OPERA DI NOSTRA SIGNORA UNIVERSALE
TORINO - VIA S. FRANCESCO DA PAOLA, 42
Poste Italiane s.p.a. - Spedizione in Abbonamento Postale D.L. 353/2003 (conv. in D.L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 2, DCB Torino nr. 2/2009
Gli specialisti
delle scritture non
potevano accettare
che il Messia, il
futuro re d’Israele,
nascesse in una
mangiatoia e, infatti,
non lo riconobbero
aspettiamo, il Re d’Israele? Voi tutti,
abitanti della terra, figli dell’uomo, poveri e ricchi insieme, andategli incontro
e dite: Pastore di Israele ascolta, tu che
guidi il tuo popolo come un gregge, sei
tu colui che aspettiamo? Sollevate, porte, i vostri frontali, alzatevi porte antiche: entri il Re della gloria, il Re della
casa di Israele”.
L’eccezionalità dell’evento fece sì
che la notizia giungesse alle orecchie
dei dottori della legge. Temendo che
una frode ai danni del popolo potesse
IL CIELO IN UNA GROTTA
P
ochissima strada divideva ormai i
Magi dalla loro meta. Lungo quell’ultimo tragitto, trascorso insieme
ai pastori, in silenzio, come a controllare l’emozione, Gaspare continuava a
pensare al loro racconto, quell’ultima
frase – pace agli uomini che Dio ama
– gli aveva aperto il cuore a una nuova
sapienza. Se questa era la verità che invano aveva cercato studiando le stelle
o interrogando il fuoco, ora non aveva più motivo di portarsi dentro quel
tormento, che per anni lo aveva sciolto
in pianto. Se Dio lo amava, se Dio era
al suo fianco, nessuno poteva essere
contro di lui. Ora capiva perché quel
bambino, a cui avrebbe donato la mirra, sarebbe stato compagno dei poveri,
dei diseredati, dei piccoli della terra. La
stella che aveva cercato e seguito, che
Auguri !
aveva fissato a lungo, tutto il tempo
necessario per non perderla, la stella
che aveva illuminato i suoi passi altro
non era che un riverbero, un pallido bagliore della luce immensa dell’amore di
Dio che sconfigge le tenebre.
Aveva avuto bisogno di quella luce,
per potersi orientare, per essere sicuro di poter ritornare. L’aveva fissata a
lungo, ed ecco che la stella, che aveva
visto nel suo sorgere, si fermò sopra il
luogo dove si trovava il bambino. Nel
vederla sopra la grotta, Gaspare, Melchiorre e Baldassarre provarono una
grandissima gioia. Fuori una folla di curiosi cercava di scrutare all’interno; chi
da tempo aspettava il Messia, a questa notizia, si inginocchiò davanti alla
grotta e pregava: “Guardo da lontano
e vedo arrivare la potenza del Signore,
come una nube che copre la terra; andategli incontro e dite: Sei tu colui che
mettere a repentaglio il loro potere, accorsero alla grotta per vedere coi loro
occhi quanto stesse accadendo. Specialisti delle Scritture non potevano
accettare che il Messia, il futuro re di
Israele, nascesse in una mangiatoia.
Essi, infatti, non lo riconobbero. Il Bimbo della grotta fu invece riconosciuto
dai pastori e dai magi, che non si meravigliarono della sua povertà.
Pastori e sapienti furono i primi testimoni del Dio Incarnato, perché solo
la libertà del povero si lascia rivestire
da un amore più grande e solo la sapienza del sapiente può comprendere quanto effimeri siano i poteri della
terra e che a nulla serve conquistare il
mondo intero, se si perde sé stessi. I
pastori e i magi erano certi di essere
giunti, seguendo la stella, alle porte del
cielo. Il piccolo re veniva da lontano e il
suo splendore riempiva l’universo.
Era la prima manifestazione di Dio
nella storia degli uomini, la prima epifania: quel Dio che arrivò con la po-
I ragazzi della Scuola Media Centro
Flora Manfrinati presentano gli auguri di Natale ispirandosi al romanzo
“L’ultimo dei Magi” di Gennaro Matino; la loro riflessione sul Natale parte
dall’esperienza dei Magi, che oggi è
la più vicina a quella dell’uomo contemporaneo, tentato di lasciarsi andare nell’abisso del buio, di perdersi
completamente in una notte priva
di senso.
tenza e la gloria di un re, si manifestò
al mondo con l’umiltà dei poveri e la
semplicità dei piccoli, nei panni di un
bambino indifeso, che da quella lontana notte a Betlemme, continua a manifestarsi a giudei e pagani, all’uomo di
ogni nazione e di ogni tempo, ai magi
dell’epoca e ai sapienti di oggi, a quanti
hanno voglia di seguire la stella che illumina la notte e ci guida nel cammino
della vita.
“Io sono uno dei magi, anch’io ho
preso di mira una stella, anch’io
sto sognando una meta. Sognare
di seguire una stella, poterlo fare,
oggi come allora, quando il
cielo chiamò a raccolta
gli uomini e un angelo
invitò la terra ad
accogliere il Dono
che dall’alto
arrivava, è
desiderare
di vivere e
di amare”.
H
BUON NATALE
E BUON ANNO 2010
Dicembre 2009
Pubblicazione Periodica
dell’Opera di Nostra Signora Universale
Fondatrice del periodico: Orsolina Prosa
Direttore responsabile: Vittoria Gallo
10123 TORINO - V. S. Francesco da Paola, 42
Tel. 011/812.55.88 - Fax 812.57.62
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sito: www.istitutoflora.it
Questa pubblicazione è inviata
gratuitamente agli Amici dell’Opera
Autorizzazione Tribunale di Torino n. 3682
in data 26-7-1986
Stampa: Geda srl, Nichelino
Il presente numero è stato consegnato
alle Poste Italiane di Torino il 23.12.2009
somma r io
2
Il cielo in una grotta
4
La spiritualità di Flora
7
Una ex-bambina di Flora
8
FESTA DEL GRAZIE
32 Le frontiere e gli esiti della vita umana
35 Il mistero del divino nell'uomo
50 L'ambulanza è buona
52
Sorella Flora, insegnaci al strada ...
53 Don Andrea Scrimaglia
56 Il Preside Sacchetti
57
Il Dottor Navone ...
61 Pronto? Istituto Flora, buongiorno!
62
È Lei che intercede ...
Don Giancarlo Montoncello, parroco di Jolanda di Savoia (Fe), ha
presieduto la Concelebrazione Eucaristica ed ha guidato l’assemblea
dentro il cuore di Flora, nella sua
spiritualità, per capirla e poterla
meglio imitare.
D
on Fernando mi ha chiesto di
sostituire il Vescovo in questa
Celebrazione Eucaristica nella
casa natale della Venerabile Flora Manfrinati e mi ha consegnato un libro di
899 pagine che contiene tutte le testimonianze sulla pratica delle virtù cristiane e umane di Flora per il Processo
di Beatificazione: le virtù teologali di
fede, speranza e carità, e quelle umane
di prudenza, giustizia, fortezza e temperanza, virtù che sono state rese vita
da parte di Flora. Io non voglio tessere
la biografia della Venerabile; vorrei andare dentro al suo cuore, entrare nella
sua spiritualità, essere capace con voi
di capire come ha fatto a essere così
grande.
E il primo momento è la preghiera.
Flora pregava e pregava tanto. Non ha
potuto dedicarsi a particolari letture,
né ad approfondimenti teologici, il suo
catechismo è stata prima di tutto sua
mamma e poi il suo caro “Bambino”,
che l’ha forgiata, modellata, nei lunghi
silenzi, nelle lunghe solitudini, nella
meditazione della Sua Parola, che Flora “custodiva nel proprio cuore”. Per
la sua malattia, le era preclusa la scuola, come la convivenza con i coetanei,
proprio per motivi di salute.
Priva di amici, viveva a contatto
con il Piccolo Gesù, che chiamava “il
mio Maestro, il mio grande amore”;
Festa di Nostra Signora Universale a Mottatonda Nuova (Fe): ricorrenza sempre speciale. Nella casa natale della Venerabile Flora Manfrinati, domenica 19 luglio u.s. erano presenti molti Sacerdoti, preziosi
sostenitori dell’Opera nelle terre ferraresi, autorità civili, rappresentate dal Sindaco di Jolanda di Savoia, Dott.ssa Elisa Trombin e tantissimi Amici con un bel gruppo di Amici di Torino e di Alessandria.
La spiritualità di Flora
alla Sua scuola cresceva in intelligenza e carità. Questo rapporto intimo col
Maestro, questo suo “grande amore”
per Lui, questo abbandonarsi in Lui,
da adulta si manifestava soprattutto
nell'adorazione all’Eucarestia. In ogni
casa che ha aperto, infatti ne ha aperte
tante, cercava prima di tutto di mettere
al centro il Santissimo. Bello, commovente anche per noi preti, e sto parlando per me, è, quando entriamo in una
chiesa, vedere una persona in un banco, in silenzio, senza rosario né libretto
delle preghiere, davanti a Lui, con Lui,
come quel vecchietto del Curato d’Ars,
che alla domanda: “Cosa stai a fare in
Chiesa delle ore?” risponde: “Io guardo
Lui e Lui guarda me”.
Questo è amore, questa è contemplazione: due innamorati non hanno
bisogno di grandi parole, né di lunghi
discorsi, si guardano: ti amo, ti voglio
bene, sei mio/a. Così Flora: “Sei mio
Gesù!”
Ecco fratelli carissimi: la dedizione
di Flora al Tabernacolo, la devozione
all’Eucarestia. “Una comunione perduta – dice Flora – non la si ritrova più”.
“Quando la radice è nell’Eucarestia, l’albero non cade”. “Tutti quelli che mi avvicinano, li porto al Tabernacolo”. “La mia
casa è dovunque si trovi un Tabernacolo”.
In Gesù Eucaristico Flora contemplava il mistero Trinitario, il mistero
della divina Incarnazione, di Dio che si
fa carne nascendo da Maria, per salvare tutti gli uomini; perciò Flora dà alla
Vergine il titolo di Nostra Signora Universale, perché Mamma di tutti, perché
di tutti corredentrice col Figlio: “Maria
per mio rifugio, per mia consigliera, per
mia stella, per mia Madre, - così Flora
– mi fiderò solo di Lei”.
La preghiera di Flora è adorazione
del Mistero di salvezza, al cui centro c’è
la croce. Perciò Flora considera il dolore come un dono. Impensabile per noi,
così fragili di fronte alla sofferenza!
Flora invece, dai tre anni per tutta la
vita ha portato la croce, unita a Gesù,
forte per la Sua Parola. Così ha chiesto
la sofferenza come mezzo di salvezza,
come mezzo di redenzione, per redimere e per salvare. Questo è per noi un
mistero, questa è la grandezza di Flora
per noi che, quando siamo in difficoltà,
chiediamo a Dio di intervenire per risolvere i nostri problemi. Flora invece
ha portato la croce, contenta perché
così, come i grandi mistici, sentiva più
vicino il suo amato Gesù.
Martire nella gioia, “Che tristezza
– esclamava – se non posso cantare
mentre soffro”; “Accetto il dolore come
chiamata, come dono”, “Voglio che ti
purifichi – si sente dire un giorno da
Gesù – perché così porti la croce con
me”. La sopportazione della sofferenza
è un dono di Dio: “Ho amato il dolore
come la moneta più preziosa”. E il giorno della Prima Comunione: “Chi vive
nel dolore vive nel giardino del Signore”
“Quello che io chiesi: morire un giorno
bruciata dal Suo amore”.
Ma come fai – le veniva chiesto – a
sopportare tanto dolore e sofferenza?
“Io ho una fede”, rispondeva; viveva di
fede, collaborava così con Dio al piano
di salvezza.
Martire ed Apostola ha prevenuto i
tempi, ha prevenuto il Concilio, Lei che
faceva fatica a scrivere, ha fondato una
grande Opera, ha scelto le cose piccole
per farle grandi con l’amore a Dio e ai
fratelli; Flora si è data tutta a tutti, di
giorno e di notte, ovunque, per giovani, per ragazzi/e, per vedove e soldati, per sani e malati, ricchi e poveri. La
gente vedendola diceva: “Chi la ferma?
Ha il Signore dentro e fuori”. Tutte le
motivazioni erano buone per attaccare
bottone, incontrare le persone, fare conoscenza: “Come ti chiami?”. E cominciava così la catechesi, l’annuncio della
parola del Signore; qualsiasi motivo la
faceva capace di darsi, di donarsi. “Ho
preso la responsabilità delle anime e le
salverò. In Paradiso a ogni costo. Lavorare nell’ombra ma lavorare sempre”.
E Flora non solo ha sofferto fisicamente, ma ha sofferto ancora più dentro, nell’anima: denigrata, presa in giro,
offesa, calunniata, senza mai difendersi: “Perché – diceva – ho Lui dalla mia
parte, non solo vinco ma stravinco”.
A quarantotto anni era già matura
per il Cielo. Gli ultimi mesi, quando non
poteva alzarsi dal letto, il suo mezzo di
apostolato diventò il telefono, finchè
ebbe un po’ di voce. Ecco cosa opera
la grazia di Dio in una persona che ha
detto il suo sì!. Io sono di Villanova e
mio padre si ricordava ancora delle prediche di Mons. Piacentini, zio di Flora,
grande oratore a Costa di Rovigo.
Il privilegio che abbiamo di avere
Flora qui, nata nella nostra terra, ci faccia riflettere che Gesù è con noi e non
ci abbandona, ma aspetta la nostra
corresponsabilità.
Alle Sorelle rivolgo l’augurio che
questa Opera possa crescere come
l’olmo posto vicino alla casa di Flora;
da piccolo piccolo, è diventato un meraviglioso albero, proprio come il granello di senape di cui parla Gesù, che,
dapprima quasi invisibile, diventa poi
tanto grande da offrire rifugio agli uccelli del cielo.
Dallaregistrazione
senza la revisione
dell’autore
UNA EX BAMBINA DI FLORA
Cara Flora,
innanzitutto grazie per la serenità di cui mi hai fatto dono domenica
19 luglio durante il pellegrinaggio a
Mottatonda, nella tua casa natale.
Desidero rendere partecipe l’Opera di alcune riflessioni che mi hanno
fatto comprendere che, nonostante
le molte difficoltà, occorre continuare il cammino anche se faticoso.
Mentre il celebrante, don Giancarlo, illustrava le tue virtù, o Flora, che,
in condizioni di povertà e malattia,
con grande forza d’animo, hai detto
il tuo “sì” per seguire Gesù Maestro,
senza mai pentirti, mi sembrava di
sentirti presente, a esortarmi a dire il
mio “sì” per perseverare nella Fede,
pur in un momento di grande sconforto.
Non occorre un miracolo per ufficializzare la Tua Santità, Flora; le
ispirazioni che Tu susciti sono già un
segno tangibile della Tua santità.
Dopo la Messa, ho avuto degli
incontri significativi: la mamma di
Letizia, di cui ho subito apprezzato
la generosità, la fede, la sensibilità e
il conforto: mi ha raccomandato di
pregare per un giovane, malato e pa-
dre di un bimbo e, in special modo,
per la moglie, che non accetta questa situazione dolorosa; quindi mi
ha commossa una giovane mamma,
ex-allieva del Flora, che, venuta a conoscenza del nostro dolore, abbracciandomi, rivolta a me e a mio marito: “Sono orgogliosa – ha detto – di
avervi conosciuti”. Grazie, Germana,
per l’aiuto che ci dai.
Ho anche incontrato con piacere
alcune bambine chiamate da Flora
alla C.O.R. (Casa Opere Religiose),
ora felici nonne di bei nipotini, e,
mentre posavamo insieme per una
foto, ricordando i vecchi tempi, una
di noi ha esclamato: “Che bei tempi
con Flora!”. Eravamo giovani, povere,
poco capaci, ma Tu, Flora, Apostola,
ci insegnavi a godere di ogni piccola
cosa della vita e a ringraziarne il Signore. Durante il viaggio di ritorno, le
care Sorelle hanno avuto la delicatezza di intrattenersi con tutti, per confortare, gioire e soprattutto ascoltare.
Ecco le Educatrici, anzi le Apostole
che tu, Flora, hai formato.
Grazie di cuore, con un affettuoso
abbraccio
Ersilla, mamma di Germana Gatto
Festa del Grazie
24 ottobre 2009
UN PROFONDO
SIGNIFICATO
Per ringraziare
insieme 50 anni
dell’Istituto Flora
si è celebrata una
S. Messa nella
palestra con una
festosa partecipazione di allievi/e, ex,
genitori, insegnanti
ed Amici
Don Mauro Giorda, Parroco di Testona, nella Concelebrazione Eucaristica
con Don Gian Carlo Vacha, parroco di S. Anna in Torino, ha preparato i cuori a un atteggiamento interiore di gioia e di riconoscenza al Signore per le
attività svolte in questi 50 anni.
S
i celebra oggi la festa del “grazie”.
Profondo allora è il significato di
questa parola, perché rivolgerla a
qualcuno esprime riconoscenza nei
suoi confronti, la consapevolezza cioè
di un bene da lui ricevuto e per cui appunto gli siamo grati.
