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Giuseppe Parini – Il Giorno
Vita
Giuseppe Parini nasce il 22 o 23 maggio del 1729 a Bosisio, vicino a Milano.
Il padre, Francesco Maria Parini, era commerciante di seta e la madre, Angiola Maria Carpani, sua seconda
moglie.
Riceve la sua prima istruzione dai parroci del paese e a 10 anni viene mandato a Milano a studiare per diventare
sacerdote. Diventando sacerdote avrebbe potuto ottenere un reddito annuo promesso nel testamento di una sua
prozia.
Frequenta le scuole Arcimbolde dei Barnabiti e finiti gli studi, pubblica una raccolta dal titolo "Alcune poesie di
Ripano Eupilino", che gli permette di entrare nell'Accademia dei Trasformati. In quest'accademia sostiene delle
polemiche linguistiche, tra cui una contro il pedantismo e una contro il toscanismo artificioso.
Nel frattempo, a 25 anni viene ordinato sacerdote (pur non avendo una gran vocazione) ed entra come
precettore al servizio del duca Serbelloni. La moglie del duca dà vita a un salone letterario dove il Parini ha
l'occasione di fare nuovi incontri culturali e di osservare dal vivo la società nobiliare. In seguito è al servizio della
famiglia degli Imbonati, sempre come precettore. Il figlio, Carlo, è tra l'altro il dedicatario dell'Educazione (una
delle odi illuministiche).
In questi anni vengono pubblicate le due prime parti del Giorno: Il Mattino, nel 1763, ed il Mezzogiorno, nel
1765. Nella dedica del Mattino, il Parini dice di aver l'intenzione di completare presto l'opera con una terza parte,
la Sera, che poi sarà sdoppiata in due: Il Vespro e la Notte.
Negli anni seguenti viene chiamato ad attività di pubblico insegnamento dal governo austriaco, con cui
collaboró. Promosso da un ministro di Maria Teresa d'Asburgo, il Parini diventa redattore della Gazzetta di
Milano per un anno, poi diventa professore di eloquenza nelle Scuole Palatine e di Belle lettere al ginnasio di
Brera. Una raccolta di queste lezioni è stata edita postuma con il titolo di "De principi delle belle lettere".
Pochi anni dopo compone il libretto "Ascanio in Alba", musicato da Mozart.
Nel 1777 entra a far parte dell'Arcadia di Roma con il nome pastorale di Darisbo Elidonio.
1780: morte di Maria Teresa d'Austria, avvento al trono di suo figlio Giuseppe II, che attua riforme radicali intese
a riorganizzare in modo unitario i territori italiani.
1782: morte del conte di Firmian, amico e protettore del Parini, che teme di perdere la cattedra e la sua
posizione come intellettuale (cosa che non succederà). In questi anni di crisi scrive un ode allegorica, "La
tempesta".
1789: Rivoluzione francese
1796: Milano occupata dai francesi, Parini chiamato con P.Verri a far parte della municipalità.
Nel 1791 ottiene l'incarico di soprintendente delle scuole pubbliche, grazie al quel esce finalmente dalle
ristettezze economiche. Nello stesso anno viene pubblicata la prima raccolta delle Odi, di cui il Parini non è
soddisfatto.
1799: ritorno degli austriaci a Milano, Parini non subisce la repressione, forse a causa della vecchiaia e della
malattia.
Trascorre gli ultimi anni della sua vita in solitudine, ritirandosi a vita privata. Muore il 15 agosto del 1799.
Altre opere:
Parini attraversa tre fasi:
-Legata all'Arcadia
-Di impegno morale, in cui vuole unire l'utile al dilettevole.
-Neoclassica, in cui tratta di tematiche piú personali.
Le Odi:
Scritte tra 1757 e 1795, pubblicate in giornali letterari ma diffuse soprattutto attraverso copie manoscritte. La
prima raccolta fu pubblicata nel 1791. Questa raccolta non piacque al Parini che pensó di pubblicarne un'altra lui
stesso togliendo alcuni componimenti ed aggiungendoci altre odi scritte dopo il '91. Purtroppo morí prima di
riuscire in quest'impresa e si deve al Reina, come già per il Giorno, la pubblicazione integrale (postuma) delle
Odi.
Ispirate ad Orazio (poeta latino del 1° sec.d.C.).
Le prime odi sono dette "illuministiche", appartengono al periodo 58-66. In esse il poeta è un "cittadino che parla
ai cittadini". Le odi più tarde segnano la sua adesione al neoclassicismo, ed in esse il Parini affronta di
preferenza tematiche più personali.
Prima parte: temi di interesse pubblico, odi illuministiche
--> La salubrità dell'aria: Ode presentata dal Parini all'Accademia dei Trasformati nel 1759, anno in cui era stato
dato come tema l'aria. Composta probabilmente tra il 1757 e 1759, pubblicata per la prima volta nel '91. É la sua
prima opera verso l'impegno illuminista, ha come tema la purezza dell'aria, un tema ecologico, di denuncia delle
condizioni igenico-sanitarie di Milano. Si allontana quindi dall'atteggiamento dell'Arcadia verso la natura, è più
realista: abbandona il tema delle belle campagne armoniose. Si finge il ritorno dell'autore al suo paesello,
contrapposizione campagna/città.
-Importante: In quest'ode il Parini esprime direttamente il suo desiderio di unire attraverso la poesia l'utile al
dilettevole, cioè il piacere di versi ben scritti all'utilità del messaggio comunicato dal poema.
Dopo quest'ode, il Parini continua negli anni seguenti toccando temi quali il malcostume, le barbarie, la verità
scientifica opposta al pregiudizio, la giustizia, la salute pubblica.
--> L'innesto del vaiolo:
Importanza del vaccino, grande scoperta dell'epoca. Contro l'ottusa superstizione che si oppone alle innovazioni
mediche, esalta il valore della scienza e della ragione.
--> Il bisogno:
Il bisogno (ad esempio la povertà) spinge a commettere crimini, è dunque meglio prevenire che punire. In
sintonia con il trattato di Beccaria, Dei delitti e delle pene, anche Parini vive la battaglia contro l'inumanità di una
giustizia cieca di fronte alla condizione sociale dei rei, di fronte al bisogno, appunto, che spinge i miserabili al
delitto.
--> L'educazione: scritta per celebrare la guarigione di Carlo Imbonati, di cui Parini era istitutore. Attraverso la
rievocazione mitologica di Achille e Chirone, esprime i principi di una educazione illuministico-cristiana.
--> La vita rustica: risente ancora di alcuni motivi arcadici, tratta del rapporto uomo-natura
--> La laurea: prende spunto da un fatto di cronaca, la laurea in giurisprudenza conseguita da una donna, da cui
il poeta prende spunto per celebrare l'ingresso del gentil sesso in attività intellettuali come il diritto, finora
riservate agli uomini. L'ode è comunque poco riuscita e interessa soprattutto per il sensibile spostamento in
direzione neoclassica.
