OPERA DI NOSTRA SIGNORA UNIVERSALE TORINO - VIA S. FRANCESCO DA PAOLA, 42 Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in D.L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Torino nr. 2/2009 Gli specialisti delle scritture non potevano accettare che il Messia, il futuro re d’Israele, nascesse in una mangiatoia e, infatti, non lo riconobbero aspettiamo, il Re d’Israele? Voi tutti, abitanti della terra, figli dell’uomo, poveri e ricchi insieme, andategli incontro e dite: Pastore di Israele ascolta, tu che guidi il tuo popolo come un gregge, sei tu colui che aspettiamo? Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi porte antiche: entri il Re della gloria, il Re della casa di Israele”. L’eccezionalità dell’evento fece sì che la notizia giungesse alle orecchie dei dottori della legge. Temendo che una frode ai danni del popolo potesse IL CIELO IN UNA GROTTA P ochissima strada divideva ormai i Magi dalla loro meta. Lungo quell’ultimo tragitto, trascorso insieme ai pastori, in silenzio, come a controllare l’emozione, Gaspare continuava a pensare al loro racconto, quell’ultima frase – pace agli uomini che Dio ama – gli aveva aperto il cuore a una nuova sapienza. Se questa era la verità che invano aveva cercato studiando le stelle o interrogando il fuoco, ora non aveva più motivo di portarsi dentro quel tormento, che per anni lo aveva sciolto in pianto. Se Dio lo amava, se Dio era al suo fianco, nessuno poteva essere contro di lui. Ora capiva perché quel bambino, a cui avrebbe donato la mirra, sarebbe stato compagno dei poveri, dei diseredati, dei piccoli della terra. La stella che aveva cercato e seguito, che Auguri ! aveva fissato a lungo, tutto il tempo necessario per non perderla, la stella che aveva illuminato i suoi passi altro non era che un riverbero, un pallido bagliore della luce immensa dell’amore di Dio che sconfigge le tenebre. Aveva avuto bisogno di quella luce, per potersi orientare, per essere sicuro di poter ritornare. L’aveva fissata a lungo, ed ecco che la stella, che aveva visto nel suo sorgere, si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Nel vederla sopra la grotta, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre provarono una grandissima gioia. Fuori una folla di curiosi cercava di scrutare all’interno; chi da tempo aspettava il Messia, a questa notizia, si inginocchiò davanti alla grotta e pregava: “Guardo da lontano e vedo arrivare la potenza del Signore, come una nube che copre la terra; andategli incontro e dite: Sei tu colui che mettere a repentaglio il loro potere, accorsero alla grotta per vedere coi loro occhi quanto stesse accadendo. Specialisti delle Scritture non potevano accettare che il Messia, il futuro re di Israele, nascesse in una mangiatoia. Essi, infatti, non lo riconobbero. Il Bimbo della grotta fu invece riconosciuto dai pastori e dai magi, che non si meravigliarono della sua povertà. Pastori e sapienti furono i primi testimoni del Dio Incarnato, perché solo la libertà del povero si lascia rivestire da un amore più grande e solo la sapienza del sapiente può comprendere quanto effimeri siano i poteri della terra e che a nulla serve conquistare il mondo intero, se si perde sé stessi. I pastori e i magi erano certi di essere giunti, seguendo la stella, alle porte del cielo. Il piccolo re veniva da lontano e il suo splendore riempiva l’universo. Era la prima manifestazione di Dio nella storia degli uomini, la prima epifania: quel Dio che arrivò con la po- I ragazzi della Scuola Media Centro Flora Manfrinati presentano gli auguri di Natale ispirandosi al romanzo “L’ultimo dei Magi” di Gennaro Matino; la loro riflessione sul Natale parte dall’esperienza dei Magi, che oggi è la più vicina a quella dell’uomo contemporaneo, tentato di lasciarsi andare nell’abisso del buio, di perdersi completamente in una notte priva di senso. tenza e la gloria di un re, si manifestò al mondo con l’umiltà dei poveri e la semplicità dei piccoli, nei panni di un bambino indifeso, che da quella lontana notte a Betlemme, continua a manifestarsi a giudei e pagani, all’uomo di ogni nazione e di ogni tempo, ai magi dell’epoca e ai sapienti di oggi, a quanti hanno voglia di seguire la stella che illumina la notte e ci guida nel cammino della vita. “Io sono uno dei magi, anch’io ho preso di mira una stella, anch’io sto sognando una meta. Sognare di seguire una stella, poterlo fare, oggi come allora, quando il cielo chiamò a raccolta gli uomini e un angelo invitò la terra ad accogliere il Dono che dall’alto arrivava, è desiderare di vivere e di amare”. H BUON NATALE E BUON ANNO 2010 Dicembre 2009 Pubblicazione Periodica dell’Opera di Nostra Signora Universale Fondatrice del periodico: Orsolina Prosa Direttore responsabile: Vittoria Gallo 10123 TORINO - V. S. Francesco da Paola, 42 Tel. 011/812.55.88 - Fax 812.57.62 C/C Postale n. 31279102 e-mail: [email protected] sito: www.istitutoflora.it Questa pubblicazione è inviata gratuitamente agli Amici dell’Opera Autorizzazione Tribunale di Torino n. 3682 in data 26-7-1986 Stampa: Geda srl, Nichelino Il presente numero è stato consegnato alle Poste Italiane di Torino il 23.12.2009 somma r io 2 Il cielo in una grotta 4 La spiritualità di Flora 7 Una ex-bambina di Flora 8 FESTA DEL GRAZIE 32 Le frontiere e gli esiti della vita umana 35 Il mistero del divino nell'uomo 50 L'ambulanza è buona 52 Sorella Flora, insegnaci al strada ... 53 Don Andrea Scrimaglia 56 Il Preside Sacchetti 57 Il Dottor Navone ... 61 Pronto? Istituto Flora, buongiorno! 62 È Lei che intercede ... Don Giancarlo Montoncello, parroco di Jolanda di Savoia (Fe), ha presieduto la Concelebrazione Eucaristica ed ha guidato l’assemblea dentro il cuore di Flora, nella sua spiritualità, per capirla e poterla meglio imitare. D on Fernando mi ha chiesto di sostituire il Vescovo in questa Celebrazione Eucaristica nella casa natale della Venerabile Flora Manfrinati e mi ha consegnato un libro di 899 pagine che contiene tutte le testimonianze sulla pratica delle virtù cristiane e umane di Flora per il Processo di Beatificazione: le virtù teologali di fede, speranza e carità, e quelle umane di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, virtù che sono state rese vita da parte di Flora. Io non voglio tessere la biografia della Venerabile; vorrei andare dentro al suo cuore, entrare nella sua spiritualità, essere capace con voi di capire come ha fatto a essere così grande. E il primo momento è la preghiera. Flora pregava e pregava tanto. Non ha potuto dedicarsi a particolari letture, né ad approfondimenti teologici, il suo catechismo è stata prima di tutto sua mamma e poi il suo caro “Bambino”, che l’ha forgiata, modellata, nei lunghi silenzi, nelle lunghe solitudini, nella meditazione della Sua Parola, che Flora “custodiva nel proprio cuore”. Per la sua malattia, le era preclusa la scuola, come la convivenza con i coetanei, proprio per motivi di salute. Priva di amici, viveva a contatto con il Piccolo Gesù, che chiamava “il mio Maestro, il mio grande amore”; Festa di Nostra Signora Universale a Mottatonda Nuova (Fe): ricorrenza sempre speciale. Nella casa natale della Venerabile Flora Manfrinati, domenica 19 luglio u.s. erano presenti molti Sacerdoti, preziosi sostenitori dell’Opera nelle terre ferraresi, autorità civili, rappresentate dal Sindaco di Jolanda di Savoia, Dott.ssa Elisa Trombin e tantissimi Amici con un bel gruppo di Amici di Torino e di Alessandria. La spiritualità di Flora alla Sua scuola cresceva in intelligenza e carità. Questo rapporto intimo col Maestro, questo suo “grande amore” per Lui, questo abbandonarsi in Lui, da adulta si manifestava soprattutto nell'adorazione all’Eucarestia. In ogni casa che ha aperto, infatti ne ha aperte tante, cercava prima di tutto di mettere al centro il Santissimo. Bello, commovente anche per noi preti, e sto parlando per me, è, quando entriamo in una chiesa, vedere una persona in un banco, in silenzio, senza rosario né libretto delle preghiere, davanti a Lui, con Lui, come quel vecchietto del Curato d’Ars, che alla domanda: “Cosa stai a fare in Chiesa delle ore?” risponde: “Io guardo Lui e Lui guarda me”. Questo è amore, questa è contemplazione: due innamorati non hanno bisogno di grandi parole, né di lunghi discorsi, si guardano: ti amo, ti voglio bene, sei mio/a. Così Flora: “Sei mio Gesù!” Ecco fratelli carissimi: la dedizione di Flora al Tabernacolo, la devozione all’Eucarestia. “Una comunione perduta – dice Flora – non la si ritrova più”. “Quando la radice è nell’Eucarestia, l’albero non cade”. “Tutti quelli che mi avvicinano, li porto al Tabernacolo”. “La mia casa è dovunque si trovi un Tabernacolo”. In Gesù Eucaristico Flora contemplava il mistero Trinitario, il mistero della divina Incarnazione, di Dio che si fa carne nascendo da Maria, per salvare tutti gli uomini; perciò Flora dà alla Vergine il titolo di Nostra Signora Universale, perché Mamma di tutti, perché di tutti corredentrice col Figlio: “Maria per mio rifugio, per mia consigliera, per mia stella, per mia Madre, - così Flora – mi fiderò solo di Lei”. La preghiera di Flora è adorazione del Mistero di salvezza, al cui centro c’è la croce. Perciò Flora considera il dolore come un dono. Impensabile per noi, così fragili di fronte alla sofferenza! Flora invece, dai tre anni per tutta la vita ha portato la croce, unita a Gesù, forte per la Sua Parola. Così ha chiesto la sofferenza come mezzo di salvezza, come mezzo di redenzione, per redimere e per salvare. Questo è per noi un mistero, questa è la grandezza di Flora per noi che, quando siamo in difficoltà, chiediamo a Dio di intervenire per risolvere i nostri problemi. Flora invece ha portato la croce, contenta perché così, come i grandi mistici, sentiva più vicino il suo amato Gesù. Martire nella gioia, “Che tristezza – esclamava – se non posso cantare mentre soffro”; “Accetto il dolore come chiamata, come dono”, “Voglio che ti purifichi – si sente dire un giorno da Gesù – perché così porti la croce con me”. La sopportazione della sofferenza è un dono di Dio: “Ho amato il dolore come la moneta più preziosa”. E il giorno della Prima Comunione: “Chi vive nel dolore vive nel giardino del Signore” “Quello che io chiesi: morire un giorno bruciata dal Suo amore”. Ma come fai – le veniva chiesto – a sopportare tanto dolore e sofferenza? “Io ho una fede”, rispondeva; viveva di fede, collaborava così con Dio al piano di salvezza. Martire ed Apostola ha prevenuto i tempi, ha prevenuto il Concilio, Lei che faceva fatica a scrivere, ha fondato una grande Opera, ha scelto le cose piccole per farle grandi con l’amore a Dio e ai fratelli; Flora si è data tutta a tutti, di giorno e di notte, ovunque, per giovani, per ragazzi/e, per vedove e soldati, per sani e malati, ricchi e poveri. La gente vedendola diceva: “Chi la ferma? Ha il Signore dentro e fuori”. Tutte le motivazioni erano buone per attaccare bottone, incontrare le persone, fare conoscenza: “Come ti chiami?”. E cominciava così la catechesi, l’annuncio della parola del Signore; qualsiasi motivo la faceva capace di darsi, di donarsi. “Ho preso la responsabilità delle anime e le salverò. In Paradiso a ogni costo. Lavorare nell’ombra ma lavorare sempre”. E Flora non solo ha sofferto fisicamente, ma ha sofferto ancora più dentro, nell’anima: denigrata, presa in giro, offesa, calunniata, senza mai difendersi: “Perché – diceva – ho Lui dalla mia parte, non solo vinco ma stravinco”. A quarantotto anni era già matura per il Cielo. Gli ultimi mesi, quando non poteva alzarsi dal letto, il suo mezzo di apostolato diventò il telefono, finchè ebbe un po’ di voce. Ecco cosa opera la grazia di Dio in una persona che ha detto il suo sì!. Io sono di Villanova e mio padre si ricordava ancora delle prediche di Mons. Piacentini, zio di Flora, grande oratore a Costa di Rovigo. Il privilegio che abbiamo di avere Flora qui, nata nella nostra terra, ci faccia riflettere che Gesù è con noi e non ci abbandona, ma aspetta la nostra corresponsabilità. Alle Sorelle rivolgo l’augurio che questa Opera possa crescere come l’olmo posto vicino alla casa di Flora; da piccolo piccolo, è diventato un meraviglioso albero, proprio come il granello di senape di cui parla Gesù, che, dapprima quasi invisibile, diventa poi tanto grande da offrire rifugio agli uccelli del cielo. Dallaregistrazione senza la revisione dell’autore UNA EX BAMBINA DI FLORA Cara Flora, innanzitutto grazie per la serenità di cui mi hai fatto dono domenica 19 luglio durante il pellegrinaggio a Mottatonda, nella tua casa natale. Desidero rendere partecipe l’Opera di alcune riflessioni che mi hanno fatto comprendere che, nonostante le molte difficoltà, occorre continuare il cammino anche se faticoso. Mentre il celebrante, don Giancarlo, illustrava le tue virtù, o Flora, che, in condizioni di povertà e malattia, con grande forza d’animo, hai detto il tuo “sì” per seguire Gesù Maestro, senza mai pentirti, mi sembrava di sentirti presente, a esortarmi a dire il mio “sì” per perseverare nella Fede, pur in un momento di grande sconforto. Non occorre un miracolo per ufficializzare la Tua Santità, Flora; le ispirazioni che Tu susciti sono già un segno tangibile della Tua santità. Dopo la Messa, ho avuto degli incontri significativi: la mamma di Letizia, di cui ho subito apprezzato la generosità, la fede, la sensibilità e il conforto: mi ha raccomandato di pregare per un giovane, malato e pa- dre di un bimbo e, in special modo, per la moglie, che non accetta questa situazione dolorosa; quindi mi ha commossa una giovane mamma, ex-allieva del Flora, che, venuta a conoscenza del nostro dolore, abbracciandomi, rivolta a me e a mio marito: “Sono orgogliosa – ha detto – di avervi conosciuti”. Grazie, Germana, per l’aiuto che ci dai. Ho anche incontrato con piacere alcune bambine chiamate da Flora alla C.O.R. (Casa Opere Religiose), ora felici nonne di bei nipotini, e, mentre posavamo insieme per una foto, ricordando i vecchi tempi, una di noi ha esclamato: “Che bei tempi con Flora!”