Volume 9, numero 29
Sommario
20.07.2014
Economia
Editoriale
In fuga dal Senato
Olivetti, Italia
Informazione
Il Senato del Presidente
Dittatura a norma di legge
#BastaSoldiAiGiornali: la proposta
M5S in Commissione
Nadine Gordimer - Intervista di Peter
Panton
Minipost
La zona franca a regime fiscale
agevolato di Ragusa 5 Stelle
Maroni indagato per EXPO 2015
Defranceschi, il maestro di politica
L'intervento di Paola Taverna in difesa
della democrazia
#VotoPalese per l'autorizzazione
all'arresto Galan
Siamo #10milionisenza diritti di
rappresentanza. Riprendiamoceli!
Renzi e i ''comitatini''
Ha vinto Juncker e l'Europa
dell'austerity
Il M5S in UE: Morti a Gaza, l'Europa
dov'è?
In ricordo di Paolo e della sua scorta
MoVimento
L'#IncontroM5Spd sulla legge
elettorale
Le linee del Movimento sono quelle dei
cittadini
Passaparola
Passaparola: Israele Palestina, nessun
vincitore - di Manlio Di Stefano
Politica
Bradipo, rispondi! #bradiporispondi
Ci vediamo giovedì
Eletti e non nominati. #GrazieRenzi
Ricevo la prima busta paga da
onorevole. Guardo e riguardo i cedolini e
non capisco niente. Scopro che il mio
stipendio mensile è di 15.000 euro e che
ho 150 euro di rimborso per il
parrucchiere. Troppi soldi. Accenno a
qualche senatore e pure a qualche
deputato l'idea di proporre una
decurtazione del nostro stipendio a
favore delle situazioni tragiche che si
stanno moltiplicando nel nostro paese.
Ma è come se stessi giocando a squash.
lo sport in cui si lancia la pallina contro il
muro e lei ritorna a gran velocità. Se non
sei un vero campione non riesci neanche
a sfiorarla. Ecco, le mie parole slittano
oltre le orecchie dei senatori come
proiettili di gomma.Loro guardano
altrove,
cambiano
discorso.
Sul
momento non capisco. Me ne renderò
conto solo in seguito quando a Palermo
un gruppodi giovani eletti nel MoVimento
5 Stelletratterrà dal suo stipendio
solamente 2.500 euro a testa degli oltre
12.000 previsti dalla paga mensile; tutto
il resto lo verserà in una cassa per
sovvenzionare le piccole e medie
imprese a rischio fallimento. Su quattro o
cinque eletti di altri partiti presenti
all'operazione, due crolleranno a terra
svenuti. Penso a quante persone che
conosco sbarcano il lunario con 800, 900
euro al mese, pagando affitto, luce e
gas,
mantenendo
pure
i
figli
eccetera.Penso ai pensionati a 450, 600
euro al mese. Penso a quell'anziana
signora che ho incontrato sulla metro e
ho invitato a prendere un caffè. Mi
raccontava serena, come se fossi una
vecchia amica, alcuni espedienti per
farcela "Me la cavo bene, sa....La
verdura la prendo al mercato dopo le
due:buttano nel cassonetto tanta roba
buona, A volte vado a mangiare dalle
suore o al "Pane Quotidiano". La
televisione la guardo a luce spenta, se
sento dei rumori accendo una candela,
mi sento più sicura. Ma a volte con la
candela, se il film è un giallo, ho pure
più paura, così spengo tutto, vado a
letto, mi metto a pregare e mi
addormento". Immaginatevi i miei
1
pensieri e il mio sincero imbarazzo
davanti al mare di soldi della mia paga.
Mi è venuto anche in mente di proporre
un disegno di legge che dimezzi il
numero di parlamentari. Certo, gente che
per anni ha campato solo di politica e a
qualche intrallazzetto o intrallazzone si
ritroverebbe di colpo in mezzo a una
strada, senza lavoro, senza vitalizio,
senza i privilegi d'obbligo. Rovinati
all'istante. No, all'idea di distruggere la
vita a tanti colleghi, ho evitato addirittura
di accennarne. Ormai ho capito che solo
l'allusione a certi atti di generosità e di
senso umanitario può provocare un
infarto. Quindi silenzio e monologhi a
gesti sui buoni sentimenti. Franca Rame,
da In Fuga dal Senato
Il Senato del Presidente
Informazione
13.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "Giornali e Tv parlano, con
una certa enfasi, di “approvazione della
riforma del Senato e del Titolo V”, in
realtà si tratta solo del primissimo passo:
l’approvazione in Commissione, dopo di
che il ddl deve andare in aula (dove le
cose non sono scontatissime), per
passare alla Camera, quindi, dopo tre
mesi, deve tornare al Senato, per poi
tornare alla Camera nuovamente.
Sempre che fra un passaggio e l’altro
non ci scappi qualche emendamento che
fa ricominciare il giro. E non è affatto
escluso che non si debba tenere un
referendum confermativo, visto che
appare poco probabile una maggioranza
dei due terzi in entrami i rami del
parlamento
alla
votazione
finale.
Insomma la strada è ancora lunga. Però
è fatto il primo passo, quello più
importante, che definisce l’accordo
Pd-Fi-Lega con il codino del Ncd (che
non si capisce perché voti una cosa del
genere da cui ha tutto da perdere e nulla
da guadagnare). Lasciando da parte la
questione del Titolo V, su cui torneremo
con una riflessione specifica, la riforma
prevede questi punti. Il Senato sarà
composto da 95 componenti eletti dai
Consigli Regionali, più cinque nominati
dal Capo dello Stato e che resteranno in
carica per 7 anni. Avrà competenza
legislativa decisionale sulle riforme
costituzionali e le leggi costituzionali,
mentre, sulle leggi ordinarie potrà
chiederne la modifica alla Camera che,
però, non sarà obbligata tenerne conto,
con l’unico limite delle leggi che
riguardano il rapporto tra Stato e
Regioni, per le quali la Camera potrà
respingere la richiesta del Senato solo
con voto a maggioranza assoluta. I 95
senatori saranno ripartiti tra le regioni
sulla base della popolazione e saranno
eletti dai Consigli Regionali con metodo
proporzionale
(uno
per
ciascuna
Regione dovrà essere un sindaco). I
senatori parteciperanno all’elezione del
Presidente della Repubblica per il quale
sarà necessaria la maggioranza del 2/3
sino alla terza votazione (come oggi), del
3/5 nelle successive quattro e della
maggioranza assoluta dalla nona in poi
(limite assai tenue, visto che basterebbe
“mandare in bianco” tutte le votazioni a
maggioranza qualificata). Cambia anche
la norma sui Referendum per i quali si
richiedono 800.000 firme, con un parere
preventivo di ammissibilità, pronunciato
dalla Corte Costituzionale dopo le prime
400.000 firme. Poco chiara la norma per
la quale i quesiti pur potendo riguardare
intere leggi o loro singole parti, dovranno
avere “un valore normativo autonomo”.
Per le proposte di legge di iniziativa
popolare le firme necessarie salgono da
50.000 a 250.000, ma i regolamenti della
Camera dovranno indicare tempi precisi
di esame. Prime osservazioni: si
conferma il disegno di sommare ad una
Camera eletta senza preferenze, un
Senato con legittimazione di secondo
grado, il che già indica un regresso del
livello di incidenza popolare sul processo
decisionale. Tuttavia, la norma, per cui il
parere del Senato sarà sostanzialmente
ininfluente sulla legislazione ordinaria, lo
definisce come un ente inutile che la
Camera ignorerà sistematicamente:
anche la maggioranza assoluta richiesta
per respingere le richieste di revisione su
leggi
di
interesse
del
rapporto
Stato-regioni non è un limite reale alla
volontà della Camera, perché è piuttosto
difficile che una legge sia passata senza
una precedente maggioranza assoluta e,
comunque,
la
composizione
maggioritaria dell’organo (con 354 seggi
in mano alla maggioranza di governo)
mette al sicuro da ripensamenti di sorta.
Quello che, invece, definisce come
dannoso questo nuovo Senato è la piena
potestà
legislativa
sulle
riforme
costituzionali e le leggi costituzionali. In
concreto, se la maggioranza del Senato
(cioè dei consigli regionali) sarà dello
stesso colore di quella della Camera,
farà passare tutto senza fiatare, se, al
contrario, prevarrà il colore opposto,
realisticamente assisteremo ad un
braccio di ferro ostruzionistico fra un
contendente con legittimazione di primo
grado e l’altro di secondo. In questo
quadro, un peso notevole lo avranno i 5
senatori di nomina presidenziale che, sin
qui
rappresentavano
l’1,5%
dell’assemblea, mentre nel nuovo
Senato peseranno per il 5,2%, che non è
poco. Non ci vuole la zingara per
indovinare che le nomine presidenziali
dei senatori saranno sempre più
“politicizzate”
e
monocolori,
determinando la nascita di un piccolo
“partito del Presidente” istituzionalmente
tale. Quel che asseconda la tendenza
già in atto di un Presidente sempre più
interventista e sempre meno “arbitro
neutrale”. E questo avrà il suo peso in
particolare nei dibattiti di riforma
costituzionale. Le conseguenze più
pericolose riguardano l’elezione del
Presidente della Repubblica e dei giudici
costituzionali. Sinora la composizione del
collegio elettorale per il Capo dello Stato
prevedeva 630 deputati, 320 Senatori
(315+ quelli a vita, lasciando da parte gli
ex Presidenti) e 58 consiglieri regionali,
per un totale di 1.008 grandi elettori, per
cui la maggioranza assoluta era di 505.
Già l’introduzione del maggioritario ha
sbilanciato fortemente la partita a favore
della maggioranza governativa, quello
che,
però,
trovava
un
limitato
contrappeso nel Senato eletto “su base
regionale”, per cui la maggioranza di
governo era sempre più risicata che alla
Camera e nei 58 consiglieri regionali
che, pure, non erano necessariamente
dello stesso colore della maggioranza
governativa. Nel nuovo Parlamento in
seduta comune, che in totale conterebbe
725 membri (non ci sarebbero più i 58
rappresentanti delle regioni ed i senatori
sarebbero
fortemente
ridotti)
la
maggioranza sarebbe di 363 voti;
considerando che con l’Italicum la
coalizione di maggioranza disporrebbe
già di 354 seggi alla Camera, questo
significa che, con il voto di 9 senatori su
95, potrebbe eleggersi il Presidente da
sola (e con questo acquisirebbe ulteriori
5 voti nel Senato). Ovviamente, a
condizione che il gruppo parlamentare di
2
maggioranza resti compatto e non si
decomponga come è successo al Pd nel
2013. Dunque, l’elezione del Presidente
sarebbe decisa sostanzialmente da una
maggioranza che, con ogni probabilità,
rappresenterebbe solo una minoranza
degli elettori. Ancora peggio per quel che
riguarda i giudici costituzionali, dove,
sulla carta, ad una maggioranza di
governo d’accordo con il Presidente,
basterebbero solo 4 senatori per
prendersi tutti i 5 giudici, che andrebbero
ad affiancarsi ai 5 di nomina
presidenziale. E con 10 giudici bloccati
su 15, facciamo dire alla Costituzione
tutto quello che ci piace. Ancora meno
tranquilli lascia il fatto che nulla si dica
sulla messa in stato d’accusa del
Presidente: stando alla lettera del testo
costituzionale che resterebbe dopo la
riforma, i senatori parteciperebbero
come sempre alla seduta del Parlamento
in seduta comune che dovrebbe
deciderlo ed, ancora una volta, alla
maggioranza di governo basterebbero
pochissimi voti (in questo caso 9 di
provenienza regionale, visto che sarebbe
molto improbabile un voto contrario al
Presidente da parte di uno dei suoi 5
senatori) per decidere il deferimento del
Presidente di fronte all’Alta Corte di
Giustizia. Dunque, tutto spinge verso
una “diarchia imperfetta” fra Palazzo
Chigi ed il Quirinale. Di fatto, questa
riforma, disegna una diarchia imperfetta
ma
consegna
nelle
mani
della
maggioranza governativa non solo
Palazzo Chigi, ma anche le due
principali istituzioni di controllo e
garanzia: Presidente della Repubblica e
Corte Costituzionale (ed ha riflessi anche
per il Csm). Il che mi pare abbastanza
per dire che si avvia un processo di
regime. Non sono mai stato un
presidenzialista ed ho sempre sostenuto
la forma di governo parlamentare, ma di
fronte a questa architettura di potere,
constato
che
sarebbe
meglio,
decisamente
molto
meglio,
una
repubblica
presidenziale,
magari
temperata da un Parlamento eletto con
sistema proporzionale. E tutto questo,
con norme che rendono sempre più
difficile l’esercizio di quei pur limitati
strumenti di partecipazione popolare
diretta (referendum e proposte di legge
di iniziativa popolare, ma sul punto
torneremo).
Nessun
ordinamento
costituzionale nel mondo democratico
contiene un combinato disposto così
micidiale. Siamo ancora in tempo a
fermare tutto." Aldo Giannuli
PS: Non è prevista la partecipazione di
Beppe Grillo a manifestazioni di protesta
organizzate la prossima settimana a
Roma
Bradipo, rispondi!
#bradiporispondi
Politica
13.07.2014
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{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); });
"A Renzie bisogna
riconoscere un grande merito: è
imbattibile a menare il can per l'aia dietro
a un apparente decisionismo. Doveva
fare sfracelli in pochi mesi (attenzione!
da gennaio ha sempre usato la parola
"mesi" senza concludere una fava). E'
poi passato alla parola "giorni", i famosi
"mille giorni" in cui dovrebbe cambiare il
mondo dando così l'impressione di aver
aumentato la sua velocità (attenzione!
giorni sono meno di mesi se uno non ci
fa caso, in realtà ha spostato l'asticella
dai mesi agli anni). L'idea dell'uomo del
destino che con la sua ardimentosità
porta il Paese fuori dal vuoto è
trasmessa anche dal suo accelerare
davanti alle telecamere. Vedete come
corro io... Renzie piè veloce. Il M5S ha
messo alla prova la velocità di Renzie e
ne ha constatato la lentezza da bradipo.
