Comunità Pastorale SS.Trinità
in cammino...
Il centurione, che si trovava
di fronte a lui, avendolo
visto spirare in quel modo,
disse: «Davvero quest’uomo
era Figlio di Dio!».
(Vangelo di Luca)
In cammino...
Un nuovo inizio!
Editoriale
La Comunità Pastorale sta vivendo un nuovo inizio: entra a far
parte di questa avventura di Comunione anche la Parrocchia
di San Michele in Voltorre.
E’ come quando in famiglia nasce un nuovo figlio o fratello!
Non è solamente qualcuno che si aggiunge, ma è l’inizio
di qualcosa veramente nuovo. Chi entra porta il suo contributo di novità, pone domande, costringe a rivedere il
cammino dell’esperienza, soprattutto a riprendere coscienza
del centro e dell’essenziale.
Già dai primi passi, abbiamo colto nella Comunità di Voltorre
una grande disponibilità a camminare in questa Comunione. Giustamente ci sono delle domande, ci si chiede come sarà questo cammino,
ma c’è anche la coscienza che insieme si sta cercando il futuro della Chiesa, il modo con cui il Signore
le chiede di essere presente, in questo tempo, nella storia del mondo, per essere sacramento di speranza
e di salvezza.
Questi fratelli ci chiedono anche conto del cammino, che come Comunità Pastorale della Santissima
Trinità abbiamo già compiuto. Che cosa possiamo rispondere loro?
Innanzitutto che siamo ancora ai primi passi, che sono come al solito un momento importante della
vita, ma anche un momento pieno di incertezze e di paure. C’è l ’ebbrezza della libertà che il cammino
dona, ma c’è anche l’incapacità ancora evidente di muoversi con sicurezza e armonia. Ci sono dei passi
di corsa a cui seguono frenate improvvise, slanci in avanti e ostinati impuntamenti. C’è bisogno soprattutto, quando si muovono i primi passi di avere sempre le braccia dei genitori tese verso di noi a
darci la sicurezza del distacco per questa nuova fase della vita.
Fuori dalla metafora dobbiamo riconoscere di essere ancora nella prima fase del cammino di comunione. Una fase in cui c’è ancora molto del passato, che non è solo peso, ma ricchezza che permette
alle Comunità di conservare una originalità e un’identità ben definite, che sono indispensabili per un
dialogo e una comunione vera. In questa prima fase sono ancora molti i momenti delle singole Comunità, ma si cerca di costruire uno stile comune nelle diverse esperienze della vita cristiana, cercando
di armonizzare le ricchezze che ogni Comunità possiede. In questo dialogo per trovare un modo credibile e bello di vivere e di proporre le diverse esperienze ci si impara a conoscere, ad apprezzare il
dono dell’altro, a superare la paura ed il sospetto, a sentirsi parte di un unico cammino, che supera i
ristretti confini della propria parrocchia, perchè è il cammino della Chiesa universale.
Di certo si coglie un altro respiro. E questo è un dono importante per Comunità che forse si sono
troppo isolate, si stavano accontentando troppo di conservare ciò che c’era più che cercare nuovi cammini per rispondere alle domande di un mondo, che è molto cambiato. E’ comunque già maturato in
questa prima fase del cammino un respiro nuovo, la possibilità di confrontarsi con più coraggio con
le domande e le sfide della storia, la coscienza che non possiamo solo conservare, perchè significa
condannarsi alla perdita progressiva e inesorabile della ricchezza che pensavamo di avere.
Ci sono le paure e le resistenze, ma c’è anche molto entusiasmo, alimentato dalle esperienze positive, che in questo poco tempo già si sono vissute.
Dobbiamo ora cercare di passare alla seconda fase del nostro cammino di comunione. Dovremmo
cercare con più coraggio la condivisione dei momenti della vita comunitaria, che non devono necessariamente essere ripetuti in ogni comunità, ma proposti e vissuti in maniera bella con il contributo dei doni di tutti. Dovremmo soprattutto farci carico con più attenzione di quelle domande
e di quei bisogni che ci vengono messi innanzi, esplorando nuove vie di testimonianza e di servizio. E’ la dimensione missionaria che è il frutto diretto della Comunione che incominciamo
a vivere.
Non si tratta dunque solo di far combaciare i momenti, ma di immaginare un cammino davvero
nuovo di testimonianza. Non quattro comunità che camminano insieme, ma un nuovo soggetto
di Chiesa, che risponde con più coraggio e concretezza alla missione ricevuta dal Signore.
E’ una mentalità completamente diversa, un modo assolutamente nuovo di affrontare i problemi
e di prendere le decisioni. Una mentalità che riguarda ogni settore della vita, dalla spiritualità
alle decisioni concrete sulle strutture che dovranno favorire la vita di questa Comunità.
Senza paura vogliamo continuare questo cammino, con la certezza che nella comunione vera
c’è la grazia che fa crescere e non mortifica, che fa scoprire sempre nuove possibilità, che ci
dà il coraggio di essere ancora una presenza significativa nella storia e nel mondo in cui siamo
chiamati a vivere.
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In cammino...
Da Pilato al Centurione credente
Pasqua vuol dire passaggio. Ma quanto è
difficile credere che si possa davvero compiere qualche passaggio significativo, che
possa nascere qualcosa di veramente nuovo
nella nostra vita.
Già questa incredulità ci avvicina ad una
figura di pilato che troviamo nella Passione
di Gesù. Non è solamente uno che sfugge
alla sua responsabilità, o meglio questo suo
fuggire è il risultato di una vita che è andata sempre più chiudendosi. Pilato chiede
nel Vangelo di Giovanni con molto disincanto e disprezzo: “Che cos’è la Verità?”. La
frase esprime nello stesso tempo la superiorità e il disprezzo di chi pensa di non avere
bisogno di nulla perchè già possiede il potere
e la sicurezza dell’Impero Romano che serve.
Esprime anche il disincanto di un uomo,
che è stato provato da molte situazioni della
vita e sa che il problema fondamentale della
vita è stare dalla parte giusta in ogni situazione, che l’uomo non ha bisogno di Verità,
ma di quella astuzia che suggerisce sempre
da che parte è più conveniente stare. C’è in
questa frase anche una buona dose di rassegnazione. Che cosa può volere l’uomo pensa Pilato - se non quelle cose che permettono alla vita di soddisfare i propri bisogni
e perchè ci si dovrebbe preoccupare di altro?.
C’è anche una buona dose di cinismo che
spinge a vedere l’altro che gli sta davanti
come uno strumento con cui portare avanti
quel sottile e massacrante gioco di potere con
gli irriducibili capi di quel popolo fiero che
erano gli Ebrei. Perchè prendersi cura di un
uomo, che potrebbe diventare strumento comodo per un’affermazione personale ? Pilato
3
è una figura complessa in cui intravvediamo molti rimandi al
mistero dell’incredulità che vediamo anche in noi e nell’uomo
d’oggi.
C’è l’indifferenza, che non è
solo il sintomo di una banalità
e di una stupidità sconcertante, ma che spesso è indotta
nella vita dalle molte ferite e
dalle molte delusioni subite e
non curate e dalla paura che
esse lasciano nella vita.
C’è anche una forte attenzione al proprio io, il culto
di una personalità troppe
volte offesa dalla vita. Ed
allora si è portati a difendersi, a prendersi cura soltanto di sé, ad usare l’altro per affermare
sé stessi.
C’è anche quel relativismo di chi troppe
volte a visto cambiare lo scenario della vita
ed è convinto che non c’è nulla di eterno e
di immutabile per cui valga la pena impegnare tutta la vita.
Pilato ci parla è una figura ancora molto
attuale e lo sarà sempre di più. Può Pilato
cambiare e con lui anche quel Pilato che
vive in noi?
Accanto a Pilato, c’è nella Passione un’altra
figura, simile per la provenienza e la storia
della sua vita: il centurione della Croce.
Anche lui è un soldato, viene dalla stessa
cultura di Pilato, ha lo stesso modo di ragionare. Ma il suo incontro con Gesù avrà
un esito diverso da quello di Pilato. Anche
per il Centurione all’inizio Gesù è uno
dei tanti, che deve accompagnare
alla crocifissione: è il suo lavoro,
con le sue sicurezze e le sue fatiche. Ma il Centurione è un
uomo che vede, che è costretto dal suo lavoro a vedere e a differenza di
pilato, che pure aveva visto
il mistero di quest’uomo,
non accetta di far finta di
non avere visto. E’ un uomo
che accetta ciò che vede, permette a ciò vede di interrogare la sua vita, di fare
confronti attraverso cui emerge
che Gesù non è uno dei tanti,
ma qualcuno di assolutamente diverso: il Figlio di
Dio dice il Centurione
stesso.
Pasqua
I suoi occhi che avevano sempre cercato la gloria, e la vedevano
nei
trionfi
dell’impero e dei vincitori,
ora improvvisamente la vedono in un Crocifisso. E’ un’esperienza, che mette in crisi la
sua vita, il suo modo di pensare, il suo modo
di guardare le cose. E accetta quel turbamento che Pilato non aveva saputo affrontare.Proprio il turbamento lo porta ad una
strana professione di fede a diventare una
delle prime figure credenti, che la croce genera.
Il suo cambiamento è incredibile, perchè
non è fondato su esperienze e parole di cui
può far memoria, non avviene il un contesto
particolare, che porta a vedere una rivelazione di Dio in ciò che sta davanti. Nasce
all’improvviso e senza un particolare perchè.
Questa figura del Centurione è la testimonianza della potenza sorprendente della
grazia e dell’assoluta gratuità della fede.
Ci dice inoltre che è possibile passare ( fare
Pasqua) da Pilato al Centurione Credente.
E’ possibile per tutti “vedere” e soprattutto
aprirsi a ciò che si vede e rimanendo fedeli
all’intuizione del cuore, arrivare a cogliere
in un Crocifisso il Figlio di Dio e soprattutto
è possibile anche per chi vive per la gloria
dell’Impero, incominciare a vivere per il
Regno di Dio, che è un Regno di un altro
mondo.
Ed allora anche noi siamo interpellati. Innanzitutto siamo invitati a scrollarci di
dosso lo scetticismo che ci spinge a pensare e
a dire che siamo fatti così e che non possiamo certo cambiare ora. Siamo invitati a
vincere quell’indifferenza, che ci spinge a rimanere chiusi in noi stessi e nei nostri pensieri, anche se vediamo segni che ci
inquietano, a non
soccomb e re
In cammino...