. Eravamo giovani, povere, poco capaci, ma Tu, Flora, Apostola, ci insegnavi a godere di ogni piccola cosa della vita e a ringraziarne il Signore. Durante il viaggio di ritorno, le care Sorelle hanno avuto la delicatezza di intrattenersi con tutti, per confortare, gioire e soprattutto ascoltare. Ecco le Educatrici, anzi le Apostole che tu, Flora, hai formato. Grazie di cuore, con un affettuoso abbraccio Ersilla, mamma di Germana Gatto Festa del Grazie 24 ottobre 2009 UN PROFONDO SIGNIFICATO Per ringraziare insieme 50 anni dell’Istituto Flora si è celebrata una S. Messa nella palestra con una festosa partecipazione di allievi/e, ex, genitori, insegnanti ed Amici Don Mauro Giorda, Parroco di Testona, nella Concelebrazione Eucaristica con Don Gian Carlo Vacha, parroco di S. Anna in Torino, ha preparato i cuori a un atteggiamento interiore di gioia e di riconoscenza al Signore per le attività svolte in questi 50 anni. S i celebra oggi la festa del “grazie”. Profondo allora è il significato di questa parola, perché rivolgerla a qualcuno esprime riconoscenza nei suoi confronti, la consapevolezza cioè di un bene da lui ricevuto e per cui appunto gli siamo grati. Senza dire “grazie” non si crea – dicono gli psicologi – la coscienza, la capacità cioè di riflettere sui propri stati d’animo, di conoscere se stessi e metterci in relazione con gli altri. Così si educano i bambini a dire “Grazie!” quando viene loro fatto un dono o esaudita una loro richiesta; così i piccoli da un lato imparano che non è tutto dovuto, dall’altro sperimentano la carità del dono. Educare al ringraziamento, purtroppo, nella nostra società è sempre più difficile, perché ovunque si reclamano diritti per sé e doveri per gli altri. Sono stato otto anni cappellano in ospedale e quante volte ho sentito lamentele di questo tipo, frutto dell’incapacità di riconoscere i meriti altrui, insensibilità per i doni ricevuti, insoddisfazione per quello che abbiamo. La festa del grazie deve dunque esprimere la nostra riconoscenza a Dio, Creatore del mondo e dell’uomo, per la vita che ci ha donato e che sostiene col Suo amore. Con le 10 parole che guidano gli Ebrei dall’Egitto alla Terra Promessa (Decalogo) si forma la coscienza del popolo d’Israele, attraverso la capacità di rimanere fedele al dono della Legge. Quando Adamo, nel Paradiso Terrestre, pensò di poter fare a meno di Dio, rompendo l’armonia con il Creatore ed il creato, si accorse di essere “nudo”, cioè indifeso ed impotente. La grandezza dell’uomo, infatti, è nel riconoscere la sua dipendenza da Dio e la sua relazione con gli altri; è nell’essere riconoscente per tutti i doni che riceviamo; per i grandi, a cominciare da quello grandissimo della vita, fino a quelli di cui spesso non ci accorgiamo, perché li consideriamo dovuti. Imparare a dire grazie ci fa crescere, creando in noi una coscienza profonda, per cui si scoprono negli altri tesori di bene, anche nelle persone più semplici e si mette da parte ogni vana superbia, perché da tutti possiamo ricevere e a tutti possiamo dare. Auguro pertanto che questa giornata del Grazie la si celebri tutti gli anni, segno di riconoscenza nei confronti dell’Opera di Nostra Signora Universale e del lavoro delle Educatrici Apostole. Grazie per questa liturgia animata da tante giovani vite e dalle voci del coro. Grazie, Flora, per tutte le persone che partecipano a questa festa, per il 50° anniversario del Tuo Istituto. Dalla registrazione senza la revisione dell’autore La Direttrice ha così introdotto il secondo momento della manifestazione: Carissimi amici, benvenuti a tutti e scelto di intitolare questa ricorrenza “il grazie per essere qui con noi a festeg- giorno del grazie”, perché ringraziare giare questo importante traguardo del- significa essere riconoscenti: ri-conol’Istituto Flora, che da 50 anni accom- scere il bene ricevuto (prenderne copagna molti giovani e molte persone in scienza), ma anche ricordare, condiviun cammino di formazione, di cultura dere con gioia, praticare, impegnarsi a vivere e a diffondere l’amore di chi ha e di fede. Gli Insegnanti e gli allievi hanno fatto dono di sé per noi. Flora si è fatta dono sull’esempio di Cristo e da questo suo dono è nato l’Albero dell’Opera di Nostra Signora Festa del Grazie 10 Universale, di cui l’Istituto Flora è un ramo fecondo. Vorrei sottolineare il significato di questa parola “dono” con le bellissime e illuminanti espressioni del Papa, perché diventi sempre più l’identità del nostro Istituto: “La carità nella verità pone l’uomo davanti alla stupefacente esperienza del dono…. L’essere umano è fatto per il dono, che ne esprime ed attua la dimensione di trascendenza. Il dono per sua natura oltrepassa il merito, la sua regola è l’eccedenza; esso ci precede nella nostra stessa anima quale segno della presenza di Dio in noi e della sua attesa nei nostri confronti. Perché dono ricevuto da tutti, la carità nella verità è una forza che costituisce la comunità, unifica gli uomini, secondo modalità in cui non ci sono barriere né confini. Una comunione fraterna oltre ogni divisione, (la nostra comunità educante) nasce e si sviluppa dalla convocazione della Parola di Dio “Amore”, “non c’è amore più grande di chi dona la vita per il proprio fratello”. Flora “Docente d’amore” ha vissuto e ha trasmesso a noi la cultura dell’amore: cultura in senso ampio, come pensiero, come ragioni di vita, come apertura ad orizzonti che rompono confini e consentono di spaziare verso Festa del Grazie delle persone consenta di tenere insieme in una continuità dinamica e creativa fede, cultura, vita. gli altri, per coglierne le comuni domande di vita e di bene che attraversano la dimensione umana. “Il mondo è la mia patria e tutti sono miei fratelli”. La cultura trasmessaci da Flora è vedere come in uno specchio nel volto dell’altro i tratti profondi dell’identità del volto di Cristo, da custodire, ammirare, far risplendere. Cultura ancora come capacità di farsi dono, offrendo i pochi pani e i pochi pesci disponibili, perché ci sia meno fame e più esperienza di solidarietà e di amicizia. Di fronte alla dilagante cultura della frammentazione e del relativismo, Flora ci stimola, ci invita a proporre l’unità dell’atto educativo, che nella coscienza Flora chiama ancora: vorrei concludere con una famosa favola di Esopo, che esprime molto bene cosa significhi partecipazione e trasmissione di cultura, condivisione di valori e di significati da una generazione all’altra: “Un contadino, giunto ormai alla fine della vita chiamò i suoi figli e disse loro: Figli miei, io me ne vado, voi cercate nella vigna e trovate quello che tengo nascosto- Quelli pensarono ad un tesoro sepolto e, appena morto il padre, insieme, misero sottosopra con la vanga tutta la vigna. Il tesoro naturalmente non lo trovarono, però la vigna vangata a fondo produsse una straordinaria quantità d’uva. I valori e i significati vissuti e trasmessi non costituiscono un’eredità da trasformare in rendita senza nessun impegno: essa va coltivata proprio “Non esitate a far fruttare i talenti che Iddio vi ha dati; fateli fruttare nel tempo perché non arriverete a Lui a tempo se tempo perderete”. VENERABILE FLORA “Flora era: autorevole, ma non autoritaria, dolce ma non debole, ispirava confidenza ma non ne dava troppa.” Prof. Gaj Maria docente dei primi tempi come la vigna che avevano ricevuto in eredità quei tre figli. Questo messaggio sia per tutti, e in particolare per i nostri giovani, una bella sfida per il futuro dell’Istituto Flora. I cinquant'anni anni di attività dimostrano anche l’impegno, il fervore e la generosità di Aggregati, Amici dell’Opera, collaboratori, Docenti, allievi, genitori che hanno saputo mettersi con entusiasmo a servizio di questo grande progetto lasciatoci da Flora e da Lina Prosa. A loro il nostro vivissimo grazie. Termino con le parole di un allievo di 5a Liceo, Umberto Gaudino, che ha scritto e musicato l’inno al Flora: “Vieni qui con noi al Flora”: “Se tu sei bianco oppure nero, un po’ troppo alto o forse un po’ basso, per noi certo non può cambiare. Se ti senti solo, oppure perso, non ti devi preoccupare: c’è un posto per te”, nel nostro cuore all’Istituto Flora. 11 Festa del Grazie FLORA una di noi e fra noi ! 12 Flora Manfrinati, nata nel 1906 a Mottatonda Nuova nella pianura Ferrarese, giunge in Piemonte, a Testona di Moncalieri, nel 1929 per raggiungere la famiglia che vi si era trasferita dalla terra di origine in via di bonificazione. Flora, giovane piena di spirito e fede, nonostante le quotidiane sofferenze che fin dalla più tenera infanzia ne avevano martirizzato il corpo con piaghe e ferite, inizia ad operare con varie attività di apostolato. Il seme più fecondo lanciato da Flora nel mondo è la formazione dei giovani e delle giovani. Fonda un asilo in borgata Palera gestito con alcune signorine che chiama Apostole della Santissima Trinità, il primo nucleo del progetto terreno di Flora. Dopo la Guerra, nel 1950, Flora incontra Lina Prosa, con cui inizia un percorso comune, e quest’ultima ne diventa la confidente e depositaria dei segreti spirituali e delle direttive dell’Opera di Nostra Signora Universale appena nata. Solo pochi anni più tardi, il 12 marzo 1954, Gesù chiama a sé la Sua Flora. Il suo cammino terreno è un simbolo di perseveranza, coraggio e ottimismo, un’esistenza illuminata dall’amore per Dio e per il prossimo. In un secolo, il Novecento, attraversato dalle tragedie più sconvolgenti dell’umanità, Flora ha trovato una motivazione più forte di tutto il resto ed ha avuto la perseveranza e il coraggio di costruire un futuro diverso, migliore, scommettendo in particolare sulle donne. Ne ha ridisegnato il ruolo, con intuizione modernissima per i tempi, offrendo loro una formazione professionale e, con essa, un’autentica scuola di vita. Dignità della donna, consapevolezza del proprio insostituibile ruolo nella famiglia e nel mondo sono due aspetti essenziali promossi dall’apostolato di Flora, e un modello di operose fattività. Il Processo diocesano sulla fama di santità, vita, virtù e miracoli di Flora, iniziato nel 1960, termina nel 1996 quando il Santo Padre Giovanni Paolo II promulga il Decreto sull’eroicità delle virtù della Serva di Dio Flora Manfrinati e la eleva agli onori degli altari. Oggi l’Istituto Flora prosegue la missione per la formazione dei giovani in un’ottica che li veda impegnati e protagonisti nella vita, prima di tutto agli amorevoli occhi del Padre. tratto da un articolo di Guido Folco C’insegni, Flora, a darci soprattutto alla gioventù, a prodigarci veramente per il suo vero bene; a collaborare in delicata discrezione perché si formi, cresca e pervenga alla realizzazione del piano di Dio. Mons. Luigi Maverna Arcivescovo di Ferrara-Comacchio Festa del Grazie “Pensiamo d’essere nel pensiero di Dio, nel Suo cuore che ci ama, nel Suo cuore che ci ha dato la vita, perché la nostra vita viene dal Suo amore”. la Direttrice Lina Prosa Educatrice Apostola Fedele interprete del carisma della Venerabile Flora Manfrinati della quale fu “Sorella di amore e di fede” ha fatto della sua vita una generosa esperienza di amore proponendo tale stile a tutte le persone che hanno camminato con Lei. Lina Prosa “Ho lavorato per molti anni a fianco della Direttrice Prosa e di Lei conservo viva la gentilezza del comportamento, la soavità e la fermezza del parlare, la indefessa operosità. A Torino nel 1944 Ella aderì all’associazione Magistrale “Nicolò Tommaseo”, la quale, sciolta dal regine fascista, riprendeva clandestinamente la sua attività ed avviava un capillare processo di riorganizzazione dei servizi scolastici su basi e con finalità democratiche. Il suo impegno maggiore era rivolto alla programmazione delle finalità che la scuola italiana avrebbe dovuto seguire a guerra finita. In particolare Ella sosteneva che l’educazione doveva essere ispirata al cristianesimo ed avere per fondamento l’insegnamento religioso.Le numerose iniziative poste in atto dalla Direttrice Prosa me ne fanno ricordare la lungimiranza, la saggezza nel realizzare i suoi programmi, la sensibilità del suo animo, la dedizione al sacrificio. Con il prossimo aveva rapporti sereni e rasserenanti, era benevola e generosa, caritatevole con tutti, in particolare con i giovani e gli anziani; sapeva prevenire e quando doveva intervenire per apportare varianti o per correggere, usava amorevole fermezza e convincenti giustificazioni.Non si riteneva ideatrice di iniziative ma esecutrice di progetti provvidenziali.” Prof. Giuseppe Sacchetti già Preside della Scuola Magistrale Istituto Flora 13 Festa del Grazie 8 giugno 1986 Gherardi, 25 marzo 1987 Mottatonda Il braccio spirituale dell’Opera 14 La Madonna aveva detto a Flora: “Un giorno questa terra sarà benedetta” e Lina Prosa, fin dai primi tempi, sostenne che Mottatonda doveva diventare un luogo di preghiera. Istituì il gruppo degli Aggregati e degli Amici per sostenere e far vivere l’Opera. Amici e Aggregati dell’Opera Un legame di grande affetto e riconoscenza ci unisce al gruppo che è nato nel Ferrarese, è parte integrante dell’Opera e condivide con noi i tesori spirituali della protezione e dell’aiuto della Madonna e di Flora. Le Educatrici Apostole dell’Opera di Nostra Signora Universale Festa del Grazie Festa dell’Annunciazione “Proprio il primo giorno di primavera, alle ore 8.30, abbiamo concelebrato in quattro sacerdoti insieme al nostro Arcivescovo nella casa natale di Flora. Erano presenti la Direttrice dell’Opera di Nostra Signora Universale, Lina Prosa, con sei Educatrici Apostole e numerosi fedeli. All’omelia, Mons. Maverna si è chiesto il motivo per cui il Signore ha voluto, nei suoi disegni provvidenziali, che la Serva di Dio Flora nascesse proprio in Mottatonda Nuova di Gherardi, nel cuore della Bonifica Ferrarese. La risposta è stata facile da dare: invitare, spronare questa gente ad essere santa, e non accontentarsi di essere cristiani mediocri, ma cristiani impegnati, autentici, santi. Sono grato a Sua Eccellenza per averci rivolto queste parole accorate; ci serviranno di stimolo per camminare più speditamente dietro a Gesù, seguendo l’esempio della nostra conterranea Flora. Non possono dimenticare la benedizione della campana del piccolo campanile di Mottatonda, che chiamerà la nostra gente ad essere santa e perfetta come il Padre. Come trascurare le viole raccolte dalle Educatrici Apostole a Mottatonda? Qui quel “Piccolo fiore del campo” è sbocciato e non mancherà di crescere e di dare i suoi frutti, proprio in questa terra abbandonata, ma ora riscoperta e benedetta.” Don Fernando Scarpa, Parroco di Gherardi, Gallumara e Mottatonda Nuova 15 Festa del Grazie Festa del Grazie Corsi di formazione a.s. 1958/59 Inizio dell’ISTITUTO FLORA corsi per la formazione della donna e le professioni femminili Corsi rapidi pratici per signore e signorine Corsi di qualifica professionale Cucina Buon governo della casa Puericultura Pronto soccorso Assistenza al malato Economia domestica Ricamo e cucito Decorazioni ceramiche e pittura Taglio e confezione abiti Assistente all’infanzia Assistente alla gioventù Aiuto familiare Guardarobiera Maglierista Decoratrice di ceramica Dattilografa e stenografa Comptometrista Contabile di mano d’opera 1957-58 1967-68: 1968-69: corsi n. 1 corsi n. 22 corsi n. 29 allieve n. 10 allieve n. 624 allieve n. 981 numero medio allieve per corso 16 Corsi e allieve/i negli anni Corsi liberi Corsi con presa d'atto regionale SCUOLA MAGISTRALE Privata Convenzionata con il Ministero Pubblica Istruzione LICEO DELLA COMUNICAZIONE Paritario CENTRO OPERATIVO FLORA Corsi riconosciuti e approvati da Regione Piemonte Provincia di Torino 1974/75 - 1999/2000 1998/99 - 2008/09 1997 - 2008 Anno di inizio: circa 1450 diplomate 636 allievi Corsi: 1957/58 area socio-sanitaria 1° corso: 10 allieve area Educativa area Artistica dal 1958 al 1997 circa 6250 allieve circa 910 allievi 17 Festa del Grazie Festa del Grazie a.s. 1958/59-1987/88 Scuola Magistrale Istituto Flora privata dal 1974 al 2000 circa 1450 diplomate maestre a.s. 1988/89 la Scuola Magistrale Istituto Flora ottiene il riconoscimento ministeriale 18 Anno formativo 1997 Centro Operativo Flora Certificato Sistema Qualità Accreditamento Regione Piemonte Corsi attivati nel 1997 ADEST Ceramica Informatica di base dal 1997 ad oggi: circa 950 allieve/i con qualifica o specializzazione Lavori dei corsi di ceramica: pittura su ceramica, lavori al tornio e agli stampi 19 presenze scuola magistrale e diplomate/i corsi Operatore Socio Sanitario dal 1997 ad oggi nota: per l’anno in corso la provincia di Torino non ha ancora approvato corsi Corsi attivati oggi: Operatore Socio Sanitario Elementi di Assistenza familiare Tecniche di sostegno alla persona Operatore Socio Sanitario – modulo finale Educatore Prima Infanzia Tecnico di produzione e decorazione della ceramica Festa del Grazie Festa del Grazie a.s. 1998/99 Liceo della Comunicazione Istituto Flora Pellegrinaggi Lourdes, Roma, Mottatonda paritario dal 1998 ad oggi: circa 640 allieve/i 21 20 Foto di classi recenti e passate Viaggi di istruzione E dopo ? Sbocchi universitari e/o professionali delle ex-allieve/i Università tutte le facoltà universitarie Docenti in scuole dall’asilo nido alle superiori Negli Enti privati: Strutture per disabili, anziani, Scuole, Uffici… Negli Enti pubblici: Comune, Provincia, Regione, Prefettura, Ospedali, Asl… Festa del Grazie Festa del Grazie Liceo della Comunicazione Venezia, Vienna, Dachau, Augsburg “In un momento in cui si assiste ad una sconvolgente trasformazione dei media e della comunicazione globale e sono chiamate in causa competenze specifiche per affermarsi, è necessario che gli insegnanti, gli studenti e le famiglie si pongano il problema dell’orientamento. Le attitudini dello studente non sono sempre e solo rilevabili dalle valutazioni delle discipline, ma dovrebbero essere individuate anche in attività extrascolastiche, di cui si auspica una maggiore integrazione, per verificare il transfert di apprendimento e gli interessi personali non sollecitati dall’attività scolastica” Prof. W. Ferrarotti (2002) Al "Flora" spazio alle attività varie Attività di volontariato: Floraestate, Non solo per gioco, Doposcuola all’oratorio multietnico San Luigi di Torino, Servizio presso il Cottolengo reparto PierGiorgio Frassati, Servizio presso i malati terminali dell’Ospedale di San Vito,servizio per gli anziani della zona centro di Torino e non…. e anche Parigi, Praga, Monaco, Firenze, Pisa, Lucca, Roma Partecipazione a Concorsi con incoraggianti successi Partecipazione al Concorso “Lina Prosa” vinto dalla carissima Germana Gatto con la realizzazione del Sito dell’Opera 22 23 Stage nelle scuole ECDL ( Patente Europea dell’uso del computer ) L’arrivo all’isola d’Elba Per fossili nell’astigiano Nell’anfiteatro di Susa Realizzazioni di attività culturali con l’Associazione Tram Storici di Torino, Museo ferroviario di Bussoleno… Inizio di un esame ECDL Festa del Grazie Festa del Grazie Anno scolastico 2010-2011 Attivazione del riordino dei licei D.L. 6 agosto 2008 n. 133 Al Flora un nuovo Liceo? Liceo delle Scienze Umane con l’opzione Economico-sociale E Il Liceo della comunicazione? 