Da settimane è stata data la nostra
disponibilità a convergere sulla legge
elettorale. Il M5S ha risposto alle
richieste del Pd smpre in tempo reale, il
Pd ha fatto ammuina. L'Italia, a
differenza
di
Renzie
e
del
notopregiudicato non può più aspettare i
loro
comodi
discussi
sempre
privatamente nel "club Privè R&B". E'
necessario concludere questo confronto
al più presto. Per cui,se non verrà
confermata una data di incontro con la
nostra delegazione in settimana insieme
a eventuali rilievi alle nostre risposte ne
prenderemo atto e lasceremo che la
trattativa si sviluppi con la benedizione
del Colle tra il notopregiudicato, e forse
da venerdì anche notocarcerato, e il
bradipo fiorentino. Aspettiamo una
risposta nelle prossime 24 ore, o, per
agevolare Renzie, nei prossimi 1.440
minuti o 86.400 secondi. Scelga lui."
Beppe Grillo, Gianroberto Casaleggio
La zona franca a regime
fiscale agevolato di Ragusa
5 Stelle
Minipost
14.07.2014
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{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); });
"A Ragusa, Federico
Piccitto e la sua splendida squadra, dopo
aver azzerato la Tasi a tutti i cittadini,
facendogli risparmiare 5 milioni di euro,
rilancia oggi l'offensiva contro la crisi e
propone di esentare dal pagamento della
Tasi, Tari e Tosap chiunque decida di
aprire un'attività commerciale nel Centro
Storico Superiore della città! Non
contento estende questo beneficio pure
a chi decide, sempre in quell'area, di
acquistare o ristrutturare casa! In pratica
a Ragusa vogliono creare una sorta di
"zona franca" a regime fiscale agevolato
per favorire il ripopolamento e il rilancio
economico di un'area dal potenziale
immenso
ma
che
ha
sofferto
dell'inettitudine del passato. Aria fresca,
freschissima! Qualcuno dice che "non
bastano le stelle per scrivere poesie", a
noi però ne bastano 5 per scrivere una
storia nuova, una storia in cui i siciliani si
riprendono le proprie città, la propria
regione, il proprio futuro. Perché col
MoVimento 5 Stelle le cose succedono
davvero! Nella pagina di Federico trovate
tutte le iniziative che stanno portando
avanti, dategli un'occhiata, i ragazzi di
Ragusa sono fantastici!" Giancarlo
Cancelleri, portavoce M5S in Regione
Sicilia
3
Maroni indagato per EXPO
2015
Minipost
14.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "Per il Movimento 5 Stelle
Lombardia il presidente della regione
Roberto Maroni, che ha ricevuto un
avviso di garanzia dalla Procura di Busto
Arsizio per "induzione indebita a dare o
promettere
utilità
per
presunte
irregolarità
in
due
contratti
di
collaborazione a termine su progetti per
Expo", deve spiegare e chiarire già
domani al Consiglio regionale la sua
posizione.
Se
dovessero
essere
confermate le ipotesi di reato con un
rinvio a giudizio ci aspettiamo le
dimissioni immediate di Maroni; chi
governa deve essere al di sopra di ogni
sospetto. La Lombardia è un serraglio di
scandali che imbarazza il Paese. Non
abbiamo ancora dimenticato Formigoni
che, ancora una volta le forze dell’ordine
visitano Palazzo Lombardia gettando
un’ombra inquietante sulla figura del
presidente. La Lombardia di Maroni si
sta dimostrando esattamente identica a
quella di Formigoni." M5S Lombardia
Passaparola: Israele
Palestina, nessun vincitore di Manlio Di Stefano
Passaparola
14.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); «Io non credo nei confini,
nelle barriere, nelle bandiere. Credo che
apparteniamo tutti, indipendentemente
dalle latitudini e dalle longitudini, alla
stessa famiglia, che è la famiglia
umana.» Vittorio Arrigoni "Comprendere
a fondo il conflitto israelo-palestinese
significa spingersi indietro fino al 1880
circa quando, nell’Europa centrale e
orientale, si espandevano le radici del
sionismo. Il sionismo, movimento di
risveglio nazionale ideato da Theodor
Herzl, si spinse dopo la sua morte fino a
ritenere che la Palestina non fosse più
un luogo di semplice pellegrinaggio, ma
una terra occupata da stranieri che
doveva essere liberata e popolata da
ebrei, superando le origini stesse della
religione ebraica, che prevedono l’attesa
della venuta del Messia prima di poter
tornare in Palestina. La Palestina quindi
non è mai stata intesa come un futuro
stato laico. Questa breve introduzione è
fondamentale
per
comprendere
l’ostracismo a soluzioni di pacifica
convivenza
che
alle
comunità
internazionali appaiono di buon senso
ma che, nella pratica, non sono mai state
ricercate. Un po’ di storia 1882 – le
prime colonie: sulla spinta della nascente
ideologia sionista si insediano le prime
colonie di ebrei in Palestina;
1918 –
occupazione britannica: la Palestina
diventa una colonia inglese, i sionisti
rappresentano non più del 5% della
popolazione del Paese; 1948 – nascita
dello Stato d’Israele: con la fine del
mandato britannico in Palestina, la
risoluzione
181
dell’ONU
sulla
spartizione della stessa e il ritiro delle
truppe inglesi scoppia la prima guerra tra
la componente ebraica e quella
arabo-palestinese supportata da Paesi
arabi confinanti. Il neonato esercito
israeliano (Tzahal) ha la meglio e le
forze arabe riescono ad occupare solo
minime parti della Palestina (la Striscia di
Gaza e la Cisgiordania). Alcune
organizzazioni
paramilitari
ebraiche
(Haganah, la Banda Stern e l’Irgun)
avviano il cosiddetto “Piano Dalet”, che
prevede, fra l’altro, la distruzione di
villaggi palestinesi e l’espulsione degli
abitanti oltre confine, aggressioni che
causano la fuga di decine di migliaia di
abitanti nei mesi seguenti. Il Regno Unito
non sostiene il piano ma non fa nulla per
impedirlo. Ricordiamo il massacro di Deir
Yassin, del 9 aprile, con la guida del
futuro
Primo
Ministro
israeliano
Menachem Begin; 1956 - Crisi di Suez:
Francia, Regno Unito e Israele tentano
l'occupazione militare del canale di Suez
ai danni dell’Egitto. La crisi termina
quando l'URSS minaccia di intervenire al
fianco dell'Egitto e gli Stati Uniti; 1959 –
nascita di Al-Fatah: si tratta di
un’organizzazione politica e paramilitare
palestinese, fondata da Yāser
ʿArafāt,
storicamente
in
conflitto con Hamas (organizzazione
palestinese,
di
carattere
politico,
paramilitare e terrorista secondo l'Unione
Europea) per il controllo dei territori
palestinesi; 1963 - il Partito Ba’ath va al
potere in Iraq e in Siria: tra gli obiettivi
principali del Ba'ath c’è il sostegno della
causa palestinese; 1964 – nascita
dell’OLP:
l’Organizzazione
per
la
Liberazione
della
Palestina
è
un’organizzazione politica e paramilitare,
considerata dalla Lega araba la legittima
"rappresentante del popolo palestinese".
Il suo primo obiettivo è la "liberazione
della Palestina" attraverso la lotta
armata; 1967 - Guerra dei Sei giorni: è il
conflitto combattuto tra Israele ed Egitto,
Siria e Giordania. Rappresenta il punto
di non ritorno. L’inizio di tutti i problemi
attuali. Il “Settembre nero”. E’ l’inizio
della vera occupazione da parte di
Israele: la Siria perde le alture del Golan,
l'Egitto la Striscia di Gaza, che occupava
dal 1948, e la penisola del Sinai fino al
canale di Suez, la Giordania la
Cisgiordania e Gerusalemme Est; 1973 Guerra del Kippur: il 6 ottobre, giorno
dello Yom Kippur (una delle più
importanti festività ebraiche) Egitto e
Siria attaccano Israele per recuperare i
territori perduti 6 anni prima; tuttavia le
forze israeliane sconfiggono gli avversari
nel giro di tre settimane. Nel 1978, con la
mediazione del presidente statunitense
Jimmy Carter, si giunge alla firma del
trattato di pace di Camp David tra Egitto
e Israele il quale prevede la restituzione
del Sinai all’Egitto, rafforzando così il
controllo israeliano in Cisgiordania.
L’accordo firmato con Israele costa
all’Egitto l’espulsione dalla Lega araba;
1987 – 1991 - Prima Intifada: segna la
prima rivolta popolare palestinese contro
l’occupazione israeliana. Porta a un
numero stimato di 1100 palestinesi uccisi
da soldati israeliani e coloni. I palestinesi
a loro volta uccidono circa 160 israeliani
e altri 1000 palestinesi accusati di
collaborazionismo; 1993 - Accordi di
Oslo:
siglati
da
Yāser
ʿArafāt, per conto dell’OLP,
e Shimon Peres, per conto dello Stato
d'Israele, sono tuttora ritenuti centrali per
la risoluzione del conflitto poiché
sanciscono princìpi cardine come il
mutuo riconoscimento e il ritiro delle
forze israeliane da alcune aree della
Striscia di Gaza e della Cisgiordania;
inoltre affermano il diritto palestinese
all'autogoverno attraverso la creazione
dell'Autorità Nazionale Palestinese; 2000
- 2005 - Seconda Intifada: è la seconda
rivolta palestinese. Stando alla versione
araba è esplosa il 28 settembre, per
colpa della visita, ritenuta provocatoria,
dell'allora capo del partito Likud Ariel
Sharon al Monte del Tempio, luogo
sacro per musulmani ed ebrei situato
nella Città Vecchia. L'Intifada avvia una
successione di fatti violenti che
proseguono per anni, assumendo i
caratteri di una guerra d'attrito; 2004 Concetto di “Territorio occupato”: la
Corte
Internazionale
di
Giustizia
definisce “occupati da Israele” i territori
palestinesi
conquistati
(compresa
Gerusalemme est) a seguito della
Guerra dei Sei Giorni. Nel febbraio 2011
le Nazioni Unite promuovono una
4
risoluzione
di
condanna
degli
insediamenti israeliani appoggiata da
122 nazioni, tra cui l’Italia; 2006 - Hamas
vince le elezioni nella Striscia di Gaza:
considerata
un’organizzazione
terroristica, la sua vittoria elettorale
causa il blocco dei finanziamenti al
governo palestinese da parte della
Comunità Europea e altre istituzioni
occidentali ed arabe. Ciò contribuisce a
far esplodere un grave scontro politico, e
talvolta
armato,
tra
Hamas
e
Al-Fataḥ; 2009 - Operazione
“Piombo Fuso”: definita nel mondo arabo
come il “massacro di Gaza”, l’operazione
israeliana ha lo scopo di indebolire
Hamas. Alla fine si contano 13 vittime
israeliane e circa 1300 palestinesi; 2012
- la Palestina è riconosciuta “Stato non
membro
Osservatore
Permanente”
presso l'Assemblea delle Nazioni Unite:
la risoluzione ONU, approvata con 138
voti favorevoli, 9 contrari e 41 astensioni,
sancisce l’ingresso della Palestina nelle
Nazioni Unite. I giorni nostri Torniamo
ai giorni nostri, a sessantasei anni da
quella che è definita da Israele «Guerra
d'indipendenza» e dagli arabi al-nakba,
ossia «la catastrofe»: la situazione è
sostanzialmente immutata in termini di
tensione politica ma drammaticamente
stravolta in termini territoriali. Israele ha,
infatti, occupato con insediamenti illegali
di coloni, gran parte dei territori
palestinesi, ha costruito un muro di
divisione (dichiarato illegittimo dalla
Corte
internazionale
di
Giustizia
dell’ONU) che costringe, opprime e
riduce enormi aree arabe abitate, tutto
ciò nonostante gli accordi di Oslo vadano
proprio in direzione opposta. Svariate
associazioni si sono espresse sulle
condizioni di vita nelle terre occupate;
Human Rights Watch analizza nel
dettaglio le operazioni israeliane di
arresti arbitrari e di massa, le detenzioni
ingiustificate, l’uso illegittimo della forza,
la distruzione ingiustificata di proprietà
privata, la demolizione delle case delle
famiglie dei sospetti responsabili e altri
membri di Hamas, gli attacchi contro
abitazioni private e uffici dei media,
nonché il ricorso sproporzionato alla
forza letale. L’organizzazione Pax Christi
Italia denuncia uccisioni arbitrarie,
perquisizioni notturne, danni a centri
medici e commerciali, tagli dell’elettricità
e delle linee telefoniche e mette in
dubbio che lo scopo di tutto ciò sia
“colpire
indiscriminatamente
la
popolazione
sotto
occupazione
e
renderne impossibile la vita quotidiana al
fine di continuare impunemente l’opera
di
pulizia
etnica
del
territorio
palestinese”. Defence for Children
International segnala “allarmanti e
sistematiche violenze sui bambini
palestinesi da parte dei coloni”. Il
giornalista israeliano Gideon Levy
sostiene che “Israele non ha mai,
neppure per un minuto, trattato i
palestinesi come esseri umani con pari
diritti. Non ha mai visto la loro sofferenza
come una comprensibile sofferenza
umana e nazionale. Il dato di fatto più
evidente del rifiuto della pace da parte di
Israele è, ovviamente, il progetto di
colonizzazione”. E’ in questo contesto
che, con l’intento di acquisire maggior
peso negoziale nell’ennesima trattativa
di pace in corso tra le due parti, il 2
giugno 2014 nasce il governo di unità
nazionale palestinese. Questo storico
accordo tra Al-Fatah e Hamas segna
una svolta storica per un governo tecnico
d’intesa sotto la benedizione del
presidente
dell'Autorità
palestinese,
Mahmoud Abbas. Il solo annuncio
dell’accordo, però, scatena la reazione di
Israele che, per bocca del suo primo
ministro Benjamin Netanyahu fa sapere
di non tollerare la presenza di Hamas al
tavolo delle trattative data la sua natura
anti israeliana. L’ANP, infatti, dal ‘94
detiene il controllo di parte della
Cisgiordania collaborando con Israele.