Senza dire “grazie” non si crea
– dicono gli psicologi – la coscienza,
la capacità cioè di riflettere sui propri
stati d’animo, di conoscere se stessi e
metterci in relazione con gli altri. Così
si educano i bambini a
dire “Grazie!” quando
viene loro fatto un dono
o esaudita una loro richiesta; così i piccoli da
un lato imparano che
non è tutto dovuto, dall’altro sperimentano la
carità del dono.
Educare al ringraziamento, purtroppo, nella nostra società è sempre più
difficile, perché ovunque si reclamano
diritti per sé e doveri per gli altri. Sono
stato otto anni cappellano in ospedale e quante volte ho sentito lamentele
di questo tipo, frutto dell’incapacità di
riconoscere i meriti altrui, insensibilità
per i doni ricevuti, insoddisfazione per
quello che abbiamo.
La festa del grazie deve dunque
esprimere la nostra riconoscenza a
Dio, Creatore del mondo e dell’uomo,
per la vita che ci ha donato e che sostiene col Suo amore. Con le 10 parole che guidano gli Ebrei dall’Egitto alla
Terra Promessa (Decalogo) si forma la
coscienza del popolo d’Israele, attraverso la capacità di rimanere fedele al
dono della Legge.
Quando Adamo, nel Paradiso Terrestre, pensò di poter fare a meno di
Dio, rompendo l’armonia con il Creatore ed il creato, si accorse di essere
“nudo”, cioè indifeso ed impotente.
La grandezza dell’uomo, infatti, è nel
riconoscere la sua dipendenza da Dio
e la sua relazione con gli altri; è nell’essere riconoscente per tutti i doni che
riceviamo; per i grandi, a cominciare
da quello grandissimo della vita, fino a
quelli di cui spesso non ci accorgiamo,
perché li consideriamo dovuti.
Imparare a dire grazie ci fa crescere,
creando in noi una coscienza profonda,
per cui si scoprono negli altri tesori di
bene, anche nelle persone più semplici
e si mette da parte ogni vana superbia,
perché da tutti possiamo ricevere e a
tutti possiamo dare.
Auguro pertanto che questa giornata
del Grazie la si celebri tutti gli anni, segno di riconoscenza nei confronti dell’Opera di Nostra Signora Universale
e del lavoro delle Educatrici Apostole.
Grazie per questa liturgia animata da
tante giovani vite e dalle voci del coro.
Grazie, Flora, per tutte le persone
che partecipano a questa festa, per il
50° anniversario del Tuo Istituto.
Dalla registrazione senza la revisione dell’autore
La Direttrice ha così introdotto il secondo momento della manifestazione:
Carissimi amici, benvenuti a tutti e scelto di intitolare questa ricorrenza “il
grazie per essere qui con noi a festeg- giorno del grazie”, perché ringraziare
giare questo importante traguardo del- significa essere riconoscenti: ri-conol’Istituto Flora, che da 50 anni accom- scere il bene ricevuto (prenderne copagna molti giovani e molte persone in scienza), ma anche ricordare, condiviun cammino di formazione, di cultura dere con gioia, praticare, impegnarsi a
vivere e a diffondere l’amore di chi ha
e di fede.
Gli Insegnanti e gli allievi hanno fatto dono di sé per noi.
Flora si è
fatta dono sull’esempio
di
Cristo e da questo suo dono
è nato l’Albero
dell’Opera di
Nostra Signora
Festa del Grazie
10
Universale, di cui l’Istituto Flora è un
ramo fecondo.
Vorrei sottolineare il significato di
questa parola “dono” con le bellissime e illuminanti espressioni del Papa,
perché diventi sempre più l’identità del
nostro Istituto: “La carità nella verità
pone l’uomo davanti alla stupefacente
esperienza del dono…. L’essere umano è
fatto per il dono, che ne esprime ed attua
la dimensione di trascendenza.
Il dono per sua natura oltrepassa il
merito, la sua regola è l’eccedenza; esso ci
precede nella nostra stessa anima quale
segno della presenza di Dio in noi e della sua attesa nei nostri confronti. Perché
dono ricevuto da tutti, la carità nella verità è una forza che costituisce la comunità, unifica gli uomini, secondo modalità
in cui non ci sono barriere né confini.
Una comunione fraterna oltre ogni
divisione, (la nostra comunità educante)
nasce e si sviluppa dalla convocazione
della Parola di Dio “Amore”, “non c’è
amore più grande di chi dona la vita per
il proprio fratello”.
Flora “Docente d’amore” ha vissuto e ha trasmesso a noi la cultura dell’amore: cultura in senso ampio, come
pensiero, come ragioni di vita, come
apertura ad orizzonti che rompono
confini e consentono di spaziare verso
Festa del Grazie
delle persone consenta di tenere insieme in una continuità dinamica e creativa fede, cultura, vita.
gli altri, per coglierne le comuni domande di vita e di bene che attraversano la
dimensione umana. “Il mondo è la mia
patria e tutti sono miei fratelli”.
La cultura trasmessaci da Flora è
vedere come in uno specchio nel volto
dell’altro i tratti profondi dell’identità
del volto di Cristo, da custodire, ammirare, far risplendere.
Cultura ancora come capacità di farsi dono, offrendo i pochi pani e i pochi
pesci disponibili, perché ci sia meno
fame e più esperienza di solidarietà e
di amicizia.
Di fronte alla dilagante cultura della
frammentazione e del relativismo, Flora ci stimola, ci invita a proporre l’unità
dell’atto educativo, che nella coscienza
Flora chiama ancora: vorrei concludere con una famosa favola di Esopo,
che esprime molto bene cosa significhi
partecipazione e trasmissione di cultura, condivisione di valori e di significati da una generazione all’altra: “Un
contadino, giunto ormai alla fine della
vita chiamò i suoi figli e disse loro: Figli miei, io me ne vado, voi cercate
nella vigna e trovate quello che tengo
nascosto- Quelli pensarono ad un tesoro sepolto e, appena morto il padre,
insieme, misero sottosopra con la vanga tutta la vigna. Il tesoro naturalmente
non lo trovarono, però la vigna vangata a fondo produsse una straordinaria
quantità d’uva.
I valori e i significati vissuti e trasmessi non costituiscono un’eredità
da trasformare in rendita senza nessun impegno: essa va coltivata proprio
“Non esitate a far fruttare i
talenti che Iddio vi ha dati;
fateli fruttare nel tempo perché
non arriverete a Lui a tempo
se tempo perderete”.
VENERABILE FLORA
“Flora era: autorevole,
ma non autoritaria,
dolce ma non debole,
ispirava confidenza
ma non ne dava troppa.”
Prof. Gaj Maria
docente dei primi tempi
come la vigna che avevano ricevuto in
eredità quei tre figli. Questo messaggio
sia per tutti, e in particolare per i nostri
giovani, una bella sfida per il futuro dell’Istituto Flora.
I cinquant'anni anni di attività dimostrano anche l’impegno, il fervore
e la generosità di Aggregati, Amici dell’Opera, collaboratori, Docenti, allievi,
genitori che hanno saputo mettersi
con entusiasmo a servizio di questo
grande progetto lasciatoci da Flora e
da Lina Prosa. A loro il nostro vivissimo grazie.
Termino con le parole di un allievo
di 5a Liceo, Umberto Gaudino, che ha
scritto e musicato l’inno al Flora:
“Vieni qui con noi al Flora”:
“Se tu sei bianco oppure nero, un po’
troppo alto o forse un po’ basso, per noi
certo non può cambiare. Se ti senti solo,
oppure perso, non ti devi preoccupare: c’è
un posto per te”, nel nostro cuore all’Istituto Flora.
11
Festa del Grazie
FLORA una di noi e fra noi !
12
Flora Manfrinati, nata nel 1906 a Mottatonda Nuova nella pianura Ferrarese, giunge in Piemonte, a Testona di Moncalieri, nel 1929 per raggiungere la
famiglia che vi si era trasferita dalla terra di origine in via di bonificazione.
Flora, giovane piena di spirito e fede, nonostante le quotidiane sofferenze che
fin dalla più tenera infanzia ne avevano martirizzato il corpo con piaghe e ferite,
inizia ad operare con varie attività di apostolato.
Il seme più fecondo lanciato da Flora nel mondo è la formazione dei giovani
e delle giovani.
Fonda un asilo in borgata Palera gestito con alcune signorine che chiama
Apostole della Santissima Trinità, il primo nucleo del progetto terreno di Flora.
Dopo la Guerra, nel 1950, Flora incontra Lina Prosa, con cui inizia un percorso comune, e quest’ultima ne diventa la confidente e depositaria dei segreti
spirituali e delle direttive dell’Opera di Nostra Signora Universale appena nata.
Solo pochi anni più tardi, il 12 marzo 1954, Gesù chiama a sé la Sua Flora.
Il suo cammino terreno è un simbolo di perseveranza, coraggio e ottimismo,
un’esistenza illuminata dall’amore per Dio e per il prossimo.
In un secolo, il Novecento, attraversato dalle tragedie più sconvolgenti dell’umanità, Flora ha trovato una motivazione più forte di tutto il resto ed ha
avuto la perseveranza e il coraggio di costruire un futuro diverso, migliore, scommettendo in particolare sulle donne. Ne ha ridisegnato il ruolo, con intuizione
modernissima per i tempi, offrendo loro una formazione professionale e, con essa,
un’autentica scuola di vita.
Dignità della donna, consapevolezza del proprio insostituibile ruolo nella famiglia e nel mondo sono due aspetti essenziali promossi dall’apostolato di Flora,
e un modello di operose fattività.
Il Processo diocesano sulla fama di santità, vita, virtù e miracoli di Flora,
iniziato nel 1960, termina nel 1996 quando il Santo Padre Giovanni Paolo II
promulga il Decreto sull’eroicità delle virtù della Serva di Dio Flora Manfrinati e
la eleva agli onori degli altari.
Oggi l’Istituto Flora prosegue la missione per la formazione dei giovani in
un’ottica che li veda impegnati e protagonisti nella vita, prima di tutto agli amorevoli occhi del Padre.
tratto da un articolo di Guido Folco
C’insegni, Flora,
a darci soprattutto alla gioventù,
a prodigarci veramente per il suo vero bene;
a collaborare in delicata discrezione
perché si formi, cresca e pervenga
alla realizzazione del piano di Dio. Mons. Luigi Maverna
Arcivescovo di Ferrara-Comacchio
Festa del Grazie
“Pensiamo d’essere
nel pensiero di Dio,
nel Suo cuore che ci ama,
nel Suo cuore
che ci ha dato la vita,
perché la nostra vita
viene dal Suo amore”.
la Direttrice Lina Prosa
Educatrice Apostola
Fedele interprete del carisma
della Venerabile Flora Manfrinati
della quale fu
“Sorella di amore e di fede”
ha fatto della sua vita
una generosa esperienza di amore
proponendo tale stile
a tutte le persone che hanno
camminato con Lei.
Lina Prosa
“Ho lavorato per molti anni a fianco della Direttrice Prosa e di Lei conservo viva la gentilezza del comportamento, la soavità e la fermezza del
parlare, la indefessa operosità. A Torino nel 1944 Ella aderì all’associazione
Magistrale “Nicolò Tommaseo”, la quale, sciolta dal regine fascista, riprendeva clandestinamente la sua attività ed avviava un capillare processo di
riorganizzazione dei servizi scolastici su basi e con finalità democratiche.
Il suo impegno maggiore era rivolto alla programmazione delle finalità
che la scuola italiana avrebbe dovuto seguire a guerra finita. In particolare
Ella sosteneva che l’educazione doveva essere ispirata al cristianesimo ed
avere per fondamento l’insegnamento religioso.Le numerose iniziative poste in atto dalla Direttrice Prosa me ne fanno ricordare la lungimiranza, la
saggezza nel realizzare i suoi programmi, la sensibilità del suo animo, la
dedizione al sacrificio.
Con il prossimo aveva rapporti sereni e rasserenanti, era benevola e
generosa, caritatevole con tutti, in particolare con i giovani e gli anziani;
sapeva prevenire e quando doveva intervenire per apportare varianti o per
correggere, usava amorevole fermezza e convincenti giustificazioni.Non si
riteneva ideatrice di iniziative ma esecutrice di progetti provvidenziali.”
Prof. Giuseppe Sacchetti
già Preside della Scuola Magistrale Istituto Flora
13
Festa del Grazie
8 giugno 1986
Gherardi, 25 marzo 1987
Mottatonda
Il braccio spirituale
dell’Opera
14
La Madonna aveva detto a Flora:
“Un giorno questa terra sarà benedetta”
e Lina Prosa, fin dai primi tempi,
sostenne che Mottatonda
doveva diventare un luogo di preghiera.
Istituì il gruppo degli Aggregati
e degli Amici per sostenere
e far vivere l’Opera.
Amici e Aggregati
dell’Opera
Un legame di grande affetto e
riconoscenza ci unisce al gruppo che è
nato nel Ferrarese, è parte integrante
dell’Opera e condivide con noi i tesori
spirituali della protezione e dell’aiuto
della Madonna e di Flora.
Le Educatrici Apostole dell’Opera
di Nostra Signora Universale
Festa del Grazie
Festa dell’Annunciazione
“Proprio il primo giorno di primavera, alle
ore 8.30, abbiamo
concelebrato in quattro sacerdoti insieme
al nostro Arcivescovo
nella casa natale di
Flora. Erano presenti
la Direttrice dell’Opera di Nostra Signora
Universale, Lina Prosa, con sei Educatrici
Apostole e numerosi fedeli. All’omelia,
Mons. Maverna si è
chiesto il motivo per
cui il Signore ha voluto, nei suoi disegni
provvidenziali, che la Serva di Dio Flora nascesse proprio in Mottatonda Nuova di
Gherardi, nel cuore della Bonifica Ferrarese.
La risposta è stata facile da dare: invitare, spronare questa gente ad essere santa, e
non accontentarsi di essere cristiani mediocri, ma cristiani impegnati, autentici, santi.
Sono grato a Sua Eccellenza per averci rivolto queste parole accorate; ci serviranno
di stimolo per camminare più speditamente dietro a Gesù, seguendo l’esempio della
nostra conterranea Flora.
Non possono dimenticare la benedizione
della campana del piccolo campanile di
Mottatonda, che chiamerà la nostra gente
ad essere santa e perfetta come il Padre.
Come trascurare le viole raccolte dalle Educatrici Apostole a Mottatonda? Qui quel
“Piccolo fiore del campo” è sbocciato e non
mancherà di crescere e di dare i suoi frutti,
proprio in questa terra abbandonata, ma
ora riscoperta e benedetta.”
Don Fernando Scarpa,
Parroco di Gherardi, Gallumara
e Mottatonda Nuova
15
Festa del Grazie
Festa del Grazie
Corsi di formazione
a.s. 1958/59
Inizio dell’ISTITUTO FLORA
corsi per la formazione della donna e le professioni femminili
Corsi rapidi pratici
per signore e signorine
Corsi di qualifica
professionale
Cucina
Buon governo della casa
Puericultura
Pronto soccorso
Assistenza al malato
Economia domestica
Ricamo e cucito
Decorazioni ceramiche e pittura
Taglio e confezione abiti
Assistente all’infanzia
Assistente alla gioventù
Aiuto familiare
Guardarobiera
Maglierista
Decoratrice di ceramica
Dattilografa e stenografa
Comptometrista
Contabile di mano d’opera
1957-58 1967-68: 1968-69: corsi n. 1 corsi n. 22 corsi n. 29 allieve n. 10
allieve n. 624
allieve n. 981
numero medio allieve per corso
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Corsi e allieve/i negli anni
Corsi liberi
Corsi con presa
d'atto regionale
SCUOLA
MAGISTRALE
Privata
Convenzionata
con il Ministero
Pubblica Istruzione
LICEO DELLA
COMUNICAZIONE
Paritario
CENTRO
OPERATIVO
FLORA
Corsi riconosciuti
e approvati da
Regione Piemonte
Provincia di Torino
1974/75 - 1999/2000 1998/99 - 2008/09 1997 - 2008
Anno di inizio:
circa 1450 diplomate 636 allievi
Corsi:
1957/58
area socio-sanitaria
1° corso: 10 allieve
area Educativa
area Artistica
dal 1958 al 1997
circa 6250 allieve
circa 910 allievi
17
Festa del Grazie
Festa del Grazie
a.s. 1958/59-1987/88
Scuola Magistrale
Istituto Flora
privata
dal 1974 al 2000
circa 1450 diplomate maestre
a.s. 1988/89
la Scuola Magistrale
Istituto Flora
ottiene il riconoscimento
ministeriale
18
Anno formativo 1997
Centro Operativo Flora
Certificato Sistema Qualità
Accreditamento Regione Piemonte
Corsi attivati nel 1997
ADEST
Ceramica
Informatica di base
dal 1997 ad oggi: circa 950 allieve/i con qualifica o specializzazione
Lavori dei corsi di
ceramica:
pittura su
ceramica,
lavori al tornio e
agli stampi
19
presenze scuola magistrale e diplomate/i
corsi Operatore Socio Sanitario
dal 1997 ad oggi
nota: per l’anno in corso la provincia di
Torino non ha ancora approvato corsi
Corsi attivati oggi:
Operatore Socio Sanitario
Elementi di Assistenza familiare
Tecniche di sostegno alla persona
Operatore Socio Sanitario – modulo finale
Educatore Prima Infanzia
Tecnico di produzione
e decorazione della ceramica
Festa del Grazie
Festa del Grazie
a.s. 1998/99
Liceo della Comunicazione
Istituto Flora
Pellegrinaggi
Lourdes, Roma, Mottatonda
paritario
dal 1998 ad oggi:
circa 640 allieve/i
21
20
Foto di classi recenti e passate
Viaggi di istruzione
E dopo ?
