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Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 00187 ROMA
ANNO XXIX N. 9 Settembre 1981
Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 111i70
-
ORGANO
MENSILE
-
D E L L ' AICCE.
ASSOCIAZIONE
dal quartiere alla regione
per una Comunità europea federale
UNITARIA
DI
COMUNI,
PROVINCE,
REGIONI
la conclusione dei XI:V Stati generali del CCE
Madrid: il salone del Palazzo di Cristallo alla <Casa del campo*.
i Governi nazionali hanno largamente dimostrato la loro incapaatà di c o s t ~ r l'unione
e
economica e politica dell'Europa: i Poteri locali e regionali danno la loro fidiiaa al Parlamento europeo e alla sua iniziativa costituente.
COMUNI D'EUROPA
2
Una assise positiva
una preparazione partecipata e razionale
un risultato coerente e avanzato
un compito che attende i consigli comunali, provinciali, regionali
La XIV edizione degli Stati generafi del
CCE, svoltasi a Madtid, ha coinciso con una
storica svolta del processo diiztegrazione europea - la decisione del 9 lugfio scorso da parte
del Parlamento europeo di assumere veri e propripoteri costituenti - e non ha deluso. D'altra parte, poiche' non si può rdanciare economicamente, politicamente e istituzionafmente
una Comunità che sia moribonh, se non morta, il CCE a Madtid ha afiontato con coraggio
e decisione superiore a tutte le altre organizzazioni europeiste afcuni deiprincipali nodi della
c h i comunitaria: ha ribadito che non c 'è politica di equilibrio regionale senza un ventaglio
completo di politiche comuni, coordinate secondo un progetto; ha sottofineato che cardine
di un sistema monetario europeo, di nuovo fermo aiserpente o gi5 di h, è la reafizzazione del
Fondo europeo delle riserve; ha dichiarato senza esitazione che fondamentafe è portare il bilancio della Comunità a livelli adeguati. Nello
stesso tempo, in u n momento in cui sono vivi
ovunque i contrasti tra i governi e tra /e parti
politiche sul problema della pace, gli Stati generaii di Madrid hanno con decisione affermato che la stessa esistenza dell'Europa unita, r>
questo nostro mondo ormai irrevocabifmente
multipolare, sarà un fattore di pace, sia in se'
sia perche' potrà procurare un nuovo ordine
economico internazionale piz2 razionale e pi2
giusto e, quindi, contribuire a una cogestione
dei macropmblemi planetari nell'interesse di
tutti. Le larghe e quafzficatepresenze europee
e pi2 particolarmente itafiane - e fra queste
quelle di autorevoli esponenti regionafi hanno dimostrato a Madrid tutta la sensibdità
degli amministratoripi2 po liticizzati nel capire
/o stretto legame tra una coerente e fattiva
avanzata del/ 'Europa e una soluzione positiva
dei cosidettiproblemi concreti locali. Insomma
è stata una solenne smentita al qualunquismo
di qualche amministratore, nomade e faccendiero, che ci acecusa di far troppa politica e partecipa, or qua or là, ai piedi dei monti e nelle
assolate isole del Mediterraneo, a pensosi convegni sulle piccole cose di ognigiorno, che tormentano gli amministratori locali (veramente
responsabili^. Il CCE non disattende le cose
concrete, ma purtroppo si tifuta di essere il difensore disorganico di tutti gli interessi settod i che capitano, il rappresentante acritico
della corporazione delle autonomie locafi e regionaii: esso difende (lo si è visto a Madri4
l'avvenire delle autonomie come momenti di
una programmazione generale, europea, che
cafpesterà molti interessi costituiti; che comporterà il recupero di tutte le categone emarginate; che costringerà il mondo delle imprese e
quello del lavoro a un severo impegno e ad un
grande sforzo di fantasia. Gli Stati generafi di
M a d , credo possano rappresentare, per i p i 2
- avvertiti parlamentari europei, un motivo di
soddisfazione ed un monito. La soddisfazione
dovrebbe nascere h l constatare che l'unica organizzazione di massa dell'europeismo mili;
tante, il CCE, appoggia sul temitono europeo,
che li ha eletti, le loro mosse pi5 a u h i e sarà
con essi, quando presenteranno dprogetto istituzionafe delllEuropa unita ai parlamenti nazionafi e al.'elettorato europeo. I/ monito dovrebbe derivare da// 'esigenza difare attenzione
a non correr dietro alpullulare di organizzazioni europeefantomatiche e corporative - certamente in ogni caso non federaliste - di poteri
locali e regionali, afpini o rivieraschi, interni o
difrontiera, di cittadini A g l i occhi azzum o di
fancide dai capelli corvini, e via &correndo,
ma di aiutare seriamente la grande organizzazione unitaria delle autonomie, che è sempre
stato e rimane il CCE, la cui vita è resa dficile
proprio perche'vuole superare il momento settonde, coerente ad una strategia politica. Rimane un dubbio, che ci si propone frequentemente - e a torto - dopo gli Stati generali:
che vaiore ha una grande parata come quella di
Madrid, in cui migliaia di amministratori alternano la politica col tuiimo culturale, le tlrofuzioni politiche con i canti e le musiche? In
realtà dietro l 'esterioritàdegli Statigenerafi c 'è
una lunga preparazione, c a p h e , degli argomenti che vi si trattano, centinaia e migliaia di
gemellaggi ove si a f i n t a n o van' aspetti dei
problemi, convegni e seminani riunioni degli
organi democratici nazionali e sovranazionafì
del CCE, dffusione tipetuta e coordinata di testi e di documenti. D'altro canto le conclusioni
degli Stati generaii trovano la loro verifica in
una dffusione capillare dei loro risultati, che d
CCE storicamente ha dimostrato di essere capace di reaiizzare: migliaia di Consigli comuna4
di enti intermedi e di regioni dibatteranno i riSOMMARIO
Pag.
Una assise positiva, di U. S. . . . . . . 2
La risoluzione politica . . . . . . . . . . . 3
La riunione della delegazione italiana in Campidoglio . . . . . . . . . . . 5
I1 direttivo del CCE, di G. M. . . . . 6
Pensiero e azione dei federalisti europei, a cura di Luciano Bolis . . . 7
I corsi CIFE di Aosta . . . . . . . . . . . . 8
Cronaca delle Istituzioni europee,
di Belfiard . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9
Mezzogiorno senza Europa, di Domenico Sabella . . . . . . . . . . . . . . 10
Federalismo e perequazione finanziaria della Germania occidentale
(S. E. - U. S.) . . . . . . . . . . . . . . . l1
I1 coordinamento nella RFT tra Federazione e Lander nelle politiche comunitarie, di Si'd Esser . 13
La Jugoslavia, il Kosovo c l'Europa,
di Pio Baissero . . . . . . . . . . . . . . . 15
Gemellaggio Guastalla-E'orcalquier 15
I libri, di Ernestina Giudici . . . . . . 16
Inserto: Relazioni internazionafi,
nonnativa comunitaria e poteri
delle Regioni, di Sergio M. Carbone
~ t t e m b r e1981
suftati di Madtid, centinaia e migliaia di seminari' ne discuteranno parola per paro la, nuovi
quadri locali si andranno formando a f servizio
della democrazia europea e del federalismo.
L'autocntica fa sempre bene: il masochismo
potrebbe essere tuttavia co@a grave. Il CCE
dopo Madridpuò essere orgoglioso e sicuro di
se: è una delle forze portanti dell'unità europea.
Il fungo lavoro preparatorio, sia a livello nazionale che sovranazionale, deiXIV Statigenerali ha dato dei niultati politicamente assai
soddisfaceenti, in un momento di svolta storica
del processo di integrazione europea, cioè dopo la decisione del Parlamento europeo di darsi, di fatto, poten' costituenti, assumendosi il
compito di redigere un progetto di trattato di
Unione europea economica e politica, h sottoporre alla fine, direttamente, ai Parlamenti nazionali e agli elettori' europei in occasione delle
seconde elezioni comunitarie a sufiagio universale.
Ciò è avvenuto mentre taluni governi comunitari si sono cominciati a rendere conto, dq
una parte, che non ci si può fermare afflEuropa
dell'unione doganale, ma si deve procedere
verso l'unione economica e socide (Mitterrand
politica i n d u s t d e comune, spazio sociaie) e,
hll'aftra, che si deve procedere da// 'integrazione economica a quella politica (dichiarazioni di Genscher e d i Colombo), anche se non si
sono avute adeguate e coraggiose proposte istituzionali di tipo federale o prefederafe (dopo
avere, infattti, sottolineato la acutezza del problema, se ne afida poi ancora una volta la soluzione a Vertici inconcludenti e incapaci di
decidere e a segretatiah eurocratici, senza potere e senza controllo, quindi insieme ineficienti
e antidemocraticd.
In questa congiuntura il CCE a Madrid ha
sposato, come doveva per coerenza alla sua
stessa tradizione (appello di Esslingen sul Neckar per la Costituente Europea: 1955), la tesi
pi2 avanzata del Parlamento europeo: ed ora
dovrà accingersi a Are effetto sul campo alle
conclusioni politiche dei XIV Stati generali.
La posizione presa a Madtid, in fondo, è discesa' logicamente da quella già assunta afflAja
(XTII Stati generali) ne// 'imminenza delle prime elezioni europee: ma in ogni caso ha sviluppato i risultati del.'Assemblea dei Delegati
(che è il massimo organo di tutto il CCE) tenutasi a Roma nel marzo scorso e h cui hanno
preso avvìo le refazioniper Madrid (di cuiparticolarmente & d a n t e e decisiva è risultata
quella del nostro collega Piombino faticosamente e inteffigentemente costwita in un dialogo portato avanti con tutti gli organi
dell'AICCE, Consiglio Nazionafe, Direzione
ed Erecutivo: ma anche la relazione complementare del collega spagnolo Soto, sindaco di
Vigo, ha avuto una chiara impostazione federalista).
Il 15 lugfio a Roma il Consiglio Nazionale
dell'AICCE ha espresso gli ultimi paren' sul
contributo della nostra Sezione alla impostazione politica degli Stati generafi di Madrid,
pareri che sono risultati unitari, cioè unanimi,
e tutto il mese di agosto è stato impegnato in
(conhnuazione a pag. >)
s8iiembre 1981
COIIIUNI D'EUROPA
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la risoluzione politica di Madrid
difendere la Comunità contro il nazionalismo strisciante
schierare decine di migliaia di Poteri locali e regionali a favore della
costituente europea
unire veramente l'Europa per cominciare a unire il mondo
I rappresentanti dei Comuni, Dipartimenti, Province e Regioni, riuniti a Madrid, dal 23 al 26 settembre 1981, nel quadro dei XIV Stati
genetali del Consiglio dei Comuni d'Europa, ascoltate le relazioni di
Giancarlo Piombino e Manuel Soto:
voce, gli Stati europei non hanno la capacità d'intervenire in queste controversie, proponendo soluzioni coerenti con i loro concetti di democrazia e di libertà, né di proporre la loro mediazione in un modo aedibile
neli'interesse della pace.
1. Constatano, con inquietudine, le gravi incertezze che dominano
sulla scena europea e mondiale:
2. Considerano che la solidarietà degli Stati democratici nella lotta
contro il terrorismo è per loro un dovere preciso, che dev'essere dimostrato da tutti attraverso una concertazione permanente, che garantisca
l'attuazione di prowedimenti concreti ed efficaci. Questa lotta comporta altresì la responsabilità delie Comunità locali e regionali, che devono
contribuire, dal canto loro, con tutti i loro mezzi.
a) incertezze economiche in primo luogo: sette anni dopo l'inizio
della aisi, la Comunità e gli altri paesi deli'Europa occidentale hanno
superato ampiamente la cifra di 9 milioni di disoccupati e molti degli
Stati membri conoscono degli elevati tassi d'inflazione. Questa situazione incide sul liveilo di vita delie popolazioni europee, nel momento in
cui ci si interroga sull'awenire industriale dei paesi europei e in cui la
Comunità non è riuscita a risolvere i problemi strutturali deile sue regioni meno progredite;
b) incertezze politiche in secondo luogo: in un mondo sempre più
confuso e destabilizzato, gli Stati europei, che sono dipendenti per
quanto riguatda il loro rifornimento di materie prime e strategiche,
mantengono, aononostante, un approccio prettamente nazionale ai loro problemi di sicurezza e di politica estera. Lasciano il mondo in balia
deile grandi potenze militari ed economiche, la cui logica non ha ancora
permesso di cominciare a risolvere la tragica situazione di centinaia di
milioni di esseri umani che soffrono e muoiono di fame e di soaosviluppo;
C) incertezze aggravate proprio da queste ragioni anche sotto l'aspetto stesso del mantenimento della pace: eppure gli Stati europei sono i
primi ed i più gravemente esposti nel caso di un conflitto tra l'Est e
l'Ovest, la cui minaccia è permanente, se teniamo conto dei numerosi
focolai esistenti nei diversi continenti. Nonostante ciò, non essendo
strutturati in una Comunità politica e non potendo parlare con una sola
3. Riaffermano l'urgenza e la necessità di un progetto politico globale, coerente e audace per l'Europa, capace di mobilitare democraticamente le sue forze vive: l'Europa non può più indugiare a mettere in
piedi gli strumenti deile politiche comuni, economica, monetaria, industriale, occupazionale, senza le quali non sarà in grado di sconfiggere la
disoccupazione e l'inflazione, né di garantire una vera giustizia sociale
sd'insieme del temtorio europeo.
4. Ricordano che, piuttosto di ricorrere a misure protezionistiche
in&caci ed &ere,
che producono inevitabilmente, a loro volta, misure di ritorsione, l'Europa ha bisogno di lanciare immediatamente
un'ambiziosa politica comune di ricerca, mirante d o sviluppo di settori
ad alta tecnologia, di aeare brevetti europei, di accumulare aknow-hows
(a tale scopo deve esser fatto anche un vasto sforzo di formazione professionale a liveilo europeo) e di preparare così il proprio fùturo economico,
specie industriale.
5. Riafferrnano la posizione costante del CCE in favore del secondo
allargamento, senza altre condizioni che queile derivanti daii'adesione
ai trattati, essendo prioritaria l'importanza politica generaie di questo
COMUNI D'EUROPA
4
aiiargamento rispetto a qualsiasi altra considerazione. Per via dei loro
vincoli storici con molte altre parti del mondo, la Spagna e il Portogallo
potranno offrire un contributo prezioso alla espansione dei rapporti politici ed economici della Comunità con altri continenti. Chiedono
un'entrata rapida deiia Spagna e del Portogallo neila Comunità, particolarmente per confermare l'ancoraggio di questi paesi neii'Europa democratica: la Comunità deve fornire senza indugio una risposta adeguata ai problemi economici e sociali reali, che pongono queste nuove adesioni. IÈ dovere dei comuni e delle regioni di contribuire attivamente al
successo di quest'impresa e di rivolgere un appello pressante ai loro governi, affinché sia portata a buon fine a breve scadenza. La Comunità dimostrerà così al Terzo Mondo, riuscendo a riequilibrare l'Europa a partire dai Sud, la sua capacità di costruire con i paesi meno sviluppati del
pianeta un nuovo ordine economico internazionale, in pari tempo equo
ed d c a c e , che ponga lo sviluppo al primo posto fra le priorità di tutti.
6. Ricordano che la politica regionale europea condotta dal 1975 non
è stata capace di raggiungere gli obiettivi fissati dal Preambolo e dall'art.
2 del Trattato di Roma. I vantaggi dell'integrazione non sono stati distribuiti equamente tra le regioni europee: tale obiettivo richiede autentiche politiche comuni, così come un maggior trasferimento di risorse
comunitarie, aftinché gli interventi dei diversi fondi possano avere effetti acaesciuti di ridistribuzione.
7. Sottolineano che, per ottenere ciò, ci si trova davanti d'obbligo di
superare la limitazione delle risorse proprie della Comunità e di dotarla
finaimente di un bilancio sdiciente per gestire delle vere politiche comuni.
da qualche aano la aeazione del
(FEM) cardine del Sistema monetario curoFondo europeo delle
p:in effetti hanno guardato con interesse alla proposta formulata in
questo senso, per la prima volta pubblicamente, in occasione dellJultimo incontro di vertice fraiico-tedesco.
8. Ricordano che il CCE
settembre 1981
9. Ma la capacità di bilancio non potrà funzionare senza la capacità
politica: per mettere in atto finalmente vere politiche comuni, la Comunità deve liberarsi dalla paralisi, ritrovando i processi, che le permettano
di prendere queiie decisioni urgenti che s'impongono.
10. Ciò comporta:
a) l'applicazione integrale dei Trattati ed il rispetto deiie loro dausole da parte di tutti i governi senza alcuna eccezione,
b) lo sviluppo del ruolo del Parlamento europeo, che deve poter cominciare a legiferare,
C:) la aeazione di un Esecutivo comune, responsabile davanti al Parlamento europeo,
d.) la progressiva tinuncia d a pratica del veto ed un ritorno alla regola della maggioranza nel seno del Consiglio.
11. L'allargamento dei poteri e delle risorse comunitarie è ormai possibile, dato che si può fare sotto il controllo della volontà popolare, democmticamente tradotta dal Parlamento europeo eletto a suffragio universale.
12. I1 CCE, una delle prime forze democratiche della costruzione europea, è pronto a dare tutto l'appoggio di cui è capace al lavoro costituente che ha preso le mosse il 9 luglio 1981 nel seno del Parlamento europeo a Smburgo. Esso si attende che quest'uitimo proponga ai Parlamenti nazionali ed ai cittadini europei, in occasione delle prossime elezioni europee, un progetto per l'Europa che corrisponda, finalmente,
d e necessità economiche e politiche del momento e che permetta
d'Europa di svolgere pienamente il suo ruolo per il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli e la salvaguardia della pace mondiale.
13. Si a u g m che in questo progetto venga inclusa una Carta dei Dirim fondamentali, che l e g i t G e, COntemporalleamente, limiti gli atti
conludtan di fronte ai cittadini ed alle comunità locali, tenendo conto
delle Proposte che il CCE formuierà a questo riguardo.
(approvata a farghissima maggioranza, 3 voti contrari, 4 astensioni)
fa logica deffegrandipotenze mifitari edeconomiche impedlrce di vincere fame e sottosvifuppo del mondo
gfi europei non possono parlare con una sofa voce e non sono quindi credibili quando offrono i foro servizi
per fa pace
solo un progetto gfobafepuò mobilitare /e forze vive d'Europa
f 'affargamentodeffa Comunità non deve subire tiserve dovute a interessi costituiti, ma deve procedere per
motivi pofitici e democratici, che sono pn'onfan'
fa radicale soluzione degfi squifibn' nord-sud neffa Comunità europea è f'unico pegno deffanostra capacità
di cooperare affasofuzione defprobfemanord-sudpfanetatio, ne/ quadro di un nuovo ordine economico internazionafe
chi vuofe f 'equifibrioregionafe europeo, deve volere un bifancio europeo aw'eguato a gestire autentiche pofitiche comuni, agncofa, i n d u s t d e , monetaniz, di ricerca tecnofogica, diformaz,ione professionafe, occupazionafe
non c'è unità economica senza un effettivo sistema monetatio europeo: e questo recfama i/ Fondo europeo
deffe tiserve (comuni)
ma occorre i/ safto di qualità istituzionafe: i/ 9 fugfio i/ P a r h e n t o europeo ha preso L'iniziativa e, mentre
governi e mass media tacciono, Lavorerà, si nvofgeràai parlamenti nazionafi e aff'efettoratoeuropeo; i/ CCE f'appoggia; ifsuoprogetto dovrà essere di unione economica e politica, dovràprevsdere un Pariamento europeo fegiferante, un Consiglio dei Ministti-Senato degfiStati, un Governo europeo responsabifeai Parlamento europeo; a/
CCE i/ compito di suggetire gfi efementi per una Carta dei diritti e deffe Libertà sociafi.
Gli Atti
dei XIV Stati generali
del CCE a Madrid
E XIV
saranno pubblicati
in uno dei prossimi
numeri
settembre 1981
Una assise positiva
(continuazione ah pag. 2)
COIYIUNI D'EUROPA
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In Campidoglio la riunione della delegazione
italiana
battito e all'approvazione dei Consigli comunali, provinciali, regionali.
Una campagna in questo senso è stata decisa
a livello di tutto il CCE e sarà realizzata particolarmente - oltre che in ItaiZa - in Francia,
in Germania e nei Paesi del Benelux, dove possiamo contare su un massiccio e coerente intervento di tutti gli Enti locali t e h o d i democratici @iGproblematica,per diverse ragioni, si
presenta la campagna in Irlanda, Gran Bretagna, Danimarca e Grecia). I niultati dei dibattiti consilian; che dovrebbero portare ala approvazione della risoluzione di Madrid e agli
auspici relativi, sarà bene che siano tempestivamente fatti conoscere d a nostra Segretenà di
Roma, ma anche, hettamente, d a Presidenza del Parlamento europeo e aiie Presidenze
deiia Camera dei Deputati e del Senato italiani, fututi destinatan' del progetto deciso dal
Parlamento europeo il 9 luglio.
I/ CCE può, con questa campagna, dare una
spinta d i grande nlievo alla costituzione
dell'Europa dei Popoli, su base democratica e
federahta, in u n momento in cui il ruolo
dellJEuropaunita per /a pace e per un nuovo
ordine economico e sociaie internazionaie
dovrà riiultare decisivo.
Il CCE svolgerà così anche un 'opera di.supplenza alla inadeguatezza davvero imperdonabile dei mass-media (naturalmente non si tratta solo di carenza professionale, ma anche di
precise ragioni politico-struttura4 nell'informare gli eletton europei sui lavori del Parlamento europeo di Strasburgo.
D 'aitro canto la storica aiieanza delle autonomie locaii con il livello democratico sovranazionah (quello ove potrà svolgersi una effettiva
progammazione dello sviluppo europeo e decidersi una eficace realizzazione del progetto
europeo contro la fame) troverà nel nostro impegno una solida rtionferma.
U . S.
neiie foto: (sopra) Gianfmco Martini, Gerolamo MecheU, Umberto Serafini, Mario Di Bartolomei, Alberto Benizoni, Mario Berti, Enzo Baldassi, Aurelio Dozio; (sotto) la Protomoteca gremita
di delegati.
In preparazione dei XIV Stati generali di Madrid, la presidenza del Consiglio regionale del Lazio, in collaborazione con la Sezione italiana del CCE, ha promosso un incontro, 1' 11 settembre, a
Roma, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, di tutti i delegati italiani.
Scopo dell'iniziativa era di aprire un franco dibattito sui contenuti delle quattro relazioni agli
Stati generali, in particolare su quella redatta da Giancarlo Piombino, consigliere comunale di
Arenzano e membro dell'esecutivo dell' AICCE sul tema: <I1Parlamento europeo, poteri e risorse
comunitarie~,e di Otto Maier, segretario generale della Sezione austriaca del CCE, su: <Comunie
regioni in una Europa federatau, anche per enucleare le tematiche principali.
L'incontro è stato aperto dal presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Di Bartolomei, e successivamente sono intervenuti tra gli altri il vicepresidente Girolamo Mechelli, l'assessore Alberto Di Segni, e il vice sindaco di Roma Alberto Benzoni.
