Volume 9, numero 29 Sommario 20.07.2014 Economia Editoriale In fuga dal Senato Olivetti, Italia Informazione Il Senato del Presidente Dittatura a norma di legge #BastaSoldiAiGiornali: la proposta M5S in Commissione Nadine Gordimer - Intervista di Peter Panton Minipost La zona franca a regime fiscale agevolato di Ragusa 5 Stelle Maroni indagato per EXPO 2015 Defranceschi, il maestro di politica L'intervento di Paola Taverna in difesa della democrazia #VotoPalese per l'autorizzazione all'arresto Galan Siamo #10milionisenza diritti di rappresentanza. Riprendiamoceli! Renzi e i ''comitatini'' Ha vinto Juncker e l'Europa dell'austerity Il M5S in UE: Morti a Gaza, l'Europa dov'è? In ricordo di Paolo e della sua scorta MoVimento L'#IncontroM5Spd sulla legge elettorale Le linee del Movimento sono quelle dei cittadini Passaparola Passaparola: Israele Palestina, nessun vincitore - di Manlio Di Stefano Politica Bradipo, rispondi! #bradiporispondi Ci vediamo giovedì Eletti e non nominati. #GrazieRenzi Ricevo la prima busta paga da onorevole. Guardo e riguardo i cedolini e non capisco niente. Scopro che il mio stipendio mensile è di 15.000 euro e che ho 150 euro di rimborso per il parrucchiere. Troppi soldi. Accenno a qualche senatore e pure a qualche deputato l'idea di proporre una decurtazione del nostro stipendio a favore delle situazioni tragiche che si stanno moltiplicando nel nostro paese. Ma è come se stessi giocando a squash. lo sport in cui si lancia la pallina contro il muro e lei ritorna a gran velocità. Se non sei un vero campione non riesci neanche a sfiorarla. Ecco, le mie parole slittano oltre le orecchie dei senatori come proiettili di gomma.Loro guardano altrove, cambiano discorso. Sul momento non capisco. Me ne renderò conto solo in seguito quando a Palermo un gruppodi giovani eletti nel MoVimento 5 Stelletratterrà dal suo stipendio solamente 2.500 euro a testa degli oltre 12.000 previsti dalla paga mensile; tutto il resto lo verserà in una cassa per sovvenzionare le piccole e medie imprese a rischio fallimento. Su quattro o cinque eletti di altri partiti presenti all'operazione, due crolleranno a terra svenuti. Penso a quante persone che conosco sbarcano il lunario con 800, 900 euro al mese, pagando affitto, luce e gas, mantenendo pure i figli eccetera.Penso ai pensionati a 450, 600 euro al mese. Penso a quell'anziana signora che ho incontrato sulla metro e ho invitato a prendere un caffè. Mi raccontava serena, come se fossi una vecchia amica, alcuni espedienti per farcela "Me la cavo bene, sa....La verdura la prendo al mercato dopo le due:buttano nel cassonetto tanta roba buona, A volte vado a mangiare dalle suore o al "Pane Quotidiano". La televisione la guardo a luce spenta, se sento dei rumori accendo una candela, mi sento più sicura. Ma a volte con la candela, se il film è un giallo, ho pure più paura, così spengo tutto, vado a letto, mi metto a pregare e mi addormento". Immaginatevi i miei 1 pensieri e il mio sincero imbarazzo davanti al mare di soldi della mia paga. Mi è venuto anche in mente di proporre un disegno di legge che dimezzi il numero di parlamentari. Certo, gente che per anni ha campato solo di politica e a qualche intrallazzetto o intrallazzone si ritroverebbe di colpo in mezzo a una strada, senza lavoro, senza vitalizio, senza i privilegi d'obbligo. Rovinati all'istante. No, all'idea di distruggere la vita a tanti colleghi, ho evitato addirittura di accennarne. Ormai ho capito che solo l'allusione a certi atti di generosità e di senso umanitario può provocare un infarto. Quindi silenzio e monologhi a gesti sui buoni sentimenti. Franca Rame, da In Fuga dal Senato Il Senato del Presidente Informazione 13.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Giornali e Tv parlano, con una certa enfasi, di “approvazione della riforma del Senato e del Titolo V”, in realtà si tratta solo del primissimo passo: l’approvazione in Commissione, dopo di che il ddl deve andare in aula (dove le cose non sono scontatissime), per passare alla Camera, quindi, dopo tre mesi, deve tornare al Senato, per poi tornare alla Camera nuovamente. Sempre che fra un passaggio e l’altro non ci scappi qualche emendamento che fa ricominciare il giro. E non è affatto escluso che non si debba tenere un referendum confermativo, visto che appare poco probabile una maggioranza dei due terzi in entrami i rami del parlamento alla votazione finale. Insomma la strada è ancora lunga. Però è fatto il primo passo, quello più importante, che definisce l’accordo Pd-Fi-Lega con il codino del Ncd (che non si capisce perché voti una cosa del genere da cui ha tutto da perdere e nulla da guadagnare). Lasciando da parte la questione del Titolo V, su cui torneremo con una riflessione specifica, la riforma prevede questi punti. Il Senato sarà composto da 95 componenti eletti dai Consigli Regionali, più cinque nominati dal Capo dello Stato e che resteranno in carica per 7 anni. Avrà competenza legislativa decisionale sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali, mentre, sulle leggi ordinarie potrà chiederne la modifica alla Camera che, però, non sarà obbligata tenerne conto, con l’unico limite delle leggi che riguardano il rapporto tra Stato e Regioni, per le quali la Camera potrà respingere la richiesta del Senato solo con voto a maggioranza assoluta. I 95 senatori saranno ripartiti tra le regioni sulla base della popolazione e saranno eletti dai Consigli Regionali con metodo proporzionale (uno per ciascuna Regione dovrà essere un sindaco). I senatori parteciperanno all’elezione del Presidente della Repubblica per il quale sarà necessaria la maggioranza del 2/3 sino alla terza votazione (come oggi), del 3/5 nelle successive quattro e della maggioranza assoluta dalla nona in poi (limite assai tenue, visto che basterebbe “mandare in bianco” tutte le votazioni a maggioranza qualificata). Cambia anche la norma sui Referendum per i quali si richiedono 800.000 firme, con un parere preventivo di ammissibilità, pronunciato dalla Corte Costituzionale dopo le prime 400.000 firme. Poco chiara la norma per la quale i quesiti pur potendo riguardare intere leggi o loro singole parti, dovranno avere “un valore normativo autonomo”. Per le proposte di legge di iniziativa popolare le firme necessarie salgono da 50.000 a 250.000, ma i regolamenti della Camera dovranno indicare tempi precisi di esame. Prime osservazioni: si conferma il disegno di sommare ad una Camera eletta senza preferenze, un Senato con legittimazione di secondo grado, il che già indica un regresso del livello di incidenza popolare sul processo decisionale. Tuttavia, la norma, per cui il parere del Senato sarà sostanzialmente ininfluente sulla legislazione ordinaria, lo definisce come un ente inutile che la Camera ignorerà sistematicamente: anche la maggioranza assoluta richiesta per respingere le richieste di revisione su leggi di interesse del rapporto Stato-regioni non è un limite reale alla volontà della Camera, perché è piuttosto difficile che una legge sia passata senza una precedente maggioranza assoluta e, comunque, la composizione maggioritaria dell’organo (con 354 seggi in mano alla maggioranza di governo) mette al sicuro da ripensamenti di sorta. Quello che, invece, definisce come dannoso questo nuovo Senato è la piena potestà legislativa sulle riforme costituzionali e le leggi costituzionali. In concreto, se la maggioranza del Senato (cioè dei consigli regionali) sarà dello stesso colore di quella della Camera, farà passare tutto senza fiatare, se, al contrario, prevarrà il colore opposto, realisticamente assisteremo ad un braccio di ferro ostruzionistico fra un contendente con legittimazione di primo grado e l’altro di secondo. In questo quadro, un peso notevole lo avranno i 5 senatori di nomina presidenziale che, sin qui rappresentavano l’1,5% dell’assemblea, mentre nel nuovo Senato peseranno per il 5,2%, che non è poco. Non ci vuole la zingara per indovinare che le nomine presidenziali dei senatori saranno sempre più “politicizzate” e monocolori, determinando la nascita di un piccolo “partito del Presidente” istituzionalmente tale. Quel che asseconda la tendenza già in atto di un Presidente sempre più interventista e sempre meno “arbitro neutrale”. E questo avrà il suo peso in particolare nei dibattiti di riforma costituzionale. Le conseguenze più pericolose riguardano l’elezione del Presidente della Repubblica e dei giudici costituzionali. Sinora la composizione del collegio elettorale per il Capo dello Stato prevedeva 630 deputati, 320 Senatori (315+ quelli a vita, lasciando da parte gli ex Presidenti) e 58 consiglieri regionali, per un totale di 1.008 grandi elettori, per cui la maggioranza assoluta era di 505. Già l’introduzione del maggioritario ha sbilanciato fortemente la partita a favore della maggioranza governativa, quello che, però, trovava un limitato contrappeso nel Senato eletto “su base regionale”, per cui la maggioranza di governo era sempre più risicata che alla Camera e nei 58 consiglieri regionali che, pure, non erano necessariamente dello stesso colore della maggioranza governativa. Nel nuovo Parlamento in seduta comune, che in totale conterebbe 725 membri (non ci sarebbero più i 58 rappresentanti delle regioni ed i senatori sarebbero fortemente ridotti) la maggioranza sarebbe di 363 voti; considerando che con l’Italicum la coalizione di maggioranza disporrebbe già di 354 seggi alla Camera, questo significa che, con il voto di 9 senatori su 95, potrebbe eleggersi il Presidente da sola (e con questo acquisirebbe ulteriori 5 voti nel Senato). Ovviamente, a condizione che il gruppo parlamentare di 2 maggioranza resti compatto e non si decomponga come è successo al Pd nel 2013. Dunque, l’elezione del Presidente sarebbe decisa sostanzialmente da una maggioranza che, con ogni probabilità, rappresenterebbe solo una minoranza degli elettori. Ancora peggio per quel che riguarda i giudici costituzionali, dove, sulla carta, ad una maggioranza di governo d’accordo con il Presidente, basterebbero solo 4 senatori per prendersi tutti i 5 giudici, che andrebbero ad affiancarsi ai 5 di nomina presidenziale. E con 10 giudici bloccati su 15, facciamo dire alla Costituzione tutto quello che ci piace. Ancora meno tranquilli lascia il fatto che nulla si dica sulla messa in stato d’accusa del Presidente: stando alla lettera del testo costituzionale che resterebbe dopo la riforma, i senatori parteciperebbero come sempre alla seduta del Parlamento in seduta comune che dovrebbe deciderlo ed, ancora una volta, alla maggioranza di governo basterebbero pochissimi voti (in questo caso 9 di provenienza regionale, visto che sarebbe molto improbabile un voto contrario al Presidente da parte di uno dei suoi 5 senatori) per decidere il deferimento del Presidente di fronte all’Alta Corte di Giustizia. Dunque, tutto spinge verso una “diarchia imperfetta” fra Palazzo Chigi ed il Quirinale. Di fatto, questa riforma, disegna una diarchia imperfetta ma consegna nelle mani della maggioranza governativa non solo Palazzo Chigi, ma anche le due principali istituzioni di controllo e garanzia: Presidente della Repubblica e Corte Costituzionale (ed ha riflessi anche per il Csm). Il che mi pare abbastanza per dire che si avvia un processo di regime. Non sono mai stato un presidenzialista ed ho sempre sostenuto la forma di governo parlamentare, ma di fronte a questa architettura di potere, constato che sarebbe meglio, decisamente molto meglio, una repubblica presidenziale, magari temperata da un Parlamento eletto con sistema proporzionale. E tutto questo, con norme che rendono sempre più difficile l’esercizio di quei pur limitati strumenti di partecipazione popolare diretta (referendum e proposte di legge di iniziativa popolare, ma sul punto torneremo). Nessun ordinamento costituzionale nel mondo democratico contiene un combinato disposto così micidiale. Siamo ancora in tempo a fermare tutto." Aldo Giannuli PS: Non è prevista la partecipazione di Beppe Grillo a manifestazioni di protesta organizzate la prossima settimana a Roma Bradipo, rispondi! #bradiporispondi Politica 13.