Sbocchi universitari e/o professionali
delle ex-allieve/i
Università tutte le facoltà universitarie
Docenti in scuole dall’asilo nido alle superiori
Negli Enti privati:
Strutture per disabili, anziani, Scuole, Uffici…
Negli Enti pubblici:
Comune, Provincia, Regione, Prefettura, Ospedali, Asl…
Festa del Grazie
Festa del Grazie
Liceo della Comunicazione
Venezia, Vienna,
Dachau, Augsburg
“In un momento in cui si assiste ad una sconvolgente trasformazione dei media e
della comunicazione globale e sono chiamate in causa competenze specifiche per
affermarsi, è necessario che gli insegnanti, gli studenti e le famiglie si pongano
il problema dell’orientamento. Le attitudini dello studente non sono sempre e
solo rilevabili dalle valutazioni delle discipline, ma dovrebbero essere individuate
anche in attività extrascolastiche, di cui si auspica una maggiore integrazione,
per verificare il transfert di apprendimento e gli interessi personali non sollecitati
dall’attività scolastica”
Prof. W. Ferrarotti (2002)
Al "Flora" spazio alle attività varie
Attività di volontariato: Floraestate, Non solo per gioco, Doposcuola all’oratorio
multietnico San Luigi di Torino, Servizio presso il Cottolengo reparto PierGiorgio
Frassati, Servizio presso i malati terminali dell’Ospedale di San Vito,servizio per
gli anziani della zona centro di Torino e non….
e anche
Parigi, Praga, Monaco,
Firenze, Pisa, Lucca, Roma
Partecipazione a Concorsi con incoraggianti successi
Partecipazione al Concorso “Lina Prosa” vinto dalla carissima Germana Gatto
con la realizzazione del Sito dell’Opera
22
23
Stage nelle scuole
ECDL ( Patente Europea dell’uso del computer )
L’arrivo all’isola d’Elba
Per fossili nell’astigiano
Nell’anfiteatro di Susa
Realizzazioni di attività culturali con l’Associazione Tram Storici di Torino,
Museo ferroviario di Bussoleno…
Inizio di un esame ECDL
Festa del Grazie
Festa del Grazie
Anno scolastico 2010-2011
Attivazione del riordino dei licei
D.L. 6 agosto 2008 n. 133
Al Flora un nuovo Liceo?
Liceo delle Scienze Umane
con l’opzione Economico-sociale
E Il Liceo della comunicazione?
2004: Museo FERALP - Bussoleno
continua fino al completamento del quinquennio 2009-2014
Piano studi del nuovo Liceo
per un totale di 30 ore settimanali
2005: sala di controllo del Metro
MATERIE
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2006: progetto ATTS – tram storici
2008: Salone del Libro
2009: premiazione
del concorso
"Diventiamo cittadini europei"
LINGUA E LETTERATURA ITALIANA
LINGUA E CULTURA LATINA
LINGUA STRANIERA INGLESE
LINGUA STRANIERA TEDESCO
STORIA
GEOGRAFIA
FILOSOFIA
SCIENZE UMANE
MATEMATICA
FISICA
SCIENZE NATURALI
STORIA DELL’ARTE
MUSICA
SCIENZE MOTORIE
RELIGIONE
MATERIE
opzione economico-sociale
LINGUA E LETTERATURA ITALIANA
LINGUA STRANIERA INGLESE
LINGUA STRANIERA TEDESCO
STORIA
GEOGRAFIA
FILOSOFIA
SCIENZE SOCIALI E METODOLOGIA
DELLA RICERCA
DIRITTO ED ECONOMIA
MATEMATICA
FISICA
SCIENZE NATURALI
STORIA DELL’ARTE
MUSICA
SCIENZE MOTORIE
RELIGIONE
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Festa del Grazie
E dopo la maturità
Liceo delle Scienze Umane
quali prospettive?
Continuazione di studi:
Iscrizione a tutte le facoltà universitarie
Sbocchi lavorativi:
Insegnamento in ogni ordine di scuola;
Esperto nei processi della formazione e dell’educazione.
Educatore – tecnico nei servizi socio-educativi e servizi sanitari.
Nell’industria: ambito risorse umane (human resources)
Impieghi di concetto nella pubblica amministrazione.
Festa del Grazie
Momenti da ricordare
Anno scolastico 1973-74
Costruzione
del nuovo edificio
Un GRAZIE speciale a tutti gli amici
che ci aiutarono a realizzarlo
12 gennaio 1996
Serva di Dio Flora Manfrinati: Venerabile
27
26
Il 12 gennaio 1996, in Vaticano, alla
presenza del Santo Padre Giovanni Paolo II
fu promulgato il decreto riguardante le virtù eroiche
della Serva di Dio Flora MANFRINATI, vergine, fondatrice
dell’opera detta di “Nostra Signora Universale”.
La nostra Flora è ora ufficialmente dichiarata venerabile dalla Chiesa.
L’Istituto Flora ha un logo nuovo
Un abbraccio per trasmettere alle famiglie e ai ragazzi
lo spirito dell’Opera di Nostra Signora Universale.
Una figura essenziale per
presentare le scuole dell’Opera
a chi non ci conosce.
Una immagine serena per
rafforzare la nostra presenza
in chi ci conosce.
12 marzo 1954 – 12 marzo 2004
Flora torna a casa
nel giardinetto delle rose
Dopo 50 anni Flora ritorna a casa e ora accoglie,
guarda e sorride a tutti coloro che passano,
sostano, ripassano lezioni …, pregano e attende
la nostra presenza per ricordarci di camminare
per le vie del mondo guardando al Cielo.
Flora aiutaci ancora!
Festa del Grazie
Festa del Grazie
Testimonianze e esperienze
“La scuola è dei giovani e, come tale, deve essere giovane. Io sento giovane
la nostra scuola quando insieme cantiamo, quando facciamo festa, e
anche quando ci prepariamo seriamente per il temuto esame”
Roberta (1985)
“Un grazie a Flora che ha ascoltato le nostre preghiere e ci ha protetti
in questo periodo scolastico; è grazie alla Sua Opera che oggi mia figlia
sorride al futuro e noi abbiamo ritrovato quella serenità che da tempo non
conoscevamo più”
Una mamma (1986)
“Vorrei esprimere il mio più vivo grazie a Lina Prosa, non solo perché ci
permette di riunirci nel suo ricordo, ma soprattutto perché Lei, con Flora,
ha avuto il coraggio di iniziare con fede e speranza tutto ciò che noi oggi
vediamo”
Antonella (1990)
28
“Avevo perso da qualche parte i miei sogni, in particolare quello di
studiare. Poi, entrata nella casa di Flora, ho ritrovato i desideri, le
aspirazioni che avevo dimenticato e questo lo devo al tipo di ambiente
sereno e amichevole che ho trovato all’interno di questa scuola, anche
grazie alle mie compagne ed ai professori” Barbara 1994
“Cara Flora, ringrazio sempre il Signore per avermi dato la possibilità di
conoscerti. La tua scuola è stata per me un grande aiuto, mi ha reso più
serena, disponibile, comprensiva, ma la cosa più importante è che mi ha
ridato la fiducia in me stessa che avevo perso in questi ultimi anni”
Jessica 1994
“Non è raro in una scuola vedere le studentesse che consolano
affettuosamente una compagna “vittima” di un’interrogazione disastrosa.
È molto più difficile, invece, vedere ragazze che esultano per il successo
delle coetanee. Ebbene, al Flora, alla cerimonia della consegna del premio
Lina Prosa, ho notato con piacevole stupore che le ragazze applaudivano e
abbracciavano le premiate con gioia vera e genuino entusiasmo”
Una professoressa (1995)
“Sì, ho una figlia di 16 anni al Flora; frequenta l’Istituto ed ogni giorno
che passa la vedo crescere, pensare, riflettere, diventare grande. [...] È
confortante constatare che i propri figli sono inseriti in un ambiente
positivo, sereno, aperto, semplice e costruttivo, ispirato alla visione cristiana
della vita”
Un papà (1996)
“Ci sono arrivata in punta di piedi, con un po’ di timore, ma anche con
tanta energia e voglia di fare il corso OSS. Grazie all’organizzazione
attenta, il Flora offre una formazione professionale mirata con insegnanti
qualificati e ci insegna cosa vuol dire lavorare con metodo e, quando
occorre, fermarsi per pensare e fare”
Una futura OSS (2001)
“Il giardino interno dell’antico stabile di via S. Francesco da Paola 42
trasmette la tranquillità, l’ordine e il rispetto che si possono respirare in
una delle storiche scuole di Torino. E subito si è incuriositi dall’Istituto Flora
che ospita il Liceo della comunicazione. Un’ottima scuola, come quelle
di una volta che preparavano e formavano – si potrebbe dire – attenta
all’educazione, al rispetto del prossimo, al sociale, alla tradizione, ma anche
aperta sul mondo della modernità, del dialogo, del lavoro.”
Guido Folco (2003)
Al Flora…
Vorrei dare un suggerimento a un ragazzo che ha appena terminato
le scuole medie e che dovrebbe iscriversi in un istituto superiore per
continuare gli studi.
Sicuramente questa scelta è molto difficile da intraprendere da solo,
quindi suggerirei al ragazzo di farsi aiutare possibilmente da una persona
adulta, come i propri genitori. Però anche le opinioni di uno studente quasi
maturando possono tornare utili. La scelta della scuola non deve essere
condizionata dalla scelta dei propri amici, ma deve essere ponderata e
accurata in base alle proprie aspirazioni. In proposito vorrei riportare la
mia personale esperienza, in modo tale da guidare e consigliare il ragazzo
in una scelta consapevole. La mia e quella dei miei amici è stata - preferirei
definirla - una “scelta collettiva”, presa all'unanimità senza tener conto
delle attitudini del singolo. Ovviamente, dopo un primo momento di
esaltazione generale, le cose cambiarono. Ho perso un anno scolastico, poi
è stato scelto per me l’Istituto Flora.
Ora che frequento il quinto anno, posso dire con assoluta certezza che
quella scelta, dapprima contestata, oggi è stata forse l’unica che mi ha
cambiato la vita in senso positivo.
All’Istituto Flora ho incontrato persone speciali che sono riuscite a
29
Festa del Grazie
30
capirmi, a comprendermi e ad
aiutarmi. Qui ognuno è ascoltato,
aspetto fondamentale per un ragazzo
che si appresta a diventare uomo, e
soprattutto compreso. Sì, comprendere
è sintomo di amore, infatti all’Istituto
Flora tutti lavorano con amore e sono
uniti come in una grande famiglia
che esalta le proprie capacità ma
tiene conto anche delle individualità.
L’individualità, le capacità, le
aspirazioni, le emozioni sono parte
integrante delle lezioni tenute
all’Istituto Flora, qualsiasi tema si tratti. Anzi, molte questioni sollevate in
classe, partono proprio dalla curiosità degli studenti.
Ovviamente tutto questo grazie ad un magnifico lavoro in simbiosi tra il
corpo docente e i dirigenti scolastici.
Una curiosità: al Flora vieni quasi sempre chiamato con il tuo nome e non
con il cognome. Sembrerà strano, ma in questo modo si crea un rapporto
non più distaccato, ma famigliare, confidenziale. Rapporto, questo, utile per
la propria formazione ed ideale per stimolare la curiosità e l’interesse per lo
studio, sempre nel massimo rispetto.
In conclusione, entrare a far parte della grande famiglia di Flora è un
privilegio per chi entra e per chi già ne fa parte. Sì, perché anche opinioni,
idee, curiosità sono sempre bene accette nell’Istituto Flora, perché?.. Perché
per crescere ancora c’è bisogno anche di te.
Danilo Melchionna
Fui chiamato da Flora ad entrare nella sua casa assai prima del 1984,
anno in cui ebbi l’onore di venire in questo Istituto ad insegnare. La
chiamata, che mi fu chiara molti anni dopo, risale ad un giorno del
mese di agosto del 1955 quando, in una gita con amici, incontrai la mia
consorte che, l’anno dopo, nel Santuario di S. Rita, divenne mia moglie.
Abbiamo intessuto insieme le vicende di cinquantatre anni di vita matrimoniale e speriamo di proseguire a lungo.
Ho bisogno di parlarvi di Flora...
Ho detto incontrai, ma per il
modo col quale i fatti si sono svolti,
devo rettificare e dire che andai da
Matilde guidato da Flora, che conosceva già la famiglia di mia moglie, a
quel tempo.
Festa del Grazie
Da Flora siamo stati accompagnati l’uno verso l’altra; ispirati al
Vangelo e sorretti dall’Opera di Flora, abbiamo diffuso serenità su figli,
nipoti e tutti coloro che abbiamo avvicinato.
Flora ci ha illuminato perché realizzassimo il nostro patto d’amore
nel custodire ed accrescere i valori
della vita, nell’impegno, anche nel
sacrificio, sempre nella gioiosa rinuncia per il bene di chi ci è vicino,
patto d’amore nella verità di Cristo.
Flora mi ha accompagnato anche
al conseguimento della laurea. Grazie a lei, oltre al lavoro impegnativo
che svolgevo, ricominciai a studiare
a trentasette anni, ininterrottamente; raggiunsi il traguardo, nell’aula magna dell’Istituto di Fisica, nel
marzo 1974. Su una pagina bianca
della mia tesi, in basso, scrissi: “A
mia moglie ed ai miei figli, Giuseppe e Vincenzo, inseparabili nel
sostenermi, esprimo la mia riconoscenza. Ai miei genitori dedico alla
memoria.”
La laurea non mi servì tanto per
il lavoro che svolgevo da anni, quanto per entrare in questo Istituto nel
settembre del 1984 e rimanervi fino
a maggio 2009.
In queste aule ho dato quello che
mi è stato possibile, sorretto dalla
passione per la scuola.
Il cammino con l’aiuto di Flora
non termina qui; insieme alla mia
consorte continueremo a camminare con Flora al nostro fianco.
La mia famiglia è debitrice verso
questo Istituto, di cui oggi si festeggia il mezzo secolo di vita, per quello che ha potuto imparare in questo
luogo, emblema dell’operosità silenziosa e proficua.
Esprimo ancora gratitudine a Flora per avermi dato la possibilità di conoscere, in questa scuola, persone di
alto valore morale e professionale.
Possiamo dirlo a tutti che l’Istituto Flora è il luogo dove si diffondono, operando nell’ombra, i grandi
ed impegnativi temi della pedagogia;
proprio come diceva Flora, operando nell’ombra, in questa scuola vive
l’arte di saper educare, nel segno di
Gesù.
Spesso, all’ora del crepuscolo,
quando terminavo la lezione del
corso pre-serale A.C.I., percorrendo
questa via e fermandomi al semaforo di Corso Vittorio, sentivo di avere
una grande serenità, sembrava che i
lampioni facessero più luce, mi sembrava che quei giorni fossero di festa,
l’aria più pulita del solito, le persone che passavano più cortesi, meno
impazienti, avevo cioè nell’anima i
riflessi di luce dell’Istituto Flora, dal
quale ero appena uscito.
Durante la strada verso casa mi
tornavano alla memoria molte riflessioni sulla forza e sulla bellezza che
avvolge la nostra vita quando si ha il
privilegio di sostare in un luogo dove
è normale l'abbandono in Dio.
“L’abbandono in Dio dà forza”, diceva Flora, proprio così!
Grazie a tutti.
Marrese Prof. Nicola
31
Presso il “Centro Flora Manfrinati” di Testona
il 14 maggio 2009 - si è tenuto il Convegno
indetto dall’Associazione di volontariato CAV –
Centro di Aiuto alla Vita di Moncalieri - Testona
e dal Movimento per la Vita sul tema:
Le frontiere e gli esiti della vita umana
Introduzione della signora
Angela Ciconte,
Presidente del CAV di Testona
S
32
ono Angela Ciconte e Presidente
del Centro Aiuto alla Vita di Moncalieri - Testona, un’associazione
di volontari in favore della vita. Da un
anno operiamo in questo territorio,
infatti siamo sorti nel febbraio 2008 e
l’8 febbraio 2009 il Cardinale ha inaugurato ufficialmente il nostro Centro
di aiuto alle mamme in gravidanza, in
particolare gravidanze a rischio; innanzitutto l’aiuto psicologico, quindi anche economico (Progetto Gemma).
Vent’anni fa io ho avuto una gravidanza inaspettata e tutti volevano che
abortissi: mi trovavo infatti in una diffi-
cile situazione ed avevo anche un marito molto violento. Ma sentivo che non
potevo decidere io di quella vita che era
nel mio grembo, che c’era e quindi doveva venire avanti, così, alla fine è nata
la bambina e ringrazio Dio che è qua;
ogni suo respiro per me è un ringraziamento al cielo per aver fatto allora quella scelta e penso che, se avessi scelto
altro, la mia vita non sarebbe stata né
sarebbe la stessa. Oggi sono una donna pienamente realizzata, lavoro, ho
una nuova famiglia con un uomo che
mi ama. Tutto questo per dire che non
bisogna arrendersi di fronte a quello
che sul momento può sembrare un
problema insormontabile; magari le
cose vanno a posto; comunque non
possiamo decidere di “sbarazzarci”
di tutti quelli che ci creano problemi e
quella vita che è in noi, anche se non la
vediamo, è una vita.