L'ampio dibattito sulla relazione Piombino, riassunta dall'autore, e sulla relazione Maier, illustrata (data l'assenza del relatore) dal vicepresidente dell' AICCE, Stelio De Carolis, è stato concluso dal segretario generale dell'AICCE, Gianfranco Martini.
COMUNI D'EUROPA
6
direttivo del CCE
I1 Comitato direttivo europeo del Consiglio
dei Comuni d'Europa si è riunito a Parigi nei
giorni 6 17 luglio nella sala Medicis del Senato
francese con un denso ordine del giorno. Diamo una sintesi dei lavori perché in tale occasione sono stati affrontati temi e prese decisioni
destinati a influire sulla futura attività dell'Associazione a livello europeo e delle sue singole
sezioni nazionali.
A pochi mesi di distanza dallo svolgimento
dei XIV Stati generali di Madrid (23-26 settembre) era naturale che il Comitato direttivo
riservasse alla preparazione politica di questa
grande manifestazione (quella organizzativa
aveva formato oggetto di una precedente, apposita riunione dei segretari generali delle varie
sezioni nazionali) una particolare attenzione.
Infatti i temi all'ordine del giorno della grande
assise di Madrid, il particolare momento internazionale ed europeo, la sede prescelta per il
suo svolgimento mentre pendono le trattative
per il secondo allargamento della Comunità,
tutto concorre a rendere questa edizione, degli
Stati generali particolarmente rilevante non solo per i numerosi partecipanti (3.500 amministratori locali europei) ma anche per la Comunità europea, per le forze politiche e sociali e
per l'opinione pubblica in genere.
Ad un mese di distanza circa dagli Stati generali di Madrid avrà poi luogo, a Strasburgo
dal 27 al 29 ottobre, la XV sessione del CPLRE
(Conferenza dei Poteri locali e regionali europei) alla quale parteciperà, come di consueto,
una qualificata delegazione italiana rappresentativa di comuni, province, regioni e comunità
montane e delle varie forze politiche democratiche. Anche detta conferenza, per gli argomenti in discussione, richiederà dal Consiglio
dei Comuni d'Europa una corretta valutazione
dei suoi contenuti e degli obiettivi che si vogliono raggiungere: il Comitato direttivo del
CCE ne ha iniziato l'esame nella riunione in
oggetto. Sono state pure esaminate le conseguenze della recente creazione della Federazione spagnola dei comuni che costituisce anche la
Sezione del CCE in Spagna. Essa apre nuove,
favorevoli prospettive per l'azione della nostra
Associazione in quel paese, si inserisce nel piano generale, nel suo rafforzamento e nella sua
diffusione e costituisce, soprattutto per la Sezione italiana, la garanzia di trovare all'interno
del CCE un nuovo interlocutore più sensibile a .
problemi di ordine politico ed economico affi-
Parigi
ni a quelli italiani e quindi più disponibile ad
un serio impegno di riequilibrio nord-sud della
Comunità. Anche in Irlanda., il Consiglio dei
Comuni d'Europa ha posto le basi per un rilancio della sua presenza mediainte un riuscito seminario di formazione europea per amministratori locali irlandesi, proinosso a Dublino
nella primavera scorsa.
Sul piano dei rapporti tra Consiglio dei Comuni d'Europa e Comunità europee, il Comitato direttivo si è occupato dell'attività e dei
programmi di lavoro del Comitato consultivo
delle istituzioni locali e regionali dei paesi
membri della Comunità: è stata prevista una
riunione del suo ubureauo alla ripresa post feriale che si occuperà, tra l'altro, dei nuovi
orientamenti e proposte de:lla Commissione
esecutiva della CEE in materia di politica regionale e della revisione del Fondo europeo di svi-
Pubblichiamo ii testo diellJordine del giorno approvato dalla
Giunta provinciale di Genova nella seduta del 30 luglio 1981 riguardante i XIV Stati generali del
Consiglio dei Comuni d'Europa
(Madrid, 23-26 settembre 1981),
ai quali la Provincia di Genova ha
poi partecipato con una delegazione rappresentativa e qualificata.
L'iniziativa ci sembra esemplare
perché contribuisce a portare all'esame e ai dibattito delle varie
assemblee rappresentative locali
temi e problemi che riguardano ii
futuro della società europea, la sua
organizzazione politicomonetaria, le linee di un'azione
istituzionale adeguata ad affrontare con possibilità di succfiiso i problemi fondamentali dello sviiuppo dei nostri comuni, delle nostre
province e delle nostre regioni in
un quadro di solidarietà, <li libertà
e di pace che dall'Europa deve ripercuotersi su tutto il contesto internazionale.
settembre 1981
luppo regionale e analizzerà l'attuale funzionamento del Fondo sociale europeo in vista di
un aggiornamento della sua regolamentazione
prevista per l'anno 1982.
Con il Parlamento europeo il Consiglio dei
Comuni d'Europa mantiene un collegamento
periodico attraverso l'lntergruppo degli eletti
locali e regionali del Parlamento europeo. Esso
si è occupato, nel giugno scorso, della situazione delle regioni di frontiera interne alla Comunità e della giusta rivendicazione dei lavoratori
migranti di essere ammessi all'esercizio dei diritti elettorali attivi e passivi a livello comunale
in tutto il territorio comunitario. In questo
campo sono ancora evidenti perplessità e resistenze in alcuni Stati membri che confermano
quale difficoltà incontri il cammino verso
l'unificazione europea non solo a livello di governi ma, talvolta, anche in determinati ambienti e gruppi sociali.
L'AICCE, come è noto, condivide pienamente queste as.pirazioni dei lavoratori migranti e proseguirà con varie iniziative il suo
sforzo per tradurle in una soddisfacente normativa comunitaria e nazionale: anche di ciò si
è discusso diffusamente nella riunione di Parigi.
I lavori del Comitato direttivo si erano aperti
con un dibattito generale sull'attuale situazione della Comunità europea e sulla necessità di
effettuare reali e rapidi progressi sul piano
dell'integrazione politica e istituzionale: i vari
temi trattati nella riunione di Parigi, pur nella
loro specificità, hanno confermato, ancora una
volta, che questi progressi costituiscono una
condizione non eludibile anche per la loro
completa soluzione.
G. M.
P R O V I N C I A DI G E N O V A
LR GIUNTA PROVINCIALE
nel rimovere l'adesione ai XIV Stati Generali del Con
siqlio dei Corouni d'Europa, che avranno luogo a Madrid
dal 23 al' 26 settembre $981.
COHDNIDE aezitutto la scelta della sede. quale sign'
ficativ.3 richiamo sia alla preocmpante situnzinne .Wlltica aella Spagna, sia quale auspicio dell'ingrenso
di quel ehese nella Comunita Europea. costituendo cosX
un allergamento dell'atea comunitaria, can lo spoatamento %al baricentro verso eud, che oostituirebbe una
opportuna integrazione tra paesi comunitari industrialXrratl e quelli mano sviluppati:
mPRTm
VIVO interi,sse al dibattito sul tema -Le A5
tononiie Locali a Regionali fondammto della demceraiia
e unita polltica dell'C~ropa allaroatas;
SI IHPEMR a partecipare con una delpgazlone ?apprese2
tativa e qualificata della Glunta e del Consi<~llo,con
presenza atfiva ai lavori generali del Congresso, nonche a quelli specifici della I 6 X I Comissione;
aUSPICA
ehe il XXV Convegno degli Stati Generali 69
gni un ultetXore significativo p s s o avanti dell'azione svolte dal Consiglio dei Cm&?i d'Europa. nell'rntento 8 1 rafforzare i lejaml tra il Parlamento Europeo
E la Cmunita, al fine di cootituiro utlo conveqenra i'
dispensabile alla holuiione dei aravi pmblemi che affliggono tutti i Paeei comunitari:
SI INPEGNA a eottoporre Le risultanze del Congresso al
Conslglio ProVinciale onde stabilire
attraverso u n a 5
pio dibattito
come concretaniente operare in futuro<
finchC i risultati del Congresso roedeiimo non r e s t i n c
a livello di auspicio, ma siano indicazioni valide per
l ' a s i m da svolgere. in una visione armnica della pg
lztica delle Autoxornle locali e reaionali con la programmazione nazionale e cmunitaria, nai dlversi setto
ri relativi *l10 eviluppo aocio-emnonica, cori parti=%
lare riferim+nto ai problemi dell'industria, dell'ener
via. della ricerca e della difcia dell'anhiente, perseguendo COSII
l'obiettivo di. un'hiropa unita, capacedi
affrontare. sulla base di una pclitica comune e d e n o o r ~
tica, i probiernl dello sviluppo equilibraLo, dcll'rrcc~
parlone, della pace.
-
-
settembre 1981
COIiIIUNI D'EUROPA
7
deralismo in un campo ancora relativamente
nuovo (anche se, ahimé, molto antico!), che
però si affaccia oggi alla considerazione dell'osservatore obiettivo, quale noi vogliamo essere,
in termini tali da condizionare tutto il resto.
pensiero e azione dei federalisti europei
L'insegnamento kantiano
di Luciano Boiis
te, di gestire la <:osapubblica in un momento
come questo. Ma. se non vogliamo che la apolitic-, nel significato aristotelico del termine,
cada e scada vieppiù nel giorno per giorno, bisognerà pur far spazio a chi sa e vuole guardar
lontano e tener conto anche dei suoi segnali;
perché se per spiccare un salto, pure in senso
ideale, ci vuole un minimo di rincorsa, pochi
momenti come questi sembrano dirci che ormai saltare è d'obbligo, se non si vuol semplicemente scomparire.
In questo mare di invocazioni alla pace, certo tutte parimenti sincere, anche se variamente
motivate a seconda dei presupposti particolari
da cui ciascuno ritiene di dover partire, i fedePer il nostro essere uomini ancora prima che ralisti si fanno una volta di più portatori
europei, ma anche proprio per le responsabilità dell'analisi che contraddistingue da sempre il
che in questa ansiosa e incerta salvaguardia del- loro pensiero e la loro azione e che si compenla pace spettano in particolare all'Europa, è dia sostanzialmente nella condanna del concetforse giunto il momento di ricordare anche con to e della prassi, ormai del resto nettamente
i fatti che tutta la filosofia federalista, sulla antistorici, di un mondo praticamente dissolto
scorta dell'insegnamento kantiano, si basa pro- in una polvere di sedicenti assolute sovranità
prio su questa esigenza di difendere e afferma- statali, le cui unità dovrebbero restare quelle
re sopra ogni cosa i valori comuni dell'umanità che sono anziché unirsi in federazione, sia pure
che si compendiano nel termine stesso di epa- attraverso tappe intermedie di cui la più importante ed urgente è certo quella che potrebce,, non solo come contrapposto a aguerra,,
ma in quanto sinonimo di nuovo ordine politi- be darci anche in poco tempo il continente euco economico e sociale che appunto, per poter ropeo.
In pratica, tra la rivendicazione ~utopistica,
restare perpetuamente pacifico, non può che
(da
che pulpito vien la predica!) di un Carlo
coincidere con la stessa dimensione mondiale.
Cassola per un disarmo totale immediato anCe lo ha richiamato recentemente Albertini che su base unilaterale e, al polo opposto, la
nel documento qui riprodotto (ula pace come rincorsa cieca al riarmo, che alla fine ci vedrebsupremo obiettivo della lotta politica), desti- be tutti ridotti senza fiato e comunque in connato forse a suscitare qualche dissenso negli dizioni d'inaccettabile sudditanza al maggiore
ambienti dove le preoccupazioni dell'imme- alleato americario, esistono infinite posizioni
diato e del aconcreto, tendono a prevalere, ma intermedie tra le quali si tratta soltanto di sacerto anche molti consensi nei numerosi settori per scegliere. Preceduti da una risoluzione
di opinione pubblica che coinvolge, e in ogni dell'AICCE alcuni mesi addietro, i Federalisti
caso discussioni di ampiezza corrispondente hanno fatto ora la loro scelta, naturalmente teall'importanza e alla novità dei temi trattati e nendo presente il carattere per sua natura podelle soluzioni prospettate.
polare e progressista della loro ideologia, che a
È infatti la prima volta che autorevoli voci me pare caratterizzata da un massimo d'idealifederaliste si levano espressamente a fissare una smo (il mondo di domani, ma non nella prolinea di intervento coordinato e preciso in que- spettativa di Huxley.. .) compatibile con un
sti problemi, dove l'aspirazione generosa dei massimo di realismo (il mondo di oggi - pripacifisti e la prudenza, che si vuole per defini- mum vivere deiitde philosophare - ma non
zione realistica, dei politici, rispondendo ad necessariamente quello della ascalata, precoesigenze diverse, se non opposte, sembrano de- nizzata da Haig.. .), nel senso di quel difficile
stinate a non incontrarsi mai, seguendo proprie ma necessario equilibrio cui si faceva prima rilinee di sviluppo chiamate ad accentuare il re- ferimento.
ciproco contrasto fino a farlo esplodere anche
Riuscirà? Noil riuscirà? A parte che non ci
in forme di esasperata polemica, come awenne
sono alternative, se non una poco dignitosa poin Italia al momento della ratifica parlamentalitica dello struzzo, ci sono momenti, nella vita
re del patto atlantico, di cui conservo personal- degli individui come in quella delle società, in
mente precisa memoria.
cui si deve saper prendere posizione almeno
Perverrà ora la nuova presa di posizione fe- cinque minuti prima che sia troppo tardi; soderalista a conciliare l'inconciliabile, cioè prattutto, comc: in questo caso, quando sono
un'indicazione valida per l'awenire con I'esi- gli avvenimenti stessi, di cui certo avremmo
genza quotidiana del asoprawiveres? Le due fatto volentieri a meno, a imporci una via
istanze appartengono a sfere diverse e le re- d'uscita e a non tollerare rinvii.
I1 prevalente impegno sempre rivolto dai federalisti ai problemi della costruzione europea
e in particolare l'appoggio incondizionato da
loro concesso, con l'esito fortunato che conosciamo, all'iniziativa del Coccodrillo per una
riforma urgente e radicale delle istituzioni comunitarie non poteva esimersi dal prestare
orecchio al coro di proteste levatosi da molte
parti contro la generale tendenza al potenziamento e alla proliferazione delle armi atomiche, con conseguente incombente pericolo di
una distruzione totale dell'umanità, in ogni
caso proprio della nostra Europa, sempre più
diventata involontario terreno di scontri tra opposte tensioni.
sponsabilità politiche dei federalisti non possono certo confondersi e tanto meno coincidere
con quelle di chi porta il peso, non indifferen-
Non si tratta quindi di travestirsi da «partigiani della paceb o di cambiare disco, ma semplicemente di far valere le potenzialità del fe-
La pace
come supremo obiettivo
della lotta politica (1)
1. Con la duplice e drammatica decisione
del governo americano di installare in Europa i
missili Pershing e Cruise e di costruire la bomba N, che *comporta l'impiego di mezzi nucleari per contrastare mezzi convenzionali come i carri armati, gli USA hanno varcato la soglia della separazione tra guerra nucleare e
guerra convenzionale,. Se gli europei accettassero questa scelta americana, l'idea di una
guerra nucleare limitata al teatro europeo diventerebbe una ipotesi operativa della politica
mondiale e quindi un rischio reale.
Da sempre gli uomini hanno difeso la loro
indipendenza e hanno garantito la loro sicurezza con le armi. Ma le armi nucleari, e a maggior ragione le armi che lo sviluppo incessante
della tecnologia renderà possibile nel prossimo
futuro, non hanno niente a che fare con i problemi tradizionali della difesa e della sicurezza
perché implicano la distruzione del genere
umano o, quanto meno, delle basi della civiltà, e quindi I'autodistruzione di tutti i belligeranti. Ciò nonostante tutti i governi continuano a progettare la politica estera sulla base
dell'impiego delle massime forze distruttive
che ciascuno può realizzare, come se le armi di
oggi fossero le stesse di quelle di ieri.
Questa situazione è assolutamente inaccettabile, non solo per il rischio che comporta, ma
anche perché è in contraddizione con il fondamento stesso della morale. È venuto il momento di capire che se si accetta come un dato permanente della vita politica il rischio deliberato
e intenzionale della guerra nucleare, la caduta
nelle barbarie è inevitabile. In questo caso è infatti impossibile che abbiano ancora un senso
l'educazione, il sentimento della solidarietà sociale e ogni valore civico e culturale.
2. Per eliminare il rischio della guerra nucleare non basta la distruzione delle armi nucleari già esistenti, ma occorre anche che divenga certa la possibilità di impedire a qualunque
paese di prendere, in qualunque circostanza, la
decisione di fabbricare armi di questo tipo. È
un problema di potere che ha una sola soluzione: la democrazia internazionale.
Non esiste altra soluzione perché la capacità
tecnica di fabbricare queste armi esiste e non
può essere eliminata; mentre si può, con un
potere mondiale democratico che acquisisca il
monopolio legale della forza fisica, prowedere
alla sicurezza di tutti i paesi, controllare la produzione di ogni arma e impedire di diritto e di
fatto la fabbricazione di tutte le armi che oltrepassino una soglia definita di pericolosità. Non
(1) Questo documento è stato approvato all'unanimità
dalla direzione del MFE riunitasi a Milano il 5 ottobre sotto
la presidenza di Bolis, relatore Albertini.
COMUNI D'EUROPA
8
è un'utopia questo potere, ma è un'utopia
l'idea della soprawivenza del genere umano se
non si impedisce ad ogni nazione l'uso delle
armi che potrebbero distruggerlo e se le armi
restano il solo mezzo con il quale gli stati possono garantire la loro sicurezza.
Si tratta dunque di risolvere, con la democrazia internazionale, il problema del controllo
degli aspetti militari della tecnologia nucleare
e di ogni tecnologia del futuro di pari o maggiore pericolisità. Ogni altra soluziori-e è un mito. Non c'è nessun potere che possa fermare lo
sviluppo tecnologico e quindi la capacità materiale di fabbricare armi nucleari. Nessun uomo
di buona volontà, d'altra parte, dovrebbe proporsi uno scopo di questo genere che equivarrebbe a lasciare il terzo mondo nello stato attuale di povertà ed a impedire ogni progresso
degli aspetti materiali della condizione umana.
3. L'unificazione delle tribù nella città-stato
ha fatto cessare le guerre fra le tribù. L'unificazione delle città-stato nelle nazioni ha fatto
cessare le guerre fra le città. L'unificazione delle nazioni in una federazione mondiale può far
cessare le guerre fra le nazioni e realizzare la
pace perpetua. I tempi sono maturi. Tutti i popoli della Terra si sono ormai costituiti in nazioni, e ovunque le nazioni cercano di raggrupparsi per assicurare il loro sviluppo economico e
garantire la loro sicurezza. In Europa occidentale questo processo è già giunto a un punto
nel quale, per la prima volta nella storia, i cittadini hanno il diritto di voto non solo
nell'ambito della loro nazione, ma anche
nell'ambito della loro associazione di nazioni:
la Comunità. Un solo passo resta ancora da fare
per completare in Europa il primo modello storico di democrazia internazionale: il governo
europeo, che non richiede affatto, come vorrebbe la concezione arcaica della sovranità ancora prevalente, il sacrificio della indipendenza
effettiva dei governi nazionali.
L'Europa non è il mondo. Ma il sistema col
quale si può governare l'Europa è lo stesso col
quale si potrà governare il mondo e nulla impedisce di battersi sin da ora per estendere a
tutto il mondo il sistema di governo della democrazia internazionale. Questo traguardo
può essere lontano, ma bisogna tener presente
che come con la lotta per l'unificazione europea si sono ottenute le prime forme di politica
europea e la fine della rivalità militare fra i vecchi stati nazionali dell'Europa occidentale, allo
stesso modo con la lotta per il governo mondiale si potranno ottenere le prime forme di politica mondiale e l'attenuazione, se non la fine,
della rivalità militare fra tutti gli stati.
Solo con questo orientamento si può superare la crisi dello stato che si manifesta ovunque,
portando a termine la costruzione razionale
dello stato, cioè facendo della statualità una
forma universale articolata dal livello del quartiere e del comune, come sfera della solidarietà, a quello della nazione, come sfera
dell'integrazione sociale, a quello mondiale,
come vera comunità internazionale per la pace
di tutti i popoli e la realizzazione della loro
eguaglianza.
4. L'umanità non ha ancora saputo reagire
di fronte alla minaccia della sua autodistruzione. Ripetutamente alcuni fra i maggiori uomi-
ni di scienza e di religione hanno intrapreso
campagne contro le armi nucleari, ma nonostante il loro solenne ammonimento la corsa a
queste armi e al loro perfezionamento non è
stata né fermata, né rallentata; e la protesta
non ha mai assunto il carattere di una forza in
crescita.
Sino ad ora, chi si è battuto per il disarmo
nucleare non è riuscito a influenzare il potere e
chi si è battuto per il potere è rimasto prigioniero dell'equilibrio del terrore.
Non resta dunque che una via: partecipare al
processo del potere, perché altrimenti non si
ottengono risultati concreti, rna con l'obiettivo
ultimo della democrazia internazionale, per
superare la situazione nella quale le armi sono
ancora una necessità. Si tratta pertanto di scegliere ogni volta il male minore e solo il male
minore compatibile con il progresso verso
settembre 1981
l'obiettivo ultimo della democrazia internazionale, come premessa indispensabile per il disarmo universale.
5 . La lotta per la pace riguarda tutti gli uomini della Terra. Come europei ci compete il
compito seguente. Dobbiamo tener presente
che la sicurezza senza armi richiede la federazione mondiale. Dobbiamo tener presente che
una difesa con le armi nella prospettiva
dell'equilibrio delle forze non fa avanzare il
processo verso la pace. Dobbiamo dunque percorrere una via nuova: una difesa che si collochi
al di là della guerra.
Si tratta di ridurre al minimo, se non a zero,
i mezzi della guerra convenzionale, di predisporre la difesa popolare del territorio in funzione della resistenza nei confronti di un eventuale invasore con la disobbedienza civile e il
i corsi CIFE di Aosta
Federalismo, democrazia e autogestione
I1 Centro I d i a n o d i Formazione Europea
che costituisce la sezione, nel nostro paese,
dell'omonimo centro internazionale con sede a
Nizza, tiene ad Aosta da molti anni, nel periodo estivo, dei corsi residenziali su temi europei, alla cui organizzazione contribuisce anche
la Regione autonoma della \Tal dlAosta il cui
presidente Andrione ha dato frequenti testimonianze del suo impegno federalista. A questo seminario partecipano giovani di vari paesi
della Comunità europea e talvolta anche provenienti da alcuni paesi extra europei con i
quali detta Comunità ha un particolare rapporto di associazione in base alla Convenzione di
Lomé. Lo scopo di questa iniziativa è di fornire, tramite un contatto più assiduo tra i partecipanti e tra questi e i docenti (appartenenti
anch'essi a diverse nazionalità), un'aggiornata
conoscenza della realtà europea e dei principali
problemi politici, istituzionali, economici, sociali e culturali che caratterizzano questa fase
dell'integrazione e dalla cui soluzione dipende
I'auspicato rilancio della costruzione europea.