Pasqua
alla paura che ci irrigidisce e ci impedisce di seguire l’intuizione del
cuore.
Siamo dal Centurione potentemente richiamati a guardare a Colui
del quale ci possiamo fidare, che non è uno dei tanti che attraversano
la vita senza lasciare traccia, ma Colui che è destinato a rimanere,
Colui che impedisce alla nostra vita di cadere nella dimenticanza e
nell’oblio.
Il centurione parla, dice ciò che il cuore ha intravvisto nel Crocifisso
e per questo rimane per sempre. Diventa un modello di fede! La sua
è una fede vissuta, che parte da un’esperienza significativa e personale, da qualcosa che gli ha veramente toccato il cuore. E non è una
cosa straordinaria, come potrebbe essere per noi. Il crocifisso faceva
parte della sua quotidianità del suo lavoro, della fatica del suo guadagnarsi da vivere. Eppure proprio lì trova quella “visione” e quell’esperienza che sono in grado di cambiargli la vita.
La sua è anche una fede in cui la grazia dialoga con la domanda e
l’intuizione del cuore. E’ questa è la condizione che rende la fede
un’esperienza umana e concreta. Spesso ci si domanda che cosa aggiunge la fede alla nostra vita. Il Centurione ha trovato la risposta
in questo dialogo che apre la sua vita alla significatività, ad una parola che rimane.
Infine il Centurione è la testimonianza di una fede che dà il coraggio
di percorrere la strada nuova che è aperta davanti. Lascia ogni calcolo
e segue...
Che sia anche per noi così! Una pasqua che sia un vero passaggio. E’
possibile passare dal potere che lega Pilato nella sua schiavitù, alla
libertà del povero anonimo centurione che diventa credente. E’ possibile comunque al di là di tutte le nostre obiezioni e i nostri dubbi!
Buona Pasqua
don Piero
Pasqua di Risurrezione
Anche quest’anno celebriamo il dono della Pasqua e accogliamo la vita nuova
del Risorto. La vocazione cristiana non è altro che l’impegno quotidiano a vivere un’esistenza pasquale.
Fare Pasqua significa passare da tutto ciò che impedisce di sentirci “inseriti
in Cristo” ad uno stile di vita che ci rende testimoni e promotori di speranza,
di ottimismo, di capacità di superare le avversità.
Lo spirito vero della Pasqua ci rende in grado di trasformare in esperienza di
salvezza perfino i nostri limiti umani: la povertà, la malattia, le delusioni e i
fallimenti di cui è costellata la nostra quotidianità.
Nelle celebrazioni della notte di Pasqua sentiamo proclamare le grandi tappe
della Storia della Salvezza, che non è solo la storia vissuta dall’antico Israele
ma quella di ciascuno di noi, della nostra vita e della relazione d’amore tra noi
e Dio. Proprio per questo la Chiesa – nel canto dell’exultet – descrive la notte
di Pasqua con parole stupende “… il mistero di questa notte sconfigge il male,
lava le colpe, piega la durezza dei prepotenti, promuove la concordia e la pace.
Notte gloriosa, che ricongiunge la terra, il cielo e l’uomo al suo Creatore”.
Nella Pasqua, la salvezza procurataci da Cristo si estende a tutti gli uomini,
e dalla Pasqua scaturisce la missione universale della Chiesa che è anche la
missione di ogni cristiano: di trasformarci con gli Apostoli in testimoni di
Gesù di Nazareth, il Risorto, vivendo nella comunione e nella condivisione di
chi è “morto e risorto con Cristo” impegnandoci a vivere l’Eucarestia, a farci
“pane spezzato per gli altri”, nella vita di ogni giorno.
Trasformando in preghiera lo spirito più profondo della Pasqua, siamo invitati
a farci missionari e testimoni di amore: “Per la missione che hai affidato alla
tua Chiesa Signore, fa che ci amiamo! Perché si ricostituisca l’unità di tutte le
Chiese, Signore, fa che ci amiamo! Perché i poveri non muoiano più di fame e i deboli non siano più oltraggiati, Signore, fa che ci
amiamo! Perché le bellezze del creato non siano più deturpate e risplendano della bellezza che Tu hai dato loro, Signore, fa che ci
amiamo! Amen”.
Il mistero della Pasqua deve sfociare nel dono della Risurrezione unendoci ai discepoli di Emmaus per comunicare l’incontro con
Cristo a tutti, fino agli ultimi confini della terra.
Se Cristo è “Risurrezione e Vita”, siamo anche noi dei risorti e ogni giorno risorgiamo e ci liberiamo dai nostri peccati. Da questa
incrollabile verità sempre attuale possiamo trarre il motivo fondamentale della nostra fede e della nostra speranza. La Pasqua
perciò è da vivere ogni giorno e da testimoniare in continuità, deve diventare una scelta di vita fino quando la gloria della risurrezione sarà pienamente rivelata e attuata.In ogni S. Messa la Pasqua è perennemente celebrata perché viene immolato Cristo,
l’Agnello Pasquale. Anche noi con gli Apostoli siamo invitati alla mensa di Cristo; ci nutriamo di Lui per trasfondere ancora in
noi la Sua vita divina, per annoverarci tra i figli: tutto questo è dono dello Spirito che dà la vita.
Cristo è risorto, alleluia!Protetti da questa certezza, portiamo ai cuori la gioia della risurrezione, affinché nasca un mondo più
giusto, dove regni la vera pace.
La redazione di Oltrona
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In cammino...
Settimana Santa
La settimana Santa, la “principale” di
tutto l’anno sacro, si apre con la Domenica delle Palme e raggiunge il
suo vertice nel Sacro Triduo. Non
meno importanti sono però anche il
lunedì, il martedì e il mercoledì, nei
quali sono rievocate in particolare la
figura e le vicende di Giobbe e di
Tobia, che preannunciano le sofferenze di Cristo e la sua incrollabile fiducia nel Padre durante l’angoscia
delle prove. Il giovedì, al mattino, il
Vescovo celebrando l’Eucarestia,
benedice gli oli e consacra il crisma
che serviranno per le sacre unzioni
nel Battesimo, nella Cresima e nel
Sacramento degli infermi. Sempre al
mattino, la liturgia ambrosiana prevede due celebrazioni bibliche: la
prima sull’innocente ingiustamente
condannato e la seconda sul perdono e sulla riconciliazione.
Non tutti sanno però che la Pasqua
inizia la sera del Giovedì Santo con
la celebrazione dell’Eucarestia. Molti
fedeli, facendo riferimento al vecchio
modo di celebrare la Settimana
Santa, prima della riforma di Pio XII,
considerano tutto il Giovedì Santo
come il primo giorno del triduo pasquale, mentre è l’ultimo giorno della
Quaresima, fino a sera, quando inizia con la S. Messa in “Cena Domini”
il santissimo triduo del Cristo Crocifisso (venerdì), sepolto (sabato) e risorto (domenica).
Da questa importante impostazione
deriva una profonda unitarietà delle
principali celebrazioni del triduo, caratterizzate da uno sguardo contemplativo su tutto il mistero e sulle sue
drammatiche sequenze. È necessario valorizzare anche la
liturgia della Parola del
sabato mattina, vera e
autentica celebrazione
del mistero della discesa agli inferi del Signore.
La Messa vespertina
ambrosiana del giovedì vuole ricalcare la
successione cronologica degli avvenimenti,
ricordando tutto quanto
accadde nella notte del
primo giovedì santo:
l’ultima cena con l’istituzione dell’Eucarestia,
ma anche il tradimento
di Giuda, l’agonia nel
Getzemani, l’arresto di Gesù, l’abbandono da parte dei discepoli e il
rinnegamento di Pietro. In una parola, essa si caratterizza come primo
atto commemorativo della passione
di Gesù.
La celebrazione del venerdì santo ne
è la naturale continuazione, nonché
il compimento: la proclamazione
della passione viene infatti ripresa
dal punto in cui era stata interrotta la
sera precedente e commemora gli
avvenimenti accaduti nel primo venerdì santo: il processo al Signore, gli
scherni, la flagellazione, la coronazione di spine, la via dolorosa del
Calvario, la crocifissione, la morte e
la sepoltura.
Nel nostro rito ambrosiano c’è dunque unità fra la celebrazione vespertina del giovedì santo e quella
pomeridiana del venerdì santo: lo dimostra un antico testo liturgico, il
canto dopo il Vangelo della messa “in
cena Domini”, che la liturgia ambrosiana, unica in tutto l’occidente, ha
ereditato dall’oriente bizantino, traducendo perfettamente un’antifona
greca del VI secolo:
“Oggi, figlio dell’Eterno, come amico
al banchetto tuo stupendo, tu mi accogli. Non affiderò agli indegni il tuo
mistero né ti bacerò tradendo come
Giuda, ma ti imploro, come il ladro
sulla croce di ricevermi, Signore nel
tuo regno”.
La liturgia ambrosiana, dunque sottolinea, nel triduo, questo aspetto
particolare: per il cristiano celebrare
la Pasqua significa unirsi a Cristo che
soffre e muore per noi, per essere
definitivamente unito a lui nella sua
stessa vittoria sulla morte nella gloria
della Risurrezione.
La redazione di Oltrona
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Pasqua
Commento
al messaggio
di Benedetto XVI
sulla Quaresima
Muovendo dall’invito di “prendersi cura gli uni
degli altri”, il papa squaderna molti pregiudizi
della coscienza credente. Nella relazione tra fratelli il presunto rispetto della privacy, per non interferire nel giudicare la condotta altrui,
maschera in realtà indifferenza e disinteresse per
l’altro, così da evitarci il fastidio di difendere verità e giustizia. Nella vita familiare capita che un
genitore, di fronte all’atteggiamento riprovevole
del figlio adolescente, opti per un malinteso
“quieto vivere”, dato che una presa di posizione
educativa risulterebbe sgradita al minore e costosa per chi la assume.
Riguardo al perdono torna alla mente la tesi di
Jankélévitch, che vedeva nella Shoah un evento
che pertiene alla sfera dell’imperdonabile. Oltre
a dover ribattere con Deridda che la sfida del perdono comincia proprio dove si raggiunge la soglia
dell’impossibile, torna alla mente la preghiera ritrovata su un foglio sgualcito nel Lager di
Rawes¬brach:
«Signore, ricordati non solo degli uomini di
buona volontà, ma anche di quelli di cattiva volontà. Non ricordarti di tutte le sofferenze che ci
hanno inflitto ma ricordati dei frutti che noi abbiamo portato, grazie alla nostra sofferenza. In
questa sofferenza estrema di questo campo noi
abbiamo portato frutti di fraternità, di lealtà, coraggio, generosità, grandezza di cuore che sono
fioriti qui da ciò che noi abbiamo sofferto, e
quando questi uomini, i nostri nemici aguzzini
giungeranno al giudizio, fa che tutti questi
frutti che noi abbiamo fatto nascere siano
per loro perdono. Amen».