Provata dalla mia personale vicenda,
ho aderito un anno fa alla richiesta del
Dott. Boero, “se me la sentivo di costituire questa associazione”. Il Dott. Boero e la Dott.ssa Vergani hanno tenuto
un corso di formazione a tutti i soci, in
modo da metterli in grado di “aiutare”,
fornire supporto psicologico, di capire
veramente le persone in difficoltà. Per
questo ringrazio sia il Dott. Boero che
la Dott.ssa Vergani. In questo anno abbiamo seguito circa 70 casi, di cui 40 in
corso, abbiamo salvato 5 bambini a rischio di aborto e una grande soddisfazione ci è stata data da una di queste
cinque mamme, proprio determinate
ad abortire (la Dott.ssa Spagnolini e
il marito hanno seguito questo caso),
che adesso ha partorito e ha lasciato
questo messaggio per tutte le mamme:
“Non abortite, perché la gioia della nascita di un figlio è troppo grande!”. Per
noi ciò è stata una grande contentezza
e la conferma che la strada che stiamo
percorrendo è quella giusta. Per questo
siamo ancora più motivati.
Insieme a questa attività di volontariato, per rendere economicamente
autonome le mamme, stiamo facendo
un corso per assistenti famigliari, con
diploma riconosciuto dalla Regione,
che permetterà loro di andare a lavorare nelle strutture pubbliche e private.
Abbiamo anche costituito un servizio
di baby-sitter per permettere a queste
mamme di seguire il corso e stiamo
collaborando con il Banco di Solidarietà Sanitaria, col Banco Alimentare, con
il VSSP e con il Movimento per la Vita.
Noi abbiamo circa 40 volontari che ringrazio, perché senza di loro il CAV non
esisterebbe, e abbiamo multiprofessionalità di medici, psichiatri, farmacisti,
infermieri, avvocati, insegnanti e, non
meno preziose, casalinghe e pensionati, perché servono cultura e specificità,
però la cosa più importante è il cuore;
è importante capire il problema dell’altra persona e questo si può raggiungere anche senza lauree, l’importante è
avere la voglia di fare questo cammino.
Per chi volesse aggregarsi, c’è posto,
siete tutti benvenuti.
Intervento del Dott. Walter Boero
Grazie a tutti voi per essere presenti questa sera a sentir parlare del tema
della vita. Angela ci ha parlato di ciò
che concretamente è stato realizzato
qui, a Testona, e che riscuote l’entusiasmo di tanti volontari. Sia Elena che
io, nei primi momenti di esistenza di
questo Centro Aiuto alla Vita, siamo
33
Le frontiere e gli esiti della vita umana
34
rimasti molto colpiti dal clima di famiglia e di collaborazione, tra volontari
e Parrocchie. Ringrazio perciò anche i
Parroci di Testona e Moncalieri, che ci
hanno fatto credito e ci hanno incoraggiati a fare il nostro dovere, di cittadini
e, a maggior ragione, di cristiani. Infatti, partendo dalla presenza concreta
del CAV, da questo aiuto concreto che
viene dato alle mamme in difficoltà,
siamo invitati a riflettere questa sera
insieme ad Alessandro Meluzzi, sul significato della vita, andando in profondità, andando ad esplorarne le zone di
frontiera, all’inizio e al termine.
Io sono molto contento che questa
sera siate così numerosi, perché significa che questo argomento è molto sentito e suscita un notevole interesse.
Occorre far conoscere il Centro, distribuendone i pieghevoli tra i medici
della mutua, i farmacisti, i pediatri, gli
specialisti, in modo da costituire come
una rete di sostegno tra persone che
amano la vita.
Una mamma che aspetta un bambino ha solo bisogno di essere attorniata da amore, almeno pari a quello che
dà lei al proprio figlio; se la circondano
persone ostili, allora le mamme sono
in grande difficoltà e tante non scelgono più la vita, si arrendono. Se invece
dal medico al farmacista, dal vicino di
casa al Centro Aiuto alla Vita, trovano
attenzione magari da uno che neanche
bene si conosce, alla fine è per loro più
facile andare verso la vita.
In questi giorni c’è la Fiera del Libro a Torino ed un piccolo stand è organizzato dal Movimento per la Vita
Italiano. Questa mattina sono iniziate
le attività della Fiera ed è stato uno
spettacolo bellissimo: il nostro stand
era assediato da ragazzi, incuriositi
da quiz, che comportavano un premio
per la risposta corretta. Mentre in tutti
gli altri stand semi-deserti "pascolavano" delle persone stanche e distratte,
nello stand del Movimento per la Vita
c’era un formicolio pazzesco di 30-40
ragazzi alla volta, entusiasti di fronte
alle foto, che dicevano la grandezza e
la bellezza della vita.
Credo che adesso il Dott. Meluzzi ci
introduca in questo campo, permettendoci di esplorare anche i momenti difficili di maggior fragilità che si trovano
nelle zone estreme all’inizio e alla fine
della vita. Vi ringrazio.
Relazione del Dott. Alessandro Meluzzi
Il mistero del divino nell'uomo
C
ari amici, io sono molto contento questa sera di essere qui con
voi, ma anche imbarazzato, perché mi avete chiamato a parlare della
vita e dell’accoglienza della vita, della
vita nei suoi esiti e nei suoi confini ed
io francamente sono spaventato dalla
grandezza del tema. Perciò tenterò di
condividere con voi le mie riflessioni:
innanzitutto la difesa della vita, la sacralità della vita, è sì assioma invalicabile, uno di quei valori non negoziabili,
a cui spesso Papa Benedetto ci ha richiamato, in linea con tutto il Magistero della Chiesa e la migliore tradizione
della cultura, in cui siamo nati e vissuti,
ma che ha bisogno io credo, per calarci
e per parlare alla profondità dei cuori,
di qualcosa che lo sostanzi e questo è
la presenza del divino nell’uomo, che
per noi cristiani è un fatto concreto,
specifico, è l’incontro personale, ed è
l’incontro proprio con Lui, con Gesù di
Nazareth, detto il Cristo; allora se questo incontro si realizza tutto è possibile. Se questo incontro non si realizza,
se ci si affida solo alla ragione, allora
tutto diventa estremamente difficile.
E già questa affermazione potrebbe
sembrare una presa di posizione poco
politica, poco corretta, o in controtendenza, perché la vita non è un valore
spirituale, né religioso, né soltanto per
credenti, è un valore naturale; però è
anche vero che se noi non riusciamo
a far intravedere ciò che è oltre e naturale, se non facciamo diventare la
difesa della vita l’aspetto essenziale
della buona notizia che Iddio si è fatto
uomo, perché l’uomo potesse riscoprire la sua vera natura che è divina, che è
il cuore, il segreto della profondità del
messaggio cristiano, tutto diventa difficile.
Questo lo dico perché parole come
bioetica, deontologia, moratorie, concetti che attengono al terreno dell’ethos, delle regole, dei sistemi normativi, legislativi, eteronomici, nel mondo
in cui viviamo sono un diaframma sottilissimo per guidare i comportamenti
delle persone. Non è con le regole che
si possono governare processi che ci
toccano profondamente e che rendono
ragione del perché oggi questo tema
della vita sia oggetto di discussione
mentre neppure dovrebbe esserlo.
Diceva infatti Seneca che noi scopriamo di avere un organo quando questo si ammala, scopriamo di avere un
cuore quando batte male, o le gambe
quando facciamo fatica a camminare,
o lo stomaco quando non digeriamo;
diversamente non ce ne accorgiamo.
Perché, come direbbe Charles Péguy,
grande poeta cristiano, c’è la prevalenza dell’evento. Quindi se noi discutiamo sulla vita, il cui valore dovrebbe
essere una verità inderivabile, vuol dire
che qualche cosa si è misteriosamente
ammalato nel rapporto tra gli uomini,
la loro vita e la vita degli altri.
Cioè se la vita anziché essere un
fatto, un a-priori, un qualche cosa di
35
Le frontiere e gli esiti della vita umana
assoluto e di totale, diventa oggetto
di metacomunicazione, vuol dire che
qualche cosa si è infranto all’interno di
questo meccanismo.
Denatalità
36
Nell’Occidente industriale e post-industriale, specificatamente dell’Italia,
oggi abbiamo grossomodo un figlio,
uno e mezzo, uno virgola due per coppia, cioè al di sotto del tasso di mantenimento della popolazione. Di bambini quindi ne vengono concepiti molto
pochi; di questi spesso concepiti tardivamente e faticosamente, su 100, 30
finiscono nei tritarifiuti degli ospedali;
quindi uno su tre, che è una percentuale altissima, dovuta, più che al numero
degli aborti procurati, alla scarsità delle
nascite che arrivano a termine. E questi
sono numeri sconcertanti. Io credo che
le ragioni siano molteplici e non tutte
sociologiche. È vero che sono state
perseguite politiche di denatalità, ritenendo che la denatalità fosse un fattore
di sviluppo economico in India, Brasile,
Congo ex-Belga, Repubblica Popolare
Cinese, e attraverso diverse tecniche:
campagne di sterilizzazione forzata o
pagata nel sud del continente indiano;
leggi draconiane contro il secondo figlio nella Repubblica Popolare Cinese;
diffusione di contraccettivi meccanici
in Africa, di contraccettivi chimici e di
consultori famigliari volti a questo nell’America latina. Ma se si chiede ai funzionari dell’OMS, che si sono occupati
di campagne demografiche per la denatalità, quale ne sia il fattore decisivo, si
rimane sconcertati; l’unica situazione
rispetto alla quale si misuri numerica-
mente e scientificamente una dimensione di proporzionalità inversa tra un
fattore e l’altro è il rapporto tra natalità
e scolarità delle donne. Più la scolarità
delle donne cresce, più la natalità scende. Che riflessione dobbiamo fare su
questo? Io non credo che il dato principale sia il problema della pianificazione famigliare, dell’accesso ai metodi
contraccettivi o della consapevolezza,
ma il fatto che oggi la liberazione della
donna, la sua autoaffermazione, la crescita dell’autonomia abbia posticipato
il tempo della maternità.
Penso a mia figlia che ha vent’anni,
e a quali sono i suoi progetti. Se voi
chiedete a una ragazza di vent’anni che
cosa vuole fare nella vita, più o meno
univocamente vi dirà: mi voglio realizzare. Cosa vuol dire “mi voglio realizzare”? Vuol dire: mi devo laureare, poi
mi devo specializzare, poi magari devo
fare un master, poi devo vincere un
concorso, poi devo fare uno stage all’estero, poi devo trovare uno straccio
di compagno che funzioni, devo trovare una casa, cambiare macchina, fare
un altro viaggio alle Seychelles, poi…
alle soglie del tempo della menopausa
ostetrica o ginecologica, arriva il momento della prima maternità che deve
coronare il perfezionamento di questa
donna realizzata. E questa è una realtà, voglio dire è una realtà aneddottica,
ma fa riflettere chiunque abbia dei figli
in età riproduttiva, perché ricordiamo
che tra i 18 e i 20 anni c’è il picco della massima fertilità nelle donne della
specie sapiens sapiens. Quindi se la
maternità è un fenomeno di natura,
dovremo dire che il momento ottimale
in cui questa si dovrebbe realizzare è
l’età di mia figlia. Io dico spesso queste cose, con un certo sconcerto di mia
moglie che replica: “bell’esempio, belle
lezioni dai a nostra figlia!” Ma secondo me, per molte ragioni, sarebbe meglio, molto più fisiologico e molto più
giusto, anche dal punto di vista dell’economia, della macroeconomia, del
funzionamento dei sistemi di welfare,
che la maternità si spostasse verso i 20
anni più che verso i 40, come accade
oggi. Perché oggi la data della prima
maternità in Italia si posiziona intorno
ai 35-36 anni, che è molto, molto tardi,
ma che riflette la parabola esistenziale
che ho descritto.
Questo è un dato, ma questo, diciamo, è l’aspetto più elementare del
problema. La mia sensazione è che più
l’investimento emozionale, pulsionale,
libidico, emotivo della donna e anche
dell’uomo è autoriflesso, esasperatamente egosintonico e ripiegato su di
sé, più il mistero della vita faccia fatica
ad esprimersi e ad uscire da sé. Ci sono
due modi di considerare il problema:
dal punto di vista sociale ed esistenziale. Nel primo caso, se noi guardiamo
qual è oggi la realtà demografica del
pianeta, vediamo che si riproducono,
generano la vita e la diffondono i poveri
della Terra: gli africani, gli abitanti delle favelas dell’America latina, quelli di
certe zone suburbane dell’Asia, anche
qui con un rapporto di proporzionalità
inversa tra natalità e reddito pro-capite.
E per quanto riguarda la nostra storia,
oggi, alle nostre latitudini, il reddito
pro-capite, per quanto scarso, povero,
incerto ci possa apparire, riflette il grado di ricchezza più alto che l’umanità
abbia mai conosciuto. Il Re Sole certo
Alessandro Meluzzi, medico, psicologo,
psichiatra e psicoterapeuta, giornalista e autore televisivo. Ha conseguito
il baccalaureato in filosofia e mistica.
Fondatore della comunità “Agape Madre dell’accoglienza”, è Direttore scientifico della scuola superiore di umanizzazione della medicina. È autore
di varie pubblicazioni, tra le quali Cristoterapia (con Pierino Gelmini, OCD,
2007); Ti perdono (con Roberto Milone,
OCD, 2008) e L’infinito mi ha cercato –
da Marx a Gesù una vita in cammino (a
cura di Paolo Gambi, Piemme, 2009).
Quest’ultimo è la testimonianza di
come l’amore del Dio Trinitario ha cercato un uomo che correva alla ricerca di
sé tra continenti geografici – dal Tibet
all’America Latina – e magmatici orizzonti culturali. Un “ritorno a Dio” che
non cessa mai di amarci… Dall’infanzia
trascorsa fra la parrocchia francescana
e i rosminiani, fino agli anni giovanili
nelle file del PCI; dalla carriera di psichiatra alle vicende che lo hanno portato due volte in Parlamento; dall’esperienza massonica al ritorno più pieno
nella Chiesa Cattolica.
… La sua poliedrica esperienza porta
con sé soprattutto una sfrenata e appassionata ricerca di senso della vita,
a cui lo psichiatra ha dato una risposta netta e chiara aderendo con tutto
se stesso, nella più piena maturità, al
messaggio cristiano; un’esperienza di
vita che sfocia tra le braccia di Cristo,
portando con sé un’identità umana e
culturale che trae da tutte le fasi della
vita sapori e tratti distintivi.
37
Le frontiere e gli esiti della vita umana
38
non godeva della nostra stessa disponibilità per l’igiene, i viaggi, l’accesso
all’informazione, le cure mediche, la
tecnologia; quindi il più povero di noi,
oggi, dispone di un benessere materiale maggiore di Luigi XIV. Nonostante
questo noi abbiamo un’acuta percezione di povertà. Lo prova il fatto che i nostri nonni e bisnonni, quando davvero
c’era la fame, facevano 10-12 figli, adesso si ritiene di essere troppo poveri per
fare il secondo figlio, o anche il primo.
Il problema è però (e questo è il
secondo punto) ancora più sottile e
riguarda le profondità e il segreto del
sé e dell’uomo. Più il cuore dell’uomo
diventa simile ad un buco nero, ad una
nana bianca, ad una massa di gravità
energetica ed emozionale che trattiene
tutto, più l’investimento sull’esistenza
è fatto su di sé, in un’esasperata ricerca
della felicità personale, che diventa frequentemente anche fonte di immensa
disperazione, perché non c’è niente di
più disperante che votare la propria vita
alla ricerca della felicità. È quella che
io chiamerei “la sindrome della notte
di Capodanno” o del giorno del com-
pleanno: non c’è modo migliore per
annoiarsi, deprimersi, frustrarsi che
pensare che ci si deve proprio divertire. Non c’è modo migliore per essere
più disperati o infelici che pensare che
l’obiettivo della vita sia perseguire una
ricerca della propria autorealizzazione
o della propria felicità. Negli Stati Uniti
l’obiettivo della Costituzione è quello
di facilitare la ricerca della felicità da
parte dei singoli; formulata da un gruppo di ebrei e di cristiani di varie confessioni, anglicani, qualche cattolico,
molti presbiteriani, episcopaliani, ecc.,
la Costituzione degli Stati Uniti incarna
un medio comun denominatore cristiano riformato: l’idea della felicità e della
possibilità della libera ricerca della felicità ha una matrice un po’ giansenistaluterana.