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "A Renzie bisogna riconoscere un grande merito: è imbattibile a menare il can per l'aia dietro a un apparente decisionismo. Doveva fare sfracelli in pochi mesi (attenzione! da gennaio ha sempre usato la parola "mesi" senza concludere una fava). E' poi passato alla parola "giorni", i famosi "mille giorni" in cui dovrebbe cambiare il mondo dando così l'impressione di aver aumentato la sua velocità (attenzione! giorni sono meno di mesi se uno non ci fa caso, in realtà ha spostato l'asticella dai mesi agli anni). L'idea dell'uomo del destino che con la sua ardimentosità porta il Paese fuori dal vuoto è trasmessa anche dal suo accelerare davanti alle telecamere. Vedete come corro io... Renzie piè veloce. Il M5S ha messo alla prova la velocità di Renzie e ne ha constatato la lentezza da bradipo. Da settimane è stata data la nostra disponibilità a convergere sulla legge elettorale. Il M5S ha risposto alle richieste del Pd smpre in tempo reale, il Pd ha fatto ammuina. L'Italia, a differenza di Renzie e del notopregiudicato non può più aspettare i loro comodi discussi sempre privatamente nel "club Privè R&B". E' necessario concludere questo confronto al più presto. Per cui,se non verrà confermata una data di incontro con la nostra delegazione in settimana insieme a eventuali rilievi alle nostre risposte ne prenderemo atto e lasceremo che la trattativa si sviluppi con la benedizione del Colle tra il notopregiudicato, e forse da venerdì anche notocarcerato, e il bradipo fiorentino. Aspettiamo una risposta nelle prossime 24 ore, o, per agevolare Renzie, nei prossimi 1.440 minuti o 86.400 secondi. Scelga lui." Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio La zona franca a regime fiscale agevolato di Ragusa 5 Stelle Minipost 14.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "A Ragusa, Federico Piccitto e la sua splendida squadra, dopo aver azzerato la Tasi a tutti i cittadini, facendogli risparmiare 5 milioni di euro, rilancia oggi l'offensiva contro la crisi e propone di esentare dal pagamento della Tasi, Tari e Tosap chiunque decida di aprire un'attività commerciale nel Centro Storico Superiore della città! Non contento estende questo beneficio pure a chi decide, sempre in quell'area, di acquistare o ristrutturare casa! In pratica a Ragusa vogliono creare una sorta di "zona franca" a regime fiscale agevolato per favorire il ripopolamento e il rilancio economico di un'area dal potenziale immenso ma che ha sofferto dell'inettitudine del passato. Aria fresca, freschissima! Qualcuno dice che "non bastano le stelle per scrivere poesie", a noi però ne bastano 5 per scrivere una storia nuova, una storia in cui i siciliani si riprendono le proprie città, la propria regione, il proprio futuro. Perché col MoVimento 5 Stelle le cose succedono davvero! Nella pagina di Federico trovate tutte le iniziative che stanno portando avanti, dategli un'occhiata, i ragazzi di Ragusa sono fantastici!" Giancarlo Cancelleri, portavoce M5S in Regione Sicilia 3 Maroni indagato per EXPO 2015 Minipost 14.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Per il Movimento 5 Stelle Lombardia il presidente della regione Roberto Maroni, che ha ricevuto un avviso di garanzia dalla Procura di Busto Arsizio per "induzione indebita a dare o promettere utilità per presunte irregolarità in due contratti di collaborazione a termine su progetti per Expo", deve spiegare e chiarire già domani al Consiglio regionale la sua posizione. Se dovessero essere confermate le ipotesi di reato con un rinvio a giudizio ci aspettiamo le dimissioni immediate di Maroni; chi governa deve essere al di sopra di ogni sospetto. La Lombardia è un serraglio di scandali che imbarazza il Paese. Non abbiamo ancora dimenticato Formigoni che, ancora una volta le forze dell’ordine visitano Palazzo Lombardia gettando un’ombra inquietante sulla figura del presidente. La Lombardia di Maroni si sta dimostrando esattamente identica a quella di Formigoni." M5S Lombardia Passaparola: Israele Palestina, nessun vincitore di Manlio Di Stefano Passaparola 14.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); «Io non credo nei confini, nelle barriere, nelle bandiere. Credo che apparteniamo tutti, indipendentemente dalle latitudini e dalle longitudini, alla stessa famiglia, che è la famiglia umana.» Vittorio Arrigoni "Comprendere a fondo il conflitto israelo-palestinese significa spingersi indietro fino al 1880 circa quando, nell’Europa centrale e orientale, si espandevano le radici del sionismo. Il sionismo, movimento di risveglio nazionale ideato da Theodor Herzl, si spinse dopo la sua morte fino a ritenere che la Palestina non fosse più un luogo di semplice pellegrinaggio, ma una terra occupata da stranieri che doveva essere liberata e popolata da ebrei, superando le origini stesse della religione ebraica, che prevedono l’attesa della venuta del Messia prima di poter tornare in Palestina. La Palestina quindi non è mai stata intesa come un futuro stato laico. Questa breve introduzione è fondamentale per comprendere l’ostracismo a soluzioni di pacifica convivenza che alle comunità internazionali appaiono di buon senso ma che, nella pratica, non sono mai state ricercate. Un po’ di storia 1882 – le prime colonie: sulla spinta della nascente ideologia sionista si insediano le prime colonie di ebrei in Palestina; 1918 – occupazione britannica: la Palestina diventa una colonia inglese, i sionisti rappresentano non più del 5% della popolazione del Paese; 1948 – nascita dello Stato d’Israele: con la fine del mandato britannico in Palestina, la risoluzione 181 dell’ONU sulla spartizione della stessa e il ritiro delle truppe inglesi scoppia la prima guerra tra la componente ebraica e quella arabo-palestinese supportata da Paesi arabi confinanti. Il neonato esercito israeliano (Tzahal) ha la meglio e le forze arabe riescono ad occupare solo minime parti della Palestina (la Striscia di Gaza e la Cisgiordania). Alcune organizzazioni paramilitari ebraiche (Haganah, la Banda Stern e l’Irgun) avviano il cosiddetto “Piano Dalet”, che prevede, fra l’altro, la distruzione di villaggi palestinesi e l’espulsione degli abitanti oltre confine, aggressioni che causano la fuga di decine di migliaia di abitanti nei mesi seguenti. Il Regno Unito non sostiene il piano ma non fa nulla per impedirlo. Ricordiamo il massacro di Deir Yassin, del 9 aprile, con la guida del futuro Primo Ministro israeliano Menachem Begin; 1956 - Crisi di Suez: Francia, Regno Unito e Israele tentano l'occupazione militare del canale di Suez ai danni dell’Egitto. La crisi termina quando l'URSS minaccia di intervenire al fianco dell'Egitto e gli Stati Uniti; 1959 – nascita di Al-Fatah: si tratta di un’organizzazione politica e paramilitare palestinese, fondata da Yāser ʿArafāt, storicamente in conflitto con Hamas (organizzazione palestinese, di carattere politico, paramilitare e terrorista secondo l'Unione Europea) per il controllo dei territori palestinesi; 1963 - il Partito Ba’ath va al potere in Iraq e in Siria: tra gli obiettivi principali del Ba'ath c’è il sostegno della causa palestinese; 1964 – nascita dell’OLP: l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina è un’organizzazione politica e paramilitare, considerata dalla Lega araba la legittima "rappresentante del popolo palestinese". Il suo primo obiettivo è la "liberazione della Palestina" attraverso la lotta armata; 1967 - Guerra dei Sei giorni: è il conflitto combattuto tra Israele ed Egitto, Siria e Giordania. Rappresenta il punto di non ritorno. L’inizio di tutti i problemi attuali. Il “Settembre nero”. E’ l’inizio della vera occupazione da parte di Israele: la Siria perde le alture del Golan, l'Egitto la Striscia di Gaza, che occupava dal 1948, e la penisola del Sinai fino al canale di Suez, la Giordania la Cisgiordania e Gerusalemme Est; 1973 Guerra del Kippur: il 6 ottobre, giorno dello Yom Kippur (una delle più importanti festività ebraiche) Egitto e Siria attaccano Israele per recuperare i territori perduti 6 anni prima; tuttavia le forze israeliane sconfiggono gli avversari nel giro di tre settimane. Nel 1978, con la mediazione del presidente statunitense Jimmy Carter, si giunge alla firma del trattato di pace di Camp David tra Egitto e Israele il quale prevede la restituzione del Sinai all’Egitto, rafforzando così il controllo israeliano in Cisgiordania. L’accordo firmato con Israele costa all’Egitto l’espulsione dalla Lega araba; 1987 – 1991 - Prima Intifada: segna la prima rivolta popolare palestinese contro l’occupazione israeliana. Porta a un numero stimato di 1100 palestinesi uccisi da soldati israeliani e coloni. I palestinesi a loro volta uccidono circa 160 israeliani e altri 1000 palestinesi accusati di collaborazionismo; 1993 - Accordi di Oslo: siglati da Yāser ʿArafāt, per conto dell’OLP, e Shimon Peres, per conto dello Stato d'Israele, sono tuttora ritenuti centrali per la risoluzione del conflitto poiché sanciscono princìpi cardine come il mutuo riconoscimento e il ritiro delle forze israeliane da alcune aree della Striscia di Gaza e della Cisgiordania; inoltre affermano il diritto palestinese all'autogoverno attraverso la creazione dell'Autorità Nazionale Palestinese; 2000 - 2005 - Seconda Intifada: è la seconda rivolta palestinese. Stando alla versione araba è esplosa il 28 settembre, per colpa della visita, ritenuta provocatoria, dell'allora capo del partito Likud Ariel Sharon al Monte del Tempio, luogo sacro per musulmani ed ebrei situato nella Città Vecchia. L'Intifada avvia una successione di fatti violenti che proseguono per anni, assumendo i caratteri di una guerra d'attrito; 2004 Concetto di “Territorio occupato”: la Corte Internazionale di Giustizia definisce “occupati da Israele” i territori palestinesi conquistati (compresa Gerusalemme est) a seguito della Guerra dei Sei Giorni. Nel febbraio 2011 le Nazioni Unite promuovono una 4 risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani appoggiata da 122 nazioni, tra cui l’Italia; 2006 - Hamas vince le elezioni nella Striscia di Gaza: considerata un’organizzazione terroristica, la sua vittoria elettorale causa il blocco dei finanziamenti al governo palestinese da parte della Comunità Europea e altre istituzioni occidentali ed arabe. Ciò contribuisce a far esplodere un grave scontro politico, e talvolta armato, tra Hamas e Al-Fataḥ; 2009 - Operazione “Piombo Fuso”: definita nel mondo arabo come il “massacro di Gaza”, l’operazione israeliana ha lo scopo di indebolire Hamas. Alla fine si contano 13 vittime israeliane e circa 1300 palestinesi; 2012 - la Palestina è riconosciuta “Stato non membro Osservatore Permanente” presso l'Assemblea delle Nazioni Unite: la risoluzione ONU, approvata con 138 voti favorevoli, 9 contrari e 41 astensioni, sancisce l’ingresso della Palestina nelle Nazioni Unite. I giorni nostri Torniamo ai giorni nostri, a sessantasei anni da quella che è definita da Israele «Guerra d'indipendenza» e dagli arabi al-nakba, ossia «la catastrofe»: la situazione è sostanzialmente immutata in termini di tensione politica ma drammaticamente stravolta in termini territoriali. Israele ha, infatti, occupato con insediamenti illegali di coloni, gran parte dei territori palestinesi, ha costruito un muro di divisione (dichiarato illegittimo dalla Corte internazionale di Giustizia dell’ONU) che costringe, opprime e riduce enormi aree arabe abitate, tutto ciò nonostante gli accordi di Oslo vadano proprio in direzione opposta. Svariate associazioni si sono espresse sulle condizioni di vita nelle terre occupate; Human Rights Watch analizza nel dettaglio le operazioni israeliane di arresti arbitrari e di massa, le detenzioni ingiustificate, l’uso illegittimo della forza, la distruzione ingiustificata di proprietà privata, la demolizione delle case delle famiglie dei sospetti responsabili e altri membri di Hamas, gli attacchi contro abitazioni private e uffici dei media, nonché il ricorso sproporzionato alla forza letale. L’organizzazione Pax Christi Italia denuncia uccisioni arbitrarie, perquisizioni notturne, danni a centri medici e commerciali, tagli dell’elettricità e delle linee telefoniche e mette in dubbio che lo scopo di tutto ciò sia “colpire indiscriminatamente la popolazione sotto occupazione e renderne impossibile la vita quotidiana al fine di continuare impunemente l’opera di pulizia etnica del territorio palestinese”. Defence for Children International segnala “allarmanti e sistematiche violenze sui bambini palestinesi da parte dei coloni”. Il giornalista israeliano Gideon Levy sostiene che “Israele non ha mai, neppure per un minuto, trattato i palestinesi come esseri umani con pari diritti. Non ha mai visto la loro sofferenza come una comprensibile sofferenza umana e nazionale. Il dato di fatto più evidente del rifiuto della pace da parte di Israele è, ovviamente, il progetto di colonizzazione”. E’ in questo contesto che, con l’intento di acquisire maggior peso negoziale nell’ennesima trattativa di pace in corso tra le due parti, il 2 giugno 2014 nasce il governo di unità