sé un altro e forse più grave problema, il sovratrattamento: poiché è impossibile con i mezzi attuali distinguere la malattia indolente da quella con caratteristiche di evolutività, tutti i casi diagnosticati vengono trattati come se fossero evolutivi. I casi di “pseudomalattia” contribuiscono in maniera significativa all’aumento dell’incidenza di malattia e al miglioramento a lungo termine della sopravvivenza ma non impattano in alcun modo sulla mortalità specifica. Questa problematica rappresenta quindi un fortissimo deterrente all’utilizzo di test di screening in assenza di forti evidenze di efficacia e di un rapporto favorevole tra benefici e costi/danni. La sovradiagnosi è un problema che riguarda molte neoplasie, oltre al tumore polmonare: il carcinoma mammario, il carcinoma della cervice uterina, il carcinoma renale e, soprattutto, il carcinoma della prostata, dove vari tipi di evidenze indicano che una frazione modesta, sicuramente inferiore al 15-20%, dei carcinomi invasivi presenti nella prostata di un uomo adulto sono destinati a progredire nel corso della sua vita e a ucciderlo, se non trattati tempestivamente (vedi oltre). 14 Quali sono le neoplasie per le quali esistono test di screening efficaci? Neoplasia Test Intervallo Fascia d’età Mammella mammografia biennale 50 - 69 anni Cervice uterina pap test triennale 25 - 64 anni Colon retto ricerca sangue occulto fecale biennale 50 - 69 anni Non esistono al momento evidenze di beneficio dallo screening di altre neoplasie , o di un rapporto rischi/benefici favorevole Lo stato italiano ha regolamentato gli screening oncologici con il DPCM del 29/11/2001 (GU 08/02/2002, suppl. n. 26) che stabilisce che le attività di prevenzione rivolte alla collettività e, quindi gli screening oncologici di dimostrata efficacia, sono incluse nei Livelli Essenziali di Assistenza. Il Piano Nazionale della Prevenzione (http://www.ccm-network.it/Pnp_intro) prevede l’offerta di programmi di screening oncologico con le seguenti modalità: - tumore mammario: mammografia ad intervallo biennale per le donne di età compresa tra 50 e 69 anni. Nelle aree in cui l’estensione dello screening è stata completata e si dispone delle risorse necessarie è consigliato di estendere l’invito biennale fino a 74 anni e di invitare annualmente le donne d’età compresa tra 45 e 49 anni7. - tumore della cervice uterina: pap test ad intervallo triennale per le donne di età compresa tra 25 e 64 anni; sono ammesse esperienze circoscritte strettamente monitorate che prevedano l’impiego del HPV test come test di screening primario. - tumore del colon retto: test per la ricerca del sangue occulto fecale ad intervallo biennale per uomini e donne di età compresa tra 50 e 69 anni. E’ raccomandato l’impiego del metodo immunochimico in quanto: a) riconosce selettivamente l’emoglobina umana e quindi non necessita di alcuna restrizione dietetica; b) se utilizzato su un solo campione ha un migliore bilancio sensibilità/specificità; c) consente procedure di sviluppo automatizzate, semplificate e rapide e favorisce la standardizzazione dei risultati e i controlli di qualità. E’ altresì ammessa, come test di screening, la rettosigmoidoscopia eseguita una sola volta intorno ai 60 anni8. 15 I marcatori tumorali hanno un ruolo nella prevenzione secondaria dei tumori? Ad oggi nessun marcatore tumorale si è dimostrato utile per la diagnosi precoce dei tumori e quindi i marcatori tumorali non devono essere utilizzati al di fuori dell’ambito strettamente clinico dove sono impiegati in pazienti che hanno già avuto una diagnosi di alcune specifiche neoplasie e solo in due situazioni: - per la valutazione della risposta al trattamento - per la diagnosi di recidiva di malattia in pazienti già trattati Le linee guida nazionali e internazionali definiscono ambiti ben precisi di utilizzo dei più comuni marcatori tumorali (tabella 1). Tabella 1. Utilizzo di markers tumorali nel monitoraggio di malattia neoplastica Marcatore Utilizzo Linea Guida AFP Ca testicolo: follow up NCCN (2011)9; AIOM (2009)10 AFP Epatocarcinoma NCCN (2012)11; ESMO (2010)12 Ca 125 Ca ovaio: follow up NCCN(2012)13; ESMO(2010) 14; AIOM(2009)15 CEA Ca. Colonretto: diagnosi§, monitoraggio terapia, follow up ASCO (2008)16; NCCN (2012)17; AIOM(2010)18 PSA Ca. Prostata: follow up NCCN (2012)19; ESMO (2010)20; NICE (2008)21 Ca 19-9 Ca. Pancreas: follow up (?) ASCO (2006)22 Ca 15-3 Ca. Mammella: monitoraggio malattia metastatica (?) ASCO (2007)23 § i valori alla diagnosi vengono utilizzati come riferimento per trattamento e follow up L’impiego dell’AFP nel monitoraggio delle epatiti croniche HBV-HCV è entrato nella pratica corrente senza che ne sia mai stata dimostrata la reale efficacia nell’anticipare significativamente la diagnosi di epatocarcinoma. 