Infine, la responsabilità di essere custodi
dei nostri fratelli è un grimaldello per
scardinare meccanismi di relazione sociale che privilegiano la logica dello scambio rispetto alla dinamica del dono.
L’episodio evangelico di Zaccheo racconta
dello sguardo ospitale del Signore, capace
di farsi ospitare in casa del peccatore.
Quello di Gesù è uno stile che diventa
messaggio. E diviene ammonimento per
una Chiesa che deve conformarsi a Lui.
Marco Vergottini (Avvenire, 9/2/ 2012)
In cammino...
Pasqua
presa di coscienza personale ci accingiamo a celebrare la Pasqua quale evento di straordinaria dedizione al bene
dell’uomo.
Emilio Coser
Una brutta malattia
Riguardo all’indifferenza si può usare tranquillamente l’espressione “è una brutta malattia“, tanto
più brutta quanto non considerata come tale e
quindi non combattuta con antidoti efficaci. E sì,
perché normalmente cresce in noi lentamente con
l’avanzare dell’età, s’insinua in modo subdolo nel
nostro comportamento, ruba suadentemente
spazio all’interesse per le persone e le cose facendoti sembrare meno pesante l’esistenza. La
usiamo come arma per difenderci da tutto ciò
che di brutto succede attorno a noi perché
sappiamo bene che sentirlo come nostro, sentirci compartecipi, è motivo di sofferenza, di
tristezza e dolore. Viviamo l’indifferenza
come anestetico per la vita illudendoci così
di campare meglio.
Ho cercato di descrivere un modo di essere
che è molto diffuso ma che chiaramente convive con manifestazioni di segno opposto, che non sono poche: pensiamo
alla partecipazione a un lutto, l’attenzione discreta a chi vive
situazioni difficili, l’attivarsi per chi sappiamo in cerca di un
lavoro o di una casa, il darsi da fare per il bene comune in
ambito sociale, politico, nelle associazioni, nel volontariato;
insomma tutto ciò che nel gergo dialettale risponde all’espressione “casciarsela”.
Ma come porsi da cristiani davanti a tutto ciò? Che giudizio
dare? La nostra fede ha qualcosa da dire al riguardo? Come
incide su quest’aspetto della vita l’appartenenza alla chiesa?
Il vangelo ci dice che ogni uomo è nostro fratello, fratellanza
che scaturisce come conseguenza dal riconoscerci figli dello
stesso padre, carne della stessa carne e sangue dello stesso
sangue. Basterebbe questo per fugare ogni dubbio sul giudizio da dare all’indifferenza; il papa ha peraltro recentemente risottolineato come sia profondamente giusto e
doveroso l’interesse per le sorti altrui, la condivisione nel
bene e nel male, il “ridere con chi è nella gioia e il piangere
con chi è nel pianto”. M anche facendo un’osservazione introspettiva, com’è possibile rimanere indifferenti al bisogno
altrui senza sentirsi rodere dentro nell’animo? Senza sentire
nel proprio intimo una distorsione ben sapendo che quello
che non facciamo per i nostri fratelli non l’abbiamo fatto a
Lui? Che spessa coltre di cinismo ci avvolge! Che denso
alone di superficialità!
E’ vero che a volte sembra di perdere tempo pensando ad
altri; è vero che a volte siamo rimasti delusi o peggio ancora
siamo passati per fessi agli occhi del mondo, che le nostre
buone intenzioni sono state ricambiate con delle fregature:
Certo, è tutto vero, ognuno di noi penso potrebbe elencare
molti esempi. Ma basta tutto ciò per desistere? In altre parole, abbiamo bisogno di una gratificazione esterna a noi per
poter agire in modo corretto? Credo che il giudizio da dare
debba trovare ragioni autonome dentro l’insegnamento della
chiesa e non possa essere in balia di altri fattori; vorrebbe
dire che la cosa giusta o sbagliata da fare può mutare in funzione delle circostanze, relativizzeremmo ciò che invece è un
caposaldo della nostra fede: il donare sempre e comunque,
la gratuità come connotato irrinunciabile:
La figura di Pilato si delinea ai nostri occhi come esempio
storico macroscopico per dirci come l’indifferenza, il suo lavarsene le mani, diventa alfine complicità, diventa compartecipazione al male fin nelle sue estreme conseguenze.
L’atteggiamento di Pilato ci insegna che una posizione neutra
non è priva di conseguenze, non è priva di effetto ma anzi ci
impone una riflessione sulle ricadute che comporta. Qualsiasi
cosa decidiamo di fare o di non fare, non ci è lecito non soffermarci a considerare cosa può comportare.
Sperando di aver dato un piccolo contributo per una maggior
Testimoniarti
Madeleine Delbrel ha scritto una
poesia intitolata “Il ballo dell’obbedienza”. SeguirTi è lasciarsi guidare
in questa danza, senza sapere dove
ci condurrai. A volte è così semplice, ci
si sente così gioiosamente innestati, i
passi fioriscono spontanei, morbidi.
Altre costa uno sforzo, si ha quasi paura
di impazzire. Non ci illudi con facili consolazioni. Chiunque voglia venire dietro a
Te, deve prendere su di sé la propria croce
ogni giorno, rinnegarsi, dimenticarsi. Perché amore non è in fondo che una perdita di centratura.
Perché seguirTi? Perché il nostro fiato intimo è cosa Tua,
perché noi siamo strutturalmente cosa Tua. Se non è amato
in Te prima o poi tutto diventa pesante, insopportabile,
vuoto. Perché noi non siamo capaci di amare. Sei Tu che
devi amare in noi.
Parlare di Te è guardare le prime gemme che spezzano i
rami, preparano fioriture, campi che già biondeggiano. Tu
sei la nota che segue il morire, il Tuo corpo lo sconta in ogni
ranuncolo. Perché Tu sei umile, generoso, sei Colui che
solo ama.Tutto in Te è linguaggio, sacrificio, profumo. Questa creazione incessante che avviene in Te, che sempre vivi
e agisci. TestimoniarTi è raccontare che Tu agisci, perché
sei Dio: siamo stati nel deserto, disperati, e Tu, in un mattino
inutile, ci hai fatto risentire l’odore delle gemme, ci hai
messo nella gola un canto nuovo. Penso a Nicodemo che
T’insegue, dove è più fonda la sua notte, dove scopre che
da solo non può salvarsi, e Tu gli insegni il movimento, la
libertà dello Spirito, fai di quest’uomo una creatura nuova.
è così vanità voler sentire il Tuo abbraccio, Tu sei l’osso, la
radice, la speranza.
Se smettessimo di credere che tutto dipende da noi, che
dobbiamo fare, arrangiarci le situazioni. Se imparassimo a
danzare. A seguirTi. Fare quello che ci dici. Credere nella
spezzatura nel seme, nel perdersi, perché il Tuo frutto rimanga.Se ci accorgessimo che altro non siamo che i gigli
del campo. Sarebbe così dolce questo giogo, che ci inarca
la schiena, sempre, ci insegna in ogni fibra a non fare la nostra volontà. Perché Tu lo porti in noi. Perché Tu sei Colui
che il nostro respiro ama.
Roberta Lentà
6
In cammino...
Pasqua
mondo e che è il Tuo corpo, in cui
sussisto. Come in ogni uomo che mi
hai messo accanto. Persino in chi
mi ha ucciso, perché fosse
più
stretto il nostro abbraccio.
Israele,
Dimmi,
o
amore
dell’anima
mia,
Non
mi trattenere. E sento
tu sei rovinata
che
anche
questo non trattee solo io ti posso aiutare.
dove vai a pascolare le greggi nerTi è un modo di spargere
Osea 13, 9
Tuoi piedi il profumo madove le fai riposare al meriggio, sui
turato
al frantoio della vita,
Mi sono lasciata distrarre,
quello
che un tempo gettai
perché io non debba vagare
dissipare. Da allegrezze,
morendo, perché è
altrove,
dolori, preoccupazioni. Da
dietro
le
greggi
dei
tuoi
compagni?
cosa
Tua.
Girerò a vuoto, per
ricchezze che mi hanno agle
strade,
per
le piazze, come
ghindato come una cosa.
(Cantico dei Cantici 1, 7).
la
Sulammita.
Sarà una
Ho camminato nel deserto,
piena
anche
quel
passo. Dilento. Io che sono quella che meno
in lungo e in largo. Sono stata deverrò
dall’anelito
del
respiro.
Quelmerita quello sguardo. Il deserto mi
predata, una terra desolata, un
l’ansito
nel
fiato
sarà
il
desiderio
ha insegnato a conoscere il mio
campo di guerra. E ho depredato,
stesso dell’incessante creazione
cuore. Ma Tu, per il Tuo amore, puoi
con l’astuzia del miserabile, dell’inche
Ti spasima. Si accorderà ai
far sgorgare l’acqua dalla più dura
consistente.
gigli,
al vento. Vedi, non devo che
delle rocce, avere pietà di me. PerSono Maddalena e non sapevo di
fare
spazio.
Perché sia Tu ad amare
ché tutto il resto è vanità. E Tu sei
essere schiava. Non sapevo la mia
in
me.
