ATTUALITà 10 Ballando con lo Stalin L’ultimo varietà da Camera: l’insegnamento della storia e la politica-spettacolo. di Michele Borsatti Nietzsche che dice? Si parva licet…, nel secolo XIX, Friedrich Nietzsche pubblicava la seconda delle sue “Considerazioni inattuali”, con il titolo “Sull’utilità e il danno della storia per la vita”. Un’opera ancora oggi abbastanza letta e ricordata nei licei e nei corsi universitari, breve ma di ampio respiro; una delle molteplici riflessioni ben poco tenere del filosofo sui suoi compatrioti tedeschi, fondata sulla distinzione tra storia monumentale, storia antiquaria e storia critica. Volendo semplificare senza troppe forzature, il succo della questione era che i Tedeschi, ma in fondo tutto l’Occidente, apparivano inermi e schiacciati dal peso della storia e del suo studio. Meglio farla, la storia, che studiarla lasciandosi opprimere dall’ossessione della memoria. Nell’Italia del XXI secolo, non si sa quanto protagonista della storia presente (”ai posteri l’ardua sentenza”), l’unica analogia con il testo di Nietzsche appare l’ossessione della memoria storica, ma soltanto in superficie. Alcuni politici nostrani, infatti, non sembrano particolarmente preoccupati dal peso delle conoscenze storiche (prevale la turba multipartitica di quelli che la storia la sanno poco e male, come chi dichiarò in televisione che Salerno è stata la capitale d’Italia); né l’ossessione sembra rivolgersi a quale orma nella storia italiana stamperanno le attuali vicende politiche. L’attenzione si concentra invece su vicende di un passato recente, ma neanche troppo, che viene periodicamente additato come il momento di uno scippo della memoria collettiva: i primi anni del secondo dopoguerra. Tale scippo produrrebbe i suoi nefasti effetti anche oggi, in certe riletture della storia degli ultimi anni o della più stretta attualità politica. Bersaglio privilegiato diventano così diversi manuali scolastici, accusati di una lettura faziosa degli ultimi sessanta anni di vicende italiane. In questi termini e attraverso siffatti dibattiti sale alla ribalta politica, e soprattutto mediatica, la storia; sospetta, pericolosa, influente, ingannevole, strumentale, faziosa. Tale appare nell’Italia del duemila la “maestra di vita”, connotata analogamente ad un personaggio che guadagnò notorietà e denari come “maestro di vita”, un certo Do Nascimento. Coincidenze? “Il sacrosanto comunismo” Tralasciando alcuni precedenti, ormai inghiottiti dall’oblio, l’anno in corso ha portato all’attenzione la proposta di istituire una Commissione parlamentare di inchiesta sull’imparzialità dei libri di testo scolastici, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale lo scorso 18 febbraio. Proponente e prima firmataria: Ga- briella Carlucci (PdL). Una proposta estremamente sentita, come si evince dal tono: “con la presente proposta di legge si vuole istituire una Commissione parlamentare di inchiesta volta ad accertare e a porre fine a questa situazione a dir poco vergognosa. Non si può, ancora oggi in un Paese che tutti definiscono libero, esercitare un indottrinamento del genere. Indottrinamento subdolo e meschino perché diretto a plagiare le giovani generazioni dando insegnamenti attraverso una visione ufficiale della storia e dell’attualità asservita a una parte politica. Non può il Parlamento ignorare e fare finta di non vedere queste cose: sarebbe una mancanza nei confronti della libertà di opinione delle giovani generazioni, palesemente violata”. A coronamento dell’approccio barricadero, ecco l’anello che non tiene, per dirla col poeta: un grossolano fraintendimento, compiuto dall’ ex intrattenitrice televisiva, con l’aggravante di averlo pubblicato sulla “Gazzetta Ufficiale” (e non, poniamo, pronunciato nel corso dello show “Ballando con le stelle”, presentato dalla sorella Milly). Gabriella Carlucci così scrive: “«Elementi di storia» di