16 Perché l’uso dei marcatori tumorali come test di screening in soggetti asintomatici è inappropriato? I marcatori tumorali sono: a. Poco sensibili perché identificano una quota molto modesta dei tumori effettivamente presenti. Inoltre, poiché la quantità di marcatore circolante nel sangue è generalmente correlata alle dimensioni della massa tumorale che lo produce, raramente diagnosticano tumori in stadio precoce. La scarsa sensibilità può determinare un ulteriore e forse più grave danno quando si riscontrino valori normali di un marcatore in presenza di malattia tumorale (falso negativo). Il risultato “tranquillizzante” potrebbe, infatti, indurre un soggetto ed il suo medico a trascurare sintomi che sono invece fortemente suggestivi di malattia. Ad esempio, un CEA negativo potrebbe indurre a sottovalutare la presenza di sangue nelle feci (macroscopico o identificato con test per la ricerca del sangue occulto fecale) che, dopo i 50 anni, è invece un significativo campanello di allarme di possibile presenza di un tumore colorettale e va adeguatamente indagato con un esame endoscopico. b. Poco specifici perché molte condizioni e malattie non oncologiche possono causare un innalzamento di un marcatore (falso positivo). Ad esempio, i fumatori possono avere livelli elevati di CEA in assenza di cancro, mentre il CA19-9 può essere elevato in presenza di calcolosi che causi ristagno biliare. I valori del PSA si possono alzare oltre la soglia in presenza di prostatite, ipertrofia prostatica benigna o anche, banalmente, dopo stimolazione della prostata a seguito di esercizio fisico o manovre mediche. I marcatori tumorali non devono essere utilizzati con intento di “screening” per cancro in individui asintomatici e non possono essere considerati test diagnostici in presenza di sintomi. 17 Ma il PSA? Lo screening per il carcinoma prostatico mediante PSA rappresenta, al momento, l’esempio più importante del grave rischio di sovradiagnosi e sovratrattamento conseguenti ad un intervento a scopo di prevenzione. Il tumore della prostata è estremamente frequente nella forma indolente (pesudomalattia), soprattutto in età avanzata. In serie autoptiche di uomini deceduti senza diagnosi di tumore prostatico la neoplasia è stata accertata nel 40% dei soggetti tra i 50 e 60 anni d’età e nell’60-80% degli ottantenni24, oltre la metà dei tumori osservati non aveva significato clinico25. La frequenza della diagnosi di tumore prostatico è aumentata in maniera critica a partire dagli anni’80 con la massiccia diffusione dell’utilizzo del PSA a scopo di screening26. Il test è stato utilizzato nella prevenzione secondaria mutuando il razionale dal monitoraggio clinico dei tumori prostatici ma in assenza di dati che ne dimostrassero i benefici (riduzione di mortalità per la malattia). Inoltre, non erano stati definiti la periodicità di ripetizione del test, il cut-off di positività per procedere all’approfondimento diagnostico ed il protocollo diagnostico. A seguito dell’affannosa ricerca del tumore “sempre” e dei protocolli “fai da te”, negli anni il cut- off di positività è stato abbassato (da 4 ng/ml a 2.5 ng/ml e anche meno) ed il numero di biopsie transrettali a seguito di positività del PSA è aumentato progressivamente (da 6 fino a 24). Questo ha ovviamente determinato un aumento del numero di cancri diagnosticati e soprattutto di quelli privi di significato clinico27. Questo è ovvio, perché oggi è unanimemente riconosciuto che la frequenza delle malattie (non solo oncologiche, ma anche cardiologiche, neurologiche, etc. ) nei soggetti sani dipende molto più dall’intensità con cui queste malattie vengono cercate che dal reale rischio. Per quanto riguarda l’efficacia (riduzione della mortalità), gli unici due studi multicentrici randomizzati condotti, uno negli USA (PLCO trial, PSA ad intervallo annuale) e l’altro in Europa (ERSPC trial, PSA ad intervallo da due a quattro anni) sono ancora in corso, ma hanno prodotto risultati discordanti28,29. Il trial statunitense non ha mostrato