Perché
io, da oggi, Amore,
la Parola mediante cui il Padre
ferita insanabile, eppure attravernon
sono
più
mia.
attua, regge le costellazioni, le marsava ogni mio respiro. Sono stata
E corro ad annunciarTi, a perdigherite in primavera, la speranza.
usata, come un oggetto, ho impafiato,
con la gola che non regge il
Ti ho inseguito senza sapere perrato la freddezza delle scissioni. E
canto,
le sinfonie. Inciampo. Ma Tu
ché, come la cerva anela ai corsi
ho usato, appreso l’arte della fuga,
sei
la
musica,
baci Tu questi gesti
d’acqua, conservando le Tue paper salvarmi ad ogni costo dal domonchi
in
una
danza.
role come perline di un diadema.
lore. Per non morire mai. E morire
Roberta Lentà
Me le sono ripetute in ognuna delle
così, esausta e nuda. Perché quemie pene, fino a sentirle nelle venasto dolore infinito non nasce dalle
ture delle foglie, perché tutto è graferite ricevute, ma da quelle inferte.
zia e vento, e cammino su un suolo
Io non lo sapevo, Gesù. Ce l’avevo
santo. Fino a sentirmi un
col mondo. Dovevo essere più forte,
campo di gigli, di pane.
più furba, dovevo assolutamente
Benedetto
l’inverno,
salvarmi. E non sapevo che ci si
Amore. Come avrei fatto
salva solo cedendo, offrendo il
spazio altrimenti? Avrei
dorso ai flagellatori. Come fai Tu, in
potuto conoscerTi solo
me, ogni volta, e nella carne del Tuo
per sentito dire. Intesabbraccio a cui non desidero che
sere discorsi, lanciarTi
accordarmi, perché non c’è luogo in
addosso sassi, non
cui non riposi in Te.
comprendere nelle ossa
Quasi non osavo avvicinarmi alla
cosa significhi rinascere
folla, mentre Tu predicavi.
dall’alto, Gesù. Ed ora so
Che ci faccio io lì, con loro? In un
che è una perdita di graangolo, la schiena poggiata contro
vità, un decentramento, un
il tronco di un albero, della nostra
diminuire. Un essere come la
croce, Amore. Che speranza vuoi
neve, la gola del papavero che
che abbia, io? Mi vedi, veramente?
tende alla Luce il Tuo stesso
Con le mie cavigliere da schiava
gemito inesprimibile.
che scuoto in faccia al vento, a testa
E quando ho trovato la
alta, proteggere il niente che sono.
tomba vuota ho pensato
Io lo so che la mia vita sta andando
solo – non possono averin frantumi. Lo so. Ma cosa vuoi che
meLo portato via. Non posfaccia, so bene cosa significa essono. Perché Tu intessi il
sere schiava del peccato. Tu sei
mio tempio, perché la copreziosa ai miei occhi, degna di
rolla delle magnolie che mi
stima, e io ti amo. Non so perché
hai fiorito nel fiato è Tua solnel Tuo sguardo queste parole mi
tanto, Tuo ne è il nome. Non
abbiano invasa, precise. Non so
ho riconosciuto il Tuo viso
perché proprio io, in fondo alla folla,
nel giardiniere bianco. Come
col viso deturpato da un trucco vionella sinfonia che muove il
Perché io non debba vagare
7
In cammino...
VII Incontro mondiale delle Famiglie
Milano 30 maggio -3 giugno
Convegno Famiglie
La famiglia, il lavoro,
la festa
Le famiglie
a raduno
Quest’anno la Diocesi di Milano ha
l’onore di ospitare il VII Incontro
Mondiale delle Famiglie, raduno voluto da Sua Eminenza Cardinal Dionigi Tettamanzi e che si svolgerà a
Milano dal 29 Maggio al 3 Giugno,
giorno in cui verrà celebrata la S.
Messa da Papa Benedetto XVI.
E’ un Raduno di grande portata e rilevanza internazionale, che ha il privilegio di richiamare famiglie di ogni
provenienza, con abitudini e tradizioni diverse, ma mosse da un unico
“motore” e spinte dagli stessi sentimenti umani e dai medesimi valori
religiosi, che trovano la loro unica
fonte in Cristo Gesù.
In questi mesi parlando con diverse
persone abbiamo raccolto interpretazioni diverse per valutare l’evento.
Un punto di vista mette in risalto
l’aspetto mediatico dell’avvenimento,
quasi fosse proposto da una realtà
piuttosto lontana dalla concretezza
che vivono le famiglie nel loro quotidiano.
Noi pensiamo che l’opportunità che
ci viene offerta, sia di grande stimolo per le parrocchie, per le comunità pastorali della diocesi, che mai
come in questo momento hanno la
possibilità di “rilanciare” la famiglia e
metterla al centro delle proposte pastorali, segnando l’inizio di un cammino, che dal 3 giugno potrà
continuare e diventare occasione di
formazione e di discussione per i
prossimi anni.
Sarà anche un’ ottima possibilità per
organizzare momenti di incontro,
che aiutino a calare nella vita concreta quella tipica spiritualità coniugale e famigliare, nutrimento per le
relazioni che si intrecciano nel suo
interno, per non distogliere lo
sguardo dall’ Amore originario.
E speriamo che ogni famiglia,
ognuna nell’ espressività che gli è
originale, riesca a cogliere le bel-
lezze, i doni, le gioie che le sono proprie, ma ci auguriamo possa riconoscere anche le difficoltà, le fatiche o
gli impegni, che inevitabilmente si presentano nel tessuto delle relazioni,
perché anche questi aspetti siano oggetto di condivisione, contro il rischio
di chiusura nel proprio mondo, con l’illusione di bastare a se stessi.
Accogliamo dunque con gioia questo
avvenimento, cercando di essere disponibili ad aprire il nostro cuore e le
nostre case, fidandoci di quel Gesù,
che ha compiuto proprio il suo primo
miracolo durante una festa nuziale.
Sarebbe piacevole organizzare momenti di accoglienza-festa, nella semplicità, proprio per far sentire “a casa
loro” le famiglie che arrivano da lontano e poter gioire di momenti di convivialità che mettono a proprio agio!
Nel frattempo il nostro decanato, in
preparazione a questo evento, ha già
proposto quattro serate di catechesi,
che hanno come tema la famiglia, la
festa e il lavoro: sono i 4 incontri del
“quaresimale del lunedì sera a Laveno Mombello, a Cocquio Trevisago,
a Gavirate e a Besozzo.
A Gavirate, prossimamente, saranno
proiettati quattro film, a cura de “L’Immaginario”, dedicati ai vari aspetti
della famiglia, al termine dei quali ci
sarà la possibilità di discutere anche
con esperti sui
temi
emergenti.
Domenica
15
Aprile, nel pomeriggio
si
terrà Laveno,
per desiderio di Sua
Eminenza il
Cardinale
A n g e l o
Scola, una
Festa della
Famiglia
Laica, dove
si potranno
conoscere più
da vicino alcune realtà che
8
operano a favore delle famiglie nel
nostro decanato.
Un altro incontro si terrà in zona, più
precisamente al collegio De Filippi di
Varese: inserito nel contesto dell’Incontro Mondiale delle famiglie, ha
come titolo “Libera professione e vita
in famiglia”; avrà luogo giovedì 31
Maggio alle ore 15.
Il programma più dettagliato di tutte
le attività relative al raduno sono
esposte nelle bacheche delle nostre
chiese, con la possibilità di iscrizione
agli incontri desiderati.
Noi ci sentiamo di invitarvi ad afferrare questo momento di grazia per la
famiglia, che , essendo la cellula fondamentale della società, ha bisogno
di essere sostenuta e guidata nella
crescita umana e di fede, per diventare anche punto di riferimento, appoggio, amicizia per coloro che più
faticosamente vivono le problematiche famigliari.
Un saluto fraterno
Roberta e Roberto Torsa
In cammino...
Convegno Famiglie
Famiglia: lavoro e festa
Family 2012:
la grande kermesse
a Milano
L’incontro mondiale delle famiglie si svolgerà a Milano dal 30 maggio al 3 giugno, accanto al pilastro
dei due giorni di festa e preghiera con il Papa, si
fonda anche sulla proposta di tre giorni di riflessione
di alto profilo. Il Congresso teologico-pastorale internazionale che si svolgerà a Fiera Milano City (accanto alla vecchia fiera campionaria) è aperto a un
pubblico vasto: Da una parte gli studiosi e le delegazioni ufficiali delle diocesi del mondo, dall’altra, i rappresentanti di parrocchie, associazioni e realtà parrocchiali interessate al tema “Famiglia: lavoro e festa”.
I lavori saranno aperti dai cardinali Angelo Scola,arcivescovo di Milano, e Ennio Antonelli, presidente del
Pontificio consiglio per la Famiglia; si articoleranno su sei sessioni plenarie mattutine con
relatori di altissimo calibro ecclesiale e civile; con tavole rotonde pomeridiane (su temi a
scelta) e trasferte nella città di
Milano e in quello lombarde. A
Varese il 31 maggio pomeriggio
si discuterà di famiglia e questioni di economia d’impresa.
Tra i principali relatori sono attesi il card. Gianfranco Ravasi
(La famiglia: tra opera della creazione e storia salvezza); il card.
Dionigi Tettamanzi (La famiglia e
il lavoro oggi: tra opportunità e
precarietà); la studiosa spagnola
Blanca Castilla (La famiglia e la
festa fra antropologia e fede),
l’arcivescovo di Bostoon, Sean
O’ Malley (Santificare la festa: la
famiglia nel giorno del Signore).
Accanto al congresso degli
adulti, è prevista anche una proposta per i ragazzi,cioè i figli dei
delegati ma anche i ragazzi dei
nostri oratori.
9
La partecipazione all’intera settimana è aperta a tutti. Occorre
però iscriversi sul sito www.fanily2012.com Per partecipare
agli incontri con il papa all’aeroporto di Bresso (festa del sabato
pomeriggio e sera) e messa della
domenica mattina occorre richiedere il pass gratuito e obbligatorio d’ingresso (entro e non
oltre il 9 maggio 2012).
In cammino...
L’ipocrisia dei
Cristiani
gli era quella di raccontargli la mia
esperienza.
Gli dissi che questa domanda era
stata per me il punto di partenza.
Nel tempo avevo ascoltato una
gamma molto ampia di risposte e mi
era apparso evidente che ognuno
Riflessione
mande perché sa che lei gli vuole
bene. E se la risposta non è quella
che vorrebbe, comunque sa che è
quella migliore per lui. L’accetta,
magari con fatica, ma poi continua
sereno il suo cammino.
Ero sul treno e accanto a me sedeva un amico che avevo incontrato
Ora molti continuano a ripetere che
alla stazione. Il discorso
la fede è un dono di Dio e se
come il solito saltava da
non
l’hanno non è colpa loro.
palo in frasca. Poi improvvi- Viene per me Gesù, ma tra i fratelli
Non
capiscono che questo
samente, quasi come se
non
è un fulmine che coldono
nel
mezzo
della
Chiesa
a
me
si
dona
avesse trovato il coraggio,
pisce
all’improvviso,
ma è inmi chiese bruscamente:
anche
se
solitaria
è
la
mia
persona
vece
un’offerta
proposta
Perché i cristiani sono così
continuamente a tutti tramite
ipocriti? Io non sapevo vita nel Cristo, unanime con quelli
tanti testimoni, a volte struquanto lui credesse e qual
menti inconsapevoli. Poi
era lo scopo della sua do- Campana di Lombardia
spetta
a ognuno decidere libemanda per cui ebbi il dubbio
Clemente Maria Rebora ramente di dare o meno la prose fosse alla ricerca di una
pria adesione.
giustificazione o facesse un
atto di accusa o soltanto diCerto che bisogna saper domostrasse la sua delusione.
minare
il proprio egoismo e la
Certo sapevo che l’accusa
propria
superbia per avere la
d’ipocrisia era fondata, ma
capacità
di ascoltare e saper
guardandomi attorno avrei
leggere
i
segni che nella vita
potuto anche dire, ma da
capitano.