--> La tempesta: allegoria dello scompiglio apportato in Lombardia dalle riforme di Giuseppe II, in cui parve
minacciata la posizione stessa del poeta. In questi anni: morte di Maria Teresa d'Austria e del conte di Firmian.
Segna il passaggio alle odi piú personali della seconda parte delle odi.
--> La impostura: interessante perchè segna il passaggio dalle composizioni satiriche scritte per i Trasformati al
Giorno: in essa infatti viene impiegata sistematicamente e coerentemente l'ironia, figura retorica che domina
tutto il poema.
(...)
Seconda parte: odi piú personali, neoclassiche
--> La caduta: tema = la vecchiaia del poeta
--> Il pericolo: tema = la vecchiaia del poeta
--> Il dono
--> La magistratura
--> In morte del maestro Sacchini
--> Il dono
--> La gratitudine
(...)
Trattatelli
--> Dialogo sopra la nobiltà: (1757) Dal punto di vista ideologico è il piú immediato antecedente del Giorno: il
cadavere di un poeta plebeo e quello di un nobile finiscono per caso nella stessa sepoltura. Il nobile prova
ripugnanza a dividere il suo spazio con un plebeo. Il dialogo tra i due è aspro (soprattutto nella prima parte): il
poeta plebeo attacca duramente i pregiudizi dell'aristocratico. In questo modo sono messe a confronto due
diverse logiche: quella del pregiudizio sociale (incarnata dal nobile) e quella dello spirito critico illuministico
(rappresentato dal poeta). Le argomentazioni del nobile a sostegno della propria superiorità sono 3: la diversa
nascita, la purezza del sangue e l'antichità della stirpe. Il poeta confuta le 3 tesi: dal punto di vista biologico,
nasciamo tutti allo stesso modo (a questo tema il Parini dedicherà il sonetto CXXIII "Come nasce l'uomo", che
termina in "cosí nasce il villano, il papa ed il re"). La presunta purezza del sangue non genera virtú, visto che
molti nobili sono viziosi. Riguardo all'antichità della stirpe, tutti discendiamo da Adamo. La questione si sposta
poi sulla grandezza e la celebrità degli antenati che, aggiunge il poeta, furono soprattutto dispotici padroni ricchi
sfondati. A questo punto il nobile si dichiara sconfitto ed il poeta finisce per convincerlo che la nobiltà non serve
a nulla se non è accompagnata dalla salute, dall'onestà, dall'ingegno e dalla ricchezza: colui che possiede solo
la nobiltà è l'uomo piú triste del mondo, poiché la vera nobiltà è quella dell'animo.
Quest'opera è la piú politicamente radicale di Parini. Ciononostante non si puó sostenere che il poeta assuma
una posizione classista: i nobili sono colpevoli perchè gestiscono male il potere che hanno o, peggio ancora,
sono ridicoli perchè non possiedono nemmeno piú il potere o la ricchezza e possono ostentare solo dei nomi
vuoti. La condanna è, insomma, condanna morale e non politica o sociale. Il poeta individua le origini
dell'aristocrazia non solo nella sopraffazione e nella violenza, ma anche nella nobiltà d'animo autentica di
almeno una parte degli antenati dei nobili, nobiltà d'animo dimenticata dagli indegni discendenti.
Il tema della disuguaglianza tra gli uomini era già stato affrontato da Rousseau nel Discorso sulle origini della
disuguaglianza degli uomini (1755).
Il Dialogo è costruito sul modello dei "dialoghi dei morti" di tradizione classica, il cui massimo esponente era lo
scrittore greco Luciano (2° sec.d.C., scrisse trenta Dialoghi dei morti) di gran moda nel Settecento e si svolge
infatti dalla trovata, dopo le rispettive morti, di un poeta e di un nobile nella stessa tomba.
Nelle ultime righe del Dialogo il poeta chiarisce quale sia la funzione che spetta al poeta: una funzione di
illuminazione e di stimolo per lo sviluppo razionale della comunità. QUesto motivo verrà ripreso nel Discorso
sopra la poesia.
--> Discorso sopra la poesia: (1761) poesia intesa quale arte di suscitare gli affetti.
Presenta le teorie di Parini sulla poetica: non presenta posizioni teoriche particolarmente originali e innovatrici.
Riprende il principio classico dell'imitazione e o innesta su un'estetica sensistica (v.Du Bos, Batteux e Condillac).
Parini difende l'utilità della poesia, (benché essa non sia necessaria come il pane, l'asino o il bue) sia contro
coloro che disprezzano le belle arti, sia contro coloro che si trastullano oziosamente con versi pseudo-poetici,
rendendosi ridicoli. L'utilità della poesia risiede prima di tutto nel piacere che essa procura. In secondo luogo, la
posia puó essere utile per farci detestare il vizio descrivendolo o per farci amare la virtú. Parini riprende il
principio classico, oraziano, del "miscere utile dulci": l'utile e (quasi sempre) il dilettevole sono elementi
essenziali dell'arte per Parini. La doppia utilità della poesia corrisponde al doppio registro su cui opera il Parini: il
fondamento edonistico (che corrisponde alla produzione erotico-galante) e l'impegno morale e civile.
Questi principi sono ribaditi nel trattato (incompiuto) "Dei principi delle belle lettere applicati alle belle arti" (177376) scritti per l'insegnamento a Brera, che non presentano sostanziali novità.
--> Discorso sopra la carità: (1762) indica gli scopi utili che devono proporsi i letterati i quali devono essere
mossi da carità a scrivere per il bene del prossimo
--> Discorso sopra le caricature: (1759)
(...)
Principi delle belle lettere
Raccolta di sue lezioni al ginnasio di Brera.
Sonetti (oltre 100)
Canzonette
Contesto storico - letterario
In questi anni vengono attuate alcune importanti operazioni di riorganizzazione. Dopo la guerra di successione
spagnola, il Ducato di Milano passa dagli Spagnoli agli Austriaci. Sia Maria Teresa d'Asburgo che suo figlio
Giuseppe II attuano diverse riforme in Lombardia: commerciali, amministrative ecc. L'aderenza degli Asburgo
alle idee dei pensatori lombardi porta molti di essi a svolgere un ruolo importante nell'ambito
dell'amministrazione austriaca.
Inizia il periodo del Riformismo, un movimento che mira a una nuova concezione dello stato, ispirato
all'assolutismo illuminato. Si rimette in questione il sistema e se ne denunciano le arretratezze. In questi anni il
Parini si arricchisce di nuovi interessi etico-politici che lo spingono a una letteratura più aperta ed impegnata. Ne
è un esempio il "Dialogo sopra la nobiltà", testimone dei primi contatti del P. con l'ideologia illuminista.