Il CIFE è un organismo di ispirazione federalista e quindi, accanto all'informazione e al dibattito sui temi citati, i predetti corsi intendono fornire anche una più organica preparazione politica e culturale sui principi del federalismo, sulle sue esperienze storiche, sulle incidenze che l'applicazione della dottrina federalista può avere sull'organizzazione della società
e delle istituzioni in un'Europa in cerca della
sua unificazione. Per questi motivi sono evidenti gli stretti rapporti di collaborazione esistenti tra I'AICCE e il CIFE che hanno trovato
numerose occasioni per concretarsi in iniziative
comuni dirette costantemente a fornire una seria formazione europea nei vari ambiti sociali
e, particolarmente, nel campo delle autonomie
locali, della scuola e del mondo giovanile.
Quest'anno la sessione era articolata nel mo-
do seguente: un'analisi del federalismo americane e, più in generale, dei principi ai quali
ogni esperienza storica del federalismo deve richiamarsi; le condizioni di una reale crescita
del sistema democratico a livello comunale e
regionale, con particolare riferimento ai problemi del regionalismo in alcuni paesi europei;
i rapporti tra Comunità europea e Terzo mondo, collocati nel più ampio quadro delle relazioni anord-sud* e della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale. Hanno tenuto
i diversi corsi, tra gli altri, Ferdinand Kinsky,
direttore generale del CIFE, Alexandre Marc
che ne è stato il fondatore, i docenti Guy Heraud, Vlad Constantinesco, Francois Luchaire,
Christian Anglade e Benounna, provenienti
dalle università di Strasburgo, Essex, Rabat e il
Ministro della Regione Vallona (Belgio), Jean
Maurice Dehousse, nonché studiosi di problemi politici, sociali ed economici quali Riccardo
Petrella, Marc Heim, Moday-Fletcher, Claude
Nigoul e Jean Pierre Gouzy.
Nel corso della sessione si sono svolti dei seminari ai quali hanno partecipato, dall'Italia,
il segretario generale dell'AICCE, Gianfranco
Mattini, che ha analizzato l'atteggiamento delle forze politiche e sindacali italiane di fronte
al processo di democratizzazione europea, e il
vice presidente del CIFE, Franco Bernstein, che
ha trattato il tema: «Energia, ambiente e crescita».
I partecipanti al corso hanno manifestato
particolare interesse per il ruolo che le autonomi locali e le forze politiche che concorrono alla loro gestione politico-amministrativa sono
chiamati a svolgere nel processo di integrazione
europea al fine di contribuire ad un'Europa
che, nella sua reale coesione politica e istituzionale, sappia rispettare le libertà e il pluralismo
e articolarsi in diversi livelli istituzionali secondo i principi del federalismo.
* * *
settembre 1981
XXI
COMUNI D'EUROPA
Relazioni internazionali, normativa comunitaria
e poteri delle Regioni
di Sergio M. Carbone (')
ordinario di dinito internazionale
nella Università di Genova
Quello delle relazioni tra Comunità europea
e Regioni è u n tema obbligato per I'AICCE e
per tutto il Consiglio dei Comuni d ' ~ u r o p a .
Oggi si molt@licano gli studi, le analisi, k proposte per approfondire questo tema, per individuare le piiì corrette evoluzioni, per evidenziarne k implicazioni non s o b giuridiche e
istituzionali, ma anche specificamente politiche; ma u n decennio fd, quando finalmente,
dopo una lunga attesa, l'ordinamento regionaie cominciò a radicarsi in tutta la penisola e
non solo in alcune Regioni aventi particolari
carattenitiche, il problema sembrava a molti
assai remoto, quasi un'invenzione a tavolino,
stretta tra presunte preclusioni dei Trattati comunitan' e una persistente visione centralistica
del nostro ordinamento interno.
Ricordare che I'AICCE si è mossa con indubbia tempestività i n questo campo quasi inespbrato in linea con unapiiì generale strategia
europea volta a d insen?e profondamente le autonomie t e d o n a l i nel processo d i integrazione e ad evidenziare i nessi naturali tra tendenze
regionallrte e progressi verso h federazione europea, non significa rivendicare medaglie d i
benemerenza o titoli di avanguardlrmo ma sottolineare dei precedenti che servano a spiegare
il presente e il futuro della nostra Associazione
e dei suoi rapporti con k Regioni italiane.
Quando, nel 1974, nel corso della prima legidatura regionale ordinaria, I'AICCE, sorretta
d d a competenza tecnica e dall'appoggio politico di esperti e d i eletti regionali, lanciava la
proposta formale (ai sensi dell'art. 121 della
Costituzione) di iniziativa regionale per dare
veste istituzionale afla partec@azione delle Regioni a l a formazione (e non s o b all'attuazione) della normativa comunitaria nelle materie
d i competenza regionale, essa metteva in moto
u n meccanismo destinato a sollevare vasta eco
negli ambienti politici, amministrativi e degli
esperti d i dintto costituzionale e regionale.
. . Quella proposta si arenò in Parhmento ma
se ne riievarono le tracce nella proposta della
Commissione Giannini conseguente alla legge
n. 382, nei lavori della Commirsione parlamentare per le questioni regionali, in u n molt@liarsi di studi e dibattiti, nella iniziativa d i
dar vita ad una conferenza permanente di Presidenti di Regioni, nel diregno dilegge i n corso
per la sua istituzionalizzazione, nell'accresciuta attenzione rivolta a questo problema dalgoverno, specie tramite i Ministri per gli affan' regionali e per il coordinamento interno delle
politiche comunitarie.
Alla base d i quella proposta AICCE del 1974
c'erano l'impegno di studioso e la sensibilità
politica del pro$ Sergio Carbone del quaie siam o lieti d i pubblicare - per cortese concessione della Rivista Aggiornamenti - Aktuell edita
ddl'uficio studi della Regione Trentino Alto
Adige - il saggio su aRelazioni internazionali,
normativa comunitaria e poteri delle Regioniu;
lo njeniamo uno strumento assai utile per fare
,
il punto di questioni ancora assai &?battute,
per conoscere meglio ahune obiettive d f i c o l t à
che il nostro impegno, al tempo stesso regionalista e d europeicta, incontra, per verificare il
buon fondamento anche giun'dico delle nostre
iniziative politiche in questo campo, per meglio comprendere il complesso intreccio di
nuovi problemi 6 d i varie, contem/oranee ufedeltàu che ia Comunità europea continuamente alimenta.
I/ saggio d i diarbone è utile in p n m o luogo
per tutti coloro che hanno diretta responsabilità nelle Regioni, m a h sua lettura ci sembra
ricca di potenziale riflessione per tutti coloro
che considerano la Comunità europea non una
entità esterna con la quale avviare rapporti diplomatici ma u n contesto, u n quadro di riferimento all'interno del quale ormai si muove,
con le sue luci e con le sue ombre, il nostro
paese e il suo complessivo ordinamento.
1. Le attività che implicano l'esercizio di
funzioni tali da comportare rapporti con Paesi
o organismi stranieri e da incidere sull'esercizio
di funzioni relative agli affari del nostro Stato
nei riguardi di tali Paesi o organismi esteri sono
sicuramente precluse alle Regioni. È questo il
senso che le circolari in proposito adottate dalla
Presidenza del C:onsiglio dei Ministri (cfr. ad
esempio la circolare 1. aprile 1978) ed un recente decreto del Presidente del Consiglio ( i l
marzo 1980), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 106 del 17 aprile 1980, hanno fornito
all'articolo 4 del D.P.R. 24 luglio 1977, n.
6 16, che riserva alla esclusiva competenza dello
Stato l'esercizio delle fiinzioni, anche nelle
materie trasferite o delegate alle Regioni, relative ai rapporti iriternazionali ed a quelli con le
Comunità Europee. Nessuna incertezza quindi
in merito alla correttezza di quanto afferma il
citato Decreto del Presidente del Consiglio allorché ( i f ) precisa che ale Regioni non possono
validamente stipulare con rappresentanti di
Paesi esteri accordi, intese o altri atti formali a
mezzo dei quali assumano impegni ovvero
esprimano dichiarazioni o valutazioni afferenti
alla politica nazionale». I1 che, però, non sta a
significare che non sia almeno consentito alle
Regioni lo svolgiimento della c.d. «attività promozionale~all'estero che, già secondo il disposto del citato art. 4, può essere svolta dalle Regioni, purché verta su materie di loro competenza e previa iritesa con il Governo il quale,
nell'espletamento delle sue funzioni di indirizzo e coordinamento, ne garantisce I'unitarietà
e la coerenza con l'azione stataleed in particolare con gli obiettivi della programmazione
economica e del rispetto degli obblighi internazionali e comunitari.
Questa, in sintesi, la posizione dell'ordinamento italiano con riguardo all'attività estera
delle Regioni ed in particolare all'esercizio dei
loro poteri (nelle materie ad esse conferite o
delegate a sensi degli articoli 117 e 118 della
Costituzione italiana) nei confronti di enti e
soggetti esterni al nostro sistema costituzionale, posizione che trova la sua origine e la sua
base normativa già nei primi statuti delle Regioni a statuto speciale. nella disciplina accolta
dal legislatore delegato nel 1972 (se pur con riguardo alle varie tranches di competenza regionale) e già citata nell'art. 4 del D.P.R. 616 oltreché confermata a più riprese dalla Corte Cotituzionale (cfr. ad esempio le sentenza 170175
e 203174).
Nessun dubbio, pertanto, che devono essere
riservate agli organi centrali dello Stato le funzioni relative alle «relazioni internazionali, con
conseguente esclusione della legittimazione
degli organi regionali con riguardo a rapporti
da cui possano derivare mutamenti nella situazione giuridica soggettiva, attiva e passiva, dello Stato quale membro della Comunità internazionale.
Così, è ormai da tempo acquisito in dottri-
(*) La particolare occasione della redazione del presente
lavoro mi esime, così, da una completa indicazione di riferimenti bibliografici e giurispmdenziali per i quali mi sia
consentito di rinviare alle citazioni riportate nei miei lavori: Il ruolo delle Regioni nella elaborazione e d attuazione
degliatti comunitari', in .Foro i t . ~ 1973,
.
V , p. 41 ss. e Af-
fari comunitari; competenze dello Stato e partecipazione
regionde, in aRiv. dir. int. priv. proc.,, 1974, p. 58 ss. Tra
i contributi più recenti vedi soprattutto STARACE,
Comunità europee e rapporti tra Stato e Regioni. in ~Documentazione Regionale kisilicata e Puglia~,1975, n. 6, p . 32
ss.; TERESI,
Modi e forme di intervento delle Regioni sulle
politiche comunitarit:, in aLe Regioni,, 1975. p. 601 5 s . ;
ID.,Gli Enti indipendenti degli Stati CEE davanti aileprospettive di Regioni europee, relazione al Convegno nazionale dell'unione degli avvocati degli enti pubblici (PalerProblemi e proposte concernenti i
mo. 1977); VICARIO,
rapporti tra le Regiotri, le istituzioni comunitane ed ilpotere centraie nazionale. in al1 Foro Amministrativo~,1973.
11, p. 509 ss. ; Mouvrnucci, Rapporti tra Stato e Regioni
con riferimento aiie attività di rilievo internazionale, in aLe
Regioni,, 1974, p. 353 ss. ; ID., The InternationalActivities
Gianfranco Martini
ofthe Itruiatl Regions, in aThe Italian Yearbook of Internationai Law~,1976, p . 201 ss.; L.C. (CONDOREILI), Treaty
making power of the Itdian Regions, ibidem, p. 309 ss.;
Le Regioni fia Stato e Comunifa locali. BoloBASSANINI,
gna, 1976; LAWRJO,Problemi posti dalle relazioni tra le
Regioni italhne e b Comunità economica europea, in CCOmuni d'Europa*, 1974, n. 2, p . 3 ss.; MALINTOPPI.
I lombardi allaprima crociata: negoziati e preintese tra Milano e
Mogadircio, in aRiv. Dir. I n t . ~ 1976,
,
p . 439 ss. ; BARTOLE.
Atti e fatti (di nlevanza internazionaie) nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione. in eGiur. C o s t . ~ 1975,
,
p.
3 124 ss. ; LAPERGOU).,L 'rempirismo~nello studio dei slrtemi federali: a proposito di una teoria di Carl Friednch,
Estratto dal volume: Studi in onore di Giuseppe Chiarelli.
Milano, 1974, p . 1267 e ss.; MAGANZA,
Autonomia regionale e attuazione delle n o n e comunitarie. in aRiv. dir.
Notacriticaaila
int. priv. proc.,, 1977, p . 819ss.; DIMORA.
sentenza 170/71, in *Le Regioni,, 1975, p. 1164 e AA.VV.,
Le Regioniitahàne e l'Europa, Milano, 1976, e , da ultimo,
CARETTI.
Ordinamento comunitario e autonomiz regionaCommento d ' a r t . del
le, Milano, 1979, e CONDOREILI,
D. P. R. 616, in =I nuovi poteri delle Regioni e degli Enti locali*, Bologna, 1979.
XXII
na, e razionalizzato come indiscutibile, il principio in virtù del quale solo gli organi centrali
dello Stato italiano (proprio in quanto stato
unitario) sono competenti ad operare, nel quadro degli equilibri istituzionali previsti dalla
nostra costituzione, con riguardo alla creazione, modifica ed estinzione di situazioni giuridiche soggettive internazionali. Più precisamente, come d'altronde è stato esattamente rilevato anche dai più strenui difensori delle autonomie regionali e dai più decisi oppositori
dell'esercizio centralizzato dei poteri statali in
materia internazionale (ad esempio, BERNARDINI), per quanto riguarda l'ordinamento italiano, lo Stato, come persona giuridica primaria (centralizzato ed unitariamente considerato), è sicuramente il titolare delle situazioni
giuridiche soggettive che sorgono in virtù di
norme internazionali. Esso solo, così, pone in
essere attività con effetti obbligatori verso
l'estero (e cioè nei confronti di altri soggetti internazionali) e attraverso i propri organi agisce
giuridicamente nell'ordinamento internazionale. In breve, i rapporti nei quali si esprime il
upotere estero, dello Stato appartengono al
Governo che gestisce in via esclusiva, sotto il
controllo ed in conformità all'indirizzo del
Parlamento, le relazioni con i soggetti di diritto internazionale a tutela degli interessi necessariamente unitari (ed in alcun modo scomponibili o frazionabili) dell'intera comunità nazionale. Del che si ha puntuale conferma anche nelle esperienze costituzionali straniere degli stati federali ove, quanto meno in via di fatto, come è stato di recente osservato (LA PERGOLA), il potere estero è divenuto monopolio
esclusivo degli organi centrali.
Nessuno stupore e nessun dubbio, quindi,
che anche nell'ambito del sistema comunitario, allorché vengono esercitate funzioni che
implicano l'esercizio del potere estero dello
Stato, siano soltanto il Governo e gli organi
centrali dello Stato ad operare. Si tratta, soprattutto, delle attività che fanno capo al Consiglio europeo, al Consiglio dei ministri ed al
Co.Re.Per. nell'ambito dei quali, come è noto, vengono svolte le funzioni normative di indirizzo politico del sistema comunitario.
2. Peraltro, il riconoscimento agli organi
centrali dello Stato italiano dei poteri esclusivi
nella determinazione degli atteggiamenti del
nostro Paese nelle relazioni internazionali e
nell'ambito del potere decisionale degli organi
comunitari (ed a maggior ragione in sede internazionale) non esclude che le Regioni debbano
influire, in modo assai vario, sugli indirizzi che
i rappresentanti del Governo devono far valere
nelle competenti sedi comunitarie e specialmente allorché si discutono problemi particolarmente importanti per lo sviluppo di alcune
Regioni o relativi a materie di competenza
esclusiva o concorrente degli organi regionali.
Anzi. a questo proposito, non si può disconoscere che alcune scelte degli obiettivi da perseguire (oltreché la determinazione dei mezzi
per tutelare gli interessi italiani) in sede comunitaria dovranno essere necessariamente coerenti con le posizioni evidenziate dalle varie
Regioni. Né è possibile sostenere che al riguardo non rimangono più scelte da operare, essendo già fissati i principi relativi al funzionamen-
COMUNI D'EUROQA
to dei meccanismi comunitari che interessano
le materie di competenza regionale.
Infatti, è ben vero che le scelte politiche di
fondo, le priorità ed i mezzi per la loro realizzazione sono in gran parte già fissati direttamente dal Trattato di Roma e, quindi, più nulla rimane da decidere in merito agli organi comunitari. Ma è altrettanto vero che, nel quadro
delle indicazioni del Trattato di Roma, rimangono ancora da operare alcune scelte e, comunque, rimangono da attuare quelle indicate dal
Trattato. Di tali scelte sono responsabili gli organi comunitari ed in particolare il Consiglio
dei ministri delle Comunità al quale partecipa
per l'Italia, come è noto, solamente il ministro
titolare del dicastero della cui materia, volta a
volta, si discute. Pertanto, appare naturale che
in tale sede quest'ultimo debba attenersi non
soltanto alle direttive del Governo, espresse
sotto il controllo e secondo l'indirizzo del Parlamento, ma anche alle indicazioni delle Regioni. E quanto finora ho osservato, è bene dirlo subito, non contraddice, mia qualifica il perseguimento di una politica unitaria di fini e di
obiettivi cui deve tendere lo Stato italiano in
politica comunitaria.
Infatti, in uno Stato pluralista l'unità dei fini e degli obiettivi non deve essere unilateralmente imposta dallo Stato-ente, ma deve risultare dal concorso e dal contributo (se pure in
forma e con valori diversi) di tutti i soggetti, di
tutti gli enti che operano nell'ordinamento ed
in particolare delle Regioni in quanto centri di
partecipazione e di promozione dell'attività
stessa degli organi statali (GIANNINI).
3. L'esigenza ora accennata non sembra così
contraddetta né dalla giurisprudenza della
Corte Costituzionale relativa ai rapporti tra
Stato e Regioni nelle materie internazionali né
da quanto di recente disposto al riguardo
dall'art. 4 del D.P.R. 616 dlel 1977.
Infatti, è ben vero che la Corte Costituzionale ha a più riprese (ad esempio in occasione
delle sentenze n. 32 del 1960, n. 2 1 del 1960,
n. 138 e 142 del 1972 e n. 170 del 1975) affermato che gli enti regionali sono preposti alla
tutela di interessi locali e sono carenti di rappresentatività degli interessi unitari del Paese
con riferimento ai quali è possibile solo agli organi centrali di governo assumere impegni internazionalmente vincolanti (cfr. soprattutto le
sentenze 211168 e 17011975).
Ed è anche vero che l'art. 4, D.P.R.
61611977 ribadisce inequivocabilmente che sono assegnate allo Stato ule funzioni, anche nelle materie trasferite o delegate (alle Regioni),
attinenti ai rapporti internazionali e con la Comunità Economica Europea, che sono addirittura parificate, sotto il profilo del loro esercizio
unitario ed accentrato. a quelle relative alla sicurezza pubblica ed alla difesa nazionale, in tal
modo evidenziando che si tratta necessariamente di funzioni spiccatainente unitarie sia
perché di <indirizzo, sia perché di tutela di interessi chiaramente sopraordinati rispetto agli
stessi ambiti regionali.
Ma è altrettanto vero che gli indirizzi giurispmdenziali e normativi ora accennati hanno
semplicemente ribadito l'impossibilità (già accennata all'inizio di questo lavoro) delle Regioni di espropriare, anche soltanto in parte, la ti-
settembre 1981
tolarità delle competenze, il molo e la relativa
responsabilità degl; organi dello Stato nell'assumere vincoli attraverso gli strumenti giuridici
previsti dal diritto internazionale'e dall'ordinamento comunitario senza, però, escludere che
esse possano incidere, almeno in qualche misura, nella formazione di quelle scelte politiche
da rappresentare unitariamente verso l'esterno.
Si tratta, infatti, molto più semplicemente, secondo uno schema che è stato ben definito (a
proposito dell'esperienza di alcuni sistemi federali) come sistema dello Stato cooperativo (e
cioè della cooperazione tra unità costitutive
dello Stato con particolare riguardo ai rapporti
delle Regioni tra loro e delle Regioni con lo
Stato), di consentire alle Regioni di cooperare,
almeno in qualche misura, con il Governo per
definirne l'atteggiamento nei rapporti internazionali e comunitari attraverso modalità che
devono almeno consistere nell'obbligo di acquisire preventivamente una esatta conoscenza
delle concrete necessità delle singole Regioni
sia attraverso la richiesta di un loro parere preventivo sia attraverso l'impiego dei meccanismi
istituzionali e di fatto, in cui siano rappresentate le istanze regionali.
D'altro canto, l'esattezza di questi ultimi rilievi risulta confermata anche da precise norme
costituzionali. Si pensi, ad esempio, all'art. 52
dello Statuto sardo, il quale, come è noto, codificando una prassi informale di consultazioni
tra Stato e autorità locali che ha dato buona
prova nei sistemi anglosassoni (peraltro, più
vocati all'empirismo dei sistemi continentali),
prevede che «la Regione sia rappresentata
nell'elaborazione di progetti di trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con
Stati terzi in quanto riguardino scambi di specifico interesse della Sardegna~.Né si rilevi al
riguardo che si tratti di un zus singulare che
non può essere generalizzato. Infatti, il principio di uguaglianza tra Regioni (alla stessa stregua di quello della collegialità della loro consultazione) non consente che una Regione (anche se a statuto speciale) sia in una posizione
privilegiata rispetto alle altre nella cooperazione con lo Stato nell'esercizio del «potere esternou. D'altro canto, come vi sono obblighi
espressi solamente in alcuni statuti, e non previsti direttamente dalla Costituzione o da altri
statuti (come, ad esempio, il limite del rispetto
degli obblighi internazionali), che si estendono automaticamente a tutte le Regioni; così vi
sono diritti che operano immediatamente a favore di tutte le Regioni anche se previsti soltanto negli Statuti di alcune.
Tanto che la riconosciuta applicabilità della
regola ora ricordata dello Statuto sardo è stata
estesa anche alle altre Regioni proprio in virtù
del rilievo che la prassi della loro preventiva
consultazione da parte del Governo nella conclusione ed elaborazione di impegni internazionali (e quindi, a maggior ragione, comunitari) risponde bene al nostro attuale assetto costituzionale e consente di giungere in forma
semplice e piena (non contrastante con i principi fondamentali del nostro ordinamento) ad
importanti risultati pratici. I1 che, tra l'altro,
sembra chiaramente confermato, e non già
contraddetto dal fatto, mai posto in discussione, che lo Stato è e deve essere il punto centrale
di riferimento per ciò che concerne la politica
settembre 1981
comunitaria ed il generale indirizzo programmatico. Infatti, se lo Stato-ente deve intendersi
come centro degli interessi nazionali per le politiche comunitarie, è evidente che esso potrà
funzionare come tale solamente in quanto ad
esso possano fare effettivo riferimento tutti gli
altri enti che nell'ambito dell'ordinamento interno sono responsabili dei relativi settori sottoposti alla disciplina comunitaria e, quindi, in
modo particolare gli enti regionali. Tanto più
che l'autonomia riconosciuta dalla Costituzione alle Regioni deve quanto meno consentire
loro una capacità di esprimere effettivamente
le esigenze di un gruppo localmente determinato e di avere i mezzi per affrontare e risolvere
i problemi relativi al soddisfacimento di tali
esigenze.