Cuore della nostra civiltà e della
nostra epoca, quel bisogno di realizzarsi, di autoaffermarsi, di compiere
la propria entelechia, il proprio destino, il proprio esito, in una ricerca più
o meno convulsiva di tutto ciò che può
contribuire a dare felicità, ci fa perdere di vista un’altra verità, più nascosta,
ma infinitamente importante: che la felicità o il sentimento di
pienezza si realizza
nel cuore dell’uomo
quasi sempre in maniera imprevedibile,
misteriosa,
difficilmente pianificabile,
quasi mai quantificabile, ed irrompe come
qualche cosa di misterioso e direi quasi
di luminoso, quando
ci dimentichiamo per un momento che
l’obiettivo siamo noi, che tutto ruoti sul
nostro io-io e ci apriamo a quel mistero infinito, che è altrettanto costitutivo
dell’io nella condizione umana, che è
il dono; cioè il fatto che noi siamo felici non quando pensiamo di sollevarci
da terra tirandoci per le stringhe o per
le bretelle, ma quando apriamo il nostro cuore al cuore dell’altro e doniamo
gratuitamente, senza nulla in cambio.
Qualcuno giustamente ha detto che
alla fine della nostra vita ci rimarrà davvero non quello che abbiamo accumulato, non quello che abbiamo fatto, ma
soltanto quello che abbiamo donato;
non foss’altro perché quando doniamo davvero, come a Cana, la botte dà
il vino che non ha. Mentre quando noi
scambiamo, alla fine il saldo è sempre
zero. Questo donarsi deve avvenire nel
“rapporto matrimoniale", concetto ora
sostituito con “vita di coppia”.
Coppia: famiglia nucleare
La vita di coppia è un’invenzione recente, degli ultimi 30-40 anni di storia
occidentale; i miei nonni, che sono stati sposati 60 anni, non hanno vissuto
in coppia, ma in famiglia.
Il concetto di coppia si basa sull’idea
che i meccanismi per cui si mettono
insieme un uomo e una donna all’inizio della loro storia, possano essere gli
stessi che li mantengono uniti un’intera vita, il che ovviamente è una follia.
Questa è la ragione per cui oggi le
giovani coppie vanno quasi subito in crisi (anche senza giungere alla posizione
di Sartre e Prévert, legate all’angoscia
delle angosce di fronte all’impossibilità
di scegliere): quando scoprono che il
loro rapporto sta mutando, una volta
soddisfatta l’eccitazione e la curiosità, mentre la scoperta reciproca deve
progressivamente sfumare in intimità,
confidenza, tenerezza, per poi evolversi in un grande progetto comune, che
include l’accoglienza della vita e infine
anche in un grande sogno comune, che
si proietta nell’eternità, per cui, alla fine
della vita, si possa dire come S. Paolo:
“Abbiamo terminato la corsa, abbiamo
mantenuto la fede”.
Occorre dunque che i rapporti nella famiglia non si reggano solo sullo
scambio, ma sul dono; perché, se una
coppia considera il reciproco sentimento alla stregua di un libro contabile
che, alla fine di una giornata deve essere a pareggio, naufraga rapidamente. Il
pareggio non ci può essere tutti i giorni, spesso non c’è neppure per lunghi
periodi. Saldi sono solo quei rapporti
in cui il punto di partenza e il punto di
arrivo non è basato sullo scambio ma
sul dono, cioè sull’assunzione di una
responsabilità che ha in sé la dimensione di un vero e proprio sacerdozio,
(sacer dall’etimo della parola, cioè
sacro). Se avessimo chiesto ai nostri
nonni su che cosa era basata la tenuta
della loro vita per 50-60 anni, che cosa
ci avrebbero risposto? Che era fondata sul sacrum facere, (non l’avrebbero
detto in latino), basata cioè sul sacrificio, perché senza sacrificio non vi può
essere dono, senza dono e sacrificio
non vi può essere fecondità.
Allora la crisi della trasmissione della vita è innanzitutto oggi un prodotto
dell’inesistenza della famiglia e della
sostituzione della famiglia con artefat-
39
Le frontiere e gli esiti della vita umana
ti come la coppia, che sono in realtà
l’incontro disperato di due solitudini.
Allora: dall’incontro disperato di due
solitudini, la trasmissione della vita
anziché essere uno di quegli eventi che
ci sorprende, tornando a citare Péguy,
anziché essere come la morte l’evento per antonomasia, diventa l’oggetto,
nella migliore delle ipotesi, di una tristissima espressione, come la pianificazione famigliare.
Pianificare l'evento
di vita e di morte
40
Quando io sento parlare di pianificazione famigliare, non so se sia un
termine che piace o non piace ai Centri
di Aiuto dalla Vita, ma è un termine che
mi fa venire i capelli dritti in testa. Cosa
vuol dire “pianificazione famigliare”?
che cos’è, un tox-plan? E come si può
pianificare la vita? Cioè, come si può
pianificare un evento che è tanto logicamente prevalente su qualsiasi altro?
Davvero mi fa venire in mente la pa-
rabola evangelica in cui quel tale, raccolto tanto grano che non sapeva dove
metterlo, pensava di doversi costruire
nuovi granai, mentre quella notte stessa la vita gli sarebbe stata tolta.
Questa presenza sacrale della vita e
della morte è scotomizzata quasi completamente dalla vita dell’uomo moderno, che pensa di poter pianificare la
vita e che oggi altrettanto e che forse
anche più tragicamente pensa di poter
pianificare la morte. Se la morte e la
vita diventano, anziché degli eventi, illuminati da una dimensione di mistero
e di eterno, degli oggetti di una pianificazione quantitativa, l’essere umano
diventa un’altra cosa. Badate bene che
quello che sto dicendo non è un’inquietante ipotesi fantascientifica, ma è
il presente che vediamo intorno a noi.
Oggi la nascita, da molto tempo, è
diventata un evento sanitario come la
morte. Questa poi si avvia a diventare un evento sanitario pianificato, un
omicidio pianificato. Anche il concepimento si avvia a diventare un evento
sanitario pianificato: oggi il 25% delle coppie
ha bisogno di interventi
sanitari per concepire
ed è ovvio: quando si
giunge alla soglia della
menopausa ostetrica o
ginecologica e della fragilità andropausale da
stress e da età, è facile
si debba ricorrere al laboratorio, alla provetta,
alla fecondazione assistita. Se la vita diventa
un evento sanitario pianificato, qualcosa di ra-
dicale cambia sotto il profilo antropologico per la programmazione di quello
fino ad ora vissuto gioiosamente, come
espressione di un mistero di amore,
di dono e di libertà. Ed in questa programmazione della vita “gli embrioni
non hanno niente a che vedere con i
bambini”, come mi ha fatto notare una
signora, peraltro molto colta e compita, che si è sentita garbatamente in
dovere di correggermi alla fine di una
tavola rotonda, in cui avevo detto che
il 30% dei bambini finisce nei tritarifiuti
degli ospedali.
Qualità della vita
Ma che cosa definisce un essere vivente “umano”? Qual è il momento in
cui la vita diventa sacra? Qual è il momento in cui la vita cessa di essere? Se
noi accettiamo questa discussione e
accettiamo di discutere sul tema della
qualità della vita, cioè se accettiamo che
la vita abbia delle qualità secondarie,
possa avere degli attributi, possa avere delle sovradeterminazioni, io credo
che ci avviamo verso un orizzonte mefistofelico. Chi potrà stabilire qual è la
vita che non merita di essere più vissuta, per esempio? La vita di un bambino
autistico, che non vede, non sente, non
parla è una vita degna di essere vissuta? E quella di un anziano ammalato di
morbo di Alzheimer, incontinente, non
più in grado di mangiare se non viene
imboccato, è una vita meritevole di
essere vissuta? E quella di un malato
di cancro terminale che fa fatica a respirare, è una vita meritevole di essere
vissuta? E quella di un disabile che non
ha né braccia né gambe, né occhi, né
orecchie e vive una condizione di grandissima fatica è una vita meritevole di
essere vissuta? Se noi entriamo nella
logica di queste domande siamo perduti. Perché, se apriamo una discussione su quale vita sia meritevole di essere
vissuta e quale no, abbiamo veramente stravolto il senso con cui il mistero
della vita ci si è rivelato dall’inizio dei
tempi, prima che dalla dottrina della
Chiesa, dal cuore dell’uomo, che tende
alla vita, in qualunque condizione.
Se a me, ammalato terminale mia
figlia: “Babbo – mi dicesse – non vedi
come sei ridotto? Ti pare che valga ancora la pena di soffrire una settimana,
quindici giorni, un mese? Non pensi
che sarebbe bene per tutti, per te, per
me, per la mamma, per i nipoti porre
fine a questa sofferenza, con un’iniezione che ti tolga tutto il dolore?”. E la
mia risposta in quel momento non potrebbe essere che un affranto, tragico
sì, ma basato non sulla scelta, ma sulla desolazione dell’abbandono; se an-
41
Le frontiere e gli esiti della vita umana
42
che la persona che più amo al mondo
viene a dirmi: “Non è meglio che tu ti
tolga dai piedi velocemente, perché sei
diventato inutile, scomodo, di troppo,
pesante, inutilizzabile, costoso", allora
davvero queste pseudopianificazioni
hanno sempre un retropensiero che
è quello di sbarazzarsi, nel modo più
indolore, meno costoso possibile, di
tutti quelli che sono diventati innanzitutto scomodi! Ma non scomodi per
loro, ma scomodi per noi! Anche perché nella mia pratica di trent’anni di
medico qua e là, avendo frequentato
molti morenti, non mi è mai capitato
di conoscere un solo agonizzante, che
non pensasse di dover vivere almeno
ancora un’ora. Un’ora in cui qualche
volta si può fare tutto quello che non
si è fatto in una vita intera: riconciliarsi
con le persone amate, riconciliarsi con
se stessi e riconciliarsi anche con Dio.
Quando Madame Du Barry, girondina,
durante la rivoluzione francese, salì sul
patibolo del boia, si girò verso il boia,
che dopo aver tagliato la testa l’avrebbe offerta alla contemplazione del popolo in Place de la Revolution, diven-
tata adesso Place de la Concorde: “Un
petit moment, monsigneur, - disse – je
voudrais, s’il vous plaît, un petit moment” – ancora un piccolo momento,
signore, per favore, ancora un piccolo
momento – Che cosa la spingeva a tale
richiesta? Paura o contemplazione dell’evento, del mistero di quell’attimo in
cui ci si apre all’eternità?
Il momento della morte è semplicemente il momento che ci divide dall’eternità, da Dio, da cui proveniamo
e a cui torneremo, esattamente come
un’onda che si increspa, uscendo dall’oceano ed all’oceano da cui proviene,
ritorna.
L’eterno è una dimensione da cui
non si può prescindere pensando alla
vita. Perché se no c’è l’equivoco che
l’obiettivo della vita sia l’immortalità. Quando per togliere la paura della
morte sento affermare che: “tra poco
la vita dell’uomo sarà lunga 120 anni”,
forse che a 119 anni la paura della morte sarà più tenue che ad 80 o a 25? E
poi il problema non è l’immortalità, ma
è l’eternità. Perché l’immortalità anzi
appare come una maledizione estre-
ma. Significa veder morire figli, nipoti,
scomparire generazioni, finire questo
universo…
Il nostro cuore – come diceva Pascal – è chiamato invece all’eternità,
alla totalità, alla nostalgia dell’Uno da
cui promana, ma non all’immortalità in
questo mondo, sarebbe un incubo.
C’è una bellissima novella di Borges,
tratta dall’Alef, dedicata alla famosa triplice guerra tra Paraguay, Argentina e
Brasile, in cui si descrive la fucilazione
di un soldato, preso dai nemici e portato davanti al plotone d’esecuzione. Ma
quando il comandante ha già calato la
sciabola ed i colpi sono partiti, il tempo per il condannato si ferma: in quell’attimo è prigioniero della sua memoria; come se improvvisamente tutta la
sua vita: ricordi, rimpianti, sensazioni,
si riassumesse in quel momento, che
precede il salto nel mistero. Questa dimensione del mistero della vita e della morte è quanto di più lontano ci sia
dalla progettazione, dalla pianificazione, dalla razionalizzazione e dall’idea
che la coscienza, non dell’interessato,
ma la coscienza di altri possa decidere
su questo mistero, rispetto al quale noi
non possiamo che assumere un atteggiamento di disponibilità, apertura, accoglienza e tenerezza.
Quale pensiero volevo lasciarvi? Che
la difesa della vita non è un progetto
politico, non è neanche un atto di filantropia, né di generosità; forse anche
tutto questo, ma la difesa e l’accoglienza della vita è il vero punto fondativo
di tutta l’esistenza umana. E questo
ce lo ricorda esattamente il mistero di
un Dio che sente la necessità di farsi
uomo, essendo ricapitolazione di tutto l’universo in una nuova creazione,
che si compie attraverso l’incarnazione, attraverso un utero di donna. Ma
che Dio è, un Dio di tutti gli universi,
un Dio della totalità di ogni tempo, di
ogni epoca, di ogni storia, di ogni spazio, che ad un certo punto della storia
universale sceglie di farsi uomo attraverso un utero di donna? In questo sta
la rivelazione del segreto dei segreti,
in quel sì di Maria, Vergine e Madre,
sta la risposta di tutte le domande di
tutta l’umanità ad ogni domanda possibile sulla vita. In quel sì di accoglienza alla vita non si narra una leggenda
semitica antica di due millenni, non si
legge una propaganda ellenistico-farisaico-paolina costruita chissà dove, lì
c’è il cuore del cristianesimo, il segreto
di accoglienza alla vita e di fecondità
del divino nell’incontro con l’umano,
mistero dell’Incarnazione. E quindi
io credo che il segreto del sacerdozio
cristiano e il segreto della maternità si
guardino l’un l’altro esattamente come
Gesù guarda sua Madre, esattamente
come il nuovo Adamo, ignudo nella
culla di Betlemme, guarda l’utero di
sua Madre, ignudo anch’esso nella totalità della propria kenosi e del proprio
abbandono. Quindi in Gesù e Maria, in
questo nuovo Adamo e in questa nuova Eva, l’accoglienza della vita diventa
non soltanto pezzo della storia umana,
ma segreto della vita divina. Che sarebbe stato del Logos, attraverso cui tutto
è stato fatto, se Maria avesse risposto
“no”? Che sarebbe stato della storia Trinitaria? Su quale altra galassia il Logos
si sarebbe incarnato? Che sarebbe stato della storia del mistero divino? Il Dio
43
Le frontiere e gli esiti della vita umana
44
dei cristiani è straordinario, perché è
un mistero di relazione, è un mistero di
ritrazione e di donazione: di ritrazione
perché la vita possa procedere, la vita
del Logos, ma anche la vita del creato; e
di accoglienza perché la vita possa propagarsi. Quindi, nel mistero della vita,
sta il segreto dell’umano, ma anche il
segreto del divino ed è per questo che
l’occuparsi dell’accoglienza della vita è
un vero sacerdozio. Ed è forse questa la
ragione per cui, nella grande tradizione cristiana, le donne non hanno mai
fatto i sacerdoti, la stessa ragione per
cui gli uomini hanno bisogno del pensiero e dell’analisi filosofica, mentre le
donne risolvono tutto con l’intuizione
e la tenerezza. Il vero sacerdozio delle
donne è la maternità e purtroppo noi,
oggi, abbiamo sempre meno sacerdoti
e sempre meno madri e non è un buon
segno per la storia della salvezza.
Interventi da parte
dell’assemblea
Volevo chiedere questo: se ci si può liberare sia dalla paura di avere un figlio,
sia da quella di non averne, per cui si è
disposti a qualsiasi cosa, a spendere qualsiasi cifra, ad andare ovunque nel mondo, a sottoporsi a cure terrificanti, pur di
riuscire in questo intento che diventa un
bene assolutamente indispensabile e primario. Mi chiedo se è possibile che nelle
società più ricche di figli se ne facciano
pochi perché ci sono tante cose da perdere (ed anche qui entra in gioco la paura),
mentre chi ha poco o nulla da perdere i
figli li fa. Grazie
Qualcuno ha detto che un giorno saremo giudicati sull’amore. Credo che la
maternità dia la possibilità di conoscere
l’amore oblativo come anche forse il sacerdozio. Io sono la mamma di un ragazzo disabile molto grave e credo che, come
diceva prima il dott. Boero, anche un ragazzo disabile molto grave possa
dare felicità, proprio perché la maternità è espressione di amore oblativo.
Vorrei appunto che il dott.
Meluzzi potesse darmene
conferma. Grazie
Come si può agire in
campo educativo concretamente, genitori, insegnanti, per orientare i
giovani verso la vita, verso la cultura della vita,
traendoli dalla cultura
della morte nella quale
siamo immersi?. Grazie
Comincio col rispondere a questa
domanda che si integra perfettamente
con la seconda, quella dell’amico che
ha parlato della paura. San Filippo Neri,
grande Santo della carità, amava ripetere spesso che per conoscere l’inferno
bisogna farlo in questo mondo, perché
se no si rischia di conoscerlo nell’altro.