L’intento del nuovo governo è chiaro
dalle parole del presidente Abbas “la
visione della pace da parte della
Palestina è chiara ed è fermamente
basata
nei
principi
del
diritto
internazionale […] Di conseguenza la
sovranità dello Stato palestinese e di
Israele, come definito dai confini del
1967,
deve
essere
rispettata.”
Sostanzialmente, fino a quel momento,
Israele ha trattato esclusivamente con
l’ANP in Cisgiordania e ha considerato
Hamas il nemico da cancellare nella
Striscia di Gaza, oggi non ha più questa
certezza. Questo passaggio segna
probabilmente l’inizio del tracollo cui
stiamo assistendo ma, la scintilla che dà
il via al fuoco armato, è il ritrovamento
dei cadaveri dei tre ragazzi israeliani
rapiti il 12 giugno in Cisgiordania, la cui
uccisione è addossata a Hamas da
Benyamin Netanyahu, con un
«la
pagherà», nonostante la smentita
unanime e la netta presa di posizione del
presidente palestinese Mahmoud Abbas.
Da quel momento in avanti assistiamo a
vendette come l’orrendo omicidio del
diciassettenne palestinese Mohammed
Abu Khdeir e i razzi di Hamas sul confine
di Gaza ma, soprattutto, assistiamo a
punizioni collettive da parte dell’esercito
israeliano su tutta la Cisgiordania prima
e Gaza poi. Tra le dichiarazioni più
indicative che ho trovato, vi riporto quella
di Miko Peled, attivista israeliano e figlio
di un ex-generale poi convertitosi a sua
volta in attivista per i diritti dei
palestinesi: “ciò che sta accadendo (di
nuovo) in questi giorni è una diretta
conseguenza del criminale blocco
imposto da molti anni su Gaza da
Israele, in violazione del diritto
internazionale e dei diritti umani
fondamentali della popolazione civile”.
Le violazioni del diritto La violazione dei
diritti, umani e internazionali, è la chiave
di lettura più indicativa di tutta la storia
israelo-palestinese. Potrà sembrare un
ragionamento cinico ma, se si trattasse
di una “semplice” guerra di attrito tra due
Paesi confinanti, come le tante che
purtroppo vediamo anche in Europa in
questi giorni, non potremmo non
considerare
il
principio
di
autodeterminazione dei popoli e quindi
ignorare ogni stimolo interventista o di
pressione internazionale. La questione
israelo-palestinese, invece, ha una
fortissima connotazione di violazione dei
diritti. Dal lato palestinese Hamas si è
strutturata come gruppo paramilitare e
rappresenta una continua minaccia
militare e terroristica, a causa del lancio
di razzi, specialmente per i territori
limitrofi alla Striscia di Gaza. E’ da
condannare inoltre il ricorso alla pratica
degli scudi umani e della detenzione
arbitraria e tortura degli oppositori
politici. Israele dal canto suo ha subìto
oltre 80 risoluzioni dell’ONU per la
violazione dei diritti umani dei palestinesi
e internazionali sulla gestione dei territori
occupati.
In
particolare,
l’Alto
Commissario dei diritti umani dell’ONU,
Navanethem Pillay denuncia le gravi
violazioni di diritti umani contro i
palestinesi nei territori occupati, la
continua attività d’insediamento illegale,
in violazione della legge internazionale, e
la
pratica
della
detenzione
amministrativa. Tutte queste violazioni,
non configurandosi come provvisorie,
bensì incastonate in un progetto a lungo
periodo, dovrebbero suscitare una dura
condanna a livello internazionale e forse,
il nuovo assetto politico dell’area
mediorientale potrebbe influire in tal
senso.
I nuovi scenari geopolitici
Rispetto al passato questa nuova
escalation
di
violenza
ha
una
connotazione
totalmente
differente
perché legata a nuovi scenari geopolitici.
Non può passare inosservata la presa di
posizione di Obama che ha esortato alla
tregua
e
all’interruzione
dei
bombardamenti senza minacciare alcun
intervento esterno, come avrebbe fatto in
passato.
L’area
mediorientale
è
totalmente mutata nell’ultimo decennio.
L’avanzata dell’ISIS in Iraq (con cellule in
tutto il mondo islamico) e l’instabilità
siriana
hanno
creato
un’anomala
dipendenza degli Stati Uniti dall’Iran
rompendo la storica conflittualità con l’
“asse del male” e imponendo agli USA
un’inusuale immobilismo. D’altro canto il
peso crescente della Russia su tutta
l’aerea orientale del globo, manifestatosi
chiaramente in Siria e Ucraina, ha
messo nuovamente in moto meccanismi
di controllo territoriale da guerra fredda
spingendo Israele a cercare nuovi
possibili alleati. E’ qui che entra in gioco
l’Egitto. Fino al 2013, infatti, sotto il
governo dei Fratelli Musulmani di
Muḥammad
Mursī
ʿĪsā
al-ʿAyyāṭ,
la
Palestina ha potuto usufruire della Porta
di Rafah, al confine con l’Egitto, per
rifornirsi di beni di prima necessità, aiuti
umanitari e, purtroppo, anche armi per
Hamas. Con la caduta del governo
egiziano, l’instaurazione della dittatura
militare
di
ʿAbd
al-Fattāḥ
Khalīl
al-Sīsī e la persecuzione
dei Fratelli Musulmani invece, anche
quell’accesso è stato sbarrato creando,
da una parte, l’indebolimento della guida
politica di Hamas con la conseguente
perdita di controllo sui militanti più
propensi alla guerriglia (così si spiega
l’incessante lancio di razzi verso Israele
nonostante la netta inferiorità militare) e,
dall’altra, una nuova opportunità per
Israele. Un’eventuale alleanza con
l’Egitto permetterebbe, infatti, di svuotare
del tutto il peso militare di Hamas nella
Striscia di Gaza e puntare, un domani,
alla riannessione dell’area all’Egitto.
Quest’affermazione può sembrare fuori
dalla logica sionista ma non lo è. Il
principale problema oggi in Israele è la
questione demografica, nonostante i
piani di sostegno alle famiglie con più
figli, il numero totale di arabi palestinesi
è costantemente in ascesa. Si stimano,
infatti, circa sei milioni di ebrei in Israele
contro i tre milioni e mezzo di arabi in
Cisgiordania e i quasi due milioni nella
Striscia di Gaza (tra le aree con la
maggiore densità di popolazione al
mondo). Un’annessione “pacifica” delle
due
aree
nello
Stato
d’Israele
renderebbe
troppo
minacciosa
la
presenza
araba
sull’intera
zona
allontanandosi, tra l’altro, dall’idea
originaria di sionismo che non prevede
uno stato laico. A fronte di questa
considerazione e del diffondersi degli
insediamenti
illegali
nei
territori
5
cisgiordani, è presumibile che il piano di
Israele
preveda
l’annessione
esclusivamente di quest’ultima area data
la sua estensione che permetterebbe
una migliore distribuzione araba sul
territorio. Una cosa è certa, il piano di
Israele è lungi dall’interrompersi. Il ruolo
dell’Europa e la “rule-bound cooperation”
In tutto ciò, cosa fa l’Europa? Non è
semplice persino immaginare l’immenso
potere che l’Unione Europea ha, o
potrebbe avere, in questo scenario. Lo
strettissimo legame tra Israele e l’UE,
infatti,
nasce
con
gli
Accordi
Euromediterranei di Associazione del
1998. Gli stessi definiscono la libera
circolazione delle merci tra l’UE e i paesi
del
Mediterraneo
attraverso
la
progressiva eliminazione dei dazi
doganali e il divieto delle restrizioni
quantitative
all'esportazione
e
all'importazione tra le parti contraenti.
Per anni si è commesso l’errore di
separare l’azione economica con Israele
da quella diplomatica sulla risoluzione
del conflitto: questo non ha fatto altro
che permettere a Israele di ignorare le
raccomandazioni politiche e continuare a
rafforzarsi economicamente e nel
posizionamento
strategico
internazionale. Negli ultimi anni, però,
stiamo assistendo a un graduale quanto
inarrestabile cambio di strategia. Nel
2013, per la prima volta, l’Unione
Europea ha pubblicato delle linee guida
che sanciscono che «tutti gli accordi tra
lo Stato di Israele e l’Unione Europea
devono
inequivocabilmente
e
esplicitamente
segnalare
la
loro
inapplicabilità ai territori occupati da
Israele nel 1967, e cioè Alture del Golan,
Cisgiordania inclusa Gerusalemme est e
striscia di Gaza.». Le linee guida sono
basate su una decisione adottata dal
Consiglio europeo nel 2012 e precedenti
dichiarazioni UE, dove si riafferma che le
colonie israeliane sono illegali secondo il
diritto internazionale. Conseguentemente
gran parte dei paesi europei sta
adattando
la
legislazione
interna
inserendo il concetto di “rule-bound
cooperation” che prevede il legame
inestricabile tra una qualsiasi forma di
cooperazione (economica o meno) e il
rispetto di alcune specifiche norme.
Dispiace in tal senso costatare il ritardo
di Italia e Spagna. Per la prima volta i
Paesi europei hanno lanciato un
messaggio forte e chiaro: o Israele
rispetta le regole del ’67 o non fa affari
con noi. Il peso di questa strategia è
evidente, anziché sbattere la porta in
faccia all’Europa, Israele ha firmato gli
accordi prendendo coscienza della sua
dipendenza dagli aiuti del vecchio
continente. I passi successivi, in termini
europei, potrebbero essere: - Emanare
nuove linee guida sull’etichettatura dei
prodotti israeliani per garantire ai cittadini
europei
di
poter
scegliere
consapevolmente
un
prodotto
proveniente da una colonia illegale
(come promesso dalla Ashton e
bloccato, ad oggi, dal solito ricatto del
“minano il processo di pace”); Notificare, a tutti gli operatori industriali, il
rischio di sanzioni conseguenti ad
accordi commerciali con aziende che
operano nelle colonie; - Rivedere gli
accordi del ’98 sul dazio, eliminando i
benefici per i prodotti provenienti dalle
colonie; - Favorire il meccanismo di
controllo sui prodotti israeliani, basato
sul CAP, da parte delle autorità doganali;
- Pretendere il risarcimento in caso di
distruzione o sequestro di aiuti umanitari,
in particolare nelle aree C (ovvero quelle
a pieno controllo israeliano); - Avviare
una riflessione sul diritto di veto
all’interno delle Nazioni Unite che ha
permesso a Israele di ignorare, senza
sanzioni, le oltre 80 risoluzioni emanate
contro il suo operato in termini di rispetto
di diritti umani. Lo stesso trattamento,
infatti, non si è tenuto con l’Iraq che, con
“appena” 16 risoluzioni, è sotto sanzione
dal 1990. Questa strada, a nostro avviso,
segna l’unica possibilità per rafforzare il
rispetto del diritto internazionale. Il ruolo
dell’Italia L’Italia ha la possibilità di
influire pesantemente nel processo di
pace, sia con una chiara presa di
posizione nel rispetto dei diritti umani e
del diritto internazionale, sia in termini
europei. Per quanto riguarda il primo,
occorre subito chiarire che la storica
amicizia tra Italia e Israele non può
prescindere dalla legalità delle azioni di
quest’ultimo. E’ necessario adeguare
immediatamente la legge nazionale alle
nuove linee guida europee e andare oltre
interrompendo gli accordi militari tra i
due Paesi (473 milioni di euro di
esportazioni autorizzate solo nel 2013),
come sancito dalla legge italiana 185/90
che vieta la vendita di armi a Paesi in
conflitto o che violino i diritti umani. Per
quanto riguarda il ruolo europeo, non
possiamo
sottovalutare
l’enorme
possibilità di indirizzare la realizzazione
di quanto elencato in precedenza
durante il semestre di presidenza
italiano. Il futuro La situazione reale
della
distribuzione
geografica
e
demografica del popolo israeliano e
palestinese, nonché l’assenza di una
reale volontà di giungere alla soluzione
dei due stati porta a ritenere
assolutamente limitante insistere sul
rispetto degli accordi di Oslo. Nonostante
la comunità internazionale sia ancora
orientata in quella direzione, è sempre
più grande il “think-tank” di personaggi,
più o meno illustri, che tende alla
soluzione
dell’unico
stato
laico.
Purtroppo
questa
soluzione,
che
prevederebbe la convivenza dei due
popoli, non va di pari passo col pensiero
della nuova presidenza israeliana in
mano a Reuven Rivlin che, a differenza
del suo predecessore Shimon Peres, è
più incline alla soluzione dello Stato
Unico ma con la cosiddetta “opzione
giordana”, ovvero, con la totale
espulsione degli arabi dalla Palestina
verso la Giordania. Insomma, siamo
ancora molto lontani dalla soluzione del
conflitto, ma intanto possiamo fare la
nostra parte in termini di pressione
internazionale affinché cresca di giorno
in giorno la consapevolezza che il
rispetto dei diritti umani e delle leggi
internazionali da parte di Israele è un
dovere, con l’auspicabile conseguenza
dell’interruzione di ogni azione militare
da parte di Hamas." Manlio Di Stefano –
portavoce M5S alla Camera dei Deputati
Defranceschi, il maestro di
politica
Minipost
14.07.2014
L'intervento di Paola
Taverna in difesa della
democrazia
Minipost
15.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "Nel M5S non esistono
scuole di politica né organizzazioni
regionali come il M5S Emilia Romagna.