Io ricordo sempre
quale pulpito stai parlando?
che
il
bene
che porto lo devo
Chi oggi non ne fa grande
a
tre
persone
precise a cui ho
sfoggio? D’altra parte io non
prestato
molta
attenzione: mio
potevo di certo parlare per
padre,
un
sacerdote
e mia mogli altri, visto che non posso
glie,
che
con
la
loro
testimoleggere nel fondo del loro
nianza
e
la
loro
vicinanza
mi
cuore soprattutto in una sohanno
aiutato
a
imboccare
la
cietà dove l’ipocrisia campa
mia
strada
quasi
senza
che
io
ovunque,
anche
nelle
me
ne
accorgessi.
chiese. Ipocrisia è partecipare a riti più per abitudine
Ma la mia è la strada giusta?
che per fede, non far seA questa domanda non posso
guire le opere alle parole,
ha
una
sua
riposta
ma
ha
anche
la
dare
una risposta definitiva perché
non coltivare la pace e l’armonia
certezza
di
non
possedere
tutta
la
questa
va cercata nella vita di ogni
anche con chi non crede.
verità, di non avere la fede che vorgiorno che pone sempre nuove sirebbe e di avere molti dubbi. D’altra
tuazioni. Ma sinora posso dire che
È un male antico cercare di apparire
parte
un
Dio
misterioso
nella
sua
non ho trovato alternative più valide
diversi da quelli che si è, nasconimmensità
che
non
si
vede
e
non
di quelle che la mia fede mi ha dato
dere quello che si pensa realmente,
parla,
come
fa
a
non
lasciarti
dei
spingendomi
a essere sempre aucercare di fare coincidere ciò che è
dubbi?
tentico
e
coerente,
testimone singiusto con i propri interessi, essere
cero
a
qualunque
prezzo
senza mai
pronti a condannare le piccole cose
Naturalmente
anch’io
non
ho
mai
essere
offensivo.
Ora
non
mi pongo
che disturbano, ignorare il male che
avuto
la
certezza
di
possedere
tutta
più
tante
domande,
mi
affido
a Gesù
si produce e arrivare persino a vanla
verità
ma
solo
qualche
framsempre
presente
e
attuale,
non
tare la propria miseria con grande
mento,
però
ero
comunque
arrivato
sono
mai
sazio
di
conoscere
la
sua
teatralità.
a una mia risposta. Questa risposta
parola poiché lui mi ha mostrato con
era una sintesi di un lungo cammino
la sua morte un amore che nessun
Certo non era facile dare una rispoche
negli
anni
mi
aveva
fatto
imbocaltro
è stato in grado di darmi e mi
sta. Tuttavia non volevo sfuggire
care
tanti
vicoli
ciechi.
Avevo
scarha
insegnato
a chiamare Dio: Padre
alla domanda con una riposta genetato
il
sentimento,
anche
se
questo
misericordioso.
rica, perché non gli volevo aggiunvi entrava, avevo scartato la ragere una nuova delusione. Cercai
gione, anche se questa vi entrava.
Non so se il mio amico fu contento
allora di approfondire il retroterra da
Ero
tornato
all’atteggiamento
del
della
mia risposta, mi fece poche
cui era sorta e il discorso si spostò
domande,
rimase pensieroso e alla
bambino
verso
la
sua
mamma.
Lui
su cosa è la fede e cosa comporta.
fine
mi
salutò
cordialmente.
quando
ha
un
problema
si
affida
La migliore risposta che potevo darLuciano Folpini
ciecamente a lei, senza porsi do10
In cammino...
Vita della Comunità
Vita della Comunità
AFFINCHE’
LA PAROLA CORRA:
terminata la lettura della
Bibbia!
E’ iniziato nel
2009 l’esperimento della lettura continuata
della
Bibbia,
che si è concluso in questa
Quaresima;
negli ultimi anni
infatti, la prima
settimana dei
tempi forti è
stata dedicata
alla lettura dei
libri della Bibbia.
Davvero
poche sono le
parrocchie che
possono vantare di aver letto insieme tutta la Parola
di Dio… dalle sue interminabili e, a volte, incomprensibili letture dell’Antico Testamento, alle più note pagine del Vangelo. Nonostante i momenti di fatica
siamo comunque riusciti a concludere e a gustare il
tempo di ascolto e di lettura.
Ci è sembrato significativo rilanciare la Parola di Dio,
che spesso viene trascurata nella nostra vita o classificata tra le cose “già sentite”.
Aperto a tutti l’invito per la lettura: si sono cimentati
nella proclamazione della Parola bambini, ragazzi,
giovani, adulti e anziani appartenenti ai vari gruppi
presenti nella parrocchia, e poi nella comunità pastorale.
Ma oltre alla singolare esperienza e all’aver “intriso”
della Parola le mura della nostra Chiesa, cosa resta
di queste serate passate all’ascolto?
Un invito a conoscere ed approfondire il testo che è
alla base della nostra fede al quale spesso non diamo
l’attenzione che dovremmo. L’immagine che resta è
quella di San Girolamo, grande appassionato della
Parola, che ci invita a farci trovare dal sole che sorge
con il libro in mano… Rendere concreto questo invito
è la sfida del credente che non si vuole fermare a una
fede tradizionale e spesso superficiale, ma radicata
sempre più nella vita e nella verità del Vangelo.
Piero e Leda
Eravamo tutti rapiti, forse
un po’ intimoriti persino
A messa dal cardinale Martini
L’esperienza del gruppo
catechesi famiglie
Smagrito per la malattia ma sorridente, diafano in volto, le lunghe
mani sottili e l’anello simbolo della sua carica, ma soprattutto l’autorevolezza gentile del volto, sia pur segnato da una certa sofferenza:
così ci ha accolto il Cardinal Martini, già emerito Arcivescovo di
Milano, entrando sulla sua sedia a rotelle nella piccola cappella
dell’Aloisianum di Gallarate per celebrare per noi, gruppo delle famiglie della Parrocchia di Gavirate, la S. Messa.
Eravamo arrivati da poco e in realtà saremmo dovuti essere di
meno, proprio per non affaticarlo e invece poi … nessuno ha resistito e c’eravamo praticamente tutti, anzi anche qualcuno di più,
una mamma, un nonno e i bambini al gran completo! Ci siamo
stipati come non si poteva.
“State seduti sulle panche, così sembriamo di meno”. “Ecco, là vicino alle finestre, così c’è più spazio”
“Voi, bambini, mi raccomando fate i bravi. Arriva una persona
importante. Comportatevi bene. Mettetevi lì, vicino al calorifero
seduti per terra a gambe incrociate. I cappotti portiamoli di là che
occupano troppo posto. Attenti all’umidificatore che è pieno d’acqua. Non fatelo cadere!” Cosa che puntualmente si è verificata.
Poi è arrivato lui, dolcevita e pantalone nero, la sua nota altezza
un po’ compressa dalla posizione seduta e il suo assistente, don Damiano, che lo spingeva sulla carrozzella con un sorriso …
Eravamo tutti rapiti, forse un po’ intimoriti persino, e non solo i
bambini, che all’improvviso sono ammutoliti.
Il momento ha assunto una sua solennità, serena e pensosa, che di
fatto è durata per tutta la celebrazione, davvero inusuale, così sussurrata dalla voce di Martini flebilissima e per questo riecheggiata
in ogni battuta da don Damiano.
Eppure le parole non si perdevano, raccolte talvolta sul labiale di
quel volto che tenacemente e solennemente,
nonostante l’impedimento
fisico, assolveva serenamente alla sua funzione
di ministro di Cristo.
I canti di tutti noi, sommessi, l’eco delle letture
del rito romano ma soprattutto il segno di pace
che i bambini, in fila diligente, hanno voluto
dargli: tutto questo ci
siamo riportati a casa,
con la commozione della
liturgia domenicale.
Rita De Santis
11
LA SETTIMANA SANTA
LA PREPARAZIONE:
Celebrazione comunitaria
della Riconciliazione per giovani e adulti
VENERDI’ 30/3
LUNEDI’ 2/4
MARTEDI’ 3/4
MERCOLEDI’ 4/4
ore 21.00 A VOLTORRE
ore 21.00 A GAVIRATE
ore 21.00 A COMERIO
ore 21.00 A OLTRONA
Confessioni Individuali:
OLTRONA
ORE 9.00 - 10.00 e 16.00 - 18.00
GAVIRATE
15.00 - 18.00
COMERIO ORE 10.00 - 11.00 e 14.30 - 15.30
VOLTORRE ORE 10.00 - 11.00 e 14.30 - 16.00
DOMENICA DELLE PALME:
Processione degli Ulivi e S.Messa
ORE 9.45
ORE 10.30
ORE 10.45
ORE 11.00
TRIDUO SANTO
VOLTORRE
GAVIRATE
OLTRONA
COMERIO
GIOVEDI’ SANTO
MATTINO
ORE 7.00
ORE 8.00
OLTRONA LITURGIA DELLA PAROLA
GAVIRATE LODI E INTRODUZIONE DELLA GIORNATA
GIORNATA EUCARISTICA
PER TUTTI I RAGAZZI DELLA COMUNITA’
ORE 10.30 CONFESSIONI
ORE 14.30 LAVANDA DEI PIEDI
ORE 16.00 S. MESSA PER I RAGAZZI
CELEBRAZIONE PER GLI ANZIANI
E PER GLI AMMALATI
ORE 17.00 OLTRONA
ORE 17.00 VOLTORRE
MESSA IN COENA DOMINI
PER TUTTA LA COMUNITÀ PASTORALE
ORE 21.00 GAVIRATE
VENERDI’ SANTO
MATTINO
ORE 7.00
ORE 8.00
OLTRONA VIA CRUCIS
GAVIRATE LODI E INTRODUZIONE
DELLA GIORNATA
LITURGIA NELLA MORTE DEL SIGNORE
ORE 15.00 COMERIO
ORE 15.00 GAVIRATE
ORE 15.00 VOLTORRE
ORE 15.00 OLTRONA
PREGHIERA ALLA CROCE
PER TUTTA LA COMUNITA’ PASTORALE
ORE 21.00 VIA CRUCIS DALLA CHIESA DI
OLTRONA ALLA CHIESA DI VOLTORRE
SABATO SANTO
LITURGIA DEL MATTINO
ORE 7.00
OLTRONA
ORE 8.00
GAVIRATE
PER I CRESIMANDI DI TUTTA LA COMUNITA’
ORE 15.00 ACCOGLIENZA DEGLI OLI
nella cappella dell’Oratorio di Gavirate
VEGLIA PASQUALE
ORE 21.00 VOLTORRE
ORE 21.00 OLTRONA
ORE 21.00 GAVIRATE
ORE 21.00 COMERIO
PASQUA E LUNEDI DELL’ANGELO
ore 8.00: Gavirate
ore 9.00: Groppello-Comerio
ore 10.00: Casa di Riposo Gavirate e di Comerio-Voltorre
ore 11.00: Comerio-Gavirate-Oltrona
ore 18.00: Gavirate
E’ sospesa la Messa Vespertina di Voltorre
In cammino...