2004: Museo FERALP - Bussoleno continua fino al completamento del quinquennio 2009-2014 Piano studi del nuovo Liceo per un totale di 30 ore settimanali 2005: sala di controllo del Metro MATERIE 24 2006: progetto ATTS – tram storici 2008: Salone del Libro 2009: premiazione del concorso "Diventiamo cittadini europei" LINGUA E LETTERATURA ITALIANA LINGUA E CULTURA LATINA LINGUA STRANIERA INGLESE LINGUA STRANIERA TEDESCO STORIA GEOGRAFIA FILOSOFIA SCIENZE UMANE MATEMATICA FISICA SCIENZE NATURALI STORIA DELL’ARTE MUSICA SCIENZE MOTORIE RELIGIONE MATERIE opzione economico-sociale LINGUA E LETTERATURA ITALIANA LINGUA STRANIERA INGLESE LINGUA STRANIERA TEDESCO STORIA GEOGRAFIA FILOSOFIA SCIENZE SOCIALI E METODOLOGIA DELLA RICERCA DIRITTO ED ECONOMIA MATEMATICA FISICA SCIENZE NATURALI STORIA DELL’ARTE MUSICA SCIENZE MOTORIE RELIGIONE 25 Festa del Grazie E dopo la maturità Liceo delle Scienze Umane quali prospettive? Continuazione di studi: Iscrizione a tutte le facoltà universitarie Sbocchi lavorativi: Insegnamento in ogni ordine di scuola; Esperto nei processi della formazione e dell’educazione. Educatore – tecnico nei servizi socio-educativi e servizi sanitari. Nell’industria: ambito risorse umane (human resources) Impieghi di concetto nella pubblica amministrazione. Festa del Grazie Momenti da ricordare Anno scolastico 1973-74 Costruzione del nuovo edificio Un GRAZIE speciale a tutti gli amici che ci aiutarono a realizzarlo 12 gennaio 1996 Serva di Dio Flora Manfrinati: Venerabile 27 26 Il 12 gennaio 1996, in Vaticano, alla presenza del Santo Padre Giovanni Paolo II fu promulgato il decreto riguardante le virtù eroiche della Serva di Dio Flora MANFRINATI, vergine, fondatrice dell’opera detta di “Nostra Signora Universale”. La nostra Flora è ora ufficialmente dichiarata venerabile dalla Chiesa. L’Istituto Flora ha un logo nuovo Un abbraccio per trasmettere alle famiglie e ai ragazzi lo spirito dell’Opera di Nostra Signora Universale. Una figura essenziale per presentare le scuole dell’Opera a chi non ci conosce. Una immagine serena per rafforzare la nostra presenza in chi ci conosce. 12 marzo 1954 – 12 marzo 2004 Flora torna a casa nel giardinetto delle rose Dopo 50 anni Flora ritorna a casa e ora accoglie, guarda e sorride a tutti coloro che passano, sostano, ripassano lezioni …, pregano e attende la nostra presenza per ricordarci di camminare per le vie del mondo guardando al Cielo. Flora aiutaci ancora! Festa del Grazie Festa del Grazie Testimonianze e esperienze “La scuola è dei giovani e, come tale, deve essere giovane. Io sento giovane la nostra scuola quando insieme cantiamo, quando facciamo festa, e anche quando ci prepariamo seriamente per il temuto esame” Roberta (1985) “Un grazie a Flora che ha ascoltato le nostre preghiere e ci ha protetti in questo periodo scolastico; è grazie alla Sua Opera che oggi mia figlia sorride al futuro e noi abbiamo ritrovato quella serenità che da tempo non conoscevamo più” Una mamma (1986) “Vorrei esprimere il mio più vivo grazie a Lina Prosa, non solo perché ci permette di riunirci nel suo ricordo, ma soprattutto perché Lei, con Flora, ha avuto il coraggio di iniziare con fede e speranza tutto ciò che noi oggi vediamo” Antonella (1990) 28 “Avevo perso da qualche parte i miei sogni, in particolare quello di studiare. Poi, entrata nella casa di Flora, ho ritrovato i desideri, le aspirazioni che avevo dimenticato e questo lo devo al tipo di ambiente sereno e amichevole che ho trovato all’interno di questa scuola, anche grazie alle mie compagne ed ai professori” Barbara 1994 “Cara Flora, ringrazio sempre il Signore per avermi dato la possibilità di conoscerti. La tua scuola è stata per me un grande aiuto, mi ha reso più serena, disponibile, comprensiva, ma la cosa più importante è che mi ha ridato la fiducia in me stessa che avevo perso in questi ultimi anni” Jessica 1994 “Non è raro in una scuola vedere le studentesse che consolano affettuosamente una compagna “vittima” di un’interrogazione disastrosa. È molto più difficile, invece, vedere ragazze che esultano per il successo delle coetanee. Ebbene, al Flora, alla cerimonia della consegna del premio Lina Prosa, ho notato con piacevole stupore che le ragazze applaudivano e abbracciavano le premiate con gioia vera e genuino entusiasmo” Una professoressa (1995) “Sì, ho una figlia di 16 anni al Flora; frequenta l’Istituto ed ogni giorno che passa la vedo crescere, pensare, riflettere, diventare grande. [...] È confortante constatare che i propri figli sono inseriti in un ambiente positivo, sereno, aperto, semplice e costruttivo, ispirato alla visione cristiana della vita” Un papà (1996) “Ci sono arrivata in punta di piedi, con un po’ di timore, ma anche con tanta energia e voglia di fare il corso OSS. Grazie all’organizzazione attenta, il Flora offre una formazione professionale mirata con insegnanti qualificati e ci insegna cosa vuol dire lavorare con metodo e, quando occorre, fermarsi per pensare e fare” Una futura OSS (2001) “Il giardino interno dell’antico stabile di via S. Francesco da Paola 42 trasmette la tranquillità, l’ordine e il rispetto che si possono respirare in una delle storiche scuole di Torino. E subito si è incuriositi dall’Istituto Flora che ospita il Liceo della comunicazione. Un’ottima scuola, come quelle di una volta che preparavano e formavano – si potrebbe dire – attenta all’educazione, al rispetto del prossimo, al sociale, alla tradizione, ma anche aperta sul mondo della modernità, del dialogo, del lavoro.” Guido Folco (2003) Al Flora… Vorrei dare un suggerimento a un ragazzo che ha appena terminato le scuole medie e che dovrebbe iscriversi in un istituto superiore per continuare gli studi. Sicuramente questa scelta è molto difficile da intraprendere da solo, quindi suggerirei al ragazzo di farsi aiutare possibilmente da una persona adulta, come i propri genitori. Però anche le opinioni di uno studente quasi maturando possono tornare utili. La scelta della scuola non deve essere condizionata dalla scelta dei propri amici, ma deve essere ponderata e accurata in base alle proprie aspirazioni. In proposito vorrei riportare la mia personale esperienza, in modo tale da guidare e consigliare il ragazzo in una scelta consapevole. La mia e quella dei miei amici è stata - preferirei definirla - una “scelta collettiva”, presa all'unanimità senza tener conto delle attitudini del singolo. Ovviamente, dopo un primo momento di esaltazione generale, le cose cambiarono. Ho perso un anno scolastico, poi è stato scelto per me l’Istituto Flora. Ora che frequento il quinto anno, posso dire con assoluta certezza che quella scelta, dapprima contestata, oggi è stata forse l’unica che mi ha cambiato la vita in senso positivo. All’Istituto Flora ho incontrato persone speciali che sono riuscite a 29 Festa del Grazie 30 capirmi, a comprendermi e ad aiutarmi. Qui ognuno è ascoltato, aspetto fondamentale per un ragazzo che si appresta a diventare uomo, e soprattutto compreso. Sì, comprendere è sintomo di amore, infatti all’Istituto Flora tutti lavorano con amore e sono uniti come in una grande famiglia che esalta le proprie capacità ma tiene conto anche delle individualità. L’individualità, le capacità, le aspirazioni, le emozioni sono parte integrante delle lezioni tenute all’Istituto Flora, qualsiasi tema si tratti. Anzi, molte questioni sollevate in classe, partono proprio dalla curiosità degli studenti. Ovviamente tutto questo grazie ad un magnifico lavoro in simbiosi tra il corpo docente e i dirigenti scolastici. Una curiosità: al Flora vieni quasi sempre chiamato con il tuo nome e non con il cognome. Sembrerà strano, ma in questo modo si crea un rapporto non più distaccato, ma famigliare, confidenziale. Rapporto, questo, utile per la propria formazione ed ideale per stimolare la curiosità e l’interesse per lo studio, sempre nel massimo rispetto. In conclusione, entrare a far parte della grande famiglia di Flora è un privilegio per chi entra e per chi già ne fa parte. Sì, perché anche opinioni, idee, curiosità sono sempre bene accette nell’Istituto Flora, perché?.. Perché per crescere ancora c’è bisogno anche di te. Danilo Melchionna Fui chiamato da Flora ad entrare nella sua casa assai prima del 1984, anno in cui ebbi l’onore di venire in questo Istituto ad insegnare. La chiamata, che mi fu chiara molti anni dopo, risale ad un giorno del mese di agosto del 1955 quando, in una gita con amici, incontrai la mia consorte che, l’anno dopo, nel Santuario di S. Rita, divenne mia moglie. Abbiamo intessuto insieme le vicende di cinquantatre anni di vita matrimoniale e speriamo di proseguire a lungo. Ho bisogno di parlarvi di Flora... Ho detto incontrai, ma per il modo col quale i fatti si sono svolti, devo rettificare e dire che andai da Matilde guidato da Flora, che conosceva già la famiglia di mia moglie, a quel tempo. Festa del Grazie Da Flora siamo stati accompagnati l’uno verso l’altra; ispirati al Vangelo e sorretti dall’Opera di Flora, abbiamo diffuso serenità su figli, nipoti e tutti coloro che abbiamo avvicinato. Flora ci ha illuminato perché realizzassimo il nostro patto d’amore nel custodire ed accrescere i valori della vita, nell’impegno, anche nel sacrificio, sempre nella gioiosa rinuncia per il bene di chi ci è vicino, patto d’amore nella verità di Cristo. Flora mi ha accompagnato anche al conseguimento della laurea. Grazie a lei, oltre al lavoro impegnativo che svolgevo, ricominciai a studiare a trentasette anni, ininterrottamente; raggiunsi il traguardo, nell’aula magna dell’Istituto di Fisica, nel marzo 1974. Su una pagina bianca della mia tesi, in basso, scrissi: “A mia moglie ed ai miei figli, Giuseppe e Vincenzo, inseparabili nel sostenermi, esprimo la mia riconoscenza. Ai miei genitori dedico alla memoria.” La laurea non mi servì tanto per il lavoro che svolgevo da anni, quanto per entrare in questo Istituto nel settembre del 1984 e rimanervi fino a maggio 2009. In queste aule ho dato quello che mi è stato possibile, sorretto dalla passione per la scuola. Il cammino con l’aiuto di Flora non termina qui; insieme alla mia consorte continueremo a camminare con Flora al nostro fianco. La mia famiglia è debitrice verso questo Istituto, di cui oggi si festeggia il mezzo secolo di vita, per quello che ha potuto imparare in questo luogo, emblema dell’operosità silenziosa e proficua. Esprimo ancora gratitudine a Flora per avermi dato la possibilità di conoscere, in questa scuola, persone di alto valore morale e professionale. Possiamo dirlo a tutti che l’Istituto Flora è il luogo dove si diffondono, operando nell’ombra, i grandi ed impegnativi temi della pedagogia; proprio come diceva Flora, operando nell’ombra, in questa scuola vive l’arte di saper educare, nel segno di Gesù. Spesso, all’ora del crepuscolo, quando terminavo la lezione del corso pre-serale A.C.I., percorrendo questa via e fermandomi al semaforo di Corso Vittorio, sentivo di avere una grande serenità, sembrava che i lampioni facessero più luce, mi sembrava che quei giorni fossero di festa, l’aria più pulita del solito, le persone che passavano più cortesi, meno impazienti, avevo cioè nell’anima i riflessi di luce dell’Istituto Flora, dal quale ero appena uscito. Durante la strada verso casa mi tornavano alla memoria molte riflessioni sulla forza e sulla bellezza che avvolge la nostra vita quando si ha il privilegio di sostare in un luogo dove è normale l'abbandono in Dio. “L’abbandono in Dio dà forza”, diceva Flora, proprio così! Grazie a tutti. Marrese Prof. Nicola 31 Presso il “Centro Flora Manfrinati” di Testona il 14 maggio 2009 - si è tenuto il Convegno indetto dall’Associazione di volontariato CAV – Centro di Aiuto alla Vita di Moncalieri - Testona e dal Movimento per la Vita sul tema: Le frontiere e gli esiti della vita umana Introduzione della signora Angela Ciconte, Presidente del CAV di Testona S 32 ono Angela Ciconte e Presidente del Centro Aiuto alla Vita di Moncalieri - Testona, un’associazione di volontari in favore della vita. Da un anno operiamo in questo territorio, infatti siamo sorti nel febbraio 2008 e l’8 febbraio 2009 il Cardinale ha inaugurato ufficialmente il nostro Centro di aiuto alle mamme in gravidanza, in particolare gravidanze a rischio; innanzitutto l’aiuto psicologico, quindi anche economico (Progetto Gemma). Vent’anni fa io ho avuto una gravidanza inaspettata e tutti volevano che abortissi: mi trovavo infatti in una diffi- cile situazione ed avevo anche un marito molto violento. Ma sentivo che non potevo decidere io di quella vita che era nel mio grembo, che c’era e quindi doveva venire avanti, così, alla fine è nata la bambina e ringrazio Dio che è qua; ogni suo respiro per me è un ringraziamento al cielo per aver fatto allora quella scelta e penso che, se avessi scelto altro, la mia vita non sarebbe stata né sarebbe la stessa. Oggi sono una donna pienamente realizzata, lavoro, ho una nuova famiglia con un uomo che mi ama. Tutto questo per dire che non bisogna arrendersi di fronte a quello che sul momento può sembrare un problema insormontabile; magari le cose vanno a posto; comunque non possiamo decidere di “sbarazzarci” di tutti quelli che ci creano problemi e quella vita che è in noi, anche se non la vediamo, è una vita. Provata dalla mia personale vicenda, ho aderito un anno fa alla richiesta del Dott. Boero, “se me la sentivo di costituire questa associazione”. Il Dott. Boero e la Dott.ssa Vergani hanno tenuto un corso di formazione a tutti i soci, in modo da metterli in grado di “aiutare”, fornire supporto psicologico, di capire veramente le persone in difficoltà. Per questo ringrazio sia il Dott. Boero che la Dott.ssa Vergani. In questo anno abbiamo seguito circa 70 casi, di cui 40 in corso, abbiamo salvato 5 bambini a rischio di aborto e una grande soddisfazione ci è stata data da una di queste cinque mamme, proprio determinate ad abortire (la Dott.ssa Spagnolini e il marito hanno seguito questo caso), che adesso ha partorito e ha lasciato questo messaggio per tutte le mamme: “Non abortite, perché la gioia della nascita di un figlio è troppo grande!”