Contrariamente a quanto riportato da
Defranceschi, io non ho concordato nulla
con lui sulle cosiddette "scuole di
politica". Dopo un incontro con alcuni
esponenti regionali avvenuto a Milano
sull'introduzione di una applicazione LEX
per ricevere i contributi sulle leggi
regionali dagli iscritti al M5S nelle
diverse regioni, il De Franceschi mi ha
chiesto di incontrarlo privatamente.
Nell'incontro
gli ho ribadito la mia
contrarietà alle scuole politiche. Ho
invece ribadito che incontri con
cittadinini-eletti per aiutarli a fare i primi
passi dentro le diverse macchine
amministrative (che per avere maggiore
efficacia dovrebbero essere concordati e
strutturati in anticipo con lo staff) sono
sicuramente utili. Gli ho anche ricordato,
a sua domanda, che i candidati nelle
liste M5S non potranno partecipare se
condannati in primo grado o rinviati a
giudizio. Non ho concordato quindi un
bel nulla e De Franceschi ha, nel
migliore dei casi, male interpretato le mie
parole dette in un incontro "privato"."
Gianroberto Casaleggio
6
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); });
"Non è un caso che
nell’aula di questo Senato, proprio in
questo momento storico, siano entrati
dei semplici cittadini per difendere gli
interessi
del
popolo
italiano:
probabilmente sarà l'ultima volta che ne
avranno, che ne avremo la possibilità.
Quando a settembre gli italiani
torneranno dalle ferie si troveranno una
Costituzione
nuova
di
zecca,
completamente stravolta, irriconoscibile,
priva di qualsivoglia brandello di
democrazia. Un Parlamento che non
sarà più luogo dove i cittadini si
sentiranno rappresentati, ma un forum di
adepti del Primo ministro, di diligenti
esecutori delle sue direttive. La Corte
Costituzionale e' stata chiara su cosa
debba fare questo Parlamento, che
ricordiamolo e' stato eletto con una legge
elettorale dichiarata incostituzionale:
doveva soltanto riscriverne una buona
e,
non
appena
svolto
questo
adempimento, rimettere al popolo la
decisione su chi dovrà guidarli in futuro.
E invece vi state arrogando il diritto di
mettere mano alla Costituzione della
nostra Repubblica stravolgendone più di
un terzo. Di deturpare la forma di Stato e
di Governo. Ma dove sono finiti gli
urgenti provvedimenti economici che
potevano porre freno all'incessante
perdurare della crisi? Ora ditelo agli
italiani se è più importante prevenire la
corruzione o fare del Senato un
salvacondotto per pregiudicati e rinviati a
giudizio.
Se
foste
più
onesti
intellettualmente avreste almeno il
coraggio di ammettere che il segreto
patto del Nazareno serve solo a
garantire le coalizioni, in modo tale che
l’attuale Premier (Berlusconi 2.0) possa
vincere le prossime elezioni e quell'altro,
il suo mentore, ottenga il monopolio
dell'opposizione.[...] Voi continuerete a
proporre immunità, leggi truffa, progetti
per trasformare il Senato in un
parcheggio di pregiudicati. Per noi conta
solo una cosa: che la sovranità di questa
Repubblica deve appartenere ancora al
popolo, come dice l’art. 1 della nostra
Costituzione. E al popolo dovrà
pienamente
ritornare:
noi
non
arretreremo
di
un
passo.
Noi
difenderemo i suoi diritti. Noi, che non
pensiamo alle prossime elezioni ma al
futuro dei nostri figli!" Paola Taverna,
M5S Senato - guarda il video integrale
Ci vediamo giovedì
Politica
15.07.2014
soprattutto in riferimento alla questione
degli organi di controllo e garanzia.
Aspettiamo risposte chiare. Ci vediamo
giovedì alle 14 alla Camera dei Deputati,
in streaming naturalmente." Luigi Di
Maio, Danilo Toninelli, Paola Carinelli,
Vito Petrocelli
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); L'incontro di giovedì 17
luglio alle 14.00 sarà trasmesso in
streaming sul Blog e su La Cosa "Gentili
dirigenti del PD, è sicuramente positivo
che riprenda il confronto che avevamo
avviato e che si era sospeso. Speriamo
si possa ora procedere celermente verso
una conclusione positiva. Tanto più che il
Paese ha urgenze diverse e ancora più
impellenti: durante questi mesi è stato
stabilito il nuovo record del debito
pubblico e la BCE ha stimato che la
produzione industriale calerà del 1,8% in
quest'anno, il numero dei poveri in Italia
secondo l'ISTAT ha raggiunto i 10
milioni, di cui più di 6 vivono in povertà
assoluta e di questi 1 milione e mezzo
sono bambini e adolescenti. E, dunque è
augurabile sgombrare il campo dai temi
della
riforma
elettorale
e
del
bicameralismo per potersi concentrare
sui problemi dell’economia e del lavoro.
Ora è necessario arrivare a una
soluzione soddisfacente per tutti sulla
legge elettorale, in modo da trovare un
giusto equilibrio fra i problemi di
governabilità
e
quelli
della
rappresentanza, garantendo la selezione
di un ceto parlamentare all’altezza del
compito di affrontare la crisi con
competenza ed onestà. A questo scopo
era finalizzato il “Democratellum”, alla cui
stesura hanno partecipato decine di
migliaia di persone. Il primo esperimento
di successo di democrazia partecipata al
mondo su un tema tecnico così delicato.
E saranno quegli stessi cittadini a
ratificare il risultato finale del nostro
confronto al tavolo. Entriamo dunque nel
merito della legge elettorale. Noi siamo
sempre stati corretti ed abbiamo offerto
la nostra disponibilità a trovare un
compromesso nei limiti del rispetto della
Costituzione. C’è una nostra disponibilità
di massima ad accogliere le vostre
esigenze in tema di governabilità e ci
auguriamo
che
ci
sia
identico
atteggiamento da parte vostra ad
accogliere le nostre esigenze in materia
di rispetto della rappresentatività del
Parlamento. A partire da questa
reciproca disponibilità sarà poi possibile
individuare le soluzioni tecniche più
opportune. Ricordiamo, peraltro, che al
di là della questione del premio di
maggioranza e delle sue modalità, nel
rispetto della Costituzione, ci sono anche
altri aspetti su cui aspettiamo una
risposta concreta: questione delle
preferenze e delle soglie di sbarramento,
superamento delle coalizioni, mentre
notiamo
con
piacere
l’apertura
manifestata dalla vostra lettera sul tema
della lotta alla corruzione ed in materia di
immunità. Così come la riforma del
Senato obbliga ad una riflessione su
tutta
l’architettura
costituzionale,
#VotoPalese per
l'autorizzazione all'arresto
Galan
Minipost
16.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); >>> AGGIORNAMENTO: il
voto sulla richiesta di arresto del
deputato Galan (PdL) è stato RINVIATO
da domani a martedì prossimo. Tutto fa
intendere che si tratti di un rinvio
assolutamente inutile viste le sue
condizioni sanitarie. Il M5S ha votato
contro, perché il segnale che si dà al
Paese è il solito: l’esistenza di cittadini di
serie A e di serie C. <<<
"A Venezia, per la costruzione del Mose,
si pagava la "tassa Galan": circa un
milione di euro l’anno secondo quanto
testimoniato da chi tirava fuori i soldi, e
cioè Giovanni Mazzacurati, presidente
del Consorzio Venezia Nuova. E
confermato anche da chi li incassava, la
segretaria di Galan, Claudia Minutillo,
che ha definito il tutto come un
"sistema". Questo dicono le carte
dell’inchiesta della Procura di Venezia
per cui, forse, non è un caso che sia
stato chiesto l’arresto di Galan, già
presidente del Veneto e oggi deputato di
Forza Italia. Arresto che, però, deve
passare dal voto dei suoi stessi colleghi
alla Camera. In giunta è stato dato il via
libera, in aula (domani giovedì 17 luglio
alle 11) si vedrà. Si sono rincorse voci
che volevano l’ex ministro oggetto di
scambio anche nell’ormai famigerato
patto del Nazareno, sempre più
contenitore di ogni nefandezza e
inciucio. La richiesta di un voto segreto
darebbe il via a chissà quali danze della
larga maggioranza della contro-riforma
del Senato. Noi, in ogni caso - e come
sempre - siamo per il voto palese." M5S
Camera
7
Dittatura a norma di legge
Informazione
16.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "[...] Vorrei smontare delle
balle, chiamiamole così,che vengono
dette dal signor Renzi. Parlo del vostro
Governo, non di voi, perché spero che
abbiate qualcosa che batte nel vostro
petto e che queste cose le sentiate. Noi,
infatti, siamo rappresentanti della
Nazione, di tutti i cittadini, non siamo
rappresentanti
della
poltrona
che
occupiamo. La prima balla è che il
Parlamento non deve essere di ostacolo
al Governo. Questo l'ha detto il signor
Renzi. Ho già la pelle che mi si è alzata
di un centimetro. Il Parlamento è un
ostacolo? Queste cose le ho sentite dire
solo nei regimi totalitari, neanche in
quelli autoritari. La seconda balla:
l'Unione europea ci ha chiesto di fare le
riforme. È una mezza verità: potremmo
chiamarla,
nella
neolingua,
una
volontaria campagna di disinformazione,
invece di bugia. L'Unione europea,
infatti, ci ha detto di fare le riforme, ma
non queste: ci ha detto di fare riforme
economiche e del mercato lavoro. Ma
noi abbiamo fatto male pure quelle.
Questa riforma somiglia in modo
veramente inquietante a quella del 2006
e, anzi, tutti i discorsi che ho sentito fare
in Aula spingono sempre di più in quella
direzione. Ci credo: chi aveva voluto la
riforma del 2006? Il signor Berlusconi,
con il quale state facendo le riforme.
Quindi
non
è
cambiato
niente,
assolutamente niente. Anche la famosa
clausola di supremazia, che a nessuno
qui è piaciuta, compare esattamente
nello stesso modo. Si chiamava clausola
di supremazia anche allora: almeno
cambiategli il nome. Vorrei parlare del
patto che avete fatto con zio Silvio.
Quando si è parlato di questo, infatti,
qualcuno scuoteva la testa, dicendo: no,
noi non abbiamo promesso niente.
Riflettiamo, ragioniamo assieme. In
questo patto il signor Berlusconi cede
tutto: vi dà una legge elettorale con la
quale non va al Governo, perché i
numeri sono quelli, e una riforma
dell'assetto istituzionale in cui chi vince
prende tutto; in cambio non prende
niente. Che tipo di negoziato sarebbe
questo? Pensate che quella persona,
che è arrivata dove è arrivata, abbia
questa capacità negoziale, di sedersi ad
un tavolo dicendo: ti do tutto e non
prendo niente? No. Vuol dire che c'è
sotto qualcosa, ma non lo conosciamo.
Non vuol dire che non ci sia. Bisogna
sempre ricordarsi quel famoso detto che
dicono a Wall Street a chi pensa di
essere quello che sta facendo i soldi:
«Se ti guardi intorno e non vedi nessun
pollo, sei tu il pollo». Bene, se noi ci
guardiamo intorno e non vediamo polli,
vuol dire che i polli siamo noi. Anche
questo va detto. Parliamo un attimo
dell'immunità, ma giusto per ricordare
quello che sta succedendo in questi
giorni. È arrivato un avviso di garanzia a
Maroni, presidente della Regione
Lombardia, il quale poteva trovarsi qui e
quindi godere dell'immunità. Bene, voglio
ricordare Camillo Benso conte di Cavour,
che ricevette in omaggio due pesci,
pescati nel canale Cavour, quello che
porta il suo nome, e siccome si tratta di
un canale demaniale, di proprietà dello
Stato, tutto quello che c'è dentro è di
proprietà dello Stato. Sapete cosa fece?
Li restituì, perché non era opportuno che
un Ministro del Regno prendesse in
omaggio qualcosa che era di proprietà
della collettività. Stiamo parlando di due
pesci di fiume. Ora invece parliamo di
persone che vengono rinviate a giudizio,
indagate, come i consiglieri regionali del
Piemonte: quattro condannati e 24
rinviati a giudizio; è normale, più del 50
per cento. Queste persone potrebbero
essere qui e noi vogliamo anche dotarli
di uno scudo. Perché invece ai
consiglieri che non vengono in Senato
non viene fornito nessuno scudo? Mi
sembra abbastanza incostituzionale
anche questo e dovremmo rifletterci.
Quando si parla di questi argomenti, si
usa sempre la neolingua, che io uso
anche se mi dà molto fastidio: "deriva
autoritaria",
"scivolamento
verso
totalitarismo o verso l'autoritarismo",
"democrazia autoritaria" sono veramente
brutte espressioni, ma salviamo il
concetto. Badate bene che quando
parliamo di questo, non intendiamo che
debba venire una dittatura con il
manganello vero, perché quella è finita,
appartiene al passato, come non
esistono più le guerre, anzi le
paleoguerre, come le chiamano gli
storici, ma esistono le neoguerre, che si
combattono in modo pulito, stando a
casa e schiacciando un bottone per far
partire un drone, una bomba intelligente
oppure un missile lanciato da un silos a
Minot, in North Dakota, a 15.000
chilometri, che colpisce un bersaglio in
Russia o in Cina. Avviene così,
spingendo degli innocui bottoni. Quello
che dobbiamo pensare è una nuova
dittatura, leggera, nella quale rimane lo
scheletro democratico perché è questa
la chiave: mantenere lo scheletro
democratico. Con questo progetto di
riforma, abbiamo una perfetta linea di
comando. Il centro è il Presidente del
Consiglio, ed è qui che questa riforma è
uguale a quella del 2006, che accentrava
tutto nel Presidente del Consiglio, ma lo
fa in modo diverso, mettendo insieme le
due cose: il Presidente del Consiglio
nomina, con soli nove senatori, il suo
Presidente della Repubblica, condiziona
la Corte costituzionale ed il Parlamento è
schiavo suo (quindi ha fatto una perfetta
linea di comando) perché c'è una legge
elettorale maggioritaria. Formalmente
rimane l'impianto democratico, che
richiede che ci sia un Parlamento,
un'elezione e degli organi di garanzia.
