3 Direz. e Redaz.: Piazza di Trevi, 86 00187 ROMA ANNO XXIX N. 9 Settembre 1981 Spedizione in abbonamento postale - Gruppo 111i70 - ORGANO MENSILE - D E L L ' AICCE. ASSOCIAZIONE dal quartiere alla regione per una Comunità europea federale UNITARIA DI COMUNI, PROVINCE, REGIONI la conclusione dei XI:V Stati generali del CCE Madrid: il salone del Palazzo di Cristallo alla <Casa del campo*. i Governi nazionali hanno largamente dimostrato la loro incapaatà di c o s t ~ r l'unione e economica e politica dell'Europa: i Poteri locali e regionali danno la loro fidiiaa al Parlamento europeo e alla sua iniziativa costituente. COMUNI D'EUROPA 2 Una assise positiva una preparazione partecipata e razionale un risultato coerente e avanzato un compito che attende i consigli comunali, provinciali, regionali La XIV edizione degli Stati generafi del CCE, svoltasi a Madtid, ha coinciso con una storica svolta del processo diiztegrazione europea - la decisione del 9 lugfio scorso da parte del Parlamento europeo di assumere veri e propripoteri costituenti - e non ha deluso. D'altra parte, poiche' non si può rdanciare economicamente, politicamente e istituzionafmente una Comunità che sia moribonh, se non morta, il CCE a Madtid ha afiontato con coraggio e decisione superiore a tutte le altre organizzazioni europeiste afcuni deiprincipali nodi della c h i comunitaria: ha ribadito che non c 'è politica di equilibrio regionale senza un ventaglio completo di politiche comuni, coordinate secondo un progetto; ha sottofineato che cardine di un sistema monetario europeo, di nuovo fermo aiserpente o gi5 di h, è la reafizzazione del Fondo europeo delle riserve; ha dichiarato senza esitazione che fondamentafe è portare il bilancio della Comunità a livelli adeguati. Nello stesso tempo, in u n momento in cui sono vivi ovunque i contrasti tra i governi e tra /e parti politiche sul problema della pace, gli Stati generaii di Madrid hanno con decisione affermato che la stessa esistenza dell'Europa unita, r> questo nostro mondo ormai irrevocabifmente multipolare, sarà un fattore di pace, sia in se' sia perche' potrà procurare un nuovo ordine economico internazionale piz2 razionale e pi2 giusto e, quindi, contribuire a una cogestione dei macropmblemi planetari nell'interesse di tutti. Le larghe e quafzficatepresenze europee e pi2 particolarmente itafiane - e fra queste quelle di autorevoli esponenti regionafi hanno dimostrato a Madrid tutta la sensibdità degli amministratoripi2 po liticizzati nel capire /o stretto legame tra una coerente e fattiva avanzata del/ 'Europa e una soluzione positiva dei cosidettiproblemi concreti locali. Insomma è stata una solenne smentita al qualunquismo di qualche amministratore, nomade e faccendiero, che ci acecusa di far troppa politica e partecipa, or qua or là, ai piedi dei monti e nelle assolate isole del Mediterraneo, a pensosi convegni sulle piccole cose di ognigiorno, che tormentano gli amministratori locali (veramente responsabili^. Il CCE non disattende le cose concrete, ma purtroppo si tifuta di essere il difensore disorganico di tutti gli interessi settod i che capitano, il rappresentante acritico della corporazione delle autonomie locafi e regionaii: esso difende (lo si è visto a Madri4 l'avvenire delle autonomie come momenti di una programmazione generale, europea, che cafpesterà molti interessi costituiti; che comporterà il recupero di tutte le categone emarginate; che costringerà il mondo delle imprese e quello del lavoro a un severo impegno e ad un grande sforzo di fantasia. Gli Stati generafi di M a d , credo possano rappresentare, per i p i 2 - avvertiti parlamentari europei, un motivo di soddisfazione ed un monito. La soddisfazione dovrebbe nascere h l constatare che l'unica organizzazione di massa dell'europeismo mili; tante, il CCE, appoggia sul temitono europeo, che li ha eletti, le loro mosse pi5 a u h i e sarà con essi, quando presenteranno dprogetto istituzionafe delllEuropa unita ai parlamenti nazionafi e al.'elettorato europeo. I/ monito dovrebbe derivare da// 'esigenza difare attenzione a non correr dietro alpullulare di organizzazioni europeefantomatiche e corporative - certamente in ogni caso non federaliste - di poteri locali e regionali, afpini o rivieraschi, interni o difrontiera, di cittadini A g l i occhi azzum o di fancide dai capelli corvini, e via &correndo, ma di aiutare seriamente la grande organizzazione unitaria delle autonomie, che è sempre stato e rimane il CCE, la cui vita è resa dficile proprio perche'vuole superare il momento settonde, coerente ad una strategia politica. Rimane un dubbio, che ci si propone frequentemente - e a torto - dopo gli Stati generali: che vaiore ha una grande parata come quella di Madrid, in cui migliaia di amministratori alternano la politica col tuiimo culturale, le tlrofuzioni politiche con i canti e le musiche? In realtà dietro l 'esterioritàdegli Statigenerafi c 'è una lunga preparazione, c a p h e , degli argomenti che vi si trattano, centinaia e migliaia di gemellaggi ove si a f i n t a n o van' aspetti dei problemi, convegni e seminani riunioni degli organi democratici nazionali e sovranazionafì del CCE, dffusione tipetuta e coordinata di testi e di documenti. D'altro canto le conclusioni degli Stati generaii trovano la loro verifica in una dffusione capillare dei loro risultati, che d CCE storicamente ha dimostrato di essere capace di reaiizzare: migliaia di Consigli comuna4 di enti intermedi e di regioni dibatteranno i riSOMMARIO Pag. Una assise positiva, di U. S. . . . . . . 2 La risoluzione politica . . . . . . . . . . . 3 La riunione della delegazione italiana in Campidoglio . . . . . . . . . . . 5 I1 direttivo del CCE, di G. M. . . . . 6 Pensiero e azione dei federalisti europei, a cura di Luciano Bolis . . . 7 I corsi CIFE di Aosta . . . . . . . . . . . . 8 Cronaca delle Istituzioni europee, di Belfiard . . . . . . . . . . . . . . . . . . 9 Mezzogiorno senza Europa, di Domenico Sabella . . . . . . . . . . . . . . 10 Federalismo e perequazione finanziaria della Germania occidentale (S. E. - U. S.) . . . . . . . . . . . . . . . l1 I1 coordinamento nella RFT tra Federazione e Lander nelle politiche comunitarie, di Si'd Esser . 13 La Jugoslavia, il Kosovo c l'Europa, di Pio Baissero . . . . . . . . . . . . . . . 15 Gemellaggio Guastalla-E'orcalquier 15 I libri, di Ernestina Giudici . . . . . . 16 Inserto: Relazioni internazionafi, nonnativa comunitaria e poteri delle Regioni, di Sergio M. Carbone ~ t t e m b r e1981 suftati di Madtid, centinaia e migliaia di seminari' ne discuteranno parola per paro la, nuovi quadri locali si andranno formando a f servizio della democrazia europea e del federalismo. L'autocntica fa sempre bene: il masochismo potrebbe essere tuttavia co@a grave. Il CCE dopo Madridpuò essere orgoglioso e sicuro di se: è una delle forze portanti dell'unità europea. Il fungo lavoro preparatorio, sia a livello nazionale che sovranazionale, deiXIV Statigenerali ha dato dei niultati politicamente assai soddisfaceenti, in un momento di svolta storica del processo di integrazione europea, cioè dopo la decisione del Parlamento europeo di darsi, di fatto, poten' costituenti, assumendosi il compito di redigere un progetto di trattato di Unione europea economica e politica, h sottoporre alla fine, direttamente, ai Parlamenti nazionali e agli elettori' europei in occasione delle seconde elezioni comunitarie a sufiagio universale. Ciò è avvenuto mentre taluni governi comunitari si sono cominciati a rendere conto, dq una parte, che non ci si può fermare afflEuropa dell'unione doganale, ma si deve procedere verso l'unione economica e socide (Mitterrand politica i n d u s t d e comune, spazio sociaie) e, hll'aftra, che si deve procedere da// 'integrazione economica a quella politica (dichiarazioni di Genscher e d i Colombo), anche se non si sono avute adeguate e coraggiose proposte istituzionali di tipo federale o prefederafe (dopo avere, infattti, sottolineato la acutezza del problema, se ne afida poi ancora una volta la soluzione a Vertici inconcludenti e incapaci di decidere e a segretatiah eurocratici, senza potere e senza controllo, quindi insieme ineficienti e antidemocraticd. In questa congiuntura il CCE a Madrid ha sposato, come doveva per coerenza alla sua stessa tradizione (appello di Esslingen sul Neckar per la Costituente Europea: 1955), la tesi pi2 avanzata del Parlamento europeo: ed ora dovrà accingersi a Are effetto sul campo alle conclusioni politiche dei XIV Stati generali. La posizione presa a Madtid, in fondo, è discesa' logicamente da quella già assunta afflAja (XTII Stati generali) ne// 'imminenza delle prime elezioni europee: ma in ogni caso ha sviluppato i risultati del.'Assemblea dei Delegati (che è il massimo organo di tutto il CCE) tenutasi a Roma nel marzo scorso e h cui hanno preso avvìo le refazioniper Madrid (di cuiparticolarmente & d a n t e e decisiva è risultata quella del nostro collega Piombino faticosamente e inteffigentemente costwita in un dialogo portato avanti con tutti gli organi dell'AICCE, Consiglio Nazionafe, Direzione ed Erecutivo: ma anche la relazione complementare del collega spagnolo Soto, sindaco di Vigo, ha avuto una chiara impostazione federalista). Il 15 lugfio a Roma il Consiglio Nazionale dell'AICCE ha espresso gli ultimi paren' sul contributo della nostra Sezione alla impostazione politica degli Stati generafi di Madrid, pareri che sono risultati unitari, cioè unanimi, e tutto il mese di agosto è stato impegnato in (conhnuazione a pag. >) s8iiembre 1981 COIIIUNI D'EUROPA 3 la risoluzione politica di Madrid difendere la Comunità contro il nazionalismo strisciante schierare decine di migliaia di Poteri locali e regionali a favore della costituente europea unire veramente l'Europa per cominciare a unire il mondo I rappresentanti dei Comuni, Dipartimenti, Province e Regioni, riuniti a Madrid, dal 23 al 26 settembre 1981, nel quadro dei XIV Stati genetali del Consiglio dei Comuni d'Europa, ascoltate le relazioni di Giancarlo Piombino e Manuel Soto: voce, gli Stati europei non hanno la capacità d'intervenire in queste controversie, proponendo soluzioni coerenti con i loro concetti di democrazia e di libertà, né di proporre la loro mediazione in un modo aedibile neli'interesse della pace. 1. Constatano, con inquietudine, le gravi incertezze che dominano sulla scena europea e mondiale: 2. Considerano che la solidarietà degli Stati democratici nella lotta contro il terrorismo è per loro un dovere preciso, che dev'essere dimostrato da tutti attraverso una concertazione permanente, che garantisca l'attuazione di prowedimenti concreti ed efficaci. Questa lotta comporta altresì la responsabilità delie Comunità locali e regionali, che devono contribuire, dal canto loro, con tutti i loro mezzi. a) incertezze economiche in primo luogo: sette anni dopo l'inizio della aisi, la Comunità e gli altri paesi deli'Europa occidentale hanno superato ampiamente la cifra di 9 milioni di disoccupati e molti degli Stati membri conoscono degli elevati tassi d'inflazione. Questa situazione incide sul liveilo di vita delie popolazioni europee, nel momento in cui ci si interroga sull'awenire industriale dei paesi europei e in cui la Comunità non è riuscita a risolvere i problemi strutturali deile sue regioni meno progredite; b) incertezze politiche in secondo luogo: in un mondo sempre più confuso e destabilizzato, gli Stati europei, che sono dipendenti per quanto riguatda il loro rifornimento di materie prime e strategiche, mantengono, aononostante, un approccio prettamente nazionale ai loro problemi di sicurezza e di politica estera. Lasciano il mondo in balia deile grandi potenze militari ed economiche, la cui logica non ha ancora permesso di cominciare a risolvere la tragica situazione di centinaia di milioni di esseri umani che soffrono e muoiono di fame e di soaosviluppo; C) incertezze aggravate proprio da queste ragioni anche sotto l'aspetto stesso del mantenimento della pace: eppure gli Stati europei sono i primi ed i più gravemente esposti nel caso di un conflitto tra l'Est e l'Ovest, la cui minaccia è permanente, se teniamo conto dei numerosi focolai esistenti nei diversi continenti. Nonostante ciò, non essendo strutturati in una Comunità politica e non potendo parlare con una sola 3. Riaffermano l'urgenza e la necessità di un progetto politico globale, coerente e audace per l'Europa, capace di mobilitare democraticamente le sue forze vive: l'Europa non può più indugiare a mettere in piedi gli strumenti deile politiche comuni, economica, monetaria, industriale, occupazionale, senza le quali non sarà in grado di sconfiggere la disoccupazione e l'inflazione, né di garantire una vera giustizia sociale sd'insieme del temtorio europeo. 4. Ricordano che, piuttosto di ricorrere a misure protezionistiche in&caci ed &ere, che producono inevitabilmente, a loro volta, misure di ritorsione, l'Europa ha bisogno di lanciare immediatamente un'ambiziosa politica comune di ricerca, mirante d o sviluppo di settori ad alta tecnologia, di aeare brevetti europei, di accumulare aknow-hows (a tale scopo deve esser fatto anche un vasto sforzo di formazione professionale a liveilo europeo) e di preparare così il proprio fùturo economico, specie industriale. 5. Riafferrnano la posizione costante del CCE in favore del secondo allargamento, senza altre condizioni che queile derivanti daii'adesione ai trattati, essendo prioritaria l'importanza politica generaie di questo COMUNI D'EUROPA 4 aiiargamento rispetto a qualsiasi altra considerazione. Per via dei loro vincoli storici con molte altre parti del mondo, la Spagna e il Portogallo potranno offrire un contributo prezioso alla espansione dei rapporti politici ed economici della Comunità con altri continenti. Chiedono un'entrata rapida deiia Spagna e del Portogallo neila Comunità, particolarmente per confermare l'ancoraggio di questi paesi neii'Europa democratica: la Comunità deve fornire senza indugio una risposta adeguata ai problemi economici e sociali reali, che pongono queste nuove adesioni. IÈ dovere dei comuni e delle regioni di contribuire attivamente al successo di quest'impresa e di rivolgere un appello pressante ai loro governi, affinché sia portata a buon fine a breve scadenza. La Comunità dimostrerà così al Terzo Mondo, riuscendo a riequilibrare l'Europa a partire dai Sud, la sua capacità di costruire con i paesi meno sviluppati del pianeta un nuovo ordine economico internazionale, in pari tempo equo ed d c a c e , che ponga lo sviluppo al primo posto fra le priorità di tutti. 6. Ricordano che la politica regionale europea condotta dal 1975 non è stata capace di raggiungere gli obiettivi fissati dal Preambolo e dall'art. 2 del Trattato di Roma. I vantaggi dell'integrazione non sono stati distribuiti equamente tra le regioni europee: tale obiettivo richiede autentiche politiche comuni, così come un maggior trasferimento di risorse comunitarie, aftinché gli interventi dei diversi fondi possano avere effetti acaesciuti di ridistribuzione. 7. Sottolineano che, per ottenere ciò, ci si trova davanti d'obbligo di superare la limitazione delle risorse proprie della Comunità e di dotarla finaimente di un bilancio sdiciente per gestire delle vere politiche comuni. da qualche aano la aeazione del (FEM) cardine del Sistema monetario curoFondo europeo delle p:in effetti hanno guardato con interesse alla proposta formulata in questo senso, per la prima volta pubblicamente, in occasione dellJultimo incontro di vertice fraiico-tedesco. 8. Ricordano che il CCE settembre 1981 9. Ma la capacità di bilancio non potrà funzionare senza la capacità politica: per mettere in atto finalmente vere politiche comuni, la Comunità deve liberarsi dalla paralisi, ritrovando i processi, che le permettano di prendere queiie decisioni urgenti che s'impongono. 10. Ciò comporta: a) l'applicazione integrale dei Trattati ed il rispetto deiie loro dausole da parte di tutti i governi senza alcuna eccezione, b) lo sviluppo del ruolo del Parlamento europeo, che deve poter cominciare a legiferare, C:) la aeazione di un Esecutivo comune, responsabile davanti al Parlamento europeo, d.) la progressiva tinuncia d a pratica del veto ed un ritorno alla regola della maggioranza nel seno del Consiglio. 11. L'allargamento dei poteri e delle risorse comunitarie è ormai possibile, dato che si può fare sotto il controllo della volontà popolare, democmticamente tradotta dal Parlamento europeo eletto a suffragio universale. 12. I1 CCE, una delle prime forze democratiche della costruzione europea, è pronto a dare tutto l'appoggio di cui è capace al lavoro costituente che ha preso le mosse il 9 luglio 1981 nel seno del Parlamento europeo a Smburgo. Esso si attende che quest'uitimo proponga ai Parlamenti nazionali ed ai cittadini europei, in occasione delle prossime elezioni europee, un progetto per l'Europa che corrisponda, finalmente, d e necessità economiche e politiche del momento e che permetta d'Europa di svolgere pienamente il suo ruolo per il rispetto dell'autodeterminazione dei popoli e la salvaguardia della pace mondiale. 13. Si a u g m che in questo progetto venga inclusa una Carta dei Dirim fondamentali, che l e g i t G e, COntemporalleamente, limiti gli atti conludtan di fronte ai cittadini ed alle comunità locali, tenendo conto delle Proposte che il CCE formuierà a questo riguardo. (approvata a farghissima maggioranza, 3 voti contrari, 4 astensioni) fa logica deffegrandipotenze mifitari edeconomiche impedlrce di vincere fame e sottosvifuppo del mondo gfi europei non possono parlare con una sofa voce e non sono quindi credibili quando offrono i foro servizi per fa pace solo un progetto gfobafepuò mobilitare /e forze vive d'Europa f 'affargamentodeffa Comunità non deve subire tiserve dovute a interessi costituiti, ma deve procedere per motivi pofitici e democratici, che sono pn'onfan' fa radicale soluzione degfi squifibn' nord-sud neffa Comunità europea è f'unico pegno deffanostra capacità di cooperare affasofuzione defprobfemanord-sudpfanetatio, ne/ quadro di un nuovo ordine economico internazionafe chi vuofe f 'equifibrioregionafe europeo, deve volere un bifancio europeo aw'eguato a gestire autentiche pofitiche comuni, agncofa, i n d u s t d e , monetaniz, di ricerca tecnofogica, diformaz,ione professionafe, occupazionafe non c'è unità economica senza un effettivo sistema monetatio europeo: e questo recfama i/ Fondo europeo deffe tiserve (comuni) ma occorre i/ safto di qualità istituzionafe: i/ 9 fugfio i/ P a r h e n t o europeo ha preso L'iniziativa e, mentre governi e mass media tacciono, Lavorerà, si nvofgeràai parlamenti nazionafi e aff'efettoratoeuropeo; i/ CCE f'appoggia; ifsuoprogetto dovrà essere di unione economica e politica, dovràprevsdere un Pariamento europeo fegiferante, un Consiglio dei Ministti-Senato degfiStati, un Governo europeo responsabifeai Parlamento europeo; a/ CCE i/ compito di suggetire gfi efementi per una Carta dei diritti e deffe Libertà sociafi. Gli Atti dei XIV Stati generali del CCE a Madrid E XIV saranno pubblicati in uno dei prossimi numeri settembre 1981 Una assise positiva (continuazione ah pag. 2) COIYIUNI D'EUROPA 5 In Campidoglio la riunione della delegazione italiana battito e all'approvazione dei Consigli comunali, provinciali, regionali. Una campagna in questo senso è stata decisa a livello di tutto il CCE e sarà realizzata particolarmente - oltre che in ItaiZa - in Francia, in Germania e nei Paesi del Benelux, dove possiamo contare su un massiccio e coerente intervento di tutti gli Enti locali t e h o d i democratici @iGproblematica,per diverse ragioni, si presenta la campagna in Irlanda, Gran Bretagna, Danimarca e Grecia). I niultati dei dibattiti consilian; che dovrebbero portare ala approvazione della risoluzione di Madrid e agli auspici relativi, sarà bene che siano tempestivamente fatti conoscere d a nostra Segretenà di Roma, ma anche, hettamente, d a Presidenza del Parlamento europeo e aiie Presidenze deiia Camera dei Deputati e del Senato italiani, fututi destinatan' del progetto deciso dal Parlamento europeo il 9 luglio. I/ CCE può, con questa campagna, dare una spinta d i grande nlievo alla costituzione dell'Europa dei Popoli, su base democratica e federahta, in u n momento in cui il ruolo dellJEuropaunita per /a pace e per un nuovo ordine economico e sociaie internazionaie dovrà riiultare decisivo. Il CCE svolgerà così anche un 'opera di.supplenza alla inadeguatezza davvero imperdonabile dei mass-media (naturalmente non si tratta solo di carenza professionale, ma anche di precise ragioni politico-struttura4 nell'informare gli eletton europei sui lavori del Parlamento europeo di Strasburgo. D 'aitro canto la storica aiieanza delle autonomie locaii con il livello democratico sovranazionah (quello ove potrà svolgersi una effettiva progammazione dello sviluppo europeo e decidersi una eficace realizzazione del progetto europeo contro la fame) troverà nel nostro impegno una solida rtionferma. U . S. neiie foto: (sopra) Gianfmco Martini, Gerolamo MecheU, Umberto Serafini, Mario Di Bartolomei, Alberto Benizoni, Mario Berti, Enzo Baldassi, Aurelio Dozio; (sotto) la Protomoteca gremita di delegati. In preparazione dei XIV Stati generali di Madrid, la presidenza del Consiglio regionale del Lazio, in collaborazione con la Sezione italiana del CCE, ha promosso un incontro, 1' 11 settembre, a Roma, nella Sala della Protomoteca in Campidoglio, di tutti i delegati italiani. Scopo dell'iniziativa era di aprire un franco dibattito sui contenuti delle quattro relazioni agli Stati generali, in particolare su quella redatta da Giancarlo Piombino, consigliere comunale di Arenzano e membro dell'esecutivo dell' AICCE sul tema: <I1Parlamento europeo, poteri e risorse comunitarie~,e di Otto Maier, segretario generale della Sezione austriaca del CCE, su: <Comunie regioni in una Europa federatau, anche per enucleare le tematiche principali. L'incontro è stato aperto dal presidente del Consiglio regionale del Lazio, Mario Di Bartolomei, e successivamente sono intervenuti tra gli altri il vicepresidente Girolamo Mechelli, l'assessore Alberto Di Segni, e il vice sindaco di Roma Alberto Benzoni. L'ampio dibattito sulla relazione Piombino, riassunta dall'autore, e sulla relazione Maier, illustrata (data l'assenza del relatore) dal vicepresidente dell' AICCE, Stelio De Carolis, è stato concluso dal segretario generale dell'AICCE, Gianfranco Martini. COMUNI D'EUROPA 6 direttivo del CCE I1 Comitato direttivo europeo del Consiglio dei Comuni d'Europa si è riunito a Parigi nei giorni 6 17 luglio nella sala Medicis del Senato francese con un denso ordine del giorno. Diamo una sintesi dei lavori perché in tale occasione sono stati affrontati temi e prese decisioni