Vita della Comunità
Suor Teresa
Tante sono le immagini di suor Teresa che mi vengono in mente.
Tutte testimoniano la dedizione, la
cura che aveva per il nostro oratorio.
Per noi bambini era un importante
punto di riferimento: tanto per cominciare era sempre presente. Cascasse il mondo, sapevi con
certezza che suor Teresa l’avresti
trovata nella saletta dell’oratorio al
primo piano. Come se fosse lì ad
aspettarti.
A noi bambine colpiva la sua corporatura esile ed aggraziata insieme,
il suo modo accurato di sistemarsi il
velo, la delicatezza con cui girava le
pagine del Vangelo, la sua voce sottile e chiara allo stesso tempo.
Era precisa e rigorosa. Me la ricordo
in qualità di catechista della mia
classe, che seguiva in vista della
Prima Comunione. Per lei il catechismo era un affare serio: le pagine di
un quadernetto che, ogni settimana,
dovevamo compilare con le nostre
riflessioni e i nostri disegni venivano
poi attentamente controllate da lei la
volta successiva e persino valutate.
Spesso ci chiedeva di imparare a
memoria preghiere e salmi che an-
cora oggi, grazie a
lei, ricordiamo. Era una donna energica suor Teresa. Non mancava di
riprendere con severità chi sbagliava o si comportava male. Il suo
sguardo e il suo tono di rimprovero
erano in grado di far tremare anche
i più monelli. Non tollerava gli atteggiamenti di maleducazione e di prepotenza, né che si saltassero i
momenti di preghiera.
Al contrario, desiderava che le cose
venissero fatte con cura, compostezza, ordine, atteggiamenti che si
sforzava di trasmetterci. Il suo inte-
resse per le cose belle si percepiva
nitidamente durante le lezioni di ricamo che ogni anno teneva all’oratorio feriale. Rimaneva ore ed ore
ad insegnarci ad eseguire disegni a
punto croce, correggeva i punti sbagliati realizzati da mani piccole e
inesperte come le nostre, tanto che
spesso (se non sempre!) gli orari
non venivano rispettati e si proseguiva più del dovuto, fino alla preghiera di fine giornata.
“Prendetevi cura del vostro oratorio!” sono state queste le ultime parole che suor Teresa ha rivolto a me
e ad un’amica, mentre la salutavamo prima della sua partenza definitiva da Gavirate.
Sul principio quel congedo mi era
parso strano, ma, riflettendoci, oggi
ne comprendo pienamente il valore
e il significato. Una persona che,
come lei, si era spesa anno dopo
anno per educare, seguire, formare
bambini e ragazzi si preoccupava
delle sorti del “suo” oratorio, che
stava con tristezza per lasciare,
chiedendo a tutti noi di coltivarlo, di
averne cura, di occuparcene al meglio delle nostre possibilità, che è
forse il più bel segno di riconoscenza e di affetto che, oggi, le possiamo fare.
Anna Vergottini
Don Giuseppe Ortelli
Giovedì 16 febbraio, in ospedale, a Varese, un mese dopo il suo ricovero,
Don Giuseppe Ortelli, Parroco di Voltorre, a soli 68 anni d’età, è entrato
nella vera vita, la vita eterna, godendo della piena visione del Dio che aveva
tanto amato ed al quale aveva donato tutta la sua vita, nel suo ministero
sacerdotale.
Per ricordarlo vogliamo proporre un riassunto di quanto detto da Vescovo
Ausiliare Monsignor Luigi Stucchi e dal signor Giuseppe Bassi, a nome
del Consiglio Pastorale di Voltorre, durante la celebrazione delle esequie,
svoltesi lunedì 20 aprile, nella chiesa parrocchiale.
Tutti i suoi parrocchiani hanno voluto ricordarlo come uno di loro, a
volte pacato – come dimenticare certe omelie tenute a voce sommessa?
Oppure, a volte, infervoratissimo – ma cos’ha, oggi Don Giuseppe? Si
chiedevano i suoi parrocchiani, in certi giorni che non riusciva trattenere lo sdegno per certi fatti - comunque sempre come il carissimo Don
Giuseppe. Amante dell’essenziale, sobrio, innamorato della bellezza,
grande appassionato degli eventi e dei personaggi nei quali sono radicate le
nostre origini e in particolare la chiesa di Voltorre, tanto legata al suo chiostro. Non a caso il vescovo
ha voluto accostare la sua esperienza a un albero dal robusto tronco e ben radicato nel terreno delle nostre origini e,
soprattutto, della fede. Era stato ordinato sacerdote nel 1968, un anno particolare per le vicende che hanno caratterizzato l’Italia di allora, ma che avevano anche segnato il suo ministero sacerdotale.
Come già detto, le sue prediche sono state spesso influenzate dalla sua sensibilità verso i problemi sociali, spronando
a coniugare la fede con le esigenze della giustizia.
14
In cammino...
Vita della Comunità
Dopo avere fatto esperienza di Pastore nella Parrocchia
dei S.S. Angeli Custodi in Milano, poi a Rovate, era
giunto a Voltorre alla fine d’ottobre del 2002, facendo il
suo ingresso ufficiale l’8 dicembre, festa della Madonna
Immacolata. Subito appassionato della comunità, con tenacia ha voluto che la ricorrenza della festa patronale di
S. Michele, di anno in anno, fosse l’occasione perché tutte
le componenti del paese: parrocchia, istituzioni, associazioni si ritrovassero sempre più unite nel festeggiare il
santo patrono, crescendo nella comunione e nel rispetto
reciproco.
Con vero spirito di Pastore ha sempre cercato la pecorella più lontana dalla Chiesa, per farla sentire accolta
nella Chiesa e amata da Gesù. Ma il suo sguardo si è allargato anche sulla Chiesa Universale, attraverso le visite
ai paesi più lontani, attraverso le missioni di Suor Mariangela e Padre Bruno Philip. Proprio il suo ultimo
viaggio in Birmania, fatto per conoscere da vicino l’opera
che Padre Philip fatta di accoglienza dei bambini resi orfani da guerre tribali e di potere, aveva segnato il suo fisico e resa manifesta la malattia che lo ha condotto a
concludere così repentinamente la sua vita terrena.
Nonostante l’evidente stato di sofferenza, ha voluto con
amore caparbio completare il giro della benedizione natalizia, quasi voler dare l’ultimo saluto ai suoi “figli”.
Ponendo Gesù Eucaristico al centro del suo insegnamento, ogni primo giovedì del mese ne proponeva l’adorazione eucaristica. Senza mai scoraggiarsi per la scarsa
adesione, certo che questo gesto fosse la radice vera che
produce veri frutti di amore e di unità tra noi.
L’invito a pranzo da parte di qualche famiglia era sempre occasione per proporre la parola del Papa durante
l’Angelus, parola autorevole per la sua e la nostra fede e
per l’esercizio del suo ministero.
Uno dei “pulpiti” più frequentato è sempre stato un tavolino dell’Oratorio, perché tra un aperitivo o una cena
veloce, oppure con una partita a carte, nascesse anche
l’amicizia, l’occasione per comunicare una parola di speranza ad un’umanità troppo spesso disorientata dalla fatica, dal dolore o dalla solitudine.
Poi è sopraggiunta inclemente e devastante la malattia!
Tutti speravano, ma il Signore gli aveva chiesto di offrire
la sua sofferenza per tutti noi fino all’ultimo istante di
vita e lui, seguendo il suo esempio, lo ha fatto senza lamentarsi, consapevole del premio che lo aspettava: il Paradiso. Lui stesso, salutando coloro che lo avevano
amato lo aveva detto: “ Portando nel cuore tutte le persone che ho incontrato … vado ad incontrare, per sempre, il Signore Gesù”
Un ultimo gesto di amore, il dono delle cornee perché
altri potessero vedere la Luce che ci guida alla vita vera.
Ora Don Giuseppe riposa nel cimitero di Voltorre, dove
riposa anche il primo parroco, Don Luigi Macchi. Tutti
i suoi parrocchiani, di tutte le “sue” parrocchie, presenti
numerosi al momento dell’ultimo saluto, certi di ritrovalo presso Dio, lo salutano con un caloroso “Arrivederci
carissimo Don”
I suoi parrocchiani
Restauro dell’organo di Comerio: iniziano i lavori
Sono passati ormai due anni e finalmente, dopo tante difficoltà, le due attese
autorizzazioni, per la balconata lignea e per l’organo, sono arrivate. I mesi
di febbraio e marzo sono stati molto importanti per iniziare a eseguire sul
posto i primi studi da parte dei restauratori.
Sono state, infatti, realizzate delle piccole campionature in più parti della
balconata, mentre, lo strumento è stato provato per registrare la musicalità
attuale di ogni singola nota.
Il restauro dell’organo durerà circa un anno. Si tratta di un ripristino che
richiederà molta attenzione e delicatezza: lo strumento, infatti, verrà
smontato pezzo per pezzo, numerato, ristrutturato in laboratorio e rimontato.