nazionale palestinese. Questo storico accordo tra Al-Fatah e Hamas segna una svolta storica per un governo tecnico d’intesa sotto la benedizione del presidente dell'Autorità palestinese, Mahmoud Abbas. Il solo annuncio dell’accordo, però, scatena la reazione di Israele che, per bocca del suo primo ministro Benjamin Netanyahu fa sapere di non tollerare la presenza di Hamas al tavolo delle trattative data la sua natura anti israeliana. L’ANP, infatti, dal ‘94 detiene il controllo di parte della Cisgiordania collaborando con Israele. L’intento del nuovo governo è chiaro dalle parole del presidente Abbas “la visione della pace da parte della Palestina è chiara ed è fermamente basata nei principi del diritto internazionale […] Di conseguenza la sovranità dello Stato palestinese e di Israele, come definito dai confini del 1967, deve essere rispettata.” Sostanzialmente, fino a quel momento, Israele ha trattato esclusivamente con l’ANP in Cisgiordania e ha considerato Hamas il nemico da cancellare nella Striscia di Gaza, oggi non ha più questa certezza. Questo passaggio segna probabilmente l’inizio del tracollo cui stiamo assistendo ma, la scintilla che dà il via al fuoco armato, è il ritrovamento dei cadaveri dei tre ragazzi israeliani rapiti il 12 giugno in Cisgiordania, la cui uccisione è addossata a Hamas da Benyamin Netanyahu, con un «la pagherà», nonostante la smentita unanime e la netta presa di posizione del presidente palestinese Mahmoud Abbas. Da quel momento in avanti assistiamo a vendette come l’orrendo omicidio del diciassettenne palestinese Mohammed Abu Khdeir e i razzi di Hamas sul confine di Gaza ma, soprattutto, assistiamo a punizioni collettive da parte dell’esercito israeliano su tutta la Cisgiordania prima e Gaza poi. Tra le dichiarazioni più indicative che ho trovato, vi riporto quella di Miko Peled, attivista israeliano e figlio di un ex-generale poi convertitosi a sua volta in attivista per i diritti dei palestinesi: “ciò che sta accadendo (di nuovo) in questi giorni è una diretta conseguenza del criminale blocco imposto da molti anni su Gaza da Israele, in violazione del diritto internazionale e dei diritti umani fondamentali della popolazione civile”. Le violazioni del diritto La violazione dei diritti, umani e internazionali, è la chiave di lettura più indicativa di tutta la storia israelo-palestinese. Potrà sembrare un ragionamento cinico ma, se si trattasse di una “semplice” guerra di attrito tra due Paesi confinanti, come le tante che purtroppo vediamo anche in Europa in questi giorni, non potremmo non considerare il principio di autodeterminazione dei popoli e quindi ignorare ogni stimolo interventista o di pressione internazionale. La questione israelo-palestinese, invece, ha una fortissima connotazione di violazione dei diritti. Dal lato palestinese Hamas si è strutturata come gruppo paramilitare e rappresenta una continua minaccia militare e terroristica, a causa del lancio di razzi, specialmente per i territori limitrofi alla Striscia di Gaza. E’ da condannare inoltre il ricorso alla pratica degli scudi umani e della detenzione arbitraria e tortura degli oppositori politici. Israele dal canto suo ha subìto oltre 80 risoluzioni dell’ONU per la violazione dei diritti umani dei palestinesi e internazionali sulla gestione dei territori occupati. In particolare, l’Alto Commissario dei diritti umani dell’ONU, Navanethem Pillay denuncia le gravi violazioni di diritti umani contro i palestinesi nei territori occupati, la continua attività d’insediamento illegale, in violazione della legge internazionale, e la pratica della detenzione amministrativa. Tutte queste violazioni, non configurandosi come provvisorie, bensì incastonate in un progetto a lungo periodo, dovrebbero suscitare una dura condanna a livello internazionale e forse, il nuovo assetto politico dell’area mediorientale potrebbe influire in tal senso. I nuovi scenari geopolitici Rispetto al passato questa nuova escalation di violenza ha una connotazione totalmente differente perché legata a nuovi scenari geopolitici. Non può passare inosservata la presa di posizione di Obama che ha esortato alla tregua e all’interruzione dei bombardamenti senza minacciare alcun intervento esterno, come avrebbe fatto in passato. L’area mediorientale è totalmente mutata nell’ultimo decennio. L’avanzata dell’ISIS in Iraq (con cellule in tutto il mondo islamico) e l’instabilità siriana hanno creato un’anomala dipendenza degli Stati Uniti dall’Iran rompendo la storica conflittualità con l’ “asse del male” e imponendo agli USA un’inusuale immobilismo. D’altro canto il peso crescente della Russia su tutta l’aerea orientale del globo, manifestatosi chiaramente in Siria e Ucraina, ha messo nuovamente in moto meccanismi di controllo territoriale da guerra fredda spingendo Israele a cercare nuovi possibili alleati. E’ qui che entra in gioco l’Egitto. Fino al 2013, infatti, sotto il governo dei Fratelli Musulmani di Muḥammad Mursī ʿĪsā al-ʿAyyāṭ, la Palestina ha potuto usufruire della Porta di Rafah, al confine con l’Egitto, per rifornirsi di beni di prima necessità, aiuti umanitari e, purtroppo, anche armi per Hamas. Con la caduta del governo egiziano, l’instaurazione della dittatura militare di ʿAbd al-Fattāḥ Khalīl al-Sīsī e la persecuzione dei Fratelli Musulmani invece, anche quell’accesso è stato sbarrato creando, da una parte, l’indebolimento della guida politica di Hamas con la conseguente perdita di controllo sui militanti più propensi alla guerriglia (così si spiega l’incessante lancio di razzi verso Israele nonostante la netta inferiorità militare) e, dall’altra, una nuova opportunità per Israele. Un’eventuale alleanza con l’Egitto permetterebbe, infatti, di svuotare del tutto il peso militare di Hamas nella Striscia di Gaza e puntare, un domani, alla riannessione dell’area all’Egitto. Quest’affermazione può sembrare fuori dalla logica sionista ma non lo è. Il principale problema oggi in Israele è la questione demografica, nonostante i piani di sostegno alle famiglie con più figli, il numero totale di arabi palestinesi è costantemente in ascesa. Si stimano, infatti, circa sei milioni di ebrei in Israele contro i tre milioni e mezzo di arabi in Cisgiordania e i quasi due milioni nella Striscia di Gaza (tra le aree con la maggiore densità di popolazione al mondo). Un’annessione “pacifica” delle due aree nello Stato d’Israele renderebbe troppo minacciosa la presenza araba sull’intera zona allontanandosi, tra l’altro, dall’idea originaria di sionismo che non prevede uno stato laico. A fronte di questa considerazione e del diffondersi degli insediamenti illegali nei territori 5 cisgiordani, è presumibile che il piano di Israele preveda l’annessione esclusivamente di quest’ultima area data la sua estensione che permetterebbe una migliore distribuzione araba sul territorio. Una cosa è certa, il piano di Israele è lungi dall’interrompersi. Il ruolo dell’Europa e la “rule-bound cooperation” In tutto ciò, cosa fa l’Europa? Non è semplice persino immaginare l’immenso potere che l’Unione Europea ha, o potrebbe avere, in questo scenario. Lo strettissimo legame tra Israele e l’UE, infatti, nasce con gli Accordi Euromediterranei di Associazione del 1998. Gli stessi definiscono la libera circolazione delle merci tra l’UE e i paesi del Mediterraneo attraverso la progressiva eliminazione dei dazi doganali e il divieto delle restrizioni quantitative all'esportazione e all'importazione tra le parti contraenti. Per anni si è commesso l’errore di separare l’azione economica con Israele da quella diplomatica sulla risoluzione del conflitto: questo non ha fatto altro che permettere a Israele di ignorare le raccomandazioni politiche e continuare a rafforzarsi economicamente e nel posizionamento strategico internazionale. Negli ultimi anni, però, stiamo assistendo a un graduale quanto inarrestabile cambio di strategia. Nel 2013, per la prima volta, l’Unione Europea ha pubblicato delle linee guida che sanciscono che «tutti gli accordi tra lo Stato di Israele e l’Unione Europea devono inequivocabilmente e esplicitamente segnalare la loro inapplicabilità ai territori occupati da Israele nel 1967, e cioè Alture del Golan, Cisgiordania inclusa Gerusalemme est e striscia di Gaza.». Le linee guida sono basate su una decisione adottata dal Consiglio europeo nel 2012 e precedenti dichiarazioni UE, dove si riafferma che le colonie israeliane sono illegali secondo il diritto internazionale. Conseguentemente gran parte dei paesi europei sta adattando la legislazione interna inserendo il concetto di “rule-bound cooperation” che prevede il legame inestricabile tra una qualsiasi forma di cooperazione (economica o meno) e il rispetto di alcune specifiche norme. Dispiace in tal senso costatare il ritardo di Italia e Spagna. Per la prima volta i Paesi europei hanno lanciato un messaggio forte e chiaro: o Israele rispetta le regole del ’67 o non fa affari con noi. Il peso di questa strategia è evidente, anziché sbattere la porta in faccia all’Europa, Israele ha firmato gli accordi prendendo coscienza della sua dipendenza dagli aiuti del vecchio continente. I passi successivi, in termini europei, potrebbero essere: - Emanare nuove linee guida sull’etichettatura dei prodotti israeliani per garantire ai cittadini europei di poter scegliere consapevolmente un prodotto proveniente da una colonia illegale (come promesso dalla Ashton e bloccato, ad oggi, dal solito ricatto del “minano il processo di pace”); Notificare, a tutti gli operatori industriali, il rischio di sanzioni conseguenti ad accordi commerciali con aziende che operano nelle colonie; - Rivedere gli accordi del ’98 sul dazio, eliminando i benefici per i prodotti provenienti dalle colonie; - Favorire il meccanismo di controllo sui prodotti israeliani, basato sul CAP, da parte delle autorità doganali; - Pretendere il risarcimento in caso di distruzione o sequestro di aiuti umanitari, in particolare nelle aree C (ovvero quelle a pieno controllo israeliano); - Avviare una riflessione sul diritto di veto all’interno delle Nazioni Unite che ha permesso a Israele di ignorare, senza sanzioni, le oltre 80 risoluzioni emanate contro il suo operato in termini di rispetto di diritti umani. Lo stesso trattamento, infatti, non si è tenuto con l’Iraq che, con “appena” 16 risoluzioni, è sotto sanzione dal 1990. Questa strada, a nostro avviso, segna l’unica possibilità per rafforzare il rispetto del diritto internazionale. Il ruolo dell’Italia L’Italia ha la possibilità di influire pesantemente nel processo di pace, sia con una chiara presa di posizione nel rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale, sia in termini europei. Per quanto riguarda il primo, occorre subito chiarire che la storica amicizia tra Italia e Israele non può prescindere dalla legalità delle azioni di quest’ultimo. E’ necessario adeguare immediatamente la legge nazionale alle nuove linee guida europee e andare oltre interrompendo gli accordi militari tra i due Paesi (473 milioni di euro di esportazioni autorizzate solo nel 2013), come sancito dalla legge italiana 185/90 che vieta la vendita di armi a Paesi in conflitto o che violino i diritti umani. Per quanto riguarda il ruolo europeo, non possiamo sottovalutare l’enorme possibilità di indirizzare la realizzazione di quanto elencato in precedenza durante il semestre di presidenza italiano. Il futuro La situazione reale della distribuzione geografica e demografica del popolo israeliano e palestinese, nonché l’assenza di una reale volontà di giungere alla soluzione dei due stati porta a ritenere assolutamente limitante insistere sul rispetto degli accordi di Oslo. Nonostante la comunità internazionale sia ancora orientata in quella direzione, è sempre più grande il “think-tank” di personaggi, più o meno illustri, che tende alla soluzione dell’unico stato laico. Purtroppo questa soluzione, che prevederebbe la convivenza dei due popoli, non va di pari passo col pensiero della nuova presidenza israeliana in mano a Reuven Rivlin che, a differenza del suo predecessore Shimon Peres, è più incline alla soluzione dello Stato Unico ma con la cosiddetta “opzione giordana”, ovvero, con la totale espulsione degli arabi dalla Palestina verso la Giordania. Insomma, siamo ancora molto lontani dalla soluzione del conflitto, ma intanto possiamo fare la nostra parte in termini di pressione internazionale affinché cresca di giorno in giorno la consapevolezza che il rispetto dei diritti umani e delle leggi internazionali da parte di Israele è un dovere, con l’auspicabile conseguenza dell’interruzione di ogni azione militare da parte di Hamas." Manlio Di Stefano – portavoce M5S alla Camera dei Deputati Defranceschi, il maestro di politica Minipost 14.07.2014 L'intervento di Paola Taverna in difesa della democrazia Minipost 15.