destinati a influire sulla futura attività dell'Associazione a livello europeo e delle sue singole sezioni nazionali. A pochi mesi di distanza dallo svolgimento dei XIV Stati generali di Madrid (23-26 settembre) era naturale che il Comitato direttivo riservasse alla preparazione politica di questa grande manifestazione (quella organizzativa aveva formato oggetto di una precedente, apposita riunione dei segretari generali delle varie sezioni nazionali) una particolare attenzione. Infatti i temi all'ordine del giorno della grande assise di Madrid, il particolare momento internazionale ed europeo, la sede prescelta per il suo svolgimento mentre pendono le trattative per il secondo allargamento della Comunità, tutto concorre a rendere questa edizione, degli Stati generali particolarmente rilevante non solo per i numerosi partecipanti (3.500 amministratori locali europei) ma anche per la Comunità europea, per le forze politiche e sociali e per l'opinione pubblica in genere. Ad un mese di distanza circa dagli Stati generali di Madrid avrà poi luogo, a Strasburgo dal 27 al 29 ottobre, la XV sessione del CPLRE (Conferenza dei Poteri locali e regionali europei) alla quale parteciperà, come di consueto, una qualificata delegazione italiana rappresentativa di comuni, province, regioni e comunità montane e delle varie forze politiche democratiche. Anche detta conferenza, per gli argomenti in discussione, richiederà dal Consiglio dei Comuni d'Europa una corretta valutazione dei suoi contenuti e degli obiettivi che si vogliono raggiungere: il Comitato direttivo del CCE ne ha iniziato l'esame nella riunione in oggetto. Sono state pure esaminate le conseguenze della recente creazione della Federazione spagnola dei comuni che costituisce anche la Sezione del CCE in Spagna. Essa apre nuove, favorevoli prospettive per l'azione della nostra Associazione in quel paese, si inserisce nel piano generale, nel suo rafforzamento e nella sua diffusione e costituisce, soprattutto per la Sezione italiana, la garanzia di trovare all'interno del CCE un nuovo interlocutore più sensibile a . problemi di ordine politico ed economico affi- Parigi ni a quelli italiani e quindi più disponibile ad un serio impegno di riequilibrio nord-sud della Comunità. Anche in Irlanda., il Consiglio dei Comuni d'Europa ha posto le basi per un rilancio della sua presenza mediainte un riuscito seminario di formazione europea per amministratori locali irlandesi, proinosso a Dublino nella primavera scorsa. Sul piano dei rapporti tra Consiglio dei Comuni d'Europa e Comunità europee, il Comitato direttivo si è occupato dell'attività e dei programmi di lavoro del Comitato consultivo delle istituzioni locali e regionali dei paesi membri della Comunità: è stata prevista una riunione del suo ubureauo alla ripresa post feriale che si occuperà, tra l'altro, dei nuovi orientamenti e proposte de:lla Commissione esecutiva della CEE in materia di politica regionale e della revisione del Fondo europeo di svi- Pubblichiamo ii testo diellJordine del giorno approvato dalla Giunta provinciale di Genova nella seduta del 30 luglio 1981 riguardante i XIV Stati generali del Consiglio dei Comuni d'Europa (Madrid, 23-26 settembre 1981), ai quali la Provincia di Genova ha poi partecipato con una delegazione rappresentativa e qualificata. L'iniziativa ci sembra esemplare perché contribuisce a portare all'esame e ai dibattito delle varie assemblee rappresentative locali temi e problemi che riguardano ii futuro della società europea, la sua organizzazione politicomonetaria, le linee di un'azione istituzionale adeguata ad affrontare con possibilità di succfiiso i problemi fondamentali dello sviiuppo dei nostri comuni, delle nostre province e delle nostre regioni in un quadro di solidarietà, <li libertà e di pace che dall'Europa deve ripercuotersi su tutto il contesto internazionale. settembre 1981 luppo regionale e analizzerà l'attuale funzionamento del Fondo sociale europeo in vista di un aggiornamento della sua regolamentazione prevista per l'anno 1982. Con il Parlamento europeo il Consiglio dei Comuni d'Europa mantiene un collegamento periodico attraverso l'lntergruppo degli eletti locali e regionali del Parlamento europeo. Esso si è occupato, nel giugno scorso, della situazione delle regioni di frontiera interne alla Comunità e della giusta rivendicazione dei lavoratori migranti di essere ammessi all'esercizio dei diritti elettorali attivi e passivi a livello comunale in tutto il territorio comunitario. In questo campo sono ancora evidenti perplessità e resistenze in alcuni Stati membri che confermano quale difficoltà incontri il cammino verso l'unificazione europea non solo a livello di governi ma, talvolta, anche in determinati ambienti e gruppi sociali. L'AICCE, come è noto, condivide pienamente queste as.pirazioni dei lavoratori migranti e proseguirà con varie iniziative il suo sforzo per tradurle in una soddisfacente normativa comunitaria e nazionale: anche di ciò si è discusso diffusamente nella riunione di Parigi. I lavori del Comitato direttivo si erano aperti con un dibattito generale sull'attuale situazione della Comunità europea e sulla necessità di effettuare reali e rapidi progressi sul piano dell'integrazione politica e istituzionale: i vari temi trattati nella riunione di Parigi, pur nella loro specificità, hanno confermato, ancora una volta, che questi progressi costituiscono una condizione non eludibile anche per la loro completa soluzione. G. M. P R O V I N C I A DI G E N O V A LR GIUNTA PROVINCIALE nel rimovere l'adesione ai XIV Stati Generali del Con siqlio dei Corouni d'Europa, che avranno luogo a Madrid dal 23 al' 26 settembre $981. COHDNIDE aezitutto la scelta della sede. quale sign' ficativ.3 richiamo sia alla preocmpante situnzinne .Wlltica aella Spagna, sia quale auspicio dell'ingrenso di quel ehese nella Comunita Europea. costituendo cosX un allergamento dell'atea comunitaria, can lo spoatamento %al baricentro verso eud, che oostituirebbe una opportuna integrazione tra paesi comunitari industrialXrratl e quelli mano sviluppati: mPRTm VIVO interi,sse al dibattito sul tema -Le A5 tononiie Locali a Regionali fondammto della demceraiia e unita polltica dell'C~ropa allaroatas; SI IHPEMR a partecipare con una delpgazlone ?apprese2 tativa e qualificata della Glunta e del Consi<~llo,con presenza atfiva ai lavori generali del Congresso, nonche a quelli specifici della I 6 X I Comissione; aUSPICA ehe il XXV Convegno degli Stati Generali 69 gni un ultetXore significativo p s s o avanti dell'azione svolte dal Consiglio dei Cm&?i d'Europa. nell'rntento 8 1 rafforzare i lejaml tra il Parlamento Europeo E la Cmunita, al fine di cootituiro utlo conveqenra i' dispensabile alla holuiione dei aravi pmblemi che affliggono tutti i Paeei comunitari: SI INPEGNA a eottoporre Le risultanze del Congresso al Conslglio ProVinciale onde stabilire attraverso u n a 5 pio dibattito come concretaniente operare in futuro< finchC i risultati del Congresso roedeiimo non r e s t i n c a livello di auspicio, ma siano indicazioni valide per l ' a s i m da svolgere. in una visione armnica della pg lztica delle Autoxornle locali e reaionali con la programmazione nazionale e cmunitaria, nai dlversi setto ri relativi *l10 eviluppo aocio-emnonica, cori parti=% lare riferim+nto ai problemi dell'industria, dell'ener via. della ricerca e della difcia dell'anhiente, perseguendo COSII l'obiettivo di. un'hiropa unita, capacedi affrontare. sulla base di una pclitica comune e d e n o o r ~ tica, i probiernl dello sviluppo equilibraLo, dcll'rrcc~ parlone, della pace. - - settembre 1981 COIiIIUNI D'EUROPA 7 deralismo in un campo ancora relativamente nuovo (anche se, ahimé, molto antico!), che però si affaccia oggi alla considerazione dell'osservatore obiettivo, quale noi vogliamo essere, in termini tali da condizionare tutto il resto. pensiero e azione dei federalisti europei L'insegnamento kantiano di Luciano Boiis te, di gestire la <:osapubblica in un momento come questo. Ma. se non vogliamo che la apolitic-, nel significato aristotelico del termine, cada e scada vieppiù nel giorno per giorno, bisognerà pur far spazio a chi sa e vuole guardar lontano e tener conto anche dei suoi segnali; perché se per spiccare un salto, pure in senso ideale, ci vuole un minimo di rincorsa, pochi momenti come questi sembrano dirci che ormai saltare è d'obbligo, se non si vuol semplicemente scomparire. In questo mare di invocazioni alla pace, certo tutte parimenti sincere, anche se variamente motivate a seconda dei presupposti particolari da cui ciascuno ritiene di dover partire, i fedePer il nostro essere uomini ancora prima che ralisti si fanno una volta di più portatori europei, ma anche proprio per le responsabilità dell'analisi che contraddistingue da sempre il che in questa ansiosa e incerta salvaguardia del- loro pensiero e la loro azione e che si compenla pace spettano in particolare all'Europa, è dia sostanzialmente nella condanna del concetforse giunto il momento di ricordare anche con to e della prassi, ormai del resto nettamente i fatti che tutta la filosofia federalista, sulla antistorici, di un mondo praticamente dissolto scorta dell'insegnamento kantiano, si basa pro- in una polvere di sedicenti assolute sovranità prio su questa esigenza di difendere e afferma- statali, le cui unità dovrebbero restare quelle re sopra ogni cosa i valori comuni dell'umanità che sono anziché unirsi in federazione, sia pure che si compendiano nel termine stesso di epa- attraverso tappe intermedie di cui la più importante ed urgente è certo quella che potrebce,, non solo come contrapposto a aguerra,, ma in quanto sinonimo di nuovo ordine politi- be darci anche in poco tempo il continente euco economico e sociale che appunto, per poter ropeo. In pratica, tra la rivendicazione ~utopistica, restare perpetuamente pacifico, non può che (da che pulpito vien la predica!) di un Carlo coincidere con la stessa dimensione mondiale. Cassola per un disarmo totale immediato anCe lo ha richiamato recentemente Albertini che su base unilaterale e, al polo opposto, la nel documento qui riprodotto (ula pace come rincorsa cieca al riarmo, che alla fine ci vedrebsupremo obiettivo della lotta politica), desti- be tutti ridotti senza fiato e comunque in connato forse a suscitare qualche dissenso negli dizioni d'inaccettabile sudditanza al maggiore ambienti dove le preoccupazioni dell'imme- alleato americario, esistono infinite posizioni diato e del aconcreto, tendono a prevalere, ma intermedie tra le quali si tratta soltanto di sacerto anche molti consensi nei numerosi settori per scegliere. Preceduti da una risoluzione di opinione pubblica che coinvolge, e in ogni dell'AICCE alcuni mesi addietro, i Federalisti caso discussioni di ampiezza corrispondente hanno fatto ora la loro scelta, naturalmente teall'importanza e alla novità dei temi trattati e nendo presente il carattere per sua natura podelle soluzioni prospettate. polare e progressista della loro ideologia, che a È infatti la prima volta che autorevoli voci me pare caratterizzata da un massimo d'idealifederaliste si levano espressamente a fissare una smo (il mondo di domani, ma non nella prolinea di intervento coordinato e preciso in que- spettativa di Huxley.. .) compatibile con un sti problemi, dove l'aspirazione generosa dei massimo di realismo (il mondo di oggi - pripacifisti e la prudenza, che si vuole per defini- mum vivere deiitde philosophare - ma non zione realistica, dei politici, rispondendo ad necessariamente quello della ascalata, precoesigenze diverse, se non opposte, sembrano de- nizzata da Haig.. .), nel senso di quel difficile stinate a non incontrarsi mai, seguendo proprie ma necessario equilibrio cui si faceva prima rilinee di sviluppo chiamate ad accentuare il re- ferimento. ciproco contrasto fino a farlo esplodere anche Riuscirà? Noil riuscirà? A parte che non ci in forme di esasperata polemica, come awenne sono alternative, se non una poco dignitosa poin Italia al momento della ratifica parlamentalitica dello struzzo, ci sono momenti, nella vita re del patto atlantico, di cui conservo personal- degli individui come in quella delle società, in mente precisa memoria. cui si deve saper prendere posizione almeno Perverrà ora la nuova presa di posizione fe- cinque minuti prima che sia troppo tardi; soderalista a conciliare l'inconciliabile, cioè prattutto, comc: in questo caso, quando sono un'indicazione valida per l'awenire con I'esi- gli avvenimenti stessi, di cui certo avremmo genza quotidiana del asoprawiveres? Le due fatto volentieri a meno, a imporci una via istanze appartengono a sfere diverse e le re- d'uscita e a non tollerare rinvii. I1 prevalente impegno sempre rivolto dai federalisti ai problemi della costruzione europea e in particolare l'appoggio incondizionato da loro concesso, con l'esito fortunato che conosciamo, all'iniziativa del Coccodrillo per una riforma urgente e radicale delle istituzioni comunitarie non poteva esimersi dal prestare orecchio al coro di proteste levatosi da molte parti contro la generale tendenza al potenziamento e alla proliferazione delle armi atomiche, con conseguente incombente pericolo di una distruzione totale dell'umanità, in ogni caso proprio della nostra Europa, sempre più diventata involontario terreno di scontri tra opposte tensioni. sponsabilità politiche dei federalisti non possono certo confondersi e tanto meno coincidere con quelle di chi porta il peso, non indifferen- Non si tratta quindi di travestirsi da «partigiani della paceb o di cambiare disco, ma semplicemente di far valere le potenzialità del fe- La pace come supremo obiettivo della lotta politica (1) 1. Con la duplice e drammatica decisione del governo americano di installare in Europa i missili Pershing e Cruise e di costruire la bomba N, che *comporta l'impiego di mezzi nucleari per contrastare mezzi convenzionali come i carri armati, gli USA hanno varcato la soglia della separazione tra guerra nucleare e guerra convenzionale,. Se gli europei accettassero questa scelta americana, l'idea di una guerra nucleare limitata al teatro europeo diventerebbe una ipotesi operativa della politica mondiale e quindi un rischio reale. Da sempre gli uomini hanno difeso la loro indipendenza e hanno garantito la loro sicurezza con le armi. Ma le armi nucleari, e a maggior ragione le armi che lo sviluppo incessante della tecnologia renderà possibile nel prossimo futuro, non hanno niente a che fare con i problemi tradizionali della difesa e della sicurezza perché implicano la distruzione del genere umano o, quanto meno, delle basi della civiltà, e quindi I'autodistruzione di tutti i belligeranti. Ciò nonostante tutti i governi continuano a progettare la politica estera sulla base dell'impiego delle massime forze distruttive che ciascuno può realizzare, come se le armi di oggi fossero le stesse di quelle di ieri. Questa situazione è assolutamente inaccettabile, non solo per il rischio che comporta, ma anche perché è in contraddizione con il fondamento stesso della morale. È venuto il momento di capire che se si accetta come un dato permanente della vita politica il rischio deliberato e intenzionale della guerra nucleare, la caduta nelle barbarie è inevitabile. In questo caso è infatti impossibile che abbiano ancora un senso l'educazione, il sentimento della solidarietà sociale e ogni valore civico e culturale. 2. Per eliminare il rischio della guerra nucleare non basta la distruzione delle armi nucleari già esistenti, ma occorre anche che divenga certa la possibilità di impedire a qualunque paese di prendere, in qualunque circostanza, la decisione di fabbricare armi di questo tipo. È un problema di potere che ha una sola soluzione: la democrazia internazionale. Non esiste altra soluzione perché la capacità tecnica di fabbricare queste armi esiste e non può essere eliminata; mentre si può, con un potere mondiale democratico che acquisisca il monopolio legale della forza fisica, prowedere alla sicurezza di tutti i paesi, controllare la produzione di ogni arma e impedire di diritto e di fatto la fabbricazione di tutte le armi che oltrepassino una soglia definita di pericolosità. Non (1) Questo documento è stato approvato all'unanimità dalla direzione del MFE riunitasi a Milano il 5 ottobre sotto la presidenza di Bolis, relatore Albertini. COMUNI D'EUROPA 8 è un'utopia questo potere, ma è un'utopia l'idea della soprawivenza del genere umano se non si impedisce ad ogni nazione l'uso delle armi che potrebbero distruggerlo e se le armi restano il solo mezzo con il quale gli stati possono garantire la loro sicurezza. Si tratta dunque di risolvere, con la democrazia internazionale, il problema del controllo degli aspetti militari della tecnologia nucleare e di ogni tecnologia del futuro di pari o maggiore pericolisità. Ogni altra soluziori-e è un mito. Non c'è nessun potere che possa fermare lo sviluppo tecnologico e quindi la capacità materiale di fabbricare armi nucleari. Nessun uomo di buona volontà, d'altra parte, dovrebbe proporsi uno scopo di questo genere che equivarrebbe a lasciare il terzo mondo nello stato attuale di povertà ed a impedire ogni progresso degli aspetti materiali della condizione umana. 3. L'unificazione delle tribù nella città-stato ha fatto cessare le guerre fra le tribù. L'unificazione delle città-stato nelle nazioni ha fatto cessare le guerre fra le città. L'unificazione delle nazioni in una federazione mondiale può far cessare le guerre fra le nazioni e realizzare la pace perpetua. I tempi sono maturi. Tutti i popoli della Terra si sono ormai costituiti in nazioni, e ovunque le nazioni cercano di raggrupparsi per assicurare il loro sviluppo economico e garantire la loro sicurezza. In Europa occidentale questo processo è già giunto a un punto nel quale, per la prima volta nella storia, i cittadini hanno il diritto di voto non solo nell'ambito della loro nazione, ma anche nell'ambito della loro associazione di nazioni: la Comunità. Un solo passo resta ancora da fare per completare in Europa il primo modello storico di democrazia internazionale: il governo europeo, che non richiede affatto, come vorrebbe la concezione arcaica della sovranità ancora prevalente, il sacrificio della indipendenza effettiva dei governi nazionali. L'Europa non è il mondo. Ma il sistema col quale si può governare l'Europa è lo stesso col quale si potrà governare il mondo e nulla impedisce di battersi sin da ora per estendere a tutto il mondo il sistema di governo della democrazia internazionale. Questo traguardo può essere lontano, ma bisogna tener presente che come con la lotta per l'unificazione europea si sono ottenute le prime forme di politica europea e la fine della rivalità militare fra i vecchi stati nazionali dell'Europa occidentale, allo stesso modo con la lotta per il governo mondiale si potranno ottenere le prime forme di politica mondiale e l'attenuazione, se non la fine, della rivalità militare fra tutti gli stati. Solo con questo orientamento si può superare la crisi dello stato che si manifesta ovunque, portando a termine la costruzione razionale dello stato, cioè facendo della statualità una forma universale articolata dal livello del quartiere e del comune, come sfera della solidarietà, a quello della nazione, come sfera dell'integrazione sociale, a quello mondiale, come vera comunità internazionale per la pace di tutti i popoli e la realizzazione della loro eguaglianza. 4. L'umanità non ha ancora saputo reagire di fronte alla minaccia della sua autodistruzione. Ripetutamente alcuni fra i maggiori uomi- ni di scienza e di religione hanno intrapreso campagne contro le armi nucleari, ma nonostante il loro solenne ammonimento la corsa a queste armi e al loro perfezionamento non è stata né fermata, né rallentata; e la protesta non ha mai assunto il carattere di una forza in crescita. Sino ad ora, chi si è battuto per il disarmo nucleare non è riuscito a influenzare il potere e chi si è battuto per il potere è rimasto prigioniero dell'equilibrio del terrore. Non resta dunque che una via: partecipare al processo del potere, perché altrimenti non si ottengono risultati concreti, rna con l'obiettivo ultimo della democrazia internazionale, per superare la situazione nella quale le armi sono ancora una necessità. Si tratta pertanto di scegliere ogni volta il male minore e solo il male minore compatibile con il progresso verso settembre 1981 l'obiettivo ultimo della democrazia internazionale, come premessa indispensabile per il disarmo universale. 