Il Mattino esce nel '63 e due anni dopo esce il Mezzogiorno. Importanti opere contemporanee sono: "Dei delitti e
delle pene" (Cesare Beccaria, Livorno 1764) e il foglio "Il Caffé" (1764-66), entrambi testimoni del fatto che l'élite
milanese ha ormai assimilato le idee dei philosophes e le ripropone con attenzione ai problemi nostrani.
In tutta Europa c'è la volontà di ridefinire il ruolo del letterato che deve produrre qualcosa di utilità pubblica. Gli
intellettuali vogliono essere guida dei monarchi, seguono il mito del sovrano illuminato dalla ragione, che si
impegna per realizzare la felicità del popolo. I destinatari delle opere non sono più i ricchi mecenati da divertire,
ma i borghesi, che vanno educati nell'azione sulla realtà.
Non è un atto rivoluzionario drastico, non deve stravolgere le istituzioni ma guidarle verso il progresso. Nasce il
mito del progresso: l'uomo deve basarsi sulla sua caratteristica principale: la ragione. Si esprime la volontà di
partecipare alla vita politica e di diffondere la cultura.
Nasce l'accademia dell'Arcadia, dal nome del territorio mitico in cui si viveva in una felicità simile a quella del
paradiso terrestre, in cui pastori e contadine erano dei poeti spontanei. Vi si accede con un esame e si assume
poi un nome nuovo, ad esempio di pastori. Anche il Parini viene dall'esperienza arcadica, ma vorrà poi rompere
con questa tradizione.
L'illuminismo italiano ha delle caratteristiche proprie, diverse da quello francese o del resto dell'Europa. I centri
principali sono Milano, Venezia e Napoli.
A Milano: i giovani illuministi aristocratici lombardi si riuniscono tra il 61-62 nell'Accademia dei pugni, che prende
il nome dalle animate discussioni che vi avevano luogo. L'accademia si forma attorno ai fratelli Verri, è un
gruppo di intellettuali poco piú che ventenni che seguono totalmente la cultura illuministica e disprezzano
apertamente le vecchie superstizioni.
Sempre in Lombardia nasce il giornale "Il Caffé", fondato dai fratelli Verri nel 1764 e che durerà 2 anni. É il
corrispondente italiano dell'Encyclopédie francese (=totalità del sapere umano). In questi anni il caffé è un luogo
di ritrovo dei letterati in cui si parla di tutto. La rivista è aperta praticamente a tutti i settori del sapere. Il pubblico
è però limitato, borghese. "Il Caffé" ha una grande influenza ed il suo motto è "Fatti e non parole".
Nel 1764 Cesare Beccaria (nonno di A.Manzoni) pubblica "Dei delitti e delle pene", prima opera contro la tortura
e la pena di morte, che introduce un concetto innovativo: l'applicazione dell'economia al diritto: il reato è l'esito
razionale di una situazione, di un bisogno. Quindi, i concetti di "giusto " o "sbagliato" sono relativi. Beccaria
realizza un distacco dalle nozioni estreme della Chiesa di "peccato" e "inferno". Il concetto base per la punizione
diventa che "il danno esige un risarcimento". Allo stesso modo, "il reato esige una pena".
Walter Binni ha individuato 3 periodi del '700 italiano:
1. arcadico-razionalista
2. illuministico-sensista
3. due correnti parallele: neoclassicismo e preromanticismo.
Inoltre, costante per tutto il secolo ma in Italia rimasta laterale, il Rococó.
Parini segue queste fasi: partendo da un'esperienza arcadia, vive poi l'esperienza illuministica per poi approdare
a una piena maturazione neoclassica.
Il giorno
Composizione, fortuna
Il Parini inizia a lavorare al Giorno nel 1757 e ne pubblica la prima parte, Il Mattino, nel 1763 ed il Mezzogiorno
nel 1765. Nella dedica premessa al Mattino l'autore dichiara di voler presto completare l'opera con una terza
parte, La Sera. In realtà la Sera sarà divisa in due parti, Il Vespro e la Notte, ed il Mezzogiorno cambierà nome
in Meriggio.
Originariamente il Mattino era preceduto da una dedica Alla moda, che peró non compare piú nelle redazioni
successive.
Il Parini non smise mai di lavorare al Giorno e di correggerlo e non si decise mai a stampare per intero l'opera. Il
Vespro e la Notte vengono stampati solo dopo la morte del poeta, per iniziativa del discepolo e amico Francesco
Reina.
Siamo ora in presenza di due stesure:
-la prima, che corrisponde al progetto primitivo in tre parti, di cui abbiamo il Mattino, il Mezzogiorno e la Sera
(incompleta).
-la seconda, che corrisponde al progetto definitivo, in quattro parti, in cui solo il Mattino e il Meriggio sono stati
riveduti e corretti.
La tormentata storia del Giorno si puó in parte attribuire all'incontentabilità un po' ossessiva dell'artista,
all'affievolirsi del suo spirito polemico, ma soprattutto è legata ai mutamenti notevoli che vive la nobiltà lombarda
tra gli anni settanta e novanta, oltre a una sottile crisi dell'autore. Di qui una sorta di contemplazione come
distacca, neoclassicamente tranquilla, che appare soprattutto nella Notte. I primi due poemi erano invece nati da
ragioni illuministiche: esigenza di una società meno ingiusta, irrazionale, violenta; ugualitarismo, tensione alla
natura, interesse per la vita rustica e l'agricoltura. Rifiuto di quanto contrastava con tutto ció: l'eccessiva
valutazione del commercio, il lusso, il modo di vivere frivolo e inattivo di buona parte della nobiltà. Di qui l'idea
originale del primo Giorno.
Struttura
La struttura è quella di un poema didattico-satirico: si sovrappongono infatti due modelli letterari: il didascalico e
il satirico.
É una struttura circolare e non lineare, poiché il Giorno è la narrazione di una giornata esemplare, un prototipo
dal quale si possono ricavare mille copie diverse, tanto è evidente che l'oggi è simile allo ieri. Il protagonista gira
in tondo avendo l'illusione di avanzare.
É un opera in fieri, cosa che rende la sua struttura flessibile. Il Parini ha infatti potuto, nel corso degli anni,
inserire nella trama iniziale degli episodi diversi, o addirittura spostarli senza nuocere al disegno generale: la
narrazione cronologica di una giornata nel giovin signore.
Tema
È il racconto, in ordine cronologico, della giornata di un giovane nobile, in cui Parini assume il ruolo del
precettore del signore, fingendo di volerlo istruire sulla vita mondana.
In realtà, piú che il racconto di una singola giornata, abbiamo una specie di catalogo di possibili avvenimenti
nella giornata di un giovane nobile, una giornata tipo.
Sotto la finzione didascalica, assumendosi il compito di "precettor d'amabil rito", il poeta rivela gli aspetti di vita
frivola e oziosa della società nobiliare, i suoi pregiudizi e malcostumi.