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Nel M5S non esistono scuole di politica né organizzazioni regionali come il M5S Emilia Romagna. Contrariamente a quanto riportato da Defranceschi, io non ho concordato nulla con lui sulle cosiddette "scuole di politica". Dopo un incontro con alcuni esponenti regionali avvenuto a Milano sull'introduzione di una applicazione LEX per ricevere i contributi sulle leggi regionali dagli iscritti al M5S nelle diverse regioni, il De Franceschi mi ha chiesto di incontrarlo privatamente. Nell'incontro gli ho ribadito la mia contrarietà alle scuole politiche. Ho invece ribadito che incontri con cittadinini-eletti per aiutarli a fare i primi passi dentro le diverse macchine amministrative (che per avere maggiore efficacia dovrebbero essere concordati e strutturati in anticipo con lo staff) sono sicuramente utili. Gli ho anche ricordato, a sua domanda, che i candidati nelle liste M5S non potranno partecipare se condannati in primo grado o rinviati a giudizio. Non ho concordato quindi un bel nulla e De Franceschi ha, nel migliore dei casi, male interpretato le mie parole dette in un incontro "privato"." Gianroberto Casaleggio 6 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Non è un caso che nell’aula di questo Senato, proprio in questo momento storico, siano entrati dei semplici cittadini per difendere gli interessi del popolo italiano: probabilmente sarà l'ultima volta che ne avranno, che ne avremo la possibilità. Quando a settembre gli italiani torneranno dalle ferie si troveranno una Costituzione nuova di zecca, completamente stravolta, irriconoscibile, priva di qualsivoglia brandello di democrazia. Un Parlamento che non sarà più luogo dove i cittadini si sentiranno rappresentati, ma un forum di adepti del Primo ministro, di diligenti esecutori delle sue direttive. La Corte Costituzionale e' stata chiara su cosa debba fare questo Parlamento, che ricordiamolo e' stato eletto con una legge elettorale dichiarata incostituzionale: doveva soltanto riscriverne una buona e, non appena svolto questo adempimento, rimettere al popolo la decisione su chi dovrà guidarli in futuro. E invece vi state arrogando il diritto di mettere mano alla Costituzione della nostra Repubblica stravolgendone più di un terzo. Di deturpare la forma di Stato e di Governo. Ma dove sono finiti gli urgenti provvedimenti economici che potevano porre freno all'incessante perdurare della crisi? Ora ditelo agli italiani se è più importante prevenire la corruzione o fare del Senato un salvacondotto per pregiudicati e rinviati a giudizio. Se foste più onesti intellettualmente avreste almeno il coraggio di ammettere che il segreto patto del Nazareno serve solo a garantire le coalizioni, in modo tale che l’attuale Premier (Berlusconi 2.0) possa vincere le prossime elezioni e quell'altro, il suo mentore, ottenga il monopolio dell'opposizione.[...] Voi continuerete a proporre immunità, leggi truffa, progetti per trasformare il Senato in un parcheggio di pregiudicati. Per noi conta solo una cosa: che la sovranità di questa Repubblica deve appartenere ancora al popolo, come dice l’art. 1 della nostra Costituzione. E al popolo dovrà pienamente ritornare: noi non arretreremo di un passo. Noi difenderemo i suoi diritti. Noi, che non pensiamo alle prossime elezioni ma al futuro dei nostri figli!" Paola Taverna, M5S Senato - guarda il video integrale Ci vediamo giovedì Politica 15.07.2014 soprattutto in riferimento alla questione degli organi di controllo e garanzia. Aspettiamo risposte chiare. Ci vediamo giovedì alle 14 alla Camera dei Deputati, in streaming naturalmente." Luigi Di Maio, Danilo Toninelli, Paola Carinelli, Vito Petrocelli googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); L'incontro di giovedì 17 luglio alle 14.00 sarà trasmesso in streaming sul Blog e su La Cosa "Gentili dirigenti del PD, è sicuramente positivo che riprenda il confronto che avevamo avviato e che si era sospeso. Speriamo si possa ora procedere celermente verso una conclusione positiva. Tanto più che il Paese ha urgenze diverse e ancora più impellenti: durante questi mesi è stato stabilito il nuovo record del debito pubblico e la BCE ha stimato che la produzione industriale calerà del 1,8% in quest'anno, il numero dei poveri in Italia secondo l'ISTAT ha raggiunto i 10 milioni, di cui più di 6 vivono in povertà assoluta e di questi 1 milione e mezzo sono bambini e adolescenti. E, dunque è augurabile sgombrare il campo dai temi della riforma elettorale e del bicameralismo per potersi concentrare sui problemi dell’economia e del lavoro. Ora è necessario arrivare a una soluzione soddisfacente per tutti sulla legge elettorale, in modo da trovare un giusto equilibrio fra i problemi di governabilità e quelli della rappresentanza, garantendo la selezione di un ceto parlamentare all’altezza del compito di affrontare la crisi con competenza ed onestà. A questo scopo era finalizzato il “Democratellum”, alla cui stesura hanno partecipato decine di migliaia di persone. Il primo esperimento di successo di democrazia partecipata al mondo su un tema tecnico così delicato. E saranno quegli stessi cittadini a ratificare il risultato finale del nostro confronto al tavolo. Entriamo dunque nel merito della legge elettorale. Noi siamo sempre stati corretti ed abbiamo offerto la nostra disponibilità a trovare un compromesso nei limiti del rispetto della Costituzione. C’è una nostra disponibilità di massima ad accogliere le vostre esigenze in tema di governabilità e ci auguriamo che ci sia identico atteggiamento da parte vostra ad accogliere le nostre esigenze in materia di rispetto della rappresentatività del Parlamento. A partire da questa reciproca disponibilità sarà poi possibile individuare le soluzioni tecniche più opportune. Ricordiamo, peraltro, che al di là della questione del premio di maggioranza e delle sue modalità, nel rispetto della Costituzione, ci sono anche altri aspetti su cui aspettiamo una risposta concreta: questione delle preferenze e delle soglie di sbarramento, superamento delle coalizioni, mentre notiamo con piacere l’apertura manifestata dalla vostra lettera sul tema della lotta alla corruzione ed in materia di immunità. Così come la riforma del Senato obbliga ad una riflessione su tutta l’architettura costituzionale, #VotoPalese per l'autorizzazione all'arresto Galan Minipost 16.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); >>> AGGIORNAMENTO: il voto sulla richiesta di arresto del deputato Galan (PdL) è stato RINVIATO da domani a martedì prossimo. Tutto fa intendere che si tratti di un rinvio assolutamente inutile viste le sue condizioni sanitarie. Il M5S ha votato contro, perché il segnale che si dà al Paese è il solito: l’esistenza di cittadini di serie A e di serie C. <<< "A Venezia, per la costruzione del Mose, si pagava la "tassa Galan": circa un milione di euro l’anno secondo quanto testimoniato da chi tirava fuori i soldi, e cioè Giovanni Mazzacurati, presidente del Consorzio Venezia Nuova. E confermato anche da chi li incassava, la segretaria di Galan, Claudia Minutillo, che ha definito il tutto come un "sistema". Questo dicono le carte dell’inchiesta della Procura di Venezia per cui, forse, non è un caso che sia stato chiesto l’arresto di Galan, già presidente del Veneto e oggi deputato di Forza Italia. Arresto che, però, deve passare dal voto dei suoi stessi colleghi alla Camera. In giunta è stato dato il via libera, in aula (domani giovedì 17 luglio alle 11) si vedrà. Si sono rincorse voci che volevano l’ex ministro oggetto di scambio anche nell’ormai famigerato patto del Nazareno, sempre più contenitore di ogni nefandezza e inciucio. La richiesta di un voto segreto darebbe il via a chissà quali danze della larga maggioranza della contro-riforma del Senato. Noi, in ogni caso - e come sempre - siamo per il voto palese." M5S Camera 7 Dittatura a norma di legge Informazione 16.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "[...] Vorrei smontare delle balle, chiamiamole così,che vengono dette dal signor Renzi. Parlo del vostro Governo, non di voi, perché spero che abbiate qualcosa che batte nel vostro petto e che queste cose le sentiate. Noi, infatti, siamo rappresentanti della Nazione, di tutti i cittadini, non siamo rappresentanti della poltrona che occupiamo. La prima balla è che il Parlamento non deve essere di ostacolo al Governo. Questo l'ha detto il signor Renzi. Ho già la pelle che mi si è alzata di un centimetro. Il Parlamento è un ostacolo? Queste cose le ho sentite dire solo nei regimi totalitari, neanche in quelli autoritari. La seconda balla: l'Unione europea ci ha chiesto di fare le riforme. È una mezza verità: potremmo chiamarla, nella neolingua, una volontaria campagna di disinformazione, invece di bugia. L'Unione europea, infatti, ci ha detto di fare le riforme, ma non queste: ci ha detto di fare riforme economiche e del mercato lavoro. Ma noi abbiamo fatto male pure quelle. Questa riforma somiglia in modo veramente inquietante a quella del 2006 e, anzi, tutti i discorsi che ho sentito fare in Aula spingono sempre di più in quella direzione. Ci credo: chi aveva voluto la riforma del 2006? Il signor Berlusconi, con il quale state facendo le riforme. Quindi non è cambiato niente, assolutamente niente. Anche la famosa clausola di supremazia, che a nessuno qui è piaciuta, compare esattamente nello stesso modo. Si chiamava clausola di supremazia anche allora: almeno cambiategli il nome. Vorrei parlare del patto che avete fatto con zio Silvio. Quando si è parlato di questo, infatti, qualcuno scuoteva la testa, dicendo: no, noi non abbiamo promesso niente. Riflettiamo, ragioniamo assieme. In questo patto il signor Berlusconi cede tutto: vi dà una legge elettorale con la quale non va al Governo, perché i numeri sono quelli, e una riforma dell'assetto istituzionale in cui chi vince prende tutto; in cambio non prende niente. Che tipo di negoziato sarebbe questo? Pensate che quella persona, che è arrivata dove è arrivata, abbia questa capacità negoziale, di sedersi ad un tavolo dicendo: ti do tutto e non prendo niente? No. Vuol dire che c'è sotto qualcosa, ma non lo conosciamo. Non vuol dire che non ci sia. Bisogna sempre ricordarsi quel famoso detto che dicono a Wall Street a chi pensa di essere quello che sta facendo i soldi: «Se ti guardi intorno e non vedi nessun pollo, sei tu il pollo». Bene, se noi ci guardiamo intorno e non vediamo polli, vuol dire che i polli siamo noi. Anche questo va detto. Parliamo un attimo dell'immunità, ma giusto per ricordare quello che sta succedendo in questi giorni. È arrivato un avviso di garanzia a Maroni, presidente della Regione Lombardia, il quale poteva trovarsi qui e quindi godere dell'immunità. Bene, voglio ricordare Camillo Benso conte di Cavour, che ricevette in omaggio due pesci, pescati nel canale Cavour, quello che porta il suo nome, e siccome si tratta di un canale demaniale, di proprietà dello Stato, tutto quello che c'è dentro è di proprietà dello Stato. Sapete cosa fece? Li restituì, perché non era opportuno che un Ministro del Regno prendesse in omaggio qualcosa che era di proprietà della collettività. Stiamo parlando di due pesci di fiume. Ora invece parliamo di persone che vengono rinviate a giudizio, indagate, come i consiglieri regionali del Piemonte: quattro condannati e 24 rinviati a giudizio; è normale, più del 50 per cento. Queste persone potrebbero essere qui e noi vogliamo anche dotarli di uno scudo. Perché invece ai consiglieri che non vengono in Senato non viene fornito nessuno scudo? Mi sembra abbastanza incostituzionale anche questo e dovremmo rifletterci. Quando si parla di questi argomenti, si usa sempre la neolingua, che io uso anche se mi dà molto fastidio: "deriva autoritaria", "scivolamento verso totalitarismo o verso l'autoritarismo", "democrazia autoritaria" sono veramente brutte espressioni, ma salviamo il concetto. Badate bene che quando parliamo di questo, non intendiamo che debba venire una dittatura con il manganello vero, perché quella è finita, appartiene al passato, come non esistono più le guerre, anzi le paleoguerre, come le chiamano gli storici, ma esistono le neoguerre, che si combattono in modo pulito, stando a casa e schiacciando un bottone per far partire un drone, una bomba intelligente oppure un missile lanciato da un silos a Minot, in North Dakota, a 15.000 chilometri, che colpisce un bersaglio in Russia o in Cina. Avviene così, spingendo degli innocui bottoni. Quello che dobbiamo pensare è una nuova dittatura, leggera, nella quale rimane lo scheletro democratico perché è questa la chiave: mantenere lo scheletro democratico. Con questo progetto di riforma, abbiamo una perfetta linea di comando. Il centro è il Presidente del Consiglio, ed è qui che questa riforma è uguale a quella del 2006, che accentrava tutto nel Presidente del Consiglio, ma lo fa in modo diverso, mettendo insieme le due cose: il Presidente del Consiglio nomina, con soli nove senatori, il suo Presidente della Repubblica, condiziona la Corte costituzionale ed il Parlamento è schiavo suo (quindi ha fatto una perfetta linea di comando) perché c'è una legge elettorale maggioritaria. Formalmente rimane l'impianto democratico, che richiede che ci sia un Parlamento, un'elezione e degli organi di garanzia. Ma ve la ricordate l'Argentina degli anni Settanta? Era una dittatura militare eppure il Parlamento c'era e si facevano le elezioni. Andate a vedere i filmati. Si chiamavano gli "alzamanos", quelli che stavano nel Parlamento, perché votavano sempre in questo modo. Allora quello che chiedo è se vogliamo essere anche noi degli "alzamanos"? [...]" Carlo Martelli, M5S Senato - Guarda il video integrale 8 Olivetti, Italia Economia 16.