4. Eppure, nonostante gli accennati rilievi,
lo Stato ha rivendicato in termini assoluti la
propria competenza esclusiva anche all'elaborazione, e non solo alla titolarità, delle scelte
relative all'esercizio del potere esterno (ed in
particolare del potere nei confronti degli organi comunitari), non volendo che questa materia (ricompresa negli <affari esterni» o negli aaffari esteri») potesse in qualunque modo risentire della influenza regionale.
Di questa impostazione fanno sicura fede sia
i decreti delegati relativi all'iniziale trasferimento delle funzioni statali alle Regioni a Statuto ordinario sia la successiva sentenza n. 142
della Corte Costituzionale in cui si esclude
espressamente qualunque potere delle Regioni
nella fase di attuazione, e, a maggior ragione
nella fase di elaborazione, degli atti comunitari. Tanto che, in occasione della presentazione
del progetto di legge di attuazione delle direttive comunitarie in materia di agricoltura, il
ministro Natali, nella sua relazione introduttiva (allorché affermava l'impossibilità di riconoscere alle Regioni un qualunque potere di integrazione normativa dei principi contenuti nelle
direttive comunitarie in materia di agricoltura)
rilevava che (una tale situazione doveva ritenersi inconfutabile proprio argomentando dal
fatto che) alle Regioni non era consentito di incidere in alcun modo nella elaborazione delle
politiche comunitarie. Si argomentava, infatti,
che <se non è possibile alle Regioni partecipare
all'elaborazione delle politiche comunitarie,
sarà altrettanto precluso ad esse di realizzarne
I'attuazione~.
A questo preciso atteggiamento, del tutto
negativo di ogni competenza regionale, ed apparentemente preclusivo di ogni sviluppo è seguito un almeno parziale, cambiamento di rotta che, in qualche modo, ha cercato di tenere
conto delle istanze sempre più insistenti a favore delle posizioni e degli interessi delle Regioni. Queste istanze sono state, per la prima volta, accolte favorevolmente nell'ambito dei lavori di una commissione (presieduta dall'allora
ministro delle Regioni on. Toros), la quale, in
sede di elaborazione del progetto di legge sulla
riorganizzazione della pubblica amministrazione e sull'ulteriore trasferimento dei poteri
dello Stato alle Regioni (elaborazione che awe, niva parallelamente alla presentazione innanzi
alle Camere del progetto Natali sulla attuazione delle direttive comunitarie in tema di agricoltura), non ha esitato ad accogliere principi,
COMUNI D'EUROPA
in virtù dei quali un preciso spazio politico deve essere garantito alle Regioni anche con riguardo agli impegni comunitari. Secondo tali
principi, infatti, ora più o meno integralmente
recepiti nel D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977,
le funzioni amministrative e le corrispondenti
attività normative relative all'applicazione dei
regolamenti delle Comunità europee, ed
all'attuazione delle sue direttive <fatte proprie
dallo Stato con legge che indica espressamente
le norme di priincipio» (secondo l'infelice dizione utilizzata nel D.P.R. 616), hanno da intendersi attribuite alle Regioni, anche se viene
riservato al Governo, d n caso di accertata inattività degli organi regionali che comporti inadempimento ag1.i obblighi comunitari,, il potere di sostituirsi alla. Regione inadempiente,
adottando i pro~wedimentinecessari.
11 che dovrebbe necessariamente comportare
il conseguente riconoscimento di forme di partecipazione delle Regioni alla elaborazione della politica nazionale da far valere in sede comunitaria per garantire che le istanze regionalistiche non rimangano inascoltate anche nel momento decisiona.le delle <scelte comunitarie».
Infatti, che un certo parallelismo debba essere
garantito tra funzioni normativa ed amministrativa sul piano interno e (quanto meno, partecipazione) all'elaborazione relativa all'esercizio della corrispondente funzione sul piano
esterno è fuori discussione anche al di là del
ruolo assegnato alle Regioni nell'attuazione
degli impegni comunitari dal D.P.R. 616.
Tanto più se si considera che l'esercizio del
upotere esterno, è talmente condizionante tutta l'attività delle Regioni, che si esige necessariamente come requisito di legittimità dell'azione normativa ed amministrativa regionale la sua conformità con gli impegni internazionali assunti dallo Stato (e tra questi in particolare con gli impegni comunitari). È chiaro,
così, che, escludendo le Regioni da una partecipazione alle scelte relative agli impegni internazionali e comunitari assunti nelle materie ad
esse attribuite ex art. 117 Cost., si verrebbe di
fatto ad espropriarle completamente di interi
settori di materie.
D'altro canto che un sicuro parallelismo
debba essere realizzato tra attività normativa
ed amministrativa, da un lato, e corrispondente attività intern.azionale, dall'altro, è stato affermato, anche se a differente proposito, proprio nell'ambito dello stesso ordinamento comunitario. Infatti, a proposito,della ripartizione di competeaza tra Stati membri e Comunità, già in occasione del caso A.E.T.R. (in
causa 22 170), e più di recente a proposito della
deliberazione 14 novembre 1978 adottata a
sensi dell'art. 103 Trattato C.E.E.A., la Corte
di Giustizia ha chiaramente affermato la necessità di garantire una coerenza tra la competenza relativa ai rapporti internazionali che fanno
capo alla Comunità ed i suoi poteri sul piano
interno. E così, se su una certa materia sussiste
un potere normativo interno che fa capo alle
Comunità europee, alla stessa stregua dovrà essere loro garantita una competenza (concorrente o esclusiva rispetto agli Stati membri) sul
piano dei rapporti internazionali.
I1 che non può non valere (e a maggior ragione) anche con riguardo all'ordinamento italiano, pur 1x1 rispetto delle esigenze unitarie di
XXIII
cui l'art. 5 Cost. è chiara espressione, solo se si
consideri che il nostro sistema costituzionale,
in quanto pluralista, si differenzia e si caratterizza (rispetto ad esempio alla formula dello
statalismo accentratore) in virtù del fatto che
tende proprio a far emergere e contemperare le
volontà politiche locali piuttosto che ad imporre la volontà dello Stato-ente sugli altri enti che
operano nell'ambito del gruppo sociale. E da
ciò l'esigenza di coinvolgere in modo effettivo
le Regioni nel processo di formazione degli
obiettivi e dei vincoli internazionali (ed, in
particolare, comunitari), articolando adeguatamente il loro inserimento nelle relative scelte
governative in occasione delle quali si dovrà, in
ogni caso, riconoscere alle Regioni il ruolo di
enti competenti a raccogliere, interpretare e canalizzare le esigenze ed i bisogni delle comunità territoriali che loro appartengono almeno
con riferimento alle materie loro assegnate
dall'art. 117 Cost.
5. In particolare, per quanto riguarda la determinazione delle forme e dei modi attraverso
i quali le Regioni possono operare nel senso indicato nei paragrafi precedenti a proposito della elaborazione delle scelte del nostro paese da
far valere in sede comunitaria, si potrebbe pensare all'obbligo da parte degli organi statali,
preposti alla rappresentanza delle istanze nazionali, di acquisire preventivamente una esatta conoscenza delle concrete necessità ed aspettative delle Regioni attraverso la richiesta di
un parere non vincolante. Tale soluzione è
senz'altro conforme ad una prassi che si sta, sia
pure stentatamente, affermando e che trova
nel già citato art. 52 dello Statuto sardo, e di
qualche altra Regione a statuto speciale, il più
significativo riscontro normativo. E, forse per
questo motivo, essa ha incontrato un certo favore anche in una parte della dottrina la quale
non ha esitato ad affermare che questa forma
di partecipazione delle Regioni alle decisioni
politiche dello Stato in materia internazionale
(ed in particolare in materia comunitaria) non
solo è coerente, ma risponde perfettamente ai
principi del nostro sistema costituzionale, consentendo di giungere in forma semplice e piana ad importanti risultati.
Peraltro, l'esperienza vissuta dal nostro sistema, anche in settori diversi da quello in esame,
sconsiglia l'adozione del modello partecipativo, ora accennato, che lascia, praticamente,
ogni potere decisionale sulla opportunità, sui
tempi e sul valore della consultazione regionale
a quegli stessi organi statali che dovrebbero essere da tale parere influenzati nelle decisioni
relative alla politica comunitaria. E la stessa attuazione pratica dell'art. 52 dello Statuto sardo
(e delle altre norme di analogo contenuto che
pur prevedono espressamente la preventiva
consultazione e la partecipazione regionale a
proposito della elaborazione delle decisioni di
politica internazionale rilevanti per gli interessi
regionali) rende evidente l'inefficacia di strumenti di questo tipo. È evidente, infatti, che la
prassi delle consultazioni unilaterali e per settori si presta a manovre strumentali (e, comunque, non dà alcuna garanzia di continuità e sistematività) oltre a non permettere l'uguaglianza di trattamento delle varie Regioni e la
collegialità dell'esercizio di tali loro funzioni
XXIV
nei riguardi del Governo. I1 che, invece, come
già accennato nei paragrafi precedenti (spec.
par. 3), è requisito indefettibile della corretta
partecipazione regionale alle determinazioni
governative rilevanti nelle relazioni internazionali.
Più valida appare, pertanto, la ricerca di una
soluzione del problema in esame attraverso la
formazione di organi consultivi e deliberativi
cui partecipino le rappresentanze di tutte le
Regioni e gli stessi organi governativi volta a
volta interessati alle scelte di politica comunitaria in discussione.
Infatti, a favore di questa soluzione si era già
espressa la Commisione parlamentare per le
questioni regionali che ritenne, all'unanimità,
ache, con separati provvedimenti, occorresse
assicurare alle Regioni, i cui poteri nelle materie di loro competenza vengono limitati dalle
decisioni comunitarie.. . la possibilità di partecipare ad organismi consultivi in cui si formi la
volontà politica che deve essere espressa dal
Governo in rappresentanza di tutti gli interessi
nazionaliv. D'altronde, questo modo di realizzare la partecipazione regionale al funzionamento di organi centrali dello Stato non solo
appare coerente a modelli costituzionali adottati in altri ordinamenti piire partecipi dell'esperienza comunitaria, ma non è neppure
una novità assoluta per il nostro ordinamento.
Basti pensare, infatti, per un verso, alla esperienza vissuta di recente dall'ordinamento della Germania Federale e per altro verso a quanto
prevede l'art. 9 della L. 27 febbraio 1967 n. 48
(il quale dispone l'istituzione di una commissione interregionale per la discussione del programma economico nazionale) oppure alla disciplina dell'art. 28 L. 12 febbraio 1968 n. 132
(in cui si regola la composizione ed il funzionamento del Comitato nazionale per la programmazione ospedaliera cui partecipano, come è
noto, tutti gli assessori regionali della sanità).
COMUNI D'EUROPA
attuazione degli atti normativi CEE (e degli accordi conclusi sotto I'egida comunitaria) in materia di rilevanza regionale oltreché la elaborazione delle direttive relative al funzionamento
dei fondi comunitari di interesse regionale: e
cioè, il fondo sociale europeo, il fondo regionale ed il Feoga. Ed infine, con una clausola residuale, si assegna alla competenza di tale Commissione ogni altra questione di politica comunitaria che possa avere una qualche incidenza
sulle materie di spettanza regionale.
La proposta di legge di iniziativa regionale
ora accennata è molto articolata e non è il caso
di entrare nel suo esame in t ~ ~ ti tdettagli.
i
Mi
sembra. però, importante mettere ancora in rilievo che questa Commissione (nella quale, insieme ai presidenti delle Regioni devono partecipare, oltre al Presidente del Consiglio, anche
i minisri degli Esteri e delle Regioni oltre a
quelli volta a volta interessati ratione matenae
agli argomenti in discussione) può adottare solamente dei pareri in ogni czjo non vincolanti
per il Governo. Infatti, anche nel caso in cui la
Commissione si esprima con la maggioranza
dei due terzi contro la linea governativa, al Governo rimane sempre la possibilità di non seguire le linee direttive emerse in Commissione
sia pure previo voto favorevolt: del Parlamento:
in tal modo garantendo un corretto equilibrio
istituzionale nei deiicati rapporti tra aautonomia politicau delle Regioni, attribuzioni governative e funzioni parlamentari. Né si dica che,
vincolando in alcuni casi il Governo ad un determinato comportamento negli organi comunitari, se ne riduce l'efficacia dell'azione negli
inevitabili negoziati che in tali sedi si instaurano. Infatti è evidente che il parere vincolante
della Commissione e10 I'everituale determinazione parlamentare opereranno certamente con
effetti non diversi da quelli assegnati alle adirettive parlamentariv anche esse, come è noto,
a contenuto vincolante per il Governo.
Così, alla stessa stregua di quanto si verifica
6. Non stupisce, pertanto, che, sulla scorta per tali adirettiveu, i pareri della Commissione
delle sollecitazioni e delle esperienze di cui ai (anche se adottati a maggioranza qualificata)
paragrafi precedenti (ed in difetto di una sede non vincolano in modo assoluto ed inderogabiistituzionale di incontro tra le Regioni e lo Sta- le il Governo. Quest'ultimo, infatti, essendo
to prevista direttamente nel Titolo V della Co- organo dotato di propria responsabilità costitustituzione), alcune Regioni si sianc fatte pro- zionale nel determinare ed interpretare la sua
motrici (ex art. 121 Cost.) di una proposta di politica, allorché motivi validi (eventualmente
legge statale attraverso la quale razionalizzare sopravvenuti e neppure presi in considerazione
(istituzionalizzandoli) in un organismo di dalla Commissione interregionale) lo inducano
collaborazione-consuItazionei rapporti tra Go- a perseguire in altro modo l'interesse pubblico,
verno e Regioni. In tale proposta (patrocinata potrà farlo dandone poi conto al Parlamento
(suo organo istituzionale di controllo) il quale
anche dall'Associazione italiana dei Comuni
d'Europa) si prevede, in buona sostanza, la potrà utilizzare proprio in tale sede le asanzioni
creazione di una commissione interregionale politicheu di cui dispone, ivi compresa la «sfida instaurarsi presso la presidenza del Consi- ducia.
glio dei ministri, nell'ambito della quale doLo spirito, le scelte politiche ed il contenuto
vrebbero essere dibattute e decise tutte le que- del disegno di legge di iniziativa regionale ora
stioni di interesse regionale di rilevanza comu- descritto sono stati condivisi ed accolti integralnitaria, sia perché poste all'ordine del giorno mente nelle proposte cui è giunta la c.d. Commissione Giannini (cioè la commissione cui è
dei vari organi comunitari (e soprattutto del
Consiglio dei ministri) sia perché relative al- stato a suo tempo affidato il compito di elabol'attuazione nazionale di politiche comunita- rare la normativa di attuazione della legge 22
rie. In pratica cioè si vuole assegnare a questa luglio 1975, n. 382 sulla riorganizzazione della
commissione sia la determinazione delle linee pubblica amministrazione) che ne ha affinato
di condotta che il Governo dovrebbe adottare
alcuni aspetti tecnici, proponendo, da un lato,
nell'ambito del Consiglio dei ministri della l'integrazione della istituenda commissione
consultiva interregionale cori la presenza del
CEE, allorché è posto all'ordine del giorno un
argomento di competenza regionale ex art. 117 Ministro del Bilancio e della programmazione
Cost. sia l'esame dei disegni di legge statale in economica e del Presidente della commissione
settembre 1981
parlamentare per le questioni regionali e
dall'altro l'estensione della sua competenza ad
ogni questione di politica comunitaria che abbia incidenza sulle materie attribuite alle Regioni. Tanto che da più parti (BASSANINI) si
è addirittura immaginato di estendere ulteriormente i compiti della Commissione costituita
presso la Presidenza del Consiglio anche al di là
dei problemi di elaborazione ed attuazione
delie politiche comunitarie al fine di farne uno
strumento di raccordo e di consultazione permanente per tutte le questioni relative ai rapporti tra Governo e Regioni; in tal modo superando le critiche mosse da parte di quelli (ad
esempio CARETTI) che si dicono preoccupati
del proliferare di sedi in cui la partecipazione
regionale trova espressione e del conseguente
svuotamento sostanziale della partecipazione
regionale diluita e stemperata in crescenti ed
incontrollati canali di raccordo tra Regioni ed
organi centrali. Così è lecito sperare che, al più
presto, sia attraverso una legge di iniziativa
parlamentare o governativa sia attraverso la approvazione del testo (eventualmente emendato
nel senso da ultimo ricordato) della proposta di
legge di iniziativa regionale innanzi accennata,
si possa veder assegnato alle Regioni un minimo di spazio politico anche nella elaborazione
delle politiche nazionali da far calare in sede
comunitaria in mancanza del quale, come già
accennato, la loro autonomia sarebbe gravemente compromessa.
D'altro canto, in senso contrario all'approvazione della disciplina ora ricordata non sembrano ostare le critiche ntecniche)) e «di fondo))
che sono state di recente sollevate. Per quanto
riguarda le prime, appare di poco pregio il rilievo per cui ala previsione di un parere della
Commissione sui disegni di legge statale di attuazione degli atti comunitari sembrerebbe da
intendersi come una adesione alla tesi che vuole riservata allo Stato la competenza a dare esecuzione in via legislativa agli atti suddetti o
quanto meno una adesione alla tesi che intende subordinare in ogni caso l'intervento in materia del legislatore regionale al previo recepimento dei medesimi con legge dello Statou
(CARETTi). Infatti, è evidente che la dizione
del testo tende semplicemente a garantire la
partecipazione regionale alla elaborazione normativa di quelle leggi statali (sicuramente ammissibili) che, da un lato, adeguano il nostro
ordinamento ad atti comunitari la cui efficacia
interna è condizionata ad un aordine di esecuzione~o ad una alegge di esecuzione)),oppure
dall'altro, integrano, almeno con riguardo alle
Regioni a Statuto ordinario ai principi))previsti
in Regolamenti, direttive e decisioni comunitarie in funzione di esigenze di cui lo Stato, a vario titolo, è portatore esclusivo. I1 che certamente non pregiudica la soluzione del più
complesso problema della diretta attuazione
ed integrazione normativa da parte delle Regioni degli atti comunitari tipici ed atipici relativi a materia di loro competenza, come bene
conferma l'incerta dizione dell'art. 6 del
D.P.R. 616 e la recente sentenza della Corte
Costituzionale n. 86 11979.
Per quanto riguarda le critiche «di fondo)),è
stato soprattutto rile~atoche la soluzione della
Commissione innanzi ricordata attribuisce all'Esecutivo il molo di interlocutore diretto e
settembre 1981
privilegiato delle autonomie. I1 che rafforzerebbe indebitamente l'asse Governo-Regioni,
accentuando I'emarginazione del Parlamento
proprio in un settore dove questa è da sempre
più marcata. In realtà, il raccordo RegioniGoverno appare il canale costituzionalmente
più corretto per fare presenti le istanze regionali nella elaborazione delle politiche comunitarie non solo perchè il titolare del «potere estero» è appunto il Governo, se pur sotto il controllo e nell'ambito dell'indirizzo del Parlamento, ma anche perché è a quest'ultimo che
fanno capo le esigenze unitarie del nostro ordinamento proprio nei confronti delle Regioni,
solo se si ha presente che ad esso si riconducono
le funzioni fondamentali di controllo dell'attività regionale.
L'accennato modello organizzativo dei rapporti Regioni-Governo, è ben vero, non lascia
spazio ad un diretto raccordo tra Parlamento e
Regioni. Al riguardo, infatti, come già accennato, è previsto l'intervento del Parlamento solamente nel caso in cui il Governo intenda disattendere il parere della Commissione interregionale, allorché esso è vincolante perche adottato con la maggioranza qualificata dei due terzi. Né sembra possibile immaginare che possano essere proprio le Regioni, nella faticosa ricerca di un loro spazio politico nella elaborazione delle scelte governative in materia internazionale e comunitaria, a rivitalizzare il Parlamento nella sua funzione di controllo e direzione della <politica estera». Non si può infatti
immaginare, per evidenti motivi di corretto
esercizio dei poteri costituzionali dello Stato,
una partecipazione di rappresentanti parlamentari alla descritta Commissione interregionale da instaurarsi presso la Presidenza del
Consiglio.
Al riguardo, se mai, il raccordo tra Parlamento e Regioni nelle questioni comunitarie,
così come in molte altre materie, può essere
utilmente realizzato solamente attraverso la
presenza di rappresentanze regionali presso il
Parlamento. Ed in proposito piuttosto che attraverso la partecipazione di delegati regionali
alle Commissioni di cui all'art. 126 del Regolamento della Camera e all'art. 142 del Senato,
oppure attraverso la facoltà di concedersi ad
ogni Regione di proporre una terna di nomi
dei componenti di una commissione interparlamentare tra i quali le Camere possono operare la scelta in modo da garantire che nella commissione sieda almeno un senatore, o un deputato, eletto in ciascuna Regione, appare possibile realizzare il raccordo tra Regioni e Parlamento attraverso rappresentanze regionali
presso il Parlamento la cui attività potrebbe razionalizzarsi in organismi di consultazione
continuativa e stabile che, anche per altre materie di interesse regionale, potrebbero essere
abilitati a rilevare le implicazioni istituzionali
delle leggi statali (e10 di qualsiasi iniziativa
parlamentare) fin dalla fase della loro presentazione innanzi alle Commissioni parlamentari
oltreché a far emergere le esigenze di interventi
parlamentari.
7. Non meno tormentata e complessa della
problematica ora esaminata è quella relativa alle relazioni delle Regioni con gli organi comu-
COMUNI D'EUROPA
nitari e con altri enti e10 organi degli Stati
membri della CEE a proposito delle materie di
cui all'art. 117 Cost. in funzione di evidenziare
i propri interessi e di coordinare i rispettivi spazi di autonomia.
xxv
cui garantiscono maggiore efficicenza, incisività ed informazione.
Invero, sin dai primi anni di concreto funzionamento delle Regioni a statuto ordinario,
da più parti si è posto in rilievo che l'attività
internazionale - ivi compresa quella comuniIn realtà, tali relazioni furono, almeno in un
taria - copre anche un'area non sempre idenprimo momento, considerate come necessariatificabile con le relazioni interstatali (e pertanmente implicanti l'esercizio del «potere estero»
to relativa a settori non necessariamente ricondello Stato e, pertanto, in ogni caso idonee di
ducibili a soggetti primari dell'ordinamento
per sé ad instaurare rapporti giuridici internainternazionale) in cui un certo spazio doveva
zionali ed a far sorgere una responsabilità a canecessariamente riconoscersi all'autonomia rerico dello Stato che, quanto meno, non poteva
gionale.
non operarne uno stretto controllo. Così le attiTali argomenti, peraltro, sono stati espressavità ora accennate si sono inizialmente svolte
mente contestati con circolari ministeriali assai
solo di fatto (clandestinamente) oppure in una
restrittive, anche se era evidente che dzlle attimisura assai limitata, previa autorizzazione govità ora ricordate non sorgevano né responsabivernativa, accordata, volta a volta, in funzione
lità internazionali dello Stato né vincoli giuridelle esigenze del caso. Tanto che nella già cidici particolari in qualche modo rilevanti per
tata circolare del 1. aprile 1978 si rilevava che,
l'ordinamento internazionale.
nei casi in cui sussista <un particolare interesse
E tale tendenza sembrava trovare conferma
delle Regioni a seguire talune pratiche, a formulare proposte e in genere ad essere tenute al in alcune importanti sentenze della Corte Cocorrente dei lavori degli organi comunitari per stituzionale estre2mamenteriduttive dei poteri
quanto attiene ai settori attribuiti alla loro delle Regioni nell'esercizio, anche all'interno
competenza, le eventuali informazioni e gli dell'ordinamento italiano, di attività di rileeventuali contatti che le Regioni dovessero as- vanza internazionale per le quali si ribadiva la
sumere a tal fine potranno essere realizzati per esclusiva competenza statale.