La sua critica è legata ad un problema di educazione e di morale sociale, in vista della felicità pubblica, non ad
un problema politico che esige lo sconvolgimento delle classi ed una ridistribuzione della proprietà. Ma Parini
scrivendo si è impegnato in una doppia scomessa: estetica ed etica, mirando a creare della bellezza senza
rinunciare a fare delle parole degli oggetti utili.
Stile
Il Giorno è scritto in endecasillabi sciolti, secondo l'uso della poesia didattica.
Per smascherare la vita frivola e oziosa della nobiltà, il Parini si serve dell'ironia, che lascia a volte il posto al
rimpianto e all'indignazione. L'ironia è una figura retorica per la quale si dice il contrario di ció che si vuol far
intendere. Questo puó dar luogo a delle ambiguità, tanto piú che nel linguaggio scritto non abbiamo l'aiuto
dell'intonazione della voce.
Sceglie un linguaggio latineggiante, classico e solenne, con intonazione epica o sacrale e richiami mitologici
applicati alla futile materia del "bel mondo" settecentesco.
Lo stile del Giorno si basa sulla "magnificazione ironica" (magnifying), cioè l'impiego di un linguaggio
magniloquente ed eroico per descrivere le futili occupazioni del giovin signore. Frequentissime sono, ad
esempio, le similitudini guerresche. Alle spalle del Parini c'è infatti una grande tradizione eroicomica, il cui
maggior esponente era Alexander Pope, autore di "The rape of the lock".
Ci troviamo di fronte a una pseudo-epopea. Nell'epopea tradizionale il poeta, l'aedo, celebrava un ordine. Come
nell'epopea tradizionale, nel Giorno il mondo aristocratico trae (o crede di trarre) il proprio potere dallo stesso
Dio. Per questo i nobili sono paragonati a degli dei, poiché si credono eterni come loro. (Siccome allor che il
siculo terreno / dall'uno all'altro mar rimbombar deo / Pluto col carro; Matt.73-75). La mitologia appartiene al
linguaggio epico, così come le presonificazioni quali il Sonno, la Necessità, il Piacere. Anche i latinismi
contribuiscono a dare alla lingua una nobiltà che è in rapporto con quella degli eroi.
Tipico del classicismo è il partire dal singolo, dal particolare, per arrivare a qualcosa di universale. Il giovin
signore non rappresenta infatti che una parte dell'aristocrazia, poiché appartiene ad una generazione, ma
attraverso di lui viene chiamata in causa tutta l'aristocrazia.
Parini voleva una riforma della società, ma respingeva ogni intrusione di idee e di costumi stranieri, e la
tradizione letteraria conservava su di lui un fascino fermo. Egli mirava con decisa coscienza all'utile, ma non
intendeva per questo rinunziare al dilettevole. La sua adesione (benché parziale) all'ideologia illuministica, fa sí
che i suoi versi si distanzino dal mondo idillico dell'Arcadia ma anche dal moralismo generico della generazione
successiva di classicisti. Parini mira ad un utile rappresentato dal bene dei suoi concittadini.
Parini conserva la classicità dello stile e del verso: la forma resta quindi "antica", ma la materia, gli oggetti
descritti, i pensieri espressi, debbono essere nuovi e moderni. Cerca quindi di rinnovare la lingua dal di dentro,
mantenendo le strutture (disposizione delle parole, sintassi) offertegli dalla tradizione, e solo arricchendo il
vocabolario sia con apporti nuovi e moderni (termini scientifici, termini tecnici della vita quotidiana, forestierismi)
sia con apporti desunti dal latino.
Per questo il Parini si ritrova a suo agio nella poetica del sensismo, che gli permette di rinnovare la tradizione
letteraria senza peró sovvertirla. Il sensismo (secondo cui la sensazione rappresenta la condizione necessaria e
sufficiente di ogni conoscenza) richiede allo scrittore di tenere continuamente desta l'attenzione e la sensibilità
del lettore con l'aggiunta alle idee fondamentali di idee accessorie, capaci di colpire l'immaginazione. Per attuare
la poetica del sensismo, piú che di termini dedotti dalla lingua scientifica, si serve di aggettivi che egli accosta ai
sostantivi secondo il precetto, cosí classicistico, della callida iunctura (=principio di Orazio: l'accorta, sofisticata
scelta degli aggettivi, la predilezione per audaci e inediti accostamenti di parole).
Nel '700 era di moda lo stile detto Rococò. Deformazione del francese Rocaille, pietrame, dalle pietre usate per
ornamento di grotte artificiali e altre cose. Gli oggetti e i mobili in stile rococó erano di forma capricciosa e ornati
da elementi a forma di foglia, conchiglie, riccioli disposti asimmetricamente. Questo termine ha poi preso il
significato di goffo e artificioso.
Tipico dello stile rococó è il processo di magnificazione del futile e di degradazione del grande: un inversione
quindi delle dimensioni. Si parla di struttura "micromegalica".
La definizione di struttura micromegalica è ripresa nel titolo stesso di un racconto di Voltaire, "Micromégas", su
esempio dell'irlandese Jonathan Swift, autore dei Viaggi di Gulliver (pubblicato anonimo nel 1726). Si tratta di un
romanzo di satira contro l'uomo e la civiltà. Il tema centrale è l'educazione di Gulliver attraverso le varie
esperienze e l'alterazione delle forme e delle misure, che permette di osservare le cose del mondo in una luce
diversa. La forma del libro era stata suggerita a Swift dalla grande popolarità dei libri di viaggio.
Ma Parini segue una sola delle due dimensioni satiriche, quella appunto della magnificazione ironica del futile.
Manca invece totalmente nella sua opera la demistificazione del grande e dell'eroico. Questa scelta stilistica è
l'espressione di una posizione ideologica che non intende affatto rifiutare l'eroe e ne prova anzi una profonda
nostalgia: in realtà agli occhi del Parini, il torto maggiore del giovin signore non è di essere un aristocratico, ma
di non essere un aristocratico vero e un eroe autentico. Allo stesso modo il torto delle dame frequentate dal
giovin signore non è quello di essere aristocratiche, ma quello di non essere delle aristocratiche belle, colte e
raffinate.
Parini rifiuta quindi almeno un aspetto dello stile Rococó e sceglie un'evoluzione neoclassica.
Analisi
Il Giorno nasce come incontro tra sensibilità umanistica e equilibrata volontà riformistica (non eversiva), ispirata
da alcune idee-madri dell'illuminismo: concezione egualitaria dell'uomo, opposizione al pregiudizio e all'errore
morale, letteratura intesa come partecipazione e guida civile e sociale.
É un'opera didascalico-satirica, di grande critica verso la nobiltà, vista come un ceto futile, inutile. Il lusso viene
pagato a prezzo di vite umane.