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); >>> Domani 17 luglio presso la Camera dei Deputati alle ore 14.00 si terrà l'incontro tra la delegazione del M5S e quella del PD sulla legge elettorale. La diretta streaming sarà trasmessa sul blog e su La Cosa articolo di Gavin Jones e James Mackenzie per Reuters "Ivrea, Italia, (Reuters). Il declino economico può assumere diverse sembianze. Nella città di Ivrea, nell'Italia del nord, somiglia a un campo da tennis in abbandono, pieno di erbacce, dove usavano giocare gli impiegati dell'Olivetti, il vecchio gigante dell'elettronica. Negli anni '80, Ivrea era la versione europea della Silicon Valley. Delle 50.000 persone impiegate dall'azienda, più della metà lavoravano in città, godevano di ottimi stipendi e di un gran numero di attività ricreative aziendali. Oggi i principali datori di lavoro in città sono l'azienda sanitaria e due call center, che insieme danno lavoro a 3.100 persone. L'Olivetti esiste ancora, ma è una piccola azienda di dispositivi elettronici. I suoi vecchi stabilimenti, veri gioielli dell'architettura industriale del XX secolo, sono state riallestite come musei, e oggi la maggior parte dei trentenni, che hanno ben poche opportunità di lavoro, vivono grazie alla pensione dei propri genitori. “Era un'epoca di grande eccitazione. Ma prima lentamente, e poi d'un botto, tutto è collassato”, dice Massimo Benedetto, 59 anni, di cui trenta da impiegato in Olivetti, da ultimo nei servizi di supporto alla clientela, ora in procinto di andare in pensione. Ivrea è come una finestra aperta sul mutamento di un'economia nazionale che ha pochi uguali nel mondo sviluppato. L'economia del paese è cresciuta pochissimo dal 1994, e si è addirittura ritirata dal 2000 ad oggi. Una situazione che non ha uguali in nessun paese europeo né in alcuno dei 34 paesi dell'Ocse. Gli economisti prendono in considerazione un insieme di fattori per spiegare la crescita di lungo periodo dei paesi emergenti: le tendenze della crescita demografica e dell'occupazione; gli investimenti pubblici e quelli privati; la produttività del lavoro; e la forza delle componenti legale, amministrativa e istituzionale dello Stato. Dagli anni '80 ad oggi l'talia è regredita in tutte e tre queste componenti. Secondo uno studio di Confindustria, l'associazione degli industriali, più di 120.000 aziende manifatturiere hanno chiuso i battenti e nell'industria sono andati persi circa 1.200 milioni di posti di lavoro dall'inizio del secolo. L'istantanea di breve periodo mostra un volto migliore. Gli investitori stanno danno al mercato un pò di respiro dopo le turbolenze che, nel 2011, hanno messo a rischio la permanenza dell'Italia nella moneta unica. Matteo Renzi, un energico primo ministro di 39 anni, ha fatto delle promesse ambiziose, ed è stato uno dei pochi leader dell'Unione Europea ad uscire rafforzato dalle elezioni europee del Maggio scorso. Renzi sta utilizzando la sua rinnovata forza politica per guidare la richiesta di politiche europee più orientate verso la crescita, ma la sua capacità di modificare veramente le cose è ancora tutta da verificare. L'Italia rimane comunque il secondo paese manifatturiero dopo la Germania. Per proprietà di case e risparmio privato si colloca ai primi posti fra i paesi Ocse, e il livello di debito privato è relativamente basso. Italia Inc. ha delle figure di livello mondiale, come Luxottica SpA e Ferrero SpA, il produttore di Nutella. Eppure tutti gli indicatori economici puntano nella direzione sbagliata. Quella italiana va pensata come un'economia in 'immersione', la cui degenerazione potrebbe avere un effetto sulla società dall'impatto simile a quello che la globalizzazione ha avuto sulla Cina, l'India o il Brasile. La cronicità della precaria situazione italiana costituisce un rischio per l'Europa intera. Quasi tre anni dopo il rischio del collasso dell'intera eurozona per i rischi legati alla stabilità finanziaria, il debito dell'Italia è salito al 134% sul prodotto, superiore a quello di tutti i paesi Ocse, all'infuori del Giappone e della Grecia. A meno che il paese non riprenda a crescere, sarà difficile che riesca a ridurre il suo debito – rischiando così concretamente il default e la sua permanenza nell'euro. Proprio come l'Italia, Ivrea è andata affondando negli ultimi 2 decenni. Accoccolata sotto le montagne imbiancate a nord di Torino, la città è tutt'altro che povera. Molti dei suoi 24.000 abitanti sono benestanti, proprio come l'Italia, che rimane la nona economia del mondo. La media dei depositi bancari è fra le più alte del paese. Ma migliaia di giovani hanno lasciato la città, con una riduzione della popolazione pari a un quarto dagli anni '80 ad oggi. L'età media, oggi, ad Ivrea, è di 48 anni, di quattro anni superiore alla media nazionale, di 8 a quella di Francia e Gran Bretagna, e di 11 a quella degli Stati Uniti. Il crollo della Olivetti ha dato vita ad alcune piccole e medie imprese, ma una miscela paralizzante di alta tassazione e vincoli burocratici rende rende loro la vita impossibile, secondo quanto dicono gli imprenditori locali. Stefano Sgrelli, 58 anni, è un ex ingegnere Olivetti, che, nel 2009, ha fondato Salt & Lemon, una ditta che utilizza droni per la ripresa di immagini aeree per il cinema, la pubblicità e la cartografia topografica; si lamenta delle procedure burocratiche che lasciano di stucco i clienti stranieri e del tragitto ferroviario, penosamente lento, per cui si impiega più di un'ora per percorrere i 50 km che separano la città da Torino. “Cercare di competere con le aziende estere è come correre i 100 metri con un carico di 20 kg sulla schena” sostiene Stefano. ECONOMIA in IMMERSIONE I problemi dell'Italia sono milioni. Il suo tasso di natalità è il decimo più basso fra I 236 paesi e territori elencati dall'Ocse. Una percentuale di poco superiore alla metà della sua popolazione attiva ha un lavoro, e gli investimenti pubblici e privati, in proporzione al prodotto del 2013, erano, secondo la Banca d'Italia, al livello più basso dalla fine della seconda guerra mondiale. Gli investimenti in tecnologia e ricerca, un elemento fondamentale per la crescita, sono fermi a circa la metà di quelli della Francia o della Germania, in proporzione alla rispettiva crescita economica, e a circa un terzo di quelli della Svezia, sempre secondo l'Ocse. Uno dei problemi è la dimensione delle imprese. L'economia italiana appare sempre più squilibrata e dipende da un bacino sempre più ristretto di piccole imprese di successo e con solamente un paio – fra cui quella automobilistica Fiat è la più nota – rimaste a competere con campioni europei della stazza di Siemens, Daimler o Alcatel e con I giganti americani tipo Apple e Google. Persino Fiat, che quest'anno ha annunciato il trasferimento della sede amministrativa in Olanda e quella fiscale in Gran Bretagna, non rappresenta più il volano economico che era un tempo. In Italia oggigiorno vengono prodotte meno automobili che in Spagna o addirittura in Slovacchia. Secondo l'istituto di statistica ISTAT, l'impresa media italiana impiega 4 dipendenti, e soltanto un'impresa su cento ne impiega più di 50. I milioni di piccole imprese, che un tempo erano considerate il punto forte dell'economia italiana, oggi ne rappresentano l'handicap. Dovendo affrontare, fin dagli anni '90, un aumento della competizione, sono mancate loro le economie di scala e le risorse da investire in nuove tecnologie. “Come possiamo pretendere di competere nel mondo globale con imprese da 12 addetti?” si domanda Marcello De Cecco, professore di economia all'università Luiss di Roma. I prodotti italiani sono scesi anche dal punto di vista qualitativo. L'Italia è specialiazzata in settori a media e bassa tecnologia, quali il tessile e le macchine per l'industria, che hanno uno scarso potenziale di crescita. I settori ad alta tecnologia, come i computer, l'elettronica e i prodotti farmaceutici, costituiscono soltanto il 6% delle esportazioni, un dato che mal sopporta il confronto con la media europea del 16%, secondo l'agenzia di statistica dell'Unione Eurostat. Secondo l'Ocse Il sistema scolastico italiano produce meno laureati in percentuale sulla popolazione di tutti gli altri aesi europei. Nelle scuole superiori l'utilizzo del computer è limitato. La forza lavoro poco qualificata è una delle ragioni per le quali la crescita della produttività del lavoro – cioè la quantità che I lavoratori producono – è rimasta stagnante per più di un decennio ed è la peggiore dell'Unione. La produzione complessiva dell'Italia è addirittura peggiore. Gli economisti definiscono 'fattore di produttività globale' l'efficienza combinata del sistema legale, delle regole di mercato, del sistema di tassazione, della burocrazia e di altri elementi di sostegno alle imprese. Si tratta di un'espressione da specialisti che misura il livello di efficienza del sistema economico. L'Italia è il solo paese dell'Unione il cui fattore di produttività globale è in declino dall'inizio del secolo, secondo la Commissione Europea. La qualità della vita ne ha risentito pesantemente. Secondo il Fondo Monetario Internazionale nel 1994 in Italia il prodotto interno lordo per capita, in rapporto al costo della vita, era all'incirca lo stesso di Francia e Gran Bretagna. Oggi, è fermo all'80% degli stessi paesi. L'Italia è l'unico paese dell'Unione il cui Pil è sceso dal 2000 ad 9 oggi. Vito Tanzi, un economista e sottosegretario del precedente governo, che ha trascorso 26 anni lavorando con le economie emergenti per il FMI, dice che il paragone più appropriato che si possa fare è quello con l'Argentina, che nei primi anni '90 rappresentava una delle maggiori economie mondiali; dopo decenni di instabilità politica, corruzione dilagante e crisi finanziarie ripetute, l'Argentina è ora al ventiseiesimo posto, appena dopo il Belgio, paese che ha un quarto della sua popolazione. L'italia forse non sarà un paese in default ripetuto come la nazione sudamericana, ma “si può capire tanto dell'Italia osservando l'Argentina”, dice Tanzi. OLIVETTI, ITALIA Non c’é un’unica ragione per il declino economico dell’Italia, cosí come non c’é un’unica spiegazione per il crollo dell’Olivetti. Camillo Olivetti fondó l’azienda nel 1908, avviando la produzione di macchine da scrivere di lusso. La ditta poi fiorì come pioniera nel campo dell’elettronica sotto suo figlio Adriano negli anni ’50, producendo nel 1959 uno dei primi computer completamente transistorizzati al mondo. Il suo primo personal computer, presentato nel 1965, venne usato dalla NASA nella pianificazione dell’atterraggio dell’Apollo 11 sulla luna. L’azienda produsse anche la prima macchina da scrivere elettronica al mondo, nel 1978. L’Italia prosperò negli anni ’60 e ’70, e divenne, da economia povera e principalmente rurale che era nel dopoguerra, uno dei paesi fondatori del G7, il Gruppo dei Sette paesi industrializzati. Era rinomata per il suo vigore e il suo stile grazie a figure come il direttore della Fiat Gianni Agnelli e come Enzo Ferrari, fondatore dell’azienda di automobili sportive e da corsa. L’Alitalia, sua linea aerea nazionale, era tra le piú ammirate a livello mondiale. Nel suo periodo d’oro, i prodotti all’avanguardia dell’Olivetti godevano di