Solo all'inizio del 1976 si è notata una certa
il tramite dei Ministeri competenti e del Ministero degli Affari esteri che presteranno tutta la inversione di tendenza. Da un lato, in un coloro collaborazione~.E più di recente nel ricor- municato stampa relativo ad un incontro tra il
dato Decreto del Presidente del Consiglio 11 sottosegretario aeli esteri ed il Presidente della
marzo 1980 si stabilisce (art. 4), addirittura, Regione Lombardia Golfari in cui si sottolineache d contatti con gli organismi della CEE che va, a proposito dell'importanza- adi allargare il
siano resi necessari dalla trattazione di questio- respiro dei rapporti di amicizia tra Regioni e
ni attinenti alle materie di competenza regio- Regioni di paesi diversi, l'esigenza che, seconnale sono svolti - stante la riserva di cui do quanto previsto dalla Costituzione, vengaall'art. 4 del citato decreto n. 616 - dalle Re- no fissate norme e procedure rivolte a contemgioni per il tramite dei Ministeri di volta in vol- perare la giusta ed autonoma iniziativa delle
ta interessati i quali si awalgono, per il coordi- Regioni e la primaria ed irrinunciabile competenza dello Stato nel campo della politica estenamento, del Miriistero degli affari esteri.
ra e degli accordi internazionali,. Dall'altro, in
In tal modo, così, pare che il Governo miri
un documento proveniente dalla Direzione
ad escludere in modo tassativo I'istituzionalizGenerale degli Affari Politici del Ministero dezazione di talune procedure recentemente progli Esteri in cui si riconosceva ufficialmente la
poste, ed attuate, attraverso le quali le Regioni
legittimità dei contatti delle Regioni con gli orvengono a porsi come veri e propri interlocutogani comunitari (soprattutto con riguardo alla
ri diretti delle Comunità sia individualmente
elaborazione ed adozione di atti relativi alla
sia attraverso Comitati di coordinamento per la
politica agricola e regionale) oltreché l'esistentrattazione delle questioni che le riguardano.
za di attività a respiro internazionale non neSi teme, infatti, che la creazione di una stmtcessariamente inquadrabili nelle <relazioni intura regionale parallela a quella dello Stato
ternazionali~e come tali non necessariamente
unitario possa far sì che problemi nazionali
acquisibili alla competenza esclusiva dello Stapossano essere rappresentati da diversi organito.
smi sotto diverse prospettive. Tali Comitati, in
In realtà l'atteggiamento intransigente evirealtà, tendono ad omogeneizzare e rappresendenziato dal Ministero degli Esteri nelle precetare unitariamente la volontà delle Regioni, di
denti circolari era almeno in parte giustificato
cui pertanto non si può non tenere conto polidall'esigenza di garantire allo Stato un controlticamente, che spesso tende a collocarsi in una
lo diretto su azioni potenzialmente idonee a
posizione antagonista rispetto agli indirizzi
creare responsabilità internazionale e10 a turunitari rappresent:ati dal Governo in sede comunitaria con evidente effetto negativo sulla bare o pregiudicare precise scelte di politica incredibilità di tali indirizzi e sulla loro efficacia ternazionale che alcune Regioni hanno assunto
in occasione dei primi anni di loro attività.
nei riguardi degli organi comunitari e degli alNon stupisce così il fatto che l'accennato
tri partners comunitari.
mutamento da parte del Ministero degli Esteri
Ma. se l'atteggiamento ora accennato da sia intervenuto dopo che a più riprese la Corte
parte della Presidenza del Consiglio dei mini- Costituzionale (cfr. soprattutto le sentenze n.
stri appare giustificato, allorché la presenza re- 170175 e 203 / 74) e le stesse Regioni, sia pure
gionale in sede comunitaria può, almeno po- in modo non suff~cientementeapprofondito,
tenzialmente, confliggere con gli interessi sta- hanno ribadito chiaramente quanto il buon
tali, non si legittima in alcun modo se viene senso, prima che precise norme giuridiche, neesteso a tutte le altre attività delle Regioni che cessariamente impone: e cioè, come già accensi pongono come solidali con l'attività statale nato all'inizio, che in ogni caso devono essere
XXVI
riservate agli organi centrali dello Stato le funzioni relative alle relazioni internazionali con
conseguente esclusione della legittimità dell'azione di organi regionali da cui possano scaturire mutamenti nella situazione giuridica
soggettiva, attiva e passiva, dello Stato quale
membro della Comunità internazionale (così,
esattamente, MALINTOPPI).
Di tale mutamento (anche se a volte contraddetto da posizioni ufficiali che ancora risentono della originaria impostazione preclusiva di qualsiasi competenza regionale) si hanno
chiari sintomi anche nella giurisprudenza del
Consiglio di Stato. Una decisione particolarmente importante (n. 6761 1977) riguarda il riconoscimento della legittimità della spesa di
una delegazione del Consiglio regionale lombardo in URSS (per trarne esperienza nella fase
relativa alla strutturazione degli uffici regionali), nonostante che tale spesa fosse stata adottata in contrasto con le circolari ministeriali a
contenuto restrittivo della attività regionale in
virtù delle quali d prowedimenti che comportano spese derivanti da iniziative. .. in campo
internazionale possono essere legittimi.. . soltanto se le iniziative.. . risultino preventivamente concordate con le competenti autorità
centrali*. In proposito, infatti, il Consiglio di
Stato non ha esitato ad osservare che «una circolare ministeriale non può introdurre cause di
illegittimità non previste dalla legge ed in particolare non può prescrivere preventivi nullaosta per prowedimenti rietranti nella piena disponibilità degli organi regionali*, quali appunto dovevano ritenersi quelli dedotti in giudizio o in quanto inidonei ad instaurare uformali rapporti con Stati esteri od organismi internazionali~.E nello stesso senso, d'altro canto, è stata interpretata anche la sentenza
17011975 della Corte costituzionale dal cui
contenuto si può rilevare che non sono precluse
alle Regioni attività e contatti a livello internazionale, purché non rivolti a stabilire rapporti
rilevanti per l'ordinamento internazionale o a
condizionare la politica estera del Paese, essendo solo tali attività idonee a creare una vera e
propria invasione dei poteri dello Stato da parte delle Regioni come tale giurisdizionalmente
tutelabile (così, CONDORELLI e MORVIDUCCI). Nella direzione ora indicata, e nei limiti accennati, devono essere collocate anche le
iniziative di quest'ultimo quinquennio in cui,
tra l'altro, si è addivenuti alla istituzionalizzazione di un Comitato consultivo delle Regioni
presso le Comunità (decisa dal Consiglio dei
Comuni d'Europa nel giugno 1977) di un Comitato di coordinamento interregionale incaricato di approfondire i problemi (e di avanzare
proposte nelle sedi competenti tramite gli opportuni strumenti di iniziativa) ed i rapporti
tra assemblee regionali, parlamentari nazionali
e comunitari oltreché di alcuni uffici incaricati,
nell'ambito delle varie Regioni di esaminare
l'attività regionale sotto il profilo (informando
e tenendosi informati) degli aspetti comunitari
che esse necessariamente coinvolgono.
COMUNI D'EUROPA
ziative statali o locali non sia opportuno. Ed in
realtà già nella citata decisione del Consiglio di
Stato si evidenzia la possibilità e l'opportunità
di interventi da parte della Presidenza del Consiglio rivolti ad «impartire direttive perché
eventuali iniziative delle Regioni all'estero formino oggetto di intese preventive anche al fine
del coordinamento con altre iniziative, statali o
locali, o comunque per facilitarne I'espletamento a mezzo delle nostre rappresentanze diplomatiche*, anche se al riguardo ci si preoccupa di avvertire che, in ogni caso, tali direttive si
possono aaffidare, quanto all'adempimento,
soltanto sulla correttezza delle Autorità regionali, senza avere cioè efficacia coercitiva~.
L'accennata esigenza di coordinamento è addirittura recepita a livello normativo nell'art. 4
del D.P.R. 6161 1977, ove si stabilisce espressamente che «le regioni non possono svolgere
all'estero attività promozionali relative alle
materie di loro competenza :;e non previa intesa con il Governo e nell'ambito degli indirizzi
e degli atti di coordinamento* di competenza
del Governo. E tale esigenza è, poi, ulteriormente sviluppata in vari prowedimenti di cui
vale la pena di ricordare il già citato Decreto
del Presidente del Consiglio dell'ii marzo
1980 in cui, da un lato, si precisa (art. la) che
per lo svolgimento di attività promozionale si
deve provvedere alle relative comunicazioni alla Presidenza del Consiglio sin dal mese di settembre con riferimento all'anno seguente e,
dall'altro, si ribadisce (art. lb) che nessuna iniziativa può essere attuata senza che il Governo
abbia espresso la necessaria intesa. E d'altro
canto, proprio in funzione di garantire tale
coordinamento, è stato di recente istituito
presso il Ministero degli Esteri un ufficio ad
hoc con il compito di uassicurare il collegamento fra il Ministero degli Affa.ri Esteri da un lato
e le Regioni nonché gli organi competenti del
Governo centrale, dall'altro, ai fini dell'assistenza e del coordinamento delle attività che le
autorità regionali irrtendoncs svolgere nei confronti di similari organismi stranieri*. I1 che appare già di per sé un importante risultato. In
tale ambito, infatti, non solamente potrà realizzarsi quel coordinamento1 tra Regioni ed organi statali nel settore della promozione commerciale (intesa nel significato più ampio: e
cioè anche nel senso, da un lato, di incoraggiare e far funzionare i consorzi, i centri di commercio estero a livello regionale e le associazioni tra imprenditori e, dall'altro, di fornire gli
elementi orientativi e di sviluppo della domanda estera in collaborazione con l'I.C.E. ed il
Ministero del Commercio Estero), ma anche in
altri settori (come, ad esempio, l'emigrazione)
che, pur riservati alla competenza esciusiva dello Stato, coinvolgono in modo particolarmente
accentuato gli interessi regionali. Di tali aspetti, tra l'altro, si dà carico il già citato Decreto
del Presidente del Consiglio che fornisce utili
indirizzi integrativi per le attività promozionali
sia nei settori dell'artigianato, dell'agricoltura,
delle fiere e dei mercati sia nel settore del turismo e dell'industria alberghiera, tenendo con8. Peraltro, è bene dirlo subito, gli accennati to, e cercando di ottimizzare (ma in una visioprincipi che riconoscono la legittimità di alcu- ne statocentrica), le strutture organizzative atne iniziative regionali a respiro internazionale tualmente esistenti quali, ad esempio
e comunitario non vogliono certamente signifi- l'E.N.I.T.
In conclusione, quindi, le funzioni che atcare che un loro coordinamento con altre ini-
settembre 1981
tengono ai rapporti internazionali e con la Comunità europea spettano allo Stato, essendo
così precluso alle Regioni l'esercizio diretto di
attività che provocano mutamenti nella situazione giuridica del nostro Paese quale membro
della Comunità internazionale ed in particolare delle Comunità europee. Per converso, alle
Regioni spettano tutte le iniziative relative a
quell'area di attività relativa alle materie di loro competenza ex art. 117 e 118 Cost. che non
sia identificabile con le vere e proprie relazioni
internazionali e10 con I'instaurazione di veri e
propri rapporti formali con Stati esteri od oganismi internazionali. I1 che sicuramente comprende le visite informative, I'attività promozionale relativamente ai settori turistici ed economici delle Regioni oltreché le indagini preliminari presso enti stranieri e10 organi comunitari rispetto ai quali le singole Regioni desiderano previamente coordinare le proprie scelte.
9. Nella prospettiva ora accennata è opportuno precisare, contrariamente a quanto è stato
affermato in dottrina da parte di alcuni autori
(ad esempio, ROMAGNOLI), che il diritto comunitario non sembra escludere in alcun modo
dal suo ambito di operatività la presenza delle
Regioni,' pur assegnando ad esse un ruolo secondario, e necessuiamente subordinato, rispetto ai urappresentanti degli Stati membri*.
In realtà è ben vero che i Trattati di Roma
non menzionano tra i soggetti interessati alla
elaborazione ed attuazione del diritto comunitario le Regioni. Ed è altrettanto vero che gli
stessi criteri di funzionamento degli organi comunitari molte volte escludono di per sé che le
istanze relative a determinati interessi territoriali possano essere rappresentati diversamente
che dagli organi centrali dello Stato.
Ma ciò non esclude che si possano instaurare
rapporti diretti fra Regioni e Comunità europea almeno nel senso che sia data la possibilità
alle Regioni di colloquiare direttamente con gli
organi comunitari, prospettando le esigenze ed
i bisogni di cui esse sono portatrici e fornendo
dati ed informazioni sulle rispettive situazioni
socio-economiche.
In questa direzione si è mosso l'ordinamento
comunitario sin dall'istituzione delle Regioni a
statuto ordinario. Tanto che autorevoli esponenti della Commissione (SCARASCIA - MUGNOZZA) non hanno esitato ad ammettere in
più occasioni che unon passa giorno che dagli
uffici della Comunità non passino Presidenti di
Regioni, Assessori, funzionari che vengono per
rendersi conto, per chiarire e per far sapere.. .
oltreché per informarsi*.
Non solo, ma l'importanza delle consultazioni delle autorità regionali, è stata recepita a
livello comunitario anche in funzione di garanzia di efficacia e democraticità dell'azione
CEE, utilizzando le capacità delle Regioni di
esprimere immediatezza di bisogno ed il grado
effettivo di sviluppo delle realtà locali dell'area
comunitaria cui ricade, in misura sempre crescente soprattutto dopo l'entrata in vigore del
D.P.R. 616, il compito di attuare concretamente le scelte contenute negli atti comunitari. Infatti, in un sistema che evolve nel senso di
ordinamento aperto ai apopoli~(come dimostra la recente elezione a suffragio universale e
diretto del Parlamento europeo) e, pertanto,
settembre 1981
.
contrapposto ad assetti istituzionali che privilegiano soltanto la posizione dei Governi (come
invece si continua a verificare a proposito
dell'ordinamento internazionale), appare evidente quanto proficuo possa essere I'inserimento delle autorità regionali nel funzionamento degli organismi comunitari se pur nei limiti già chiaramente tracciati dai Trattati istitutivi delle Comunità europee. Tanto che la
consultazione istituzionalizzata e preventiva
delle autorità regionali nelle materie di loro
competenza è stata ripresa in alcuni atti comunitari con grande enfasi. Si pensi, ad esempio,
che sin dal 1969 a proposito dell'organizzazione dei mezzi di azione della Comunità in materia di sviluppo regionale non si esitava a proporre una vera e propria consultazione a favore delle autorità regionali e delle associazioni
regionali a carattere sovranazionale* assegnando alla Commissione ala facoltà di promuovere
e sostenere i collegamenti tra enti regionali a livello comunitario nelle forme che riterrà appropriate,. Ed ancora è appena il caso di ricordare, con riguardo alla elaborazione della politica regionale della Comunità, che la Commissione ed il Parlamento europeo (cfr. da ultimo,
le risoluzioni del 16 dicembre 1976 e 21 aprile
1977 oltreché il documento sui muovi orientamenti, in materia di politica regionale comunitaria) hanno sempre evidenziato l'esigenza di
<raccoglieredirettamente le opinioni degli ambienti regionali interessati* e «di rendere obbligatoria la consultazione dei rappresentanti
competenti delle Regioni nei casi in cui un programma comunitario di sviluppo le riguardi*.
Tanto che, proprio relativamente alla politica
regionale, già nella decisione del Consiglio 18
marzo 1975 (n. 185175). istitutiva del Comitato di politica regionale, si è ritenuto di non poter fare a meno di permettere a tale Comitato
di espletare i suoi compiti «raccogliendole opi-
COMUNI D'EUROPA
nioni degli ambienti regionali», se pur dopo
avere ottenuto l'assenso dei membri designati
dallo Stato membro (art. 5). È ben vero che
nell'esperienza attuale durànte il primo triennio di funzionamento del Comitato ora ricordato il coinvolgimento diretto delle autorità regionali è stato assai modesto. Ma proprio per
evitare tale effetto, soprattutto allorchè sarà
possibile enucleare almeno in parte una politica regionale ufuori quota*, da più parti si sono
già avanzate proposte (ad esempio, da MARZANO) rivolte a modificare nella composizione (e ad un potenziamento nel molo) del Comitato di politica regionale nel quale dovrebbero essere inclusi in modo stabile rappresentanti delle realtà regionali interessate, scelti a
seconda del tipo di organizzazione regionale
dei vari Stati e attraverso accorpamenti di Regioni. Il che segue la linea di tendenza del sistema comunitario così come espressa a questo
proposito sia nell'ambito delle Conferenze dei
Ministri responsabili dell'assetto del territorio
(ad esempio, a Roma nel 1970 ed a Bari nel
1976) sia nell'ambito della stessa Commissione, allorché si è evidenziata l'esigenza di <una
strategia di sviluppo che integri in tutte le politiche della Comunità la dimensione territoriale
dei problemi da risolvere* al fine di garantire
una concreta verifica del funzionamento effettivamente democratico del sistema comunitario proprio attraverso la sua capacità di collegarsi istituzionaln~entecon gli enti regionali
interessati all'applicazione delle politiche comunitarie.
In breve, allo stato attuale della normativa
comunitaria, la collaborazione delle Regioni
all'attività degli organi della Comunità è consentita attraverso procedure informali oppure
(in casi relativamente eccezionali) in forme non
del tutto rispondenti alle reali esigenze di una
effettiva partecipazione delle Regioni alla crea-
zione di programmi che pure le riguardano direttamente. Peraltro, è sicuramente inesatto affermare che il sistema comunitario, per un verso, esige che gli Stati membri siano gli unici interlocutori della Comunità e, per altro verso,
esclude la possibilità di creare organi nei quali
la presenza delle Regioni, insieme ai rappresentanti dello Stato, possa validamente contribuire alla formazione di programmi comunitari soprattutto nei settori di particolare interesse
regionale. Anzi è proprio vero il contrario. E
cioè il sistema comunitario sta evolvendo verso
forme di partecipazione sempre più diretta degli enti e degli organismi volta a volta interessati ai diversi prowedimenti. Tanto che da parte del Consiglio dei Comuni d'Europa si è addirittura avvertita l'esigenza di creare a livello
europeo un ucomitato Consultivo degli Enti
Regionali e locali dei nove Paesi membri,, il
quale si ponga come interlocutore (ancora di
fatto, ma con auspicabili sviluppi istituzionali)
sia della Commissione sia del Parlamento europeo su tutti i temi di interesse regionale e locale.
Di fronte ad una problematica così complessa vale la pena di concludere come a proposito
dei possibili sviluppi della afunzione costituente, del Parlamento europeo negli assetti istituzionali delle Comunità europee ha di recente
concluso MALINTOPPI: «I1 tempo e gli uomini diranno quale potrà essere il valore concreto
di queste prospettive e determineranno, quindi, il confine fra la realtà e l'illusione. E a
quell'eventuale realtà si volgeranno i giuristi
per definire una nuova dimensione dei rapporti fra sistema comunitario e ordinamenti costituzionali degli Stati membri. Se, invece, I'illusione prevarrà sulla realtà, saranno gli storici a
ricercare le cause di una occasione perduta,.
Genova, ottobre 1980
SOCIETA' ITALIANA
t
PER L'ESERCIZIO TELEFONICO p. a.
CON SEDE IN TORINO
ASSEMBLEA ORDINARIA DEGLI AZIONISTI DEL lo
GIUGNO 1981
DELIBERAZIONI DELL'ASSEMBLEA
In data 1' giugno si 6 tenuta a Torino, in seconda convocazione, l'Assemblea Ordinaria della Societh, sotto la presidenza dell'ing. Ottorino Beltrami.
L'Assemblea ha approvato la relazione del Consiglio di Amministrazione e il bilancio al 31.12.1980, dal quale - dopo I'accantonamento ad ammortamenti di 728 miliardi di lire (636 nel 1979) -risulta la perdita di 538,5 miliardi (che si sarebbe ridotta a 408 miliardi ove fosse stato tempestivamente approvato il noto disegno di legge della riduzione del canone di
concessione dal 4,50°/o allo 0,50%: peraltro, di tale riduzione, anche per quota di competenza del 1980, dovrebbe beneficiare l'esercizio 1981). L'Assemblea ha deliberato di riportare la perdita al successivo esercizio.
Il Presidente ha informato l'Assemblea in merito al complesso di provvedimenti emanati o in corso di emanazione al fine di assicurare il riequilibrio della gestione. In particolare, ha reso noto che - a seguito del conferimento di L. 1.750 miliardi al fondo di dotazione IRI, disposto con D.L. 14.5.1981, n. 209 - l'aumento di capitale sociale da 880 a 1.680 miliardi
potrh avere compiuta esecuzione, non appena ottenute le richieste autorizzazioni; inoltre, ha illustrato i recenti provvedimenti relativi all'adeguamento delle tariffe telefoniche e all'istituzione di una cassa conguaglio nell'ambito del settore.
Successivamente, l'Assemblea ha confermato, per acclamazione, nella qualith di Amministratore il Dott. Michele Principe (gih cooptato dal Consiglio di amministrazione). Infirie, l'Assemblea stessa, ai sensi degli artt. 2 e 19 del D.P.R. 31
marzo 1975, n. 136, ha conferito l'incarico per la revisione e la certificazione dei bilanci sociali alla Price Waterhouse
s.a.s. di Renzo Latini a Co, per il triennio 1982-1983-1984,determinando il relativo corrispettivo.
Il Consiglio di amministrazione, riunitosi dopo l'Assemblea, ha confermato Presidente della Societh I'ing. Ottorino Beltrami e Vice Presidenti il dott. Paolo Benzoni e il prof. ing. Carlo Mussa Ivaldi Vercelli. Amministratori Delegati sono il
dott. Paolo Benzoni e il dott. Giuseppe Casetta.