. Per noi ciò è stata una grande contentezza e la conferma che la strada che stiamo percorrendo è quella giusta. Per questo siamo ancora più motivati. Insieme a questa attività di volontariato, per rendere economicamente autonome le mamme, stiamo facendo un corso per assistenti famigliari, con diploma riconosciuto dalla Regione, che permetterà loro di andare a lavorare nelle strutture pubbliche e private. Abbiamo anche costituito un servizio di baby-sitter per permettere a queste mamme di seguire il corso e stiamo collaborando con il Banco di Solidarietà Sanitaria, col Banco Alimentare, con il VSSP e con il Movimento per la Vita. Noi abbiamo circa 40 volontari che ringrazio, perché senza di loro il CAV non esisterebbe, e abbiamo multiprofessionalità di medici, psichiatri, farmacisti, infermieri, avvocati, insegnanti e, non meno preziose, casalinghe e pensionati, perché servono cultura e specificità, però la cosa più importante è il cuore; è importante capire il problema dell’altra persona e questo si può raggiungere anche senza lauree, l’importante è avere la voglia di fare questo cammino. Per chi volesse aggregarsi, c’è posto, siete tutti benvenuti. Intervento del Dott. Walter Boero Grazie a tutti voi per essere presenti questa sera a sentir parlare del tema della vita. Angela ci ha parlato di ciò che concretamente è stato realizzato qui, a Testona, e che riscuote l’entusiasmo di tanti volontari. Sia Elena che io, nei primi momenti di esistenza di questo Centro Aiuto alla Vita, siamo 33 Le frontiere e gli esiti della vita umana 34 rimasti molto colpiti dal clima di famiglia e di collaborazione, tra volontari e Parrocchie. Ringrazio perciò anche i Parroci di Testona e Moncalieri, che ci hanno fatto credito e ci hanno incoraggiati a fare il nostro dovere, di cittadini e, a maggior ragione, di cristiani. Infatti, partendo dalla presenza concreta del CAV, da questo aiuto concreto che viene dato alle mamme in difficoltà, siamo invitati a riflettere questa sera insieme ad Alessandro Meluzzi, sul significato della vita, andando in profondità, andando ad esplorarne le zone di frontiera, all’inizio e al termine. Io sono molto contento che questa sera siate così numerosi, perché significa che questo argomento è molto sentito e suscita un notevole interesse. Occorre far conoscere il Centro, distribuendone i pieghevoli tra i medici della mutua, i farmacisti, i pediatri, gli specialisti, in modo da costituire come una rete di sostegno tra persone che amano la vita. Una mamma che aspetta un bambino ha solo bisogno di essere attorniata da amore, almeno pari a quello che dà lei al proprio figlio; se la circondano persone ostili, allora le mamme sono in grande difficoltà e tante non scelgono più la vita, si arrendono. Se invece dal medico al farmacista, dal vicino di casa al Centro Aiuto alla Vita, trovano attenzione magari da uno che neanche bene si conosce, alla fine è per loro più facile andare verso la vita. In questi giorni c’è la Fiera del Libro a Torino ed un piccolo stand è organizzato dal Movimento per la Vita Italiano. Questa mattina sono iniziate le attività della Fiera ed è stato uno spettacolo bellissimo: il nostro stand era assediato da ragazzi, incuriositi da quiz, che comportavano un premio per la risposta corretta. Mentre in tutti gli altri stand semi-deserti "pascolavano" delle persone stanche e distratte, nello stand del Movimento per la Vita c’era un formicolio pazzesco di 30-40 ragazzi alla volta, entusiasti di fronte alle foto, che dicevano la grandezza e la bellezza della vita. Credo che adesso il Dott. Meluzzi ci introduca in questo campo, permettendoci di esplorare anche i momenti difficili di maggior fragilità che si trovano nelle zone estreme all’inizio e alla fine della vita. Vi ringrazio. Relazione del Dott. Alessandro Meluzzi Il mistero del divino nell'uomo C ari amici, io sono molto contento questa sera di essere qui con voi, ma anche imbarazzato, perché mi avete chiamato a parlare della vita e dell’accoglienza della vita, della vita nei suoi esiti e nei suoi confini ed io francamente sono spaventato dalla grandezza del tema. Perciò tenterò di condividere con voi le mie riflessioni: innanzitutto la difesa della vita, la sacralità della vita, è sì assioma invalicabile, uno di quei valori non negoziabili, a cui spesso Papa Benedetto ci ha richiamato, in linea con tutto il Magistero della Chiesa e la migliore tradizione della cultura, in cui siamo nati e vissuti, ma che ha bisogno io credo, per calarci e per parlare alla profondità dei cuori, di qualcosa che lo sostanzi e questo è la presenza del divino nell’uomo, che per noi cristiani è un fatto concreto, specifico, è l’incontro personale, ed è l’incontro proprio con Lui, con Gesù di Nazareth, detto il Cristo; allora se questo incontro si realizza tutto è possibile. Se questo incontro non si realizza, se ci si affida solo alla ragione, allora tutto diventa estremamente difficile. E già questa affermazione potrebbe sembrare una presa di posizione poco politica, poco corretta, o in controtendenza, perché la vita non è un valore spirituale, né religioso, né soltanto per credenti, è un valore naturale; però è anche vero che se noi non riusciamo a far intravedere ciò che è oltre e naturale, se non facciamo diventare la difesa della vita l’aspetto essenziale della buona notizia che Iddio si è fatto uomo, perché l’uomo potesse riscoprire la sua vera natura che è divina, che è il cuore, il segreto della profondità del messaggio cristiano, tutto diventa difficile. Questo lo dico perché parole come bioetica, deontologia, moratorie, concetti che attengono al terreno dell’ethos, delle regole, dei sistemi normativi, legislativi, eteronomici, nel mondo in cui viviamo sono un diaframma sottilissimo per guidare i comportamenti delle persone. Non è con le regole che si possono governare processi che ci toccano profondamente e che rendono ragione del perché oggi questo tema della vita sia oggetto di discussione mentre neppure dovrebbe esserlo. Diceva infatti Seneca che noi scopriamo di avere un organo quando questo si ammala, scopriamo di avere un cuore quando batte male, o le gambe quando facciamo fatica a camminare, o lo stomaco quando non digeriamo; diversamente non ce ne accorgiamo. Perché, come direbbe Charles Péguy, grande poeta cristiano, c’è la prevalenza dell’evento. Quindi se noi discutiamo sulla vita, il cui valore dovrebbe essere una verità inderivabile, vuol dire che qualche cosa si è misteriosamente ammalato nel rapporto tra gli uomini, la loro vita e la vita degli altri. Cioè se la vita anziché essere un fatto, un a-priori, un qualche cosa di 35 Le frontiere e gli esiti della vita umana assoluto e di totale, diventa oggetto di metacomunicazione, vuol dire che qualche cosa si è infranto all’interno di questo meccanismo. Denatalità 36 Nell’Occidente industriale e post-industriale, specificatamente dell’Italia, oggi abbiamo grossomodo un figlio, uno e mezzo, uno virgola due per coppia, cioè al di sotto del tasso di mantenimento della popolazione. Di bambini quindi ne vengono concepiti molto pochi; di questi spesso concepiti tardivamente e faticosamente, su 100, 30 finiscono nei tritarifiuti degli ospedali; quindi uno su tre, che è una percentuale altissima, dovuta, più che al numero degli aborti procurati, alla scarsità delle nascite che arrivano a termine. E questi sono numeri sconcertanti. Io credo che le ragioni siano molteplici e non tutte sociologiche. È vero che sono state perseguite politiche di denatalità, ritenendo che la denatalità fosse un fattore di sviluppo economico in India, Brasile, Congo ex-Belga, Repubblica Popolare Cinese, e attraverso diverse tecniche: campagne di sterilizzazione forzata o pagata nel sud del continente indiano; leggi draconiane contro il secondo figlio nella Repubblica Popolare Cinese; diffusione di contraccettivi meccanici in Africa, di contraccettivi chimici e di consultori famigliari volti a questo nell’America latina. Ma se si chiede ai funzionari dell’OMS, che si sono occupati di campagne demografiche per la denatalità, quale ne sia il fattore decisivo, si rimane sconcertati; l’unica situazione rispetto alla quale si misuri numerica- mente e scientificamente una dimensione di proporzionalità inversa tra un fattore e l’altro è il rapporto tra natalità e scolarità delle donne. Più la scolarità delle donne cresce, più la natalità scende. Che riflessione dobbiamo fare su questo? Io non credo che il dato principale sia il problema della pianificazione famigliare, dell’accesso ai metodi contraccettivi o della consapevolezza, ma il fatto che oggi la liberazione della donna, la sua autoaffermazione, la crescita dell’autonomia abbia posticipato il tempo della maternità. Penso a mia figlia che ha vent’anni, e a quali sono i suoi progetti. Se voi chiedete a una ragazza di vent’anni che cosa vuole fare nella vita, più o meno univocamente vi dirà: mi voglio realizzare. Cosa vuol dire “mi voglio realizzare”? Vuol dire: mi devo laureare, poi mi devo specializzare, poi magari devo fare un master, poi devo vincere un concorso, poi devo fare uno stage all’estero, poi devo trovare uno straccio di compagno che funzioni, devo trovare una casa, cambiare macchina, fare un altro viaggio alle Seychelles, poi… alle soglie del tempo della menopausa ostetrica o ginecologica, arriva il momento della prima maternità che deve coronare il perfezionamento di questa donna realizzata. E questa è una realtà, voglio dire è una realtà aneddottica, ma fa riflettere chiunque abbia dei figli in età riproduttiva, perché ricordiamo che tra i 18 e i 20 anni c’è il picco della massima fertilità nelle donne della specie sapiens sapiens. Quindi se la maternità è un fenomeno di natura, dovremo dire che il momento ottimale in cui questa si dovrebbe realizzare è l’età di mia figlia. Io dico spesso queste cose, con un certo sconcerto di mia moglie che replica: “bell’esempio, belle lezioni dai a nostra figlia!” Ma secondo me, per molte ragioni, sarebbe meglio, molto più fisiologico e molto più giusto, anche dal punto di vista dell’economia, della macroeconomia, del funzionamento dei sistemi di welfare, che la maternità si spostasse verso i 20 anni più che verso i 40, come accade oggi. Perché oggi la data della prima maternità in Italia si posiziona intorno ai 35-36 anni, che è molto, molto tardi, ma che riflette la parabola esistenziale che ho descritto. Questo è un dato, ma questo, diciamo, è l’aspetto più elementare del problema. La mia sensazione è che più l’investimento emozionale, pulsionale, libidico, emotivo della donna e anche dell’uomo è autoriflesso, esasperatamente egosintonico e ripiegato su di sé, più il mistero della vita faccia fatica ad esprimersi e ad uscire da sé. Ci sono due modi di considerare il problema: dal punto di vista sociale ed esistenziale. Nel primo caso, se noi guardiamo qual è oggi la realtà demografica del pianeta, vediamo che si riproducono, generano la vita e la diffondono i poveri della Terra: gli africani, gli abitanti delle favelas dell’America latina, quelli di certe zone suburbane dell’Asia, anche qui con un rapporto di proporzionalità inversa tra natalità e reddito pro-capite. E per quanto riguarda la nostra storia, oggi, alle nostre latitudini, il reddito pro-capite, per quanto scarso, povero, incerto ci possa apparire, riflette il grado di ricchezza più alto che l’umanità abbia mai conosciuto. Il Re Sole certo Alessandro Meluzzi, medico, psicologo, psichiatra e psicoterapeuta, giornalista e autore televisivo. Ha conseguito il baccalaureato in filosofia e mistica. Fondatore della comunità “Agape Madre dell’accoglienza”, è Direttore scientifico della scuola superiore di umanizzazione della medicina. È autore di varie pubblicazioni, tra le quali Cristoterapia (con Pierino Gelmini, OCD, 2007); Ti perdono (con Roberto Milone, OCD, 2008) e L’infinito mi ha cercato – da Marx a Gesù una vita in cammino (a cura di Paolo Gambi, Piemme, 2009). Quest’ultimo è la testimonianza di come l’amore del Dio Trinitario ha cercato un uomo che correva alla ricerca di sé tra continenti geografici – dal Tibet all’America Latina – e magmatici orizzonti culturali. Un “ritorno a Dio” che non cessa mai di amarci… Dall’infanzia trascorsa fra la parrocchia francescana e i rosminiani, fino agli anni giovanili nelle file del PCI; dalla carriera di psichiatra alle vicende che lo hanno portato due volte in Parlamento; dall’esperienza massonica al ritorno più pieno nella Chiesa Cattolica. … La sua poliedrica esperienza porta con sé soprattutto una sfrenata e appassionata ricerca di senso della vita, a cui lo psichiatra ha dato una risposta netta e chiara aderendo con tutto se stesso, nella più piena maturità, al messaggio cristiano; un’esperienza di vita che sfocia tra le braccia di Cristo, portando con sé un’identità umana e culturale che trae da tutte le fasi della vita sapori e tratti distintivi. 37 Le frontiere e gli esiti della vita umana 38 non godeva della nostra stessa disponibilità per l’igiene, i viaggi, l’accesso all’informazione, le cure mediche, la tecnologia; quindi il più povero di noi, oggi, dispone di un benessere materiale maggiore di Luigi XIV. Nonostante questo noi abbiamo un’acuta percezione di povertà. Lo prova il fatto che i nostri nonni e bisnonni, quando davvero c’era la fame, facevano 10-12 figli, adesso si ritiene di essere troppo poveri per fare il secondo figlio, o anche il primo. Il problema è però (e questo è il secondo punto) ancora più sottile e riguarda le profondità e il segreto del sé e dell’uomo. Più il cuore dell’uomo diventa simile ad un buco nero, ad una nana bianca, ad una massa di gravità energetica ed emozionale che trattiene tutto, più l’investimento sull’esistenza è fatto su di sé, in un’esasperata ricerca della felicità personale, che diventa frequentemente anche fonte di immensa disperazione, perché non c’è niente di più disperante che votare la propria vita alla ricerca della felicità. È quella che io chiamerei “la sindrome della notte di Capodanno” o del giorno del com- pleanno: non c’è modo migliore per annoiarsi, deprimersi, frustrarsi che pensare che ci si deve proprio divertire. Non c’è modo migliore per essere più disperati o infelici che pensare che l’obiettivo della vita sia perseguire una ricerca della propria autorealizzazione o della propria felicità. Negli Stati Uniti l’obiettivo della Costituzione è quello di facilitare la ricerca della felicità da parte dei singoli; formulata da un gruppo di ebrei e di cristiani di varie confessioni, anglicani, qualche cattolico, molti presbiteriani, episcopaliani, ecc., la Costituzione degli Stati Uniti incarna un medio comun denominatore cristiano riformato: l’idea della felicità e della possibilità della libera ricerca della felicità ha una matrice un po’ giansenistaluterana. Cuore della nostra civiltà e della nostra epoca, quel bisogno di realizzarsi, di autoaffermarsi, di compiere la propria entelechia, il proprio destino, il proprio esito, in una ricerca più o meno convulsiva di tutto ciò che può contribuire a dare felicità, ci fa perdere di vista un’altra verità, più nascosta, ma infinitamente importante: che la felicità o il sentimento di pienezza si realizza nel cuore dell’uomo quasi sempre in maniera imprevedibile, misteriosa, difficilmente pianificabile, quasi mai quantificabile, ed irrompe come qualche cosa di misterioso e direi quasi di luminoso, quando ci dimentichiamo per un momento che l’obiettivo siamo noi, che tutto ruoti sul nostro io-io e ci apriamo a quel mistero infinito, che è altrettanto costitutivo