profitti che superavano fino a 35 volte i costi di produzione, che venivano poi reinvestiti in progetti di ricerca e innovazione nei laboratori di Ivrea e in California. Le vendite e i profitti conobbero un picco a metá degli anni ’80, quando il computer M24 vendette piú di 200,000 unitá negli Stati Uniti, portando l’Olivetti ad essere il secondo produttore di computer al mondo dopo l’IBM. “Lavoravamo al massimo per soddisfare la domanda,” racconta Massimo Benedetto camminando nello stabilimento deserto che una volta ospitava fabbriche e uffici per 8,000 impiegati. Il magnate Carlo De Benedetti comprò l’Olivetti nel 1978, e all'inizio le cose andarono bene. Ma all’inizio degli anni ’90, con l’aumento della competizione dagli Stati Uniti e dall’Asia, De Benedetti iniziò a concentrarsi sul resto dei suoi investimenti: finanza, alimentari ed editoria. Lasció l’azienda nel 1996, e l’anno successivo quest’ultima vendette la divisione relativa ai personal computer, spostandosi nell’ambito delle telecomunicazioni. Era l’inizio della fine. Dopo una serie di complesse fasi di riorganizzazione, Olivetti si ritrovò ad essere una divisione di Telecom Italia, la quale tentó di rilanciare il business di macchine per uffici, rimuovendo addirittura la “O” rossa anni settanta, logo dell’Olivetti. La nuova azienda non riuscì a decollare. L’Olivetti conta tuttora globalmente meno di 700 impiegati. L'anno scorso ha dichiarato 265 milioni di euro di fatturato, vendendo registratori di cassa, stampanti e la sua versione dell’Ipad, conosciuta come “Olipad”. LOTTA PER LA SOPRAVVIVENZA Molti a Ivrea criticano lo Stato italiano per non aver promosso una cultura tecnologica. Il fallimento cruciale, peró, fu quello che seguí la caduta dell’Olivetti: il nulla. In tutto il mondo aziende nascono e muoiono regolarmente. Il destino dell’Olivetti è stato condiviso da altri giganti industriali europei come l’ex compagnia telefonica finlandese Nokia, le aziende automobilistiche svedesi Saab e Volvo o la British Leyland in Gran Bretagna. Ad Ivrea si prestò poca attenzione alla rigenerazione, sia dal parte del governo che dai privati cittadini. Lo Stato, il quale si occupa della maggior parte dei fondi pensione del paese, offrí pensioni generose ai lavoratori dell’Olivetti che avevano perso il lavoro. Le politiche di prepensionamento sono uno dei motivi per i quali l’Italia spende piú denaro pubblico sulle pensioni in rapporto al PIL di tutte le altre nazioni europee: il 15 % contro l’11% della Germania e il 7% della Gran Bretagna. È anche il motivo per il quale gli impiegati che hanno perso il lavoro sono poco motivati ad affrontare nuovi periodi di formazione e a cercare un nuovo lavoro. Gli ex impiegati dell’Olivetti di Ivrea che si sono reinventati come imprenditori si sono concentrati soprattutto su prodotti esportabili. Antonio Grassino, un ex ingegnere dell’Olivetti che ha lasciato l’azienda nel 1986, ora guida una compagnia che collauda circuiti elettronici. La Seica SpA dá lavoro a 110 persone e ha un giro d’affari annuo di 21 milioni di euro, 80% dei quali povengono dall’esportazione. Tra i clienti ci sono la Boeing, Samsung e Thales. Grassino, come molti degli imprenditori italiani di successo, dice che lavorare qui rende la vita piú difficile. L’instabilitá politica, dice, rende impossibile pianificare il futuro sia per le aziende che per gli individui. L’Italia ha avuto 65 governi nei 69 anni dalla Seconda Guerra Mondiale. Ogni nuovo governo disfa gli sforzi del precedente per iniziare tutto da capo. “Non si sa mai se un nuovo incentivo fiscale che viene annunciato sia davvero operativo e per quanto tempo,” dice. “Allo stesso modo non sono motivato ad assumere qualcuno adesso se penso che ci possano essere incentivi per nuove assunzioni nel prossimo futuro.” Per gli stranieri è ancora piú difficile districarsi tra normative e regolamenti in continuo cambiamento. Secondo l'OCSE gli investimenti esteri in Italia hanno subito un crollo del 58% negli ultimi sei anni e sono la metá rispetto a quelli che interessano la Germania, la Francia o la Gran Bretagna, Stefano Sgrelli, il fondatore di Salt & Lemon, ha cominciato a lavorare in Olivetti nel 1980, dopo aver disegnato il software per un gioco elettronico. E' stato in California tre anni per l'Olivetti, per lasciarla nel 1993, quando ha fondato un'impresa di servizi informatici con un vecchio collega. Dal 2009 si è dedicato, con quattro soci, alla Salt & Lemon, operando droni per una clientela sempre più vasta, spaziando dal cinema all'agricoltura. Come tanti a Ivrea, è esasperato dalla burocrazia. Prima di poter fatturare I suoi clienti in Italia, dice, deve dimostrare di aver versato i contributi previdenziali per i dipendenti. Eppure è difficile ottenere informazioni sulla situazione previdenziale da agenzie i cui registri non sono mai aggiornati. “Ciò spiega il successo che hanno all'estero tanti imprenditori italiani. Non riescono a credere quanto sia facile” ride sotto i baffi Sgrelli. Sua figlia Diana, di 22 anni, ha deciso di studiare ingegneria all'Università di Torino, ignorando quindi il consiglio del padre di andare a studiare all'estero. Lui spera che che si deciderà a partire dopo la laurea. Se lo farà, si unirà a quello che ha tutte le caratteristiche di un esodo. Virtualmente prosciugata negli anni settanta col miglioramento degli standard di vita, l'emigrazione italiana è riesplosa negli ultimi 10 anni. Le stime dicono che, dal 2011, 250.000 italiani si sono trasferiti nella sola Londra, facendone la sesta città italiana più popolosa dopo Genova. La maggior parte di coloro che lasciano il paese sono in possesso di un diploma di scuola superiore o di laurea. Luigi Zingales, professore di economia all'Università di Chicago, nonché uno degli economisti italiani più in vista, dice “Quando si ha di fronte un'organizzazione o un paese che non funziona, le soluzioni possibili sono due: la protesta o la partenza. La partenza riduce la pressione della protesta e di conseguenza la possibilità di un cambiamento all'interno”. Renzi è l'ultimo, in ordine di tempo, che promette riforme. Sta lavorando per liberalizzare un mercato del lavoro ingessato, ha presentato un pacchetto di norme anti-corruzione, e si è impegnato a semplificare la burocrazia per le imprese, nominando addirittura un ministro per la 'semplificazione'. Sgrelli si sforza di essere ottimista. “Credo che, seppur con incredibile lentezza, la situazione si evolverà,” dice, “ma parliamo in termini di generazioni, non di anni.” " Gavin Jones e James Mackenzie per Reuters 10 Siamo #10milionisenza diritti di rappresentanza. Riprendiamoceli! Minipost 16.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); Ci sono oltre 10 milioni di cittadini europei senza rappresentanza. tutti coloro che hanno votato il M5S, lo UKIP e gli altri componenti del gruppo europeo EFDD si sono infatti visti privare della possibilita' di eleggere i loro presidenti e vicepresidenti nelle commissioni parlamentari. Fai sentire la tua voce e manda questa mail alla Commissione Europea, al Parlamento Europeo e alla Corte di Giustizia Europea: "Ci sono oltre 10 milioni di cittadini europei senza rappresentanza. Tutti coloro che hanno votato il Movimento 5 Stelle, lo Ukip e gli altri componenti del gruppo europeo EFDD si sono infatti visti privare della possibilità di eleggere i loro presidenti e vicepresidenti nelle commissioni parlamentari. Tali ruoli, essenziali per un corretto bilanciamento democratico, sono sempre stati attribuiti per consolidata prassi istituzionale attraverso l'utilizzo del metodo D'Hondt. Tuttavia, nella legislatura corrente, le forze politiche maggiori si sono coalizzate per negare al gruppo EFDD la possibilità di esprimere i suoi presidenti e i suoi vicepresidenti. Questo contravviene al principio di inclusione democratica e di tutela delle minoranze, che deve certamente ispirare una unione come quella europea e senza il quale si assisterebbe all'imposizione delle idee dominanti mediante la sottrazione del diritto di rappresentanza. Tra quei "10 milioni" di cittadini europei ci sono anche io e chiedo di essere trattato come tutti gli altri. Non voglio avere più diritti, ma certamente neppure meno di quelli che mi spetterebbero se le mie idee politiche mi avessero portato a votare altrimenti, magari in maniera più allineata al pensiero dominante. Non può essere che vi siano 10 milioni di persone senza qualcosa che agli altri è invece concesso. Chiedo dunque che per quanto riguarda la composizione delle commissioni e la distribuzione delle nomine venga ripristinata la quota di rappresentanza che la corretta applicazione del metodo D'Hondt avrebbe garantito a tutte le forze politiche. Uno di #10milioniSenza" Manda questa mail alla Commissione Europea, al Parlamento Europeo e alla Corte di Giustizia Europea #BastaSoldiAiGiornali: la proposta M5S in Commissione Informazione 17.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); >>> Oggi 17 luglio presso la Camera dei Deputati alle ore 15.00 si terrà l'incontro tra la delegazione del M5S e quella del PD sulla legge elettorale. La diretta streaming sarà trasmessa sul blog e su La Cosa "Oggi nella VII Commissione “Cultura, Scienza e Istruzione”, si discuterà la prima proposta di legge scritta con i cittadini iscritti al M5S, quella sull'abolizione del finanziamento pubblico all'editoria. Facciamo una doverosa premessa ricordando che: “il dovere più pregnante del giornalista e caposaldo del diritto di cronaca è il dovere di verità, considerato sia dalla legge n. 69 del 1963 che dalla stessa Carta dei doveri quale "obbligo inderogabile". Gli organi di informazione sono l'anello di congiunzione tra il fatto e la collettività. Essi consentono alla collettività l'esercizio di quella sovranità che secondo l'art. 1 della Costituzione "appartiene al popolo". Un'informazione che occulta o distorce la realtà dei fatti impedisce alla collettività un "consapevole esercizio della sovranità”. La situazione in cui versa l’editoria “tradizionale” è drammatica e la politica è chiamata a trovare delle soluzioni per realizzare il necessario rinnovamento del sistema informativo del nostro Paese, per portarlo qualitativamente alla pari di altri grandi Paesi (ricordiamo che l’Italia si trova al 49° posto del ranking 2014 del Reporters senza frontiere sulla libertà di stampa dietro a paesi come Estonia, Giamaica, Costa Rica, Namibia, Capo Verde, Ghana), per agevolare il pluralismo informativo, per promuovere un corretto e concreto inserimento dei tanti giovani giornalisti che oggi sono costretti a lavorare nelle redazioni per pochi euro al pezzo. Anche negli altri Paesi europei lo Stato interviene per aiutare, in campo editoriale, ma lo fa per incentivare nuove iniziative, promuovere l’innovazione, aiutare i piccoli a crescere, insomma per aumentare il pluralismo e il ventaglio delle offerte, favorendo così l’allargamento del mercato e la stessa occupazione di settore. Invece, in Italia, il sistema del finanziamento pubblico all’editoria ha finito per trasformarsi in un mero strumento utilizzato dai partiti per favorire realtà editoriali ad essi collegate direttamente o indirettamente agevolando gli interessi dei grandi editori e tutelando le grandi firme a discapito di pluralismo, qualità dell’informazione e libertà di stampa. Se è vero che negli ultimi anni gli stanziamenti si sono ridotti, è pur vero che il flusso di denaro pubblico per il settore continua ad essere consistente. Qualche numero: per il 2014, il dipartimento per l'Editoria della presidenza del Consiglio ha a disposizione circa 140 milioni di euro. Stessa cifra per il 2015 e per il 2016. E oltre alla dotazione del dipartimento, l'ultima legge di Stabilità ha stanziato ulteriori risorse per il sostegno all'editoria: 50 milioni per il 2014, 40 milioni per il 2015 e 30 milioni per il 2016. Quindi, solo nel 2014, 190 milioni di euro di soldi pubblici andranno all’editoria. Di questi fondi una buona parte andrà in contributi diretti, quindi per intenderci sarà destinata anche a giornali di partito o ad altre testate come Avvenire (€ 4.355.324,42), Europa (€ 1.183.113,76), Il Foglio (€ 1.523.106,65), Italia Oggi (€ 3.904.773,62), Il Manifesto (€ 2.712.406,23), L’Unità (€ 3.615.894,65) [dati del 2012]. Ben più cospicui, anche se difficili da quantificare, sono invece i contributi indiretti: agevolazioni IVA, agevolazioni postali, obbligo di pubblicazione dei bandi pubblici, ecc.Ora chiediamo: a chi dovrebbe giovare tutto ciò? Per noi la risposta è banale: questo cospicuo ammontare di denaro non ha nulla a che vedere