riduzione di mortalità nel gruppo screenato rispetto al gruppo di controllo mentre quello europeo ha dimostrato una riduzione di mortalità. Tuttavia per l’ERSPC più che di risultati di uno studio multicentrico sarebbe appropriato parlare di meta-analisi di 7 studi: i centri partecipanti hanno adottato protocolli diversi ed il risultato generale è condizionato dal risultato favorevole di due centri (Svezia e Olanda) mentre nei restanti 5 non è stata osservata riduzione di mortalità29. Entrambi gli studi hanno però concordemente mostrato i pesanti effetti negativi dello screening mediante PSA. 18 Biopsie transrettali Nello studio europeo, dopo 11 anni di osservazione, circa il 30% dei partecipanti aveva subito almeno una volta biopsie transrettali per positività del PSA, biopsie che in due terzi dei casi hanno dato esito negativo. In uno studio condotto su individui sottoposti a biopsia a seguito di positività del PSA oltre il 90% dei partecipanti ha riferito effetti collaterali (dolore, febbre, ematuria, ematospermia, ematochezia) e circa il 30% ha definito un problema rilevante la possibile ripetizione nel futuro di prelievi bioptici30. Sovradiagnosi L’esatta entità della sovradiagnosi è difficile da quantificare ma supera il 50%: in pratica, circa la metà dei cancri diagnosticati in screening non avrebbe dato segno di sé durante la vita dell’individuo in quanto aveva un basso rischio di progressione (Gleason≤6)29. Trattamento ed eventi avversi Ma questi cancri sovradiagnosticati nella maggior parte dei casi sono trattati e il trattamento è associato con il rischio di eventi avversi anche gravi. Nel confronto con il follow up clinico la prostatectomia radicale è associata con un aumento assoluto del 20% del rischio di incontinenza urinaria e del 30% di rischio di disfunzioni erettili mentre la radioterapia si associa ad un aumento del 17% delle disfunzioni erettili. Il decesso perioperatorio si verifica nello 0.5-3% dei pazienti31. In un’ottica di screening è stato calcolato che per prevenire un decesso per tumore della prostata è necessario diagnosticarne 33: nella maggior parte dei casi, diagnosticare significa trattare anche in presenza di un tumore a basso rischio di progressione e, per ogni vita salvata, si verificano 4 casi di impotenza e 1 di incontinenza urinaria29. Nei casi a basso rischio di progressione la prostatectomia condiziona in maniera pesante la qualità di vita senza avere alcun impatto sulla mortalità32. Tuttavia, occorre tenere presente che, quando non proposto, il trattamento spesso è richiesto dal paziente che psicologicamente non è preparato ad accettare l’idea di convivere con un tumore senza ricevere alcun tipo di trattamento. Un ultimo fattore importante da considerare nel valutare l’opportunità di effettuare un PSA è dato dall’attesa di vita: un cancro diagnosticato in un uomo con un’attesa di vita compromessa da malattie croniche o in età avanzata è molto verosimilmente un cancro sovradiagnosticato. Nel 2008 la US Preventive Service Task Force ha diffuso un documento nel quale si raccomandava di non prescrivere il PSA dopo i 75 anni di età33. Una valutazione dell’andamento dell’incidenza di ca. prostatico negli USA dopo la pubblicazione della raccomandazione ha mostrato negli ultra 75enni una riduzione del 25% dell’incidenza dei cancri in stadio precoce e una riduzione del 14% nell’incidenza di cancri in stadio avanzato. Una seppur più modesta riduzione dell’incidenza è stata osservata anche nei casi più giovani34,35. 19 Raccomandazioni delle linee guida per l'uso del PSA Negli ultimi anni, società scientifiche e forze operative internazionali hanno ripetutamente sconsigliato l’utilizzo del PSA come test di screening in quanto i danni sono maggiori dei benefici. Nel 2010 l’Osservatorio Nazionale Screening ha rivisto il documento di consenso nazionale sul carcinoma della prostata condiviso da 15 società scientifiche italiane nel 2003 confermandone i contenuti. Osservatorio Nazionale Screening 2010 36 Data l’esistenza di una importante sovradiagnosi e quindi di un elevato sovratrattamento, dovrebbero essere evitate campagne informative nazionali o locali a favore di una generica “prevenzione “ del tumore della prostata. Allo stato attuale delle conoscenze, infatti, l’uso del PSA non può essere una raccomandazione “di massa”, ma il risultato di una approfondita comunicazione tra medico e paziente. Nel