L’organo, dunque, datato 1817, come da incisione sulla canna principale, dovrà risuonare nella chiesa SS. Ippolito e Cassiano proprio
come due secoli fa’. Nulla, verrà trascurato: dalla pulizia interna della
cassa, al ripristino dell’avviamento manuale. Anche il motore elettrico
verrà sostituito da un’altro molto più silenzioso e performante per permettere di ascoltare un suono più pulito, originale e deciso.
Mentre per l’organo ascolteremo la diversità del suono, la balconata cambierà colore
per tornare alla tempera naturale. I due volti di angeli, già portati in laboratorio, torneranno allo stato
originario proprio come le decorazioni in oro, ormai cancellate dal tempo.
Le rispettive soprintendenze dei beni culturali hanno già effettuato un sopralluogo per accertarsi la corretta esecuzione
del restauro e saranno presenti nella nostra chiesa anche nei mesi successivi. Nei mesi di aprile e maggio, salvo imprevisti, s’inizierà a tutti gli effetti il restauro e per diversi tempo dovremo abituarci a vedere la cassa dell’organo vuota
e i ponteggi allestiti certi di vedere e sentire tra un anno tutta la bellezza artistica, storica e musicale di questo importante strumento. L’attenzione da parte del consiglio della comunità pastorale S.S. Trinità e della commissione economica di Comerio non è solo legata strettamente a questo importante restauro, ma è rivolta anche a tutti i fedeli per
renderli partecipi e informati. Vi terremo dunque aggiornati nei prossimi numeri.
Paolo Leoni
15
In cammino...
Vita della Comunità
La “missione ambrosiana”
e l’ospedale di Chirundu
In questi ultimi anni, specialmente in occasione delle campagne di carità
di Avvento e Quaresima, si è parlato più volte dell’ospedale di Chirundu,
situato nel territorio di quella che era chiamata la “Missione Ambrosiana
in Africa” e sostenuta dalla Diocesi di Milano. La missione ha avuto inizio con la costruzione dell’imponente diga di Kariba sul fiume Zambesi,
tra Zambia e Zimbabwe (ex Rodesia del Nord e Rodesia del Sud) nella
seconda metà degli anni cinquanta del secolo scorso, per opera di
grandi imprese italiane di Milano e Lodi e dove erano impiegati più di
un migliaio di maestranze, tecnici e lavoratori italiani. Il cardinale Giovanni B. Montini, allora arcivescovo di Milano, si preoccupò da subito
dell’assistenza spirituale di queste persone e nel 1956 mandò un cappellano, don Giuseppe Betta della diocesi di Trento con già esperienza
di lavoro in Africa. Nel 1957 il Papa Pio XII emanò l’enciclica “Fidei
Donum” con la quale invitava le diocesi di vecchia tradizione cristiana
a diventare missionarie e a mandare sacerdoti diocesani in aiuto alle
giovani Chiese del terzo mondo. L’Arcivescovo di Milano in collaborazione con il Vescovo di Lodi con entusiasmo aderì a questa proposta e,
nel 1959 con un gruppo di suore di Maria Bambina furono inviati due
sacerdoti della diocesi di Lodi e, nel 1961, il primo sacerdote “fidei
donum” della diocesi di Milano nella persona di don Ernesto Parenti.
Terminati i lavori della diga, su richiesta dei vescovi locali, i sacerdoti
di Milano e di Lodi rimasero sul territorio sia di Zambia sia di Zimbabwe,
dove viveva una numerosa popolazione indigena di fede animista e con
un livello di vita molto povero, dando così inizio alla missione che ebbe,
in questi cinquant’anni, un meraviglioso sviluppo dal punto di vista sia
cristiano che umano. Numerosi sacerdoti si susseguirono nel lavoro
apostolico coadiuvati dai fratelli oblati, dalle suore e, a partire dai primi
anni ottanta, anche da laici missionari singoli o famiglie.
Possiamo dire che uno dei frutti più belli di questa missione fu l’elezione
a Vescovo della diocesi di Monze, in Zambia di Mons. Emilio Patriarca,
sacerdote Fidei Donum varesino, che fu consacrato vescovo nel 1999
dal Cardinale C. Maria Martini. Dobbiamo anche segnalare, con grande
soddisfazione, che numerosi sacerdoti uscirono
dalle parrocchie della nostra missione e sono ora
operanti nelle diocesi di
Lusaka e di Monze. Due
parrocchie, tra le più importanti della missione,
iniziate dai nostri sacerdoti nella cittadina di
Kafue con un vasto circondario rurale, sono già
state consegnate al clero
locale, mentre i Fidei
Donum di Milano, sacerdoti, suore e laici, sono
ancora presenti in 7 parrocchie delle due diocesi.
L’ospedale di Chirundu
nacque per volontà del
cardinale G. B. Montini
che nel frattempo divenne
Papa Paolo VI. Il primo
nucleo fu realizzato sulla
sponda destra dello Zambesi in territorio zimbab-
wano dove era sorta un’enorme piantagione di canna da zucchero e dove
erano impiegati alcune migliaia di lavoratori. Dopo qualche anno però
l’intera piantagione fu abbandonata per iniziarne una nuova sull’altopiano
zambiano e precisamente nella zona di Mazabuka. L’ospedale allora, su
richiesta della popolazione e del vescovo di Monze Mons. J. Corboy,
traslocò dalla riva destra a quella sinistra dello Zambesi nella zona di
Chirundu in Zambia dove iniziò la sua attività con gli auspici del Cardinale Giovanni Colombo che lo inaugurò ufficialmente in occasione di
una sua visita nel 1970.
Per quanto riguarda la promozione umana, oltre all’ospedale, furono
fatte opere molto importanti: due grandi fattorie lungo il fiume Zambesi
per insegnare a coltivare in modo più razionale ed impedire a tanta gente
di abbandonare la zona; una scuola professionale ad alto livello, iniziata
e portata avanti dal COE di Barzio a Kafue, dove pure le suore di Maria
Bambina dirigono una grande scuola secondaria. Scuole comunitarie
gratuite, alternative a quelle statali, per dare a tutti la possibilità d’una
istruzione sono sorte in quasi tutte le missioni (solo quella di Mazabuka
ospita circa ottocento ragazzi offrendo loro anche un pasto giornaliero).
Furono fatte case famiglia per gli orfani. Un villaggio per disabili è stato
realizzato a Monze e sempre nella zona rurale di Monze è stato avviato
recentemente un altro piccolo ospedale. Tutto questo senza contare la
costruzione di numerose chiese e delle opere parrocchiali in tutte le missioni. Mulini, laboratori vari, opere artigianali, iniziative igienico-sanitarie, sia nei centri che sul territorio, sono portate avanti dalle suore e
dai volontari.
Per tornare all’ospedale di Chirundu dobbiamo dire che il suo bacino
di utenza comprende oggi una popolazione di oltre 60.000 persone dislocate in numerosissimi villaggi e per la sua serietà e prestazioni di
alto livello è frequentato, nel limite del possibile, anche da gente della
città e da oltre confine. Tutto questo per l’opera delle suore di Maria
Bambina presenti fin dalla sua fondazione, di medici italiani, alcuni dei
quali volontari e da personale altamente qualificato.
Chirundu, fino a una quindicina di anni fa era un piccolo centro di frontiera, dove un ponte, costruito sullo Zambesi prima della 2° guerra mondiale, collega le due sponde di Zambia e Zimbabwe. Con la riapertura,
negli anni novanta, delle strade per il Mozambico e il Sud Africa divenne,
in poco tempo, uno dei posti doganali più importanti e frequentati del-
16
In cammino...
Vita della Comunità
l’Africa meridionale. Fu costruito un secondo ponte parallelo
al primo, moltiplicati gli alloggi della polizia e degli addetti
alla dogana e all’immigrazione, furono fatti enormi parcheggi,
posti per la ristorazione e il pernottamento, furono aperte banche e i cambiavalute arrivarono a centinaia e s’incontrano per
chilometri lungo la strada verso il confine. Aumentò a dismisura anche la malavita portando con sé una grande quantità
di problemi. Divenne insomma una cittadina caotica, congestionata, difficilmente controllabile.
Anche per questo si è sentita la necessità di potenziare l’ospedale che, da un piccolo, sia pure molto efficiente e ben organizzato ospedale di missione di circa un’ottantina di posti letto,
è diventato un ospedale di tutto rispetto raddoppiandone anche
la capienza. Tutto questo è stato fatto per l’interessamento e
con i contributi della diocesi di Milano e quindi anche nostri.
Quando, verso la metà degli anni ottanta del secolo scorso,
incominciò a diffondersi la terribile piaga dell’AIDS, subito l’ospedale di
Chirundu si è attivato per far fronte a questa emergenza che appariva
sempre più devastante. Da qualche anno si sta promuovendo un’iniziativa
molto bella, quella cioè di curare e tenere sotto controllo le mamme in
gravidanza affette dalla malattia ed evitare che venga trasmessa al bambino. Ogni anno passano per l’ospedale un migliaio di mamme e una su
dieci risulta positiva di Hiv. Anche i loro bambini, dalla nascita, sono tenuti sotto controllo per due anni e i risultati sono più che lusinghieri.
L’anno scorso, in occasione dei 50 anni dell’inizio della Missione, la diocesi di Milano, in collaborazione con il CELIM, organismo di volontariato
operante da anni in Zambia, ha lanciato la campagna denominata “Positivi nell’anima” divulgando anche un CD che ne illustra il progetto.
Anche quest’anno viene riproposta questa iniziativa così che si possa
continuare a sostenere l’ospedale di Chirundu in questo impegno straordinario. Si tratta della possibilità di salvare centinaia di vite umane e
di dare speranza a persone diversamente condannate alla morte. Il poter
collaborare a questa iniziativa è quindi un atto estremamente bello e meritevole di essere sostenuta e sviluppata. Maggiori e più puntuali informazioni si possono trovare sui sussidi per la Quaresima e in vari articoli
apparsi su Avvenire e sui giornali e riviste diocesane.