Ma ve la ricordate l'Argentina degli anni
Settanta? Era una dittatura militare
eppure il Parlamento c'era e si facevano
le elezioni. Andate a vedere i filmati. Si
chiamavano gli "alzamanos", quelli che
stavano
nel
Parlamento,
perché
votavano sempre in questo modo. Allora
quello che chiedo è se vogliamo essere
anche noi degli "alzamanos"? [...]" Carlo
Martelli, M5S Senato - Guarda il video
integrale
8
Olivetti, Italia
Economia
16.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); });
>>> Domani 17 luglio
presso la Camera dei Deputati alle ore
14.00 si terrà l'incontro tra la delegazione
del M5S e quella del PD sulla legge
elettorale. La diretta streaming sarà
trasmessa sul blog e su La Cosa
articolo di Gavin Jones e James
Mackenzie per Reuters "Ivrea, Italia,
(Reuters). Il declino economico può
assumere diverse sembianze. Nella città
di Ivrea, nell'Italia del nord, somiglia a un
campo da tennis in abbandono, pieno di
erbacce, dove usavano giocare gli
impiegati dell'Olivetti, il vecchio gigante
dell'elettronica. Negli anni '80, Ivrea era
la versione europea della Silicon Valley.
Delle
50.000
persone
impiegate
dall'azienda, più della metà lavoravano in
città, godevano di ottimi stipendi e di un
gran numero di attività ricreative
aziendali. Oggi i principali datori di lavoro
in città sono l'azienda sanitaria e due call
center, che insieme danno lavoro a
3.100 persone. L'Olivetti esiste ancora,
ma è una piccola azienda di dispositivi
elettronici. I suoi vecchi stabilimenti, veri
gioielli dell'architettura industriale del XX
secolo, sono state riallestite come musei,
e oggi la maggior parte dei trentenni, che
hanno ben poche opportunità di lavoro,
vivono grazie alla pensione dei propri
genitori. “Era un'epoca di grande
eccitazione. Ma prima lentamente, e poi
d'un botto, tutto è collassato”, dice
Massimo Benedetto, 59 anni, di cui
trenta da impiegato in Olivetti, da ultimo
nei servizi di supporto alla clientela, ora
in procinto di andare in pensione. Ivrea è
come una finestra aperta sul mutamento
di un'economia nazionale che ha pochi
uguali nel mondo sviluppato. L'economia
del paese è cresciuta pochissimo dal
1994, e si è addirittura ritirata dal 2000
ad oggi. Una situazione che non ha
uguali in nessun paese europeo né in
alcuno dei 34 paesi dell'Ocse.
Gli
economisti prendono in considerazione
un insieme di fattori per spiegare la
crescita di lungo periodo dei paesi
emergenti: le tendenze della crescita
demografica e dell'occupazione; gli
investimenti pubblici e quelli privati; la
produttività del lavoro; e la forza delle
componenti legale, amministrativa e
istituzionale dello Stato. Dagli anni '80 ad
oggi l'talia è regredita in tutte e tre
queste componenti. Secondo uno studio
di Confindustria, l'associazione degli
industriali, più di 120.000 aziende
manifatturiere hanno chiuso i battenti e
nell'industria sono andati persi circa
1.200 milioni di posti di lavoro dall'inizio
del secolo. L'istantanea di breve periodo
mostra un volto migliore. Gli investitori
stanno danno al mercato un pò di respiro
dopo le turbolenze che, nel 2011, hanno
messo a rischio la permanenza dell'Italia
nella moneta unica. Matteo Renzi, un
energico primo ministro di 39 anni, ha
fatto delle promesse ambiziose, ed è
stato uno dei pochi leader dell'Unione
Europea ad uscire rafforzato dalle
elezioni europee del Maggio scorso.
Renzi sta utilizzando la sua rinnovata
forza politica per guidare la richiesta di
politiche europee più orientate verso la
crescita, ma la sua capacità di
modificare veramente le cose è ancora
tutta da verificare. L'Italia rimane
comunque
il
secondo
paese
manifatturiero dopo la Germania. Per
proprietà di case e risparmio privato si
colloca ai primi posti fra i paesi Ocse, e il
livello di debito privato è relativamente
basso. Italia Inc. ha delle figure di livello
mondiale, come Luxottica SpA e Ferrero
SpA, il produttore di Nutella. Eppure tutti
gli indicatori economici puntano nella
direzione sbagliata. Quella italiana va
pensata
come
un'economia
in
'immersione', la cui degenerazione
potrebbe avere un effetto sulla società
dall'impatto simile a quello che la
globalizzazione ha avuto sulla Cina,
l'India o il Brasile. La cronicità della
precaria situazione italiana costituisce un
rischio per l'Europa intera. Quasi tre anni
dopo il rischio del collasso dell'intera
eurozona per i rischi legati alla stabilità
finanziaria, il debito dell'Italia è salito al
134% sul prodotto, superiore a quello di
tutti i paesi Ocse, all'infuori del Giappone
e della Grecia. A meno che il paese non
riprenda a crescere, sarà difficile che
riesca a ridurre il suo debito – rischiando
così concretamente il default e la sua
permanenza nell'euro. Proprio come
l'Italia, Ivrea è andata affondando negli
ultimi 2 decenni. Accoccolata sotto le
montagne imbiancate a nord di Torino, la
città è tutt'altro che povera. Molti dei suoi
24.000 abitanti sono benestanti, proprio
come l'Italia, che rimane la nona
economia del mondo. La media dei
depositi bancari è fra le più alte del
paese. Ma migliaia di giovani hanno
lasciato la città, con una riduzione della
popolazione pari a un quarto dagli anni
'80 ad oggi. L'età media, oggi, ad Ivrea,
è di 48 anni, di quattro anni superiore
alla media nazionale, di 8 a quella di
Francia e Gran Bretagna, e di 11 a
quella degli Stati Uniti. Il crollo della
Olivetti ha dato vita ad alcune piccole e
medie imprese, ma una miscela
paralizzante di alta tassazione e vincoli
burocratici rende rende loro la vita
impossibile, secondo quanto dicono gli
imprenditori locali. Stefano Sgrelli, 58
anni, è un ex ingegnere Olivetti, che, nel
2009, ha fondato Salt & Lemon, una ditta
che utilizza droni per la ripresa di
immagini aeree per il cinema, la
pubblicità e la cartografia topografica; si
lamenta delle procedure burocratiche
che lasciano di stucco i clienti stranieri e
del tragitto ferroviario, penosamente
lento, per cui si impiega più di un'ora per
percorrere i 50 km che separano la città
da Torino. “Cercare di competere con le
aziende estere è come correre i 100
metri con un carico di 20 kg sulla
schena” sostiene Stefano. ECONOMIA
in IMMERSIONE
I problemi dell'Italia
sono milioni. Il suo tasso di natalità è il
decimo più basso fra I 236 paesi e
territori
elencati
dall'Ocse.
Una
percentuale di poco superiore alla metà
della sua popolazione attiva ha un
lavoro, e gli investimenti pubblici e
privati, in proporzione al prodotto del
2013, erano, secondo la Banca d'Italia,
al livello più basso dalla fine della
seconda
guerra
mondiale.
Gli
investimenti in tecnologia e ricerca, un
elemento fondamentale per la crescita,
sono fermi a circa la metà di quelli della
Francia o della Germania, in proporzione
alla rispettiva crescita economica, e a
circa un terzo di quelli della Svezia,
sempre secondo l'Ocse. Uno dei
problemi è la dimensione delle imprese.
L'economia italiana appare sempre più
squilibrata e dipende da un bacino
sempre più ristretto di piccole imprese di
successo e con solamente un paio – fra
cui quella automobilistica Fiat è la più
nota – rimaste a competere con
campioni europei della stazza di
Siemens, Daimler o Alcatel e con I
giganti americani tipo Apple e Google.
Persino Fiat, che quest'anno ha
annunciato il trasferimento della sede
amministrativa in Olanda e quella fiscale
in Gran Bretagna, non rappresenta più il
volano economico che era un tempo. In
Italia oggigiorno vengono prodotte meno
automobili che in Spagna o addirittura in
Slovacchia. Secondo l'istituto di statistica
ISTAT, l'impresa media italiana impiega
4 dipendenti, e soltanto un'impresa su
cento ne impiega più di 50. I milioni di
piccole imprese, che un tempo erano
considerate il punto forte dell'economia
italiana,
oggi
ne
rappresentano
l'handicap. Dovendo affrontare, fin dagli
anni '90, un aumento della competizione,
sono mancate loro le economie di scala
e le risorse da investire in nuove
tecnologie. “Come possiamo pretendere
di competere nel mondo globale con
imprese da 12 addetti?” si domanda
Marcello De Cecco, professore di
economia all'università Luiss di Roma. I
prodotti italiani sono scesi anche dal
punto di vista qualitativo. L'Italia è
specialiazzata in settori a media e bassa
tecnologia, quali il tessile e le macchine
per l'industria, che hanno uno scarso
potenziale di crescita. I settori ad alta
tecnologia, come i computer, l'elettronica
e i prodotti farmaceutici, costituiscono
soltanto il 6% delle esportazioni, un dato
che mal sopporta il confronto con la
media europea del 16%, secondo
l'agenzia
di
statistica
dell'Unione
Eurostat. Secondo l'Ocse Il sistema
scolastico italiano produce meno laureati
in percentuale sulla popolazione di tutti
gli altri aesi europei. Nelle scuole
superiori l'utilizzo del computer è limitato.
La forza lavoro poco qualificata è una
delle ragioni per le quali la crescita della
produttività del lavoro – cioè la quantità
che I lavoratori producono – è rimasta
stagnante per più di un decennio ed è la
peggiore dell'Unione. La produzione
complessiva dell'Italia è addirittura
peggiore. Gli economisti definiscono
'fattore di produttività globale' l'efficienza
combinata del sistema legale, delle
regole di mercato, del sistema di
tassazione, della burocrazia e di altri
elementi di sostegno alle imprese. Si
tratta di un'espressione da specialisti che
misura il livello di efficienza del sistema
economico. L'Italia è il solo paese
dell'Unione il cui fattore di produttività
globale è in declino dall'inizio del secolo,
secondo la Commissione Europea. La
qualità della vita ne ha risentito
pesantemente. Secondo il Fondo
Monetario Internazionale nel 1994 in
Italia il prodotto interno lordo per capita,
in rapporto al costo della vita, era
all'incirca lo stesso di Francia e Gran
Bretagna. Oggi, è fermo all'80% degli
stessi paesi. L'Italia è l'unico paese
dell'Unione il cui Pil è sceso dal 2000 ad
9
oggi. Vito Tanzi, un economista e
sottosegretario del precedente governo,
che ha trascorso 26 anni lavorando con
le economie emergenti per il FMI, dice
che il paragone più appropriato che si
possa fare è quello con l'Argentina, che
nei primi anni '90 rappresentava una
delle maggiori economie mondiali; dopo
decenni di instabilità politica, corruzione
dilagante e crisi finanziarie ripetute,
l'Argentina è ora al ventiseiesimo posto,
appena dopo il Belgio, paese che ha un
quarto della sua popolazione. L'italia
forse non sarà un paese in default
ripetuto come la nazione sudamericana,
ma “si può capire tanto dell'Italia
osservando l'Argentina”, dice Tanzi.
OLIVETTI, ITALIA Non c’é un’unica
ragione per il declino economico
dell’Italia, cosí come non c’é un’unica
spiegazione per il crollo dell’Olivetti.
Camillo Olivetti fondó l’azienda nel 1908,
avviando la produzione di macchine da
scrivere di lusso. La ditta poi fiorì come
pioniera nel campo dell’elettronica sotto
suo figlio Adriano negli anni ’50,
producendo nel 1959 uno dei primi
computer completamente transistorizzati
al mondo. Il suo primo personal
computer, presentato nel 1965, venne
usato dalla NASA nella pianificazione
dell’atterraggio dell’Apollo 11 sulla luna.