con quello che dovrebbe essere il fine ultimo di una buona politica, ossia tutelare l’art. 21 della Costituzione, bensì mira a gonfiare le casse degli editori che restituiranno il favore in termini di “riconoscenza” nei confronti del governo di turno.In questi giorni è vivacissimo anche il dibattito relativo alla tutela del diritto d’autore on-line, materia su cui è già intervenuta di recente AGCOM adottando un regolamento su cui siamo molto critici. A riguardo, il M5S ha presentato una relazione all’AGCOM dalla quale si evincono tutte le nostre perplessità ed una proposta di legge (Atto Camera: 1639) che invece contiene le nostre proposte. In sostanza noi vorremmo superare l’approccio che l’ordinamento italiano ha adottato finora in materia di diritto d’autore on-line, limitandosi ad una mera repressione delle condotte di condivisione abilitate dallo sviluppo della rete internet e vorremmo, al contrario, coglierele straordinarie possibilità offerte dalle reti di comunicazione in termini di accesso alle opere tutelate dal diritto d’autorecreazione e di condivisione di nuove opere- sviluppo di nuove iniziative imprenditoriali rese possibili dalla rivoluzione digitale. Indro Montanelli ha lasciato ad ogni giornalista tre semplici regole: 1) guadagnarsi la fiducia del lettore dicendo sempre tutta la verità e, se ci si sbaglia, chiedere scusa immediatamente; 2) scrivere con un linguaggio semplice, quello del lettore e non quello “dell’Accademia, peste e dannazione di una cultura”. Essere sempre al servizio del lettore; 3) non far mai sentire al lettore la propria opinione: “che te ne sia fatta qualcuna, è inevitabile; e chi lo nega, o è un imbecille o è un bugiardo. Ma non si può né si deve imporla al lettore; bisogna lasciargliela suggerire dai fatti secondo il modo in cui gli si raccontano”. E invece cos'è il giornalismo oggi anche e soprattutto a causa di quei finanziamenti pubblici che oggi vogliamo abolire? L'intento del M5S è quello ambizioso di rinnovare l’informazione e liberarla dal giogo dei partiti e dei pochi editori che ne detengono il controllo nel nostro Paese. Parafrasando Enzo Biagi: “Credo nella libertà di espressione, cioè giornali e televisioni liberi di criticare il potere.“ Per 11 raggiungere questo obiettivo, noi riteniamo si debba passare anche dall’abolizione del finanziamento pubblico all’editoria così com’è concepito oggi in favore di una nuova forma transitoria destinata alla realizzazione di una reale innovazione e che produca un reale pluralismo. Dopo la giornata di oggi vi terrò aggiornati sull'iter della nostra proposta di legge." Giuseppe Brescia, portavoce M5S Camera Paolo Becchi parla a titolo personale, non è l'ideologo del M5S e non ne condivide assolutamente le valutazioni. Lo si prega di esternare solo a titolo personale Renzi e i ''comitatini'' Minipost 17.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "La Basilicata e la Sicilia sono meglio del Texas, il Mar Mediterraneo è pieno di oro nero che aspetta solo di essere estratto per renderci tutti ricchi, le persone che in tutta Italia si oppongono allo sfruttamento del proprio territorio e alla distruzione della propria economia sono solo "tre, quattro comitatini". Questi sembrano essere, ad oggi, i pensieri del Premier Renzi, almeno stando a quanto dichiarato in un'intervista al Corriere della Sera. Forse offuscato dalla voglia di fare, Renzi ha dimenticato di analizzare in maniera approfondita i dati, quelli veri. Parla di 40.000 posti di lavoro, prendendo per buoni i dati di Assomineraria (che ha recentemente dichiarato anche che le trivelle in mare fanno bene alla pesca), e dimenticandosi ad esempio di rapporti di Confindustria e sindacati, che evidenziano come il ramo occupazionale legato all'efficienza energetica sia enormemente più ampio e importante. Si potrebbero creare 160 mila posti di lavoro l'anno per dieci anni, senza considerare l'indotto per l'economia e i risparmi per i cittadini. Ma Renzi sembra proprio non voler capire che il futuro sono le energie rinnovabili e l'efficienza energetica. Quanto al Texas italiano, è evidente che il petrolio della Basilicata non ha di certo portato sviluppo economico e benessere agli abitanti della regione, ma semmai soldi nelle tasche di pochi (e sempre i soliti). Stesso discorso vale per le trivellazioni off-shore della Sicilia, dove i rischi e i danni (ad esempio su turismo e pesca sostenibile) sono tutti sulle spalle dei cittadini, mentre i guadagni finiscono altrove. E per cosa? Per estrarre un quantitativo di petrolio che, stando ai dati ufficiali del Ministero per lo Sviluppo Economico, non coprirebbe neppure due mesi di consumi del sistema paese. Senza considerare le royalties, tra le più basse d'Europa. E che dire dei comitati locali, quelle centinaia di migliaia di persone che, ogni giorno, in tutta Italia, vivono sulla propria pelle le conseguenze delle fonti fossili? [...] Il nostro messaggio è chiaro: "Non è un paese per fossili". Né per fonti fossili, né per politici fossili." Luca Iacoboni Greenpeace, Campaigner Energia e clima L'#IncontroM5Spd sulla legge elettorale Ha vinto Juncker e l'Europa dell'austerity MoVimento 17.07.2014 Minipost 17.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Oggi abbiamo incontrato il Pd. Lenti devo dire: hanno rimandato ad un altro tavolo... dopo 25 giorni di gestazione dal primo. Non gli lasceremo spazio per alibi o perdite di tempo. Dall'inzio della nostra esistenza abbiamo sempre detto "collaboriamo punto su punto" con chi ci sta. Sulle preferenze c'è stata un'apertura (che verificheremo eccome). Non siamo assolutamente d'accordo sul loro Senato non elettivo, ciò non vuol dire che non possiamo votare insieme l'abolizione dell'immunità parlamentare e gli altri punti esaminati al tavolo. Occhi puntati sul Senato dalla settimana prossima. Si vota per l'immunità parlamentare e vediamo se tengono fede agli impegni di fine tavolo." Luigi Di Maio 12 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Con l'elezione di Juncker alla Presidenza della Commissione Europea, ha vinto l'Europa dell'austerity. Ha vinto l'Europa dei sacrifici che non bastano mai; quell'Europa che ha già spezzato migliaia di vite sotto il peso insostenibile del debito, della disoccupazione e della povertà dilagante. Ha vinto l'Europa del Fiscal Compact, partorito dall'Eurogruppo proprio quando lo stesso Juncker ne era a capo. Il M5S condanna senza mezzi termini la linea di continuità politica che si realizza all'interno della Commissione Europea con l'elezione del nuovo presidente, ribadendo il proprio impegno per la trasparenza e la democrazia. Non potranno più agire indiscriminatamente. La maggioranza del Parlamento Europeo ha votato per la vecchia politica, gestita in segreto; ha votato per garantire ancora una volta il potere esercitato da banche e multinazionali. Ma oggi in Parlamento siede il Movimento 5 Stelle, determinato a vigilare e ad agire perché in futuro a vincere non sia più l'Europa dell'austerity di Juncker, ma sia finalmente l'Europa dei cittadini." M5S Europa Nadine Gordimer - Intervista di Peter Panton Informazione 18.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); Oggi, 18 luglio 2014 ricorre l'anniversario della nascita di Nelson Rolihlahla Mandela (Mvezo, 18 luglio 1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013) e voglio ricordarlo pubblicando questa intervista esclusiva recapitata al Blog da un giornalista, autore e imprenditore inglese che vive nel nostro Paese, Peter Panton, che aveva intervistato Nadine Gordimer verso la fine degli anni ‘80. La scrittrice Sudafricana Nadine Gordimer morta a 90 anni (23 Novembre 1923 - 14 Luglio 2014). La sua figura rappresenta un fulgido esempio del detto “la penna è più potente della spada.” Fortemente contraria al sistema dell’Apartheid nel suo paese nativo (il Sudafrica), ha incentrato il suo lavoro quasi esclusivamente su questa battaglia culturale, descrivendolo in modo esemplare nelle storie delle persone comuni. Tale è l’immagine che ha dipinto del Sudafrica nel corso dei suoi 35 anni di carriera da scrittrice da spingere il critico Stephen Clingman a sottotitolare un suo libro sul lavoro della Gordimer “La storia dall’interno” (Nadine Gordimer. History from the inside). Il lavoro di Nadine Gordimer è ormai stato largamente acclamato e il suo nome è spesso citato per quanto riguarda il Premio Nobel sebbene lei, modestamente, nega di essere all’altezza. Peter Panton: Ma quando ti sei resa conto per la prima volta delle complessità della società Sudafricana? Nadine Gordimer: Beh, quando avevo 14 o 15 anni. PP: E da lì hai provato il tuo senso di risveglio politico? NG: Beh… Non è che mi sia improvvisamente unita a un partito politico, infatti all’epoca non c’era alcun partito che avrebbe potuto soddisfare questo mio risveglio, ma pian piano ho cominciato a guardare con occhi nuovi al mondo in cui vivevo, in cui ero cresciuta e come viveva la popolazione bianca – Io sono cresciuta in un piccolo paese minerario fino ai miei 20, 21 anni, e sono andata, piuttosto tardivamente all’Università di Johannesburg. Non avevo mai incontrato dei neri che avessero gli stessi miei interessi e che … avessero il mio stesso livello di formazione. Neri con cui potevo parlare da simili, allo stesso livello. Da bimba avevo sempre presunto che i neri erano così diversi da noi. I bambini neri non andavano alle stesse scuole dei bimbi bianchi. Io andavo a una scuola di convento, dove non c’erano bambini neri. I neri vivevano in zone periferiche, non potevano utilizzare la biblioteca e non potevano andare al cinema, e quindi da bambino o bambina si tende ad adottare le attitudini e i valori dei propri genitori. Io supponevo che questa cosa fosse del tutto naturale. PP: Da Sudafricana bianca che si oppone all’Apartheid, come vorresti che il cambiamento politico avvenisse in Sudafrica? NG: Beh, in realtà vorrei che avvenisse in modo pacifico ma ormai si parla già del passato poiché sta già capitando proprio ora e non è per niente pacifico. Come dice il Vescovo Desmond Tutu, l’unica speranza è di limitare la violenza. Pensiamo ai 14 anni di guerra in Zimbabwe. Oggi se si cammina per le strade di Harare si vedono persone a spasso, una con un braccio amputato, un’altra con una gamba distrutta, e poi tutta la distruzione nelle campagne limitrofe. E mi chiedo: veramente non possiamo imparare qualcosa da questo? Riforme PP: Ma questi mutamenti di cui si legge, come l’eliminazione dei “Pass” (libretto d’identità che neri in Sudafrica dovevano avere con sé sempre per evitare di finire in galera) e vari altri cambiamenti che stanno arrivando molto lentamente…? NG: Occhio però, bisogna guardare bene il dettaglio. Per quanto riguarda la legge contro l’immoralità, beh, nessun problema. Prima di tutto interessa circa 1% della popolazione, ma poi, dove andrai a vivere? Diciamo che tu hai una moglie nera o io un marito nero e ora che questo non è più illegale, non finiremmo in galera per esser andati a letto con tua moglie o mio marito, però tu non potrai venire ad abitare accanto a me con la tua moglie nera dato che la mia zona è esclusivamente dei bianchi e il marito nero non potrà andare a vivere a Soweto con la sposa bianca perche quella è una zona dei neri. Quindi, vedi che quando incominci a smantellare l’Apartheid scopri un enorme groviglio. E poi, per quanto riguarda le leggi sui “Pass”, questa è una cosa che tutti attendevano da molto tempo, ma anche qui la storia è molto complicata. Siccome le leggi sui “Pass” sono state revocate, ciò significa che tu hai la libertà di andare dove vuoi. Quindi tu dici “Bene, ora che non ho più un “pass” che dice che devo lavorare solo a Johannesburg, io voglio andare a Durban, quindi vado”, ma non puoi andare a Durban finché non dimostri che hai un posto di residenza. E se sei nero… Io che sono bianca posso andare a vivere dove mi pare. Quindi non è tutto bello come sembra. È un cambiamento molto lento. PP: Si, però non se guardiamo l’America, non pensi che ancora negli anni 60 anche lì c’erano problemi molto simili a quelli del Sudafrica, basta pensare a libri come “To Kill a Mockingbird…” NG: Beh, senz’altro. PP: … e tutti quei libri magnifici che raccontano del Sud, che hanno entusiasmato tanta gente. La situazione lì era molto simile ma penso che oggi, dopo non tantissimi anni, le cose si sono più o meno tranquillizzate, anche se ancora oggi hanno dei problemi in America … NG: Beh, si, ma vedi, in America c’erano due differenze enormi. La prima è che nella maggior parte degli stati, se tu volevi diritti uguali per i neri, la legge