dell’io nella condizione umana, che è il dono; cioè il fatto che noi siamo felici non quando pensiamo di sollevarci da terra tirandoci per le stringhe o per le bretelle, ma quando apriamo il nostro cuore al cuore dell’altro e doniamo gratuitamente, senza nulla in cambio. Qualcuno giustamente ha detto che alla fine della nostra vita ci rimarrà davvero non quello che abbiamo accumulato, non quello che abbiamo fatto, ma soltanto quello che abbiamo donato; non foss’altro perché quando doniamo davvero, come a Cana, la botte dà il vino che non ha. Mentre quando noi scambiamo, alla fine il saldo è sempre zero. Questo donarsi deve avvenire nel “rapporto matrimoniale", concetto ora sostituito con “vita di coppia”. Coppia: famiglia nucleare La vita di coppia è un’invenzione recente, degli ultimi 30-40 anni di storia occidentale; i miei nonni, che sono stati sposati 60 anni, non hanno vissuto in coppia, ma in famiglia. Il concetto di coppia si basa sull’idea che i meccanismi per cui si mettono insieme un uomo e una donna all’inizio della loro storia, possano essere gli stessi che li mantengono uniti un’intera vita, il che ovviamente è una follia. Questa è la ragione per cui oggi le giovani coppie vanno quasi subito in crisi (anche senza giungere alla posizione di Sartre e Prévert, legate all’angoscia delle angosce di fronte all’impossibilità di scegliere): quando scoprono che il loro rapporto sta mutando, una volta soddisfatta l’eccitazione e la curiosità, mentre la scoperta reciproca deve progressivamente sfumare in intimità, confidenza, tenerezza, per poi evolversi in un grande progetto comune, che include l’accoglienza della vita e infine anche in un grande sogno comune, che si proietta nell’eternità, per cui, alla fine della vita, si possa dire come S. Paolo: “Abbiamo terminato la corsa, abbiamo mantenuto la fede”. Occorre dunque che i rapporti nella famiglia non si reggano solo sullo scambio, ma sul dono; perché, se una coppia considera il reciproco sentimento alla stregua di un libro contabile che, alla fine di una giornata deve essere a pareggio, naufraga rapidamente. Il pareggio non ci può essere tutti i giorni, spesso non c’è neppure per lunghi periodi. Saldi sono solo quei rapporti in cui il punto di partenza e il punto di arrivo non è basato sullo scambio ma sul dono, cioè sull’assunzione di una responsabilità che ha in sé la dimensione di un vero e proprio sacerdozio, (sacer dall’etimo della parola, cioè sacro). Se avessimo chiesto ai nostri nonni su che cosa era basata la tenuta della loro vita per 50-60 anni, che cosa ci avrebbero risposto? Che era fondata sul sacrum facere, (non l’avrebbero detto in latino), basata cioè sul sacrificio, perché senza sacrificio non vi può essere dono, senza dono e sacrificio non vi può essere fecondità. Allora la crisi della trasmissione della vita è innanzitutto oggi un prodotto dell’inesistenza della famiglia e della sostituzione della famiglia con artefat- 39 Le frontiere e gli esiti della vita umana ti come la coppia, che sono in realtà l’incontro disperato di due solitudini. Allora: dall’incontro disperato di due solitudini, la trasmissione della vita anziché essere uno di quegli eventi che ci sorprende, tornando a citare Péguy, anziché essere come la morte l’evento per antonomasia, diventa l’oggetto, nella migliore delle ipotesi, di una tristissima espressione, come la pianificazione famigliare. Pianificare l'evento di vita e di morte 40 Quando io sento parlare di pianificazione famigliare, non so se sia un termine che piace o non piace ai Centri di Aiuto dalla Vita, ma è un termine che mi fa venire i capelli dritti in testa. Cosa vuol dire “pianificazione famigliare”? che cos’è, un tox-plan? E come si può pianificare la vita? Cioè, come si può pianificare un evento che è tanto logicamente prevalente su qualsiasi altro? Davvero mi fa venire in mente la pa- rabola evangelica in cui quel tale, raccolto tanto grano che non sapeva dove metterlo, pensava di doversi costruire nuovi granai, mentre quella notte stessa la vita gli sarebbe stata tolta. Questa presenza sacrale della vita e della morte è scotomizzata quasi completamente dalla vita dell’uomo moderno, che pensa di poter pianificare la vita e che oggi altrettanto e che forse anche più tragicamente pensa di poter pianificare la morte. Se la morte e la vita diventano, anziché degli eventi, illuminati da una dimensione di mistero e di eterno, degli oggetti di una pianificazione quantitativa, l’essere umano diventa un’altra cosa. Badate bene che quello che sto dicendo non è un’inquietante ipotesi fantascientifica, ma è il presente che vediamo intorno a noi. Oggi la nascita, da molto tempo, è diventata un evento sanitario come la morte. Questa poi si avvia a diventare un evento sanitario pianificato, un omicidio pianificato. Anche il concepimento si avvia a diventare un evento sanitario pianificato: oggi il 25% delle coppie ha bisogno di interventi sanitari per concepire ed è ovvio: quando si giunge alla soglia della menopausa ostetrica o ginecologica e della fragilità andropausale da stress e da età, è facile si debba ricorrere al laboratorio, alla provetta, alla fecondazione assistita. Se la vita diventa un evento sanitario pianificato, qualcosa di ra- dicale cambia sotto il profilo antropologico per la programmazione di quello fino ad ora vissuto gioiosamente, come espressione di un mistero di amore, di dono e di libertà. Ed in questa programmazione della vita “gli embrioni non hanno niente a che vedere con i bambini”, come mi ha fatto notare una signora, peraltro molto colta e compita, che si è sentita garbatamente in dovere di correggermi alla fine di una tavola rotonda, in cui avevo detto che il 30% dei bambini finisce nei tritarifiuti degli ospedali. Qualità della vita Ma che cosa definisce un essere vivente “umano”? Qual è il momento in cui la vita diventa sacra? Qual è il momento in cui la vita cessa di essere? Se noi accettiamo questa discussione e accettiamo di discutere sul tema della qualità della vita, cioè se accettiamo che la vita abbia delle qualità secondarie, possa avere degli attributi, possa avere delle sovradeterminazioni, io credo che ci avviamo verso un orizzonte mefistofelico. Chi potrà stabilire qual è la vita che non merita di essere più vissuta, per esempio? La vita di un bambino autistico, che non vede, non sente, non parla è una vita degna di essere vissuta? E quella di un anziano ammalato di morbo di Alzheimer, incontinente, non più in grado di mangiare se non viene imboccato, è una vita meritevole di essere vissuta? E quella di un malato di cancro terminale che fa fatica a respirare, è una vita meritevole di essere vissuta? E quella di un disabile che non ha né braccia né gambe, né occhi, né orecchie e vive una condizione di grandissima fatica è una vita meritevole di essere vissuta? Se noi entriamo nella logica di queste domande siamo perduti. Perché, se apriamo una discussione su quale vita sia meritevole di essere vissuta e quale no, abbiamo veramente stravolto il senso con cui il mistero della vita ci si è rivelato dall’inizio dei tempi, prima che dalla dottrina della Chiesa, dal cuore dell’uomo, che tende alla vita, in qualunque condizione. Se a me, ammalato terminale mia figlia: “Babbo – mi dicesse – non vedi come sei ridotto? Ti pare che valga ancora la pena di soffrire una settimana, quindici giorni, un mese? Non pensi che sarebbe bene per tutti, per te, per me, per la mamma, per i nipoti porre fine a questa sofferenza, con un’iniezione che ti tolga tutto il dolore?”. E la mia risposta in quel momento non potrebbe essere che un affranto, tragico sì, ma basato non sulla scelta, ma sulla desolazione dell’abbandono; se an- 41 Le frontiere e gli esiti della vita umana 42 che la persona che più amo al mondo viene a dirmi: “Non è meglio che tu ti tolga dai piedi velocemente, perché sei diventato inutile, scomodo, di troppo, pesante, inutilizzabile, costoso", allora davvero queste pseudopianificazioni hanno sempre un retropensiero che è quello di sbarazzarsi, nel modo più indolore, meno costoso possibile, di tutti quelli che sono diventati innanzitutto scomodi! Ma non scomodi per loro, ma scomodi per noi! Anche perché nella mia pratica di trent’anni di medico qua e là, avendo frequentato molti morenti, non mi è mai capitato di conoscere un solo agonizzante, che non pensasse di dover vivere almeno ancora un’ora. Un’ora in cui qualche volta si può fare tutto quello che non si è fatto in una vita intera: riconciliarsi con le persone amate, riconciliarsi con se stessi e riconciliarsi anche con Dio. Quando Madame Du Barry, girondina, durante la rivoluzione francese, salì sul patibolo del boia, si girò verso il boia, che dopo aver tagliato la testa l’avrebbe offerta alla contemplazione del popolo in Place de la Revolution, diven- tata adesso Place de la Concorde: “Un petit moment, monsigneur, - disse – je voudrais, s’il vous plaît, un petit moment” – ancora un piccolo momento, signore, per favore, ancora un piccolo momento – Che cosa la spingeva a tale richiesta? Paura o contemplazione dell’evento, del mistero di quell’attimo in cui ci si apre all’eternità? Il momento della morte è semplicemente il momento che ci divide dall’eternità, da Dio, da cui proveniamo e a cui torneremo, esattamente come un’onda che si increspa, uscendo dall’oceano ed all’oceano da cui proviene, ritorna. L’eterno è una dimensione da cui non si può prescindere pensando alla vita. Perché se no c’è l’equivoco che l’obiettivo della vita sia l’immortalità. Quando per togliere la paura della morte sento affermare che: “tra poco la vita dell’uomo sarà lunga 120 anni”, forse che a 119 anni la paura della morte sarà più tenue che ad 80 o a 25? E poi il problema non è l’immortalità, ma è l’eternità. Perché l’immortalità anzi appare come una maledizione estre- ma. Significa veder morire figli, nipoti, scomparire generazioni, finire questo universo… Il nostro cuore – come diceva Pascal – è chiamato invece all’eternità, alla totalità, alla nostalgia dell’Uno da cui promana, ma non all’immortalità in questo mondo, sarebbe un incubo. C’è una bellissima novella di Borges, tratta dall’Alef, dedicata alla famosa triplice guerra tra Paraguay, Argentina e Brasile, in cui si descrive la fucilazione di un soldato, preso dai nemici e portato davanti al plotone d’esecuzione. Ma quando il comandante ha già calato la sciabola ed i colpi sono partiti, il tempo per il condannato si ferma: in quell’attimo è prigioniero della sua memoria; come se improvvisamente tutta la sua vita: ricordi, rimpianti, sensazioni, si riassumesse in quel momento, che precede il salto nel mistero. Questa dimensione del mistero della vita e della morte è quanto di più lontano ci sia dalla progettazione, dalla pianificazione, dalla razionalizzazione e dall’idea che la coscienza, non dell’interessato, ma la coscienza di altri possa decidere su questo mistero, rispetto al quale noi non possiamo che assumere un atteggiamento di disponibilità, apertura, accoglienza e tenerezza. Quale pensiero volevo lasciarvi? Che la difesa della vita non è un progetto politico, non è neanche un atto di filantropia, né di generosità; forse anche tutto questo, ma la difesa e l’accoglienza della vita è il vero punto fondativo di tutta l’esistenza umana. E questo ce lo ricorda esattamente il mistero di un Dio che sente la necessità di farsi uomo, essendo ricapitolazione di tutto l’universo in una nuova creazione, che si compie attraverso l’incarnazione, attraverso un utero di donna. Ma che Dio è, un Dio di tutti gli universi, un Dio della totalità di ogni tempo, di ogni epoca, di ogni storia, di ogni spazio, che ad un certo punto della storia universale sceglie di farsi uomo attraverso un utero di donna? In questo sta la rivelazione del segreto dei segreti, in quel sì di Maria, Vergine e Madre, sta la risposta di tutte le domande di tutta l’umanità ad ogni domanda possibile sulla vita. In quel sì di accoglienza alla vita non si narra una leggenda semitica antica di due millenni, non si legge una propaganda ellenistico-farisaico-paolina costruita chissà dove, lì c’è il cuore del cristianesimo, il segreto di accoglienza alla vita e di fecondità del divino nell’incontro con l’umano, mistero dell’Incarnazione. E quindi io credo che il segreto del sacerdozio cristiano e il segreto della maternità si guardino l’un l’altro esattamente come Gesù guarda sua Madre, esattamente come il nuovo Adamo, ignudo nella culla di Betlemme, guarda l’utero di sua Madre, ignudo anch’esso nella totalità della propria kenosi e del proprio abbandono. Quindi in Gesù e Maria, in questo nuovo Adamo e in questa nuova Eva, l’accoglienza della vita diventa non soltanto pezzo della storia umana, ma segreto della vita divina. Che sarebbe stato del Logos, attraverso cui tutto è stato fatto, se Maria avesse risposto “no”? Che sarebbe stato della storia Trinitaria? Su quale altra galassia il Logos si sarebbe incarnato? Che sarebbe stato della storia del mistero divino? Il Dio 43 Le frontiere e gli esiti della vita umana 44 dei cristiani è straordinario, perché è un mistero di relazione, è un mistero di ritrazione e di donazione: di ritrazione perché la vita possa procedere, la vita del Logos, ma anche la vita del creato; e di accoglienza perché la vita possa propagarsi. Quindi, nel mistero della vita, sta il segreto dell’umano, ma anche il segreto del divino ed è per questo che l’occuparsi dell’accoglienza della vita è un vero sacerdozio. Ed è forse questa la ragione per cui, nella grande tradizione cristiana, le donne non hanno mai fatto i sacerdoti, la stessa ragione per cui gli uomini hanno bisogno del pensiero e dell’analisi filosofica, mentre le donne risolvono tutto con l’intuizione e la tenerezza. Il vero sacerdozio delle donne è la maternità e purtroppo noi, oggi, abbiamo sempre meno sacerdoti e sempre meno madri e non è un buon segno per la storia della salvezza. Interventi da parte dell’assemblea Volevo chiedere questo: se ci si può liberare sia dalla paura di avere un figlio, sia da quella di non averne, per cui si è disposti a qualsiasi cosa, a spendere qualsiasi cifra, ad andare ovunque nel mondo, a sottoporsi a cure terrificanti, pur di riuscire in questo intento che diventa un bene assolutamente indispensabile e primario. Mi chiedo se è possibile che nelle società più ricche di figli se ne facciano pochi perché ci sono tante cose da perdere (ed anche qui entra in gioco la paura), mentre chi ha poco o nulla da perdere i figli li fa. Grazie Qualcuno ha detto che un giorno saremo giudicati sull’amore. Credo che la maternità dia la possibilità di conoscere l’amore oblativo come anche forse il sacerdozio. Io sono la mamma di un ragazzo disabile molto grave e credo che, come diceva prima il dott. Boero, anche un ragazzo disabile molto grave possa dare felicità, proprio perché la maternità è espressione di amore oblativo. Vorrei appunto che il dott. Meluzzi potesse darmene conferma. Grazie Come si può agire in campo educativo concretamente, genitori, insegnanti, per orientare i giovani verso la vita, verso la cultura della vita, traendoli dalla cultura della morte nella quale siamo immersi?. Grazie Comincio col rispondere a questa domanda che si integra perfettamente con la seconda, quella dell’amico che ha parlato della paura. San Filippo Neri, grande Santo della carità, amava ripetere spesso che per conoscere l’inferno bisogna farlo in questo mondo, perché se no si rischia di conoscerlo nell’altro. Un grande teologo del Novecento, Romano Guardini, soprattutto nella sua opera fondamentale che è “Il Signore”, parla nella pedagogia della funzione della paura e del suo rifiuto. Perché noi abbiamo paura? Che cos’è che ci spinge alla paura