Originariamente il Mattino era preceduto da una dedica Alla moda, che peró non compare piú nelle redazioni
successive. La moda condiziona il lusso: per esempio, fogge, acconciature, arredamento, una volta passati di
moda, raccolgono discredito in luogo della precedente ammirazione e invidia. Essa è nemica del buon senso,
dell'oridne e della ragione. Pertanto, la polemica contro la moda e quella contro il lusso, si fondono. Il dibattito
sul lusso fu particolarmente acceso nel Settecento in Francia ed Inghilterra, quando la presa esercitata dalla
morale religiosa iniziava ad indebolirsi per l'irrompere di nuove correnti di pensiero. Alcuni tra i maggiori
esponenti del pensiero filosofico si dichiararono favorevoli al lusso: Montesquieu, Voltaire, Diderot, come anche
gli scrittori del Caffé. Decisi contestatari del lusso furono invece Rousseau ed anche i fisiocratici
(fisiocrazia=dottrina sorta nel XVIII sec., che sosteneva la libertà di circolazione dei beni, e riteneva la terra unica
fonte di ricchezza).
Esprimendosi sul lusso, si prendeva posizione anche sui temi dell'organizzazione sociale del lavoro,
dell'accumulazione della ricchezza, del processo di produzione e di scambio, come anche sul progresso
scientifico e tecnico, sulla morale, la religione, l'arte e i loro rispettivi rapporti con la politica.
Se il lusso è subordinato alla moda, entrambi a loro volta dipendono dal commercio: è la produzione per il
mercato a indurre il lusso mediante la moda, a inventare nuove mode e il bisogno di articoli di lusso alla moda.
Contro il commercio e i suoi sostenitori il Parini non risparmia colpi: nell'episodio sulle imprese dei
conquistadores, l'accenno a Aleppo e Moca e la considerazione sarcastica secondo cui, a costo di tanto
spargimento di sangue, possono venire nuove delizie al palato del giovin signore, vogliono additare con quali
mezzi esecrandi fu aperta la via dei moderni traffici.
Pietro verri sostiene che le manifatture ed il commercio sono le principali fonti di ricchezza ed esalta il lusso che
ne deriva. Il Parini ritiene invece che la sana prosperità derivi dall'agricoltura: essa ci dà grano, frutta, latte, lana
e tutto ció che ci serve per nutrirci e vestirci. Nel poemetto un
In un episodio del Giorno il poeta satireggia i convitati che magnificano fanaticamente il commercio, in
particolare uno di loro che va gridando con fanatica voce "commercio, commercio": i piú vedono in lui Pietro
Verri. Il giovin signore si unisce ad essi, su consiglio del precettore, ed è bene che anche la dama "un motto ne
dica", per dimostrarsi informata e colta. Per Parini la vita del commercio porta dei guadagni ma anche dei rischi,
porta benessere ma anche dei piaceri non sempre salutari. Inoltre l'ineguaglianza fra ricchi e poveri è
accresciuta dal vano commercio di chi consuma e non produce. Insomma, per Parini il vero e sicuro benessere
è fondato sul lavoro nei campi.
Nel Giorno, il soggetto si rivolge direttamente al suo interlocutore: l'intero poema è scritto in prima e seconda
persona: io, precettor d'amabil rito, insegno a te, giovin signore, come ingannare i tuoi ozi. Ma l'enunciazione
stessa è una finzione letteraria: i personaggi letterari si sdoppiano perchè a ciascuno corrisponde una diversa
realtà: al precettore corrisponde il reale soggetto, il poeta, Parini civile e maestro di virtú, cosí come al
personaggio del giovin signore corrisponde il reale interlocutore del poeta, un pubblico costituito dall'élite di
intellettuali riformatori.
Bersaglio della critica ironica pariniana sono non solo gli esponenti imbelli e corrotti dell'aristocrazia ma anche
l'impiego adulatorio e la prostituzione di molta poesia dell'epoca.
Giá dai primi versi del poema ci accorgiamo che la vita del giovin signore non è naturale, che il suo ritmo non è
associato a quello della natura, contrariamente alla vita del vulgo. Questo contrasto si ripercuote su tutto il
poema. Si noti però che il mondo pastorale del Giorno è ben diverso da quello dell'Arcadia, in cui quello del
pastore-poeta era un universo idillico e ozioso. Nel Giorno, al contrario, il vulgo vive immerso nel lavoro.
Il precettore sottopone il giovin signore e tutto quello che lo riguarda a un processo di sacralizzazione, che mima
il punto di vista dei giovani aristocratici, "dei" o "semidei". La nobiltà vuole sacralizzare ció che la circonda e
rifiuta il carattere materiale degli oggetti e dei corpi. Da qui nasce l'impossibilità di avere un rapporto naturale
con essi e di considerarli per ció che essi sono naturalmente. Altri temi legati a questo sono la teatralità del
vivere, l'insensibilité e la riduzione di ogni rapporto affettivo ai rituali sociali (es: matrimonio=contratto sociale).
Il Giorno rivela la crisi della nobiltà, quella classe che, deponendo le armi, ha perduto la propria ragione di
essere, e persino la ragione di vivere, seppellendosi in un ozio corruttore.
Nella società del giovin signore non c'è azione. Egli passa il suo tempo annoiandosi a morte e senza far nulla.
La sua libertà è la sua inutilità. Egli non è occupato che da se stesso. Vi è dunque crisi non solo all'interno di una
classe che ha voltato le spalle ai propri doveri, ma crisi dei rapporti umani in genere. La sua vita è fondata su
una falsa concezione della felicità, che consiste nell'abbandonarsi ai soli piaceri dei sensi. Il giovin signore è
schiavo dei propri piaceri, vale a dire delle proprie sensazioni, e non pensa mai a regolarsi attraverso il principio
della ragione.
Il giovin signore si crede libero quando invece si conforma ad un cerimoniale stabilito dalle consuetudini. Egli
agisce secondo le regole, rispetta l'etichetta ed è prigioniero non soltanto delle proprie abitudini, ma della propria
classe alla quale la ripetizione secolare degli stessi gesti dá l'impressione di perennitá. Questi gesti che un
tempo avevano una giustificazione, ora sono senza scopo.
Rifiutando il combattimento, il giovin signore ha perduto la propria legittimità, ció che giustificava il privilegio del
suo rango e la sua sovranitá temporale. Egli si è così squalificato socialmente prima ancora di squalificarsi
moralmente.
Il risultato globale è un'analisi puntigliosa ed erosiva della nobiltà coeva. La sua polemica è però moderata,
Parini non va contro il governo austriaco (a differenza, ad esempio, dei fratelli Verri). Interessante notare che a
volte lo steso Parini sembra affascinato dalla società aristocratica che dipinge e si prolunga in descrizioni
minuziose, ma la sua coscienza morale è sempre vigile.