PRINCIPALI REALIZZAZIONI NEL 1980 (E INCREMENTI RISPETTO AL 1979)
INVESTIMENTI
-
Isl
di cui nel MEUOGIORNO
1.951,4
554,8
845.204
6,g0/o)
(
1.l 84.733
( 6,5%)
(
(
APPARECCHI
ITALIA
+
+
DENSITA' TELEFONICA
(apparecchi x 100 abitanti)
781.833
5,8%)
+
ABBONATI COLLEGATI
al 31 dicembre 1980
APPARECCHI I N SERVIZIO
al 31 dicembre 1980
31 9.41 5
+ 7,l '/o)
22,2
217.838
5,9%)
(
+
3.792.520
( 7,2%)
1. l 56.550
( 7,5%)
1.311.977
( + 6,3%)
( + 10,9%)
3.275 ( + 5,g0/0)
81 3 ( + 5,8%)
3.266 ( + 5,g0/0)
81 l ( + 5,e0/0)
13.016.757
3.508.496
19.277.025
4.801.O42
+
TRAFFICO EXTRAURBANO
(milioni di comunicazioni)
di cui in teleselezione
+
33,7
(
RETE INTERURBANA
(Km circuito)
250.289
7,7%)
+
657.702
settembre 1981
COMUNI D'EUROPA
9
Cronaca delle Istituzioni. europee
L'Ewopa dei direttori': c'è una tema via per la
sicurezza europea?
1. I1 pesante aggravamento della situazione
internazionale negli ultimi mesi e le iniziative
di politica militare degli USA hanno messo in
evidenza, nel dibattito sull'Europa, i temi della politica estera e della sicurezza.
Il abisogno di Europa e le riflessioni sui
atempi e i modi, per il rilancio dell'unione politica hanno toccato recentemente ambienti e
commentatori normalmente restii a prendere
in considerazionepersino in teoria la prospettiva dell'unificazione europea: ci riferiamo fra
gli altri agli interventi di Massimo Salvadori su
a11 Mondo, (aè necessaria l'unità politica
dell'Europa) e di Romano Ledda su aL'Unità~
(soccorre una rifondazione istituzionale della
Comunitb).
L'attivismo delle diplomazie europee e di alcuni ministri degli esteri si è così nuovamente
indirizzato verso il rafforzamento della cooperazione politica, considerato lo strumento privilegiato per rafforzare il ruolo dell'Europa nel
mondo e per far fronte, con risposte comuni, a
problemi comuni della crisi internazionale.
I ministri degli esteri, riuniti in conclave a
Brocket Hall vicino Londra, hanno deciso di
ampliare e approfondire la cooperazione politica europea; la Commissione europea parteciperà anche ad alcune riunioni informali dalle
quali è attualmente esclusa; la cooperazione
politica estenderà la propria competenza ai
problemi della sicurezza, in maniera pragmatica e senza elaborare dottrine; le risoluzioni del
Parlamento europeo richiameranno particolare
attenzione da parte del Consiglio dei ministri.
È evidentemente la via della cooperazione
intergovernativache è stata di nuovo intrapresa
dai governi dei Dieci, né del resto poteva essere
altrimenti essendo tutta la fase di preparazione
delle decisioni di Londra affidata ai direttori
degli Affari politici dei ministeri degli Esteri.
Mettendo da parte le vacuità di cene affermazioni e le decisioni prive di effetto pratico
(che significa arichiamare particolare attenzione sulle risoluzioni del Parlamento europeo,?),
gli orientamenti di Brocket Hall si iscrivono
coerentemente nella strategia tracciata undici
anni fa a Lussemburgo dal rapporto Davignon
sulla cooperazione politica. Questo rapporto
(adottato dai ministri degli esteri il 27 ottobre
1970) poneva le basi di una cooperazione aL di
fuori deL quadro irtituzionaLe comunitatio nel
campo della politica internazionale con
l'obiettivo di armonizzare i punti di vista nazionali, concertare gli atteggiamenti e, se possibile e auspicabile, favorire azioni comuni.
I capi di governo, dopo aver constatato
(9 710 ottobre 1972) l'inizio soddisfacente della
cooperazione politica, decidono di ampliare gli
obiettivi della costruzione europea e di atrasformare entro iL 1980 l'insieme delle relazioni
fra gli stati membri in una Unione europea.
Dopo di allora il progetto dell'unione europea, come è noto, non ha fatto molti progressi
nelle mani dei nostri uomini di governo e delle
di Belliard
amministrazioni iiaziondi e nel 1980 molti si
sentono autorizza.ti a parlare di afiammentazione~della Comimità e non certo di Unione.
I protagonisti d.ella cooperazione politica (i
direttori) e commentatori particolarmente sensibili agli aspetti intergovernativi dell'integrazione europea (citiamo per tutti i documenti
dell'IAI) ricordanto con particolare soddisfazione le decisioni comuni prese a partire dall'inizio degli anni '70.
Ricordiainole:
Rapporto comune sul Medio Oriente
Progetto comune di mandato per la
CSCE (Conferenza sulla sicurezza e la
cooperazione in Europa)
Appello per il cessate il fuoco in Medio
Oriente
Documento sull'identità europea
Apertura del Dialogo euro-arabo
Dichiarazione di Ottawa (i progressi ulteriori verso l'unità che gli stati membri
della Comunità sono determinati a fare
dovranno avere un effetto benefico sul
contributo alla difesa comune)
Dichiarazione comune su Cipro
Dichiarazione su Cipro e sulla CSCE
Aldo Moro firma, a nome dei Nove,
l'Atto finale della CSCE
Mariano Riimor parla per la prima volta
a nome dei Nove alle Nazioni Unite
Dichiarazione sull'Africa australe
Dichiarazione sulla situazione in Africa
Dichiarazione sul Medio Oriente
Dichiarazione sul trattato israeloegiziano
Dichiarazione sull'Afghanistan,
I rapidi mutamenti nella politica americana
fanno sì che la sicurezza europea non è più vista oggi, automaticamente. nello stesso modo
da Washington e dalle capitali europee: la politica americana non coincide più con le esigenze di una politica europea di sicurezza.
Se questo è vero, sembra a noi che la scelta
debba essere fatta fra tre vie, sulle quali già si
vanno formando schieramenti precisi:
a) il rafforzamento intergovernativo della
cooperazione politica, esteso anche ai problemi
della sicurezza. È la posizione assunta dai ministri degli esteri ed accettata dallo stesso Genscher che pure aveva puntato al rilancio dell'Unione politica ed oggi (discorso del 13 agosto, diffuso dalllAmbasciata a Roma della
RFT) accantona le prospettive afederaliste,;
b) il disarmo unilaterale (*) dell'Europa, come deterrente morale verso le grandi potenze.
È la posizione di movimenti pacifisti in tutti i
paesi europei, fatta propria recentemente con
varianti che a noi paiono marginali da alcuni
federalisti italiani e per ora accettata dalla Direzione nazionale del MFE (Milano, 5 settembre 1981);
C) la rifondazione dell'ordine europeo, basata sulla creazione di un governo europeo, di
una politica estera e di difesa comune, in parole semplici sulla costituzione dell'unione politica. È la posizione del Club del Coccodrillo,
fatta propria dal Parlamento europeo il 9 luglio
con il voto che lo ha di fatto trasformato in una
Assemblea costituente. L'iniziativa costituente
è stata fatta propria dall'UEF, dal Movimento
europeo e, su sollecitazione dell'AICCE, dal
CCE .
3. Torneremo nelle prossime cronache su
questi tre punti, sviluppando il tema della difesa europea.
(*) A nostro awiso Bclliard travisa la linea del MFE: del
resto il lettore può giudicare (v. pag. 7 scgg., n.d.r.).
Pensiero e azione
Accanto alle niolte dichiarazioni, sarebbe (continuazione da pac. 7)
opportuno ricordare le profonde divergenze fra
i Nove in molti settori del dialogo Nord-Sud, sabotaggio, di sottoporre al potere democratico
nel drammatico tema della politica militare a europeo la forza di dissuasione nucleare francocominciare dagli euro-missili, i direttori apicco- inglese e di non distruggerla fino a che non
li, (Germania federale e Francia), amedi~(Ger- vengano distrutti gli stocks nucleari americano
mania federale, Francia e Gran Bretagna) e e sovietico. In questo modo, la Comunità euro<grandi> (Germania federale, Francia, Gran pea, priva di forze convenzionali, non potrebBretagna ed Italia).
be né fare una guerra offensiva, né accettare
una
guerra convenzionale, ma risulterebbe
L'impressione che si deve trarre, osservando
praticamente
inattaccabile grazie alla sua disin modo disincantato lo straordinario attivismo
suasione
nucleare
e alla sua dissuasione popoladei nostri rappresentanti diplomatici, è che abre
e
potrebbe
usare
la sua influenza internaziobondano le dichiarazioni comuni ma le azioni
nale
al
fine
ultimo
del disarmo universale e al
che seguono torna.no ad essere nazionali e non
fine
transitorio
dello
scioglimento dei blocchi
coerenti con I'annonizzazione auspicata nelmilitari
e
della
conseguente
riduzione degli arl'ambito della cooperazione politica.
mamenti, anche per destinare le risorse così ri2. Fin qui la storia della cooperazione poli- sparmiate allo sviluppo del terzo mondo.
Per prepararsi ad esercitare questo ruolo,
tica europea, in u.n periodo di relativa distensione internazionale. L'aggravamento della si- l'Europa deve in ogni caso, sin da ora, fare
tuazione in settori delicati come il Mediterra- quanto può per arrestare la corsa attuale verso
neo, il Medio oriente ed i paesi dell'Est ha fat- il riarmo, con il rifiuto degli euromissili e della
to fare un salto di qualità al dibattito sul molo bomba N, e con la lotta per la ripresa del dialodell'Europa ed i problemi della sua sicurezza. go e della distensione.
COMUNI D'EUROPA
Mezzogiorno senza huropa,
di Domenico Sabella
Dall'll al 2 1 settembre, inaugurata dal Presidente del Consiglio e conclusa alla presenza
del Capo dello Stato, la Fiera del Levante ha
presentato la XLV edizione della sua campionaria generale. Oltre i tradizionali settori specializzati dell'Agri-Levante e dell'Edi1Levante, al loro dodicesimo anno, nonché del
Salone per l'Ufficio Moderno (SUM) al terzo
anno, la novità della quarantacinquesima è stata quella di tre nuovi comparti specializzati: i
saloni dell'alimentazione, vini e liquori; della
movimentazione; della meccanica e macchine
utensili. È, se si si vuole, una indicazione allo
stimolo dell'agricoltura specializzata e alla trasformazione e commercializzazionedei relativi
prodotti, affiancati da piccole e medie aziende
industriali, che dovrebbero costituire il tessuto
connettivo dell'autonomo sviluppo del Mezzogiorno.
.
I1 numero dcgli espositori si è mantenuto
elevato: poco meno di novemila, come altrettanto nutrita la presenza ufficiale di paesi esteri, quasi cinquanta da tutti i continenti: dalla
Repubblica ~ i n e s ee dalle Filippine al Brasile,
Messico, Uruguay. Significativa e quasi al completo la presenza dei Paesi dell'area medioorientale: Egitto, Giordania, Libano. Iraq; assenti da qualche anno, dopo una pluridecennale fedele partecipazione, la Siria e l'Iran.
Dei Dieci della Comunità europea erano
rappresentati il Belgio, la Danimarca, la Francia e la Repubblica federale di Germania. Una
decina i paesi africani.
In complesso e nonostante la lunga crisi che
investe tutti i continenti, l'interesse del mondo
per l'area mediterranea e per Bari come polo
primario di incontri e di scambio sembra confermato, anche se le drammatiche incertezze
che gravano sull'orizzonte internazionale, non
potevano non riflettersi, come in un microcosmo, sulla realtà fieristica. L'indice della Borsa
affari, il movimento delle contrattazioni, gli
incontri di delegazioni commerciali e di operatori in genere che eravamo abituati a vedere
elevati e vivaci, quest'anno hanno segnato un
ristagno di perplessità.
Com'è ormai tradizione consolidata da più
decenni, la Campionaria barese ha una sua
funzione specifica conquistata anno dopo anno, a partire dall'immediato dopoguerra, con
le iniziative degli incontri che si svolgono non
solo durante la manifestazione di settembre:
oltre l'aspetto merceologico, essa tende a rappresentare la coscienza critica del Mezzogiorno
e dell'impegno allo sviluppo che vi si persegue,
al punto che non poche delle idee e delle indicazioni emerse nell'ambito fieristico si sono
tradotte in realtà operanti. Altrettanto dicasi
delle contraddizioni, delle strozzature vecchie
e nuove, delle incertezze, dei velleitarismi e,
perchè no? anche delle misere questioni di mero potere che, specie in questi ultimi anni, sono emerse malamente mascherate da verbosità
più o meno paludata da smanie aprogressiste~
o di arifondazione,, come oggi usa dire, ma
che, in fondo, svelano gli schemi preconcetti
della faziosità che non è mai costruttiva.
Emblematico a tale proposito il tema stesso
della tradizionale <Giornata: Le contraddizioni del Mezzogiorno di oggi: unitarietà e diversrficazione di prospettive e di politiche. E così
si è esordito nel segnalare l'incertezza del diritto nella legislazione per il Mezzogiorno che, alleandosi con l'elefantiasi burocratica, non
manca di vanificare gli incentivi e scoraggiare
le iniziative. Come leit motizl degli squilibri ricorreva la similitudine dello sviluppo aa pelle
di ieopardo~;si è insistito sulla telematica e
sull'elettronica, sulla riconvcrsione delle fonti
di energia verso il carbone e. il nucleare; sulla
disoccupazione e sull'eventuale toccasana della
riduzione delle ore settimanali di lavoro;
sull'agricoltura sacrificata, sull'emigrazione e
lo spopolamento dei centri rurali. Non poteva
mancare la perorazione appassionata che ai1
nuovo Stato è lo Stato delle autonomie, e ale
Regioni, piaccia o non piaccia, sono una realtà
attraverso la quale deve passare la politica meridionalisticrw; quindi ala Cassa deve obbedire
alla logica della programmazione concertata fra
Stato e Regioni e deve essere perciò solo una
agenzia di progettazione,. Qualche altro ha
riesumato l'ipotesi della Cassa come abanca
delle Regioni,.
Owiamente c'è da osservare, ed è stato affermato durante il dibattito, che la Cassa è lo
strumento attraverso il quale lo Stato interviene nello sviluppo del Mezzogiorno per una più
efficiente politica degli interventi straordinari.
Farne una <Agenzia, o abanca delle Regioni,
non sarebbe una soluzione riduttiva del dovere
che ha lo Stato nel conseguire l'unificazione
economica del Paese, predisponendo i suoi
complessi interventi straordinari, aggiuntivi?
Non sarebbe più produttivo che i banchieri
facciano i banchieri e la Cassa anziché operare
come sportello fosse invece alleggerita dalle
competenze per la concessione degli incentivi
che si sono sovrapposti alle competenze degli
ingegneri e degli agronomi che non possono
trasformarsi in banchieri? L.a Cassa si è appesantita, gonfiata anche di un'altra competenza
che spetterebbe alle Regioni e pare che le Regioni non siano nelle condizioni di assumerla.
Vogliamo dire della gestione delle cinquantamila opere già completate e delle altre trentottomila in via di completamento, gestione che
attualmente assorbe 1'80% dell'attività della
Cassa.
Alla fine il Ministro per il Mezzogiorno ha
concluso i lavori sottolineando che il governo,
avendo posto il apatto meridionalistico~come
contenuto reale del apatto antinflazione,, dimostra di aver collocato il Mezzogiorno non solo al centro dei problemi, ma delle prospettive
del Paese con l'intento di organizzare la manovra di rientro dell'inflazione intorno ad una
chiara ipotesi di risanamento e sviluppo
dell'economia nazionale. Ha tracciato quindi
un rapido quadro della nuova normativa per il
Mezzogiorno che contempla innanzitutto una
necessaria armonizzazione dei vari ruoli affinché ogni azione possa risultare sinergica alle
altre. Ciò non significa sacrificare la differenziazione tra aree metropolitane, aree interne,
zona terremotata ecc. A proposito di questa
settembre 1981
area, i nuovi istituti e le nuove prassi che si
stanno sperimentando, potranno fornire al legislatore utili indicazioni.
I1 nuovo programma pluriennale straordinario sarà finanziato per dieci anni. I soggetti
dell'intervento saranno, a pari titolo, Stato e
Regioni; le decisioni del CIPE; la proposta del
Ministro per il Mezzogiorno, sentite le Regioni
meridionali. I progetti saranno attuati mediante accordi di programmi tra soggetti pubblici
interessati alla loro realizzazione. È prevista la
costituzione di una Azienda per il riequilibrio
territoriale e per lo sviluppo del Mezzogiorno
al servizio delle Regioni e dello Stato, con compiti esclusivamente di progettazione e di realizzazione, con struttura non burocratica, massima autonomia amministrativa, patrimoniale,
contabile e finanziaria. Alle Regioni spetterà il
passaggio delle opere già realizzate e ora gestite
dalla Cassa e il completamento delle opere in
corso di attuazione, non incluse in progetti
speciali. I Comuni, le Comunità montane e i
Consorzi fra Enti locali ed Enti territoriali potranno affidare, nel quadro degli interventi per
l'attuazione dei progetti interregionali, la progettazione, la gestione e la manutenzione di
opere ed impianti ad imprese specializzate, ricevendo dallo Stato adeguati contributi finanziari a tempo definito.
Gli Enti collegati saranno ristrutturati mediante accorpamento e riordino di partecipazioni verso Enti funzionali all'intervento
straordinario nell'agricoltura, nella promozione industriale e diffusione delle tecnologie e
nel turismo.
Siano consentite alcune osservazioni.
La TBC dell'inflazione per incidens è stata
qualche volta evocata; ma sia perché non era
quella la sede adatta, sia perché la si voleva forse esorcizzare, ha fatto la parte dell'attore dietro le quinte al quale tacitamente era stato imposto di non apparire alla ribalta, altrimenti
avrebbe dominato tutta la scena. Infatti è il
problema che condiziona tutti gli altri. E c'è da
chiedersi se il Mezzogiorno non vada incontro,
nonostante tutte le lance che si spezzano (verbalmente) in suo favore, ad un castello in aria.
È vero che il Governo, riducendo la spesa pubblica e tentando un'azione sui prezzi al consumo dei generi di prima necessità, vorrebbe dare inizio al programma di ridurre i tentacoli
della piovra al 16% . Ma rimane una pia intenzione perchè, a parte il fatto che non pochi generi sono stati aumentati già al 4 settembre,
occorre agire anche sui costi alla produzione e
snellire i viziosi circuiti della commercializzazione. La riduzione del deficit pubblico, agendo sulla spesa sociale e sanitaria e sul contributo agli Enti locali, non è affatto sufficiente
perchè bisogna abolire il finanziamento a fondo perduto (cioè con i soldi del contribuente)
alle imprese pubbliche e riordinarle in modo
che abbiano una gestione economica e non come succursali di sottogoverno dei partiti. Occorre riformare parzialmente la scala mobile, la
cui dinamica salariale è in anticipo sull'incremento della produttività. Con ciò non si vuol
nascondere che vi sono comparti in cui il lavoro
è retribuito a salario insufficiente. E qui bisognerebbe agire. Speriamo intanto che le parti
sociali riescano a raggiungere un accordo prima
delle ferie natalizie, altrimenti, com'è awenu(continaazione a pag. 14)
8dì@mb1~1
1981
COMUNI D'EUROPA
Federalismo e perequazione finanziaria
È uscito in questigiorni, a cura dell'AICCE,
il volume tIl federalismo fiscale della Germania occidentale,, di SigridEsser, per le edizioni
Franco Angeli. Comuni d'Europa ha ilpiacere
d ipubblicare l'indice e la nota introduttiva del
Presidente della nostra Associazione, Umberto
Serafini, dell'interessante volume, rimandandone ad un prossimo numero la recensione critica.
2 . 2 . Lo sviluppo del sistema della finanza pubblica fino al 1945
2 . 2 . 1 . I rapporti tra Reich e
Lander
2 . 2 . 2 . I rapporti tra Lander e co-
muni
2 . 3 . Lo sviluppo del sistema della finanza pubblica fino al 1969
2 . 3 . 1 . I rapporti tra Federazione e
Lander
2 . 3 . 2 . I rapporti tra Lander e co-
INDICE
Premessa
Prefazione
Introduzione
1. Teorie del fderaiismo
muni
4 . Perequazione iinanziaria e fderaiismo coo-
perativo neiia Rft
1. Il sistema di perequazione finanziaria
nella Rft
1 . 1 . La -perequazione finanziaria verticale
1 . 1 . 1 . Ripartizione dei compiti e
delle spese (perequazione
passiva)
1 . 1 . 2 . La ripartizione delle entrate (perequazione attiva)
1 . 1 . 3 . La redistribuzione verticale
dei gettiti fiscali
1 . 2 . La perequazione finanziaria orizzontale
1 . 2 . 1 . La perequazione orizzontale tra i Lhder
1 . 2 . 2 . La perequazione orizzontale intercomunale
-
1. La teoria economico-finanziaria del fe-
deralismo
1 . 1 . Motivazione economica per l'organizzazione centralizzata di uno
stato
1 . 2 . Motivazione economica per l'organizzazione di uno stato su base decentralizzata
1.3. L'organizzazione ottimale dello
stato: il sistema federale
2 . La teoria dell'aintreccio delle politiche*
(aPolitikverflechtung~)
2 . La perequazione finanziaria (ader Finanz-
ausgleich*) e il fedetalismo cooperativo
1 . La definizione del termine aFinanzaus-
gleich*
2 . Gli obiettivi della perequazione finan-
ziaria
3. Le forme della perequazione finanziaria
attiva
3 . 1 . La .perequazione finanziaria (attiva) verticale
3 . 2 . La perequazione finanziaria (attiva) orizzontale
3 . 3 . Criteri di calcolo per i pagamenti
perequativi verticali e orizzontali
4. La perequazione finanziaria e la struttura federale dello stato
5 . Il federalismo cooperativo
La struttura federale deiia Germania occidentale e l'evoluzione del sistema deila finanza pubblica in Germania
1. La struttura federale della Germania oc-
cidentale
1 . 1 . Cenni storici
1 . 2 . La struttura costituzionale
2 . Evoluzione del sistema della finanza
pubblica in Germania
2 . 1 . Lo sviluppo del sistema della finanza pubblica fino al 1919
2 . 1 . 1 . I rapporti tra Reich e stati
federati
2 . 1 . 2 . I rapporti tra stati federati
e comuni
2 . Gli istituti del federalismo cooperativo
nella Rfi
2 . 1 . Gli istituti del federalismo cooperativo nel campo degli interventi
regionali
2 . 2 . Gli istituti del federalismo cooperativo nel campo della politica fiscale le congiunturale
2 . 1 . 1 . I1 Consiglio per la programmazione finanziaria
2 . 2 . 2 . I1 Consiglio congiunturale
5 . Condusioni
Tabeile
Bibliografia
-
PREMESSA
di Umberto S e d i
Il lav~rodella Esser è nato, anche, da un
suggenmento delllAICCE (la Sezione italiana
del Consiglio dei Comuni d'Europa) di approfondire la perequazione finanziatia (Finanzausgleich) vigente nella Germania federale: lo
spunto Pi& immediato era stato offerto a chi
s c k e da un libretto di Ftitz Franzmeyer e
Bernhard Seidel, ~berstaatlicher Finanzausgleich und europBische Integration. Quantitative und institutionelle Aspekte eines Systems
regionaler Transferleistungen (Perequazione
finanziaria transtatuale e integrazione europea. Aspetti quarititativi e istituzionali di un
sistema di trasferimenti finanziari regionali),
Bonn, 1976. L'intento dei due auton' (dsaggio
era edito daiìa Europa-Union Deutschlands),
critici della insuffienza e della ineficacia della politica regionale comunitaria, era quello di
sottoiineure quel che si può fare con una struttura federale (Germania) e quel che non si k sce a realizzare in una unione doganale, che,
"P delle congrue istituzioni, non progredisce
verso una unione economica e monetaria (la
Comunità europea): in questo senso ricordai il
saggio tedesco nella mia relazione al convegno
di Magonza (28-29 settembre 1978) delle città
europee gemelle, organizzato aU CCE, quando si trattava di appoggiare il progetto MacDougaii di aumento delle niorse comunitarie,
collocandolo nella nostra strategia federalista e
autonomista. Ma è evidente che un approfondimento e una divulgazione dell'espetienza tedesca di federalismo fiscale e finanziano, nel
contesto istituzionale che le è proprio, poteva
giovare altresì al dibattito che si accompagna al
faticoso incarnarsi dello stato regionale italiano, che è lungi &l'aver rtzalizzato il suo sistema delle autonomie, è particolarmente incerto
sul problema della finanza locale, comincia a
riproporsi la questione del legame del Senato
della Repubblica con l'assetto regionale.