e qual è il rimedio della paura? La paura solitamente viene agganciata dalla mente a dei fantasmi; questi fantasmi sono nel cuore e nella mente di tutti noi. Un grande maestro dell’introspezione dei padri del deserto, un grande monaco della tebaide, Padre Pontico, li chiamava i pensieri, semplicemente. Noi siamo pieni di pensieri: abbiamo il pensiero del mutuo da pagare, del debito, delle tasse, dei voti dei figli a scuola, di come andrà la nostra carriera, di quanti libri venderemo o di quante saponette compreremo. Questi pensieri ci affollano e ci premono da tutte le parti, come demoni di certe raffigurazioni e affreschi. Penso al trittico delle delizie di Grünewald, in cui Antonio Abate viene ritratto nel deserto assediato da animali, musi di coniglio, maiale, lupo, serpente, mostruosi come quelli di Bruegel, che lo stringono da tutti i lati, e che sono tutti i nostri pensieri. Come ci si libera da questa paura? Io credo innanzitutto guardandola in faccia, affrontandola, scrutando quell’abisso che c’è in noi e che noi molto spesso cerchiamo di seppellire, anche nel mondo dei credenti, dentro una specie di casamatta, di bunker delle incertezze. Come se questo buco nero, consustanziale alla nostra natura umana nella condizione post-edenica, non fosse qualcosa che fa parte di noi e con la quale dobbiamo misurarci. Se invece noi la nascondiamo, la reprimiamo, la copriamo di una scorza impenetrabile, la rendiamo invisibile agli altri e alla fine anche a noi stessi, questa ci rende tragicamente vulnerabili e ci espone ad una paura insopportabile, producendo delle lacerazioni nei comportamenti, nelle emozioni, da cui derivano sensi di colpa e depressioni, oppure chiusura in se stessi, pavidità, e quella tiepidezza, di cui si dice nell’Apocalisse: “Io ti vomito perché non sei né freddo né caldo, perché sei tiepido”, che non ci consente di mollare gli ormeggi, salpare ed affidarci al Vento dello Spirito, in quell’atteggiamento di kenosi, di svuo- 45 Le frontiere e gli esiti della vita umana 46 tamento di sé che ha qualcosa di gioiosamente liberatorio. “Guardate i gigli del campo e gli uccelli dell’aria, - dice Gesù - non seminano, non raccolgono, eppure il Padre celeste provvede a loro”, “Marta, Marta, tu ti affanni per tante cose, eppure Maria ha scelto la parte migliore”. "Se non vi farete come questi piccoli non entrerete nel Regno dei Cieli”. Il piccolo si affida gioioso a chi lo ama, non ha paura, qualche volta al limite dell’irresponsabilità, infatti corre dei rischi. Nel reparto pediatrico di oncologia dell’ospedale Regina Margherita, si trovano bambini gioiosi che giocano felici fino a tre ore prima della fine della loro vita, né hanno paura di morire. Spesso l’angoscia della morte deriva da come i genitori li accompagnano a questo momento. Però, davvero, farci bambini vuol dire riconciliarci, come direbbe Jung, con la nostra ombra, la nostra parte occulta, invisibile, negata, da cui promanano quelli che noi chiamiamo i nostri peccati, i vizi capitali; c’è chi è più incline all’ira, chi all’avarizia o alla lussuria o alla gola, chi a tutti. Quindi questi vizi, in real- tà, altro non sono che le autostrade del male, attraverso cui noi sperimentiamo semplicemente l’inevitabilità della nostra finitezza con la quale ci dobbiamo riconciliare. Non si può perdonare ad altri se non ci si è innanzitutto perdonati. E questo le donne che abortiscono lo sanno bene. Avrei voluto dirlo prima, ma lo ha detto la signora: non ho mai conosciuto una sola donna che abbia abortito che non abbia sperimentato dolore, pentimento e senso di colpa, non negli anni, ma nei decenni successivi. Mi ricordo che 30 anni fa, da giovane medico, alle Molinette, al reparto di geriatria del Prof. Vitelli, raccogliendo le anamnesi di anziane di 80 anni, a proposito di interventi chirurgici, dove emergevano procurati aborti, piangevano, ed erano passati 60 anni! È vero che quando si diventa vecchi si piange più facilmente, perché si diventa più teneri, come bambini, e questo è un segnale di riconciliazione con se stessi, il senex e il puer si incontrano, ma è anche vero che questo dolore rimane a lungo; così come non ho mai conosciuto nessuna donna che, aiutata a non abortire, non fosse stata felice di questa scelta. Perché quando una nuova vita arriva, promana da questa una tale gioia che la riconciliazione della madre con se stessa e il mondo è in re, è nella realtà stessa dell’evento. Avviene quindi il superamento della paura e l’accettazione del proprio limite, mentre, ignorandolo, ci illudiamo di essere perfetti quando non lo siamo, resistenti quando siamo debolissimi; pellegrini e mendicanti di verità e di tenerezza, ostentiamo sicurezze che non abbiamo; siamo un fascio di debolezze e fragilità, che si ricompongono soltanto nell’immenso cuore della misericordia di Dio, della quale non dobbiamo mai cessare di fidarci. Se questa riconciliazione non avviene, l’alternativa è la paura, determinata dal tentativo di imbrigliare, con una ragione nostra, fragilità e caducità. Quindi, per non avere paura, bisogna prenderne coscienza, mollare gli ormeggi e dire: - Signore, io sono qua, so che Tu mi ami per quello che sono, nelle mie colpe. L’azione di Dio nel mondo contempla un primo momento in cui vengono fissati dei paletti; è la pars destruens, il decalogo dell’Antico Testamento ed un secondo, il messaggio dell’Amore di Cristo, che include il totale ribaltamento dei valori di questo mondo, tutte le sicurezze dell’umano nelle beatitudini del discorso della montagna, pars costruens. Questo il fondamento della pedagogia cristiana e i giovani sono vulnerabilissimi a questa vocazione di tenerezza e di fedeltà. Ma il problema è che facciamo una grande fatica a trasmettere tali valori, per una ragione molto semplice: non li si trasmette con le parole, ma con gli esempi, i fatti, la vita. E allora i veri educatori, i veri pedagoghi, i veri insegnanti non possono che essere dei profeti. E che cosa caratterizza il profeta? Il fatto di vivere nell’incarnazione della propria vita i valori che annuncia. Se no sono cembali squillanti e tamburi risuonanti, sono come i farisei, come sepolcri fuori rinfrescati con la calce, ma dentro pieni di ossa e putridume. I giovani, che hanno una sensibilità acutissima, recepiscono non tanto quello che genitori e insegnanti dicono, quanto ciò che fanno e ciò che sono; quindi la vera pedagogia implica il guar- darsi dentro, l’andare quaranta giorni nel deserto digiunando ed esponendosi a tutte le tentazioni, seguendo l’esempio di Nostro Signore, e poi, ripuliti, lasciare che gli Angeli ci servano, perché si possa trasmettere questa grazia. Ma se noi pensiamo di imparare sul manualetto delle Giovani Marmotte un abbecedario di buoni sentimenti e di buone regole di vita, per insegnarle come se fossero i quiz della patente, io credo che il risultato non possa che essere tragicamente fallimentare, perché nessun giovane si lascia catturare da simili giochetti; infatti ha una fame esasperata di verità e questa verità passa attraverso la legge del cuore, con una potenza incontenibile. Questo è il problema. Quindi gli insegnanti dovrebbero formarsi, non attraverso conversazioni pedagogiche, ma nel monastero del loro cuore, scrutando la qualità del loro essere. E così pure genitori, sacerdoti, catechisti, e ancor di più per gli psichiatri, per quelli che pretendono di curare, di essere terapeuti. Cioè il problema è: “Medice, cura te ipsum”, se no 47 Le frontiere e gli esiti della vita umana siamo come i farisei che si allungano i filatteri, fanno mostra di sé nelle piazze, e poi all’altare del Signore, “io non sono come quel pubblicano là in fondo – dicono – io pago le decime, sono un buon israelita", mentre il pubblicano si batte il petto. Oggi però anche questa parabola va aggiornata, perché tutti si sono accomodati nella posizione del pubblicano, che, pacificato per il solo fatto di aver implorato a parole la divina misericordia, si è frettolosamente riconciliato con i propri comodi. L’ascesi invece passa attraverso la spezzatura del cuore, la kenosi dell’uomo vecchio, perché in lui “si faccia luce”. 48 Una mamma per tutte, la signora Scali: Io sono solo una mamma e sono affascinata dagli interventi qui fatti su un argomento tanto profondo e coinvolgente; sono state dette delle cose bellissime e profondissime a cui io credo, ma se mia figlia di 16 anni mi arriva a casa incinta, io madre e credente, come posso spiegarle la gioia della maternità, il progetto della vita, il dono di Dio, ecc? Noi madri di 12-13enni cosa dobbiamo dire ai nostri ragazzini quando affronteranno il momento della discoteca, il mondo del sesso? Dott. Meluzzi: Un’ultima osservazione attiene ad una questione che questa sera abbiamo lasciato un po’ fuori dai ragionamenti, non perché fosse marginale, ma perché è maledettamente difficile parlarne: il tema dell’eros. Che cos’è l’eros? Platone diceva che Eros è figlio di Penia e di Poros, cioè di bisogno e di acquisto, di povertà e di abbondanza, cioè come se fosse la memoria di uno originario che, scisso, mantiene un’indistinta tensione a ricomporre il tutto nel complesso. Platone dice che Eros non è una divinità, ma è un’energia cosmica, alla quale anche gli dei sono sottoposti. Pensate ai capricci erotici di Zeus per le dee o per le donne, pensate a tutti i miti degli dei olimpici, che piacciono tanto agli psicanalisti freudiani o Jungiani, da cui spesso traggono metafore linguistiche per descrivere quello o quell’altro complesso attinente alla specificazione della libido umana. Per quanto riguarda ciò di cui stiamo parlando questa sera, parto da una considerazione generalissima: tutte le società organizzate si sono strutturate intorno all’evento dell’eros e della sua energia, che è un’energia primordiale, potente, metereologica, tellurica, incontenibile, difficile da imbrigliare con la ragione. Così presso tutte le civiltà troviamo dei riti di iniziazione che seguono il passaggio all’età adulta, con simboli, codici e regole atte a contenere il fiume impetuoso di questa energia e ad incanalarlo nella vita della comunità. Per quanto attiene l’eros c’è nella comunità dei credenti cristiani e anche cattolici, quello che opportunamente qualcuno ha chiamato uno scisma silenzioso, che i pastori conoscono bene nei confessionali, ma devo dire anche gli psichiatri nelle loro conversazioni; scisma silenzioso che non riguarda solo gli adolescenti e i giovani, ma riguarda tutti, e non è legato soltanto direi al tema della coerenza, ma riguarda una questione di carattere più generale che non può essere affidata esclusivamente alle labilissime forze e ai labilissimi contorni dell’etica, cioè di ciò che si deve fare e di ciò che non si deve fare, di ciò che è giusto e di ciò che è sbagliato; riguarda la legge universale dell’amore e l’apertura al mistero della grazia. L’ho detto all’inizio e lo dico nelle conclusioni: se si incontra davvero un amore più grande tutto è possibile; se non lo si incontra, non ci sono proibizioni che possano fermare nessuno. Mi dispiace attestarmi su una posizione che sembra così mistica e un po’ troppo spiritualistica, ma questo è ciò che ho sperimentato in me e negli altri: tra due persone non si forma unità d’amore se l’eros non si interiorizza. Per controllare l’impulso sessuale non c’è ragione, né senso del peccato, né del limite, non c’è prudenza, né proibizione, né minaccia che tenga, proprio perché oggi la tautologia del “perché mi va, perché non mi va” è assoluta. Solo nel mistero dell’incontro tra l’uomo e Dio nel nome dell’amore, solo lasciandoci coinvolgere da un amore più grande tutto è possibile, financo la castità per un’intera vita, come oblazione assoluta di un dono, che ha come orizzonte l’eterno. Ma se questo non avviene, non sarà certo lo spauracchio di una sgridata della mamma o la minaccia di una malattia venerea, o la paura di una gravidanza a fermare la sessualità degli adolescenti. E quindi oserei dire che tutto questo non può che avvenire, lasciatemi dire una battuta che può sembrare provocatoria, nel mistero della preghiera e dei sacramenti. Se questo non c’è, tutto il resto mi fa un po’ sorridere. Dalla registrazione senza la revisione dell'autore 49 Concorso: IO IL MIO DIRITTO ALLA SALUTE LO VEDO COSI’ Edizione 2009 Promosso dall’AGE (Associazione Italiana Genitori) in collaborazione con Network gli ospedali di Andrea. Lo scopo è stimolare la cultura del diritto alla salute come un bene da possedere e da preservare sia nei propri confronti che nei confronti di tutti i bambini del mondo. La scuola dell’infanzia “Carlo Lecchio” dell’Opera di Nostra Signora Universale ha sviluppato questo argomento così importante con i bambini di cinque anni, presentando 19 elaborati grafico-pittorici. La Presidente di commissione, Dottoressa Liscio, il 4 novembre ci ha comunicato che siamo una scuola finalista con due bambine premiate: Alessia Mancuso e Giorgia De Bella. Sabato 14 novembre le famiglie e la scuola hanno partecipato alla festa di premiazione a Costa Masnaga (Lecco) in compagnia di altre scuole di ogni ordine e grado provenienti da ogni parte d’Italia. “L’ambulanza è buona” L’ 50 Un'esperienza di educazione alla salute per i bambini della Scuola materna "Carlo Lecchio" di Moncalieri Organizzazione Mondiale della Salute (OMS), nel corso degli ultimi anni, ha affrontato con interesse sempre maggiore l’argomento degli incidenti nei bambini: all’interno di un documento ufficiale del 2009 ha evidenziato come, nella regione europea, essi siano la principale causa di morte tra gli 0 e i 19 anni1. Nello stesso documento, l’OMS afferma che, se le strategie preventive attualmente conosciute fossero applicate in tutte le regioni, il 90% degli incidenti potrebbe essere evitato. Viene sottolineata l’importanza dell’educazione alla salute e l’efficacia degli interventi preventivi. Le strategie preventive analizzate dalla commissione europea includono, oltre agli interventi ambientali e alla regolamentazione legislativa, un’ importante sezione dedicata all’educazione dei bambini, degli adolescenti e dei genitori. L’educazione può efficacemente au- mentare l’utilizzo di pratiche sicure da parte dei soggetti a rischio, soprattutto quando iniziata e continuata in età precoce2. È stato provato infatti come la prima infanzia rappresenti un momento cruciale per lo sviluppo cognitivo del bambino, che, con gli adeguati stimoli e le giuste esperienze, è pronto a capire molto del mondo che lo circonda3. In questa fascia di età, in cui non è ancora stata acquisita la capacità di leggere e scrivere, i bambini imparano ad utilizzare i simboli per rappresentare concetti astratti: il camice bianco indica indifferentemente medico o infermiere, il cuore indica l’amore e l’affetto, la casa diventa il simbolo della famiglia4. Su questi presupposti, attraverso un progetto elaborato da tre Infermieri, un pedagogista e uno psicologo dello sviluppo, è stato progettato e realizzato un intervento educativo per la prevenzione dei rischi domestici, rivolto 1 WHO Regional Office for Europe. European Report on Child Injury Prevention. Copenhagen 2009. (pag 3) 2 Kendrick D, Coupland C, Mulvaney C, et al. Home safety education and provision of safety equipment for injury prevention. Cochrane Database Syst Rev 2007:CD005014. 3 Schooley CB, Kelly AR. Home hazards: can children recognize the dangers? J Trauma Nurs 2008;15:131-5. 