5 . La lotta per la pace riguarda tutti gli uomini della Terra. Come europei ci compete il compito seguente. Dobbiamo tener presente che la sicurezza senza armi richiede la federazione mondiale. Dobbiamo tener presente che una difesa con le armi nella prospettiva dell'equilibrio delle forze non fa avanzare il processo verso la pace. Dobbiamo dunque percorrere una via nuova: una difesa che si collochi al di là della guerra. Si tratta di ridurre al minimo, se non a zero, i mezzi della guerra convenzionale, di predisporre la difesa popolare del territorio in funzione della resistenza nei confronti di un eventuale invasore con la disobbedienza civile e il i corsi CIFE di Aosta Federalismo, democrazia e autogestione I1 Centro I d i a n o d i Formazione Europea che costituisce la sezione, nel nostro paese, dell'omonimo centro internazionale con sede a Nizza, tiene ad Aosta da molti anni, nel periodo estivo, dei corsi residenziali su temi europei, alla cui organizzazione contribuisce anche la Regione autonoma della \Tal dlAosta il cui presidente Andrione ha dato frequenti testimonianze del suo impegno federalista. A questo seminario partecipano giovani di vari paesi della Comunità europea e talvolta anche provenienti da alcuni paesi extra europei con i quali detta Comunità ha un particolare rapporto di associazione in base alla Convenzione di Lomé. Lo scopo di questa iniziativa è di fornire, tramite un contatto più assiduo tra i partecipanti e tra questi e i docenti (appartenenti anch'essi a diverse nazionalità), un'aggiornata conoscenza della realtà europea e dei principali problemi politici, istituzionali, economici, sociali e culturali che caratterizzano questa fase dell'integrazione e dalla cui soluzione dipende I'auspicato rilancio della costruzione europea. Il CIFE è un organismo di ispirazione federalista e quindi, accanto all'informazione e al dibattito sui temi citati, i predetti corsi intendono fornire anche una più organica preparazione politica e culturale sui principi del federalismo, sulle sue esperienze storiche, sulle incidenze che l'applicazione della dottrina federalista può avere sull'organizzazione della società e delle istituzioni in un'Europa in cerca della sua unificazione. Per questi motivi sono evidenti gli stretti rapporti di collaborazione esistenti tra I'AICCE e il CIFE che hanno trovato numerose occasioni per concretarsi in iniziative comuni dirette costantemente a fornire una seria formazione europea nei vari ambiti sociali e, particolarmente, nel campo delle autonomie locali, della scuola e del mondo giovanile. Quest'anno la sessione era articolata nel mo- do seguente: un'analisi del federalismo americane e, più in generale, dei principi ai quali ogni esperienza storica del federalismo deve richiamarsi; le condizioni di una reale crescita del sistema democratico a livello comunale e regionale, con particolare riferimento ai problemi del regionalismo in alcuni paesi europei; i rapporti tra Comunità europea e Terzo mondo, collocati nel più ampio quadro delle relazioni anord-sud* e della ricerca di un nuovo ordine economico internazionale. Hanno tenuto i diversi corsi, tra gli altri, Ferdinand Kinsky, direttore generale del CIFE, Alexandre Marc che ne è stato il fondatore, i docenti Guy Heraud, Vlad Constantinesco, Francois Luchaire, Christian Anglade e Benounna, provenienti dalle università di Strasburgo, Essex, Rabat e il Ministro della Regione Vallona (Belgio), Jean Maurice Dehousse, nonché studiosi di problemi politici, sociali ed economici quali Riccardo Petrella, Marc Heim, Moday-Fletcher, Claude Nigoul e Jean Pierre Gouzy. Nel corso della sessione si sono svolti dei seminari ai quali hanno partecipato, dall'Italia, il segretario generale dell'AICCE, Gianfranco Mattini, che ha analizzato l'atteggiamento delle forze politiche e sindacali italiane di fronte al processo di democratizzazione europea, e il vice presidente del CIFE, Franco Bernstein, che ha trattato il tema: «Energia, ambiente e crescita». I partecipanti al corso hanno manifestato particolare interesse per il ruolo che le autonomi locali e le forze politiche che concorrono alla loro gestione politico-amministrativa sono chiamati a svolgere nel processo di integrazione europea al fine di contribuire ad un'Europa che, nella sua reale coesione politica e istituzionale, sappia rispettare le libertà e il pluralismo e articolarsi in diversi livelli istituzionali secondo i principi del federalismo. * * * settembre 1981 XXI COMUNI D'EUROPA Relazioni internazionali, normativa comunitaria e poteri delle Regioni di Sergio M. Carbone (') ordinario di dinito internazionale nella Università di Genova Quello delle relazioni tra Comunità europea e Regioni è u n tema obbligato per I'AICCE e per tutto il Consiglio dei Comuni d ' ~ u r o p a . Oggi si molt@licano gli studi, le analisi, k proposte per approfondire questo tema, per individuare le piiì corrette evoluzioni, per evidenziarne k implicazioni non s o b giuridiche e istituzionali, ma anche specificamente politiche; ma u n decennio fd, quando finalmente, dopo una lunga attesa, l'ordinamento regionaie cominciò a radicarsi in tutta la penisola e non solo in alcune Regioni aventi particolari carattenitiche, il problema sembrava a molti assai remoto, quasi un'invenzione a tavolino, stretta tra presunte preclusioni dei Trattati comunitan' e una persistente visione centralistica del nostro ordinamento interno. Ricordare che I'AICCE si è mossa con indubbia tempestività i n questo campo quasi inespbrato in linea con unapiiì generale strategia europea volta a d insen?e profondamente le autonomie t e d o n a l i nel processo d i integrazione e ad evidenziare i nessi naturali tra tendenze regionallrte e progressi verso h federazione europea, non significa rivendicare medaglie d i benemerenza o titoli di avanguardlrmo ma sottolineare dei precedenti che servano a spiegare il presente e il futuro della nostra Associazione e dei suoi rapporti con k Regioni italiane. Quando, nel 1974, nel corso della prima legidatura regionale ordinaria, I'AICCE, sorretta d d a competenza tecnica e dall'appoggio politico di esperti e d i eletti regionali, lanciava la proposta formale (ai sensi dell'art. 121 della Costituzione) di iniziativa regionale per dare veste istituzionale afla partec@azione delle Regioni a l a formazione (e non s o b all'attuazione) della normativa comunitaria nelle materie d i competenza regionale, essa metteva in moto u n meccanismo destinato a sollevare vasta eco negli ambienti politici, amministrativi e degli esperti d i dintto costituzionale e regionale. . . Quella proposta si arenò in Parhmento ma se ne riievarono le tracce nella proposta della Commissione Giannini conseguente alla legge n. 382, nei lavori della Commirsione parlamentare per le questioni regionali, in u n molt@liarsi di studi e dibattiti, nella iniziativa d i dar vita ad una conferenza permanente di Presidenti di Regioni, nel diregno dilegge i n corso per la sua istituzionalizzazione, nell'accresciuta attenzione rivolta a questo problema dalgoverno, specie tramite i Ministri per gli affan' regionali e per il coordinamento interno delle politiche comunitarie. Alla base d i quella proposta AICCE del 1974 c'erano l'impegno di studioso e la sensibilità politica del pro$ Sergio Carbone del quaie siam o lieti d i pubblicare - per cortese concessione della Rivista Aggiornamenti - Aktuell edita ddl'uficio studi della Regione Trentino Alto Adige - il saggio su aRelazioni internazionali, normativa comunitaria e poteri delle Regioniu; lo njeniamo uno strumento assai utile per fare , il punto di questioni ancora assai &?battute, per conoscere meglio ahune obiettive d f i c o l t à che il nostro impegno, al tempo stesso regionalista e d europeicta, incontra, per verificare il buon fondamento anche giun'dico delle nostre iniziative politiche in questo campo, per meglio comprendere il complesso intreccio di nuovi problemi 6 d i varie, contem/oranee ufedeltàu che ia Comunità europea continuamente alimenta. I/ saggio d i diarbone è utile in p n m o luogo per tutti coloro che hanno diretta responsabilità nelle Regioni, m a h sua lettura ci sembra ricca di potenziale riflessione per tutti coloro che considerano la Comunità europea non una entità esterna con la quale avviare rapporti diplomatici ma u n contesto, u n quadro di riferimento all'interno del quale ormai si muove, con le sue luci e con le sue ombre, il nostro paese e il suo complessivo ordinamento. 1. Le attività che implicano l'esercizio di funzioni tali da comportare rapporti con Paesi o organismi stranieri e da incidere sull'esercizio di funzioni relative agli affari del nostro Stato nei riguardi di tali Paesi o organismi esteri sono sicuramente precluse alle Regioni. È questo il senso che le circolari in proposito adottate dalla Presidenza del C:onsiglio dei Ministri (cfr. ad esempio la circolare 1. aprile 1978) ed un recente decreto del Presidente del Consiglio ( i l marzo 1980), pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 106 del 17 aprile 1980, hanno fornito all'articolo 4 del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 6 16, che riserva alla esclusiva competenza dello Stato l'esercizio delle fiinzioni, anche nelle materie trasferite o delegate alle Regioni, relative ai rapporti iriternazionali ed a quelli con le Comunità Europee. Nessuna incertezza quindi in merito alla correttezza di quanto afferma il citato Decreto del Presidente del Consiglio allorché ( i f ) precisa che ale Regioni non possono validamente stipulare con rappresentanti di Paesi esteri accordi, intese o altri atti formali a mezzo dei quali assumano impegni ovvero esprimano dichiarazioni o valutazioni afferenti alla politica nazionale». I1 che, però, non sta a significare che non sia almeno consentito alle Regioni lo svolgiimento della c.d. «attività promozionale~all'estero che, già secondo il disposto del citato art. 4, può essere svolta dalle Regioni, purché verta su materie di loro competenza e previa iritesa con il Governo il quale, nell'espletamento delle sue funzioni di indirizzo e coordinamento, ne garantisce I'unitarietà e la coerenza con l'azione stataleed in particolare con gli obiettivi della programmazione economica e del rispetto degli obblighi internazionali e comunitari. Questa, in sintesi, la posizione dell'ordinamento italiano con riguardo all'attività estera delle Regioni ed in particolare all'esercizio dei loro poteri (nelle materie ad esse conferite o delegate a sensi degli articoli 117 e 118 della Costituzione italiana) nei confronti di enti e soggetti esterni al nostro sistema costituzionale, posizione che trova la sua origine e la sua base normativa già nei primi statuti delle Regioni a statuto speciale. nella disciplina accolta dal legislatore delegato nel 1972 (se pur con riguardo alle varie tranches di competenza regionale) e già citata nell'art. 4 del D.P.R. 616 oltreché confermata a più riprese dalla Corte Cotituzionale (cfr. ad esempio le sentenza 170175 e 203174). Nessun dubbio, pertanto, che devono essere riservate agli organi centrali dello Stato le funzioni relative alle «relazioni internazionali, con conseguente esclusione della legittimazione degli organi regionali con riguardo a rapporti da cui possano derivare mutamenti nella situazione giuridica soggettiva, attiva e passiva, dello Stato quale membro della Comunità internazionale. Così, è ormai da tempo acquisito in dottri- (*) La particolare occasione della redazione del presente lavoro mi esime, così, da una completa indicazione di riferimenti bibliografici e giurispmdenziali per i quali mi sia consentito di rinviare alle citazioni riportate nei miei lavori: Il ruolo delle Regioni nella elaborazione e d attuazione degliatti comunitari', in .Foro i t . ~ 1973, . V , p. 41 ss. e Af- fari comunitari; competenze dello Stato e partecipazione regionde, in aRiv. dir. int. priv. proc.,, 1974, p. 58 ss. Tra i contributi più recenti vedi soprattutto STARACE, Comunità europee e rapporti tra Stato e Regioni. in ~Documentazione Regionale kisilicata e Puglia~,1975, n. 6, p . 32 ss.; TERESI, Modi e forme di intervento delle Regioni sulle politiche comunitarit:, in aLe Regioni,, 1975. p. 601 5 s . ; ID.,Gli Enti indipendenti degli Stati CEE davanti aileprospettive di Regioni europee, relazione al Convegno nazionale dell'unione degli avvocati degli enti pubblici (PalerProblemi e proposte concernenti i mo. 1977); VICARIO, rapporti tra le Regiotri, le istituzioni comunitane ed ilpotere centraie nazionale. in al1 Foro Amministrativo~,1973. 11, p. 509 ss. ; Mouvrnucci, Rapporti tra Stato e Regioni con riferimento aiie attività di rilievo internazionale, in aLe Regioni,, 1974, p. 353 ss. ; ID., The InternationalActivities Gianfranco Martini ofthe Itruiatl Regions, in aThe Italian Yearbook of Internationai Law~,1976, p . 201 ss.; L.C. (CONDOREILI), Treaty making power of the Itdian Regions, ibidem, p. 309 ss.; Le Regioni fia Stato e Comunifa locali. BoloBASSANINI, gna, 1976; LAWRJO,Problemi posti dalle relazioni tra le Regioni italhne e b Comunità economica europea, in CCOmuni d'Europa*, 1974, n. 2, p . 3 ss.; MALINTOPPI. I lombardi allaprima crociata: negoziati e preintese tra Milano e Mogadircio, in aRiv. Dir. I n t . ~ 1976, , p . 439 ss. ; BARTOLE. Atti e fatti (di nlevanza internazionaie) nei conflitti di attribuzione tra Stato e Regione. in eGiur. C o s t . ~ 1975, , p. 3 124 ss. ; LAPERGOU).,L 'rempirismo~nello studio dei slrtemi federali: a proposito di una teoria di Carl Friednch, Estratto dal volume: Studi in onore di Giuseppe Chiarelli. Milano, 1974, p . 1267 e ss.; MAGANZA, Autonomia regionale e attuazione delle n o n e comunitarie. in aRiv. dir. Notacriticaaila int. priv. proc.,, 1977, p . 819ss.; DIMORA. sentenza 170/71, in *Le Regioni,, 1975, p. 1164 e AA.VV., Le Regioniitahàne e l'Europa, Milano, 1976, e , da ultimo, CARETTI. Ordinamento comunitario e autonomiz regionaCommento d ' a r t . del le, Milano, 1979, e CONDOREILI, D. P. R. 616, in =I nuovi poteri delle Regioni e degli Enti locali*, Bologna, 1979. XXII na, e razionalizzato come indiscutibile, il principio in virtù del quale solo gli organi centrali dello Stato italiano (proprio in quanto stato unitario) sono competenti ad operare, nel quadro degli equilibri istituzionali previsti dalla nostra costituzione, con riguardo alla creazione, modifica ed estinzione di situazioni giuridiche soggettive internazionali. Più precisamente, come d'altronde è stato esattamente rilevato anche dai più strenui difensori delle autonomie regionali e dai più decisi oppositori dell'esercizio centralizzato dei poteri statali in materia internazionale (ad esempio, BERNARDINI), per quanto riguarda l'ordinamento italiano, lo Stato, come persona giuridica primaria (centralizzato ed unitariamente considerato), è sicuramente il titolare delle situazioni giuridiche soggettive che sorgono in virtù di norme internazionali. Esso solo, così, pone in essere attività con effetti obbligatori verso l'estero (e cioè nei confronti di altri soggetti internazionali) e attraverso i propri organi agisce giuridicamente nell'ordinamento internazionale. In breve, i rapporti nei quali si esprime il upotere estero, dello Stato appartengono al Governo che gestisce in via esclusiva, sotto il controllo ed in conformità all'indirizzo del Parlamento, le relazioni con i soggetti di diritto internazionale a tutela degli interessi necessariamente unitari (ed in alcun modo scomponibili o frazionabili) dell'intera comunità nazionale. Del che si ha puntuale conferma anche nelle esperienze costituzionali straniere degli stati federali ove, quanto meno in via di fatto, come è stato di recente osservato (LA PERGOLA), il potere estero è divenuto monopolio esclusivo degli organi centrali. Nessuno stupore e nessun dubbio, quindi, che anche nell'ambito del sistema comunitario, allorché vengono esercitate funzioni che implicano l'esercizio del potere estero dello Stato, siano soltanto il Governo e gli organi centrali dello Stato ad operare. Si tratta, soprattutto, delle attività che fanno capo al Consiglio europeo, al Consiglio dei ministri ed al Co.Re.Per. nell'ambito dei quali, come è noto, vengono svolte le funzioni normative di indirizzo politico del sistema comunitario. 2. Peraltro, il riconoscimento agli organi centrali dello Stato italiano dei poteri esclusivi nella determinazione degli atteggiamenti del nostro Paese nelle relazioni internazionali e nell'ambito del potere decisionale degli organi comunitari (ed a maggior ragione in sede internazionale) non esclude che le Regioni debbano influire, in modo assai vario, sugli indirizzi che i rappresentanti del Governo devono far valere nelle competenti sedi comunitarie e specialmente allorché si discutono problemi particolarmente importanti per lo sviluppo di alcune Regioni o relativi a materie di competenza esclusiva o concorrente degli organi regionali. Anzi. a questo proposito, non si può disconoscere che alcune scelte degli obiettivi da perseguire (oltreché la determinazione dei mezzi per tutelare gli interessi italiani) in sede comunitaria dovranno essere necessariamente coerenti con le posizioni evidenziate dalle varie Regioni. Né è possibile sostenere che al riguardo non rimangono più scelte da operare, essendo già fissati i principi relativi al funzionamen- COMUNI D'EUROQA to dei meccanismi comunitari che interessano le materie di competenza regionale. Infatti, è ben vero che le scelte politiche di fondo, le priorità ed i mezzi per la loro realizzazione sono in gran parte già fissati direttamente dal Trattato di Roma e, quindi, più nulla rimane da decidere in merito agli organi comunitari. Ma è altrettanto vero che, nel quadro delle indicazioni del Trattato di Roma, rimangono ancora da operare alcune scelte e, comunque, rimangono da attuare quelle indicate dal Trattato. Di tali scelte sono responsabili gli organi comunitari ed in particolare il Consiglio dei ministri delle Comunità al quale partecipa per l'Italia, come è noto, solamente il ministro titolare del dicastero della cui materia, volta a volta, si discute. Pertanto, appare naturale che in tale sede quest'ultimo debba attenersi non soltanto alle direttive del Governo, espresse sotto il controllo e secondo l'indirizzo del Parlamento, ma anche alle indicazioni delle Regioni. E quanto finora ho osservato, è bene dirlo subito, non contraddice, mia qualifica il perseguimento di una politica unitaria di fini e di obiettivi cui deve tendere lo Stato italiano in politica comunitaria. Infatti, in uno Stato pluralista l'unità dei fini e degli obiettivi non deve essere unilateralmente imposta dallo Stato-ente, ma deve risultare dal concorso e dal contributo (se pure in forma e con valori diversi) di tutti i soggetti, di tutti gli enti che operano nell'ordinamento ed in particolare delle Regioni in quanto centri di partecipazione e di promozione dell'attività stessa degli organi statali (GIANNINI). 3. L'esigenza ora accennata non sembra così contraddetta né dalla giurisprudenza della Corte Costituzionale relativa ai rapporti tra Stato e Regioni nelle materie internazionali né da quanto di recente disposto al riguardo dall'art. 4 del D.P.R. 616 dlel 1977. Infatti, è ben vero che la Corte Costituzionale ha a più riprese (ad esempio in occasione delle sentenze n. 32 del 1960, n. 2 1 del 1960, n. 138 e 142 del 1972 e n. 170 del 1975) affermato che gli enti regionali sono preposti alla tutela di interessi locali e sono carenti di rappresentatività degli interessi unitari del Paese con riferimento ai quali è possibile solo agli organi centrali di governo assumere impegni internazionalmente vincolanti (cfr. soprattutto le sentenze 211168 e 17011975). Ed è anche vero che l'art. 4, D.P.R. 61611977 ribadisce inequivocabilmente che sono assegnate allo Stato ule funzioni, anche nelle materie trasferite o delegate (alle Regioni), attinenti ai rapporti internazionali e con la Comunità Economica Europea, che sono addirittura parificate, sotto il profilo del loro esercizio unitario ed accentrato. a quelle relative alla sicurezza pubblica ed alla difesa nazionale, in tal modo evidenziando che si tratta necessariamente di funzioni spiccatainente unitarie sia perché di <indirizzo, sia perché di tutela di interessi chiaramente sopraordinati rispetto agli stessi ambiti regionali. Ma è altrettanto vero che gli indirizzi giurispmdenziali e normativi ora accennati hanno semplicemente ribadito l'impossibilità (già accennata all'inizio di questo lavoro) delle Regioni di espropriare, anche soltanto in parte, la ti- settembre 1981 tolarità delle competenze, il molo e la relativa responsabilità degl; organi dello Stato nell'assumere vincoli attraverso gli strumenti giuridici previsti dal diritto internazionale'e dall'ordinamento comunitario senza, però, escludere che esse possano incidere, almeno in qualche misura, nella formazione di quelle scelte politiche da rappresentare unitariamente verso l'esterno. Si tratta, infatti, molto più semplicemente, secondo uno schema che è stato ben definito (a proposito dell'esperienza di alcuni sistemi federali) come sistema dello Stato cooperativo (e cioè della cooperazione tra unità costitutive dello Stato con particolare riguardo ai rapporti delle Regioni tra loro e delle Regioni con lo Stato), di consentire alle Regioni di cooperare, almeno in qualche misura, con il Governo per definirne l'atteggiamento nei rapporti internazionali e comunitari attraverso modalità che devono almeno consistere nell'obbligo di acquisire preventivamente una esatta conoscenza delle concrete necessità delle singole Regioni sia attraverso la richiesta di un loro parere preventivo sia attraverso l'impiego dei meccanismi istituzionali e di fatto, in cui siano rappresentate le istanze regionali. D'altro canto, l'esattezza di questi ultimi rilievi risulta confermata anche da precise norme costituzionali. Si pensi, ad esempio, all'art. 52 dello Statuto sardo, il quale, come è noto, codificando una prassi informale di consultazioni tra Stato e autorità locali che ha dato buona prova nei sistemi anglosassoni (peraltro, più vocati all'empirismo dei sistemi continentali), prevede che «la Regione sia rappresentata nell'elaborazione di progetti di trattati di commercio che il Governo intenda stipulare con Stati terzi in quanto riguardino scambi di specifico interesse della Sardegna~.Né si rilevi al riguardo che si tratti di un zus singulare che non può essere generalizzato. Infatti, il principio di uguaglianza tra Regioni (alla stessa stregua di quello della collegialità della loro consultazione) non consente che una Regione (anche se a statuto speciale) sia in una posizione privilegiata rispetto alle altre nella cooperazione con lo Stato nell'esercizio del «potere esternou. D'altro canto, come vi sono obblighi espressi solamente in alcuni statuti, e non previsti direttamente dalla Costituzione o da altri statuti (come, ad esempio, il limite del rispetto degli obblighi internazionali), che si estendono automaticamente a tutte le Regioni; così vi sono diritti che operano immediatamente a favore di tutte le Regioni anche se previsti soltanto negli Statuti di alcune. Tanto che la riconosciuta applicabilità della regola ora ricordata dello Statuto sardo è stata estesa anche alle altre Regioni proprio in virtù del rilievo che la prassi della loro preventiva consultazione da parte del Governo nella conclusione ed elaborazione di impegni internazionali (e quindi, a maggior ragione, comunitari) risponde bene al nostro attuale assetto costituzionale e consente di giungere in forma semplice e piena (non contrastante con i principi fondamentali del nostro ordinamento) ad importanti risultati pratici. I1 che, tra l'altro, sembra chiaramente confermato, e non già contraddetto dal fatto, mai posto in discussione, che lo Stato è e deve essere il punto centrale di riferimento per ciò che concerne la politica settembre 1981 comunitaria ed il generale indirizzo programmatico. Infatti, se lo Stato-ente deve intendersi come centro degli interessi nazionali per le politiche comunitarie, è evidente che esso potrà funzionare come tale solamente in quanto ad esso possano fare effettivo riferimento tutti gli altri enti che nell'ambito dell'ordinamento interno sono responsabili dei relativi settori sottoposti alla disciplina comunitaria e, quindi, in modo particolare gli enti regionali. Tanto più che l'autonomia riconosciuta dalla Costituzione alle Regioni deve quanto meno consentire loro una capacità di esprimere effettivamente le esigenze di un gruppo localmente determinato e di avere i mezzi per affrontare e risolvere i problemi relativi al soddisfacimento di tali esigenze. 