L’azienda produsse anche la prima
macchina da scrivere elettronica al
mondo, nel 1978. L’Italia prosperò negli
anni ’60 e ’70, e divenne, da economia
povera e principalmente rurale che era
nel dopoguerra, uno dei paesi fondatori
del G7, il Gruppo dei Sette paesi
industrializzati. Era rinomata per il suo
vigore e il suo stile grazie a figure come
il direttore della Fiat Gianni Agnelli e
come
Enzo
Ferrari,
fondatore
dell’azienda di automobili sportive e da
corsa. L’Alitalia, sua linea aerea
nazionale, era tra le piú ammirate a
livello mondiale. Nel suo periodo d’oro, i
prodotti
all’avanguardia
dell’Olivetti
godevano di profitti che superavano fino
a 35 volte i costi di produzione, che
venivano poi reinvestiti in progetti di
ricerca e innovazione nei laboratori di
Ivrea e in California. Le vendite e i profitti
conobbero un picco a metá degli anni
’80, quando il computer M24 vendette
piú di 200,000 unitá negli Stati Uniti,
portando l’Olivetti ad essere il secondo
produttore di computer al mondo dopo
l’IBM. “Lavoravamo al massimo per
soddisfare la domanda,” racconta
Massimo Benedetto camminando nello
stabilimento deserto che una volta
ospitava fabbriche e uffici per 8,000
impiegati. Il magnate Carlo De Benedetti
comprò l’Olivetti nel 1978, e all'inizio le
cose andarono bene. Ma all’inizio degli
anni
’90,
con
l’aumento
della
competizione dagli Stati Uniti e dall’Asia,
De Benedetti iniziò a concentrarsi sul
resto dei suoi investimenti: finanza,
alimentari ed editoria. Lasció l’azienda
nel
1996,
e
l’anno
successivo
quest’ultima vendette la divisione relativa
ai personal computer, spostandosi
nell’ambito delle telecomunicazioni. Era
l’inizio della fine. Dopo una serie di
complesse fasi di riorganizzazione,
Olivetti si ritrovò ad essere una divisione
di Telecom Italia, la quale tentó di
rilanciare il business di macchine per
uffici, rimuovendo addirittura la “O” rossa
anni settanta, logo dell’Olivetti. La nuova
azienda non riuscì a decollare. L’Olivetti
conta tuttora globalmente meno di 700
impiegati. L'anno scorso ha dichiarato
265 milioni
di euro di fatturato,
vendendo registratori di cassa, stampanti
e la sua versione dell’Ipad, conosciuta
come “Olipad”.
LOTTA PER LA
SOPRAVVIVENZA
Molti a Ivrea
criticano lo Stato italiano per non aver
promosso una cultura tecnologica. Il
fallimento cruciale, peró, fu quello che
seguí la caduta dell’Olivetti: il nulla. In
tutto il mondo aziende nascono e
muoiono
regolarmente.
Il
destino
dell’Olivetti è stato condiviso da altri
giganti industriali europei come l’ex
compagnia telefonica finlandese Nokia,
le aziende automobilistiche svedesi
Saab e Volvo o la British Leyland in Gran
Bretagna. Ad Ivrea si prestò poca
attenzione alla rigenerazione, sia dal
parte del governo che dai privati cittadini.
Lo Stato, il quale si occupa della maggior
parte dei fondi pensione del paese, offrí
pensioni generose
ai lavoratori
dell’Olivetti che avevano perso il lavoro.
Le politiche di prepensionamento sono
uno dei motivi per i quali l’Italia spende
piú denaro pubblico sulle pensioni in
rapporto al PIL di tutte le altre nazioni
europee: il 15 % contro l’11% della
Germania e il 7% della Gran Bretagna. È
anche il motivo per il quale gli impiegati
che hanno perso il lavoro sono poco
motivati ad affrontare nuovi periodi di
formazione e a cercare un nuovo lavoro.
Gli ex impiegati dell’Olivetti di Ivrea che
si sono reinventati come imprenditori si
sono concentrati soprattutto su prodotti
esportabili. Antonio Grassino, un ex
ingegnere dell’Olivetti che ha lasciato
l’azienda nel 1986, ora guida una
compagnia
che
collauda
circuiti
elettronici. La Seica SpA dá lavoro a 110
persone e ha un giro d’affari annuo di 21
milioni di euro, 80% dei quali povengono
dall’esportazione. Tra i clienti ci sono la
Boeing, Samsung e Thales. Grassino,
come molti degli imprenditori italiani di
successo, dice che lavorare qui rende la
vita piú difficile. L’instabilitá politica, dice,
rende impossibile pianificare il futuro sia
per le aziende che per gli individui.
L’Italia ha avuto 65 governi nei 69 anni
dalla Seconda Guerra Mondiale. Ogni
nuovo governo disfa gli sforzi del
precedente per iniziare tutto da capo.
“Non si sa mai se un nuovo incentivo
fiscale che viene annunciato sia davvero
operativo e per quanto tempo,” dice.
“Allo stesso modo non sono motivato ad
assumere qualcuno adesso se penso
che ci possano essere incentivi per
nuove assunzioni nel prossimo futuro.”
Per gli stranieri è ancora piú difficile
districarsi tra normative e regolamenti in
continuo cambiamento. Secondo l'OCSE
gli investimenti esteri in Italia hanno
subito un crollo del 58% negli ultimi sei
anni e sono la metá rispetto a quelli che
interessano la Germania, la Francia o la
Gran Bretagna,
Stefano Sgrelli, il
fondatore di Salt & Lemon, ha
cominciato a lavorare in Olivetti nel
1980, dopo aver disegnato il software
per un gioco elettronico. E' stato in
California tre anni per l'Olivetti, per
lasciarla nel 1993, quando ha fondato
un'impresa di servizi informatici con un
vecchio collega. Dal 2009 si è dedicato,
con quattro soci, alla Salt & Lemon,
operando droni per una clientela sempre
più vasta, spaziando dal cinema
all'agricoltura. Come tanti a Ivrea, è
esasperato dalla burocrazia. Prima di
poter fatturare I suoi clienti in Italia, dice,
deve dimostrare di aver versato i
contributi previdenziali per i dipendenti.
Eppure è difficile ottenere informazioni
sulla situazione previdenziale da agenzie
i cui registri non sono mai aggiornati.
“Ciò spiega il successo che hanno
all'estero tanti imprenditori italiani. Non
riescono a credere quanto sia facile”
ride sotto i baffi Sgrelli. Sua figlia Diana,
di 22 anni, ha deciso di studiare
ingegneria all'Università di Torino,
ignorando quindi il consiglio del padre di
andare a studiare all'estero. Lui spera
che che si deciderà a partire dopo la
laurea. Se lo farà, si unirà a quello che
ha tutte le caratteristiche di un esodo.
Virtualmente prosciugata negli anni
settanta col miglioramento degli standard
di vita, l'emigrazione italiana è riesplosa
negli ultimi 10 anni. Le stime dicono che,
dal 2011, 250.000 italiani si sono
trasferiti nella sola Londra, facendone la
sesta città italiana più popolosa dopo
Genova. La maggior parte di coloro che
lasciano il paese sono in possesso di un
diploma di scuola superiore o di laurea.
Luigi Zingales, professore di economia
all'Università di Chicago, nonché uno
degli economisti italiani più in vista, dice
“Quando
si
ha
di
fronte
un'organizzazione o un paese che non
funziona, le soluzioni possibili sono due:
la protesta o la partenza. La partenza
riduce la pressione della protesta e di
conseguenza la possibilità di un
cambiamento all'interno”. Renzi è
l'ultimo, in ordine di tempo, che promette
riforme. Sta lavorando per liberalizzare
un mercato del lavoro ingessato, ha
presentato un pacchetto di norme
anti-corruzione, e si è impegnato a
semplificare la burocrazia per le imprese,
nominando addirittura un ministro per la
'semplificazione'. Sgrelli si sforza di
essere ottimista. “Credo che, seppur con
incredibile lentezza, la situazione si
evolverà,” dice, “ma parliamo in termini
di generazioni, non di anni.” " Gavin
Jones e James Mackenzie per Reuters
10
Siamo #10milionisenza
diritti di rappresentanza.
Riprendiamoceli!
Minipost
16.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); Ci sono oltre 10 milioni di
cittadini europei senza rappresentanza.
tutti coloro che hanno votato il M5S, lo
UKIP e gli altri componenti del gruppo
europeo EFDD si sono infatti visti privare
della possibilita' di eleggere i loro
presidenti
e
vicepresidenti
nelle
commissioni parlamentari. Fai sentire la
tua voce e manda questa mail alla
Commissione Europea, al Parlamento
Europeo e alla Corte di Giustizia
Europea:
"Ci sono oltre 10 milioni di cittadini
europei senza rappresentanza. Tutti
coloro che hanno votato il Movimento 5
Stelle, lo Ukip e gli altri componenti del
gruppo europeo EFDD si sono infatti visti
privare della possibilità di eleggere i loro
presidenti
e
vicepresidenti
nelle
commissioni parlamentari. Tali ruoli,
essenziali per un corretto bilanciamento
democratico, sono sempre stati attribuiti
per consolidata prassi istituzionale
attraverso l'utilizzo del metodo D'Hondt.
Tuttavia, nella legislatura corrente, le
forze politiche maggiori si sono
coalizzate per negare al gruppo EFDD la
possibilità di esprimere i suoi presidenti e
i
suoi
vicepresidenti.
Questo
contravviene al principio di inclusione
democratica e di tutela delle minoranze,
che deve certamente ispirare una unione
come quella europea e senza il quale si
assisterebbe all'imposizione delle idee
dominanti mediante la sottrazione del
diritto di rappresentanza. Tra quei "10
milioni" di cittadini europei ci sono anche
io e chiedo di essere trattato come tutti
gli altri. Non voglio avere più diritti, ma
certamente neppure meno di quelli che
mi spetterebbero se le mie idee politiche
mi avessero portato a votare altrimenti,
magari in maniera più allineata al
pensiero dominante. Non può essere
che vi siano 10 milioni di persone senza
qualcosa che agli altri è invece
concesso. Chiedo dunque che per
quanto riguarda la composizione delle
commissioni e la distribuzione delle
nomine venga ripristinata la quota di
rappresentanza
che
la
corretta
applicazione del metodo D'Hondt
avrebbe garantito a tutte le forze
politiche. Uno di #10milioniSenza"
Manda questa mail alla Commissione
Europea, al Parlamento Europeo e alla
Corte di Giustizia Europea
#BastaSoldiAiGiornali: la
proposta M5S in
Commissione
Informazione
17.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); >>> Oggi 17 luglio presso la
Camera dei Deputati alle ore 15.00 si
terrà l'incontro tra la delegazione del
M5S e quella del PD sulla legge
elettorale. La diretta streaming sarà
trasmessa sul blog e su La Cosa "Oggi
nella VII Commissione “Cultura, Scienza
e Istruzione”, si discuterà la prima
proposta di legge scritta con i cittadini
iscritti al M5S, quella sull'abolizione del
finanziamento
pubblico
all'editoria.
Facciamo una doverosa premessa
ricordando che: “il dovere più pregnante
del giornalista e caposaldo del diritto di
cronaca è il dovere di verità, considerato
sia dalla legge n. 69 del 1963 che dalla
stessa Carta dei doveri quale "obbligo
inderogabile". Gli organi di informazione
sono l'anello di congiunzione tra il fatto e
la collettività. Essi consentono alla
collettività l'esercizio di quella sovranità
che secondo l'art. 1 della Costituzione
"appartiene al popolo". Un'informazione
che occulta o distorce la realtà dei fatti
impedisce
alla
collettività
un
"consapevole esercizio della sovranità”.
La situazione in cui versa l’editoria
“tradizionale” è drammatica e la politica è
chiamata a trovare delle soluzioni per
realizzare il necessario rinnovamento del
sistema informativo del nostro Paese,
per portarlo qualitativamente alla pari di
altri grandi Paesi (ricordiamo che l’Italia
si trova al 49° posto del ranking 2014 del
Reporters senza frontiere sulla libertà di
stampa dietro a paesi come Estonia,
Giamaica, Costa Rica, Namibia, Capo
Verde, Ghana), per agevolare il
pluralismo informativo, per promuovere
un corretto e concreto inserimento dei
tanti giovani giornalisti che oggi sono
costretti a lavorare nelle redazioni per
pochi euro al pezzo. Anche negli altri
Paesi europei lo Stato interviene per
aiutare, in campo editoriale, ma lo fa per
incentivare nuove iniziative, promuovere
l’innovazione, aiutare i piccoli a crescere,
insomma per aumentare il pluralismo e il
ventaglio delle offerte, favorendo così
l’allargamento del mercato e la stessa
occupazione di settore. Invece, in Italia, il
sistema del finanziamento pubblico
all’editoria ha finito per trasformarsi in un
mero strumento utilizzato dai partiti per
favorire realtà editoriali ad essi collegate
direttamente
o
indirettamente
agevolando gli interessi dei grandi editori
e tutelando le grandi firme a discapito di
pluralismo, qualità dell’informazione e
libertà di stampa. Se è vero che negli
ultimi anni gli stanziamenti si sono ridotti,
è pur vero che il flusso di denaro
pubblico per il settore continua ad essere
consistente. Qualche numero: per il
2014, il dipartimento per l'Editoria della
presidenza
del
Consiglio
ha
a
disposizione circa 140 milioni di euro.