Riguardo al protagonista, il giovin signore, ci accorgiamo che è una figura totalmente inconsistente. Dopo tremila
versi in cui si parla di lui, non conosciamo nessun suo comportamento spontaneo: come individuo egli non
esiste, è un tipo, non ha un cuore e non ha una voce, ma forse proprio in questo modo il Parini ha espresso la
sua critica piú cruda. Si potrebbe addirittura dire che il vero protagonista è il Parini che, nella sua finzione di
precettor d'amabil rito, esprime le sue opinioni sulla società ed i problemi principali del suo tempo.
Temi
Il tema principale è quello del cicisbeismo (costume che permetteva alle dame di aver uno o più cavalier
serventi), assieme ala noia: il giovin signore vive in un universo che non viene colmato né da forti passioni né da
grandi dolori.
Altri temi sono la cura esasperata delle apparenze, l'ignoranza, la superficialità, la disumanità con cui viene
trattata la servitù (v. ad esempio l'episodio della vergine cuccia).
Fonti
Il soggetto trattato dal Parini non è originale. La galanteria cavalleresca, con tutto il ridicolo che comportava
(soprattutto l'usanza del cicisbeismo) aveva già interessato numerosi autori comici e satirici, ad esempio Goldoni
(cfr. Il cavaliere e la dama), Gaspare Gozzi o G.C.Passeroni.
Come detto in precedenza, nel Giorno si sovrappongono due modelli letterari: quello satirico e quello
didascalico.
La fonte letteraria più diretta è un poema in latino di Giovan Lorenzo Lucchesini, intitolato "In antemeridianas
improbi juvenis curas", il quale inizia precisamente con la descrizione del risveglio d'un giovin signore che
respinge il servitore intento a strapparlo dal sonno. Non c'è dubbio che l'opera di questo gesuita abbia fornito
l'idea generale del Giorno, che si colloca così all'interno di una tradizione classica di poemi satirici.
Nella tradizione satirica si iscrive anche Giovenale, poeta satirico del 1° sec.d.C. Di lui ci restano 16 satire in cui
esprime la propria indignazione contro il degrado morale offerto dalla Roma contemporanea, e contro
l'insopportabile letteratura contemporanea. Giovenale contrappone alla degradazione del presente la vita di un
popolo semplice, di contadini e di pastori: i tratti cioè dei Romani di un tempo, ai quali sarebbe bene ispirarsi.
Critica inoltre la nobiltà che vuole nascondere dietro alla facciata illusre dei propri antenati la loro presente
decadenza e corruzione. I Romani di una volta erano persone semplici i cui meriti erano fondati sul valore
personale e non sulla ricchezza: non bisogna credere che la gloria possa semplicemente discendere dagli avi
onorati ai loro discendenti. Alla fine delle sue satire appaiono anche spunti di insegnamento morale, con una
specifica dichiarazione dei modelli di virtú che vanno seguiti.
É certo peró anche che il poeta si ispiró al Ricciolo rapito (The rape of the lock - 1712) dell'inglese Alexander
Pope, il quale offre un quadro satirico e brillante dell'alta società del tempo.
Di grande importanza è l'influenza del poema eroicomico. Parini utilizza infatti la satira e la magniloquenza dello
stile per celebrare le gesta epiche del "gran semideo che a sé solo somiglia".
Il poema è stato egualmente ricollegato alla tradizione del poema didascalico, il cui modello per eccellenza sono
le Georgiche di Virgilio, esempio d'un certo amore per la natura e allo stesso tempo di una perfezione formale.
La campagna è vista, nel Giorno, attraverso la tradizione virgiliana che la nobilita introducendo Cerere, Bacco e
Vertumno.
Sull'influenza dell'illuminismo e l'adesione del Parini alle sue teorie, si deve precisare che il poeta, se ne
accettava pienamente alcuni aspetti, ne ripugnava invece altri. Gli aspetti che ripugnava sono: l'individualismo, il
materialismo, l'edonismo, l'ateismo. Perció si doleva che avessero tanta diffusione in Italia e scalzassero l'antica
cultura nazionale. Gli aspetti positivi sono invece: l'eguaglianza di tutti gli uomini, il rispetto dovuto ad ognuno, la
dignità di ogni uomo, la dignità del lavoro umano, il disprezzo per una classe socialmetne passiva, per l'ozio
politico di quella nobiltà che, senza produrre nulla, consumava piú di ogni altra classe e intendeva godere, per la
sua nascita, di privilegi e favori.
Novità
Ció che differenzia l'opera del Parini dalle satire precedenti è non solo la lunghezza, ma il fatto che il tema del
cicisbeismo copra la durata dell'intera giornata.
Analisi dei passaggi scelti:
1. Risveglio ozioso del principe vs. risveglio secondo natura della gente comune.
Il Mattino, vv. 33-89
-Questo frammento è preceduto, nella prima edizione (1763) da un Proemio in cui il poeta spiega la sua
intezione di fare da precettore d'amabil rito al giovin signore, per insegnargli come occupare le sue giornate e
vincere la noia grazie alla vita mondana.
-Il precettore seguirà il giovin signore durante una sua giornata ideale, in tutte le sue occupazioni, in ordine
cronologico. Si inizia quindi dal risveglio.
Al sorgere del sole, si svegliano anche il contadino ed il fabbro che subito si mettono al lavoro. Per il giovin
signore, invece, la giornata inizia piú tardi. Lui, infatti, non era andato a dormire al cadere del sole ma era andato
invece a divertirsi tra giochi e spettacoli. Rientrato a casa, dopo un lauto pasto si era finalmente coricato, proprio
mentre cantava il gallo che abitualmente sveglia la gente comune.
-Vengono comparati il risveglio del giovin signore con quello della gente comune. Il contadino ed il fabbro
"sorgono" assieme al sole e quindi seguono i ritmi della natura. Al contrario il principe si sveglia quando il sole è
ormai alto e viene disturbato dai raggi. L'idea del vivere "secondo natura" è uno dei grandi temi del Giorno: il
protagonista si comporta in modo innaturale e artificioso, quindi immorale.
La gente comune lavora e produce, mentre l'aristocrazia usufruisce dei prodotti del vulgo ed è presentata come
un ceto improduttivo e quindi socialmente inutile, anzi parassitario e nocivo. Il vulgo delle campagne è invece
idealizzato come incarnazione di ogni virtú: probità, operosità ecc. Sono i custodi degli antiqui mores. Si noti
anche l'aggettivazione, nel primo passaggio, sempre positiva: buon villan-caro letto-fedel sposa. La
rappresentazione della vita in campagna è qui diversa da quella dell'Arcadia: no ci sono infatti paesaggi idillici in
cui vivono sereni pastori e pastorelle compondendo poesie, bensí si tratta di gente immersa nel duro lavoro e
nella povertà.