4 Quaglia R, Saglione G. Il disegno della classe. - Torino : Bollati Boringhieri, 1990. (Coll.: C/849) a bambini dai 4 ai 5 anni, all’interno della scuola materna. Obiettivo: fornire ai bambini un intervento educativo finalizzato al riconoscimento precoce di situazioni di pericolo a cui più frequentemente sono esposti. L’intervento è stato condotto in due diverse sessioni distanziate per permettere loro di elaborare l’esperienza vissuta. L’incontro è stato sviluppato secondo le seguenti coordinate metodologiche: • proposta di disegni molto semplici con immagini chiave che riproducessero le situazioni di rischio e di pericolo più frequenti: una pentola con acqua bollente in cucina, la caduta durante una corsa, l’ingestione di farmaci e detersivi, l’ustione con i più comuni agenti termici (fuoco, ferro da stiro); • racconto di una fiaba a supporto dei disegni presentati per una maggiore comprensione e identificazione del bambino; • utilizzazione di un abbigliamento specifico come strumento di stimolo per catalizzare l’attenzione dei bambini (abiti civili, camice bianco e divisa del 118); • simulazione delle situazioni di pericolo narrate da parte dei formatori con utilizzo di oggetti rappresentativi; • simulazione effettuata dai bambini dei comportamenti da adottare in caso di caduta, di piccola ustione e soffocamento. Nel secondo incontro: • esplicitazione del concetto di medicazione di una ferita e relativa simulazione di gruppo e individuale da parte di tutti i bambini; • chiamata dei soccorsi (quando è opportuno farlo, perché e come); • visita di un’ambulanza all’interno del cortile della scuola, come momento ludico-ricreativo (ai bambini viene fornita un’immagine positiva dell’ambulanza permettendo loro di visitare il suo interno e di simulare interpretando i diversi ruoli dei professionisti, quello che succede durante un servizio). Le maestre al termine di ogni incontro, hanno proposto ai bambini di rappresentare le emozioni vissute durante l’incontro attraverso un disegno libero. A coronamento di questa intensa esperienza di apprendimento ad ogni bambino viene consegnato un diplomino di “primo soccorritore”. L’esperienza formativa è stata davvero molto interessante. I bambini in questa fascia di età sono facilmente impressionabili (in senso positivo) e, così come riscontrato in letteratura, memorizzano molti concetti in modo estremamente efficace quanto più hanno potuto concretizzarli attraverso un apprendimento esperienziale. Sebbene non siano ancora stati misurati i risultati in termini di apprendimento nel medio-lungo termine il riscontro ottenuto al termine degli incontri e, successivamente, dai feed back dei genitori, dimostrano una qualità percepita dell’evento molto elevata. Inoltre sarebbe interessante (e si sta già costruendo il progetto) promuovere lo stesso progetto di educazione alla salute – con obiettivi modificati ad hoc – ai genitori e ai nonni dei bambini che sono coloro che si trovano a gestire in prima persona le situazioni di pericolo dei bambini. Dott. Riccardo Sperlinga 51 Don Andrea Scrimaglia Sorella Flora, insegnaci la strada per giungere al Cielo con Te 2 luglio 1939 – 19 settembre 2009 Ti rendo grazie, Signore della vita, perchè ora mi allieti con lo splendore della tua luce. Nella Santa Messa di domenica 14 novembre, abbiamo ricordato con affetto e riconoscenza i nostri cari che ci hanno lasciati: - la Direttrice Lina Prosa, - Padre Giacomo Fissore, - le Sorelle Educatrici Apostole dell’Opera di Nostra Signora Universale, - il Prof. Luigi Sacchetti, gli Aggregati, gli Amici e le Amiche dell’Opera che - speriamo - già fanno corona alla Madonna con Flora in Paradiso, e pregano per noi. In particolare, quelli che sono tornati quest’anno alla Casa del Padre: 52 ACCORNERO Giuseppe ARCAINI Berardo ARIOLI Raffaella BELTRAME Giorgio BIASOTTO Pietro BORIN Regina CALDERONI Donatella CALDERONI Giannina CAPPON Patrizia CARDETTI Stefano CARLESSO Bruna ved. Tres COPPOLA Raffaellina DARDANELLOGiovanni DE ROSA Padre Luca O.F.M. DOGLIERO Gino DURANDO Onorina FARINELLA Franco FERRO Giuseppina in Boattin FORMICA Michela FUNGINELLI Luisa GALLO Vincenzo GATTO Germana GILI Antonietta IDROGO Hector MAMMONE Franco MANFRINATI Luigina ved. Nicastri MARINA Giuseppe e Silvia MARIOTTO Gino MARRESE Filomena MARZOLA Francesco MERCHIORI William Italo MOLINARI Patrizia in Grasso MONTIN Ardiccio MONTORIO Giuseppe MUSCARDINI Romano NAVONE Cesare NOVO Rosina ODDENINO Ilario OLIVERO Gabriele PELLITTERI Francesco PENNINI Adonilia RE Francesco ROLANDO Irene in Doglietto ROSSI Berardo SACCHETTI Giuseppe SCABBIA Italo SCRIMAGLIA Don Andreino SPAGNUOLO Maria STRADELLA GORGERINO Teresa SUOR Emerenziana TUMIATI Lea ved. Piva VASI Maria VERRONE Carlo VIGLIETTI Teresa ZAMPESE Giuseppe ZERBINI Giulio Accogli fra le tue braccia, o Signore, i nostri fratelli che ci hanno lasciato. “A ndreino Carluccio” nasce il 2 luglio 1939 a Tonengo, frazione del comune di Mazze’ (TO). Entra nella Famiglia dei Tommasini come aspirante al sacerdozio il 30 settembre 1950. Terminato il curriculum formativo, viene ordinato sacerdote il 20 giugno 1964 da Mons. Stefano Felicissimo Tinivella, Vescovo Coadiutore dell’archidiocesi di Torino, nella chiesa grande della Piccola Casa della Divina Provvidenza insieme a don MICHELE BRUNO e don SILVIO ODDONO, pure ex Tommasini. Riceve la zimarra – il soprabito caratteristico, un tempo, dei sacerdoti cottolenghini, con la mantellina a tre punte - il 22 giugno 1965 nella stanza del Santo Fondatore. Non entra a far parte della Società dei Sacerdoti Cottolenghini, recentemente (29 aprile 1969) costituita dalla Santa Sede, ma resta a servizio della Piccola Casa, prima nella Casa madre e dal 1984 come responsabile del servizio e dell’assistenza religiosa nella Succursale di Viu’ (TO), incarico quest’ultimo che conservò fino al termine della sua vita. Da circa un anno era sofferente e doveva sottoporsi a cicli periodici di cure, senza tuttavia mai tralasciare il suo ministero, particolarmente quello delle confessioni: oltre alle Suore e alle Ospiti della Casa quanti pellegrinaggi come confessore! Alla Casa Assunta e alla Villa Mayor di Moncalieri; all’Istituto Flora, prima nella sede centrale poi a Testona ai ragazzi della scuola primaria e secondaria durante il periodo scolastico; prima viaggiando autonomamente e negli ultimi anni accompagnato da Armando, il fedelissimo cognato, e recentemente da generosi volontari. E mai ha tralasciato la celebrazione Eucaristica nelle frazioni della parrocchia di Viù. E’ stato anche amministratore parrocchiale ad Usseglio, per un periodo di otto mesi, rifiutando la nomina a parroco. In seguito a una acuta insufficienza respiratoria, trasportato d’urgenza all’Ospedale di Ciriè lunedì 7 set- 53 54 tembre, trasferito nel reparto S. Pietro dell’Ospedale Cottolengo mercoledì 9, qui lunedì 14 settembre ha ricevuto l’Unzione dei malati e sabato 19 è stato chiamato dal Signore, mentre gli era accanto il caro cognato, che durante la degenza lo aveva fraternamente assistito, giorno e notte. Papa Benedetto XVI ricorda queste parole del Santo Curato d’Ars: “Tutte le buone opere riunite non equivalgono al sacrificio della Messa, perché quelle sono opere di uomini, mentre la Santa Messa è opera di Dio” e aggiunge: “dal Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare un’inesauribile fiducia nel sacramento della Penitenza che ci spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali...” (Lettera d’indizione dell’anno sacerdotale). Piuttosto riservato, silenzioso, generoso, infaticabile nel suo ministero, don Andrea è certamente stato il sacerdote della Messa (quante ne ha celebrate!!!) e della confessione (quanti e quante penitenti, che ora non mancheranno di pregare per Lui!). Certo un esempio per i sacerdoti, in questo anno a loro dedicato. Grazie don Andrea Torino, 19 settembre 2009 Da "La Voce del Popolo" I nostri ragazzi/e della Scuola Primaria e Secondaria di I° grado, non avendo potuto quel giorno partecipare al funerale di Don Andrea Scrimaglia, hanno espresso con la preghiera affetto, stima e riconoscenza per questo sacerdote che li ha seguiti molti anni e che ha segnato in maniera particolarmente edificante la loro vita di adolescenti. Ecco alcune testimonianze: Don Andrea, ci mancherai molto. Grazie a te abbiamo imparato molte cose, ad esempio a rispettare il prossimo come noi stessi vorremmo essere rispettati. Ti chiedo anche un grosso favore: di salutare da parte mia e della mia famiglia tutti i nostri cari e di mandar loro un grosso bacione. Grazie! Ci mancherai. Davide Caro Don Andrea, io non ti conosco molto bene, però sono venuta molte volte a confessarmi da te e devo dire che mi hai aiutato molto. Non so che cosa dire, quando mi hanno dato la notizia ho subito pensato che era davvero un peccato... Per i pochi giorni che ti ho conosciuto, mi ha fatto piacere vederti. Margherita. Caro Don Andrea, questo giorno per noi è triste, ma forse per te no perché sei in un posto bellissimo, dove anche io, da vecchia e un po’ rimbambita, vorrei andare; sei stato con noi sempre, anche nei momenti difficili. Sarai sempre nei nostri cuori, oggi e per sempre, e comunque, anche se non ti vediamo, siamo sicuri che ci aiuterai ancora. Vivi sereno e felice e salutaci anche Gesù da lassù. Miranda. Caro Don Andrea, Ti ringrazio per avermi ascoltato in tutti questi anni. Grazie per avermi dato dei consigli che per me sono stati come trovare una perla preziosa!! Mi dispiace molto che tu sia dovuto andartene, ma sono sicura che lassù vicino a Gesù sarai felice. Ora mi sarà un po’ difficile confessare tutte le cose, nello stesso modo, come le dicevo a te...pazienza!! ciao… Ludovica Caro Don Andrea, in questi anni ci hai sempre aiutato e ci hai dato conforto quando ci venivi a trovare. Noi continueremo a pregare per te e siamo sicuri che ci aiuterai sempre da lassù. Veglia sempre su di noi. Samuele. Voglio ringraziarti per tutte le volte, anche quando non stavi molto bene, che sei venuto per aiutarci e darci qualche buon consiglio. Grazie per la tua volontà a insegnarci che Dio, anche nei momenti più difficili, ci vuole sempre bene. Grazie. Alessandro. Don Andrea era un grand’uomo e lo voglio ringraziare per tutti questi anni che abbiamo passato insieme. E’ lui che il primo giovedì del mese ci veniva a confessare e ci aiutava nei momenti di difficoltà. Aveva un’anima pacata, gentile e sincera e noi lo amavamo molto. Alessandro. Io penso di dover ringraziare Don Andrea perché in tutti questi anni ci ha dato la possibilità di poterci confessare e ci ha quindi dato il dono più grande: il perdono. Adesso che non c’è piu chiedo a Dio di riservare per lui un po’ di tanta cura che lui ha dato a noi. Grazie! Ilaria. Grazie per tutto ciò che hai fatto per noi, per averci ascoltati e compresi, aiutati a non sbagliare. Grazie, perché con le tue parole ci hai avvicinati a Dio, ci hai mostrato il male delle nostre azioni, per evitare che peccassimo ancora. Grazie, per la pazienza che avevi nell’ascoltarci e per la capacità di capire tutti i nostri problemi, grandi e piccoli. Grazie, per l’importanza del tuo ruolo nella nostra vita. Grazie, per l’angelo che sarai, perché ci guiderai per sempre nella nostra vita. Grazie, per quel che sei stato e per quel che sarai per sempre nei nostri ricordi. Francesca. Don Andrea veniva sempre a confessarci ogni giovedì, lui ascoltava silenzioso le nostre preghiere, le nostre paure e ci aiutava a capire i nostri sbagli. Era sempre molto buono con tutti e, nonostante i suoi problemi di salute, cercava sempre di rendersi utile e con le sue opere infondeva gioia nei cuori dei bisognosi. Aiutava ognuno a credere in se stesso. Perdonava tutti e ora che non c’è più perché il Signore lo ha chiamato, noi abbiamo un angelo che da lassù ci aiuterà a trovare la strada giusta. Cristina. Quando Don Andrea mi confessava, ero ansiosa di dirgli le mie colpe. Era bello parlare con lui, spesso mi dava consigli su come affrontare una certa situazione. Grazie Don Andrea, mi hai fatto capire cosa è giusto o sbagliato; sei stato un grande riferimento per me e spero che da lassù pensi a noi come quando eri qui. Alessandra 55 Il Preside Sacchetti 26 giugno 1917 – 12 settembre 2009 S 56 ono onorato di rivolgerti qui, l’ultimo saluto sia per l’amicizia e la stima intercorse fra noi, sia perché mi è consentito di ricordarti come maestro di una delle maggiori discipline del sapere umano, la pedagogia o scienza dell’educazione. Ho avuto il privilegio di conoscerti alla Scuola dell’Istituto Flora, fondato dalla Venerabile Flora Manfrinati, e di collaborare con te per l’educazione e l’istruzione dei giovani, ai quali hai sempre indicato, con totale dedizione, la via del sapere, con le sue regole, ma hai dato ad essi anche e soprattutto la giusta comprensione umana. Eravamo riuniti in un Consiglio di Classe, di data remota, e fra le altre cose ricordo che tu dicesti: “Quando i giovani saranno cresciuti, ricorderanno i propri Insegnanti non per quella regola o quel teorema, ma per l’aiuto e la comprensione ricevuta nei momenti difficili della loro adolescenza”. L’Insegnante è colui che insegna, che lascia il segno, dicesti. E si capiva che era il segno del sapere che si perfeziona e si rigenera con l’esperienza; e si capiva che era il segno dell’esempio, qualità fondamentale dell’educatore. Con la tua dipartita, perdiamo sì un autorevole testimone di quel metodo e di quel pensiero, che hanno reso grande la Scuola, ma siamo certi che quelle tue strade non possono essere dimenticate e torneranno ad essere percorse. Così, in linea con il tuo testamento, facendone oggetto della mia riflessione, continuo a ripetermi: “Cerchiamo di stare vicino ai giovani il maggior tempo possibile e non stanchiamoci vamo con applausi scroscianti e qualche lacrima di commozione... Grazie Signor Preside, anche se in questo momento ci sentiamo tutti un po’ più soli, però grazie di cuore!” Ilaria “Caro professor Giuseppe, con tanto affetto porto nel mio cuore il suo sorriso e la sua simpatia. Lei ha segnato una tappa fondamentale nella vita di tutte noi. Sono una ex-allieva e la ricordo prima di tutto come maestro di vita, prima che come insegnante di pedagogia e di psicologia. Già! La sua era una materia importante e basilare per noi future maestre, ma al di là delle nozioni, della storia e della vita di filosofi e pedagogisti, Lei ha insegnato a tutte noi l’arte di amare i bambini, di amare il nostro lavoro di educatrici, di amare la vita! Il suo ricordo sarà sempre nei nostri cuori...” Giovanna Il Dottor Navone … mai di accompagnarli, preparandoli per il tempo in cui, da soli, affronteranno i problemi della vita”. Grazie, signor Preside, grazie, amico Giuseppe, per quello che ci hai lasciato! Eri un punto di riferimento per noi; ora sei un esempio da seguire, mentre immutato permane nel nostro cuore il tuo ricordo. Prof. Nicola Marrese Così le allieve del Flora lo ricordano: “La fede non ci toglie il dolore, la fede ci conserva il dolore, però ce lo illumina, ci dà un significato diverso. Illuminare vuol dire che ci fa vedere nel dolore non una situazione opprimente ma una situazione che va rivista nel ciclo di tutta una vita.” Sono sue queste parole Signor Preside e io, dopo circa vent’anni le tengo ancora custodite nel diario dell’epoca. Nel suo saluto di fine anno c’erano sempre parole di incoraggiamento, di fiducia, di speranza nella vita per noi allieve. Il suo esempio e le sue parole ci scaldavano il cuore e noi ricambia- Il Dott. Cesare Navone scomparso l’8 giugno 2009 è stato per l'Opera una persona speciale, dottore di quelli che sapevano veramente curare, non solo il corpo, ma dare un senso anche alla vita, alla malattia e alla morte. Aveva sempre per ciascuna una parola legata al Vangelo, che quotidianamente ascoltava e viveva nella sua missione con i malati: ogni mattina era fedele al suo appuntamento alla Consolata. Ha lasciato in tutti il vivo desiderio di spendere bene la propria vita, a servizio degli altri, cercando la