Stessa cifra per il 2015 e per il 2016. E
oltre alla dotazione del dipartimento,
l'ultima legge di Stabilità ha stanziato
ulteriori
risorse
per
il
sostegno
all'editoria: 50 milioni per il 2014, 40
milioni per il 2015 e 30 milioni per il
2016. Quindi, solo nel 2014, 190 milioni
di euro di soldi pubblici andranno
all’editoria. Di questi fondi una buona
parte andrà in contributi diretti, quindi per
intenderci sarà destinata anche a giornali
di partito o ad altre testate come
Avvenire (€ 4.355.324,42), Europa (€
1.183.113,76), Il Foglio (€ 1.523.106,65),
Italia Oggi (€ 3.904.773,62), Il Manifesto
(€
2.712.406,23),
L’Unità
(€
3.615.894,65) [dati del 2012]. Ben più
cospicui,
anche
se
difficili
da
quantificare, sono invece i contributi
indiretti: agevolazioni IVA, agevolazioni
postali, obbligo di pubblicazione dei
bandi pubblici, ecc.Ora chiediamo: a chi
dovrebbe giovare tutto ciò? Per noi la
risposta è banale: questo cospicuo
ammontare di denaro non ha nulla a che
vedere con quello che dovrebbe essere il
fine ultimo di una buona politica, ossia
tutelare l’art. 21 della Costituzione, bensì
mira a gonfiare le casse degli editori che
restituiranno il favore in termini di
“riconoscenza” nei confronti del governo
di turno.In questi giorni è vivacissimo
anche il dibattito relativo alla tutela del
diritto d’autore on-line, materia su cui è
già intervenuta di recente AGCOM
adottando un regolamento su cui siamo
molto critici. A riguardo, il M5S ha
presentato una relazione all’AGCOM
dalla quale si evincono tutte le nostre
perplessità ed una proposta di legge
(Atto Camera: 1639) che invece contiene
le nostre proposte. In sostanza noi
vorremmo superare l’approccio che
l’ordinamento italiano ha adottato finora
in materia di diritto d’autore on-line,
limitandosi ad una mera repressione
delle condotte di condivisione abilitate
dallo sviluppo della rete internet e
vorremmo, al contrario, coglierele
straordinarie possibilità offerte dalle reti
di comunicazione in termini di accesso
alle opere tutelate dal diritto d’autorecreazione e di condivisione di nuove
opere- sviluppo di nuove iniziative
imprenditoriali rese possibili dalla
rivoluzione digitale. Indro Montanelli ha
lasciato ad ogni giornalista tre semplici
regole: 1) guadagnarsi la fiducia del
lettore dicendo sempre tutta la verità e,
se ci si sbaglia, chiedere scusa
immediatamente; 2) scrivere con un
linguaggio semplice, quello del lettore e
non quello “dell’Accademia, peste e
dannazione di una cultura”. Essere
sempre al servizio del lettore; 3) non far
mai sentire al lettore la propria opinione:
“che te ne sia fatta qualcuna, è
inevitabile; e chi lo nega, o è un imbecille
o è un bugiardo. Ma non si può né si
deve imporla al lettore; bisogna
lasciargliela suggerire dai fatti secondo il
modo in cui gli si raccontano”. E invece
cos'è il giornalismo oggi anche e
soprattutto a causa di quei finanziamenti
pubblici che oggi vogliamo abolire?
L'intento del M5S è quello ambizioso di
rinnovare l’informazione e liberarla dal
giogo dei partiti e dei pochi editori che ne
detengono il controllo nel nostro Paese.
Parafrasando Enzo Biagi: “Credo nella
libertà di espressione, cioè giornali e
televisioni liberi di criticare il potere.“ Per
11
raggiungere
questo
obiettivo,
noi
riteniamo si debba passare anche
dall’abolizione
del
finanziamento
pubblico all’editoria così com’è concepito
oggi in favore di una nuova forma
transitoria destinata alla realizzazione di
una reale innovazione e che produca un
reale pluralismo. Dopo la giornata di
oggi vi terrò aggiornati sull'iter della
nostra proposta di legge." Giuseppe
Brescia, portavoce M5S Camera
Paolo Becchi parla a titolo personale,
non è l'ideologo del M5S e non ne
condivide assolutamente le valutazioni.
Lo si prega di esternare solo a titolo
personale
Renzi e i ''comitatini''
Minipost
17.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "La Basilicata e la Sicilia
sono meglio del Texas, il Mar
Mediterraneo è pieno di oro nero che
aspetta solo di essere estratto per
renderci tutti ricchi, le persone che in
tutta
Italia
si
oppongono
allo
sfruttamento del proprio territorio e alla
distruzione della propria economia sono
solo "tre, quattro comitatini". Questi
sembrano essere, ad oggi, i pensieri del
Premier Renzi, almeno stando a quanto
dichiarato in un'intervista al Corriere
della Sera. Forse offuscato dalla voglia
di fare, Renzi ha dimenticato di
analizzare in maniera approfondita i dati,
quelli veri. Parla di 40.000 posti di lavoro,
prendendo per buoni i dati di
Assomineraria (che ha recentemente
dichiarato anche che le trivelle in mare
fanno bene alla pesca), e dimenticandosi
ad esempio di rapporti di Confindustria e
sindacati, che evidenziano come il ramo
occupazionale
legato
all'efficienza
energetica sia enormemente più ampio e
importante. Si potrebbero creare 160
mila posti di lavoro l'anno per dieci anni,
senza
considerare
l'indotto
per
l'economia e i risparmi per i cittadini. Ma
Renzi sembra proprio non voler capire
che il futuro sono le energie rinnovabili e
l'efficienza energetica. Quanto al Texas
italiano, è evidente che il petrolio della
Basilicata non ha di certo portato
sviluppo economico e benessere agli
abitanti della regione, ma semmai soldi
nelle tasche di pochi (e sempre i soliti).
Stesso discorso vale per le trivellazioni
off-shore della Sicilia, dove i rischi e i
danni (ad esempio su turismo e pesca
sostenibile) sono tutti sulle spalle dei
cittadini, mentre i guadagni finiscono
altrove. E per cosa? Per estrarre un
quantitativo di petrolio che, stando ai dati
ufficiali del Ministero per lo Sviluppo
Economico, non coprirebbe neppure due
mesi di consumi del sistema paese.
Senza considerare le royalties, tra le più
basse d'Europa. E che dire dei comitati
locali, quelle centinaia di migliaia di
persone che, ogni giorno, in tutta Italia,
vivono
sulla
propria
pelle
le
conseguenze delle fonti fossili? [...] Il
nostro messaggio è chiaro: "Non è un
paese per fossili". Né per fonti fossili, né
per politici fossili." Luca Iacoboni Greenpeace, Campaigner Energia e
clima
L'#IncontroM5Spd sulla
legge elettorale
Ha vinto Juncker e l'Europa
dell'austerity
MoVimento
17.07.2014
Minipost
17.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "Oggi abbiamo incontrato il
Pd. Lenti devo dire: hanno rimandato ad
un altro tavolo... dopo 25 giorni di
gestazione dal primo. Non gli lasceremo
spazio per alibi o perdite di tempo.
Dall'inzio della nostra esistenza abbiamo
sempre detto "collaboriamo punto su
punto" con chi ci sta. Sulle preferenze
c'è stata un'apertura (che verificheremo
eccome). Non siamo assolutamente
d'accordo sul loro Senato non elettivo,
ciò non vuol dire che non possiamo
votare insieme l'abolizione dell'immunità
parlamentare e gli altri punti esaminati al
tavolo. Occhi puntati sul Senato dalla
settimana prossima. Si vota per
l'immunità parlamentare e vediamo se
tengono fede agli impegni di fine tavolo."
Luigi Di Maio
12
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "Con l'elezione di Juncker
alla Presidenza della Commissione
Europea, ha vinto l'Europa dell'austerity.
Ha vinto l'Europa dei sacrifici che non
bastano mai; quell'Europa che ha già
spezzato migliaia di vite sotto il peso
insostenibile
del
debito,
della
disoccupazione
e
della
povertà
dilagante. Ha vinto l'Europa del Fiscal
Compact,
partorito
dall'Eurogruppo
proprio quando lo stesso Juncker ne era
a capo. Il M5S condanna senza mezzi
termini la linea di continuità politica che
si realizza all'interno della Commissione
Europea con l'elezione del nuovo
presidente, ribadendo il proprio impegno
per la trasparenza e la democrazia. Non
potranno più agire indiscriminatamente.
La maggioranza del Parlamento Europeo
ha votato per la vecchia politica, gestita
in segreto; ha votato per garantire
ancora una volta il potere esercitato da
banche e multinazionali. Ma oggi in
Parlamento siede il Movimento 5 Stelle,
determinato a vigilare e ad agire perché
in futuro a vincere non sia più l'Europa
dell'austerity di Juncker, ma sia
finalmente l'Europa dei cittadini." M5S
Europa
Nadine Gordimer - Intervista
di Peter Panton
Informazione
18.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); Oggi, 18 luglio 2014 ricorre
l'anniversario della nascita di Nelson
Rolihlahla Mandela (Mvezo, 18 luglio
1918 – Johannesburg, 5 dicembre 2013)
e voglio ricordarlo pubblicando questa
intervista esclusiva recapitata al Blog da
un giornalista, autore e imprenditore
inglese che vive nel nostro Paese, Peter
Panton, che aveva intervistato Nadine
Gordimer verso la fine degli anni ‘80. La
scrittrice Sudafricana Nadine Gordimer
morta a 90 anni (23 Novembre 1923 - 14
Luglio 2014). La sua figura rappresenta
un fulgido esempio del detto “la penna è
più potente della spada.” Fortemente
contraria al sistema dell’Apartheid nel
suo paese nativo (il Sudafrica), ha
incentrato
il
suo
lavoro
quasi
esclusivamente su questa battaglia
culturale,
descrivendolo
in
modo
esemplare nelle storie delle persone
comuni. Tale è l’immagine che ha dipinto
del Sudafrica nel corso dei suoi 35 anni
di carriera da scrittrice da spingere il
critico Stephen Clingman a sottotitolare
un suo libro sul lavoro della Gordimer
“La storia dall’interno” (Nadine Gordimer.
History from the inside). Il lavoro di
Nadine Gordimer è ormai stato
largamente acclamato e il suo nome è
spesso citato per quanto riguarda il
Premio
Nobel
sebbene
lei,
modestamente,
nega
di
essere
all’altezza. Peter Panton: Ma quando ti
sei resa conto per la prima volta delle
complessità della società Sudafricana?
Nadine Gordimer: Beh, quando avevo 14
o 15 anni. PP: E da lì hai provato il tuo
senso di risveglio politico? NG: Beh…
Non è che mi sia improvvisamente unita
a un partito politico, infatti all’epoca non
c’era alcun partito che avrebbe potuto
soddisfare questo mio risveglio, ma pian
piano ho cominciato a guardare con
occhi nuovi al mondo in cui vivevo, in cui
ero cresciuta e come viveva la
popolazione bianca – Io sono cresciuta
in un piccolo paese minerario fino ai miei
20, 21 anni, e sono andata, piuttosto
tardivamente
all’Università
di
Johannesburg. Non avevo mai incontrato
dei neri che avessero gli stessi miei
interessi e che … avessero il mio stesso
livello di formazione. Neri con cui potevo
parlare da simili, allo stesso livello. Da
bimba avevo sempre presunto che i neri
erano così diversi da noi. I bambini neri
non andavano alle stesse scuole dei
bimbi bianchi. Io andavo a una scuola di
convento, dove non c’erano bambini
neri. I neri vivevano in zone periferiche,
non potevano utilizzare la biblioteca e
non potevano andare al cinema, e quindi
da bambino o bambina si tende ad
adottare le attitudini e i valori dei propri
genitori. Io supponevo che questa cosa
fosse del tutto naturale.
PP: Da
Sudafricana bianca che si oppone
all’Apartheid, come vorresti che il
cambiamento politico avvenisse in
Sudafrica? NG: Beh, in realtà vorrei che
avvenisse in modo pacifico ma ormai si
parla già del passato poiché sta già
capitando proprio ora e non è per niente
pacifico. Come dice il Vescovo Desmond
Tutu, l’unica speranza è di limitare la
violenza. Pensiamo ai 14 anni di guerra
in Zimbabwe. Oggi se si cammina per le
strade di Harare si vedono persone a
spasso, una con un braccio amputato,
un’altra con una gamba distrutta, e poi
tutta la distruzione nelle campagne
limitrofe. E mi chiedo: veramente non
possiamo imparare qualcosa da questo?
Riforme PP: Ma questi mutamenti di
cui si legge, come l’eliminazione dei
“Pass” (libretto d’identità che neri in
Sudafrica dovevano avere con sé
sempre per evitare di finire in galera) e
vari altri cambiamenti che stanno
arrivando molto lentamente…?
NG:
Occhio però, bisogna guardare bene il
dettaglio. Per quanto riguarda la legge
contro
l’immoralità,
beh,
nessun
problema. Prima di tutto interessa circa
1% della popolazione, ma poi, dove
andrai a vivere? Diciamo che tu hai una
moglie nera o io un marito nero e ora
che questo non è più illegale, non
finiremmo in galera per esser andati a
letto con tua moglie o mio marito, però tu
non potrai venire ad abitare accanto a
me con la tua moglie nera dato che la
mia zona è esclusivamente dei bianchi e
il marito nero non potrà andare a vivere
a Soweto con la sposa bianca perche
quella è una zona dei neri. Quindi, vedi
che quando incominci a smantellare
l’Apartheid scopri un enorme groviglio. E
poi, per quanto riguarda le leggi sui
“Pass”, questa è una cosa che tutti
attendevano da molto tempo, ma anche
qui la storia è molto complicata. Siccome
le leggi sui “Pass” sono state revocate,
ciò significa che tu hai la libertà di
andare dove vuoi. Quindi tu dici “Bene,
ora che non ho più un “pass” che dice
che devo lavorare solo a Johannesburg,
io voglio andare a Durban, quindi vado”,
ma non puoi andare a Durban finché non
dimostri che hai un posto di residenza. E
se sei nero… Io che sono bianca posso
andare a vivere dove mi pare. Quindi
non è tutto bello come sembra. È un
cambiamento molto lento. PP: Si, però
non se guardiamo l’America, non pensi
che ancora negli anni 60 anche lì c’erano
problemi molto simili a quelli del
Sudafrica, basta pensare a libri come
“To Kill a Mockingbird…” NG: Beh,
senz’altro.