Il linguaggio è di tipo epico ma, utilizzato per cantare le "grandi gesta" del giovin signore, produce un effetto di
ironia, che è proprio ció che vuole l'autore. Nella descrizione intervengono anche degli dei: Cerere e Pale
all'inizio e Giove, Plutone, le Furie (divinità infernali) e Bacco poi. Il principe viene anche paragonato agli dei,
celeste prole, a semidei terreni ed a Plutone stesso. Anche le personificazioni (qui abbiamo il Sonno) sono parte
della letteratura epica ed i latinismi contribuiscono al tono epico.
Si accenna già un tema che sarà poi approfondito, quello dell'origine divina della distinzione tra plebe e nobiltà.
É infatti Giove benigno ad aver concesso ai semidei terreni un destino diverso (vv.61-63).
2. Colazione del principe: universo finalizzato ai suoi capricci.
Il Mattino, vv.125-157
-Il sole è già alto nel cielo ed il giovin signore si è svegliato. I valletti sono accorsi per far sí che i raggi del sole
non disturbassero gli occhi del principe. Il suo lieve sbadiglio è paragonato al grido di battaglia di un capitano in
guerra. Sicuramente il capitano si vergognerebbe della rozzezza del suo atto paragonato alla grazia dello
sbadiglio, proprio come Minerva si vergognó dell'aspetto delle sue guance gonfie quando si vide riflessa in un
fiume mentre suonava il flauto.
-Entra nella camera del giovin signore un valletto che gli chiede che cosa desideri per colazione, se cioccolata
(migliore per la digestione) o il caffè (da preferire se il principe ha "qualche chilo in piú"). Tutto accade in
funzione dei suoi desideri: gli abitanti del Guatemala e delle Antille (l'America in generale, da cui proviene il
cacao) gli offrono in tributo il cioccolato, mentre Cortés e Pizzarro (conquistadores spagnoli) hanno conquistato il
Messico ed il Perú appositamente per poter far giungere al palato del principe nuove delizie. Per il piacere del
giovin signore, valeva ben la pena di affrontare tempeste e paure e di sacrificare tante vite umane.
-L'autore usa molta ironia per far risultare il giovin signore come il centro dell'universo. Dá grande importanza
alla scelta della bevanda, che deve essere bevuta in tazze provenienti dall'India. Si mette in evidenzia la
proccupazione del nobile per cose futili e soprattutto la sua inutilità sociale: egli non fa niente ed approfitta
soltanto di ció che fanno gli altri. Crede che il mondo giri solo attorno a lui, che tutto avvenga allo scopo di
soddisfare i suoi desideri.
Il tono è epico: il caffè, per esempio, è chiamato nettarea bevanda, paragonato cosí al nettare degli dei,
l'ambrosia, bevanda divina che dava l'immortalità a chi la beveva. I "confin per lunga etade inviolati ancora" sono
invece le colonne di Ercole, confini del mondo conosciuto nell'Antichità, oltre ai quali si credeva che si trovassero
mostri terribili. Secondo la leggenda è lí che si fermó Ercole. Corrispondono allo stretto di Gibilterra, tra Spagna
e Marocco.
Partendo da un episodio banale, la scelta della colazione del giovin signore, Parini rievoca un fatto storico: la
sanguinosa conquista dell'America.
3. L'origine del belletto e della cipria.
Il Mattino, vv. 749-795
-Terminata l'elaborata acconciatura, al principe non resta che spargere la cipria sui capelli secondo l'uso
dell'epoca. Inizia qui la favola sull'origine della cipria e del belletto.
-Alla corte d'Amore scoppia una lite tra i vecchi e i giovani che si fanno concorrenza in campo amoroso. Per
riportare la pace, Amore decide di annullare le differenze estetiche tra i due gruppi. Fa spargere una bianca
polvere (la cipria) sui capelli dei giovani e fa colorare di rosso (con il belletto) le guance di coloro che i capelli li
hanno già bianchi.
Cosí anche il giovin signore deve naturalmente seguire l'usanza e con gran coraggio si addentra in uno stanzino
in cui è stata sparsa cipria. Lo si paragona qui ad un suo grande avo, che con coraggio si gettava tra fuoco e
fiamme in battaglia. Mentre l'avo peró, usciva dalla mischia tutto sporco di sangue e sudore, il giovin signore ha
in piú il merito di uscire dal vortice di cipria con un aspetto molto piú gradevole.
-Ecco un'altra delle preoccupazioni futili del giovin signore: egli, come "primo fregio ed onor dell'amoroso regno",
deve rispettare le usanze e cospargersi di cipria per farsi bello. Il paragone tra il principe che si getta in una
nuvola di cipria ed il suo antenato che si getta nella battaglia è naturalmente ironico e ridicolizza il giovin signore,
che deve la sua nobiltà alle gesta del suo avo. Il giovin signore rifiuta invece il combattimento e per questo non
puó giustificare i suoi privilegi. In definitiva, la favola della cipria ci insegna che l'uso di questo cosmetico è nato
dal desiderio di nascondere la vecchiaia. Il tempo è un nemico per il giovin signore che cerca di eluderlo e di non
lasciarsene dominare.
Il linguaggio è epico, con vari latinismi: v.775:pugna; vv.785:l'oste; vv.789:fero; vv.795:salute, ed abbiamo la
personificazione di Amore e l'allusione al dio Marte.
4. Il precettore allieta il mezzogiorno del signore come un cantore dell'Antichità; toeletta della dama.
Il Mezzogiorno, vv. 1-48
-Sono i primi versi del Mezzogiorno: il precettor d'amabil rito si accinge ad accompagnare il giovin signore anche
durante il pranzo.
-Il precettore allieterà il pranzo del giovin signore proprio come Jopa, che accompagnava il banchetto di Didone
ed Enea, e Femio, che intratteneva i Proci alla mensa di Ulisse.
Il sole sta già calando e la misera plebe, dominata dal tempo, torna ad animare le strade.
La dama del principe si sta intanto preparando per il pranzo: dopo aver fatto impazzire le damigelle con i suoi
capricci, finalmente è pronta ad uscire. Alcuni giovani spettegolano sugli amori altrui.
-Il precettore parla di sè stesso come di un "cantore": in questo modo introduce i paragoni con il mondo classico.
C'è tutta una serie di citazioni dall'Eneide (Virgilio) e dall'Odissea (Omero). Mentre la plebe è costretta a seguire
il tempo e ne è, di conseguenza, dominata, il principe non ha altro padrone che se stesso.
Scopriamo che la dama è degna compagna del principe: anche lei è presa da futili preoccupazioni e tormenta i
suoi servitori che devono far di tutto per soddisfare i suoi capricci.
5. Favola del Piacere, spiega l'origine della distinzione tra plebe e nobiltà.
Il Mezzogiorno, vv. 250-338
-Il giovin signore è a tavola. Dopo la descrizione del goloso, il precettore introduce la favola del Piacere, pretesto
per spiegare la distinzione tra plebe e nobiltà.