4. Eppure, nonostante gli accennati rilievi, lo Stato ha rivendicato in termini assoluti la propria competenza esclusiva anche all'elaborazione, e non solo alla titolarità, delle scelte relative all'esercizio del potere esterno (ed in particolare del potere nei confronti degli organi comunitari), non volendo che questa materia (ricompresa negli <affari esterni» o negli aaffari esteri») potesse in qualunque modo risentire della influenza regionale. Di questa impostazione fanno sicura fede sia i decreti delegati relativi all'iniziale trasferimento delle funzioni statali alle Regioni a Statuto ordinario sia la successiva sentenza n. 142 della Corte Costituzionale in cui si esclude espressamente qualunque potere delle Regioni nella fase di attuazione, e, a maggior ragione nella fase di elaborazione, degli atti comunitari. Tanto che, in occasione della presentazione del progetto di legge di attuazione delle direttive comunitarie in materia di agricoltura, il ministro Natali, nella sua relazione introduttiva (allorché affermava l'impossibilità di riconoscere alle Regioni un qualunque potere di integrazione normativa dei principi contenuti nelle direttive comunitarie in materia di agricoltura) rilevava che (una tale situazione doveva ritenersi inconfutabile proprio argomentando dal fatto che) alle Regioni non era consentito di incidere in alcun modo nella elaborazione delle politiche comunitarie. Si argomentava, infatti, che <se non è possibile alle Regioni partecipare all'elaborazione delle politiche comunitarie, sarà altrettanto precluso ad esse di realizzarne I'attuazione~. A questo preciso atteggiamento, del tutto negativo di ogni competenza regionale, ed apparentemente preclusivo di ogni sviluppo è seguito un almeno parziale, cambiamento di rotta che, in qualche modo, ha cercato di tenere conto delle istanze sempre più insistenti a favore delle posizioni e degli interessi delle Regioni. Queste istanze sono state, per la prima volta, accolte favorevolmente nell'ambito dei lavori di una commissione (presieduta dall'allora ministro delle Regioni on. Toros), la quale, in sede di elaborazione del progetto di legge sulla riorganizzazione della pubblica amministrazione e sull'ulteriore trasferimento dei poteri dello Stato alle Regioni (elaborazione che awe, niva parallelamente alla presentazione innanzi alle Camere del progetto Natali sulla attuazione delle direttive comunitarie in tema di agricoltura), non ha esitato ad accogliere principi, COMUNI D'EUROPA in virtù dei quali un preciso spazio politico deve essere garantito alle Regioni anche con riguardo agli impegni comunitari. Secondo tali principi, infatti, ora più o meno integralmente recepiti nel D.P.R. n. 616 del 24 luglio 1977, le funzioni amministrative e le corrispondenti attività normative relative all'applicazione dei regolamenti delle Comunità europee, ed all'attuazione delle sue direttive <fatte proprie dallo Stato con legge che indica espressamente le norme di priincipio» (secondo l'infelice dizione utilizzata nel D.P.R. 616), hanno da intendersi attribuite alle Regioni, anche se viene riservato al Governo, d n caso di accertata inattività degli organi regionali che comporti inadempimento ag1.i obblighi comunitari,, il potere di sostituirsi alla. Regione inadempiente, adottando i pro~wedimentinecessari. 11 che dovrebbe necessariamente comportare il conseguente riconoscimento di forme di partecipazione delle Regioni alla elaborazione della politica nazionale da far valere in sede comunitaria per garantire che le istanze regionalistiche non rimangano inascoltate anche nel momento decisiona.le delle <scelte comunitarie». Infatti, che un certo parallelismo debba essere garantito tra funzioni normativa ed amministrativa sul piano interno e (quanto meno, partecipazione) all'elaborazione relativa all'esercizio della corrispondente funzione sul piano esterno è fuori discussione anche al di là del ruolo assegnato alle Regioni nell'attuazione degli impegni comunitari dal D.P.R. 616. Tanto più se si considera che l'esercizio del upotere esterno, è talmente condizionante tutta l'attività delle Regioni, che si esige necessariamente come requisito di legittimità dell'azione normativa ed amministrativa regionale la sua conformità con gli impegni internazionali assunti dallo Stato (e tra questi in particolare con gli impegni comunitari). È chiaro, così, che, escludendo le Regioni da una partecipazione alle scelte relative agli impegni internazionali e comunitari assunti nelle materie ad esse attribuite ex art. 117 Cost., si verrebbe di fatto ad espropriarle completamente di interi settori di materie. D'altro canto che un sicuro parallelismo debba essere realizzato tra attività normativa ed amministrativa, da un lato, e corrispondente attività intern.azionale, dall'altro, è stato affermato, anche se a differente proposito, proprio nell'ambito dello stesso ordinamento comunitario. Infatti, a proposito,della ripartizione di competeaza tra Stati membri e Comunità, già in occasione del caso A.E.T.R. (in causa 22 170), e più di recente a proposito della deliberazione 14 novembre 1978 adottata a sensi dell'art. 103 Trattato C.E.E.A., la Corte di Giustizia ha chiaramente affermato la necessità di garantire una coerenza tra la competenza relativa ai rapporti internazionali che fanno capo alla Comunità ed i suoi poteri sul piano interno. E così, se su una certa materia sussiste un potere normativo interno che fa capo alle Comunità europee, alla stessa stregua dovrà essere loro garantita una competenza (concorrente o esclusiva rispetto agli Stati membri) sul piano dei rapporti internazionali. I1 che non può non valere (e a maggior ragione) anche con riguardo all'ordinamento italiano, pur 1x1 rispetto delle esigenze unitarie di XXIII cui l'art. 5 Cost. è chiara espressione, solo se si consideri che il nostro sistema costituzionale, in quanto pluralista, si differenzia e si caratterizza (rispetto ad esempio alla formula dello statalismo accentratore) in virtù del fatto che tende proprio a far emergere e contemperare le volontà politiche locali piuttosto che ad imporre la volontà dello Stato-ente sugli altri enti che operano nell'ambito del gruppo sociale. E da ciò l'esigenza di coinvolgere in modo effettivo le Regioni nel processo di formazione degli obiettivi e dei vincoli internazionali (ed, in particolare, comunitari), articolando adeguatamente il loro inserimento nelle relative scelte governative in occasione delle quali si dovrà, in ogni caso, riconoscere alle Regioni il ruolo di enti competenti a raccogliere, interpretare e canalizzare le esigenze ed i bisogni delle comunità territoriali che loro appartengono almeno con riferimento alle materie loro assegnate dall'art. 117 Cost. 5. In particolare, per quanto riguarda la determinazione delle forme e dei modi attraverso i quali le Regioni possono operare nel senso indicato nei paragrafi precedenti a proposito della elaborazione delle scelte del nostro paese da far valere in sede comunitaria, si potrebbe pensare all'obbligo da parte degli organi statali, preposti alla rappresentanza delle istanze nazionali, di acquisire preventivamente una esatta conoscenza delle concrete necessità ed aspettative delle Regioni attraverso la richiesta di un parere non vincolante. Tale soluzione è senz'altro conforme ad una prassi che si sta, sia pure stentatamente, affermando e che trova nel già citato art. 52 dello Statuto sardo, e di qualche altra Regione a statuto speciale, il più significativo riscontro normativo. E, forse per questo motivo, essa ha incontrato un certo favore anche in una parte della dottrina la quale non ha esitato ad affermare che questa forma di partecipazione delle Regioni alle decisioni politiche dello Stato in materia internazionale (ed in particolare in materia comunitaria) non solo è coerente, ma risponde perfettamente ai principi del nostro sistema costituzionale, consentendo di giungere in forma semplice e piana ad importanti risultati. Peraltro, l'esperienza vissuta dal nostro sistema, anche in settori diversi da quello in esame, sconsiglia l'adozione del modello partecipativo, ora accennato, che lascia, praticamente, ogni potere decisionale sulla opportunità, sui tempi e sul valore della consultazione regionale a quegli stessi organi statali che dovrebbero essere da tale parere influenzati nelle decisioni relative alla politica comunitaria. E la stessa attuazione pratica dell'art. 52 dello Statuto sardo (e delle altre norme di analogo contenuto che pur prevedono espressamente la preventiva consultazione e la partecipazione regionale a proposito della elaborazione delle decisioni di politica internazionale rilevanti per gli interessi regionali) rende evidente l'inefficacia di strumenti di questo tipo. È evidente, infatti, che la prassi delle consultazioni unilaterali e per settori si presta a manovre strumentali (e, comunque, non dà alcuna garanzia di continuità e sistematività) oltre a non permettere l'uguaglianza di trattamento delle varie Regioni e la collegialità dell'esercizio di tali loro funzioni XXIV nei riguardi del Governo. I1 che, invece, come già accennato nei paragrafi precedenti (spec. par. 3), è requisito indefettibile della corretta partecipazione regionale alle determinazioni governative rilevanti nelle relazioni internazionali. Più valida appare, pertanto, la ricerca di una soluzione del problema in esame attraverso la formazione di organi consultivi e deliberativi cui partecipino le rappresentanze di tutte le Regioni e gli stessi organi governativi volta a volta interessati alle scelte di politica comunitaria in discussione. Infatti, a favore di questa soluzione si era già espressa la Commisione parlamentare per le questioni regionali che ritenne, all'unanimità, ache, con separati provvedimenti, occorresse assicurare alle Regioni, i cui poteri nelle materie di loro competenza vengono limitati dalle decisioni comunitarie.. . la possibilità di partecipare ad organismi consultivi in cui si formi la volontà politica che deve essere espressa dal Governo in rappresentanza di tutti gli interessi nazionaliv. D'altronde, questo modo di realizzare la partecipazione regionale al funzionamento di organi centrali dello Stato non solo appare coerente a modelli costituzionali adottati in altri ordinamenti piire partecipi dell'esperienza comunitaria, ma non è neppure una novità assoluta per il nostro ordinamento. Basti pensare, infatti, per un verso, alla esperienza vissuta di recente dall'ordinamento della Germania Federale e per altro verso a quanto prevede l'art. 9 della L. 27 febbraio 1967 n. 48 (il quale dispone l'istituzione di una commissione interregionale per la discussione del programma economico nazionale) oppure alla disciplina dell'art. 28 L. 12 febbraio 1968 n. 132 (in cui si regola la composizione ed il funzionamento del Comitato nazionale per la programmazione ospedaliera cui partecipano, come è noto, tutti gli assessori regionali della sanità). COMUNI D'EUROPA attuazione degli atti normativi CEE (e degli accordi conclusi sotto I'egida comunitaria) in materia di rilevanza regionale oltreché la elaborazione delle direttive relative al funzionamento dei fondi comunitari di interesse regionale: e cioè, il fondo sociale europeo, il fondo regionale ed il Feoga. Ed infine, con una clausola residuale, si assegna alla competenza di tale Commissione ogni altra questione di politica comunitaria che possa avere una qualche incidenza sulle materie di spettanza regionale. La proposta di legge di iniziativa regionale ora accennata è molto articolata e non è il caso di entrare nel suo esame in t ~ ~ ti tdettagli. i Mi sembra. però, importante mettere ancora in rilievo che questa Commissione (nella quale, insieme ai presidenti delle Regioni devono partecipare, oltre al Presidente del Consiglio, anche i minisri degli Esteri e delle Regioni oltre a quelli volta a volta interessati ratione matenae agli argomenti in discussione) può adottare solamente dei pareri in ogni czjo non vincolanti per il Governo. Infatti, anche nel caso in cui la Commissione si esprima con la maggioranza dei due terzi contro la linea governativa, al Governo rimane sempre la possibilità di non seguire le linee direttive emerse in Commissione sia pure previo voto favorevolt: del Parlamento: in tal modo garantendo un corretto equilibrio istituzionale nei deiicati rapporti tra aautonomia politicau delle Regioni, attribuzioni governative e funzioni parlamentari. Né si dica che, vincolando in alcuni casi il Governo ad un determinato comportamento negli organi comunitari, se ne riduce l'efficacia dell'azione negli inevitabili negoziati che in tali sedi si instaurano. Infatti è evidente che il parere vincolante della Commissione e10 I'everituale determinazione parlamentare opereranno certamente con effetti non diversi da quelli assegnati alle adirettive parlamentariv anche esse, come è noto, a contenuto vincolante per il Governo. Così, alla stessa stregua di quanto si verifica 6. Non stupisce, pertanto, che, sulla scorta per tali adirettiveu, i pareri della Commissione delle sollecitazioni e delle esperienze di cui ai (anche se adottati a maggioranza qualificata) paragrafi precedenti (ed in difetto di una sede non vincolano in modo assoluto ed inderogabiistituzionale di incontro tra le Regioni e lo Sta- le il Governo. Quest'ultimo, infatti, essendo to prevista direttamente nel Titolo V della Co- organo dotato di propria responsabilità costitustituzione), alcune Regioni si sianc fatte pro- zionale nel determinare ed interpretare la sua motrici (ex art. 121 Cost.) di una proposta di politica, allorché motivi validi (eventualmente legge statale attraverso la quale razionalizzare sopravvenuti e neppure presi in considerazione (istituzionalizzandoli) in un organismo di dalla Commissione interregionale) lo inducano collaborazione-consuItazionei rapporti tra Go- a perseguire in altro modo l'interesse pubblico, verno e Regioni. In tale proposta (patrocinata potrà farlo dandone poi conto al Parlamento (suo organo istituzionale di controllo) il quale anche dall'Associazione italiana dei Comuni d'Europa) si prevede, in buona sostanza, la potrà utilizzare proprio in tale sede le asanzioni creazione di una commissione interregionale politicheu di cui dispone, ivi compresa la «sfida instaurarsi presso la presidenza del Consi- ducia. glio dei ministri, nell'ambito della quale doLo spirito, le scelte politiche ed il contenuto vrebbero essere dibattute e decise tutte le que- del disegno di legge di iniziativa regionale ora stioni di interesse regionale di rilevanza comu- descritto sono stati condivisi ed accolti integralnitaria, sia perché poste all'ordine del giorno mente nelle proposte cui è giunta la c.d. Commissione Giannini (cioè la commissione cui è dei vari organi comunitari (e soprattutto del Consiglio dei ministri) sia perché relative al- stato a suo tempo affidato il compito di elabol'attuazione nazionale di politiche comunita- rare la normativa di attuazione della legge 22 rie. In pratica cioè si vuole assegnare a questa luglio 1975, n. 382 sulla riorganizzazione della commissione sia la determinazione delle linee pubblica amministrazione) che ne ha affinato di condotta che il Governo dovrebbe adottare alcuni aspetti tecnici, proponendo, da un lato, nell'ambito del Consiglio dei ministri della l'integrazione della istituenda commissione consultiva interregionale cori la presenza del CEE, allorché è posto all'ordine del giorno un argomento di competenza regionale ex art. 117 Ministro del Bilancio e della programmazione Cost. sia l'esame dei disegni di legge statale in economica e del Presidente della commissione settembre 1981 parlamentare per le questioni regionali e dall'altro l'estensione della sua competenza ad ogni questione di politica comunitaria che abbia incidenza sulle materie attribuite alle Regioni. Tanto che da più parti (BASSANINI) si è addirittura immaginato di estendere ulteriormente i compiti della Commissione costituita presso la Presidenza del Consiglio anche al di là dei problemi di elaborazione ed attuazione delie politiche comunitarie al fine di farne uno strumento di raccordo e di consultazione permanente per tutte le questioni relative ai rapporti tra Governo e Regioni; in tal modo superando le critiche mosse da parte di quelli (ad esempio CARETTI) che si dicono preoccupati del proliferare di sedi in cui la partecipazione regionale trova espressione e del conseguente svuotamento sostanziale della partecipazione regionale diluita e stemperata in crescenti ed incontrollati canali di raccordo tra Regioni ed organi centrali. Così è lecito sperare che, al più presto, sia attraverso una legge di iniziativa parlamentare o governativa sia attraverso la approvazione del testo (eventualmente emendato nel senso da ultimo ricordato) della proposta di legge di iniziativa regionale innanzi accennata, si possa veder assegnato alle Regioni un minimo di spazio politico anche nella elaborazione delle politiche nazionali da far calare in sede comunitaria in mancanza del quale, come già accennato, la loro autonomia sarebbe gravemente compromessa. D'altro canto, in senso contrario all'approvazione della disciplina ora ricordata non sembrano ostare le critiche ntecniche)) e «di fondo)) che sono state di recente sollevate. Per quanto riguarda le prime, appare di poco pregio il rilievo per cui ala previsione di un parere della Commissione sui disegni di legge statale di attuazione degli atti comunitari sembrerebbe da intendersi come una adesione alla tesi che vuole riservata allo Stato la competenza a dare esecuzione in via legislativa agli atti suddetti o quanto meno una adesione alla tesi che intende subordinare in ogni caso l'intervento in materia del legislatore regionale al previo recepimento dei medesimi con legge dello Statou (CARETTi). Infatti, è evidente che la dizione del testo tende semplicemente a garantire la partecipazione regionale alla elaborazione normativa di quelle leggi statali (sicuramente ammissibili) che, da un lato, adeguano il nostro ordinamento ad atti comunitari la cui efficacia interna è condizionata ad un aordine di esecuzione~o ad una alegge di esecuzione)),oppure dall'altro, integrano, almeno con riguardo alle Regioni a Statuto ordinario ai principi))previsti in Regolamenti, direttive e decisioni comunitarie in funzione di esigenze di cui lo Stato, a vario titolo, è portatore esclusivo. I1 che certamente non pregiudica la soluzione del più complesso problema della diretta attuazione ed integrazione normativa da parte delle Regioni degli atti comunitari tipici ed atipici relativi a materia di loro competenza, come bene conferma l'incerta dizione dell'art. 6 del D.P.R. 616 e la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 86 11979. Per quanto riguarda le critiche «di fondo)),è stato soprattutto rile~atoche la soluzione della Commissione innanzi ricordata attribuisce all'Esecutivo il molo di interlocutore diretto e settembre 1981 privilegiato delle autonomie. I1 che rafforzerebbe indebitamente l'asse Governo-Regioni, accentuando I'emarginazione del Parlamento proprio in un settore dove questa è da sempre più marcata. In realtà, il raccordo RegioniGoverno appare il canale costituzionalmente più corretto per fare presenti le istanze regionali nella elaborazione delle politiche comunitarie non solo perchè il titolare del «potere estero» è appunto il Governo, se pur sotto il controllo e nell'ambito dell'indirizzo del Parlamento, ma anche perché è a quest'ultimo che fanno capo le esigenze unitarie del nostro ordinamento proprio nei confronti delle Regioni, solo se si ha presente che ad esso si riconducono le funzioni fondamentali di controllo dell'attività regionale. L'accennato modello organizzativo dei rapporti Regioni-Governo, è ben vero, non lascia spazio ad un diretto raccordo tra Parlamento e Regioni. Al riguardo, infatti, come già accennato, è previsto l'intervento del Parlamento solamente nel caso in cui il Governo intenda disattendere il parere della Commissione interregionale, allorché esso è vincolante perche adottato con la maggioranza qualificata dei due terzi. Né sembra possibile immaginare che possano essere proprio le Regioni, nella faticosa ricerca di un loro spazio politico nella elaborazione delle scelte governative in materia internazionale e comunitaria, a rivitalizzare il Parlamento nella sua funzione di controllo e direzione della <politica estera». Non si può infatti immaginare, per evidenti motivi di corretto esercizio dei poteri costituzionali dello Stato, una partecipazione di rappresentanti parlamentari alla descritta Commissione interregionale da instaurarsi presso la Presidenza del Consiglio. Al riguardo, se mai, il raccordo tra Parlamento e Regioni nelle questioni comunitarie, così come in molte altre materie, può essere utilmente realizzato solamente attraverso la presenza di rappresentanze regionali presso il Parlamento. Ed in proposito piuttosto che attraverso la partecipazione di delegati regionali alle Commissioni di cui all'art. 126 del Regolamento della Camera e all'art. 142 del Senato, oppure attraverso la facoltà di concedersi ad ogni Regione di proporre una terna di nomi dei componenti di una commissione interparlamentare tra i quali le Camere possono operare la scelta in modo da garantire che nella commissione sieda almeno un senatore, o un deputato, eletto in ciascuna Regione, appare possibile realizzare il raccordo tra Regioni e Parlamento attraverso rappresentanze regionali presso il Parlamento la cui attività potrebbe razionalizzarsi in organismi di consultazione continuativa e stabile che, anche per altre materie di interesse regionale, potrebbero essere abilitati a rilevare le implicazioni istituzionali delle leggi statali (e10 di qualsiasi iniziativa parlamentare) fin dalla fase della loro presentazione innanzi alle Commissioni parlamentari oltreché a far emergere le esigenze di interventi parlamentari. 