PP: … e tutti quei libri
magnifici che raccontano del Sud, che
hanno entusiasmato tanta gente. La
situazione lì era molto simile ma penso
che oggi, dopo non tantissimi anni, le
cose si sono più o meno tranquillizzate,
anche se ancora oggi hanno dei
problemi in America … NG: Beh, si, ma
vedi, in America c’erano due differenze
enormi. La prima è che nella maggior
parte degli stati, se tu volevi diritti uguali
per i neri, la legge era dalla tua parte. Tu
imponevi la legge e quindi dovevi
contrastare l’ingiustizia. In Sudafrica
invece, se i neri vogliono l’uguaglianza, o
se tu la vuoi per loro, sei latitante perche
stai sfidando la legge. Questa è una
differenza enorme e poi, in America i neri
sono la minoranza mentre qui la
situazione è opposta: quattro milioni e
mezzo di bianchi su una popolazione
13
totale di circa 30 milioni… Il sistema
tribale PP: Tante persone fuori dal
Sudafrica non capiscono le complessità
del sistema tribale in Sudafrica – per
esempio, in Zimbabwe c’è stato
parecchio spargimento di sangue tra le
varie tribù. Pensi che la stessa cosa
potrebbe capitare anche in Sudafrica?
NG: No. PP: O sta già capitando? NG:
Vedi, qui in Sudafrica la questione delle
differenze tribali sono una cosa che le
persone
fuori,
l’occidente,
gli
occidendali, i governi che sostengono il
governo Sudafricano, sia pubblicamente
sia di nascosto - enfatizzano. Qui in
Sudafrica, negli ultimi 60 il sistema
tribale
è
stato
eroso
dall’industrializzazione. È stata una cosa
veramente dura. La crescita veloce dei
centri industriali ha portato tanti
lavoratori di diverse tribù ovunque,
vivendo assieme in ghetti. Pensa, solo a
Soweto ci sono ben più di un milione di
persone e Soweto è solo una delle zone
dei neri, e queste persone vengono da
tante tribù diverse. C’è solo un pericolo,
che è la zona del KwaZulu. Zona con
un’alta concentrazione di persone
provenienti dal “Zululand” (la terra degli
Zulu). Questo posto ora è governato
Mangosuthu Buthelezi, amato di tanti
occidentali che lo considerano un
moderato… PP: Ma lui è veramente un
moderato? NG: E’ un leader nero. Ma
penso che rappresenti un grande
pericolo perché, anche se non ha
ottenuto l’indipendenza totale, ha
comunque una sua base in quella zona,
con un proprio esercito che spesso
aggredisce chiunque non segua e non
sostiene Buthelezi. Quando arriverà il
cambiamento, e sicuramente arriverà,
non so se lui sarà disposto a far parte di
un Paese unito o se forse vorrà piuttosto
mantenere la sua base di potere.
Nelson Mandela PP: Si dice che sia
Stephen Boesak sia Mandela siano tuoi
amici personali. Il nome di Mandela è
spesso suggerito come il candidato
eccellente per introdurre il governo
maggioritario in Sudafrica, ma certi
osservatori hanno cinicamente suggerito
che il più grande contributo che lui
potrebbe dare al movimento di
liberazione sarebbe di restare in carcere
perche così sarebbe per loro il punto
focale. Prima cosa, pensi che il governo
potrebbe scarcerarlo e seconda cosa,
cosa pensi che succederà se dovessero
scarcerarlo?
NG: Beh, vorrei prima
commentare ciò che hai detto poco fa.
Penso che era vero forse fino a un anno,
un anno e mezzo fa. Purtroppo per lui, il
più grande contributo di Nelson Mandela
alla cause è che ha sacrificato la sua vita
per diventare quel punto focale in
carcere. Ma penso che ora non è più
cosi. Ed è molto importante che lui esca
dal carcere. E’ di vitale importanza. PP:
Pensi che questo accadrà mai? NG:.
Beh, comincio a pensare che ciò non
avverrà.
Penso
che
il
governo
Sudafricano abbia tentato in tutti i modi,
senza successo, di dividere la leadership
del A.N.C. Se hai seguito i vari dibattiti e
discorsi tenuti recentemente, avrai
sicuramente colto le ipotesi che
all’interno del A.N.C. ci sono due fazioni
diverse. Una è la fazione comunista e
l’altra è la fazione “più moderata” e
penso che la cosa che il governo
avrebbe voluto fare è rilasciare Mandela
senza rilasciare tutti gli altri insieme a lui.
Ma ora Mandela non accetterà di
uscire… PP: Se gli altri non vengono
rilasciati con lui…
NG: … I suoi
compagni, sì. Vedi, lui non accetterebbe
mai un simile trattamento perche vuole
mantenere
unità
all’interno
del
movimento, ma è comunque molto
importante che lui esca dal carcere, vista
l’insurrezione che sta avvenendo ora in
Sudafrica. C’è il rischio che i giovani si
stiano abituando a dirigere una propria
campagna di liberazione, il che è una
cosa veramente pericolosa. Molti di
questi giovani sono andati a scuola per
un solo mese nell’ultimo anno, e quando
parlo di “scuola” intendo tutti e quattro i
livelli scolastici dove ci sono alunni di
ventuno o ventidue anni che non hanno
potuto permettersi di andare a scuola in
modo continuo come noi. PP: Quindi
non esiste regolarità scolastica per
bambini neri? NG: No, e penso che ci
sia la necessità di avere una figura
centrale, non solo quella di Mandela ma
anche quella di altri, per dirigere queste
energie. Perché esiste il pericolo che i
giovani si abituino ad avere questo
potere che hanno conquistato, tanto da
non poterli più controllare. Potrebbe
diventare un problema dopo l’arrivo del
governo maggioritario, e per di più, la
cosa più importante è che non ci sia uno
spargimento di sangue. Quindi secondo
me solo la presenza di Mandela e dei
suoi tenenti potrebbe disinnescare
questo tipo di pericolo. Però il governo
dovrebbe prima metter fine alla propria
violenza. Il governo dice sempre che
Mandela deve rinunciare alla violenza,
ma a sua volta il governo non offre di
rinunciare alla sua violenza. Il futuro
PP: Che futuro vedi tu per i bianchi in
Sudafrica con un governo maggioritario?
NG: Dipende interamente dai bianchi.
Se ci sarà un governo maggioritario in
Sudafrica, la maggiore parte dei neri
voteranno
per
l’African
National
Congress e l’A.N.C non è e non è mai
stato un partito anti-bianchi e neppure
visualizza un Sudafrica senza la
popolazione di bianchi. Ha sempre fatto
di tutto, quasi arrivando all’estremo,
rischiando un attacco dai neri separatisti,
per mantenere i rapporti con i bianchi. Ci
sono sempre stati dei bianchi nella
gerarchia direttiva del partito, in ruoli
piuttosto elevati. Il partito ha sempre
collaborato con i bianchi e non c’è
alcuna possibilità che I bianchi vengano
cacciati dal Paese se l’A.N.C sarà
destinata a essere la forza di governo in
Sudafrica.
Io penso che se tu sei
bianco, allora dove stai? Vuoi far parte di
un gruppo separatista bianco con
protezioni speciali, o vuoi piuttosto
essere un Africano con la pelle bianca?
Io penso che il futuro per I bianchi sarà
di essere africani bianchi. Bisogna
sinceramente accettare il fatto che
questo è ed è sempre stato un Paese
nero, con una maggioranza di neri e che
si dovrà imparare a vivere con una
leadership nera. Fino ad ora i bianchi
sono stati abituati a gestire tutto,
decidere tutto e avere tutto per se stessi,
come se il paese fosse un enorme
“country club”.
ADDENDUM: Nelson
Mandela fu il primo Presidente nero del
Sudafrica (1994–99). I suoi negoziati con
il Presidente Sudafricano in carica, F.W.
De Klerk nei primi anni ’90 contribuì a
eliminare il sistema di apartheid, cioè la
segregazione del paese a base razziale
e l’inaugurazione di una transizione
pacifica a un governo maggioritario.
Il M5S in UE: Morti a Gaza,
l'Europa dov'è?
Eletti e non nominati.
#GrazieRenzi
Minipost
18.07.2014
Politica
18.07.2014
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{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); });
"Non siamo qui per
sostenere ciecamente una fazione o per
appiccicare sul nostro petto una etichetta
per interesse, ci schieriamo unicamente
a favore di due popoli, quello palestinese
e quello israeliano, che reclamano
entrambi il diritto all’esistenza e a una
vita normale per i loro figli. Ci schieriamo
in difesa dei civili innocenti, dei più
deboli, che troppo spesso hanno l’unica
colpa di avere ereditato una storia
dolorosa, di vivere vicino a un confine
contestato, di attraversare la strada
sbagliata al momento sbagliato. [...] Se
l’Unione Europea ambisce a essere un
attore globale sulla scena internazionale,
è proprio questa l’occasione per
dimostrare che con una unica voce può
e vuole essere all’altezza delle sue
ambizioni, perché il Mediterraneo non è il
fossato di un castello medioevale, ma un
ponte tra civiltà. Vi chiedo quindi di usare
tutto il nostro coraggio per impedire che
l'genda dei negoziati sia dettata dagli
opposi estremismi, perché l’unico
estremismo che possiamo accettare è
quello del dialogo a ogni costo, quello
della pace, fondata su eguali diritti e
uguali dignità. Trovare l’accordo tra le
parti, partendo dalla proposta egiziana
per una tregua duratura e poi contribuire
a disegnare un futuro in cui due popoli
liberi, di due stati indipendenti,
convivranno finalmente in armonia.
Questi a mie parere dovrebbero essere i
nostri due obiettivi come Parlamento che
ha
l’onere
di
rappresentare
la
democrazia in Europa." Fabio Massimo
Castaldo, portavoce M5S Europa - leggi
l'intervento integrale
14
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); "Alla fine, l’incontro con il
PD si è svolto ed è durato un’ora e
mezza. Certo, dopo ben 25 giorni di fitto
e intenso rapporto epistolare ci saremmo
aspettati che arrivassero al tavolo con
idee
più
chiare,
una
maggiore
concretezza e anche più preparati. Ma
non si può pretendere la luna. Malgrado i
proclami di rapidità, il succo è che su
quasi tutto si è preso bradipescamente
altro tempo. Trattativa completa quindi
che dovrebbe essere rinviata a una data
ipotetica e condizionata alle mille
vicissitudini parlamentari. Renzi parla di
15 giorni ma potrebbe slittare addirittura
a settembre. Il M5S era pronto a
chiudere ieri. Ci dispiace per il Pd ma
non c'è più tempo. Il M5S non se la
sente di prendere per il culo i cittadini
italiani per un'intera estate. Resta
comunque la grande soddisfazione per
l’apertura e il parere positivo ottenuti
sull'introduzione delle preferenze nella
legge elettorale che a questo punto
diamo per confermati e che voteremo
dopo la ratifica della proposta di legge
elettorale concordata ad oggi degli iscritti
on line. Il tema delle preferenze per noi è
fondamentale, è una battaglia iniziata nel
2007 con il primo Vday e con la raccolta
di 350.000 firme per l'iniziativa di legge
popolare "Parlamento Pulito". Quindi,
almeno per questo, grazie a Renzi per
aver accolto la proposta di un
Parlamento di eletti e non di "nominati".
Del resto Renzi stesso si era pronunciato
in passato
apertamente contro un
Parlamento di "nominati". Bisogna dargli
atto che, anche se in ritardo, ha
mantenuto la sua parola e si spera che
la possa mettere in atto. Non crediamo
infatti che su questo punto il segretario di
un partito che ha avuto il 41 e rotti alle
ultime elezioni europee debba chiedere il
permesso a un chicchessia di Forza
Italia, terza forza politica nel Paese
destinata all'implosione e guidata da un
pregiudicato. PS: Ieri al tavolo si è
ipotizzato un altro appuntamento. Ma al
momento si preferisce la ratifica degli
attuali punti fin qui negoziati da parte dei
nostri iscritti. Saremo pronti a votare la
legge
elettorale,
inclusiva
delle
preferenze, direttamente in Aula"
La delegazione M5S Luigi Di Maio,
Danilo Toninelli, Paola Carinelli, Vito
Petrocelli
In ricordo di Paolo e della
sua scorta
Le linee del Movimento sono
quelle dei cittadini
Minipost
19.07.2014
MoVimento
19.07.2014
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); });
In ricordo di Paolo
Borsellino e della sua scorta, uccisi in via
D'Amelio, a Palermo, il 19 luglio del
1992. "C'è un equivoco di fondo. Si dice
che
il
politico
che
ha
avuto
frequentazioni mafiose, se non viene
giudicato colpevole dalla magistratura, è
un uomo onesto. No! La magistratura
può fare solo accertamenti di carattere
giudiziale. Le istituzioni hanno il dovere
di estromettere gli uomini politici vicini
alla mafia, per essere oneste e apparire
tali". Paolo Borsellino
googletag.cmd.push(function()
{
googletag.display('div-gpt-ad-137223905
2320-0'); }); Il Pd sta mettendo in dubbio
le buone intenzioni del Movimento 5
Stelle al tavolo sulla legge elettorale. E'
chiaro a chiunque abbia seguito lo
streaming che il M5S aveva 5 punti chiari
mentre il Pd cercava di non dare alcuna
risposta concreta e di temporeggiare.
Renzi parla di una sconfessione dal blog
che non c'è mai stata. Non esiste una
linea Grillo/Casaleggio. Non esiste una
linea Di Maio. Non esistono linee
all'interno del Movimento, se non quelle
dei cittadini. Il Pd questo fa fatica a
comprenderlo perché difende solo le
ragioni degli accordi segreti del patto del
Nazareno. I fatti di questi giorni in aula al
Senato lo dimostrano. Sosteniamo senza
riserva alcuna la posizione della
delegazione M5S. Per questo faremo
ratificare i punti proposti al tavolo sul
portale del Movimento di modo che i
cittadini iscritti possano esprimersi. Cosi
si potrà andare direttamente in aula e
votare una legge elettorale con le
preferenze: dato che proprio Renzi ha
dichiarato più volte durante l'incontro di
volere le preferenze nella legge
elettorale. Beppe Grillo e Gianroberto
Casaleggio
15
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Editoriale In fuga dal Senato