box 1, a titolo esemplificativo, sono riportati gli statement di alcune autorevoli task force e società scientifiche statunitensi. US Preventive Service Task Force (USPSTF) 201237 Non utilizzare il PSA a scopo di screening per cancro della prostata. La raccomandazione è estesa a tutta la popolazione maschile, indipendentemente dall’età. La raccomandazione è stata ripresa integralmente dall’American Academy of Family Physicians. American Society of Clinical Oncology (ASCO) 201038 Non è chiaro se il beneficio associato all’utilizzo del PSA come test di screening bilanci gli eventi avversi dello screening e dei successivi trattamenti. Occorrono ulteriori evidenze riguardanti i benefici ed i rischi anche nei gruppi a rischio aumentato di carcinoma prostatico (es. storia familiare per la neoplasia). American Cancer Society (ACS) 201039 Uomini asintomatici che abbiano un’attesa di vita di almeno 10 anni devono poter avere l’opportunità di discutere con il proprio medico in merito a incertezze, rischi e potenziali benefici associati con lo screening per il carcinoma prostatico. Lo screening non dovrebbe essere effettuato al di fuori di un processo decisionale con adeguata informazione. American College of Preventive Medicine (ACPM) 200840 Non esistono sufficienti evidenze per raccomandare lo screening per carcinoma prostatico mediante esplorazione digitale o PSA. Gli uomini dovrebbero essere informati circa i potenziali benefici e danni dello screening e sui limiti delle attuali conoscenze in modo che possano prendere una decisione sullo screening dopo esser stati adeguatamente informati. 20 Conclusioni Su quali argomenti è opportuno far vertere la discussione con l’assistito che faccia richiesta di azioni per la prevenzione dei tumori “a largo spettro” ? E’ importante chiarire all’assistito due punti cardine: 1. Per la maggior parte delle neoplasie non si dispone al momento di interventi di prevenzione efficaci nel ridurre il rischio di malattia o delle sue conseguenze (es. pancreas, leucemie, linfomi). Occorre spiegare in modo semplice e chiaro che l’anticipazione diagnostica non è sempre sinonimo di beneficio ma che, a seconda delle malattie, può essere anche inutile (la mancanza di una terapia efficace non consente la guarigione) o addirittura dannosa (possono venire diagnosticate e trattate neoplasie che non avrebbero mai dato segno di sé) . E’ quindi fondamentale utilizzare solo quei test di screening per specifici tumori la cui efficacia è stata scientificamente dimostrata, possibilmente all’interno dei programmi di screening regionali, che sono quelli che danno maggiori garanzie. 2. La maggior parte delle neoplasie si sviluppa in età adulta o avanzata. Quindi, con l’esclusione del pap test per le donne, non è utile iniziare pratiche di prevenzione secondaria in giovane età. Tenere presente questa condizione è importante perché nessun test è esente da rischi, magari anche solo psicologici (es. ansia causata da risultati falsi positivi che richiedono approfondimenti diagnostici). 3. Ancora oggi, sulla base delle conoscenze disponibili, la più efficace prevenzione dei tumori possibile per il singolo individuo passa per alcune azioni/misure note da tempo: astensione dal fumo di sigaretta e dall’uso eccessivo di alcool, forte riduzione del peso corporeo se sovrappeso, dieta varia e ricca di alimenti di origine vegetale, e attività fisica. Queste misure non danno garanzie assolute, ma sono associate con una consistente riduzione del rischio di sviluppare varie malattie, non solo neoplastiche, non comportano alcun rischio di danni iatrogeni, sono associate con una migliore qualità di vita, e, particolare non trascurabile, non costano niente né alla società né all’individuo. L’efficacia di queste misure è spesso sottovalutata: sarebbe utile ricordare che già oggi, in Italia, la mortalità per alcune malattie fumo-correlate, prima di tutto il tumore del polmone, si sta riducendo in modo consistente: in pratica, ogni anno si previene la morte di alcune MIGLIAIA di persone grazie alla minore diffusione del fumo di sigaretta. 21 Bibliografia 1. Wilson JMG, Jungner G Principles and practice of screening for disease . WHO Chronicle Geneva: World Health Organization. 1968; 22(11):473. Public Health Papers, #34 2. Nyström L, Andersson I, Bjurstam N, Frisell J, Nordenskjöld B, Rutqvist LE. 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