Un grande teologo del Novecento, Romano Guardini, soprattutto nella sua
opera fondamentale che è “Il Signore”,
parla nella pedagogia della funzione
della paura e del suo rifiuto. Perché noi
abbiamo paura? Che cos’è che ci spinge alla paura e qual è il rimedio della
paura? La paura solitamente viene agganciata dalla mente a dei fantasmi;
questi fantasmi sono nel cuore e nella
mente di tutti noi. Un grande maestro
dell’introspezione dei padri del deserto,
un grande monaco della tebaide, Padre
Pontico, li chiamava i pensieri, semplicemente. Noi siamo pieni di pensieri:
abbiamo il pensiero del mutuo da pagare, del debito, delle tasse, dei voti dei
figli a scuola, di come andrà la nostra
carriera, di quanti libri venderemo o di
quante saponette compreremo. Questi
pensieri ci affollano e
ci premono da tutte
le parti, come demoni
di certe raffigurazioni e affreschi. Penso
al trittico delle delizie
di Grünewald, in cui
Antonio Abate viene
ritratto nel deserto
assediato da animali, musi di coniglio,
maiale, lupo, serpente, mostruosi come
quelli di Bruegel, che
lo stringono da tutti i
lati, e che sono tutti i
nostri pensieri. Come
ci si libera da questa paura? Io credo
innanzitutto guardandola in faccia, affrontandola, scrutando quell’abisso
che c’è in noi e che noi molto spesso cerchiamo di seppellire, anche nel
mondo dei credenti, dentro una specie
di casamatta, di bunker delle incertezze. Come se questo buco nero, consustanziale alla nostra natura umana nella condizione post-edenica, non fosse
qualcosa che fa parte di noi e con la
quale dobbiamo misurarci. Se invece
noi la nascondiamo, la reprimiamo, la
copriamo di una scorza impenetrabile,
la rendiamo invisibile agli altri e alla
fine anche a noi stessi, questa ci rende
tragicamente vulnerabili e ci espone ad
una paura insopportabile, producendo
delle lacerazioni nei comportamenti,
nelle emozioni, da cui derivano sensi
di colpa e depressioni, oppure chiusura in se stessi, pavidità, e quella tiepidezza, di cui si dice nell’Apocalisse: “Io
ti vomito perché non sei né freddo né
caldo, perché sei tiepido”, che non ci
consente di mollare gli ormeggi, salpare ed affidarci al Vento dello Spirito, in
quell’atteggiamento di kenosi, di svuo-
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Le frontiere e gli esiti della vita umana
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tamento di sé che ha qualcosa di gioiosamente liberatorio. “Guardate i gigli
del campo e gli uccelli dell’aria, - dice
Gesù - non seminano, non raccolgono, eppure il Padre celeste provvede a
loro”, “Marta, Marta, tu ti affanni per
tante cose, eppure Maria ha scelto la
parte migliore”. "Se non vi farete come
questi piccoli non entrerete nel Regno
dei Cieli”. Il piccolo si affida gioioso a
chi lo ama, non ha paura, qualche volta al limite dell’irresponsabilità, infatti
corre dei rischi. Nel reparto pediatrico
di oncologia dell’ospedale Regina Margherita, si trovano bambini gioiosi che
giocano felici fino a tre ore prima della
fine della loro vita, né hanno paura di
morire. Spesso l’angoscia della morte
deriva da come i genitori li accompagnano a questo momento. Però, davvero, farci bambini vuol dire riconciliarci,
come direbbe Jung, con la nostra ombra, la nostra parte occulta, invisibile,
negata, da cui promanano quelli che
noi chiamiamo i nostri peccati, i vizi
capitali; c’è chi è più incline all’ira, chi
all’avarizia o alla lussuria o alla gola,
chi a tutti. Quindi questi vizi, in real-
tà, altro non sono che le autostrade del
male, attraverso cui noi sperimentiamo semplicemente l’inevitabilità della
nostra finitezza con la quale ci dobbiamo riconciliare. Non si può perdonare
ad altri se non ci si è innanzitutto perdonati. E questo le donne che abortiscono lo sanno bene. Avrei voluto dirlo
prima, ma lo ha detto la signora: non
ho mai conosciuto una sola donna che
abbia abortito che non abbia sperimentato dolore, pentimento e senso di
colpa, non negli anni, ma nei decenni
successivi. Mi ricordo che 30 anni fa,
da giovane medico, alle Molinette, al
reparto di geriatria del Prof. Vitelli, raccogliendo le anamnesi di anziane di 80
anni, a proposito di interventi chirurgici, dove emergevano procurati aborti,
piangevano, ed erano passati 60 anni!
È vero che quando si diventa vecchi si
piange più facilmente, perché si diventa più teneri, come bambini, e questo
è un segnale di riconciliazione con se
stessi, il senex e il puer si incontrano,
ma è anche vero che questo dolore rimane a lungo; così come non ho mai
conosciuto nessuna donna che, aiutata
a non abortire, non fosse stata felice di questa scelta. Perché quando
una nuova vita arriva, promana da
questa una tale gioia che la riconciliazione della madre con se stessa e
il mondo è in re, è nella realtà stessa dell’evento.
Avviene quindi il superamento
della paura e l’accettazione del proprio limite, mentre, ignorandolo, ci
illudiamo di essere perfetti quando non lo siamo, resistenti quando siamo debolissimi; pellegrini e
mendicanti di verità e di tenerezza,
ostentiamo sicurezze che non abbiamo; siamo un fascio di debolezze e fragilità, che si ricompongono
soltanto nell’immenso cuore della misericordia di Dio, della quale non dobbiamo mai cessare di fidarci. Se questa
riconciliazione non avviene, l’alternativa è la paura, determinata dal tentativo
di imbrigliare, con una ragione nostra,
fragilità e caducità. Quindi, per non avere paura, bisogna prenderne coscienza,
mollare gli ormeggi e dire: - Signore, io
sono qua, so che Tu mi ami per quello che sono, nelle mie colpe. L’azione
di Dio nel mondo contempla un primo
momento in cui vengono fissati dei
paletti; è la pars destruens, il decalogo
dell’Antico Testamento ed un secondo,
il messaggio dell’Amore di Cristo, che
include il totale ribaltamento dei valori di questo mondo, tutte le sicurezze
dell’umano nelle beatitudini del discorso della montagna, pars costruens.
Questo il fondamento della pedagogia cristiana e i giovani sono vulnerabilissimi a questa vocazione di tenerezza
e di fedeltà. Ma il problema è che facciamo una grande fatica a trasmettere
tali valori, per una ragione molto semplice: non li si trasmette con le parole, ma con gli esempi, i fatti, la
vita. E allora i veri educatori, i veri
pedagoghi, i veri insegnanti non
possono che essere dei profeti. E
che cosa caratterizza il profeta?
Il fatto di vivere nell’incarnazione della propria vita i valori che
annuncia. Se no sono cembali
squillanti e tamburi risuonanti,
sono come i farisei, come sepolcri fuori rinfrescati con la calce,
ma dentro pieni di ossa e putridume. I giovani, che hanno una
sensibilità acutissima, recepiscono non tanto quello che genitori
e insegnanti dicono, quanto ciò
che fanno e ciò che sono; quindi
la vera pedagogia implica il guar-
darsi dentro, l’andare quaranta giorni
nel deserto digiunando ed esponendosi
a tutte le tentazioni, seguendo l’esempio di Nostro Signore, e poi, ripuliti,
lasciare che gli Angeli ci servano, perché si possa trasmettere questa grazia.
Ma se noi pensiamo di imparare sul
manualetto delle Giovani Marmotte
un abbecedario di buoni sentimenti e
di buone regole di vita, per insegnarle
come se fossero i quiz della patente, io
credo che il risultato non possa che essere tragicamente fallimentare, perché
nessun giovane si lascia catturare da
simili giochetti; infatti ha una fame esasperata di verità e questa verità passa
attraverso la legge del cuore, con una
potenza incontenibile. Questo è il problema. Quindi gli insegnanti dovrebbero formarsi, non attraverso conversazioni pedagogiche, ma nel monastero
del loro cuore, scrutando la qualità del
loro essere. E così pure genitori, sacerdoti, catechisti, e ancor di più per gli
psichiatri, per quelli che pretendono di
curare, di essere terapeuti. Cioè il problema è: “Medice, cura te ipsum”, se no
47
Le frontiere e gli esiti della vita umana
siamo come i farisei che si allungano i
filatteri, fanno mostra di sé nelle piazze, e poi all’altare del Signore, “io non
sono come quel pubblicano là in fondo
– dicono – io pago le decime, sono un
buon israelita", mentre il pubblicano si
batte il petto. Oggi però anche questa
parabola va aggiornata, perché tutti si
sono accomodati nella posizione del
pubblicano, che, pacificato per il solo
fatto di aver implorato a parole la divina misericordia, si è frettolosamente
riconciliato con i propri comodi.
L’ascesi invece passa attraverso la
spezzatura del cuore, la kenosi dell’uomo vecchio, perché in lui “si faccia
luce”.
48
Una mamma per tutte, la signora
Scali:
Io sono solo una mamma e sono affascinata dagli interventi qui fatti su un
argomento tanto profondo e coinvolgente; sono state dette delle cose bellissime e
profondissime a cui io credo, ma se mia
figlia di 16 anni mi arriva a casa incinta,
io madre e credente, come posso spiegarle
la gioia della maternità, il progetto della
vita, il dono di Dio, ecc?
Noi madri di 12-13enni cosa dobbiamo
dire ai nostri ragazzini quando affronteranno il momento della discoteca, il
mondo del sesso?
Dott. Meluzzi: Un’ultima osservazione attiene ad una questione che questa
sera abbiamo lasciato un po’ fuori dai
ragionamenti, non perché fosse marginale, ma perché è maledettamente
difficile parlarne: il tema dell’eros. Che
cos’è l’eros? Platone diceva che Eros è
figlio di Penia e di Poros, cioè di bisogno e di acquisto, di povertà e di abbondanza, cioè come se fosse la memoria
di uno originario che, scisso, mantiene
un’indistinta tensione a ricomporre il
tutto nel complesso. Platone dice che
Eros non è una divinità, ma è un’energia cosmica, alla quale anche gli dei
sono sottoposti. Pensate ai capricci
erotici di Zeus per le dee o per le donne, pensate a tutti i miti degli dei olimpici, che piacciono tanto agli psicanalisti freudiani o Jungiani, da cui spesso
traggono metafore
linguistiche
per
descrivere quello
o quell’altro complesso attinente
alla specificazione
della libido umana. Per quanto riguarda ciò di cui
stiamo parlando
questa sera, parto
da una considerazione generalissima: tutte le società organizzate si
sono strutturate
intorno all’evento
dell’eros e della
sua energia, che è un’energia primordiale, potente, metereologica, tellurica,
incontenibile, difficile da imbrigliare
con la ragione. Così presso tutte le civiltà troviamo dei riti di iniziazione che
seguono il passaggio all’età adulta, con
simboli, codici e regole atte a contenere il fiume impetuoso di questa energia
e ad incanalarlo nella vita della comunità.
Per quanto attiene l’eros c’è nella
comunità dei credenti cristiani e anche
cattolici, quello che opportunamente
qualcuno ha chiamato uno scisma silenzioso, che i pastori conoscono bene
nei confessionali, ma devo dire anche
gli psichiatri nelle loro conversazioni;
scisma silenzioso che non riguarda
solo gli adolescenti e i giovani, ma riguarda tutti, e non è legato soltanto
direi al tema della coerenza, ma riguarda una questione di carattere più
generale che non può essere affidata
esclusivamente alle labilissime forze e
ai labilissimi contorni dell’etica, cioè di
ciò che si deve fare e di ciò che non si
deve fare, di ciò che è giusto e di ciò
che è sbagliato; riguarda la legge universale
dell’amore e l’apertura
al mistero della grazia.
L’ho detto all’inizio e lo
dico nelle conclusioni:
se si incontra davvero un
amore più grande tutto è possibile; se non lo
si incontra, non ci sono
proibizioni che possano fermare nessuno. Mi
dispiace attestarmi su
una posizione che sembra così mistica e un po’
troppo spiritualistica, ma
questo è ciò che ho sperimentato in me e negli
altri: tra due persone non si forma unità d’amore se l’eros non si interiorizza.
Per controllare l’impulso sessuale non
c’è ragione, né senso del peccato, né
del limite, non c’è prudenza, né proibizione, né minaccia che tenga, proprio
perché oggi la tautologia del “perché
mi va, perché non mi va” è assoluta.
Solo nel mistero dell’incontro tra
l’uomo e Dio nel nome dell’amore, solo
lasciandoci coinvolgere da un amore più grande tutto è possibile, financo la castità per un’intera vita, come
oblazione assoluta di un dono, che ha
come orizzonte l’eterno. Ma se questo
non avviene, non sarà certo lo spauracchio di una sgridata della mamma
o la minaccia di una malattia venerea,
o la paura di una gravidanza a fermare
la sessualità degli adolescenti. E quindi oserei dire che tutto questo non può
che avvenire, lasciatemi dire una battuta che può sembrare provocatoria,
nel mistero della preghiera e dei sacramenti. Se questo non c’è, tutto il resto
mi fa un po’ sorridere.
Dalla registrazione senza la revisione dell'autore
49
Concorso:
IO IL MIO DIRITTO ALLA SALUTE LO VEDO COSI’
Edizione 2009
Promosso dall’AGE (Associazione Italiana Genitori) in collaborazione con
Network gli ospedali di Andrea. Lo scopo è stimolare la cultura del diritto alla
salute come un bene da possedere e da preservare sia nei propri confronti che nei
confronti di tutti i bambini del mondo.
La scuola dell’infanzia “Carlo Lecchio” dell’Opera di Nostra Signora Universale ha sviluppato questo argomento così importante con i bambini di cinque anni,
presentando 19 elaborati grafico-pittorici.
La Presidente di commissione, Dottoressa Liscio, il 4 novembre ci ha comunicato che siamo una scuola finalista con due bambine premiate: Alessia Mancuso
e Giorgia De Bella. Sabato 14 novembre le famiglie e la scuola hanno partecipato
alla festa di premiazione a Costa Masnaga (Lecco) in compagnia di altre scuole
di ogni ordine e grado provenienti da ogni parte d’Italia.
“L’ambulanza è buona”
L’
50
Un'esperienza di educazione alla salute per i bambini
della Scuola materna "Carlo Lecchio" di Moncalieri
Organizzazione Mondiale della
Salute (OMS), nel corso degli ultimi anni, ha affrontato con interesse sempre maggiore l’argomento
degli incidenti nei bambini: all’interno
di un documento ufficiale del 2009 ha
evidenziato come, nella regione europea, essi siano la principale causa
di morte tra gli 0 e i 19 anni1. Nello
stesso documento, l’OMS afferma che,
se le strategie preventive attualmente
conosciute fossero applicate in tutte le
regioni, il 90% degli incidenti potrebbe
essere evitato. Viene sottolineata l’importanza dell’educazione alla salute e
l’efficacia degli interventi preventivi.
Le strategie preventive analizzate dalla
commissione europea includono, oltre
agli interventi ambientali e alla regolamentazione legislativa, un’ importante sezione dedicata all’educazione dei
bambini, degli adolescenti e dei genitori. L’educazione può efficacemente au-
mentare l’utilizzo di pratiche sicure da
parte dei soggetti a rischio, soprattutto
quando iniziata e continuata in età precoce2. È stato provato infatti come la
prima infanzia rappresenti un momento cruciale per lo sviluppo cognitivo del
bambino, che, con gli adeguati stimoli
e le giuste esperienze, è pronto a capire molto del mondo che lo circonda3. In
questa fascia di età, in cui non è ancora
stata acquisita la capacità di leggere e
scrivere, i bambini imparano ad utilizzare i simboli per rappresentare concetti astratti: il camice bianco indica indifferentemente medico o infermiere, il
cuore indica l’amore e l’affetto, la casa
diventa il simbolo della famiglia4.
Su questi presupposti, attraverso
un progetto elaborato da tre Infermieri,
un pedagogista e uno psicologo dello
sviluppo, è stato progettato e realizzato un intervento educativo per la prevenzione dei rischi domestici, rivolto
1 WHO Regional Office for Europe. European Report on Child Injury Prevention. Copenhagen 2009. (pag 3)
2 Kendrick D, Coupland C, Mulvaney C, et al. Home safety education and provision of safety equipment for
injury prevention. Cochrane Database Syst Rev 2007:CD005014.
3 Schooley CB, Kelly AR. Home hazards: can children recognize the dangers? J Trauma Nurs 2008;15:131-5.
4 Quaglia R, Saglione G. Il disegno della classe. - Torino : Bollati Boringhieri, 1990. (Coll.: C/849)
a bambini dai 4 ai 5 anni, all’interno
della scuola materna. Obiettivo: fornire
ai bambini un intervento educativo finalizzato al riconoscimento precoce di
situazioni di pericolo a cui più frequentemente sono esposti.
L’intervento è stato condotto in due
diverse sessioni distanziate per permettere loro di elaborare l’esperienza
vissuta. L’incontro è stato sviluppato
secondo le seguenti coordinate metodologiche:
• proposta di disegni molto semplici
con immagini chiave che riproducessero le situazioni di rischio e di pericolo
più frequenti: una pentola con acqua
bollente in cucina, la caduta durante
una corsa, l’ingestione di farmaci e detersivi, l’ustione con i più comuni agenti termici (fuoco, ferro da stiro);
• racconto di una fiaba a supporto
dei disegni presentati per una maggiore comprensione e identificazione del
bambino;
• utilizzazione di un abbigliamento
specifico come strumento di stimolo
per catalizzare l’attenzione dei bambini (abiti civili, camice bianco e divisa
del 118);
• simulazione delle situazioni di pericolo narrate da parte dei formatori
con utilizzo di oggetti rappresentativi;
• simulazione effettuata dai bambini
dei comportamenti da adottare in caso
di caduta, di piccola ustione e soffocamento.