7. Non meno tormentata e complessa della problematica ora esaminata è quella relativa alle relazioni delle Regioni con gli organi comu- COMUNI D'EUROPA nitari e con altri enti e10 organi degli Stati membri della CEE a proposito delle materie di cui all'art. 117 Cost. in funzione di evidenziare i propri interessi e di coordinare i rispettivi spazi di autonomia. xxv cui garantiscono maggiore efficicenza, incisività ed informazione. Invero, sin dai primi anni di concreto funzionamento delle Regioni a statuto ordinario, da più parti si è posto in rilievo che l'attività internazionale - ivi compresa quella comuniIn realtà, tali relazioni furono, almeno in un taria - copre anche un'area non sempre idenprimo momento, considerate come necessariatificabile con le relazioni interstatali (e pertanmente implicanti l'esercizio del «potere estero» to relativa a settori non necessariamente ricondello Stato e, pertanto, in ogni caso idonee di ducibili a soggetti primari dell'ordinamento per sé ad instaurare rapporti giuridici internainternazionale) in cui un certo spazio doveva zionali ed a far sorgere una responsabilità a canecessariamente riconoscersi all'autonomia rerico dello Stato che, quanto meno, non poteva gionale. non operarne uno stretto controllo. Così le attiTali argomenti, peraltro, sono stati espressavità ora accennate si sono inizialmente svolte mente contestati con circolari ministeriali assai solo di fatto (clandestinamente) oppure in una restrittive, anche se era evidente che dzlle attimisura assai limitata, previa autorizzazione govità ora ricordate non sorgevano né responsabivernativa, accordata, volta a volta, in funzione lità internazionali dello Stato né vincoli giuridelle esigenze del caso. Tanto che nella già cidici particolari in qualche modo rilevanti per tata circolare del 1. aprile 1978 si rilevava che, l'ordinamento internazionale. nei casi in cui sussista <un particolare interesse E tale tendenza sembrava trovare conferma delle Regioni a seguire talune pratiche, a formulare proposte e in genere ad essere tenute al in alcune importanti sentenze della Corte Cocorrente dei lavori degli organi comunitari per stituzionale estre2mamenteriduttive dei poteri quanto attiene ai settori attribuiti alla loro delle Regioni nell'esercizio, anche all'interno competenza, le eventuali informazioni e gli dell'ordinamento italiano, di attività di rileeventuali contatti che le Regioni dovessero as- vanza internazionale per le quali si ribadiva la sumere a tal fine potranno essere realizzati per esclusiva competenza statale. Solo all'inizio del 1976 si è notata una certa il tramite dei Ministeri competenti e del Ministero degli Affari esteri che presteranno tutta la inversione di tendenza. Da un lato, in un coloro collaborazione~.E più di recente nel ricor- municato stampa relativo ad un incontro tra il dato Decreto del Presidente del Consiglio 11 sottosegretario aeli esteri ed il Presidente della marzo 1980 si stabilisce (art. 4), addirittura, Regione Lombardia Golfari in cui si sottolineache d contatti con gli organismi della CEE che va, a proposito dell'importanza- adi allargare il siano resi necessari dalla trattazione di questio- respiro dei rapporti di amicizia tra Regioni e ni attinenti alle materie di competenza regio- Regioni di paesi diversi, l'esigenza che, seconnale sono svolti - stante la riserva di cui do quanto previsto dalla Costituzione, vengaall'art. 4 del citato decreto n. 616 - dalle Re- no fissate norme e procedure rivolte a contemgioni per il tramite dei Ministeri di volta in vol- perare la giusta ed autonoma iniziativa delle ta interessati i quali si awalgono, per il coordi- Regioni e la primaria ed irrinunciabile competenza dello Stato nel campo della politica estenamento, del Miriistero degli affari esteri. ra e degli accordi internazionali,. Dall'altro, in In tal modo, così, pare che il Governo miri un documento proveniente dalla Direzione ad escludere in modo tassativo I'istituzionalizGenerale degli Affari Politici del Ministero dezazione di talune procedure recentemente progli Esteri in cui si riconosceva ufficialmente la poste, ed attuate, attraverso le quali le Regioni legittimità dei contatti delle Regioni con gli orvengono a porsi come veri e propri interlocutogani comunitari (soprattutto con riguardo alla ri diretti delle Comunità sia individualmente elaborazione ed adozione di atti relativi alla sia attraverso Comitati di coordinamento per la politica agricola e regionale) oltreché l'esistentrattazione delle questioni che le riguardano. za di attività a respiro internazionale non neSi teme, infatti, che la creazione di una stmtcessariamente inquadrabili nelle <relazioni intura regionale parallela a quella dello Stato ternazionali~e come tali non necessariamente unitario possa far sì che problemi nazionali acquisibili alla competenza esclusiva dello Stapossano essere rappresentati da diversi organito. smi sotto diverse prospettive. Tali Comitati, in In realtà l'atteggiamento intransigente evirealtà, tendono ad omogeneizzare e rappresendenziato dal Ministero degli Esteri nelle precetare unitariamente la volontà delle Regioni, di denti circolari era almeno in parte giustificato cui pertanto non si può non tenere conto polidall'esigenza di garantire allo Stato un controlticamente, che spesso tende a collocarsi in una lo diretto su azioni potenzialmente idonee a posizione antagonista rispetto agli indirizzi creare responsabilità internazionale e10 a turunitari rappresent:ati dal Governo in sede comunitaria con evidente effetto negativo sulla bare o pregiudicare precise scelte di politica incredibilità di tali indirizzi e sulla loro efficacia ternazionale che alcune Regioni hanno assunto in occasione dei primi anni di loro attività. nei riguardi degli organi comunitari e degli alNon stupisce così il fatto che l'accennato tri partners comunitari. mutamento da parte del Ministero degli Esteri Ma. se l'atteggiamento ora accennato da sia intervenuto dopo che a più riprese la Corte parte della Presidenza del Consiglio dei mini- Costituzionale (cfr. soprattutto le sentenze n. stri appare giustificato, allorché la presenza re- 170175 e 203 / 74) e le stesse Regioni, sia pure gionale in sede comunitaria può, almeno po- in modo non suff~cientementeapprofondito, tenzialmente, confliggere con gli interessi sta- hanno ribadito chiaramente quanto il buon tali, non si legittima in alcun modo se viene senso, prima che precise norme giuridiche, neesteso a tutte le altre attività delle Regioni che cessariamente impone: e cioè, come già accensi pongono come solidali con l'attività statale nato all'inizio, che in ogni caso devono essere XXVI riservate agli organi centrali dello Stato le funzioni relative alle relazioni internazionali con conseguente esclusione della legittimità dell'azione di organi regionali da cui possano scaturire mutamenti nella situazione giuridica soggettiva, attiva e passiva, dello Stato quale membro della Comunità internazionale (così, esattamente, MALINTOPPI). Di tale mutamento (anche se a volte contraddetto da posizioni ufficiali che ancora risentono della originaria impostazione preclusiva di qualsiasi competenza regionale) si hanno chiari sintomi anche nella giurisprudenza del Consiglio di Stato. Una decisione particolarmente importante (n. 6761 1977) riguarda il riconoscimento della legittimità della spesa di una delegazione del Consiglio regionale lombardo in URSS (per trarne esperienza nella fase relativa alla strutturazione degli uffici regionali), nonostante che tale spesa fosse stata adottata in contrasto con le circolari ministeriali a contenuto restrittivo della attività regionale in virtù delle quali d prowedimenti che comportano spese derivanti da iniziative. .. in campo internazionale possono essere legittimi.. . soltanto se le iniziative.. . risultino preventivamente concordate con le competenti autorità centrali*. In proposito, infatti, il Consiglio di Stato non ha esitato ad osservare che «una circolare ministeriale non può introdurre cause di illegittimità non previste dalla legge ed in particolare non può prescrivere preventivi nullaosta per prowedimenti rietranti nella piena disponibilità degli organi regionali*, quali appunto dovevano ritenersi quelli dedotti in giudizio o in quanto inidonei ad instaurare uformali rapporti con Stati esteri od organismi internazionali~.E nello stesso senso, d'altro canto, è stata interpretata anche la sentenza 17011975 della Corte costituzionale dal cui contenuto si può rilevare che non sono precluse alle Regioni attività e contatti a livello internazionale, purché non rivolti a stabilire rapporti rilevanti per l'ordinamento internazionale o a condizionare la politica estera del Paese, essendo solo tali attività idonee a creare una vera e propria invasione dei poteri dello Stato da parte delle Regioni come tale giurisdizionalmente tutelabile (così, CONDORELLI e MORVIDUCCI). Nella direzione ora indicata, e nei limiti accennati, devono essere collocate anche le iniziative di quest'ultimo quinquennio in cui, tra l'altro, si è addivenuti alla istituzionalizzazione di un Comitato consultivo delle Regioni presso le Comunità (decisa dal Consiglio dei Comuni d'Europa nel giugno 1977) di un Comitato di coordinamento interregionale incaricato di approfondire i problemi (e di avanzare proposte nelle sedi competenti tramite gli opportuni strumenti di iniziativa) ed i rapporti tra assemblee regionali, parlamentari nazionali e comunitari oltreché di alcuni uffici incaricati, nell'ambito delle varie Regioni di esaminare l'attività regionale sotto il profilo (informando e tenendosi informati) degli aspetti comunitari che esse necessariamente coinvolgono. COMUNI D'EUROPA ziative statali o locali non sia opportuno. Ed in realtà già nella citata decisione del Consiglio di Stato si evidenzia la possibilità e l'opportunità di interventi da parte della Presidenza del Consiglio rivolti ad «impartire direttive perché eventuali iniziative delle Regioni all'estero formino oggetto di intese preventive anche al fine del coordinamento con altre iniziative, statali o locali, o comunque per facilitarne I'espletamento a mezzo delle nostre rappresentanze diplomatiche*, anche se al riguardo ci si preoccupa di avvertire che, in ogni caso, tali direttive si possono aaffidare, quanto all'adempimento, soltanto sulla correttezza delle Autorità regionali, senza avere cioè efficacia coercitiva~. L'accennata esigenza di coordinamento è addirittura recepita a livello normativo nell'art. 4 del D.P.R. 6161 1977, ove si stabilisce espressamente che «le regioni non possono svolgere all'estero attività promozionali relative alle materie di loro competenza :;e non previa intesa con il Governo e nell'ambito degli indirizzi e degli atti di coordinamento* di competenza del Governo. E tale esigenza è, poi, ulteriormente sviluppata in vari prowedimenti di cui vale la pena di ricordare il già citato Decreto del Presidente del Consiglio dell'ii marzo 1980 in cui, da un lato, si precisa (art. la) che per lo svolgimento di attività promozionale si deve provvedere alle relative comunicazioni alla Presidenza del Consiglio sin dal mese di settembre con riferimento all'anno seguente e, dall'altro, si ribadisce (art. lb) che nessuna iniziativa può essere attuata senza che il Governo abbia espresso la necessaria intesa. E d'altro canto, proprio in funzione di garantire tale coordinamento, è stato di recente istituito presso il Ministero degli Esteri un ufficio ad hoc con il compito di uassicurare il collegamento fra il Ministero degli Affa.ri Esteri da un lato e le Regioni nonché gli organi competenti del Governo centrale, dall'altro, ai fini dell'assistenza e del coordinamento delle attività che le autorità regionali irrtendoncs svolgere nei confronti di similari organismi stranieri*. I1 che appare già di per sé un importante risultato. In tale ambito, infatti, non solamente potrà realizzarsi quel coordinamento1 tra Regioni ed organi statali nel settore della promozione commerciale (intesa nel significato più ampio: e cioè anche nel senso, da un lato, di incoraggiare e far funzionare i consorzi, i centri di commercio estero a livello regionale e le associazioni tra imprenditori e, dall'altro, di fornire gli elementi orientativi e di sviluppo della domanda estera in collaborazione con l'I.C.E. ed il Ministero del Commercio Estero), ma anche in altri settori (come, ad esempio, l'emigrazione) che, pur riservati alla competenza esciusiva dello Stato, coinvolgono in modo particolarmente accentuato gli interessi regionali. Di tali aspetti, tra l'altro, si dà carico il già citato Decreto del Presidente del Consiglio che fornisce utili indirizzi integrativi per le attività promozionali sia nei settori dell'artigianato, dell'agricoltura, delle fiere e dei mercati sia nel settore del turismo e dell'industria alberghiera, tenendo con8. Peraltro, è bene dirlo subito, gli accennati to, e cercando di ottimizzare (ma in una visioprincipi che riconoscono la legittimità di alcu- ne statocentrica), le strutture organizzative atne iniziative regionali a respiro internazionale tualmente esistenti quali, ad esempio e comunitario non vogliono certamente signifi- l'E.N.I.T. In conclusione, quindi, le funzioni che atcare che un loro coordinamento con altre ini- settembre 1981 tengono ai rapporti internazionali e con la Comunità europea spettano allo Stato, essendo così precluso alle Regioni l'esercizio diretto di attività che provocano mutamenti nella situazione giuridica del nostro Paese quale membro della Comunità internazionale ed in particolare delle Comunità europee. Per converso, alle Regioni spettano tutte le iniziative relative a quell'area di attività relativa alle materie di loro competenza ex art. 117 e 118 Cost. che non sia identificabile con le vere e proprie relazioni internazionali e10 con I'instaurazione di veri e propri rapporti formali con Stati esteri od oganismi internazionali. I1 che sicuramente comprende le visite informative, I'attività promozionale relativamente ai settori turistici ed economici delle Regioni oltreché le indagini preliminari presso enti stranieri e10 organi comunitari rispetto ai quali le singole Regioni desiderano previamente coordinare le proprie scelte. 9. Nella prospettiva ora accennata è opportuno precisare, contrariamente a quanto è stato affermato in dottrina da parte di alcuni autori (ad esempio, ROMAGNOLI), che il diritto comunitario non sembra escludere in alcun modo dal suo ambito di operatività la presenza delle Regioni,' pur assegnando ad esse un ruolo secondario, e necessuiamente subordinato, rispetto ai urappresentanti degli Stati membri*. In realtà è ben vero che i Trattati di Roma non menzionano tra i soggetti interessati alla elaborazione ed attuazione del diritto comunitario le Regioni. Ed è altrettanto vero che gli stessi criteri di funzionamento degli organi comunitari molte volte escludono di per sé che le istanze relative a determinati interessi territoriali possano essere rappresentati diversamente che dagli organi centrali dello Stato. Ma ciò non esclude che si possano instaurare rapporti diretti fra Regioni e Comunità europea almeno nel senso che sia data la possibilità alle Regioni di colloquiare direttamente con gli organi comunitari, prospettando le esigenze ed i bisogni di cui esse sono portatrici e fornendo dati ed informazioni sulle rispettive situazioni socio-economiche. In questa direzione si è mosso l'ordinamento comunitario sin dall'istituzione delle Regioni a statuto ordinario. Tanto che autorevoli esponenti della Commissione (SCARASCIA - MUGNOZZA) non hanno esitato ad ammettere in più occasioni che unon passa giorno che dagli uffici della Comunità non passino Presidenti di Regioni, Assessori, funzionari che vengono per rendersi conto, per chiarire e per far sapere.. . oltreché per informarsi*. Non solo, ma l'importanza delle consultazioni delle autorità regionali, è stata recepita a livello comunitario anche in funzione di garanzia di efficacia e democraticità dell'azione CEE, utilizzando le capacità delle Regioni di esprimere immediatezza di bisogno ed il grado effettivo di sviluppo delle realtà locali dell'area comunitaria cui ricade, in misura sempre crescente soprattutto dopo l'entrata in vigore del D.P.R. 616, il compito di attuare concretamente le scelte contenute negli atti comunitari. Infatti, in un sistema che evolve nel senso di ordinamento aperto ai apopoli~(come dimostra la recente elezione a suffragio universale e diretto del Parlamento europeo) e, pertanto, settembre 1981 . contrapposto ad assetti istituzionali che privilegiano soltanto la posizione dei Governi (come invece si continua a verificare a proposito dell'ordinamento internazionale), appare evidente quanto proficuo possa essere I'inserimento delle autorità regionali nel funzionamento degli organismi comunitari se pur nei limiti già chiaramente tracciati dai Trattati istitutivi delle Comunità europee. Tanto che la consultazione istituzionalizzata e preventiva delle autorità regionali nelle materie di loro competenza è stata ripresa in alcuni atti comunitari con grande enfasi. Si pensi, ad esempio, che sin dal 1969 a proposito dell'organizzazione dei mezzi di azione della Comunità in materia di sviluppo regionale non si esitava a proporre una vera e propria consultazione a favore delle autorità regionali e delle associazioni regionali a carattere sovranazionale* assegnando alla Commissione ala facoltà di promuovere e sostenere i collegamenti tra enti regionali a livello comunitario nelle forme che riterrà appropriate,. Ed ancora è appena il caso di ricordare, con riguardo alla elaborazione della politica regionale della Comunità, che la Commissione ed il Parlamento europeo (cfr. da ultimo, le risoluzioni del 16 dicembre 1976 e 21 aprile 1977 oltreché il documento sui muovi orientamenti, in materia di politica regionale comunitaria) hanno sempre evidenziato l'esigenza di <raccoglieredirettamente le opinioni degli ambienti regionali interessati* e «di rendere obbligatoria la consultazione dei rappresentanti competenti delle Regioni nei casi in cui un programma comunitario di sviluppo le riguardi*. Tanto che, proprio relativamente alla politica regionale, già nella decisione del Consiglio 18 marzo 1975 (n. 185175). istitutiva del Comitato di politica regionale, si è ritenuto di non poter fare a meno di permettere a tale Comitato di espletare i suoi compiti «raccogliendole opi- COMUNI D'EUROPA nioni degli ambienti regionali», se pur dopo avere ottenuto l'assenso dei membri designati dallo Stato membro (art. 5). È ben vero che nell'esperienza attuale durànte il primo triennio di funzionamento del Comitato ora ricordato il coinvolgimento diretto delle autorità regionali è stato assai modesto. Ma proprio per evitare tale effetto, soprattutto allorchè sarà possibile enucleare almeno in parte una politica regionale ufuori quota*, da più parti si sono già avanzate proposte (ad esempio, da MARZANO) rivolte a modificare nella composizione (e ad un potenziamento nel molo) del Comitato di politica regionale nel quale dovrebbero essere inclusi in modo stabile rappresentanti delle realtà regionali interessate, scelti a seconda del tipo di organizzazione regionale dei vari Stati e attraverso accorpamenti di Regioni. Il che segue la linea di tendenza del sistema comunitario così come espressa a questo proposito sia nell'ambito delle Conferenze dei Ministri responsabili dell'assetto del territorio (ad esempio, a Roma nel 1970 ed a Bari nel 1976) sia nell'ambito della stessa Commissione, allorché si è evidenziata l'esigenza di <una strategia di sviluppo che integri in tutte le politiche della Comunità la dimensione territoriale dei problemi da risolvere* al fine di garantire una concreta verifica del funzionamento effettivamente democratico del sistema comunitario proprio attraverso la sua capacità di collegarsi istituzionaln~entecon gli enti regionali interessati all'applicazione delle politiche comunitarie. In breve, allo stato attuale della normativa comunitaria, la collaborazione delle Regioni all'attività degli organi della Comunità è consentita attraverso procedure informali oppure (in casi relativamente eccezionali) in forme non del tutto rispondenti alle reali esigenze di una effettiva partecipazione delle Regioni alla crea- zione di programmi che pure le riguardano direttamente. Peraltro, è sicuramente inesatto affermare che il sistema comunitario, per un verso, esige che gli Stati membri siano gli unici interlocutori della Comunità e, per altro verso, esclude la possibilità di creare organi nei quali la presenza delle Regioni, insieme ai rappresentanti dello Stato, possa validamente contribuire alla formazione di programmi comunitari soprattutto nei settori di particolare interesse regionale. Anzi è proprio vero il contrario. E cioè il sistema comunitario sta evolvendo verso forme di partecipazione sempre più diretta degli enti e degli organismi volta a volta interessati ai diversi prowedimenti. Tanto che da parte del Consiglio dei Comuni d'Europa si è addirittura avvertita l'esigenza di creare a livello europeo un ucomitato Consultivo degli Enti Regionali e locali dei nove Paesi membri,, il quale si ponga come interlocutore (ancora di fatto, ma con auspicabili sviluppi istituzionali) sia della Commissione sia del Parlamento europeo su tutti i temi di interesse regionale e locale. Di fronte ad una problematica così complessa vale la pena di concludere come a proposito dei possibili sviluppi della afunzione costituente, del Parlamento europeo negli assetti istituzionali delle Comunità europee ha di recente concluso MALINTOPPI: «I1 tempo e gli uomini diranno quale potrà essere il valore concreto di queste prospettive e determineranno, quindi, il confine fra la realtà e l'illusione. E a quell'eventuale realtà si volgeranno i giuristi per definire una nuova dimensione dei rapporti fra sistema comunitario e ordinamenti costituzionali degli Stati membri. Se, invece, I'illusione prevarrà sulla realtà, saranno gli storici a ricercare le cause di una occasione perduta,. Genova, ottobre 1980 SOCIETA' ITALIANA t PER L'ESERCIZIO TELEFONICO p. a. CON SEDE IN TORINO ASSEMBLEA ORDINARIA DEGLI AZIONISTI DEL lo GIUGNO 1981 DELIBERAZIONI DELL'ASSEMBLEA In data 1' giugno si 6 tenuta a Torino, in seconda convocazione, l'Assemblea Ordinaria della Societh, sotto la presidenza dell'ing. Ottorino Beltrami. L'Assemblea ha approvato la relazione del Consiglio di Amministrazione e il bilancio al 31.12.1980, dal quale - dopo I'accantonamento ad ammortamenti di 728 miliardi di lire (636 nel 1979) -risulta la perdita di 538,5 miliardi (che si sarebbe ridotta a 408 miliardi ove fosse stato tempestivamente approvato il noto disegno di legge della riduzione del canone di concessione dal 4,50°/o allo 0,50%: peraltro, di tale riduzione, anche per quota di competenza del 1980, dovrebbe beneficiare l'esercizio 1981). L'Assemblea ha deliberato di riportare la perdita al successivo esercizio. Il Presidente ha informato l'Assemblea in merito al complesso di provvedimenti emanati o in corso di emanazione al fine di assicurare il riequilibrio della gestione. In particolare, ha reso noto che - a seguito del conferimento di L. 1.750 miliardi al fondo di dotazione IRI, disposto con D.L. 14.5.1981, n. 209 - l'aumento di capitale sociale da 880 a 1.680 miliardi potrh avere compiuta esecuzione, non appena ottenute le richieste autorizzazioni; inoltre, ha illustrato i recenti provvedimenti relativi all'adeguamento delle tariffe telefoniche e all'istituzione di una cassa conguaglio nell'ambito del settore. Successivamente, l'Assemblea ha confermato, per acclamazione, nella qualith di Amministratore il Dott. Michele Principe (gih cooptato dal Consiglio di amministrazione). Infirie, l'Assemblea stessa, ai sensi degli artt. 2 e 19 del D.P.R. 31 marzo 1975, n. 136, ha conferito l'incarico per la revisione e la certificazione dei bilanci sociali alla Price Waterhouse s.a.s. di Renzo Latini a Co, per il triennio 1982-1983-1984,determinando il relativo corrispettivo. Il Consiglio di amministrazione, riunitosi dopo l'Assemblea, ha confermato Presidente della Societh I'ing. Ottorino Beltrami e Vice Presidenti il dott. Paolo Benzoni e il prof. ing. Carlo Mussa Ivaldi Vercelli. Amministratori Delegati sono il dott. Paolo Benzoni e il dott. Giuseppe Casetta. PRINCIPALI REALIZZAZIONI NEL 1980 (E INCREMENTI RISPETTO AL 1979) INVESTIMENTI - Isl di cui nel MEUOGIORNO 1.951,4 554,8 845.204 6,g0/o) ( 1.l 84.733 ( 6,5%) ( ( APPARECCHI ITALIA + + DENSITA' TELEFONICA (apparecchi x 100 abitanti) 781.833 5,8%) + ABBONATI COLLEGATI al 31 dicembre 1980 APPARECCHI I N SERVIZIO al 31 dicembre 1980 31 9.41 5 + 7,l '/o) 22,2 217.838 5,9%) ( + 3.792.520 ( 7,2%) 1. l 56.550 ( 7,5%) 1.311.977 ( + 6,3%) ( + 10,9%) 3.275 ( + 5,g0/0) 81 3 ( + 5,8%) 3.266 ( + 5,g0/0) 81 l ( + 5,e0/0) 13.016.757 3.508.496 19.277.025 4.801.O42 + TRAFFICO EXTRAURBANO (milioni di comunicazioni) di cui in teleselezione + 33,7 ( RETE INTERURBANA (Km circuito) 250.289 7,7%) + 657.702 settembre 1981 COMUNI D'EUROPA 9 Cronaca delle Istituzioni. europee L'Ewopa dei direttori': c'è una tema via per la sicurezza europea? 