era dalla tua parte. Tu imponevi la legge e quindi dovevi contrastare l’ingiustizia. In Sudafrica invece, se i neri vogliono l’uguaglianza, o se tu la vuoi per loro, sei latitante perche stai sfidando la legge. Questa è una differenza enorme e poi, in America i neri sono la minoranza mentre qui la situazione è opposta: quattro milioni e mezzo di bianchi su una popolazione 13 totale di circa 30 milioni… Il sistema tribale PP: Tante persone fuori dal Sudafrica non capiscono le complessità del sistema tribale in Sudafrica – per esempio, in Zimbabwe c’è stato parecchio spargimento di sangue tra le varie tribù. Pensi che la stessa cosa potrebbe capitare anche in Sudafrica? NG: No. PP: O sta già capitando? NG: Vedi, qui in Sudafrica la questione delle differenze tribali sono una cosa che le persone fuori, l’occidente, gli occidendali, i governi che sostengono il governo Sudafricano, sia pubblicamente sia di nascosto - enfatizzano. Qui in Sudafrica, negli ultimi 60 il sistema tribale è stato eroso dall’industrializzazione. È stata una cosa veramente dura. La crescita veloce dei centri industriali ha portato tanti lavoratori di diverse tribù ovunque, vivendo assieme in ghetti. Pensa, solo a Soweto ci sono ben più di un milione di persone e Soweto è solo una delle zone dei neri, e queste persone vengono da tante tribù diverse. C’è solo un pericolo, che è la zona del KwaZulu. Zona con un’alta concentrazione di persone provenienti dal “Zululand” (la terra degli Zulu). Questo posto ora è governato Mangosuthu Buthelezi, amato di tanti occidentali che lo considerano un moderato… PP: Ma lui è veramente un moderato? NG: E’ un leader nero. Ma penso che rappresenti un grande pericolo perché, anche se non ha ottenuto l’indipendenza totale, ha comunque una sua base in quella zona, con un proprio esercito che spesso aggredisce chiunque non segua e non sostiene Buthelezi. Quando arriverà il cambiamento, e sicuramente arriverà, non so se lui sarà disposto a far parte di un Paese unito o se forse vorrà piuttosto mantenere la sua base di potere. Nelson Mandela PP: Si dice che sia Stephen Boesak sia Mandela siano tuoi amici personali. Il nome di Mandela è spesso suggerito come il candidato eccellente per introdurre il governo maggioritario in Sudafrica, ma certi osservatori hanno cinicamente suggerito che il più grande contributo che lui potrebbe dare al movimento di liberazione sarebbe di restare in carcere perche così sarebbe per loro il punto focale. Prima cosa, pensi che il governo potrebbe scarcerarlo e seconda cosa, cosa pensi che succederà se dovessero scarcerarlo? NG: Beh, vorrei prima commentare ciò che hai detto poco fa. Penso che era vero forse fino a un anno, un anno e mezzo fa. Purtroppo per lui, il più grande contributo di Nelson Mandela alla cause è che ha sacrificato la sua vita per diventare quel punto focale in carcere. Ma penso che ora non è più cosi. Ed è molto importante che lui esca dal carcere. E’ di vitale importanza. PP: Pensi che questo accadrà mai? NG:. Beh, comincio a pensare che ciò non avverrà. Penso che il governo Sudafricano abbia tentato in tutti i modi, senza successo, di dividere la leadership del A.N.C. Se hai seguito i vari dibattiti e discorsi tenuti recentemente, avrai sicuramente colto le ipotesi che all’interno del A.N.C. ci sono due fazioni diverse. Una è la fazione comunista e l’altra è la fazione “più moderata” e penso che la cosa che il governo avrebbe voluto fare è rilasciare Mandela senza rilasciare tutti gli altri insieme a lui. Ma ora Mandela non accetterà di uscire… PP: Se gli altri non vengono rilasciati con lui… NG: … I suoi compagni, sì. Vedi, lui non accetterebbe mai un simile trattamento perche vuole mantenere unità all’interno del movimento, ma è comunque molto importante che lui esca dal carcere, vista l’insurrezione che sta avvenendo ora in Sudafrica. C’è il rischio che i giovani si stiano abituando a dirigere una propria campagna di liberazione, il che è una cosa veramente pericolosa. Molti di questi giovani sono andati a scuola per un solo mese nell’ultimo anno, e quando parlo di “scuola” intendo tutti e quattro i livelli scolastici dove ci sono alunni di ventuno o ventidue anni che non hanno potuto permettersi di andare a scuola in modo continuo come noi. PP: Quindi non esiste regolarità scolastica per bambini neri? NG: No, e penso che ci sia la necessità di avere una figura centrale, non solo quella di Mandela ma anche quella di altri, per dirigere queste energie. Perché esiste il pericolo che i giovani si abituino ad avere questo potere che hanno conquistato, tanto da non poterli più controllare. Potrebbe diventare un problema dopo l’arrivo del governo maggioritario, e per di più, la cosa più importante è che non ci sia uno spargimento di sangue. Quindi secondo me solo la presenza di Mandela e dei suoi tenenti potrebbe disinnescare questo tipo di pericolo. Però il governo dovrebbe prima metter fine alla propria violenza. Il governo dice sempre che Mandela deve rinunciare alla violenza, ma a sua volta il governo non offre di rinunciare alla sua violenza. Il futuro PP: Che futuro vedi tu per i bianchi in Sudafrica con un governo maggioritario? NG: Dipende interamente dai bianchi. Se ci sarà un governo maggioritario in Sudafrica, la maggiore parte dei neri voteranno per l’African National Congress e l’A.N.C non è e non è mai stato un partito anti-bianchi e neppure visualizza un Sudafrica senza la popolazione di bianchi. Ha sempre fatto di tutto, quasi arrivando all’estremo, rischiando un attacco dai neri separatisti, per mantenere i rapporti con i bianchi. Ci sono sempre stati dei bianchi nella gerarchia direttiva del partito, in ruoli piuttosto elevati. Il partito ha sempre collaborato con i bianchi e non c’è alcuna possibilità che I bianchi vengano cacciati dal Paese se l’A.N.C sarà destinata a essere la forza di governo in Sudafrica. Io penso che se tu sei bianco, allora dove stai? Vuoi far parte di un gruppo separatista bianco con protezioni speciali, o vuoi piuttosto essere un Africano con la pelle bianca? Io penso che il futuro per I bianchi sarà di essere africani bianchi. Bisogna sinceramente accettare il fatto che questo è ed è sempre stato un Paese nero, con una maggioranza di neri e che si dovrà imparare a vivere con una leadership nera. Fino ad ora i bianchi sono stati abituati a gestire tutto, decidere tutto e avere tutto per se stessi, come se il paese fosse un enorme “country club”. ADDENDUM: Nelson Mandela fu il primo Presidente nero del Sudafrica (1994–99). I suoi negoziati con il Presidente Sudafricano in carica, F.W. De Klerk nei primi anni ’90 contribuì a eliminare il sistema di apartheid, cioè la segregazione del paese a base razziale e l’inaugurazione di una transizione pacifica a un governo maggioritario. Il M5S in UE: Morti a Gaza, l'Europa dov'è? Eletti e non nominati. #GrazieRenzi Minipost 18.07.2014 Politica 18.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Non siamo qui per sostenere ciecamente una fazione o per appiccicare sul nostro petto una etichetta per interesse, ci schieriamo unicamente a favore di due popoli, quello palestinese e quello israeliano, che reclamano entrambi il diritto all’esistenza e a una vita normale per i loro figli. Ci schieriamo in difesa dei civili innocenti, dei più deboli, che troppo spesso hanno l’unica colpa di avere ereditato una storia dolorosa, di vivere vicino a un confine contestato, di attraversare la strada sbagliata al momento sbagliato. [...] Se l’Unione Europea ambisce a essere un attore globale sulla scena internazionale, è proprio questa l’occasione per dimostrare che con una unica voce può e vuole essere all’altezza delle sue ambizioni, perché il Mediterraneo non è il fossato di un castello medioevale, ma un ponte tra civiltà. Vi chiedo quindi di usare tutto il nostro coraggio per impedire che l'genda dei negoziati sia dettata dagli opposi estremismi, perché l’unico estremismo che possiamo accettare è quello del dialogo a ogni costo, quello della pace, fondata su eguali diritti e uguali dignità. Trovare l’accordo tra le parti, partendo dalla proposta egiziana per una tregua duratura e poi contribuire a disegnare un futuro in cui due popoli liberi, di due stati indipendenti, convivranno finalmente in armonia. Questi a mie parere dovrebbero essere i nostri due obiettivi come Parlamento che ha l’onere di rappresentare la democrazia in Europa." Fabio Massimo Castaldo, portavoce M5S Europa - leggi l'intervento integrale 14 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); "Alla fine, l’incontro con il PD si è svolto ed è durato un’ora e mezza. Certo, dopo ben 25 giorni di fitto e intenso rapporto epistolare ci saremmo aspettati che arrivassero al tavolo con idee più chiare, una maggiore concretezza e anche più preparati. Ma non si può pretendere la luna. Malgrado i proclami di rapidità, il succo è che su quasi tutto si è preso bradipescamente altro tempo. Trattativa completa quindi che dovrebbe essere rinviata a una data ipotetica e condizionata alle mille vicissitudini parlamentari. Renzi parla di 15 giorni ma potrebbe slittare addirittura a settembre. Il M5S era pronto a chiudere ieri. Ci dispiace per il Pd ma non c'è più tempo. Il M5S non se la sente di prendere per il culo i cittadini italiani per un'intera estate. Resta comunque la grande soddisfazione per l’apertura e il parere positivo ottenuti sull'introduzione delle preferenze nella legge elettorale che a questo punto diamo per confermati e che voteremo dopo la ratifica della proposta di legge elettorale concordata ad oggi degli iscritti on line. Il tema delle preferenze per noi è fondamentale, è una battaglia iniziata nel 2007 con il primo Vday e con la raccolta di 350.000 firme per l'iniziativa di legge popolare "Parlamento Pulito". Quindi, almeno per questo, grazie a Renzi per aver accolto la proposta di un Parlamento di eletti e non di "nominati". Del resto Renzi stesso si era pronunciato in passato apertamente contro un Parlamento di "nominati". Bisogna dargli atto che, anche se in ritardo, ha mantenuto la sua parola e si spera che la possa mettere in atto. Non crediamo infatti che su questo punto il segretario di un partito che ha avuto il 41 e rotti alle ultime elezioni europee debba chiedere il permesso a un chicchessia di Forza Italia, terza forza politica nel Paese destinata all'implosione e guidata da un pregiudicato. PS: Ieri al tavolo si è ipotizzato un altro appuntamento. Ma al momento si preferisce la ratifica degli attuali punti fin qui negoziati da parte dei nostri iscritti. Saremo pronti a votare la legge elettorale, inclusiva delle preferenze, direttamente in Aula" La delegazione M5S Luigi Di Maio, Danilo Toninelli, Paola Carinelli, Vito Petrocelli In ricordo di Paolo e della sua scorta Le linee del Movimento sono quelle dei cittadini Minipost 19.07.2014 MoVimento 19.07.2014 googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); In ricordo di Paolo Borsellino e della sua scorta, uccisi in via D'Amelio, a Palermo, il 19 luglio del 1992. "C'è un equivoco di fondo. Si dice che il politico che ha avuto frequentazioni mafiose, se non viene giudicato colpevole dalla magistratura, è un uomo onesto. No! La magistratura può fare solo accertamenti di carattere giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere di estromettere gli uomini politici vicini alla mafia, per essere oneste e apparire tali". Paolo Borsellino googletag.cmd.push(function() { googletag.display('div-gpt-ad-137223905 2320-0'); }); Il Pd sta mettendo in dubbio le buone intenzioni del Movimento 5 Stelle al tavolo sulla legge elettorale. E' chiaro a chiunque abbia seguito lo streaming che il M5S aveva 5 punti chiari mentre il Pd cercava di non dare alcuna risposta concreta e di temporeggiare. Renzi parla di una sconfessione dal blog che non c'è mai stata. Non esiste una linea Grillo/Casaleggio. Non esiste una linea Di Maio. Non esistono linee all'interno del Movimento, se non quelle dei cittadini. Il Pd questo fa fatica a comprenderlo perché difende solo le ragioni degli accordi segreti del patto del Nazareno. I fatti di questi giorni in aula al Senato lo dimostrano. Sosteniamo senza riserva alcuna la posizione della delegazione M5S. Per questo faremo ratificare i punti proposti al tavolo sul portale del Movimento di modo che i cittadini iscritti possano esprimersi. Cosi si potrà andare direttamente in aula e votare una legge elettorale con le preferenze: dato che proprio Renzi ha dichiarato più volte durante l'incontro di volere le preferenze nella legge elettorale. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio 15