Verità. Il saluto dei famigliari e degli amici nel triste giorno del commiato: C on gli occhi pieni di lacrime e con un vuoto nel cuore incolmabile, stiamo accompagnando papà da Te, Signore. Torniamo insieme a Riva, torniamo a casa con lui, torniamo qui da dov’è cominciato tutto tanti anni fa. Da piccolo Ti è stato affidato e oggi, guardando a ritroso, siamo certi che da allora sei stato il suo grande amore, l’amore di tutta una vita. Ti ha cercato ogni momento, ti ha chiesto consiglio su tutto, si è abbandonato in Te per lasciarsi cullare, ha permesso solo a Te di scegliere per lui. Con il Tuo aiuto e dedicandoTi tanti pensieri – certo che eri al suo fianco – ha continuato a migliorarsi ogni giorno per poter capire le persone, per poterle aiutare in ogni momento, per regalare agli altri quella gioia di vivere e quella serenità che riceveva da Te. Non sappiamo da dove cominciare per raccontarlo: nel suo cuore ogni cosa è stata vissuta con coerenza, con il coraggio di chi non fa mai un passo indietro, con la forza di chi sa prendere per mano chiunque, senza preferenze o pregiudizi. Per tutti è stato il medico che ha curato il corpo e l’anima, che ha confortato la disperazione, che ha parlato di un altro viaggio – quello verso di Te – ai suoi malati che non vedevano più la speranza. Per la mamma è stato lo sposo di 57 58 una vita, è stato il compagno fedele e devoto, pronto a condividere tutto, pronto a confermarsi ogni giorno in quel sì del 1964. Come papà è stato unico: piccole in braccio a lui, pendevamo dalle sue labbra ascoltando le avventure del lupo che lui aveva inventato per noi. Crescendo ci ha guidate passo passo nelle scelte; poi, quando è venuto il momento, ci ha lasciate andare, aspettandoci tutte le sere a casa, grato e felice di abbracciarci e ascoltare il resoconto delle nostre giornate. Oggi l’emozione ci permette solo di dirTi che non sappiamo come fare a meno di lui. Signore, ascolta le voci di tutti noi che Ti chiediamo di aprirgli le porte del Cielo. Signore, spalanca le braccia, corrigli incontro, riportalo a casa questa sera insieme a Te per sempre. Caro papà, avremo ancora così tante cose da dire a te e su di te, ma non ci riusciamo. Sono passate solo poche ore, concitate e frenetiche, e oltre a una sensazione di irrealtà, proviamo solo un grande vuoto dentro, ci manchi già tantissimo: ci manca il rumore del tuo respiro nel sonno, ci manca la tua tosse da fumatore incallito, il suono della tua voce. Vorremmo abbracciare ancora le tue spalle ossute, fragili come quelle di un uccellino, sentire le tue dita che tamburellano sul tavolo di cucina, ascoltare la musichetta che mormori piano nella stanza a fianco. Sei stato una persona speciale e ci hai insegnato tante cose. Sei sempre stato orgoglioso delle tue origini umili, dei tuoi genitori e dei valori che ti hanno trasmesso; hai amato appassionatamente la tua professione e tutti i pazienti e gli amici che hanno chiesto il tuo aiuto. Sapevi partecipare profondamente, ma senza ostentazione, delle emozioni di quanti si confidavano con te e gioivi nel rendere gli altri partecipi della tua vita. Sei stato un uomo coraggioso, che ha sempre lottato contro i propri limiti, un uomo così forte da saper accettare con umiltà anche le fragilità e le limitazioni che l’età e i problemi di salute ti imponevano. In una famiglia di sole donne, e donne “guerriere” per di più, come amavi definirci tu, hai sempre fatto da mediatore a volte con l’autorevolezza di un ragionamento, ma più spesso con umorismo, con il sorriso o con la tua gentilezza. Amavi definirti un “vecchio medico dai capelli bianchi” ma sappi che solo il colore dei tuoi capelli e i tuoi modi da gentiluomo d’altri tempi potevano tradire la tua vera età. Perché tu sei un uomo dal cuore ancora puro, capace di meravigliarsi per l’erba che nasce e per l’infinita varietà di colore dei fiori, di gioire per il rumore della pioggia nel prato come di un profumo proveniente dalla cucina. Un uomo capace di scrivere oggi lettere d’amore alla donna che è tua moglie da 45 anni. Hai vissuto come un dono divino tutta la tua vita, hai saputo accettare il dolore senza lamentarti e rallegrarti sia per una fotografia riuscita bene così come per la gioia immensa per la nascita inattesa del tuo nipotino Gabriele, cui mancheranno le favole, i racconti fantastici e i ricordi lontani che gli avresti narrato tu. Ci hai insegnato ad amare la lettura e gli amici, a trovare in ciascuno qualcosa di buono, perché “nessuno conosce la croce segreta degli altri”. Ci hai detto di aspirare alla perfezione, ma ti sei congratulato con noi per i nostri sforzi imperfetti. Niente è stato mai banale con te, tu hai dipinto per noi un mondo di speranza e di fiducia in Dio e nel prossimo. Scusaci per averti spesso deluso, per tutte le cose che non ti abbiamo chiesto e che non riusciremo più a domandarti, per i nostri gesti frettolosi, per i modi bruschi. Scusaci se abbiamo data per scontata la tua presenza al nostro fianco, sempre. Quando anni fa hai deciso di tentare un intervento difficile per la tua vita, ti sei ripromesso che, se ce l’avessi fatta, saresti diventato un uomo migliore. E hai mantenuto la tua promessa, allenandoti in tarda età a lottare quotidianamente nell’esercizio della pazienza, della tolleranza, dell’accettazione. Solo l’altro ieri all’ospedale hai detto a noi e all’infermiera che voleva costringerti a letto contro la tua volontà: “Vi ringrazio comunque perché so che lo fate con buone intenzioni”. Adesso siamo noi a volerti promettere che cercheremo come te e da oggi di migliorarci, vivendo in armonia nonostante i nostri caratteri “guerrieri”, come li definivi tu. Cercheremo di occuparci al meglio di mamma, come tu hai fatto finora. La cosa più difficile è lasciarti andare. Con gli occhi pieni di te, certi che niente potrà strapparti dalla nostra anima finchè vivremo, ti salutiamo. Continua la tua avventura, Lupo Caì, e come nelle favole che inventavi per noi da bambine, corri negli immensi spazi che ora ti si spalancano dinnanzi. Ti vogliamo tanto bene. Ciao papino. Le tue bambine. Caro Cesare, nelle occasioni speciali non può mancare la presenza degli amici, di quegli amici che un giorno lontano hai eletto ad abitanti del tuo cuore e da allora hai accompagnato con la tua presenza fedele, discreta, sempre attenta e premurosa. La maggior parte di noi ti ha conosciuto come medico, straordinario per competenza e dedizione, ma tutti, indistintamente, ti abbiamo voluto bene come uomo, perché è stata soprattutto la tua eccezionale umanità a tenerci 59 60 compagnia, nei giorni luminosi della festa e della vita così come in quelli bui e sofferti delle nostre malattie. In questi anni ci hai scritto tante lettere, con quella vecchia Olivetti sempre pronta nel tuo studio… Oggi te ne inviamo una noi, breve, perché il cuore gonfio e gli occhi carichi di lacrime non permettono molto… Vogliamo dirti che sentiremo la tua mancanza, perché non è facile rinunciare agli angeli che il Signore ci regala di incontrare lungo il cammino… E tu sei stato uno di questi … Soprattutto vogliamo dirti grazie per quanto hai fatto per ognuno di noi. La tua bontà ha scritto pagine intere della nostra storia che noi non possiamo dimenticare e che il Signore saprà riconoscerti, secondo la misura infinita della Sua generosità, che da lassù tu comprenderai in pienezza. Sappiamo, tu ce l’hai ricordato tante volte, che le persone amate non si perdono. Rimangono vive nell’abbraccio di Dio e in quella misteriosa comunione dei santi – ai quali appartieni a buon diritto – che continuerà a tenerci legati. Mancheranno la consolazione dell’incontrarti e la gioia del vederti, ma tutte le volte che ne avremo bisogno, ti potremo trovare in quell’angolo del cuore dove tu un giorno hai scolpito: “sei mio amico!” Ciao Cesare, vivi in Dio e veglia su di noi. Con tanto bene I tuoi amici Ti ringraziamo, Padre, per averci donato un uomo come Cesare, che ha dimostrato come la propria realizza- zione dipenda dalla capacità di donare se stessi a favore del prossimo. Egli lo ha saputo fare sia all’interno della sua famiglia, come figlio, fratello, marito, padre, nonno, zio premuroso e amatissimo, sia all’esterno di essa, come medico che si prendeva cura non di corpi ma di persone, nella loro unità e complessità. Nei tanti anni di esercizio della sua professione, ha curato famigliari, amici, conoscenti, giovani, anziani, sacerdoti, religiosi, persone semplici, intellettuali, politici, credenti, atei, ricchi, poveri, tenendo conto delle condizioni cliniche e soprattutto umane di ciascuno. La sua fede rocciosa lo spingeva a occuparsi anche della dimensione spirituale e religiosa dei suoi pazienti. Quelli che non potevano beneficiare di un ritorno alla salute fisica, beneficiavano comunque delle sue parole di conforto e di speranza in una vita ultraterrena. Alcuni, spinti dalle sue esortazioni, hanno abbracciato la fede cristiana sul letto di morte. Ti ringraziamo, Padre, per averci donato un uomo come Cesare, uomo di scienza e di fede, che ha dimostrato come lo studio, il sapere e la cultura non soltanto non si oppongono alla fede, ma possono alimentarla e farla riscoprire a un livello più profondo. Egli lo ha saputo fare, unendo natura e grazia, mondo e Chiesa, azione e contemplazione, amore alla terra e amore al Cielo, impegno nel lavoro e impegno per il Regno di Dio. Ora lo affidiamo a Te, Padre. Ti chiediamo di perdonare i suoi peccati e di chiamarlo alla comunione con Te, che sei la pienezza della vita senza fine, che sei la Vita Eterna. Drinn…. Drinn… Pronto? Istituto Flora, buongiorno! E ra questo, con voce sonante, il saluto del nostro carissimo sig. Accornero Giuseppe, Aggregato dell’Opera di Nostra Signora Universale e fedelissimo “portinaio”, quando al telefono giungeva una telefonata. Con la sua risonante “carica”, infatti, portava la voce dell’Istituto, suono rassicurante e sicuro. Da circa 16 anni infatti, la nostra portineria risuonava della sua cordiale voce, rafforzata dal desiderio di rassicurare chiunque fosse dall’altra parte del ricevitore. Informazioni scolastiche, ricerca di Sorelle Educatrici Apostole (lui chiamava ognuna di noi “signorina”), …. qualsiasi richiesta per il signor Accornero era un obbligo morale, da soddisfare con la più ampia cortesia di cui era signore. Non era mai tempo di tornare a casa, non stava a guardare l’orario e la fine del suo turno per andare finalmente a fare “le sue cose”…. No, qui era come in famiglia. Non c’era lavoro per lui non idoneo: dal pulire i marciapiedi al raccogliere le foglie in giardino, dal rifare e aggiornare l’elenco telefonico a fare il corriere, (per tutte le commissioni, soprattutto le più spicciole… “signor Accornero, per favore, farebbe un salto dal macellaio, dal panettiere, alla posta”, ecc.), dal controllare l’acqua e l’olio delle nostre automobili al piegare i volantini, dallo svolgere lavori di segreteria all’accogliere Commissari d’esame, al fare tanti lavori di fatica. Negli ultimi tempi però la sua salute si è fatta sempre più precaria. Non si lamentava mai, ma cercava soprattutto di essere utile agli altri, di fare un piacere quando poteva, di rendersi disponibile a qualsiasi richiesta. E quando la giornata sembrava procedere più pesante o più caotica del solito, andava in Cappella e si inginocchiava davanti al Tabernacolo, Porto sicuro di ogni difficoltà, Amore infinito al di là delle nostre piccole croci. Amava la vita nella sua complessità sociale, morale, politica, religiosa. Partecipava, anche dalla portineria, agli eventi più rilevanti dell’Opera, alle Celebrazioni più importanti. Riceveva tutti col sorriso sulle labbra, era proprio il “custode” che la Madonna aveva scelto per la sua casa e per far sentire tangibili le sue parole: “La Madonna accoglie chi entra e accompagna chi esce”. Per tutta questa amicizia vissuta nella Casa di Flora e della Madonna, grazie di cuore, sig. Accornero! Quando giungeremo alle porte del Paradiso, ci aprirà con la sua solita premura e cordialità! E sarà una festa eterna. 61 È Lei che intercede ... Torino, 21 dicembre 2008 62 Il 15 dicembre 2008, alle 15,30, mi trovavo sulle strisce di Via Principe Tommaso in prossimità dell’incrocio con Via Cesare Lombroso, in Torino, quando ho visto venirmi addosso una potente macchina (un fuoristrada) che, provenendo da Via C. Lombroso, è svoltata a sinistra in Via Principe Tommaso. La visione e l’urto violento sono stati istantanei. La signora alla guida del veicolo ha dichiarato di non avermi vista, poiché, per svoltare a sinistra, guardava solo alla sua destra, se la strada era libera. Porto sempre con me l’immagine della Venerabile Flora, che sempre invoco, e Flora mi ha soccorsa e salvata. Nell’urto sono stata gettata violentemente a terra, colpita di lato dal fronte della vettura. Ricordo che sono rotolata sull’asfalto e che ho battuto per tre volte il capo violentemente sull’asfalto. Come per miracolo mi sono alzata, il capo sanguinava copiosamente, ma non avevo fratture, né commozione celebrale. Al Pronto Soccorso del Mauriziano, dopo le prime medicazioni, sono stata sottoposta alla TAC, che ha messo in evidenza un trauma cranico non commotivo. Sono una miracolata di Flora Manfrinati. A Lei la mia commovente riconoscenza e la preghiera di proteggermi ancora. Ricci Maria Emma Grazie, Flora, della tua costante intercessione per noi Sono una mamma che sente molto vicina a sé Flora e la prego tutti i giorni, perché in Lei trovo veramente la pace e la soluzione di tanti problemi in famiglia. A Lei devo attribuire le tante grazie che concede a me e alla mia famiglia. Grazie alla sua potente intercessione presso il Signore, venerdì 4 aprile 2008 ho ricevuto una grande grazia per la mia incolumità e quella di mia figlia. Viaggiavo sulla strada provinciale che da Chivasso porta a Caluso, in direzione Caluso. In senso opposto veniva verso di me una macchina che, improvvisamente ha occupato la nostra corsia a grande velocità, senza accennare a ritornare nella sua carreggiata; solo a pochi metri dalla nostra automobile, mentre già sterzavo, ma non troppo, perché sarei finita dentro un fosso, ha deviato, ritornando nella sua corsia. Per una frazione di secondo è stato evitato un frontale a grande velocità. Il conducente di quell’auto, senza rallentare, ha continuato la sua corsa. Io e mia figlia eravamo ferme e tremanti per lo spavento nella nostra macchina, che ero riuscita a bloccare sull’orlo del fosso. Immediatamente ho ringraziato Flora, la cui immagine, sul cruscotto della macchina, ci dice che è lì per guardarci e per proteggerci. Di tutto e per sempre, grazie Flora! B. G. PREGHIERA Padre santo e misericordioso, tu hai rivelato alla nostra sorella Flora Manfrinati la speranza che germoglia dalla croce e l’hai sostenuta nell’unire a Cristo Crocifisso le sue molteplici sofferenze per dedicarsi generosamente all’apostolato. Per intercessione della Vergine Maria, invocata come Nostra Signora Universale, effondi su di noi l’abbondanza dei doni dello Spirito Santo perché ci sia dato di amare il nascondimento operoso, di cercare la sapienza che viene dall’alto e di riconoscere e valorizzare la dignità della donna nella famiglia, nella società e nella Chiesa. Concedi a noi la grazia di veder esaudite le preghiere che ti rivolgiamo e la gioia di poter onorare la nostra sorella Flora nella schiera dei Beati. Per Cristo Nostro Signore. Amen. 63 Il Piccolo Gesù faccia sì che tu possa compiere la volontà del padre Celeste come Egli l'ha compiuta, nella semplicità, nell'abbandono, nella povertà. 64 Flora Manfrinati ISTITUTO FLORA Via San Francesco da Paola, 42 - Torino Tel. 011.812.55.88 - Fax 011.812.57.62 [email protected] www.istitutoflora.it