Come è noto, uno stato cosiddetto regionale, intermedio fia l'unitatio e federale, è stato
a suo tempo particolarmente teon'zzato dalllAmbrosini (cfi. di lui la nota raccolta Autonomia regionale e federalismo: due fia gli assetti costituzionali giudicati t$icamente *regionali, sono i/ sistema austtioco dr/ 1867 a/
1918 e quello spagnolo repubbhano susseguente ala Costituzione del 1931): Ambrosini
- d o r a presidente della Corte costituzionale
i t h n a - espose i caratteri di uno stato regionale in generale e di quello specifico indicato
daiia carta costituzionale della Repubbika italiana in una relazione ai V Stati generali del
CCE a Cannes (marzo 1960). Un ordinamento
szffatto ha trovato un genetico apprezzamento
nell'Europa comunitaria (e limitrofa) per dsuo
carattere, appunto, intermedio e quindi come
un punto eventuale di riferimento in una strategia della convergenza delle autonomie europee: senonche-in concreto un coerente stato regionale non ha preso vita in Italia, a parte il
fatto che le Regioni stesse, in se'considerate, si
sono tivelate presto come sovrastrutture tagliate su misura per un 'Italia ancora agniola e priva della nozione di programmazione, mentre il
COMUNI D'EUROPA
H O m h la1
Paese reafe - sia pure tumultuosamente e con
persistenti fasce d i sottosvihppo - stava per
fare la sua entrata nel club degli industdizzati (non furono in merito presi in considerazione dai costituenti i suggerimenti di Massimo
Severo Giannini e di Adriano Olivetti: v. L'avvento della Regione d i Ettore Rotelli e ilsaggio
d i Carlo Macchitella nel tomo 11 di Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, a cura
di Roberto Rufili [Bologna 19791). Soprattutto si nota u n devante scollamento fia i/ complesso delle Regioni e il vertice dello Stato,
nonché - ripeto - u n in2solto adeguato assetto deiproblemi fiscali e finanziari. Per ilprimo punto le Regioni - che riescono solo in
parte e a fatica a programmare ai loro interno,
ma che chiedono d i partecipare affaprogrammazione nazionale: come pure è giusto - tentano d i costituire fon' posticci e malamente istituzionalizzati, fà dove occorre riprendere, in
una situazione mutata, il discorso, abortito d a
Costituente, del Senato deffe regioni, sia pure
scrostandolo d i ogni e qualsiasi aberrante idea
corporativa - d i cui ora spero si siano avveduti
anche i ciechi quanto serva d a diruguaglianza
sociale e ala sostituzione d i u n neofeudalesimo al regno del diritto @er il dibattito in merito ala Costituente v. P. Aimo, Bicameralismo e regioni, Milano 1977, eper quanto rimane da fare la relativa prefazione di Ettore Rotelh) -. Per il secondo punto c'è & domandarsi se la tanto decantata forma intermedia aregionale) non abbia per caso da imparare
qualcosa & quella estrema del federalismo fiscale e finanziario tedesco: e d ecco che torna
u d e e stimolante il lavoro della Esser.
che aveva sede a Ginevra, fu emblematicamen- economica, su basi pre-federali, si avvierebbe
te trasferita a Torino - cittSi acomunitaria~- u n Finanzausgleich comunitario a benefico
e segretario ne fu Robert MOJ'S~;
u n economista dei comuni e dei poten' locali e regionali.
Neff'aitro caso si potrebbero compiere atti
che era stato rappresentante del governo fiancese a Bretton Woods. Nel 1957 le prospettive esemplari d i governo europeo attraverso u n ensi aifargarono e a u n congresso della Sezione te funzionale ad hoc (organismo europeo per lo
itahna del CCE (AICCE) u n altro economista, svihppo regionale) per portare avanti lo sviche era tra gli animaton' Alla Sezione, Tito luppo, direi soprattutto per gli interventi
Scipione, lanciò l'idea d i una Comunità econo- straordinari, anche nei suoi aspetti progettuaii,
mica europea dei poteri locali: non piu solo il naturalmente - questo è l'intendimento del
credito, il flusso dei capitafi ma un 'opera CO- CCE - concertandolo con gli enti t e d o d i
mune di progettazione dello sviluppo locale, interessati, che dovrebbero, al limite, parteciuna messa in comune d i esperienze ammini- pare d a gestione dell'organismo: va & séche
ciò presupporrebbe, se non volesse rimanere
strative e d i tecnologia. La cooperazione finanziaria si allargava a tutta l'attività economica sterde, il coordinamento delle apolitiche codei comuni e degli altn' poten locali e regiona- muni) (a loro volta rese possibili &l'adeguali. Qui, ovviamente, il successo era sempre piu mento delle arisorse proprie) comunitarie: il
strettamente legato, oltre che alpeso del CCE, CCE ha appoggiato, come si è accennato sopra,
aifa vo/ontàpo/itica generale d ifar passare con- il progetto MacDouga//) secondo una strategia
cretamente - stabilendone le premesse istitu- federale, che ven9chi anzitutto il loro comzionali, a parhre da una politica monetaria plessivo impatto t e d o d e , premessa al supereaimente comune - la Comunitd economica ramento di u n Mec che finora ha visto la crescieuropea & unione dogandc a unione econo- ta della distanza fia zone ricche e zone povere
mica.
della Comunità.
Ormai l'ala dei cpragmatici) del CCEpoteva
Non è chi non veda, a questo punto, l'inteavvedersi della piena ragione degli aistituzio- resse del lavoro della Esser per trame insegnanalisti) e come da certe premesse, ritenute d i menti, suggestioni e ammonizioni d i coerenza
aalta politica), discendesse l'attuabilità d i una in ordine al primo dei due casi precedenti.
seria aperequazione orizzontale) a prescindere L'esperienza d ife deralismo$scale e finanziario
d d e fiontiere. Ogni prospettiva del CCE in della Germania occidentale e la nj7essione, anquesto campo era correlata d a capacità evolu- che, sui dibattiti che l'hanno accompagnata e
tiva, in senso istituzionale, della CEE e in spe- l'accompagnano m i sembrano d i grande uticie d'ampiezza delle korse p r o p k e d i bilan- lità, mentre g e n e r h e n t e non se ne sa molto e
cio autonomo della Comunità, nonchéalpro- non se ne fa una analisi in modo adeguato. Algresso (o meno) verso una moneta comune. Da meno i n It& la cultura politica media, i n fatqui si poteva avanzare sia sul terreno di pere- to d i federalismo fiscale e finanziario, non va
quazioni
finanzi& s~vran~zzionali
e interre- molto oltre i capitoli che in merito recavano gli
Il quale, poi, interessa afflAICCEperapprogionali
@rendendo
le
mosse
da
misure
difisca- americani Studi sul federalismo d i Bowie e
fondire ilprimo motivo enunciato. Fin dai suoi
lità
comunitaria)
sia
su
quello
di
piani
- ordiFriednch, usciti quasi contemporaneamente inizi il Consiglio dei Comuni d'Europa cercò di
nari
e
straordinae
@er
/e
zone
particolarmente
ai tempi dell'assemblea ad hoc (quando, nella
&re uno sbocco alla intenzione dei suoi comudepresse)
prima
metà degli anni cinquanta, si progettava
- d i sviluppo realmente comuni,
n i e d enti locali associati di cooperarefinanziauna
comunitd
politica europea) - presso
anche
se
basati
su
una
articolazione
negli
interriamente e, piu i n generale, economicamente e
l'Università
Haruard
(in inglese) e, a cura del
venti,
attenta
aife
esigenze
del
cosiddetto
asvitecnicamente ad d i sopra delle fiontiere~ e d i
Movimento
europeo,
a Bmxeffes (in fiancese),
fuppo
tardivo)
(cfi.
Giorgio
Fuà,
Problemi
deltrovare forme operative e d eficaci, per mezzo
lo sviluppo tardivo in Europa, Bologna, 1980). mentre f'edizione italiana &e d a fine degli
deffe quali potesse ven'ficarsi una certa aperequazione~fia gli enti piu ricchi e dotati e gfi N e f p a o caso, redzzata una effettiva unione anni cinquanta.
enti piu poveri e défavorisés.
Si cominciò (1952) studiando se fosse possibile trasferire su area europea esperienze olanil più efficace
desi e belghe d i cooperazione creditizia fia Coil più tempestivo
muni, creando u n Istituto europeo d i credito
comunale, che n'sarebbe potuto avvafere, concollegamento del Parlamento europeo con le Regioni, le Città e il territorio italiano
giunturalmente, anche di credito suf momento
disponibile nel mercato internazionafe a basso
tasso di interesse (ne prese l'iniziativa - daf
1954 - u n organismo promozionale, emanazione def CCE, fa Comunità europea d i credito
comunale o CECC). In realtà f 'ostacofoprinciagenzia settimanale per gli enti regionali e locali
pale fu subito L'esistenza d i dzfferenti monete e
la drficoftà d i stabilire chi dovesse accollarsi e
esce tutti i venerdì a cura deli'AICCE
come fa garanzia d i cambio. Dopo l'entrata in
vigore dei Trattati d i Roma, potendosi ormai
operare in u n quadro di riferimento pattizio,
che prevedeva fo svifuppo equilibrato di una
ci si abbona con sole lire 100.000 sul c/c postale n.35588003 intestato a Istituto
Comunità europea, sipensò a una branca per il
Bancario San Paolo di Torino (sede di Roma, Via della Stamperia 64 001 87
credito agfi enti focdi deffaBanca europea per
Rome) specificando la causale del versamento
gfi investimenti: ma già nei giorni deffaconferenza d i Messina era partita daf CCE fa propoe si è veramente in condizione di analizzare rapidamente tutto il tessuto comunitasta d i u n fondo d i investimenti destinato a verio che il movimento delle autonomie sta ordendo, e l'azione del Parlamento,
nire incontro ai comuni e a contribuire a una
eletto da 180 milioni di europei, nei suoi vari aspetti
equa politica regionale delprevisto mercato comune europeo. In questo periodo fa CECC,
1
l
Europa Regioni
I
-
I
Wembre 1981
COMUNI D'EUROPA
I1 coordinamento nella RFT tra Federazione e
Lander nelle politiche C:omunitarie
di Sigrid Esser
La questione della partecipazione degli enti
locali e regionali alla formazione delle politiche che i governi centrali esprimono in sede di
Comunità europee (CE), sta acquistando sempre maggiore rilievo all'interno dei rapporti tra
Stato centrale, regioni e enti simili. Questi si
stanno rafforzando in quasi tutti i paesi membri della CE; al tempo stesso le politiche comunitarie tendono progressivamente a colpire sfere che in genere spettano alla competenza delle
regioni. Vi è un reale pericolo che l'autonomia
di gestione politica delle regioni venga limitata, non partecipando esse direttamente al processo decisionale di Bruxelles.
Per quanto riguarda l'Italia si è dato recentemente awio ad un meccanismo di consultazione coordinata tra stato e regioni che fa capo alla
Conferenza permanente di presidenti di Regioni ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri.
Riunioni si svolgono a livello politico ed a livello di funzionari. Questi incontri, pur di notevole utilità pratica, non hanno ancora alcun
crisma istituzionale e quindi non si è certo pervenuti a quella «cogestionen delle politiche comunitarie tra regioni e governo che da più parti viene auspicata. Un fatto innovativo di rilievo potrà essere rappresentato dalla istituzionalizzazione con legge dell'attuale Conferenza
permanente dei presidenti di regione, che consentirà a queste ultime di assumere ufficialmente la veste di interlocutore unitario nei
confronti del governo.
La Rft, a questo rispetto, si muove in un sistema più avanzato. Può essere interessante cogliere i meccanismi che ne garantiscono il funzionamento (l). A ciò aiuta un volume di Rudolf Morawitz, recentemente edito da Europa
Union Verlag (2), che descrive in maniera concisa e chiara le procedure di collaborazione tra
Federazione e Lander nell'ambito della politica
comunitaria. La questione riguarda in modo
specifico l'istruzione, la difesa dell'ambiente, i
trasporti, la politica strutturale, l'edilizia, la
(1) Si tenga presente la diversità delle strutture costituzionali dello stato tedesco-occidentale da quelle italiane. È
infatti evidente la particolare complessità della questione
dell'attività nel campo della politica estera degli enti territoriali substatali in uno stato a struttura federale, come la
Rft, dove l'esistenza di uno stato centrale (la Federazione)
non tange la statalità autonoma ed autolegittimantesi degli stati federati (i Lander). In base all'art. 32 della Legge
Fondamentale della Rft (come anche agli artt. 24,l e 32,l)
la politica estera è di competenza esclusiva della Federazione e le compete in questo campo la legislazione esclusiva,
contro la quale il Bundesrat (consiglio federale dei Lander;
seconda camera parlamentare della Rft) può solamente sollevare opposizione. la quale deve essere respinta con ugual
voto dal Bundestag (dieta federale; prima camera parlamentare). L'art. 32.2 da indicazioni generali: .Prima della
stipulazione di un trattato concernente questioni particolari di un Land, è obbligo consilltare tempestivamente il
Land interessato,. Rimane comunque tuttora discusso se la
Federazione può stipulare dei trattati con altri stati. la cui
materia cade sotto la competenza legislativa esclusiva dei
Lander. Lo stesso problema si pone. ed in modo assai più
accentuato, per quanto riguarda le organizzazioni sovranazionali.
(2) Rudolf Morawitz, cDie Zusarnmenarbeit von Bund
und Landern bei Vorhaben der Europaischen Gemeinschaft,, Europa Union Verlag GmbH, Bonn. Posrfach
1529, pagg. 120, DM 16,80.
difesa delle acque, settori che cadono sotto la
responsabilità esclusiva dei Lander, e che sono
divenuti al tempo stesso sempre più soggetti
alle politiche comunitarie.
La prima regolamentazione in materia fu introdotta nella Germania federale attraverso la
legge di approvazione dei trattati istitutivi della CEE e dell'EURATOM, che è ancora in vigore. In base a tale regolamentazione fu varata
nel 1963 una procedura, secondo la quale le
proposte di raccomandazioni o regolamenti
della CEE, che potevano influenzare la legislazione nazionale dovevano essere trasmesse al
Bundesrat dal ministro federale dell'economia,
tramite l'ufficjo del cancelliere federale. La
legge prevedeva che, dopo l'esame delle proposte effettuato innanzitutto nella commissione parlamentare per le questioni delle Comunità europee, il Bundesrat avrebbe comunicato
le sue raccomandazioni all'ufficio del cancelliere federale, il quale a sua volta le avrebbe trasmesse ai ministeri interessati. A partire dal
1967 il governo federale sarebbe poi stato obbligato a presentare un rapporto semestrale
sullo stato dell'integrazione europea.
Con la legge sui Trattati di Roma fu anche
istituito I'uOsservatore dei Lander presso le Comunità europee,. Esso è nominato dalla Conferenza dei ministri per I'economia dei Lander.
L'Osservatore partecipa, senza diritto di intervento, alle sedute dei Consigli dei ministri della CE, dopo aver ricevuto tutti i documenti
preparatori. Secondo regolamenti interni ai
Lander, questi deiterminano i ministeri competenti per le singole materie da discutere a livello comunitario: l'osservatore deve inviare loro
i documenti ricevuti, oltre ai resoconti globali
che è tenuto a redigere. L'Osservatore costituisce così per i Lancler una fonte d'informazione
indipendente ed adeguata, capace di porli ad
un livello adatto a.d esercitare una influenza sostanziale sulle decisioni del governo federale in
sede europea. L'Osservatore funge inoltre (nella sua veste di membro della delegazione tedesca e con l'approvazione del governo federale)
da intermediario esclusivo delle richieste dei
Lander presso la Commissione europea. Contatti diretti tra singoli Lander e la Commissione
possono immagiriarsi per i soli rapporti informali. Lo stesso dicasi per rapporti tra Lander e
Parlamento europeo. L'Osservatore dispone di
uffici sia a Bruxelles che a Bonn.
Al di là dei meccanismi qui descritti, e regolati da legge, vi è ancora un ampio spettro di
collaborazione tra Federazione e Lander. Si attua ad esempio un permanente scambio di giudizi soprattutto nei campi di competenza dei
Lander. La politica regionale comunitaria ed i
problemi concernenti il Fondo europeo di sviluppo regionale vengono trattati nella Commissione per il compito comune (a Federazione
e Lander) «miglioramento della struttura economica regionale,, dove Governo e Lander sono rappresentati pariteticamente. Le posizioni
del governo federale in sede comunitaria riguardanti la politica economica vengono coordinate attraverso riunioni presso il ministero
federale dell'economia, cui partecipano, oltre
ai ministeri federali compe~enti,i corrispondenti ministeri dei Lander. E il ministero federale a dover assicurare il flusso di informazioni
verso i ministeri dei Lander (documenti essenziali, rapporti sulle riunioni dei Consiglio dei
ministri della CE per l'economia/finanze). Tale procedura vale per la libertà di circolazione,
I'armonizzazione della edilizia, l'agricoltura,
l'ambiente. Nelle questioni che riguardano la
difesa delle acque i Lander vengono resi partecipi a tre livelli: a livello del Bundesrat; a livello della commissione dei capi d'ufficio dei ministeri competenti e a quello dei funzionari per
settori specifici; e a livello della delegazione federale a Bruxelles, di cui fanno parte due rappresentanti dei Lander.
Queste forme di collaborazione diretta tra
Lander e Federazione furono in iin certo modo
la risposta «non codificata» alle critiche mosse
dai Lander alla Federazione. I Lander osservavano che la loro partecipazione alle politiche
comunitarie tramite il Bundesrat non poteva
sostituire la loro inclusione separata nel processo decisionale comunitario. Per questo pretendevano che il dovere costituzionale della «fedeltà federale» ( 3 ) si esercitasse da parte del governo centrale non nei confronti dell'organo
federale Bundesrat, ma bensì direttamente verso i Lander. soddisfatti in linea di principio
dalle procedure awiate, i Lander ne vennero
chiedendo la formalizzazione. Nel 1977 la Federazione accolse tale richiesta, e durante una
serie di riunioni che si svolsero tra il novembre
1977 e l'aprile 1980 si raggiunse un accordo
che confluì nel 3 85 del «Comune regolamento interno del governo federale,. Questo regolamento, insieme alla «Dichiarazione sulle Comunità europee del cancelliere federale, del 19
settembre 1979, la lettera di risposta del presidente della Conferenza dei presidenti di consiglio dei Lander ed un regolamento interno tra i
Lander, costituisce l'attuale base di collaborazione tra Lander e Federazione in materie su
cui è competente la Comunità europea. E una
forma di collaborazione, in atto ufficialmente
dal 15 ottobre 1980, che non abolisce i meccanismi precedentemente in vigore, e mantiene
una forma flessibile dato che solo la sua sperimentazione potrà accreditarne l'efficacia. Vediamone qui di seguito i lineamenti.
E al ministro federale per l'economia che
spetta la responsabilità dell'invio all'osservatore dei Lander presso le Comunità europee di
tutti i documenti che il segretariato del Consiglio CE prowede a fargli recapitare: gli stessi
che vengono rimessi da parte della Comunità
al Governo federale. I1 ministro invia tutti i
progetti di documenti o altro materiale proveniente dalle Direzioni generali della Commissione europea all'osservatore, ad esclusione di
quelli che «in modo evidente non trattino materie che ricadono totalmente o parzialmente
sotto la competenza legislativa esclusiva dei
Lander né riguardino i loro interessi essenziali,
soprattutto finanziari». Se la misura in discussione riguarda una competenza esclusiva dei
Lander la Federazione inviterà dietro richiesta
due rappresentanti dei Lander alla partecipa(3) I1 concetto della ofedeltà federale* costituisce la norma costituzionale non scritta del dovere reciproco della Federazione e dei Lander a tenere un comportamento federale, che non danneggi né i Lander né la Federazione.
COMUNI D'EUROPA
zione alle riunioni degli organi competenti comunitari.
Il regolamento interno tra i Lander prevede
che il materiale d'informazione venga inviato
dall' Osservatore dei Lander presso le Comunità
europee agli uffici di rappresentanza dei
Lander a Bonn i quali lo smistano e lo trasmettono ai ministeri competenti nelle loro capitali.
In casi di massima urgenza l'osservatore provvede al suo invio diretto ai ministeri dei
Lander, senza servirsi dell'intermediazione degli uffici di rappresentanza a Bonn.
I1 processo di formazione della volontà politica comune dei Lander in materia comunitaria
matura nei cosiddetti auffici comuni, (Gemeinsame Stellen): le Conferenze dei ministri
dei Lander, esistenti in ogni dicastero, nominano un ministro responsabile per un uufficio comune*; questi sarà di regola il presidente di
turno della Conferenza. Un allegato al regolamento attribuisce ad ogni Conferenza dei ministri uno o più campi della politica europea.
Una volta raggiunto un accordo politico tra i
Lander, l'uufficio comune, trasmette I'awiso
dei Lander al ministero federale competente:
ne viene rimessa copia all'Osservatore di Bruxelles. Se al contrario l'accordo non fosse raggiunto si dà ugualmente comunicazione al ministero federale delle diverse posizioni annettendo le opportune motivazioni.
È chiaro che nella fase delle trattative in seno
agli organi comunitari i rappresentanti dei
Lander che partecipano alle riunioni mantengono contatti diretti con i ministeri competenti
dei Lander. Rimane comunque centrale il molo esplicato dagli auffici comuni, nelle trattative e poi nei processi decisionali e di attuazione
che ne seguono. Da quanto sin qui esposto si
può dedurre che la Federazione ha accettato
come unico suo interlocutore durante la fase di
informazione l'osservatore dei Lander, mentre
per le fasi di formazione della posizione politica del Governo federale in sede comunitaria e
con riguardo alle trattative negli organi CE, ritiene suo più valido interlocutore quello prescelto dai Lander, I'aufficio comune*.