CameraFabietti, edito da Zanichelli,a pro- 11 posito dei gulag sovietici, in cui perirono milioni di esseri umani, scrive: «L’ignominia dei gulag non è dipesa da questo sacrosanto ideale (il comunismo), ma dal tentativo utopico di tradurlo immediatamente in atto o peggio dalla conversione di Stalin al tradizionale imperialismo»”. Per capire il granchio carlucciano, basta leggere la citazione completa del manuale aborrito, citazione che persino un documento di “Azione studentesca”, altrettanto indignata, ha avuto l’accortezza di riportare fedelmente, senza chiose bizzarre: “in linea di principio il comunismo esprimeva l’esigenza di uguaglianza come premessa di libertà (e l’ignominia dei Gulag non è dipesa da questo sacrosanto ideale, ma dal tentativo utopico di tradurlo immediatamente in atto o peggio dalla “conversione di Stalin al tradizionale imperialismo)”. Dal confronto appare chiaro lo svarione parlamentare: “questo sacrosanto ideale” non è riferito al comunismo, ma evidentemente all’”esigenza di uguaglianza come premessa di libertà”, o se si vuole alla “libertà”. Invece sulla Gazzetta Ufficiale, la firmataria della proposta si è sentita in dovere di aggiungere fra parentesi la precisazione “il comunismo”, che neppure Marx e Lenin hanno mai definito “sacrosanto ideale”. Ad una lettura fedele alla logica e alla sintassi italiana, il discorso del manuale di storia messo alla gogna dalla Carlucci è tutt’altro che tenero con il comunismo, segnatamente con quello sovietico staliniano. Se una commissione d’inchiesta sui manuali di storia viene proposta a voce e per iscritto da chi dimostra una lettura approssimativa di un manuale per studenti, e se nessuno dei firmatari si accorge in tempo dello scivolone, non è fuori luogo chiedersi quali titoli abbiano i proponenti per occuparsi con tanta strenuitas di libri di storia. L’angoscia da viaggio nel deserto aumenta quando si passa dalla teoria alla pratica: “ART. 3. 1. La Commissione è composta da venti senatori e da venti deputati nominati, rispettivamente, dal Presidente del Senato della Repubblica e dal Presidente della Camera dei deputati, in proporzione al numero dei componenti i gruppi parlamentari, comunque assicurando la presenza di un rappresentante per ciascun gruppo presente in almeno un ramo del Parlamento”. Se invece della Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana si trattasse di un giornalino enigmistico da ombrellone prossimo venturo, si potrebbe giocare al “Che cosa manca?”. Sono quaranta, tutti politici, equamente divisi tra Camera e Senato, in rappresentanza di ciascun gruppo parlamentare. Manca, semplicemente, chi avrebbe i titoli per occuparsi del caso: gli storici di mestiere. Il problema epocale sollevato a suo tempo da Nietzsche parrebbe ampiamente neutralizzato: per occuparsi di storiografia è opportuno arruolare chi ne è completamente al di fuori e non ne fa mistero. Pare proprio che alcuni deputati non si fidino del lavoro degli storici e dei docenti, ai cui guasti solo la politica potrebbe e dovrebbe porre rimedio. Il fine della Commissione parlamentare d’inchiesta si propone come alto ed ambizioso: vigilare “sull’imparzialità dei libri di testo scolastici”. Sorge un dubbio: non sarebbe meglio aggiungere qui qualcosa tra parentesi, come “di storia”, onde evitare che la Commissione creda di dover un domani sottoporre a verifica anche l’imparzialità dei manuali di algebra o di scienze della terra? La prima vigilanza si prova sul terreno del rigore espositivo. Manuali per forza L’impressione generale è che, anche senza entrare nel merito dei giudizi sui vari manuali e della reale urgenza che il Parlamento italiano si occupi della questione, il metodo Carlucci presenti delle incoerenze. Tali incoerenze sono dovute, probabilmente, al fatto che l’iniziativa è partita dall’ambiente politico, da un personaggio di spettacolo, e non ha mai trovato, o inteso trovare, occasioni