Nel secondo incontro:
• esplicitazione del concetto di medicazione di una ferita e relativa simulazione di gruppo e individuale da parte di tutti i bambini;
• chiamata dei soccorsi (quando è
opportuno farlo, perché e come);
• visita di un’ambulanza all’interno
del cortile della scuola, come momento ludico-ricreativo (ai bambini viene
fornita un’immagine positiva dell’ambulanza permettendo loro di visitare il
suo interno e di simulare interpretando
i diversi ruoli dei professionisti, quello
che succede durante un servizio).
Le maestre al termine di ogni incontro, hanno proposto ai bambini di
rappresentare le emozioni vissute durante l’incontro attraverso un disegno
libero.
A coronamento di questa intensa
esperienza di apprendimento ad ogni
bambino viene consegnato un diplomino di “primo soccorritore”.
L’esperienza formativa è stata davvero molto interessante. I bambini in
questa fascia di età sono facilmente
impressionabili (in senso positivo) e,
così come riscontrato in letteratura,
memorizzano molti concetti in modo
estremamente efficace quanto più hanno potuto concretizzarli attraverso un
apprendimento esperienziale. Sebbene
non siano ancora stati misurati i risultati in termini di apprendimento nel
medio-lungo termine il riscontro ottenuto al termine degli incontri e, successivamente, dai feed back dei genitori,
dimostrano una qualità percepita dell’evento molto elevata. Inoltre sarebbe
interessante (e si sta già costruendo il
progetto) promuovere lo stesso progetto di educazione alla salute – con obiettivi modificati ad hoc – ai genitori e ai
nonni dei bambini che sono coloro che
si trovano a gestire in prima persona le
situazioni di pericolo dei bambini.
Dott. Riccardo Sperlinga
51
Don Andrea Scrimaglia
Sorella Flora, insegnaci la strada
per giungere al Cielo con Te
2 luglio 1939 – 19 settembre 2009
Ti rendo grazie, Signore della vita, perchè ora mi allieti
con lo splendore della tua luce.
Nella Santa Messa di domenica 14 novembre, abbiamo ricordato con affetto e riconoscenza
i nostri cari che ci hanno lasciati:
- la Direttrice Lina Prosa,
- Padre Giacomo Fissore,
- le Sorelle Educatrici Apostole dell’Opera di Nostra Signora Universale,
- il Prof. Luigi Sacchetti, gli Aggregati, gli Amici e le Amiche dell’Opera
che - speriamo - già fanno corona alla Madonna con Flora in Paradiso, e pregano
per noi. In particolare, quelli che sono tornati quest’anno alla Casa del Padre:
52
ACCORNERO Giuseppe
ARCAINI
Berardo
ARIOLI
Raffaella
BELTRAME
Giorgio
BIASOTTO
Pietro
BORIN
Regina
CALDERONI Donatella
CALDERONI Giannina
CAPPON
Patrizia
CARDETTI
Stefano
CARLESSO
Bruna ved. Tres
COPPOLA
Raffaellina
DARDANELLOGiovanni
DE ROSA Padre Luca O.F.M.
DOGLIERO Gino
DURANDO Onorina
FARINELLA Franco
FERRO Giuseppina in Boattin
FORMICA
Michela
FUNGINELLI Luisa
GALLO
Vincenzo
GATTO
Germana
GILI
Antonietta
IDROGO
Hector
MAMMONE Franco
MANFRINATI Luigina ved. Nicastri
MARINA
Giuseppe e Silvia
MARIOTTO Gino
MARRESE Filomena
MARZOLA
Francesco
MERCHIORI William Italo
MOLINARI
Patrizia in Grasso
MONTIN
Ardiccio
MONTORIO Giuseppe
MUSCARDINI Romano
NAVONE
Cesare
NOVO
Rosina
ODDENINO Ilario
OLIVERO
Gabriele
PELLITTERI Francesco
PENNINI
Adonilia
RE
Francesco ROLANDO Irene in Doglietto
ROSSI
Berardo
SACCHETTI Giuseppe
SCABBIA
Italo
SCRIMAGLIA Don Andreino
SPAGNUOLO Maria
STRADELLA GORGERINO Teresa
SUOR
Emerenziana
TUMIATI
Lea ved. Piva
VASI
Maria
VERRONE
Carlo
VIGLIETTI
Teresa
ZAMPESE
Giuseppe
ZERBINI
Giulio
Accogli fra le tue braccia, o Signore, i nostri fratelli che ci hanno lasciato.
“A
ndreino Carluccio” nasce il 2
luglio 1939 a Tonengo, frazione
del comune di Mazze’ (TO). Entra nella Famiglia dei Tommasini come
aspirante al sacerdozio il 30 settembre
1950. Terminato il curriculum formativo, viene ordinato
sacerdote il 20 giugno 1964 da Mons.
Stefano Felicissimo Tinivella, Vescovo Coadiutore
dell’archidiocesi di
Torino, nella chiesa
grande della Piccola Casa della Divina
Provvidenza insieme a don MICHELE BRUNO e don
SILVIO ODDONO,
pure ex Tommasini. Riceve la zimarra – il soprabito caratteristico, un
tempo, dei sacerdoti cottolenghini, con
la mantellina a tre punte - il 22 giugno
1965 nella stanza del Santo Fondatore.
Non entra a far parte della Società dei
Sacerdoti Cottolenghini, recentemente
(29 aprile 1969) costituita dalla Santa
Sede, ma resta a servizio della Piccola Casa, prima nella Casa madre e dal
1984 come responsabile del servizio e
dell’assistenza religiosa nella Succursale di Viu’ (TO), incarico quest’ultimo
che conservò fino al termine della sua
vita.
Da circa un anno era sofferente e doveva sottoporsi a cicli periodici di cure,
senza tuttavia mai tralasciare il suo
ministero, particolarmente quello delle
confessioni: oltre
alle Suore e alle
Ospiti della Casa
quanti
pellegrinaggi come confessore! Alla Casa
Assunta e alla Villa Mayor di Moncalieri; all’Istituto
Flora, prima nella
sede centrale poi
a Testona ai ragazzi della scuola
primaria e secondaria durante il
periodo scolastico; prima viaggiando autonomamente
e negli ultimi anni accompagnato da
Armando, il fedelissimo cognato, e recentemente da generosi volontari. E
mai ha tralasciato la celebrazione Eucaristica nelle frazioni della parrocchia
di Viù. E’ stato anche amministratore
parrocchiale ad Usseglio, per un periodo di otto mesi, rifiutando la nomina a
parroco. In seguito a una acuta insufficienza respiratoria, trasportato d’urgenza all’Ospedale di Ciriè lunedì 7 set-
53
54
tembre, trasferito nel reparto S. Pietro
dell’Ospedale Cottolengo mercoledì
9, qui lunedì 14 settembre ha ricevuto
l’Unzione dei malati e sabato 19 è stato chiamato dal Signore, mentre gli era
accanto il caro cognato, che durante la
degenza lo aveva fraternamente assistito, giorno e notte.
Papa Benedetto XVI ricorda queste
parole del Santo Curato d’Ars: “Tutte le
buone opere riunite non equivalgono
al sacrificio della Messa, perché quelle
sono opere di uomini, mentre la Santa
Messa è opera di Dio” e aggiunge: “dal
Santo Curato d’Ars noi sacerdoti possiamo imparare un’inesauribile fiducia
nel sacramento della Penitenza che ci
spinga a rimetterlo al centro delle nostre preoccupazioni pastorali...” (Lettera d’indizione dell’anno sacerdotale).
Piuttosto riservato, silenzioso, generoso, infaticabile nel suo ministero, don
Andrea è certamente stato il sacerdote
della Messa (quante ne ha celebrate!!!)
e della confessione (quanti e quante
penitenti, che ora non mancheranno
di pregare per Lui!). Certo un esempio
per i sacerdoti, in questo anno a loro
dedicato. Grazie don Andrea
Torino, 19 settembre 2009
Da "La Voce del Popolo"
I nostri ragazzi/e della Scuola Primaria e Secondaria di I° grado, non
avendo potuto quel giorno partecipare
al funerale di Don Andrea Scrimaglia,
hanno espresso con la preghiera affetto,
stima e riconoscenza per questo sacerdote che li ha seguiti molti anni e che
ha segnato in maniera particolarmente edificante la loro vita di adolescenti.
Ecco alcune testimonianze:
Don Andrea, ci mancherai molto.
Grazie a te abbiamo imparato molte
cose, ad esempio a rispettare il prossimo come noi stessi vorremmo essere
rispettati.
Ti chiedo anche un grosso favore: di
salutare da parte mia e della mia famiglia tutti i nostri cari e di mandar loro
un grosso bacione. Grazie! Ci mancherai. Davide
Caro Don Andrea, io non ti conosco
molto bene, però sono venuta molte
volte a confessarmi da te e devo dire
che mi hai aiutato molto. Non so che
cosa dire, quando mi hanno dato la notizia ho subito pensato che era davvero
un peccato... Per i pochi giorni che ti ho
conosciuto, mi ha fatto piacere vederti.
Margherita.
Caro Don Andrea, questo giorno per
noi è triste, ma forse per te no perché
sei in un posto bellissimo, dove anche
io, da vecchia e un po’ rimbambita, vorrei andare; sei stato con noi sempre,
anche nei momenti difficili. Sarai sempre nei nostri cuori, oggi e per sempre,
e comunque, anche se non ti vediamo,
siamo sicuri che ci aiuterai ancora. Vivi
sereno e felice e salutaci anche Gesù
da lassù. Miranda.
Caro Don Andrea, Ti ringrazio per
avermi ascoltato in tutti questi anni.
Grazie per avermi dato dei consigli che
per me sono stati come trovare una
perla preziosa!!
Mi dispiace molto che tu sia dovuto
andartene, ma sono sicura che lassù
vicino a Gesù sarai felice. Ora mi sarà
un po’ difficile confessare tutte le cose,
nello stesso modo, come le dicevo a
te...pazienza!! ciao… Ludovica
Caro Don Andrea, in questi anni ci
hai sempre aiutato e ci hai dato conforto quando ci venivi a trovare. Noi
continueremo a pregare per te e siamo
sicuri che ci aiuterai sempre da lassù.
Veglia sempre su di noi. Samuele.
Voglio ringraziarti per tutte le volte,
anche quando non stavi molto bene,
che sei venuto per aiutarci e darci qualche buon consiglio. Grazie per la tua
volontà a insegnarci che Dio, anche nei
momenti più difficili, ci vuole sempre
bene. Grazie. Alessandro.
Don Andrea era un grand’uomo e lo
voglio ringraziare per tutti questi anni
che abbiamo passato insieme. E’ lui
che il primo giovedì del mese ci veniva
a confessare e ci aiutava nei momenti di difficoltà. Aveva un’anima pacata, gentile e sincera e noi lo amavamo
molto. Alessandro.
Io penso di dover ringraziare Don
Andrea perché in tutti questi anni ci ha
dato la possibilità di poterci confessare
e ci ha quindi dato il dono più grande: il
perdono. Adesso che non c’è piu chiedo a Dio di riservare per lui un po’ di
tanta cura che lui ha dato a noi. Grazie!
Ilaria.
Grazie per tutto ciò che hai fatto per
noi, per averci ascoltati e compresi, aiutati a non sbagliare. Grazie, perché con
le tue parole ci hai avvicinati a Dio, ci
hai mostrato il male delle nostre azioni, per evitare che peccassimo ancora.
Grazie, per la pazienza che avevi nell’ascoltarci e per la capacità di capire
tutti i nostri problemi, grandi e piccoli.
Grazie, per l’importanza del tuo ruolo
nella nostra vita. Grazie, per l’angelo
che sarai, perché ci guiderai per sempre nella nostra vita. Grazie, per quel
che sei stato e per quel che sarai per
sempre nei nostri ricordi. Francesca.
Don Andrea veniva sempre a confessarci ogni giovedì, lui ascoltava silenzioso le nostre preghiere, le nostre
paure e ci aiutava a capire i nostri sbagli. Era sempre molto buono con tutti
e, nonostante i suoi problemi di salute,
cercava sempre di rendersi utile e con
le sue opere infondeva gioia nei cuori
dei bisognosi. Aiutava ognuno a credere in se stesso. Perdonava tutti e ora
che non c’è più perché il Signore lo ha
chiamato, noi abbiamo un angelo che
da lassù ci aiuterà a trovare la strada
giusta. Cristina.
Quando Don Andrea mi confessava,
ero ansiosa di dirgli le mie colpe. Era
bello parlare con lui, spesso mi dava
consigli su come affrontare una certa
situazione. Grazie Don Andrea, mi hai
fatto capire cosa è giusto o sbagliato;
sei stato un grande riferimento per me
e spero che da lassù pensi a noi come
quando eri qui. Alessandra
55
Il Preside Sacchetti
26 giugno 1917 – 12 settembre 2009
S
56
ono onorato di rivolgerti qui, l’ultimo saluto sia per l’amicizia e la
stima intercorse fra noi, sia perché
mi è consentito di ricordarti come maestro di una delle maggiori discipline del
sapere umano, la pedagogia o scienza
dell’educazione.
Ho avuto il privilegio di conoscerti
alla Scuola dell’Istituto Flora, fondato dalla Venerabile Flora Manfrinati, e
di collaborare con te per l’educazione
e l’istruzione dei giovani, ai quali hai
sempre indicato, con totale dedizione,
la via del sapere, con le sue regole, ma
hai dato ad essi anche e soprattutto la
giusta comprensione umana.
Eravamo riuniti in un Consiglio di
Classe, di data remota, e fra le altre
cose ricordo che tu dicesti: “Quando i
giovani saranno cresciuti, ricorderanno
i propri Insegnanti non per quella regola o quel teorema, ma per l’aiuto e
la comprensione ricevuta nei momenti
difficili della loro adolescenza”.
L’Insegnante è colui che insegna,
che lascia il segno, dicesti. E si capiva
che era il segno del sapere che si perfeziona e si rigenera con l’esperienza; e
si capiva che era il segno dell’esempio,
qualità fondamentale dell’educatore.
Con la tua dipartita, perdiamo sì un
autorevole testimone di quel metodo e
di quel pensiero, che hanno reso grande la Scuola, ma siamo certi che quelle
tue strade non possono essere dimenticate e torneranno ad essere percorse.
Così, in linea con il tuo testamento,
facendone oggetto della mia riflessione, continuo a ripetermi: “Cerchiamo
di stare vicino ai giovani il maggior
tempo possibile e non stanchiamoci
vamo con applausi scroscianti e
qualche lacrima di commozione...
Grazie Signor Preside, anche se in questo momento ci sentiamo tutti un po’
più soli, però grazie di cuore!” Ilaria
“Caro professor Giuseppe, con tanto
affetto porto nel mio cuore il suo sorriso
e la sua simpatia. Lei ha segnato una tappa fondamentale nella vita di tutte noi.
Sono una ex-allieva e la ricordo prima
di tutto come maestro di vita, prima
che come insegnante di pedagogia
e di psicologia. Già! La sua era una
materia importante e basilare per noi
future maestre, ma al di là delle nozioni, della storia e della vita di filosofi e
pedagogisti, Lei ha insegnato a tutte
noi l’arte di amare i bambini, di
amare il nostro lavoro di educatrici,
di amare la vita! Il suo ricordo sarà
sempre nei nostri cuori...” Giovanna
Il Dottor Navone …
mai di accompagnarli, preparandoli
per il tempo in cui, da soli, affronteranno i problemi della vita”.
Grazie, signor Preside, grazie, amico
Giuseppe, per quello che ci hai lasciato! Eri un punto di riferimento per noi;
ora sei un esempio da seguire, mentre
immutato permane nel nostro cuore il
tuo ricordo.
Prof. Nicola Marrese
Così le allieve del Flora lo ricordano:
“La fede non ci toglie il dolore, la
fede ci conserva il dolore, però ce lo
illumina, ci dà un significato diverso. Illuminare vuol dire che ci fa vedere nel dolore non una situazione
opprimente ma una situazione che
va rivista nel ciclo di tutta una vita.”
Sono sue queste parole Signor Preside e io, dopo circa vent’anni le tengo
ancora custodite nel diario dell’epoca.
Nel suo saluto di fine anno c’erano sempre parole di incoraggiamento, di fiducia, di speranza nella vita per noi allieve.
Il suo esempio e le sue parole ci
scaldavano il cuore e noi ricambia-
Il Dott. Cesare Navone scomparso l’8 giugno 2009 è stato per l'Opera
una persona speciale, dottore di quelli che sapevano veramente curare, non solo il corpo, ma dare un senso anche alla vita, alla malattia e
alla morte. Aveva sempre per ciascuna una parola legata al Vangelo,
che quotidianamente ascoltava e viveva nella sua missione con i malati: ogni mattina era fedele al suo appuntamento alla Consolata.
Ha lasciato in tutti il vivo desiderio di spendere bene la propria vita, a
servizio degli altri, cercando la Verità.