Questo accordo tra Federazione e Liinder ha
inteso prevenire una prevedibile accentuazione
delle resistenze del Bundesrat alle rivendicazioni dei Lander. L'organo federale, che vede ora
contribuire alla propria azione rispetto alle politiche europee del Governo federale, l'azione
diretta dei Lander, poteva temere un indebolimento della propria posizione in seguito alla
situazione di concorrenzialità esistente tra il
processo di coordinamento Lander-Federazione
da una parte, e la consultazione che si sviluppava tra Bundesrat e Federazione in base alla
legge di approvazione dei Trattati di Roma.
Come ammette Morawitz, in materia comunitaria si potrebbe assistere in futuro ad uno spostamento di contributo politico dal Bundesrat
ai Liinder, poiché, secondo il modello concordato - di collaborazione, le prese di posizione
dei Lander verrebbero ad assumere un'incidenza più diretta e più sottile, quindi più significativa, di quelle del Bundesrat. Rimane la differenza giuridica tra le due forme di collaborazione: la collaborazione tra Bundesrat e Federazione avviene in base a dettati costituzionali
e legislativi. Quella tra Lander e Federazione si
basa su una forma di autovincolo deciso dalla
Federazione: gli accordi assunti non rivestono
forma di trattato.
Questo primo anno di attuazione del nuovo
meccanismo ha fatto rilevare alcune difficoltà,
sottolineate anche da Morawitz nel suo volumetto. Un problema si pone a causa dei tempi
dettati dalle strutture comunitarie spesso eccessivamente ristretti: l'iter consultivo a livello nazionale manifesta al riguardo insufficienze.
L'accordo preso obbliga i Larider a tenere conto
dei tempi prescritti. Una seconda difficoltà si
intravede in occasione di posizioni troppo diversificate tra i Lander. Una tale situazione si è
creata, per esempio, nella questione della concessione del diritto elettorale agli immigrati
provenienti dai paesi membri della Comunità.
L'ordinamento dei comuni, e quindi anche il
loro sistema elettorale, è di competenza esclusiva dei Lander. Le posizioni divergenti sulla
questione non hanno permesso sinora ai
Lander di elaborare un voto consultivo significativo, né ha consentito la nomina dei due loro
rappresentanti presso gli organi comunitari.
Nel campo dell'istruzione, competenza esclusiva dei Lander, che a partire dal 1974 costituisce un campo di intervento per la Comunità, la
lentezza nel processo di formazione della volontà politica dei Lander ha comportato ritardi
rilevanti nella procedura comunitaria.
La collaborazione nella Rft tra Federazione e
Lander nell'ambito di progetti della politica
delle Comunità europee ha trovato, a pane alcune disfunzioni rilevate dallo stesso Morawitz,
una formalizzazione che consente spazio ai
mutamenti istituzionali, politici e procedurali
cui la Comunità europea sarà sottoposta nei
prossimi anni. La procedura (e l'incidenza della procedura) sempre più rispecchia nella politica, che viene portata avanti dal governo e dal
Parlamento federali a livello comunitario, il
peso politico che i Lander rivestono, anche in
rappresentanza dei loro comuni. Le procedure
in vigore, se verranno attuate con vero spirito
federale, non mancheranno di allargare il campo dell'apporto regionale e locale alla politica
della Comunità europea, insostituibile in un
periodo che vede gli stati europei delegare
sempre più competenze e poteri ai propri enti
regionali.
settembre 1981
norme il sistema f ~ a l eIn
. pratica agli Enti locali, oltre al pasticcio dell'ILOR, sono rimaste
l'imposta sull'irnrnondizia e quella sui cani.
Risultato: deresponsabilizzazione del governo
amministrativo degli Enti locali, favorendo il
lassismo nella spesa. Effetto perverso: si privatizzano i vantaggi e i profitti e si scaricano sulla
generalità dei cittadini perdite e sprechi. A che
vale preoccirparsi di spendere troppo se ci sono
le mammelle di mamma Roma, a mo' di vacca
gonfiata con estrogeni, alla quale si può mungere latte sempre più annacquato?
Scivoliamo nel sottosviluppo e ci allontaniamo dall'Europa?
E in tema di Europa, alla *Giornata del Mezzogiorno~è sembrato dawero sintomatico che
non sia stata nemmeno evocata la necessità di
coordinare il contributo dei fondi comunitari
(Fondo sociale, sezione orientamento del FEOGA, e Fondo regionale) in programmi frnalizzati al riequilibrio territoriGe, produttivo e
quindi economico e sociale. Senza porre nel
conto che, con tutti i problemi da risolvere nel
Sud, non si è capaci di utilizzare le quote che
nei fondi sono riservati all'Italia.
Siamo già tanto scivolati fuori dall'Europa
da attendere forse che qualche fanatico, tanto
pittoresco quanto pericoloso, estenda unilateralmente le proprie acque territoriali fino a Genova e Venezia? Tanto già è stato fatto fino a
Palermo!. ..
Ora se non siamo capaci noi di prowedere
dignitosamente ai problemi di casa nostra,
perchè dovrebbero farlo gli altri? E qui il discorso viene spontaneo sui vini ~ugliesie siciliani senza dei quali i vini pregiati francesi non
sarebbero tali. L'operazione ablocco e sabotagg i o ~esplicita o mascherata avveniva anche ai
tempi di Giscard, come ai tempi di De Gaulle
ci fu la guerra dei frigorigeri. Questo in omaggio al principio comunitario della libera circolazione delle merci!
Se diamo uno sguardo all'interscambio agroalimentare con la Francia, notiamo che, grosso
modo, il rapporto a favore della nostra consorella è di 3-4: 1. Che direbbero se anche noi, in
omaggio ad analogo rispetto del principio della
libera circolazione delle merci nell'area comunitaria, applicassimo i medesimi metodi pretestuosi sul controllo del latte, latte in polvere,
Mezzogiorno senza Europa
formaggi, carni, acqua minerale ecc. ecc. in
(continua ab pag. 10)
provenienza dalla Francia?
Da tre anni la CEE ha posto il veto alle imto per quelle estive, se ne parlerà alle calende
portazioni
italiane di vitelli dalla Romania e
greche. E ancora non basta, perché occorre far
dal
Sud
America,
concedendo - somma
capire in questo bel Paese dcl Bengodi che non
si può fare il passo più lurigo della gamba e bontà! - l'abbattimento del 50% sui diritti di
quindi occorre frenare la tendenza a delapidare prelievo. Orbene se viene meno così impuneil risparmio, mentre in ambito internazionale mente il principio della libera circolazione deloccorre concertare una politica a sostegno e a le merci, che dovremmo temere se decidessimo
difesa del cambio della lira con le valute più di ignorare il veto e importassimo vitelli da
aree extracomunitarie con non lieve vantaggio
forti.
Ma la questione della spesa pubblica porta per il costo della vita?
Non si tratta di essere agallofobi~o, per dirla
automaticamente il discorso sugli Enti locali e
sul decentramento. In fondo chi a Bari ha dife- con Vittorio Alfieri, amisogalli*; ma è che il
so le autonomie aveva ragione, come aveva ra- Mezzogiono è stanco di fare la pane della testa
gione anche chi ha rilevato che la Cassa gestisce del turco. E quanti hanno sperato e lottato e
circa 80 mila opere già complete o in via di ul- tuttora lottano per una Europa unita, per la fetimazione perché le regioni non sono nelle derazione europea, difficilmente avrebbero
condizioni di assumerne la gestione. Il nodo potuto immaginare le bassezze in cui è stato
sta nel fatto che si voleva snellire Roma ed in- portato l'ideale asceso, già dopo la prima guerfatti si è decentrato il potere politico ed ammi- ra mondiale, a necessità e ragione di soprawinistrativo, ma si è concentrato in maniera ab- venza della più splendida civiltà.
15
COMUNI D'EUROPA
La Jugoslavia, il K:osavo e l'Europa
di Pio Baissero
La Jugoslavia, espulsa dal Cominform nel
1948, aveva enunciato fin dal 1952 - in occasione del VI Congresso del Partito comunista,
uasformato poi in <Legadei Comunisti~- alcuni originali principi politici ed economici che
avrebbero dovuto porre le basi del rinnovamento costituzionale del paese, in aperto contrasto con le tesi accentratrici e statalistiche volute da Stalin e rigorosamente applicate negli
altri paesi dell'Est europeo. Tra questi principi
vanno essenzialmente e brevemente rilevati
quello dell'aautogestione~(si veda il saggio di
M. La Rosa e M. Gori, aL'autogestione~,in
Ideel30, C. Nuova, 1980) estesa in ogni settore della vita sociale, e quello dell'aautonomias
delle Repubbliche federate, dei Circondari e
dei Comuni. La successiva evoluzione costituzionale, perfezionata nel 1974, era destinata a
potenziare ulteriormente la posizione di autonomia delle Repubbliche (Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Macedonia. Montenegro, Serbia e
Slovenia), delle due Province autonome (Kosovo e Vojvodina) e, soppressi i Circondari, dei
circa 500 Comuni. Nella rinnovata Assemblea
federale veniva così ad acquistare un peso di rilievo la <Camera delle nazionalità,, corrispondente all'aautogestione etnic-. Sotto questo
profdo era da presumere come risolto ogni problema relativo ai diversi gmppi nazionali mentre, sul piano delle relazioni esterne, la politica
del anon allinea mento^ poneva la Jugoslavia in
una posizione certamente invidiabile rispetto
ad altri paesi dell'Europa orientale.
I recenti fatti della Provincia del Kosovo,
per chi segua quanto awiene nella vicina Repubblica, non rappresentano tuttavia un aimprevedibile~incidente sul cammino del asocialismo autogestionario~e dimostrano emblematicamente'quanto siano strette le relazioni tra
politica estera, congiuntura economica e problemi interni.
I1 violento moto amicronazionale~del Kosovo va inoltre interpretato tenendo presenti i
motivi di fondo che hanno portato alla situazione odierna:
1) una zona calda di afrizione~ lungo le
frontiere sud-orientali, caratterizzate dalla presenza di forti minoranze etniche;
2) le difficoltà di adattamento del modello
aautogestito~in un paese poco sviluppato, con
un aproblema meridionale, forse assai maggiore di quello italiano;
3) l'aggravarsi della crisi economica che si
presenta con una inflazione quasi galoppante e
con problemi di reinserimento dei circa
700.000 lavoratori rientrati in Jugoslavia
dalllEuropa occidentale (e soprattutto dalla
Germania federale) dove sono stati ridotti i livelli occupazionali.
Nella provincia del Kosovo, in particolare,
i problemi di convivenza tra le diverse etnie, a
ridosso del confine albanese, appaiono più intricati e complessi che altrove: la presenza di
un gmppo albanese e di uno serbo e la professione di fedi religiose lontane tra loro: quella
mussulmana e quella ortodossa. A tutto questo
bisogna aggiungere l'esistenza - denunciata
dalla stessa stampa ufficiale iugoslava - di elementi di estrema destra, gli austascia, che non
hanno esitato ad allearsi, nello scorso mese di
marzo. a gmppi di irriducibili marxisti che oggi guardano al amodello Tirana (dietro il quale, espulsa la Cina, non è difficile scorgere Mosca). La controversia ha così assunto carattere
ideologico, oltre che nazionale e religioso. Da
notare che, sul piano delle relazioni internazionali, il anon allinea mento^, con la scomparsa
di Tito e la ripresa del disegno egemonico sovietico, appare sempre più precario e vulnerabile. In questa achiave di lettura le preoccupazioni si rivolgono non soltanto al Kosokovo,
ma anche ad altre 2:one di confine, dove la contestazione potrebbe addirittura risentire
dell'influenza (più o meno diretta) di tre Stati:
la Bulgaria, la Romania e l'Ungheria.
Non si presentano viceversa prospettive inquiete lungo la frontiera italo-iugoslava, dove
il comportamento esemplarmente civile dei
profughi istriani e l'intensa cooperazione
atransfrontalierm hanno consentito il graduale
superamento di problemi rivendicativi ed irre-
dentistici. Ma è anzi proprio attraverso i buoni
uffici dell'Italia che Belgrado si è awicinata alla Comunità europea concludendo, il 2 aprile
1980, un accordo di cooperazione che copre diversi settori economici. garantendo cospicui finanziamenti sotto forma di prestiti della Banca
europea per gli investimenti fino ai 1985. 1 gesti di abuona volontà~e la disponibilità della
Comunità europea verso la Jugoslavia, non sono tuttavia sufficienti a garantire quel paese da
ingerenze adestabilizzatrici~che trovano facile
mascheratura ideologica ed abbondanti passioni amicronazionali~.Un'azione diretta a rafforzare la presenza europea verso l'Est, con un minimo di credibilità che vada oltre il puro e semplice aiuto finanziario richiede, in realtà, la
concreta esistenza di istituzioni europee che
siano in grado di esprimere, con una sola voce,
una politica estera che non sia quella di Chamberlain: questo è quel che disperatamente si
chiede al di là della frontiera.
Naturalmente il lettore tileverà che in tutto
l'articolo si sottintende un d t m fittore, che
rende unelastico il cfederdismou jugoskavo,
cioè l'assenza nientemeno che della democrazio politica e i/ formarsil quindi, di quella che
Djtlas chhmò la anuova classeu (n.d,r.).
Gemellaggio Guastalla - Forcalquier
i sindaci Delorme e O d e d c h i e l'assessore deiia Regione Eazio, membro deilJEsecutivo
deii'AICCE, Panizzi durante la manifestazione.
Nando Odescalchi, sindaco di Guastalla, e
Claude Delorme, sindaco di Porcalquier, hanno siglato il 20 giugno scorso, nel Teatro Comunale di Guastall:i, gremito di gente e pavesato a festa con le bandiere nazionali d'Italia e
Francia e quelle rappresentative dei singoli Comuni, il apatto di gemellaggio~,che d'ora in
poi, unirà, con rapporti sempre più stretti e ad
ogni livello, le due cittadine. La festosa giornata ha avuto inizio in, Municipio, ove le due delegazioni si erano ritrovate il giorno prima, nel
tardo pomeriggio, dopo l'arrivo dei transalpini. Si è poi formato un corteo che, con i due
sindaci in testa, si 2 poi portato al aRuggeri~
per la solenne cerimonia della firma. Erano
presenti tutte le maggiori autorità.
Ha preso subito la parola il sindaco Odescalchi che ha detto fra l'altro:
a11 gemellaggio non è il punto terminale del
nostro impegno ma rappresenta, invece, la for,
malizzazione di un impegno che cercheremo di
svolgere nei prossimi anni per l'avanzamento,
nelle comunità locali, dei principi.di fratellanza e cooperazione tra i popoli. Per questo si sono costituiti a Guastalla ed a Porcalquier i comitati di gemellaggio: non è pensabile, cioè,
che si possano costituire rapporti stabili tra due
comunità attenendosi esclusivamente all'impegno delle rispettive amministrazioni comunali,
le quali peraltro, anche finanziariamente, non
sarebbero in grado di garantire tutte le condizioni necessarie. È opportuno che attraverso i
comitati di gemellaggio venga assicurata la più
ampia partecipazione delle comunità, la maggiore frequenza degli scambi, in una parola il
concreto affratellamento delle popolazioni~.
È seguito l'intervento del sindaco Delorme
che dopo aver ringraziato la città di Guastalla
per la calorosa e fraterna accoglienza ha aggiunto:
aNon dimentichiamo mai che i gemellaggi
hanno come scopo quello di far in modo che i
settembre 1981
COMUNI D'EIJROPA
cittadini di diversi stati e di diverse origini storiche abbiano a conoscersi e a comprendersi
meglio, allo scopo precipuo di aiutarsi.
Siamo fieri di unirci alla vostra città per il
suo passato storico artistico e culturale ed inoltre per la sua posizione che occupa oggi nella
vita della regione Emilia-Romagna, con le sue
svariate attività. I nostri scambi permanenti a
livello delle nostre cittadine sono iniziati con
gioia tramite i giovani, faremo in modo di svilupparli nella misura dei nostri mezzi, portandoli a livello di tutte le nostre associazioni, con
incontri rafforzativi, con manifestazioni di vario genere. A livello non solo dei nostri insegnanti e studenti ma anche a livello di quelle
che sono le forze vive, quali gli amministratori,
gli agricoltori, gli artigiani, i commercianti, i
professionisti, insomma coinvolgendo ogni cittadino,.
È intervenuto quindi, a nome dell'AICCE,
Gabriele Panizzi dichiarando che, ormai da 30
anni, ci si batte per la costruzione dell'Europa,
con impegno e tenacia, passando attraverso
non poche incomprensioni. Ha chiarito che
l'Europa non si fa soltanto con l'accordo con i
governanti ma ben di più attraverso la conoscenza fra i popoli. Per questo ha plaudito a
questi gemellaggi che affratellano e rendono
pih duratura la pace.
il gemellaggio - ha detto il vice sindaco Canuti - consolida l'amicizia tra Guastalla e Forcalquier ma anche fra italiani e francesi. Dopo
aver dichiarato che alla sorella d'oltr'Alpe si
guarda per l'attaccamento ai suoi valori, alla
sua indipendenza, per le prospettive di rinnovamento politico e sociale, ha riaffermato la
necessità di rafforzare e consolidare tutti quei
rapporti che possano costituire un contributo
alla crescita della democrazia, della libertà e
del progresso.
Il professore Ribbe, uno dei primi e più convinti assertori del patto di gemellaggio fra
Guastalla e Forcalquier, dopo aver ricordato
che i primi approcci, tramite gli studenti del
Liceo Passerini, si erano avuti nel lontano 1976
e che sempre l'accoglienza e l'ospitalità guastallese si eran mostrate quanto mai cordiali e
sincere, ha invitato i Comitati a non perder
tempo e a mettere in contatto le rappresentanze ad ogni livello delle due cittadine. Ha così
concluso: aPer noi questa cerimonia ha un significato profondo: è un'offerta di amicizia,
un desiderio di conoscere i guastallesi e di simpatizzare con loro, una testimonianza della nostra volontà di abbattere le frontiere, la dimostrazione che l'unità europea non è una illusione, ma una autentica realtà che può garantire
al nostro vecchio continente un nuovo periodo
di pace e di prosperità in un mondo più giusto
e più umano,.
I due sindaci di Guastalla e Forcalquier hanno sottoscritto, infine,-il agiuramento, con il
quale si impegnano: adi mentenere legami
permanenti tra le municipalità delle nostre
città e di favorire in ogni campo gli scambi tra i
loro abitanti per sviluppare con una migliore
comprensione reciproca il sentimento vivo della fraternità europea;
- di congiungere i nostri sforzi per aiutare
nella piena misura dei nostri mezzi il successo
di questa impresa necessaria di pace e di prosperità, la fondazione dell'unità europea.
i libri
Giuseppe Usai
La riconversione industriale e le relazioni
impresa-ambiente in Europa
ISME, Cagliari, 1981
I1 saggio in oggetto, il primo di una collana
edita dall'Istituto di Studi Mezzogiorno d'Europa, propone una analisi dei reali contenuti
del problema della riconversione industriale
per evidenziare quanto siano illusorie e fuorvianti le apolitiche~in materia industriale poste in essere dagli Stati europei e dalla attuale
Comunità economica europea.
Uno dei punti di forza del saggio è, senza
dubbio, l'aver precisato che la riconversione industriale aimplica un processo decisionale complesso, che origina un processo gestionale diverso, articolato nello spazio e nei van' uspetti
dell'attivitd d'impresa in un tempo suffientemente ampio,.
Ciò significa che la ricoiiversione industriale
non può essere considerata solo per l'incidenza
che può avere nella singola impresa in dificoltà o in settori in crisi in quanto essa determina notevole influenza nel complessivo ambiente socio-economico del qu:de fa parte l'impresa
o il settore considerato.
La riconversione industriale va affrontata con
la consapevolezza degli eventi che ne hanno
.generato la necessità, che trascendono sia i confini della singola impresa, quanto quelli del
settore o dello Stato per effetto della progressiva e ormai generalizzata internazionalizzazione delle produzioni industriali.
I principali eventi di carattere mondiale, che
hanno portato alla crisi delle industrie, vengono analizzati nel paragrafo 2 del saggio.
In virtù delle relazioni esistenti fra l'impresa
e l'ambiente, l'A. evidenzia come non sia realistico affrontare il problema della riconversione industriale senza tener presente che a livello
mondiale sono in atto alcune iniziative che
tendono a far perdere la configurazione bipolare dell'assetto attuale del mondo. Si fa riferimento alla sempre crescente presenza, in alcuni settori industriali, di imprese di paesi africani e medio orientali e del maggiore attivismo
commerciale manifestato da paesi quali Argentina, Australia, Canada, Israele, Sud Africa,
senza dimenticare il ruolo che va assumendo
sulla scena mondiale lo sviluppo del Giappone.
Il processo di integrazione in atto fra alcuni
paesi dell'Europa occidentale è un ulteriore
sintomo del nuovo <ordine, che potrebbe assumere il contesto mondiale. Ma - scrive l'A. affinché l'Europa sia in grado di far fronte alla
grave crisi nella quale si trovano le imprese inserite nel proprio ambiente, è necessario che i
paesi della CEE superino la fase della unione
economico-doganale esistente tra loro per porre in essere una unione di tipo politico senza la
quale ogni azione per superare la attuale situazione di crisi industriale risulta vana.
La scarsa rilevanza che hanno assunto le iniziative della CEE in materia di politica industriale viene analizzata e commentata nel quarto paragrafo del saggio. In particolare, si evidenzia che la cosidetta politica industriale della
CEE si estrinseca, in prevalenza, su due linee di
intervento: la prima rivolta al acompletamen-
t o del
~ Mercato comune, e la seconda, alla realizzazione di alcune azioni relative a specifici
settori industriali.
Accanto alla inefficacia delle azioni comunitarie, si esamina, in un successivo paragrafo,
<l'inadeguatezza delle politiche di riconversione industriale dei paesi membri della CEE, e si
dà rilievo alla crescente incapacità degli stati
nazionali di fronteggiare, non solo situazioni
derivanti da motivi endogeni, ma anche eventi
di natura esogena. Ciò viene addebitato alla
preponderanza delle variabili internazionali
nell'ambito di ciascun sistema socio-economico, che impedisce agli astati nazionali europei di realizzare una efficace programmazione politico-democratica della loro economia e,
quindi, di dare una risposta efficace alle esigenze di riconversione industriale,.
In ambito europeo, l'unica via per far uscire
le imprese d d a grave situazione di crisi attuale, implica al'esigenza di realizzare il governo
politico dell'economia europea, complessivamente considerata, e ciò richiede evidentemente la formazione di una struttura di potere politico in Europa.
La realizzazione dell'unificazione politica
dell'Eurwa e, quindi, il governo dell'economia europea, sono indispensabili per far sì che
le imprese europee possano sperare di inserirsi
nei settori dell'elettronica, delle comunicazioni e dei trasporti, dellvinformatica,dei materiali speciali, dell'energia, cioè nei cosidetti
settori d'avanguardia, e, quindi, garantire un
futuro di sviluppo per l'industria europea.
Ernestina Giudici
COMUNI D'EUROPA
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ANNO XXM - N. 9
SEmMBRE 1981
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