-Il precettore racconta che un tempo tutti gli uomini erano uguali: uno stesso istinto li spingev a mangiare, bere,
accoppiarsi, dormire. Completamente dominati dall'istinto, non avevano alcuna volontà nè possibilità di scelta. Si
ritrovavano negli stessi luoghi sia gli antenati dei plebei che quelli del giovin signore. La sola preoccupazione era
quella di sfuggire al dolore ed il desiderio era qualcosa di sconosciuto. Gli dei, per portare un po' di varietà,
inviarono il Piacere a solleticare la Terra. Soltanto coloro a cui Giove aveva concesso degli organi piú perfetti ed
un sangue piú veloce sentirono gli stimoli del Piacere e in loro nacque il desiderio. Essi, che furono in seguito
chiamati nobiltà, scoprirono il buono ed il meglio, seppero distinguere i piú graziosi tra i volti femminili e i vini piú
pregiati. Coloro invece che avevano in corpo fibre insensibili ed incapaci, furono condannati ad agire sempre
stimolati dal solo bisogno e furono chiamati plebe. Inoltre, furono condannati a procurare i piaceri alla nobiltà e
non a gioirne.
-Inizialmente viene descritta una specie di età dell'oro ma l'accento è messo, piuttosto che sulla felicità di quel
mondo primitivo, sull'eguaglianza che allora regnava tra gli uomini.
Il precettore adotta ironicamente il punto di vista del giovin signore, indicando una causa biologica e non storica
all'origine della disuguaglianza tra nobiltà e plebe. É infatti la migliore qualità degli organi, trasmessa attraverso il
sangue dall'antichità fino al principe discendente, la giustificazione di questa divisione sociale. Capovolgendo il
discorso ironico del precettore ci troviamo di fronte ad alcuni punti fondamentali dell'ideologia pariniana: il
principio di uguale dignità ed il principio di uguaglianza di tutti gli uomini sul piano biologico. L'origine della
disuguaglianza, secondo il Parini, è infatti di tipo storico e risiede (come trapela in questo stesso passo)
nell'"arte, nella "forza" e nella "fortuna" che resero grandi gli antenati del giovin signore. Ció non significa che il
Parini sia per una radicale uguaglianza sociale e politica: la nobiltà che egli critica è quella che non sa meritarsi
con i fatti i privilegi di cui gode. La scelta del Piacere quale mitico personaggio capace di evidenziare la divisione
sociale, sottolinea come solo un immeritato stile di vita, raffinato e didito al piacere, distingua nel presente
l'aristocrazia dagli altri ceti sociali.
Alcuni concetti della "Favola del Piacere" si ritrovano nel Dialogo sopra la nobiltà: il Parini immagina che il
cadavere di un nobile e quello di un poeta plebeo si incontrino nella stessa tomba e discutano sul concetto di
"nobiltà". Il poeta finisce per convincere il nobile che la nobiltà non serve a nulla se non è accompagnata dalla
salute, dall'onestà, dall'ingegno e dalla ricchezza: colui che possiede solo la nobiltà è l'uomo piú triste del
mondo, poiché la vera nobiltà è quella dell'animo.
Il bisogno e il piacere considerati stimoli dell'attività umana sono tesi essenziali del sensismo e dell'edonismo
settecentesco.
Abbiamo la personalizzazione del Piacere (Genio) e della Terra, e l'intervento di diverse divinità: Giove, Vezzi,
Giochi, Titano (Prometeo). Si allude inoltre all'episodio mitologico del giudizio di Paride, in cui egli aveva dovuto
scegliere la piú bella fra tre dee: Venere, Giunone e Minerva. Uso dell'onomatopea: il rumoreggiare sordo del
tuono nei primi versi, il crescendo continuo, fino a quel "sorge", che la cesura sottolinea e stacca; il cupo
rimbombo dei versi seguenti, lo spezzettamento abilissimo degli ultimi due versi che, fatti tutti di brevi parole
legate dal polisindeto, rendono il ticchettio della pioggia.
6. La vergine cuccia.
Il Mezzogiorno, vv. 510-556
-Il precettore ha appena descritto un goloso ed un vegetariano: il primo grasso e intento a gustare ogni sorta di
cibo, il secondo smilzo e schifiltoso. A questo punto un vegetariano prende la parola contro l'uso inumano di
uccidere gli animali per cibarsene. Alle sue parole la dama, compagna del giovin signore nelle occasioni
mondane, si commuove ricordando il terribile fatto accaduto alla sua cagnolina.
-Scende una lacrimetta dagli occhi della dama: le torna alla mente il giorno terribile in cui la sua cagnolina,
mentre giocava, morse lievemente il piede di un servo e questi le diede un calcio lanciandola via. Al sentire i
suoi gemiti, accorsero tutti i servi e le damigelle e spruzzarono d'essenze il viso della dama per farla rinvenire.
La dama vendicó a dovere la sua cagnolina facendo licenziare il disgraziato servo. Dopo vent'anni di meritevole
servizio egli si ritrovó sulla strada con la sua famiglia, spogliato di tutto, nell'impossibilità di trovare un altro
padrone, costretto a chiedere la carità.
-In questo passaggio il precettore abbandona l'atteggiamento di distaccata ironia e lascia trapelare la sua
indignazione (come già quando narrava le imprese dei conquistadores).
Partendo da un fatto banale si arriva a toccare il tema del maltrattamento della servitú: piú precisamente, è
l'esagerato amore per gli animali che porta la dama a dei comportamenti disumani verso un suo servitore e la
sua famiglia. L'amore per gli animali le fa dimenticare quello per la specie umana.
La storia della vergine cuccia è una tragicommedia. Dapprima il Parini racconta dal punto di vista della dama:
per questo la cagnolina appare come una "vergine cuccia" e, almeno nella prima parte, sembra una cosina tutta
delicata e gentile, per questo la cuccia non "morde" il piede del servo, ma lo segna appena appena con una
"lieve nota". La parola latina serve efficacemente a togliere peso alla cosa, a farla parere uno scherzo amabile. Il
servo invece le dà un calcio e con l'accorrere dei servi la commedia comincia a tramutarsi in tragedia. Il tono si
fa piú serio, commosso: le damigelle pallide e tremanti, i mesti servi. Con il rinvenire della dama si torna di
nuovo alla commedia, ma questa volta con una tinta sinistra: la deliziosa cagnetta si muta in un idolo sinistro che
prende le sue vendette su un uomo. Cosí la commedia finisce e Parini racconta ora non piú nello stile della
dama ma nel suo, facendo suonare nel verso non piú la futile commozione di lei, ma la propria seria umana
commozione sdegnata.
Vengono citati Bacco e le Grazie.
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