Il saluto dei famigliari e degli amici nel triste giorno del commiato:
C
on gli occhi pieni di lacrime e con
un vuoto nel cuore incolmabile,
stiamo accompagnando papà da
Te, Signore.
Torniamo insieme a Riva, torniamo
a casa con lui, torniamo qui da dov’è
cominciato tutto tanti anni fa.
Da piccolo Ti è stato affidato e oggi,
guardando a ritroso, siamo certi che
da allora sei stato il suo grande amore,
l’amore di tutta una vita. Ti ha cercato
ogni momento, ti ha chiesto consiglio
su tutto, si è abbandonato in Te per lasciarsi cullare, ha permesso solo a Te
di scegliere per lui. Con il Tuo aiuto e
dedicandoTi tanti pensieri – certo che
eri al suo fianco – ha continuato a migliorarsi ogni giorno per poter capire
le persone, per poterle aiutare in ogni
momento, per regalare agli altri quella
gioia di vivere e quella serenità che riceveva da Te.
Non sappiamo da dove cominciare per raccontarlo: nel suo cuore ogni
cosa è stata vissuta con coerenza, con
il coraggio di chi non fa mai un passo
indietro, con la forza di chi sa prendere
per mano chiunque, senza preferenze
o pregiudizi.
Per tutti è stato il medico che ha
curato il corpo e l’anima, che ha confortato la disperazione, che ha parlato
di un altro viaggio – quello verso di Te
– ai suoi malati che non vedevano più
la speranza.
Per la mamma è stato lo sposo di
57
58
una vita, è stato il compagno fedele
e devoto, pronto a condividere tutto,
pronto a confermarsi ogni giorno in
quel sì del 1964.
Come papà è stato unico: piccole in
braccio a lui, pendevamo dalle sue labbra ascoltando le avventure del lupo che
lui aveva inventato per noi. Crescendo
ci ha guidate passo passo nelle scelte;
poi, quando è venuto il momento, ci ha
lasciate andare, aspettandoci tutte le
sere a casa, grato e felice di abbracciarci e ascoltare il resoconto delle nostre
giornate. Oggi l’emozione ci permette
solo di dirTi che non sappiamo come
fare a meno di lui.
Signore, ascolta le voci di tutti noi
che Ti chiediamo di aprirgli le porte del
Cielo. Signore, spalanca le braccia, corrigli incontro, riportalo a casa questa
sera insieme a Te per sempre.
Caro papà,
avremo ancora così tante cose da
dire a te e su di te, ma non ci riusciamo.
Sono passate solo poche ore, concitate
e frenetiche, e oltre a una sensazione
di irrealtà, proviamo solo un grande
vuoto dentro, ci manchi già tantissimo:
ci manca il rumore del tuo respiro nel
sonno, ci manca la tua tosse da fumatore incallito, il suono della tua voce.
Vorremmo abbracciare ancora le tue
spalle ossute, fragili come quelle di un
uccellino, sentire le tue dita che tamburellano sul tavolo di cucina, ascoltare
la musichetta che mormori piano nella
stanza a fianco.
Sei stato una persona speciale e ci
hai insegnato tante cose.
Sei sempre stato orgoglioso delle tue origini umili, dei tuoi genitori e
dei valori che ti hanno trasmesso; hai
amato appassionatamente la tua professione e tutti i pazienti e gli amici
che hanno chiesto il tuo aiuto. Sapevi
partecipare profondamente, ma senza
ostentazione, delle emozioni di quanti
si confidavano con te e gioivi nel rendere gli altri partecipi della tua vita.
Sei stato un uomo coraggioso, che
ha sempre lottato contro i propri limiti,
un uomo così forte da saper accettare
con umiltà anche le fragilità e le limitazioni che l’età e i problemi di salute
ti imponevano. In una famiglia di sole
donne, e donne “guerriere” per di più,
come amavi definirci tu, hai sempre
fatto da mediatore a volte con l’autorevolezza di un ragionamento, ma più
spesso con umorismo, con il sorriso o
con la tua gentilezza.
Amavi definirti un “vecchio medico
dai capelli bianchi” ma sappi che solo
il colore dei tuoi capelli e i tuoi modi
da gentiluomo d’altri tempi potevano
tradire la tua vera età. Perché tu sei un
uomo dal cuore ancora puro, capace
di meravigliarsi per l’erba che nasce e
per l’infinita varietà di colore dei fiori,
di gioire per il rumore della pioggia nel
prato come di un profumo proveniente
dalla cucina. Un uomo capace di scrivere oggi lettere d’amore alla donna
che è tua moglie da 45 anni.
Hai vissuto come un dono divino
tutta la tua vita, hai saputo accettare
il dolore senza lamentarti e rallegrarti
sia per una fotografia riuscita bene così
come per la gioia immensa per la nascita inattesa del tuo nipotino Gabriele,
cui mancheranno le favole, i racconti
fantastici e i ricordi lontani che gli avresti narrato tu.
Ci hai insegnato ad amare la lettura
e gli amici, a trovare in ciascuno qualcosa di buono, perché “nessuno conosce la croce segreta degli altri”. Ci hai
detto di aspirare alla perfezione, ma
ti sei congratulato con noi per i nostri
sforzi imperfetti. Niente è stato mai banale con te, tu hai dipinto per noi un
mondo di speranza e di fiducia in Dio e
nel prossimo.
Scusaci per averti spesso deluso,
per tutte le cose che non ti abbiamo
chiesto e che non riusciremo più a domandarti, per i nostri gesti frettolosi,
per i modi bruschi. Scusaci se abbiamo
data per scontata la tua presenza al nostro fianco, sempre.
Quando anni fa hai deciso di tentare
un intervento difficile per la tua vita, ti
sei ripromesso che, se ce l’avessi fatta,
saresti diventato un uomo migliore. E
hai mantenuto la tua promessa, allenandoti in tarda età a lottare quotidianamente nell’esercizio della pazienza,
della tolleranza, dell’accettazione. Solo
l’altro ieri all’ospedale hai detto a noi
e all’infermiera che voleva costringerti
a letto contro la tua volontà: “Vi ringrazio comunque perché so che lo fate
con buone intenzioni”.
Adesso siamo noi a volerti promettere che cercheremo come te e da oggi
di migliorarci, vivendo in armonia nonostante i nostri caratteri “guerrieri”,
come li definivi tu.
Cercheremo di occuparci al meglio
di mamma, come tu hai fatto finora.
La cosa più difficile è lasciarti andare. Con gli occhi pieni di te, certi che
niente potrà strapparti dalla nostra anima finchè vivremo, ti salutiamo.
Continua la tua avventura, Lupo Caì,
e come nelle favole che inventavi per
noi da bambine, corri negli immensi
spazi che ora ti si spalancano dinnanzi.
Ti vogliamo tanto bene. Ciao papino.
Le tue bambine.
Caro Cesare,
nelle occasioni speciali non può
mancare la presenza degli amici, di
quegli amici che un giorno lontano hai
eletto ad abitanti del tuo cuore e da allora hai accompagnato con la tua presenza fedele, discreta, sempre attenta
e premurosa.
La maggior parte di noi ti ha conosciuto come medico, straordinario per
competenza e dedizione, ma tutti, indistintamente, ti abbiamo voluto bene
come uomo, perché è stata soprattutto la tua eccezionale umanità a tenerci
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compagnia, nei giorni luminosi della
festa e della vita così come in quelli bui
e sofferti delle nostre malattie.
In questi anni ci hai scritto tante lettere, con quella vecchia Olivetti sempre
pronta nel tuo studio… Oggi te ne inviamo una noi, breve, perché il cuore
gonfio e gli occhi carichi di lacrime non
permettono molto…
Vogliamo dirti che sentiremo la tua
mancanza, perché non è facile rinunciare agli angeli che il Signore ci regala
di incontrare lungo il cammino… E tu
sei stato uno di questi … Soprattutto
vogliamo dirti grazie per quanto hai
fatto per ognuno di noi. La tua bontà
ha scritto pagine intere della nostra
storia che noi non possiamo dimenticare e che il Signore saprà riconoscerti,
secondo la misura infinita della Sua generosità, che da lassù tu comprenderai
in pienezza.
Sappiamo, tu ce l’hai ricordato tante volte, che le persone amate non si
perdono. Rimangono vive nell’abbraccio di Dio e in quella misteriosa comunione dei santi – ai quali appartieni a
buon diritto – che continuerà a tenerci
legati.
Mancheranno la consolazione dell’incontrarti e la gioia del vederti, ma
tutte le volte che ne avremo bisogno,
ti potremo trovare in quell’angolo del
cuore dove tu un giorno hai scolpito:
“sei mio amico!”
Ciao Cesare, vivi in Dio e veglia su
di noi.
Con tanto bene
I tuoi amici
Ti ringraziamo, Padre, per averci
donato un uomo come Cesare, che ha
dimostrato come la propria realizza-
zione dipenda dalla capacità di donare
se stessi a favore del prossimo. Egli lo
ha saputo fare sia all’interno della sua
famiglia, come figlio, fratello, marito,
padre, nonno, zio premuroso e amatissimo, sia all’esterno di essa, come
medico che si prendeva cura non di
corpi ma di persone, nella loro unità e
complessità.
Nei tanti anni di esercizio della sua
professione, ha curato famigliari, amici,
conoscenti, giovani, anziani, sacerdoti,
religiosi, persone semplici, intellettuali,
politici, credenti, atei, ricchi, poveri, tenendo conto delle condizioni cliniche e
soprattutto umane di ciascuno. La sua
fede rocciosa lo spingeva a occuparsi
anche della dimensione spirituale e religiosa dei suoi pazienti. Quelli che non
potevano beneficiare di un ritorno alla
salute fisica, beneficiavano comunque
delle sue parole di conforto e di speranza in una vita ultraterrena. Alcuni,
spinti dalle sue esortazioni, hanno abbracciato la fede cristiana sul letto di
morte.
Ti ringraziamo, Padre, per averci
donato un uomo come Cesare, uomo
di scienza e di fede, che ha dimostrato come lo studio, il sapere e la cultura non soltanto non si oppongono alla
fede, ma possono alimentarla e farla
riscoprire a un livello più profondo.
Egli lo ha saputo fare, unendo natura e
grazia, mondo e Chiesa, azione e contemplazione, amore alla terra e amore
al Cielo, impegno nel lavoro e impegno
per il Regno di Dio.
Ora lo affidiamo a Te, Padre.
Ti chiediamo di perdonare i suoi
peccati e di chiamarlo alla comunione
con Te, che sei la pienezza della vita
senza fine, che sei la Vita Eterna.
Drinn…. Drinn… Pronto?
Istituto Flora, buongiorno!
E
ra questo, con voce sonante, il saluto del nostro carissimo sig. Accornero Giuseppe, Aggregato dell’Opera di Nostra Signora Universale e
fedelissimo “portinaio”, quando al telefono giungeva una telefonata. Con la
sua risonante “carica”, infatti, portava
la voce dell’Istituto, suono rassicurante e sicuro.
Da circa 16 anni infatti, la nostra
portineria risuonava della sua cordiale
voce, rafforzata dal desiderio di rassicurare chiunque fosse dall’altra parte del
ricevitore. Informazioni scolastiche, ricerca di Sorelle Educatrici Apostole (lui
chiamava ognuna di noi “signorina”),
…. qualsiasi richiesta per il signor Accornero era un obbligo morale, da soddisfare con la più ampia cortesia di cui
era signore.
Non era mai tempo di tornare a
casa, non stava a guardare l’orario e la
fine del suo turno per andare finalmente a fare “le sue cose”…. No, qui era
come in famiglia.
Non c’era lavoro per lui non idoneo:
dal pulire i marciapiedi al raccogliere le
foglie in giardino, dal rifare e aggiornare l’elenco telefonico a fare il corriere,
(per tutte le commissioni, soprattutto
le più spicciole… “signor Accornero,
per favore, farebbe un salto dal macellaio, dal panettiere, alla posta”, ecc.),
dal controllare l’acqua e l’olio delle nostre automobili al piegare i volantini,
dallo svolgere lavori di segreteria all’accogliere Commissari d’esame, al fare
tanti lavori di fatica.
Negli ultimi tempi però la sua salute
si è fatta sempre più precaria.
Non si lamentava mai, ma cercava
soprattutto di essere utile agli altri, di
fare un piacere quando poteva, di rendersi disponibile a qualsiasi richiesta.
E quando la giornata sembrava procedere più pesante o più caotica del
solito, andava in Cappella e si inginocchiava davanti al Tabernacolo, Porto sicuro di ogni difficoltà, Amore infinito al
di là delle nostre piccole croci.
Amava la vita nella sua complessità
sociale, morale, politica, religiosa. Partecipava, anche dalla portineria, agli
eventi più rilevanti dell’Opera, alle Celebrazioni più importanti.
Riceveva tutti col sorriso sulle labbra, era proprio il “custode” che la
Madonna aveva scelto per la sua casa
e per far sentire tangibili le sue parole: “La Madonna accoglie chi entra e accompagna chi esce”.
Per tutta questa amicizia vissuta
nella Casa di Flora e della Madonna,
grazie di cuore, sig. Accornero! Quando giungeremo alle porte del Paradiso,
ci aprirà con la sua solita premura e
cordialità! E sarà una festa eterna.
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È Lei che intercede ...
Torino, 21 dicembre 2008
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Il 15 dicembre 2008, alle 15,30, mi
trovavo sulle strisce di Via Principe
Tommaso in prossimità dell’incrocio
con Via Cesare Lombroso, in Torino,
quando ho visto venirmi addosso una
potente macchina (un fuoristrada) che,
provenendo da Via C. Lombroso, è
svoltata a sinistra in Via Principe Tommaso. La visione e l’urto violento sono
stati istantanei.
La signora alla guida del veicolo ha
dichiarato di non avermi vista, poiché,
per svoltare a sinistra, guardava solo
alla sua destra, se la strada era libera.
Porto sempre con me l’immagine
della Venerabile Flora, che sempre invoco, e Flora mi ha soccorsa e salvata.
Nell’urto sono stata gettata violentemente a terra, colpita di lato dal fronte della vettura.
Ricordo che sono rotolata sull’asfalto e che ho battuto per tre volte il capo
violentemente sull’asfalto. Come per
miracolo mi sono alzata, il capo sanguinava copiosamente, ma non avevo
fratture, né commozione celebrale.
Al Pronto Soccorso del Mauriziano,
dopo le prime medicazioni, sono stata
sottoposta alla TAC, che ha messo in
evidenza un trauma cranico non commotivo.
Sono una miracolata di Flora Manfrinati.
A Lei la mia commovente riconoscenza e la preghiera di proteggermi
ancora.
Ricci Maria Emma
Grazie, Flora, della tua
costante intercessione per noi
Sono una mamma che sente molto
vicina a sé Flora e la prego tutti i giorni,
perché in Lei trovo veramente la pace
e la soluzione di tanti problemi in famiglia.
A Lei devo attribuire le tante grazie
che concede a me e alla mia famiglia.
Grazie alla sua potente intercessione presso il Signore, venerdì 4 aprile
2008 ho ricevuto una grande grazia per
la mia incolumità e quella di mia figlia.
Viaggiavo sulla strada provinciale che
da Chivasso porta a Caluso, in direzione Caluso. In senso opposto veniva
verso di me una macchina che, improvvisamente ha occupato la nostra corsia
a grande velocità, senza accennare a
ritornare nella sua carreggiata; solo a
pochi metri dalla nostra automobile,
mentre già sterzavo, ma non troppo,
perché sarei finita dentro un fosso, ha
deviato, ritornando nella sua corsia.
Per una frazione di secondo è stato evitato un frontale a grande velocità.
Il conducente di quell’auto, senza
rallentare, ha continuato la sua corsa.
Io e mia figlia eravamo ferme e tremanti per lo spavento nella nostra
macchina, che ero riuscita a bloccare
sull’orlo del fosso. Immediatamente ho
ringraziato Flora, la cui immagine, sul
cruscotto della macchina, ci dice che è
lì per guardarci e per proteggerci.
Di tutto e per sempre, grazie Flora!
B. G.
PREGHIERA
Padre santo e misericordioso,
tu hai rivelato alla nostra sorella Flora Manfrinati
la speranza che germoglia dalla croce
e l’hai sostenuta nell’unire a Cristo Crocifisso
le sue molteplici sofferenze
per dedicarsi generosamente all’apostolato.
Per intercessione della Vergine Maria,
invocata come Nostra Signora Universale,
effondi su di noi
l’abbondanza dei doni
dello Spirito Santo
perché ci sia dato
di amare il nascondimento
operoso, di cercare la sapienza
che viene dall’alto
e di riconoscere e valorizzare
la dignità della donna
nella famiglia, nella società
e nella Chiesa.
Concedi a noi la grazia
di veder esaudite
le preghiere che
ti rivolgiamo
e la gioia di poter
onorare la nostra
sorella Flora
nella schiera dei Beati.
Per Cristo Nostro Signore.
Amen.
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Il Piccolo Gesù faccia sì
che tu possa compiere
la volontà del padre Celeste
come Egli l'ha compiuta,
nella semplicità,
nell'abbandono,
nella povertà.
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Flora Manfrinati
ISTITUTO FLORA
Via San Francesco da Paola, 42 - Torino
Tel. 011.812.55.88 - Fax 011.812.57.62
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Albero 2 semestre 2009