1. I1 pesante aggravamento della situazione internazionale negli ultimi mesi e le iniziative di politica militare degli USA hanno messo in evidenza, nel dibattito sull'Europa, i temi della politica estera e della sicurezza. Il abisogno di Europa e le riflessioni sui atempi e i modi, per il rilancio dell'unione politica hanno toccato recentemente ambienti e commentatori normalmente restii a prendere in considerazionepersino in teoria la prospettiva dell'unificazione europea: ci riferiamo fra gli altri agli interventi di Massimo Salvadori su a11 Mondo, (aè necessaria l'unità politica dell'Europa) e di Romano Ledda su aL'Unità~ (soccorre una rifondazione istituzionale della Comunitb). L'attivismo delle diplomazie europee e di alcuni ministri degli esteri si è così nuovamente indirizzato verso il rafforzamento della cooperazione politica, considerato lo strumento privilegiato per rafforzare il ruolo dell'Europa nel mondo e per far fronte, con risposte comuni, a problemi comuni della crisi internazionale. I ministri degli esteri, riuniti in conclave a Brocket Hall vicino Londra, hanno deciso di ampliare e approfondire la cooperazione politica europea; la Commissione europea parteciperà anche ad alcune riunioni informali dalle quali è attualmente esclusa; la cooperazione politica estenderà la propria competenza ai problemi della sicurezza, in maniera pragmatica e senza elaborare dottrine; le risoluzioni del Parlamento europeo richiameranno particolare attenzione da parte del Consiglio dei ministri. È evidentemente la via della cooperazione intergovernativache è stata di nuovo intrapresa dai governi dei Dieci, né del resto poteva essere altrimenti essendo tutta la fase di preparazione delle decisioni di Londra affidata ai direttori degli Affari politici dei ministeri degli Esteri. Mettendo da parte le vacuità di cene affermazioni e le decisioni prive di effetto pratico (che significa arichiamare particolare attenzione sulle risoluzioni del Parlamento europeo,?), gli orientamenti di Brocket Hall si iscrivono coerentemente nella strategia tracciata undici anni fa a Lussemburgo dal rapporto Davignon sulla cooperazione politica. Questo rapporto (adottato dai ministri degli esteri il 27 ottobre 1970) poneva le basi di una cooperazione aL di fuori deL quadro irtituzionaLe comunitatio nel campo della politica internazionale con l'obiettivo di armonizzare i punti di vista nazionali, concertare gli atteggiamenti e, se possibile e auspicabile, favorire azioni comuni. I capi di governo, dopo aver constatato (9 710 ottobre 1972) l'inizio soddisfacente della cooperazione politica, decidono di ampliare gli obiettivi della costruzione europea e di atrasformare entro iL 1980 l'insieme delle relazioni fra gli stati membri in una Unione europea. Dopo di allora il progetto dell'unione europea, come è noto, non ha fatto molti progressi nelle mani dei nostri uomini di governo e delle di Belliard amministrazioni iiaziondi e nel 1980 molti si sentono autorizza.ti a parlare di afiammentazione~della Comimità e non certo di Unione. I protagonisti d.ella cooperazione politica (i direttori) e commentatori particolarmente sensibili agli aspetti intergovernativi dell'integrazione europea (citiamo per tutti i documenti dell'IAI) ricordanto con particolare soddisfazione le decisioni comuni prese a partire dall'inizio degli anni '70. Ricordiainole: Rapporto comune sul Medio Oriente Progetto comune di mandato per la CSCE (Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa) Appello per il cessate il fuoco in Medio Oriente Documento sull'identità europea Apertura del Dialogo euro-arabo Dichiarazione di Ottawa (i progressi ulteriori verso l'unità che gli stati membri della Comunità sono determinati a fare dovranno avere un effetto benefico sul contributo alla difesa comune) Dichiarazione comune su Cipro Dichiarazione su Cipro e sulla CSCE Aldo Moro firma, a nome dei Nove, l'Atto finale della CSCE Mariano Riimor parla per la prima volta a nome dei Nove alle Nazioni Unite Dichiarazione sull'Africa australe Dichiarazione sulla situazione in Africa Dichiarazione sul Medio Oriente Dichiarazione sul trattato israeloegiziano Dichiarazione sull'Afghanistan, I rapidi mutamenti nella politica americana fanno sì che la sicurezza europea non è più vista oggi, automaticamente. nello stesso modo da Washington e dalle capitali europee: la politica americana non coincide più con le esigenze di una politica europea di sicurezza. Se questo è vero, sembra a noi che la scelta debba essere fatta fra tre vie, sulle quali già si vanno formando schieramenti precisi: a) il rafforzamento intergovernativo della cooperazione politica, esteso anche ai problemi della sicurezza. È la posizione assunta dai ministri degli esteri ed accettata dallo stesso Genscher che pure aveva puntato al rilancio dell'Unione politica ed oggi (discorso del 13 agosto, diffuso dalllAmbasciata a Roma della RFT) accantona le prospettive afederaliste,; b) il disarmo unilaterale (*) dell'Europa, come deterrente morale verso le grandi potenze. È la posizione di movimenti pacifisti in tutti i paesi europei, fatta propria recentemente con varianti che a noi paiono marginali da alcuni federalisti italiani e per ora accettata dalla Direzione nazionale del MFE (Milano, 5 settembre 1981); C) la rifondazione dell'ordine europeo, basata sulla creazione di un governo europeo, di una politica estera e di difesa comune, in parole semplici sulla costituzione dell'unione politica. È la posizione del Club del Coccodrillo, fatta propria dal Parlamento europeo il 9 luglio con il voto che lo ha di fatto trasformato in una Assemblea costituente. L'iniziativa costituente è stata fatta propria dall'UEF, dal Movimento europeo e, su sollecitazione dell'AICCE, dal CCE . 3. Torneremo nelle prossime cronache su questi tre punti, sviluppando il tema della difesa europea. (*) A nostro awiso Bclliard travisa la linea del MFE: del resto il lettore può giudicare (v. pag. 7 scgg., n.d.r.). Pensiero e azione Accanto alle niolte dichiarazioni, sarebbe (continuazione da pac. 7) opportuno ricordare le profonde divergenze fra i Nove in molti settori del dialogo Nord-Sud, sabotaggio, di sottoporre al potere democratico nel drammatico tema della politica militare a europeo la forza di dissuasione nucleare francocominciare dagli euro-missili, i direttori apicco- inglese e di non distruggerla fino a che non li, (Germania federale e Francia), amedi~(Ger- vengano distrutti gli stocks nucleari americano mania federale, Francia e Gran Bretagna) e e sovietico. In questo modo, la Comunità euro<grandi> (Germania federale, Francia, Gran pea, priva di forze convenzionali, non potrebBretagna ed Italia). be né fare una guerra offensiva, né accettare una guerra convenzionale, ma risulterebbe L'impressione che si deve trarre, osservando praticamente inattaccabile grazie alla sua disin modo disincantato lo straordinario attivismo suasione nucleare e alla sua dissuasione popoladei nostri rappresentanti diplomatici, è che abre e potrebbe usare la sua influenza internaziobondano le dichiarazioni comuni ma le azioni nale al fine ultimo del disarmo universale e al che seguono torna.no ad essere nazionali e non fine transitorio dello scioglimento dei blocchi coerenti con I'annonizzazione auspicata nelmilitari e della conseguente riduzione degli arl'ambito della cooperazione politica. mamenti, anche per destinare le risorse così ri2. Fin qui la storia della cooperazione poli- sparmiate allo sviluppo del terzo mondo. Per prepararsi ad esercitare questo ruolo, tica europea, in u.n periodo di relativa distensione internazionale. L'aggravamento della si- l'Europa deve in ogni caso, sin da ora, fare tuazione in settori delicati come il Mediterra- quanto può per arrestare la corsa attuale verso neo, il Medio oriente ed i paesi dell'Est ha fat- il riarmo, con il rifiuto degli euromissili e della to fare un salto di qualità al dibattito sul molo bomba N, e con la lotta per la ripresa del dialodell'Europa ed i problemi della sua sicurezza. go e della distensione. COMUNI D'EUROPA Mezzogiorno senza huropa, di Domenico Sabella Dall'll al 2 1 settembre, inaugurata dal Presidente del Consiglio e conclusa alla presenza del Capo dello Stato, la Fiera del Levante ha presentato la XLV edizione della sua campionaria generale. Oltre i tradizionali settori specializzati dell'Agri-Levante e dell'Edi1Levante, al loro dodicesimo anno, nonché del Salone per l'Ufficio Moderno (SUM) al terzo anno, la novità della quarantacinquesima è stata quella di tre nuovi comparti specializzati: i saloni dell'alimentazione, vini e liquori; della movimentazione; della meccanica e macchine utensili. È, se si si vuole, una indicazione allo stimolo dell'agricoltura specializzata e alla trasformazione e commercializzazionedei relativi prodotti, affiancati da piccole e medie aziende industriali, che dovrebbero costituire il tessuto connettivo dell'autonomo sviluppo del Mezzogiorno. . I1 numero dcgli espositori si è mantenuto elevato: poco meno di novemila, come altrettanto nutrita la presenza ufficiale di paesi esteri, quasi cinquanta da tutti i continenti: dalla Repubblica ~ i n e s ee dalle Filippine al Brasile, Messico, Uruguay. Significativa e quasi al completo la presenza dei Paesi dell'area medioorientale: Egitto, Giordania, Libano. Iraq; assenti da qualche anno, dopo una pluridecennale fedele partecipazione, la Siria e l'Iran. Dei Dieci della Comunità europea erano rappresentati il Belgio, la Danimarca, la Francia e la Repubblica federale di Germania. Una decina i paesi africani. In complesso e nonostante la lunga crisi che investe tutti i continenti, l'interesse del mondo per l'area mediterranea e per Bari come polo primario di incontri e di scambio sembra confermato, anche se le drammatiche incertezze che gravano sull'orizzonte internazionale, non potevano non riflettersi, come in un microcosmo, sulla realtà fieristica. L'indice della Borsa affari, il movimento delle contrattazioni, gli incontri di delegazioni commerciali e di operatori in genere che eravamo abituati a vedere elevati e vivaci, quest'anno hanno segnato un ristagno di perplessità. Com'è ormai tradizione consolidata da più decenni, la Campionaria barese ha una sua funzione specifica conquistata anno dopo anno, a partire dall'immediato dopoguerra, con le iniziative degli incontri che si svolgono non solo durante la manifestazione di settembre: oltre l'aspetto merceologico, essa tende a rappresentare la coscienza critica del Mezzogiorno e dell'impegno allo sviluppo che vi si persegue, al punto che non poche delle idee e delle indicazioni emerse nell'ambito fieristico si sono tradotte in realtà operanti. Altrettanto dicasi delle contraddizioni, delle strozzature vecchie e nuove, delle incertezze, dei velleitarismi e, perchè no? anche delle misere questioni di mero potere che, specie in questi ultimi anni, sono emerse malamente mascherate da verbosità più o meno paludata da smanie aprogressiste~ o di arifondazione,, come oggi usa dire, ma che, in fondo, svelano gli schemi preconcetti della faziosità che non è mai costruttiva. Emblematico a tale proposito il tema stesso della tradizionale <Giornata: Le contraddizioni del Mezzogiorno di oggi: unitarietà e diversrficazione di prospettive e di politiche. E così si è esordito nel segnalare l'incertezza del diritto nella legislazione per il Mezzogiorno che, alleandosi con l'elefantiasi burocratica, non manca di vanificare gli incentivi e scoraggiare le iniziative. Come leit motizl degli squilibri ricorreva la similitudine dello sviluppo aa pelle di ieopardo~;si è insistito sulla telematica e sull'elettronica, sulla riconvcrsione delle fonti di energia verso il carbone e. il nucleare; sulla disoccupazione e sull'eventuale toccasana della riduzione delle ore settimanali di lavoro; sull'agricoltura sacrificata, sull'emigrazione e lo spopolamento dei centri rurali. Non poteva mancare la perorazione appassionata che ai1 nuovo Stato è lo Stato delle autonomie, e ale Regioni, piaccia o non piaccia, sono una realtà attraverso la quale deve passare la politica meridionalisticrw; quindi ala Cassa deve obbedire alla logica della programmazione concertata fra Stato e Regioni e deve essere perciò solo una agenzia di progettazione,. Qualche altro ha riesumato l'ipotesi della Cassa come abanca delle Regioni,. Owiamente c'è da osservare, ed è stato affermato durante il dibattito, che la Cassa è lo strumento attraverso il quale lo Stato interviene nello sviluppo del Mezzogiorno per una più efficiente politica degli interventi straordinari. Farne una <Agenzia, o abanca delle Regioni, non sarebbe una soluzione riduttiva del dovere che ha lo Stato nel conseguire l'unificazione economica del Paese, predisponendo i suoi complessi interventi straordinari, aggiuntivi? Non sarebbe più produttivo che i banchieri facciano i banchieri e la Cassa anziché operare come sportello fosse invece alleggerita dalle competenze per la concessione degli incentivi che si sono sovrapposti alle competenze degli ingegneri e degli agronomi che non possono trasformarsi in banchieri? L.a Cassa si è appesantita, gonfiata anche di un'altra competenza che spetterebbe alle Regioni e pare che le Regioni non siano nelle condizioni di assumerla. Vogliamo dire della gestione delle cinquantamila opere già completate e delle altre trentottomila in via di completamento, gestione che attualmente assorbe 1'80% dell'attività della Cassa. Alla fine il Ministro per il Mezzogiorno ha concluso i lavori sottolineando che il governo, avendo posto il apatto meridionalistico~come contenuto reale del apatto antinflazione,, dimostra di aver collocato il Mezzogiorno non solo al centro dei problemi, ma delle prospettive del Paese con l'intento di organizzare la manovra di rientro dell'inflazione intorno ad una chiara ipotesi di risanamento e sviluppo dell'economia nazionale. Ha tracciato quindi un rapido quadro della nuova normativa per il Mezzogiorno che contempla innanzitutto una necessaria armonizzazione dei vari ruoli affinché ogni azione possa risultare sinergica alle altre. Ciò non significa sacrificare la differenziazione tra aree metropolitane, aree interne, zona terremotata ecc. A proposito di questa settembre 1981 area, i nuovi istituti e le nuove prassi che si stanno sperimentando, potranno fornire al legislatore utili indicazioni. I1 nuovo programma pluriennale straordinario sarà finanziato per dieci anni. I soggetti dell'intervento saranno, a pari titolo, Stato e Regioni; le decisioni del CIPE; la proposta del Ministro per il Mezzogiorno, sentite le Regioni meridionali. I progetti saranno attuati mediante accordi di programmi tra soggetti pubblici interessati alla loro realizzazione. È prevista la costituzione di una Azienda per il riequilibrio territoriale e per lo sviluppo del Mezzogiorno al servizio delle Regioni e dello Stato, con compiti esclusivamente di progettazione e di realizzazione, con struttura non burocratica, massima autonomia amministrativa, patrimoniale, contabile e finanziaria. Alle Regioni spetterà il passaggio delle opere già realizzate e ora gestite dalla Cassa e il completamento delle opere in corso di attuazione, non incluse in progetti speciali. I Comuni, le Comunità montane e i Consorzi fra Enti locali ed Enti territoriali potranno affidare, nel quadro degli interventi per l'attuazione dei progetti interregionali, la progettazione, la gestione e la manutenzione di opere ed impianti ad imprese specializzate, ricevendo dallo Stato adeguati contributi finanziari a tempo definito. Gli Enti collegati saranno ristrutturati mediante accorpamento e riordino di partecipazioni verso Enti funzionali all'intervento straordinario nell'agricoltura, nella promozione industriale e diffusione delle tecnologie e nel turismo. Siano consentite alcune osservazioni. La TBC dell'inflazione per incidens è stata qualche volta evocata; ma sia perché non era quella la sede adatta, sia perché la si voleva forse esorcizzare, ha fatto la parte dell'attore dietro le quinte al quale tacitamente era stato imposto di non apparire alla ribalta, altrimenti avrebbe dominato tutta la scena. Infatti è il problema che condiziona tutti gli altri. E c'è da chiedersi se il Mezzogiorno non vada incontro, nonostante tutte le lance che si spezzano (verbalmente) in suo favore, ad un castello in aria. È vero che il Governo, riducendo la spesa pubblica e tentando un'azione sui prezzi al consumo dei generi di prima necessità, vorrebbe dare inizio al programma di ridurre i tentacoli della piovra al 16% . Ma rimane una pia intenzione perchè, a parte il fatto che non pochi generi sono stati aumentati già al 4 settembre, occorre agire anche sui costi alla produzione e snellire i viziosi circuiti della commercializzazione. La riduzione del deficit pubblico, agendo sulla spesa sociale e sanitaria e sul contributo agli Enti locali, non è affatto sufficiente perchè bisogna abolire il finanziamento a fondo perduto (cioè con i soldi del contribuente) alle imprese pubbliche e riordinarle in modo che abbiano una gestione economica e non come succursali di sottogoverno dei partiti. Occorre riformare parzialmente la scala mobile, la cui dinamica salariale è in anticipo sull'incremento della produttività. Con ciò non si vuol nascondere che vi sono comparti in cui il lavoro è retribuito a salario insufficiente. E qui bisognerebbe agire. Speriamo intanto che le parti sociali riescano a raggiungere un accordo prima delle ferie natalizie, altrimenti, com'è awenu(continaazione a pag. 14) 8dì@mb1~1 1981 COMUNI D'EUROPA Federalismo e perequazione finanziaria È uscito in questigiorni, a cura dell'AICCE, il volume tIl federalismo fiscale della Germania occidentale,, di SigridEsser, per le edizioni Franco Angeli. Comuni d'Europa ha ilpiacere d ipubblicare l'indice e la nota introduttiva del Presidente della nostra Associazione, Umberto Serafini, dell'interessante volume, rimandandone ad un prossimo numero la recensione critica. 2 . 2 . Lo sviluppo del sistema della finanza pubblica fino al 1945 2 . 2 . 1 . I rapporti tra Reich e Lander 2 . 2 . 2 . I rapporti tra Lander e co- muni 2 . 3 . Lo sviluppo del sistema della finanza pubblica fino al 1969 2 . 3 . 1 . I rapporti tra Federazione e Lander 2 . 3 . 2 . I rapporti tra Lander e co- INDICE Premessa Prefazione Introduzione 1. Teorie del fderaiismo muni 4 . Perequazione iinanziaria e fderaiismo coo- perativo neiia Rft 1. Il sistema di perequazione finanziaria nella Rft 1 . 1 . La -perequazione finanziaria verticale 1 . 1 . 1 . Ripartizione dei compiti e delle spese (perequazione passiva) 1 . 1 . 2 . La ripartizione delle entrate (perequazione attiva) 1 . 1 . 3 . La redistribuzione verticale dei gettiti fiscali 1 . 2 . La perequazione finanziaria orizzontale 1 . 2 . 1 . La perequazione orizzontale tra i Lhder 1 . 2 . 2 . La perequazione orizzontale intercomunale - 1. La teoria economico-finanziaria del fe- deralismo 1 . 1 . Motivazione economica per l'organizzazione centralizzata di uno stato 1 . 2 . Motivazione economica per l'organizzazione di uno stato su base decentralizzata 1.3. L'organizzazione ottimale dello stato: il sistema federale 2 . La teoria dell'aintreccio delle politiche* (aPolitikverflechtung~) 2 . La perequazione finanziaria (ader Finanz- ausgleich*) e il fedetalismo cooperativo 1 . La definizione del termine aFinanzaus- gleich* 2 . Gli obiettivi della perequazione finan- ziaria 3. Le forme della perequazione finanziaria attiva 3 . 1 . La .perequazione finanziaria (attiva) verticale 3 . 2 . La perequazione finanziaria (attiva) orizzontale 3 . 3 . Criteri di calcolo per i pagamenti perequativi verticali e orizzontali 4. La perequazione finanziaria e la struttura federale dello stato 5 . Il federalismo cooperativo La struttura federale deiia Germania occidentale e l'evoluzione del sistema deila finanza pubblica in Germania 1. La struttura federale della Germania oc- cidentale 1 . 1 . Cenni storici 1 . 2 . La struttura costituzionale 2 . Evoluzione del sistema della finanza pubblica in Germania 2 . 1 . Lo sviluppo del sistema della finanza pubblica fino al 1919 2 . 1 . 1 . I rapporti tra Reich e stati federati 2 . 1 . 2 . I rapporti tra stati federati e comuni 2 . Gli istituti del federalismo cooperativo nella Rfi 2 . 1 . Gli istituti del federalismo cooperativo nel campo degli interventi regionali 2 . 2 . Gli istituti del federalismo cooperativo nel campo della politica fiscale le congiunturale 2 . 1 . 1 . I1 Consiglio per la programmazione finanziaria 2 . 2 . 