di confronto con il mondo accademico o con gli insegnanti di storia delle scuole secondarie. In entrambi questi ultimi ambienti, infatti, il problema appare poco sentito e non troppo urgente; forse il problema proprio non c’è e la battaglia politica rischia di rimanere autoreferenziale. Da come l’onorevole Carlucci si esprime in merito all’urgenza di creare la Commissione parlamentare, risulta inoltre evidente una certa estraneità ai criteri con cui i docenti scelgono e adottano i libri di testo: “Ognuno ha diritto ad avere il suo punto di vista e anche la sua faziosità: può scrivere i suoi articoli o i suoi libri, poi li comprerà chi vuole. Ma si può essere così di parte in manuali (perché il problema riguarda non uno, ma molti libri di testo) che migliaia di studenti devono, per forza, comprare e studiare? Può la scuola di Stato, quella che paghiamo con i nostri soldi, trasformarsi in una fabbrica di pensiero partigiano e anche fazioso, spesso superficiale?” La prima e l’ultima frase del paragrafo riportato sono ovviamente condivisibili, anche la domanda retorica che lo conclude. Faziosità e superficialità sono rischi che ogni buon docente, preparato e deontologicamente corretto, deve essere in grado di scongiurare, per il bene degli studenti e della loro preparazione culturale. Fare 12 12 propaganda politica a scuola è inopportuno e fuori luogo; altre sono le sedi e gli strumenti. Meno realistica e fondata si rivela la parte centrale del paragrafo. Chiunque abbia suggerito all’onorevole Carlucci di porre il problema in Parlamento, non ha spiegato alla deputata quello che accade nelle scuole quando si tratta di adottare i libri di testo. Nessun libro, in nessuna scuola, deve essere, come invece si legge nella Gazzetta Ufficiale, per forza comprato e studiato. Giova, a beneficio dei politici italiani, ripetere su queste pagine ciò che tutti i docenti della Repubblica sanno e mettono in pratica annualmente. Ogni anno, con largo anticipo, i rappresentanti delle case editrici contattano personalmente ogni docente in ogni scuola, “rubandogli” alcuni minuti delle ore libere, per proporre nuovi testi da adottare nelle classi. Successivamente, sentite le esigenze dei vari insegnanti, i rappresentanti portano a scuola diversi saggi campione dei testi appena pubblicati o ristampati, con la speranza che per le successive adozioni se ne tenga conto. Negli anni di “vacche grasse”, ogni docente riceveva in dono (uno dei pochi privilegi di una casta decisamente meno privilegiata dei parlamentari…) diversi volumi. Negli ultimi anni, spesso, i docenti di una stessa materia si passano un solo volume campione per ogni testo (che sia questo il comunismo?) e poi si scambiano pareri. In primavera, si riuniscono i dipartimenti disciplinari per vagliare il materiale e proporre le nuove adozioni. Il che significa che per adottare un nuovo testo di storia contemporanea, o per confermarne uno già in uso, tutti gli insegnanti della scuola si ritrovano di pomeriggio nei locali dell’istituto. La tendenza ultimamente è quella di uniformare le scelte, almeno nelle classi parallele che condividono lo stesso indirizzo di studi. Ogni nuova adozione deve essere formalizzata e in un apposito verbale devono essere indicate dettagliatamente le motivazioni alla base delle scelte. Va da sé che i criteri dell’adozione guardano attentamente alla maneggevolezza del testo (si chiama “manuale”, mica per niente) e alla sua efficacia didattica. Da alcuni anni esiste, discutibile fin che si vuole, un paletto: quello dei prezzi. Onde evitare speculazioni degli editori, lo Stato ha deciso di tutelare le famiglie, ponendo un tetto di spesa che non può essere assolutamente superato. Ben lo sanno quei consigli di classe che si sono visti riconvocare per rifare la lista dei libri da acquistare. Si tratta solamente di una questione di calmiere. Non è finita: dopo le riunioni dipartimentali per