2 . I1 Consiglio congiunturale 5 . Condusioni Tabeile Bibliografia - PREMESSA di Umberto S e d i Il lav~rodella Esser è nato, anche, da un suggenmento delllAICCE (la Sezione italiana del Consiglio dei Comuni d'Europa) di approfondire la perequazione finanziatia (Finanzausgleich) vigente nella Germania federale: lo spunto Pi& immediato era stato offerto a chi s c k e da un libretto di Ftitz Franzmeyer e Bernhard Seidel, ~berstaatlicher Finanzausgleich und europBische Integration. Quantitative und institutionelle Aspekte eines Systems regionaler Transferleistungen (Perequazione finanziaria transtatuale e integrazione europea. Aspetti quarititativi e istituzionali di un sistema di trasferimenti finanziari regionali), Bonn, 1976. L'intento dei due auton' (dsaggio era edito daiìa Europa-Union Deutschlands), critici della insuffienza e della ineficacia della politica regionale comunitaria, era quello di sottoiineure quel che si può fare con una struttura federale (Germania) e quel che non si k sce a realizzare in una unione doganale, che, "P delle congrue istituzioni, non progredisce verso una unione economica e monetaria (la Comunità europea): in questo senso ricordai il saggio tedesco nella mia relazione al convegno di Magonza (28-29 settembre 1978) delle città europee gemelle, organizzato aU CCE, quando si trattava di appoggiare il progetto MacDougaii di aumento delle niorse comunitarie, collocandolo nella nostra strategia federalista e autonomista. Ma è evidente che un approfondimento e una divulgazione dell'espetienza tedesca di federalismo fiscale e finanziano, nel contesto istituzionale che le è proprio, poteva giovare altresì al dibattito che si accompagna al faticoso incarnarsi dello stato regionale italiano, che è lungi &l'aver rtzalizzato il suo sistema delle autonomie, è particolarmente incerto sul problema della finanza locale, comincia a riproporsi la questione del legame del Senato della Repubblica con l'assetto regionale. Come è noto, uno stato cosiddetto regionale, intermedio fia l'unitatio e federale, è stato a suo tempo particolarmente teon'zzato dalllAmbrosini (cfi. di lui la nota raccolta Autonomia regionale e federalismo: due fia gli assetti costituzionali giudicati t$icamente *regionali, sono i/ sistema austtioco dr/ 1867 a/ 1918 e quello spagnolo repubbhano susseguente ala Costituzione del 1931): Ambrosini - d o r a presidente della Corte costituzionale i t h n a - espose i caratteri di uno stato regionale in generale e di quello specifico indicato daiia carta costituzionale della Repubbika italiana in una relazione ai V Stati generali del CCE a Cannes (marzo 1960). Un ordinamento szffatto ha trovato un genetico apprezzamento nell'Europa comunitaria (e limitrofa) per dsuo carattere, appunto, intermedio e quindi come un punto eventuale di riferimento in una strategia della convergenza delle autonomie europee: senonche-in concreto un coerente stato regionale non ha preso vita in Italia, a parte il fatto che le Regioni stesse, in se'considerate, si sono tivelate presto come sovrastrutture tagliate su misura per un 'Italia ancora agniola e priva della nozione di programmazione, mentre il COMUNI D'EUROPA H O m h la1 Paese reafe - sia pure tumultuosamente e con persistenti fasce d i sottosvihppo - stava per fare la sua entrata nel club degli industdizzati (non furono in merito presi in considerazione dai costituenti i suggerimenti di Massimo Severo Giannini e di Adriano Olivetti: v. L'avvento della Regione d i Ettore Rotelli e ilsaggio d i Carlo Macchitella nel tomo 11 di Cultura politica e partiti nell'età della Costituente, a cura di Roberto Rufili [Bologna 19791). Soprattutto si nota u n devante scollamento fia i/ complesso delle Regioni e il vertice dello Stato, nonché - ripeto - u n in2solto adeguato assetto deiproblemi fiscali e finanziari. Per ilprimo punto le Regioni - che riescono solo in parte e a fatica a programmare ai loro interno, ma che chiedono d i partecipare affaprogrammazione nazionale: come pure è giusto - tentano d i costituire fon' posticci e malamente istituzionalizzati, fà dove occorre riprendere, in una situazione mutata, il discorso, abortito d a Costituente, del Senato deffe regioni, sia pure scrostandolo d i ogni e qualsiasi aberrante idea corporativa - d i cui ora spero si siano avveduti anche i ciechi quanto serva d a diruguaglianza sociale e ala sostituzione d i u n neofeudalesimo al regno del diritto @er il dibattito in merito ala Costituente v. P. Aimo, Bicameralismo e regioni, Milano 1977, eper quanto rimane da fare la relativa prefazione di Ettore Rotelh) -. Per il secondo punto c'è & domandarsi se la tanto decantata forma intermedia aregionale) non abbia per caso da imparare qualcosa & quella estrema del federalismo fiscale e finanziario tedesco: e d ecco che torna u d e e stimolante il lavoro della Esser. che aveva sede a Ginevra, fu emblematicamen- economica, su basi pre-federali, si avvierebbe te trasferita a Torino - cittSi acomunitaria~- u n Finanzausgleich comunitario a benefico e segretario ne fu Robert MOJ'S~; u n economista dei comuni e dei poten' locali e regionali. Neff'aitro caso si potrebbero compiere atti che era stato rappresentante del governo fiancese a Bretton Woods. Nel 1957 le prospettive esemplari d i governo europeo attraverso u n ensi aifargarono e a u n congresso della Sezione te funzionale ad hoc (organismo europeo per lo itahna del CCE (AICCE) u n altro economista, svihppo regionale) per portare avanti lo sviche era tra gli animaton' Alla Sezione, Tito luppo, direi soprattutto per gli interventi Scipione, lanciò l'idea d i una Comunità econo- straordinari, anche nei suoi aspetti progettuaii, mica europea dei poteri locali: non piu solo il naturalmente - questo è l'intendimento del credito, il flusso dei capitafi ma un 'opera CO- CCE - concertandolo con gli enti t e d o d i mune di progettazione dello sviluppo locale, interessati, che dovrebbero, al limite, parteciuna messa in comune d i esperienze ammini- pare d a gestione dell'organismo: va & séche ciò presupporrebbe, se non volesse rimanere strative e d i tecnologia. La cooperazione finanziaria si allargava a tutta l'attività economica sterde, il coordinamento delle apolitiche codei comuni e degli altn' poten locali e regiona- muni) (a loro volta rese possibili &l'adeguali. Qui, ovviamente, il successo era sempre piu mento delle arisorse proprie) comunitarie: il strettamente legato, oltre che alpeso del CCE, CCE ha appoggiato, come si è accennato sopra, aifa vo/ontàpo/itica generale d ifar passare con- il progetto MacDouga//) secondo una strategia cretamente - stabilendone le premesse istitu- federale, che ven9chi anzitutto il loro comzionali, a parhre da una politica monetaria plessivo impatto t e d o d e , premessa al supereaimente comune - la Comunitd economica ramento di u n Mec che finora ha visto la crescieuropea & unione dogandc a unione econo- ta della distanza fia zone ricche e zone povere mica. della Comunità. Ormai l'ala dei cpragmatici) del CCEpoteva Non è chi non veda, a questo punto, l'inteavvedersi della piena ragione degli aistituzio- resse del lavoro della Esser per trame insegnanalisti) e come da certe premesse, ritenute d i menti, suggestioni e ammonizioni d i coerenza aalta politica), discendesse l'attuabilità d i una in ordine al primo dei due casi precedenti. seria aperequazione orizzontale) a prescindere L'esperienza d ife deralismo$scale e finanziario d d e fiontiere. Ogni prospettiva del CCE in della Germania occidentale e la nj7essione, anquesto campo era correlata d a capacità evolu- che, sui dibattiti che l'hanno accompagnata e tiva, in senso istituzionale, della CEE e in spe- l'accompagnano m i sembrano d i grande uticie d'ampiezza delle korse p r o p k e d i bilan- lità, mentre g e n e r h e n t e non se ne sa molto e cio autonomo della Comunità, nonchéalpro- non se ne fa una analisi in modo adeguato. Algresso (o meno) verso una moneta comune. Da meno i n It& la cultura politica media, i n fatqui si poteva avanzare sia sul terreno di pere- to d i federalismo fiscale e finanziario, non va quazioni finanzi& s~vran~zzionali e interre- molto oltre i capitoli che in merito recavano gli Il quale, poi, interessa afflAICCEperapprogionali @rendendo le mosse da misure difisca- americani Studi sul federalismo d i Bowie e fondire ilprimo motivo enunciato. Fin dai suoi lità comunitaria) sia su quello di piani - ordiFriednch, usciti quasi contemporaneamente inizi il Consiglio dei Comuni d'Europa cercò di nari e straordinae @er /e zone particolarmente ai tempi dell'assemblea ad hoc (quando, nella &re uno sbocco alla intenzione dei suoi comudepresse) prima metà degli anni cinquanta, si progettava - d i sviluppo realmente comuni, n i e d enti locali associati di cooperarefinanziauna comunitd politica europea) - presso anche se basati su una articolazione negli interriamente e, piu i n generale, economicamente e l'Università Haruard (in inglese) e, a cura del venti, attenta aife esigenze del cosiddetto asvitecnicamente ad d i sopra delle fiontiere~ e d i Movimento europeo, a Bmxeffes (in fiancese), fuppo tardivo) (cfi. Giorgio Fuà, Problemi deltrovare forme operative e d eficaci, per mezzo lo sviluppo tardivo in Europa, Bologna, 1980). mentre f'edizione italiana &e d a fine degli deffe quali potesse ven'ficarsi una certa aperequazione~fia gli enti piu ricchi e dotati e gfi N e f p a o caso, redzzata una effettiva unione anni cinquanta. enti piu poveri e défavorisés. Si cominciò (1952) studiando se fosse possibile trasferire su area europea esperienze olanil più efficace desi e belghe d i cooperazione creditizia fia Coil più tempestivo muni, creando u n Istituto europeo d i credito comunale, che n'sarebbe potuto avvafere, concollegamento del Parlamento europeo con le Regioni, le Città e il territorio italiano giunturalmente, anche di credito suf momento disponibile nel mercato internazionafe a basso tasso di interesse (ne prese l'iniziativa - daf 1954 - u n organismo promozionale, emanazione def CCE, fa Comunità europea d i credito comunale o CECC). In realtà f 'ostacofoprinciagenzia settimanale per gli enti regionali e locali pale fu subito L'esistenza d i dzfferenti monete e la drficoftà d i stabilire chi dovesse accollarsi e esce tutti i venerdì a cura deli'AICCE come fa garanzia d i cambio. Dopo l'entrata in vigore dei Trattati d i Roma, potendosi ormai operare in u n quadro di riferimento pattizio, che prevedeva fo svifuppo equilibrato di una ci si abbona con sole lire 100.000 sul c/c postale n.35588003 intestato a Istituto Comunità europea, sipensò a una branca per il Bancario San Paolo di Torino (sede di Roma, Via della Stamperia 64 001 87 credito agfi enti focdi deffaBanca europea per Rome) specificando la causale del versamento gfi investimenti: ma già nei giorni deffaconferenza d i Messina era partita daf CCE fa propoe si è veramente in condizione di analizzare rapidamente tutto il tessuto comunitasta d i u n fondo d i investimenti destinato a verio che il movimento delle autonomie sta ordendo, e l'azione del Parlamento, nire incontro ai comuni e a contribuire a una eletto da 180 milioni di europei, nei suoi vari aspetti equa politica regionale delprevisto mercato comune europeo. In questo periodo fa CECC, 1 l Europa Regioni I - I Wembre 1981 COMUNI D'EUROPA I1 coordinamento nella RFT tra Federazione e Lander nelle politiche C:omunitarie di Sigrid Esser La questione della partecipazione degli enti locali e regionali alla formazione delle politiche che i governi centrali esprimono in sede di Comunità europee (CE), sta acquistando sempre maggiore rilievo all'interno dei rapporti tra Stato centrale, regioni e enti simili. Questi si stanno rafforzando in quasi tutti i paesi membri della CE; al tempo stesso le politiche comunitarie tendono progressivamente a colpire sfere che in genere spettano alla competenza delle regioni. Vi è un reale pericolo che l'autonomia di gestione politica delle regioni venga limitata, non partecipando esse direttamente al processo decisionale di Bruxelles. Per quanto riguarda l'Italia si è dato recentemente awio ad un meccanismo di consultazione coordinata tra stato e regioni che fa capo alla Conferenza permanente di presidenti di Regioni ed alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Riunioni si svolgono a livello politico ed a livello di funzionari. Questi incontri, pur di notevole utilità pratica, non hanno ancora alcun crisma istituzionale e quindi non si è certo pervenuti a quella «cogestionen delle politiche comunitarie tra regioni e governo che da più parti viene auspicata. Un fatto innovativo di rilievo potrà essere rappresentato dalla istituzionalizzazione con legge dell'attuale Conferenza permanente dei presidenti di regione, che consentirà a queste ultime di assumere ufficialmente la veste di interlocutore unitario nei confronti del governo. La Rft, a questo rispetto, si muove in un sistema più avanzato. Può essere interessante cogliere i meccanismi che ne garantiscono il funzionamento (l). A ciò aiuta un volume di Rudolf Morawitz, recentemente edito da Europa Union Verlag (2), che descrive in maniera concisa e chiara le procedure di collaborazione tra Federazione e Lander nell'ambito della politica comunitaria. La questione riguarda in modo specifico l'istruzione, la difesa dell'ambiente, i trasporti, la politica strutturale, l'edilizia, la (1) Si tenga presente la diversità delle strutture costituzionali dello stato tedesco-occidentale da quelle italiane. È infatti evidente la particolare complessità della questione dell'attività nel campo della politica estera degli enti territoriali substatali in uno stato a struttura federale, come la Rft, dove l'esistenza di uno stato centrale (la Federazione) non tange la statalità autonoma ed autolegittimantesi degli stati federati (i Lander). In base all'art. 32 della Legge Fondamentale della Rft (come anche agli artt. 24,l e 32,l) la politica estera è di competenza esclusiva della Federazione e le compete in questo campo la legislazione esclusiva, contro la quale il Bundesrat (consiglio federale dei Lander; seconda camera parlamentare della Rft) può solamente sollevare opposizione. la quale deve essere respinta con ugual voto dal Bundestag (dieta federale; prima camera parlamentare). L'art. 32.2 da indicazioni generali: .Prima della stipulazione di un trattato concernente questioni particolari di un Land, è obbligo consilltare tempestivamente il Land interessato,. Rimane comunque tuttora discusso se la Federazione può stipulare dei trattati con altri stati. la cui materia cade sotto la competenza legislativa esclusiva dei Lander. Lo stesso problema si pone. ed in modo assai più accentuato, per quanto riguarda le organizzazioni sovranazionali. (2) Rudolf Morawitz, cDie Zusarnmenarbeit von Bund und Landern bei Vorhaben der Europaischen Gemeinschaft,, Europa Union Verlag GmbH, Bonn. Posrfach 1529, pagg. 120, DM 16,80. difesa delle acque, settori che cadono sotto la responsabilità esclusiva dei Lander, e che sono divenuti al tempo stesso sempre più soggetti alle politiche comunitarie. La prima regolamentazione in materia fu introdotta nella Germania federale attraverso la legge di approvazione dei trattati istitutivi della CEE e dell'EURATOM, che è ancora in vigore. In base a tale regolamentazione fu varata nel 1963 una procedura, secondo la quale le proposte di raccomandazioni o regolamenti della CEE, che potevano influenzare la legislazione nazionale dovevano essere trasmesse al Bundesrat dal ministro federale dell'economia, tramite l'ufficjo del cancelliere federale. La legge prevedeva che, dopo l'esame delle proposte effettuato innanzitutto nella commissione parlamentare per le questioni delle Comunità europee, il Bundesrat avrebbe comunicato le sue raccomandazioni all'ufficio del cancelliere federale, il quale a sua volta le avrebbe trasmesse ai ministeri interessati. A partire dal 1967 il governo federale sarebbe poi stato obbligato a presentare un rapporto semestrale sullo stato dell'integrazione europea. Con la legge sui Trattati di Roma fu anche istituito I'uOsservatore dei Lander presso le Comunità europee,. Esso è nominato dalla Conferenza dei ministri per I'economia dei Lander. L'Osservatore partecipa, senza diritto di intervento, alle sedute dei Consigli dei ministri della CE, dopo aver ricevuto tutti i documenti preparatori. Secondo regolamenti interni ai Lander, questi deiterminano i ministeri competenti per le singole materie da discutere a livello comunitario: l'osservatore deve inviare loro i documenti ricevuti, oltre ai resoconti globali che è tenuto a redigere. L'Osservatore costituisce così per i Lancler una fonte d'informazione indipendente ed adeguata, capace di porli ad un livello adatto a.d esercitare una influenza sostanziale sulle decisioni del governo federale in sede europea. L'Osservatore funge inoltre (nella sua veste di membro della delegazione tedesca e con l'approvazione del governo federale) da intermediario esclusivo delle richieste dei Lander presso la Commissione europea. Contatti diretti tra singoli Lander e la Commissione possono immagiriarsi per i soli rapporti informali. Lo stesso dicasi per rapporti tra Lander e Parlamento europeo. L'Osservatore dispone di uffici sia a Bruxelles che a Bonn. Al di là dei meccanismi qui descritti, e regolati da legge, vi è ancora un ampio spettro di collaborazione tra Federazione e Lander. Si attua ad esempio un permanente scambio di giudizi soprattutto nei campi di competenza dei Lander. La politica regionale comunitaria ed i problemi concernenti il Fondo europeo di sviluppo regionale vengono trattati nella Commissione per il compito comune (a Federazione e Lander) «miglioramento della struttura economica regionale,, dove Governo e Lander sono rappresentati pariteticamente. Le posizioni del governo federale in sede comunitaria riguardanti la politica economica vengono coordinate attraverso riunioni presso il ministero federale dell'economia, cui partecipano, oltre ai ministeri federali compe~enti,i corrispondenti ministeri dei Lander. E il ministero federale a dover assicurare il flusso di informazioni verso i ministeri dei Lander (documenti essenziali, rapporti sulle riunioni dei Consiglio dei ministri della CE per l'economia/finanze). Tale procedura vale per la libertà di circolazione, I'armonizzazione della edilizia, l'agricoltura, l'ambiente. Nelle questioni che riguardano la difesa delle acque i Lander vengono resi partecipi a tre livelli: a livello del Bundesrat; a livello della commissione dei capi d'ufficio dei ministeri competenti e a quello dei funzionari per settori specifici; e a livello della delegazione federale a Bruxelles, di cui fanno parte due rappresentanti dei Lander. Queste forme di collaborazione diretta tra Lander e Federazione furono in iin certo modo la risposta «non codificata» alle critiche mosse dai Lander alla Federazione. I Lander osservavano che la loro partecipazione alle politiche comunitarie tramite il Bundesrat non poteva sostituire la loro inclusione separata nel processo decisionale comunitario. Per questo pretendevano che il dovere costituzionale della «fedeltà federale» ( 3 ) si esercitasse da parte del governo centrale non nei confronti dell'organo federale Bundesrat, ma bensì direttamente verso i Lander. soddisfatti in linea di principio dalle procedure awiate, i Lander ne vennero chiedendo la formalizzazione. Nel 1977 la Federazione accolse tale richiesta, e durante una serie di riunioni che si svolsero tra il novembre 1977 e l'aprile 1980 si raggiunse un accordo che confluì nel 3 85 del «Comune regolamento interno del governo federale,. Questo regolamento, insieme alla «Dichiarazione sulle Comunità europee del cancelliere federale, del 19 settembre 1979, la lettera di risposta del presidente della Conferenza dei presidenti di consiglio dei Lander ed un regolamento interno tra i Lander, costituisce l'attuale base di collaborazione tra Lander e Federazione in materie su cui è competente la Comunità europea. E una forma di collaborazione, in atto ufficialmente dal 15 ottobre 1980, che non abolisce i meccanismi precedentemente in vigore, e mantiene una forma flessibile dato che solo la sua sperimentazione potrà accreditarne l'efficacia. Vediamone qui di seguito i lineamenti. E al ministro federale per l'economia che spetta la responsabilità dell'invio all'osservatore dei Lander presso le Comunità europee di tutti i documenti che il segretariato del Consiglio CE prowede a fargli recapitare: gli stessi che vengono rimessi da parte della Comunità al Governo federale. I1 ministro invia tutti i progetti di documenti o altro materiale proveniente dalle Direzioni generali della Commissione europea all'osservatore, ad esclusione di quelli che «in modo evidente non trattino materie che ricadono totalmente o parzialmente sotto la competenza legislativa esclusiva dei Lander né riguardino i loro interessi essenziali, soprattutto finanziari». Se la misura in discussione riguarda una competenza esclusiva dei Lander la Federazione inviterà dietro richiesta due rappresentanti dei Lander alla partecipa(3) I1 concetto della ofedeltà federale* costituisce la norma costituzionale non scritta del dovere reciproco della Federazione e dei Lander a tenere un comportamento federale, che non danneggi né i Lander né la Federazione. COMUNI D'EUROPA zione alle riunioni degli organi competenti comunitari. Il regolamento interno tra i Lander prevede che il materiale d'informazione venga inviato dall' Osservatore dei Lander presso le Comunità europee agli uffici di rappresentanza dei Lander a Bonn i quali lo smistano e lo trasmettono ai ministeri competenti nelle loro capitali. In casi di massima urgenza l'osservatore provvede al suo invio diretto ai ministeri dei Lander, senza servirsi dell'intermediazione degli uffici di rappresentanza a Bonn. I1 processo di formazione della volontà politica comune dei Lander in materia comunitaria matura nei cosiddetti auffici comuni, (Gemeinsame Stellen): le Conferenze dei ministri dei Lander, esistenti in ogni dicastero, nominano un ministro responsabile per un uufficio comune*; questi sarà di regola il presidente di turno della Conferenza. Un allegato al regolamento attribuisce ad ogni Conferenza dei ministri uno o più campi della politica europea. Una volta raggiunto un accordo politico tra i Lander, l'uufficio comune, trasmette I'awiso dei Lander al ministero federale competente: ne viene rimessa copia all'Osservatore di Bruxelles. Se al contrario l'accordo non fosse raggiunto si dà ugualmente comunicazione al ministero federale delle diverse posizioni annettendo le opportune motivazioni. È chiaro che nella fase delle trattative in seno agli organi comunitari i rappresentanti dei Lander che partecipano alle riunioni mantengono contatti diretti con i ministeri competenti dei Lander. Rimane comunque centrale il molo esplicato dagli auffici comuni, nelle trattative e poi nei processi decisionali e di attuazione che ne seguono. Da quanto sin qui esposto si può dedurre che la Federazione ha accettato come unico suo interlocutore durante la fase di informazione l'osservatore dei Lander, mentre per le fasi di formazione della posizione politica del Governo federale in sede comunitaria e con riguardo alle trattative negli organi CE, ritiene suo più valido interlocutore quello prescelto dai Lander, I'aufficio comune*. Questo accordo tra Federazione e Liinder ha inteso prevenire una prevedibile accentuazione delle resistenze del Bundesrat alle rivendicazioni dei Lander. L'organo federale, che vede ora contribuire alla propria azione rispetto alle politiche europee del Governo federale, l'azione diretta dei Lander, poteva temere un indebolimento della propria posizione in seguito alla situazione di concorrenzialità esistente tra il processo di coordinamento Lander-Federazione da una parte, e la consultazione che si sviluppava tra Bundesrat e Federazione in base alla legge di approvazione dei Trattati di Roma. Come ammette Morawitz, in materia comunitaria si potrebbe assistere in futuro ad uno spostamento di contributo politico dal Bundesrat ai Liinder, poiché, secondo il modello concordato - di collaborazione, le prese di posizione dei Lander verrebbero ad assumere un'incidenza più diretta e più sottile, quindi più significativa, di quelle del Bundesrat. Rimane la differenza giuridica tra le due forme di collaborazione: la collaborazione tra Bundesrat e Federazione avviene in base a dettati costituzionali e legislativi. Quella tra Lander e Federazione si basa su una forma di autovincolo deciso dalla Federazione: gli accordi assunti non rivestono forma di trattato. Questo primo anno di attuazione del nuovo meccanismo ha fatto rilevare alcune difficoltà, sottolineate anche da Morawitz nel suo volumetto. Un problema si pone a causa dei tempi dettati dalle strutture comunitarie spesso eccessivamente ristretti: l'iter consultivo a livello nazionale manifesta al riguardo insufficienze. L'accordo preso obbliga i Larider a tenere conto dei tempi prescritti. Una seconda difficoltà si intravede in occasione di posizioni troppo diversificate tra i Lander. Una tale situazione si è creata, per esempio, nella questione della concessione del diritto elettorale agli immigrati provenienti dai paesi membri della Comunità. L'ordinamento dei comuni, e quindi anche il loro sistema elettorale, è di competenza esclusiva dei Lander. Le posizioni divergenti sulla questione non hanno permesso sinora ai Lander di elaborare un voto consultivo significativo, né ha consentito la nomina dei due loro rappresentanti presso gli organi comunitari. Nel campo dell'istruzione, competenza esclusiva dei Lander, che a partire dal 1974 costituisce un campo di intervento per la Comunità, la lentezza nel processo di formazione della volontà politica dei Lander ha comportato ritardi rilevanti nella procedura comunitaria. La collaborazione nella Rft tra Federazione e Lander nell'ambito di progetti della politica delle Comunità europee ha trovato, a pane alcune disfunzioni rilevate dallo stesso Morawitz, una formalizzazione che consente spazio ai mutamenti istituzionali, politici e procedurali cui la Comunità europea sarà sottoposta nei prossimi anni. La procedura (e l'incidenza della procedura) sempre più rispecchia nella politica, che viene portata avanti dal governo e dal Parlamento federali a livello comunitario, il peso politico che i Lander rivestono, anche in rappresentanza dei loro comuni. Le procedure in vigore, se verranno attuate con vero spirito federale, non mancheranno di allargare il campo dell'apporto regionale e locale alla politica della Comunità europea, insostituibile in un periodo che vede gli stati europei delegare sempre più competenze e poteri ai propri enti regionali. settembre 1981 norme il sistema f ~ a l eIn . pratica agli Enti locali, oltre al pasticcio dell'ILOR, sono rimaste l'imposta sull'irnrnondizia e quella sui cani. Risultato: deresponsabilizzazione del governo amministrativo degli Enti locali, favorendo il lassismo nella spesa. Effetto perverso: si privatizzano i vantaggi e i profitti e si scaricano sulla generalità dei cittadini perdite e sprechi. A che vale preoccirparsi di spendere troppo se ci sono le mammelle di mamma Roma, a mo' di vacca gonfiata con estrogeni, alla quale si può mungere latte sempre più annacquato? Scivoliamo nel sottosviluppo e ci allontaniamo dall'Europa? E in tema di Europa, alla *Giornata del Mezzogiorno~è sembrato dawero sintomatico che non sia stata nemmeno evocata la necessità di coordinare il contributo dei fondi comunitari (Fondo sociale, sezione orientamento del FEOGA, e Fondo regionale) in programmi frnalizzati al riequilibrio territoriGe, produttivo e quindi economico e sociale. Senza porre nel conto che, con tutti i problemi da risolvere nel Sud, non si è capaci di utilizzare le quote che nei fondi sono riservati all'Italia. Siamo già tanto scivolati fuori dall'Europa da attendere forse che qualche fanatico, tanto pittoresco quanto pericoloso, estenda unilateralmente le proprie acque territoriali fino a Genova e Venezia? Tanto già è stato fatto fino a Palermo!. .. Ora se non siamo capaci noi di prowedere dignitosamente ai problemi di casa nostra, perchè dovrebbero farlo gli altri? E qui il discorso viene spontaneo sui vini ~ugliesie siciliani senza dei quali i vini pregiati francesi non sarebbero tali. L'operazione ablocco e sabotagg i o ~esplicita o mascherata avveniva anche ai tempi di Giscard, come ai tempi di De Gaulle ci fu la guerra dei frigorigeri. Questo in omaggio al principio comunitario della libera circolazione delle merci! Se diamo uno sguardo all'interscambio agroalimentare con la Francia, notiamo che, grosso modo, il rapporto a favore della nostra consorella è di 3-4: 1. Che direbbero se anche noi, in omaggio ad analogo rispetto del principio della libera circolazione delle merci nell'area comunitaria, applicassimo i medesimi metodi pretestuosi sul controllo del latte, latte in polvere, Mezzogiorno senza Europa formaggi, carni, acqua minerale ecc. ecc. in (continua ab pag. 10) provenienza dalla Francia? Da tre anni la CEE ha posto il veto alle imto per quelle estive, se ne parlerà alle calende portazioni italiane di vitelli dalla Romania e greche. E ancora non basta, perché occorre far dal Sud America, concedendo - somma capire in questo bel Paese dcl Bengodi che non si può fare il passo più lurigo della gamba e bontà! - l'abbattimento del 50% sui diritti di quindi occorre frenare la tendenza a delapidare prelievo. Orbene se viene meno così impuneil risparmio, mentre in ambito internazionale mente il principio della libera circolazione deloccorre concertare una politica a sostegno e a le merci, che dovremmo temere se decidessimo difesa del cambio della lira con le valute più di ignorare il veto e importassimo vitelli da aree extracomunitarie con non lieve vantaggio forti. Ma la questione della spesa pubblica porta per il costo della vita? Non si tratta di essere agallofobi~o, per dirla automaticamente il discorso sugli Enti locali e sul decentramento. In fondo chi a Bari ha dife- con Vittorio Alfieri, amisogalli*; ma è che il so le autonomie aveva ragione, come aveva ra- Mezzogiono è stanco di fare la pane della testa gione anche chi ha rilevato che la Cassa gestisce del turco. E quanti hanno sperato e lottato e circa 80 mila opere già complete o in via di ul- tuttora lottano per una Europa unita, per la fetimazione perché le regioni non sono nelle derazione europea, difficilmente avrebbero condizioni di assumerne la gestione. Il nodo potuto immaginare le bassezze in cui è stato sta nel fatto che si voleva snellire Roma ed in- portato l'ideale asceso, già dopo la prima guerfatti si è decentrato il potere politico ed ammi- ra mondiale, a necessità e ragione di soprawinistrativo, ma si è concentrato in maniera ab- venza della più splendida civiltà. 15 COMUNI D'EUROPA La Jugoslavia, il K:osavo e l'Europa di Pio Baissero La Jugoslavia, espulsa dal Cominform nel 1948, aveva enunciato fin dal 1952 - in occasione del VI Congresso del Partito comunista, uasformato poi in <Legadei Comunisti~- alcuni originali principi politici ed economici che avrebbero dovuto porre le basi del rinnovamento costituzionale del paese, in aperto contrasto con le tesi accentratrici e statalistiche volute da Stalin e rigorosamente applicate negli altri paesi dell'Est europeo. Tra questi principi vanno essenzialmente e brevemente rilevati quello dell'aautogestione~(si veda il saggio di M. La Rosa e M. Gori, aL'autogestione~,in Ideel30, C. Nuova, 1980) estesa in ogni settore della vita sociale, e quello dell'aautonomias delle Repubbliche federate, dei Circondari e dei Comuni. La successiva evoluzione costituzionale, perfezionata nel 1974, era destinata a potenziare ulteriormente la posizione di autonomia delle Repubbliche (Bosnia ed Erzegovina, Croazia, Macedonia. Montenegro, Serbia e Slovenia), delle due Province autonome (Kosovo e Vojvodina) e, soppressi i Circondari, dei circa 500 Comuni. Nella rinnovata Assemblea federale veniva così ad acquistare un peso di rilievo la <Camera delle nazionalità,, corrispondente all'aautogestione etnic-. Sotto questo profdo era da presumere come risolto ogni problema relativo ai diversi gmppi nazionali mentre, sul piano delle relazioni esterne, la politica del anon allinea mento^ poneva la Jugoslavia in una posizione certamente invidiabile rispetto ad altri paesi dell'Europa orientale. I recenti fatti della Provincia del Kosovo, per chi segua quanto awiene nella vicina Repubblica, non rappresentano tuttavia un aimprevedibile~incidente sul cammino del asocialismo autogestionario~e dimostrano emblematicamente'quanto siano strette le relazioni tra politica estera, congiuntura economica e problemi interni. I1 violento moto amicronazionale~del Kosovo va inoltre interpretato tenendo presenti i motivi di fondo che hanno portato alla situazione odierna: 1) una zona calda di afrizione~ lungo le frontiere sud-orientali, caratterizzate dalla presenza di forti minoranze etniche; 2) le difficoltà di adattamento del modello aautogestito~in un paese poco sviluppato, con un aproblema meridionale, forse assai maggiore di quello italiano; 3) l'aggravarsi della crisi economica che si presenta con una inflazione quasi galoppante e con problemi di reinserimento dei circa 700.000 lavoratori rientrati in Jugoslavia dalllEuropa occidentale (e soprattutto dalla Germania federale) dove sono stati ridotti i livelli occupazionali. Nella provincia del Kosovo, in particolare, i problemi di convivenza tra le diverse etnie, a ridosso del confine albanese, appaiono più intricati e complessi che altrove: la presenza di un gmppo albanese e di uno serbo e la professione di fedi religiose lontane tra loro: quella mussulmana e quella ortodossa. A tutto questo bisogna aggiungere l'esistenza - denunciata dalla stessa stampa ufficiale iugoslava - di elementi di estrema destra, gli austascia, che non hanno esitato ad allearsi, nello scorso mese di marzo. a gmppi di irriducibili marxisti che oggi guardano al amodello Tirana (dietro il quale, espulsa la Cina, non è difficile scorgere Mosca). La controversia ha così assunto carattere ideologico, oltre che nazionale e religioso. Da notare che, sul piano delle relazioni internazionali, il anon allinea mento^, con la scomparsa di Tito e la ripresa del disegno egemonico sovietico, appare sempre più precario e vulnerabile. In questa achiave di lettura le preoccupazioni si rivolgono non soltanto al Kosokovo, ma anche ad altre 2:one di confine, dove la contestazione potrebbe addirittura risentire dell'influenza (più o meno diretta) di tre Stati: la Bulgaria, la Romania e l'Ungheria. Non si presentano viceversa prospettive inquiete lungo la frontiera italo-iugoslava, dove il comportamento esemplarmente civile dei profughi istriani e l'intensa cooperazione atransfrontalierm hanno consentito il graduale superamento di problemi rivendicativi ed irre- dentistici. Ma è anzi proprio attraverso i buoni uffici dell'Italia che Belgrado si è awicinata alla Comunità europea concludendo, il 2 aprile 1980, un accordo di cooperazione che copre diversi settori economici. garantendo cospicui finanziamenti sotto forma di prestiti della Banca europea per gli investimenti fino ai 1985. 1 gesti di abuona volontà~e la disponibilità della Comunità europea verso la Jugoslavia, non sono tuttavia sufficienti a garantire quel paese da ingerenze adestabilizzatrici~che trovano facile mascheratura ideologica ed abbondanti passioni amicronazionali~.Un'azione diretta a rafforzare la presenza europea verso l'Est, con un minimo di credibilità che vada oltre il puro e semplice aiuto finanziario richiede, in realtà, la concreta esistenza di istituzioni europee che siano in grado di esprimere, con una sola voce, una politica estera che non sia quella di Chamberlain: questo è quel che disperatamente si chiede al di là della frontiera. Naturalmente il lettore tileverà che in tutto l'articolo si sottintende un d t m fittore, che rende unelastico il cfederdismou jugoskavo, cioè l'assenza nientemeno che della democrazio politica e i/ formarsil quindi, di quella che Djtlas chhmò la anuova classeu (n.d,r.). Gemellaggio Guastalla - Forcalquier i sindaci Delorme e O d e d c h i e l'assessore deiia Regione Eazio, membro deilJEsecutivo deii'AICCE, Panizzi durante la manifestazione. Nando Odescalchi, sindaco di Guastalla, e Claude Delorme, sindaco di Porcalquier, hanno siglato il 20 giugno scorso, nel Teatro Comunale di Guastall:i, gremito di gente e pavesato a festa con le bandiere nazionali d'Italia e Francia e quelle rappresentative dei singoli Comuni, il apatto di gemellaggio~,che d'ora in poi, unirà, con rapporti sempre più stretti e ad ogni livello, le due cittadine. La festosa giornata ha avuto inizio in, Municipio, ove le due delegazioni si erano ritrovate il giorno prima, nel tardo pomeriggio, dopo l'arrivo dei transalpini. Si è poi formato un corteo che, con i due sindaci in testa, si 2 poi portato al aRuggeri~ per la solenne cerimonia della firma. Erano presenti tutte le maggiori autorità. Ha preso subito la parola il sindaco Odescalchi che ha detto fra l'altro: a11 gemellaggio non è il punto terminale del nostro impegno ma rappresenta, invece, la for, malizzazione di un impegno che cercheremo di svolgere nei prossimi anni per l'avanzamento, nelle comunità locali, dei principi.di fratellanza e cooperazione tra i popoli. Per questo si sono costituiti a Guastalla ed a Porcalquier i comitati di gemellaggio: non è pensabile, cioè, che si possano costituire rapporti stabili tra due comunità attenendosi esclusivamente all'impegno delle rispettive amministrazioni comunali, le quali peraltro, anche finanziariamente, non sarebbero in grado di garantire tutte le condizioni necessarie. È opportuno che attraverso i comitati di gemellaggio venga assicurata la più ampia partecipazione delle comunità, la maggiore frequenza degli scambi, in una parola il concreto affratellamento delle popolazioni~. È seguito l'intervento del sindaco Delorme che dopo aver ringraziato la città di Guastalla per la calorosa e fraterna accoglienza ha aggiunto: aNon dimentichiamo mai che i gemellaggi hanno come scopo quello di far in modo che i settembre 1981 COMUNI D'EIJROPA cittadini di diversi stati e di diverse origini storiche abbiano a conoscersi e a comprendersi meglio, allo scopo precipuo di aiutarsi. Siamo fieri di unirci alla vostra città per il suo passato storico artistico e culturale ed inoltre per la sua posizione che occupa oggi nella vita della regione Emilia-Romagna, con le sue svariate attività. I nostri scambi permanenti a livello delle nostre cittadine sono iniziati con gioia tramite i giovani, faremo in modo di svilupparli nella misura dei nostri mezzi, portandoli a livello di tutte le nostre associazioni, con incontri rafforzativi, con manifestazioni di vario genere. A livello non solo dei nostri insegnanti e studenti ma anche a livello di quelle che sono le forze vive, quali gli amministratori, gli agricoltori, gli artigiani, i commercianti, i professionisti, insomma coinvolgendo ogni cittadino,. È intervenuto quindi, a nome dell'AICCE, Gabriele Panizzi dichiarando che, ormai da 30 anni, ci si batte per la costruzione dell'Europa, con impegno e tenacia, passando attraverso non poche incomprensioni. Ha chiarito che l'Europa non si fa soltanto con l'accordo con i governanti ma ben di più attraverso la conoscenza fra i popoli. Per questo ha plaudito a questi gemellaggi che affratellano e rendono pih duratura la pace. il gemellaggio - ha detto il vice sindaco Canuti - consolida l'amicizia tra Guastalla e Forcalquier ma anche fra italiani e francesi. Dopo aver dichiarato che alla sorella d'oltr'Alpe si guarda per l'attaccamento ai suoi valori, alla sua indipendenza, per le prospettive di rinnovamento politico e sociale, ha riaffermato la necessità di rafforzare e consolidare tutti quei rapporti che possano costituire un contributo alla crescita della democrazia, della libertà e del progresso. Il professore Ribbe, uno dei primi e più convinti assertori del patto di gemellaggio fra Guastalla e Forcalquier, dopo aver ricordato che i primi approcci, tramite gli studenti del Liceo Passerini, si erano avuti nel lontano 1976 e che sempre l'accoglienza e l'ospitalità guastallese si eran mostrate quanto mai cordiali e sincere, ha invitato i Comitati a non perder tempo e a mettere in contatto le rappresentanze ad ogni livello delle due cittadine. Ha così concluso: aPer noi questa cerimonia ha un significato profondo: è un'offerta di amicizia, un desiderio di conoscere i guastallesi e di simpatizzare con loro, una testimonianza della nostra volontà di abbattere le frontiere, la dimostrazione che l'unità europea non è una illusione, ma una autentica realtà che può garantire al nostro vecchio continente un nuovo periodo di pace e di prosperità in un mondo più giusto e più umano,. I due sindaci di Guastalla e Forcalquier hanno sottoscritto, infine,-il agiuramento, con il quale si impegnano: adi mentenere legami permanenti tra le municipalità delle nostre città e di favorire in ogni campo gli scambi tra i loro abitanti per sviluppare con una migliore comprensione reciproca il sentimento vivo della fraternità europea; - di congiungere i nostri sforzi per aiutare nella piena misura dei nostri mezzi il successo di questa impresa necessaria di pace e di prosperità, la fondazione dell'unità europea. i libri Giuseppe Usai La riconversione industriale e le relazioni impresa-ambiente in Europa ISME, Cagliari, 1981 I1 saggio in oggetto, il primo di una collana edita dall'Istituto di Studi Mezzogiorno d'Europa, propone una analisi dei reali contenuti del problema della riconversione industriale per evidenziare quanto siano illusorie e fuorvianti le apolitiche~in materia industriale poste in essere dagli Stati europei e dalla attuale Comunità economica europea. Uno dei punti di forza del saggio è, senza dubbio, l'aver precisato che la riconversione industriale aimplica un processo decisionale complesso, che origina un processo gestionale diverso, articolato nello spazio e nei van' uspetti dell'attivitd d'impresa in un tempo suffientemente ampio,. Ciò significa che la ricoiiversione industriale non può essere considerata solo per l'incidenza che può avere nella singola impresa in dificoltà o in settori in crisi in quanto essa determina notevole influenza nel complessivo ambiente socio-economico del qu:de fa parte l'impresa o il settore considerato. La riconversione industriale va affrontata con la consapevolezza degli eventi che ne hanno .generato la necessità, che trascendono sia i confini della singola impresa, quanto quelli del settore o dello Stato per effetto della progressiva e ormai generalizzata internazionalizzazione delle produzioni industriali. I principali eventi di carattere mondiale, che hanno portato alla crisi delle industrie, vengono analizzati nel paragrafo 2 del saggio. In virtù delle relazioni esistenti fra l'impresa e l'ambiente, l'A. evidenzia come non sia realistico affrontare il problema della riconversione industriale senza tener presente che a livello mondiale sono in atto alcune iniziative che tendono a far perdere la configurazione bipolare dell'assetto attuale del mondo. Si fa riferimento alla sempre crescente presenza, in alcuni settori industriali, di imprese di paesi africani e medio orientali e del maggiore attivismo commerciale manifestato da paesi quali Argentina, Australia, Canada, Israele, Sud Africa, senza dimenticare il ruolo che va assumendo sulla scena mondiale lo sviluppo del Giappone. Il processo di integrazione in atto fra alcuni paesi dell'Europa occidentale è un ulteriore sintomo del nuovo <ordine, che potrebbe assumere il contesto mondiale. Ma - scrive l'A. affinché l'Europa sia in grado di far fronte alla grave crisi nella quale si trovano le imprese inserite nel proprio ambiente, è necessario che i paesi della CEE superino la fase della unione economico-doganale esistente tra loro per porre in essere una unione di tipo politico senza la quale ogni azione per superare la attuale situazione di crisi industriale risulta vana. La scarsa rilevanza che hanno assunto le iniziative della CEE in materia di politica industriale viene analizzata e commentata nel quarto paragrafo del saggio. In particolare, si evidenzia che la cosidetta politica industriale della CEE si estrinseca, in prevalenza, su due linee di intervento: la prima rivolta al acompletamen- t o del ~ Mercato comune, e la seconda, alla realizzazione di alcune azioni relative a specifici settori industriali. Accanto alla inefficacia delle azioni comunitarie, si esamina, in un successivo paragrafo, <l'inadeguatezza delle politiche di riconversione industriale dei paesi membri della CEE, e si dà rilievo alla crescente incapacità degli stati nazionali di fronteggiare, non solo situazioni derivanti da motivi endogeni, ma anche eventi di natura esogena. Ciò viene addebitato alla preponderanza delle variabili internazionali nell'ambito di ciascun sistema socio-economico, che impedisce agli astati nazionali europei di realizzare una efficace programmazione politico-democratica della loro economia e, quindi, di dare una risposta efficace alle esigenze di riconversione industriale,. In ambito europeo, l'unica via per far uscire le imprese d d a grave situazione di crisi attuale, implica al'esigenza di realizzare il governo politico dell'economia europea, complessivamente considerata, e ciò richiede evidentemente la formazione di una struttura di potere politico in Europa. La realizzazione dell'unificazione politica dell'Eurwa e, quindi, il governo dell'economia europea, sono indispensabili per far sì che le imprese europee possano sperare di inserirsi nei settori dell'elettronica, delle comunicazioni e dei trasporti, dellvinformatica,dei materiali speciali, dell'energia, cioè nei cosidetti settori d'avanguardia, e, quindi, garantire un futuro di sviluppo per l'industria europea. Ernestina Giudici COMUNI D'EUROPA Organo dell'A.1.C.C.E. ANNO XXM - N. 9 SEmMBRE 1981 Direttore resp.: UMBERTO SERAFINI Redzttore capo: EDMONDO PAOLINI DIREZIONE, REDAZIONE E 6.784.556 AMMINISTRAZIONE 6.795.712 Piazza di Trevi, 86 - Roma Indir. telegrafico: Comuneuropa Roma - Abbonamento annuo per la Com~nitàeuropea, ivi inclusa I'ltalia, L. 10.000 - Abbonamento annuo estero L. 12.000 - Abbonamento annuo per Enti L. 50.000 - Una copia L. 1.000 (arretrata L. 2.000) - Abbonamento sostenitore L. 300.000 - Abbonamento benemerito L. 500.000. 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