materie, vengono convocati i consigli di classe; i coordinatori di classe dovranno presentare le nuove adozioni alle famiglie degli studenti, i cui rappresentanti sono formalmente convocati per l’occasione. Una volta concluse tali riunioni, il Dirigente Scolastico convoca il Collegio dei Docenti, che dovrà ratificare tutte le scelte compiute attraverso una votazione a maggioranza. Soltanto successivamente, la segreteria didattica di ogni scuola potrà pubblicare, all’albo e sul sito dell’istituto, le liste dei testi adottati classe per classe, in modo che le famiglie provvedano all’acquisto entro il settembre successivo. Come si può evincere da questa noiosa rievocazione, passaggi e filtri dalla proposta di un testo alla sua approvazione e acquisto sono molteplici e articolati. Una strada più lunga e garantista non si sarebbe potuta immaginare: una realtà molto diversa da quella di stampo coercitivo ed arbitrario che esce dalla sommaria e accigliata descrizione della Carlucci. Non risulta che sia mai stata compiuta un’indagine del genere, ma non si ha memoria di libri di testo bloccati da singoli colleghi, Collegio Docenti o famiglie perché subdolamente orientati all’indottrinamento ideologico. Quando un simile manuale esisteva, non se ne poteva bloccare l’adozione, perché erano i tempi di “libro e moschetto”. C’erano, sì, tre vezzose sorelle a svagare l’Italia, si chiamavano Lescano; ma nessuna di loro sedette mai nell’ ”aula sorda e grigia”. Lo giuro sui banchi dei miei figli Se la proposta dell’onorevole Carlucci appare poco credibile, dunque, è per la sua sostanziale estraneità al mondo della cultura e dell’istruzione. Ci si potrebbe limitare a queste obiezioni e suggerire correttivi: i politici non sono tuttologi e non sempre hanno tempo e modo di documentarsi rigorosamente, visti i tanti settori di cui sono chiamati ad occuparsi. Si può sbagliare per inesperienza e approssimazione, vale per i politici, gli storici e i professori. Eppure c’è qualcosa da cui il mondo accademico e quello della scuola secondaria dovrebbero unanimemente dissociarsi, esprimendo con chiarezza (qualcuno già lo ha fatto, come il Direttivo Clio ‘92) la loro contrarietà: il tono della proposta è inaccettabile a prescindere dalla parte politica da cui giunge. Inaccettabile non perché di destra, centro o sinistra, ma perché testimonianza, esso sì, di una certa faziosità e superficialità alla base della pratica politica. Basta leggere il testo della proposta: “Con la caduta del Muro di Berlino e con la fine dell’ideologia comunista in Italia i tentativi subdoli di indottrinamento restano tali, anzi si rafforzano e 13 si scagliano non solo contro gli attori della storia che hanno combattuto l’avanzata del comunismo ma anche contro la parte politica che oggi è antagonista alla sinistra. Tutto ciò non è pura teoria, basta sfogliare la maggior parte dei libri di testo che oggi troviamo nelle scuole, sui banchi dei nostri figli, per capire la gravità del problema”. In realtà l’ideologia comunista sopravvive, se pure ai minimi termini, in alcuni partiti politici italiani, che al massimo potrebbero essere accusati di anacronismo più che di subdolo indottrinamento, vista la loro esiguità. Il peso politico, ma anche di consenso generale, di chi si professa pubblicamente comunista è in calo, invece di rafforzarsi, e alla Carlucci basta dare un’occhiata agli scranni attorno. Lascia attoniti l’affermazione successiva: quale manuale italiano di storia denigra Inglesi e Americani, oppure Lech Walesa e Giovanni Paolo II? La Carlucci, generosa nelle citazioni, non ne riporta un solo esempio. Inoltre, negli stralci proposti (sempre dal manuale di Camera e Fabietti) nessuna delle dichiarazioni e azioni attribuite a Silvio Berlusconi è falsa: «l’uso sistematicamente aggressivo dei media, i ripetuti attacchi alla magistratura, alla Direzione generale antimafia, alla Banca d’Italia, alla Corte costituzionale e soprattutto al Presidente della Repubblica condotti da Berlusconi e dai suoi portavoce esasperarono le tensioni politiche nel Paese, sommandosi alle tensioni sociali determinate dalla disoccupazione crescente (che contraddiceva clamorosamente le promesse elettorali di Forza Italia) e dai tagli proposti dal governo alle pensioni, alla sanità e in genere alle spese statali per la previdenza sociale». «Berlusconi annunciò ai deputati le proprie dimissioni, dichiarando nello stesso tempo che sarebbe seguito o un governo Berlusconi-bis o un governo destinato a condurre al più presto il Paese a nuove elezioni. Tali pronunciamenti miravano esplicitamente a ridurre o a vanificare la libertà di scelta del Presidente della Repubblica»”. Lo stesso Berlusconi non solo non potrebbe smentire, ma probabilmente non rinnegherebbe nulla di quanto, fondatamente, gli viene attribuito riguardo all’anno 1994. E’ la Carlucci stessa ad attribuire una connotazione fosca al paragrafo del manuale di storia, dichiarando: “nel 1994, con Berlusconi Presidente del Consiglio dei ministri, la Democrazia italiana arriva a un passo dal disastro”. Se dopo aver letto quest’ultima chiosa ritorniamo al “sacrosanto ideale del comunismo”, ci sembra quasi che l’onorevole Carlucci si sia lasciata sfuggire pensieri comunisti e antiberlusconiani che neppure gli aborriti manuali di storia hanno osato esprimere. Queste frasi sono soltanto sue, ma preferiamo attribuirle a difetti di elocutio oratoria, riconoscendo la sincera lealtà dell’onorevole nei riguardi della propria parte politica. Le malignità gratuite le lasciamo volentieri allo squallido mondo del gossip. Non possiamo purtroppo dire lo stesso dell’onorevole Carlucci che, con le sue dichiarazioni, riduce di fatto gli insegnanti ad acritiche e servili cinghie di trasmissione della subdola e frustrata ideologia comunista. Non solo nell’insegnamento della storia, ma anche della filosofia; di quest’ultima disciplina, l’onorevole, prodiga di citazioni, non porta alcun esempio. Le risponda, a nome di tutti i docenti, l’eterno Totò: “Parli come badi”. “Son dottore, non somaro!” La battuta, tratta da un libretto d’opera di Giuseppe Palomba, ri- assume idealmente lo scatto di orgoglio suscitato dalla proposta in chi di storiografia si cura avendone i titoli. Portiamo ad esempio il parere di Marco Severini, docente tra l’altro di metodologia della ricerca storica all’Università di Macerata. Richiesto di un parere sulla proposta Carlucci, risponde ricordando un caso emblematico: “Un testo di successo come Il secolo breve è stato scritto da uno storico, Eric J. Hobsbawm, che non ha fatto mistero della propria impostazione marxista. E lo ha fatto in un Paese, l’Inghilterra, che non può essere definito filomarxista; poi ognuno è libero di criticare il testo che, per l’Italia ad esempio, esclude periodi fondamentali come l’età giolittiana. Ma nessuno si è mai permesso di gridare allo scandalo per la formazione marxista dell’autore”. I problemi dell’insegnamento della storia in Italia, lascia intendere Severini, sono altri e riguardano alcuni vizi nazionali che investono anche il mondo accademico. Inoltre, in Italia si aggirerebbero alcuni portatori sani di fraintendimenti: “Molti giornalisti – ricorda il docente e ricercatore – si sono occupati di storia e hanno pubblicato libri di successo, da Montanelli a Vespa. Tutto questo non ha la minima attinenza con la ricerca storica e non ha alcun fondamento metodologico. Basta dire che il giornalista, quando scrive di storia, scambia la notizia per una fonte e la pubblica per buona”. In sintesi, come già sa chi se ne occupa per mestiere, scienza, ricerca e metodo sono i fondamenti imprescindibili della storiografia, l’abc. Eppure in Italia ci sono tanti che all’abc preferiscono la zeta: quella rapida ed istintiva, plateale e giustiziera, veemente ma frivola, della spada di Zorro.