Don Mario
IL CARD. SCOLA: VOGLIO DIRE UNA COSA SULL’AC
«Voglio dire una cosa all’Azione Cattolica»: con queste parole il nostro Arcivescovo, nel corso dell’ultima sessione
del Consiglio Pastorale Diocesano, ha inteso porre una “provocazione” a tutta la Chiesa ambrosiana. Sviluppando
un discorso sull’apostolato dei laici ha detto espressamente così:
«Secondo me è arrivato il momento in cui in tutte le nostre parrocchie e nelle nostre comunità pasdtorali bisogna
passare dall’azione cattolica (con la minuscola) che è già in atto in tutte le comunità, tendenzialmente e in libertà,
all’Azione Cattolica (con la maiuscola). In un anno o due dovremmo passare dagli attuali 8.300 soci ad almeno
83.000 aderenti. È possibile perché l’azione cattolica (con la minuscola) è già in atto; si tratta di orientarla secondo
le indicazioni di chi guida l’Azione Cattolica. Le indicazioni dell’Azione Cattolica dovranno essere molto attente a interpretare questo slancio di base e non rischiare di imporre dall’alto un progetto già chiuso. Questo secondo me sarebbe un passaggio fondamentale: l’Azione Cattolica dovrebbe, in forza di quello che un tempo si chiamava
“mandato”, diventare la custode della forma bella dell’unità di tutte le aggregazioni di fedeli di una Chiesa. Ciò permetterebbe un passaggio dal “gruppettarismo” alla comunità, passaggio che io giudico fondamentale per il cammino
della nostra Chiesa. Queste cose volervo dirvi. Questa ultima è più che una provocazione».
Raccogliamo molto volentieri questa sfida, invitando i nostri sacerdoti e tutti i fedeli che svolgono un prezioso servizio
nella nostra comunità pastorale a trovare presto le occasioni per confrontarci e riflettere sul messaggio del nostro
Arcivescovo, che non lascia adito a equivoci o a distinguo. Rimbocchiamoci le maniche e cerchiamo di costruire insieme con il contributo di tutti una Azione Cattolica al servizio della comunità, in stretto rapporto con l’Arcivescovo
e i suoi pastori.
Emilio Tartaini, Presidente dell’AC della comunità pastorale “SS. Trinità”
Invito alla lettura
C.M. Martini, Il Vescovo, Rosenberg Sellier, Torino
I libri del Cardinale Martini continuano ad essere best sellers della editoria religiosa. Ne esce quasi uno alla settimana.
In realtà, non si tratta di nuove pubblicazioni, ma di raccolte di interventi, conferenze tenute negli anni del suo lungo
ministero. Fa eccezione un ultimo libretto, recentemente apparso, dal titolo “Il vescovo” Questo è davvero un libro inedito, un uovo fresco di giornata. Qui il Cardinale illustra in forma piana e distesa quali sentimenti, quali preoccupazioni,
quali pratiche devono ispirare l’agire del vescovo. È una specie di “regola di vita” della vita del vescovo. Si parla delle
virtù del Vescovo (soprattutto sia un uomo vero !), dei suoi possibili difetti (autoritarismo e rigidità di impostazione),
ma anche di piccoli trucchi (non ascoltare le malelingue, ignorare le lettere anomime). L’invito alla lettura del libretto
è consigliato non soltanto ai ve-scovi e a quanti “sognano” di diventarlo, ma può essere occasione per tutti per riflettere
sul ministero di quanti sono stati scelti dal Signore per custodire il gregge dei credenti. MV
17
In cammino...
In Lui
Se siamo innestati in Lui, la testimonianza dovrebbe fare luce
da ognuno dei nostri pori. Perché noi non abbiamo le parole
dello Spirito, solo in Lui diventano urgenti.
Prima di testimoniare che in
nessun altro nome c’è salvezza,
dobbiamo averlo sperimentato.
Dobbiamo aver toccato il fondo,
aver vissuto la vacuità umiliante
del girare a vuoto dietro ad idoli
che deludono. AverLo cercato
per le strade e per le piazze
come la Sulammita. Aver conosciuto la gratuità.
Mi viene in mente la Samaritana
che lascia tutto, di corsa, l’anfora
desolata delle proprie geometrie
sterili per andare ad annunciarLo. Nicodemo che è sconvolto dalla ventosa libertà dello
Spirito che soffia dove vuole, fa
rinascere dall’alto.
Se non ci lasciamo catturare, ferire, mondare dalla Sua Parola,
potremo testimoniare al massimo qualche frase fatta, moralista. Non c’è testimonianza se
non dimoriamo nel Suo amore.
Ma cosa vuol dire essere in Lui,
amarLo, esserGli amici? Vuol
dire fare ciò che Lui ci comanda:
“Se uno mi ama, osserverà la
mia parola e il Padre mio lo
amerà e noi verremo a lui e
prenderemo dimora presso di
lui” (Gv 15,23). Perché allora
sarà Lui ad agire in noi, nella vita
concreta.
A renderci simili a Lui, perché
non siamo più noi che viviamo,
ma Cristo viva in noi. I comandamenti “Amerai il Signore Dio
tuo con tutto il tuo cuore, con
tutta la tua anima e con tutta la
tua mente” (Mt 22,37) e “Amerai
il prossimo tuo come te stesso”
(Mt 22,39) sono espressi al futuro, non sono una volontà imperativa da raggiungere con
sforzo, ma una promessa fedele
di Chi ci ama. Forse Gesù non
ci chiede che una resa, uno spazio, una pazienza.
Roberta Lentà
Vita della Comunità
Viaggio-Pellegrinaggio
La Santa Russia
Mosca
San Pietroburgo
e l’Anello d’Oro
Ci si può
ancora
Pre-iscrizioni
iscrivere
16-23 agosto
e
18
16-23
agosto
In cammino...
Vita dell’Oratorio
Vita dell’Oratorio
EDUCARE NON SOLO SI
PUO’ ,
SI DEVE.
In che cosa consiste l'educazione? Per rispondere a tale
domanda vanno ricordate due verità fondamentali: la prima
è che l'uomo è chiamato a vivere nella verità e nell'amore;
la seconda è che ogni uomo si realizza attraverso il dono
sincero di sé. Questo vale sia per chi educa, sia per chi
viene educato. L'educazione costituisce, pertanto, un processo singolare nel quale la reciproca comunione delle persone è carica di grandi significati. L'educatore è una
persona che «genera » in senso spirituale. In questa prospettiva, l'educazione può essere considerata un vero e
proprio apostolato. È una comunicazione vitale, che non
solo costruisce un rapporto profondo tra educatore ed educando, ma li fa partecipare entrambi alla verità e all'amore,
traguardo finale a cui è chiamato ogni uomo da parte di Dio
Padre, Figlio e Spirito Santo.
Per parlare brevemente di educazione, ho scelto questa
profonda definizione del senso dell’educazione, proposta
da Giovanni Paolo II nella Lettera alle Famiglie del 2 febbraio 1994; in poche righe sono già condensati molti spunti
da riproporre alla nostra attenzione per approfondire il tema
educativo all’interno della nostra comunità cristiana. Mi pare
utile evidenziare che l’educazione riguarda l’individuo nella
sua integralità e si compie necessariamente attraverso un
percorso di accompagnamento personale. Infatti, dicono gli
studiosi, la parola educare ha la sua etimologia tra educere
(tirar fuori, sviluppare) e educare (nutrire, allevare, coltivare); l’educatore ha il compito di aiutare l’educando a sviluppare le sue capacità e a tirar fuori le sue potenzialità
nell’ambito del percorso di crescita.
La comunità cristiana, da sempre, si è percepita e compresa come una comunità chiamata ad educare; educare
anzitutto se stessa al “pensiero di Cristo”
(Card. Scola) per poi divenire, a sua volta,
una comunità che vuole educare ogni persona a riconoscere che solamente Gesù è
in grado di “svelare l’Uomo all’uomo”
(Gaudium et spes 22), cioè la verità e la
pienezza della vita.
Il processo dell’educazione non è mai da
confinare in uno stadio preciso del nostro
cammino di crescita; esso si realizza nel
corso dell’intera nostra esistenza e nessuno può mai dirsi arrivato. E’ vero però
che l’infanzia e la giovinezza, affermano
gli psicologi, sono fasi della vita in cui si
fonda e si radica lo sviluppo dell’intera persona. Ecco perché occorre ribadire con
forza, che come comunità cristiana non
solo possiamo, ma dobbiamo educare i
nostri giovani. Dobbiamo recuperare que-
19
sto forte sentimento di comunione che ci deve vedere
tutti impegnati, laici e preti insieme, nel voler formare
le nuove generazioni, non tanto a nostra immagine e
somiglianza, ma ad immagine e somiglianza di Gesù,
l’Uomo nuovo e vero. Più che in una struttura, la proposta dell’oratorio, deve trovare in queste convinzioni
quelle fondamenta solide e profonde che serviranno poi
per la costruzione del nuovo edificio.
Una comunità che vuole essere educante, che vuole
essere credibile, autentica, coerente nel suo dire e nel
suo fare, deve essere formata da buoni testimoni che
nel fluire della quotidianità, ogni giorno, incarnino concretamente lo stile evangelico di Gesù. Vale più un
buon esempio che un lungo discorso e quello che rimarrà impresso nelle menti dei nostri bambini e nei
cuori dei nostri ragazzi sarà il nostro comportamento
piuttosto che le belle parole. Dunque, autenticità, coerenza e testimonianza sono le parole chiave che descrivono l’educatore e gli conferiscono quella giusta
autorevolezza.
Con buone ragioni l’educazione viene definita spesso
come un processo artistico e anche Benedetto XVI ha
parlato di “nobile arte della formazione della persona”.
Educare è un’arte. Come ogni forma artistica essa richiede si delle competenze tecniche, ma soprattutto richiede attenzione, disponibilità, sensibilità, capacità
creativa e apertura del cuore; educare è fare in modo
che emerga la personalità di ogni singolo ragazzo rispettando le sue caratteristiche, permettendogli di attraversare le esperienze positive e negative della vita
con fiducia.
Affidiamo il cammino della nostra comunità al Signore,
che celebreremo nella notte di Pasqua come il Re dei
Viventi, perché ci doni la forza e il coraggio di essere
sempre più dei veri artisti nel campo dell’educazione
delle nuove generazioni. Buona Pasqua a tutti!
don Andrea
In cammino...
Vita dell’Oratorio
La Professione di Fede:
in cammino per diventare
testimoni!
Sermig:
a servizio della vita.
A noi, Gruppo Adolescenti della Comunità Pastorale
SS.Trinità, un giorno arriva una proposta dal Decanato
di Besozzo: partecipare per un week-end alle attività del
Sermig - Servizio Missionario Giovani -, un’iniziativa nata
da Ernesto Olivero, rivolta alla città di Torino. Il suo progetto, anche se inizialmente ancora non ben definito,
prevedeva di coinvolgere i giovani in attività di aiuto
verso i bisognosi della città, affinché potessero “eliminare la fame e le guerre nel mondo, combattere le ingiustizie che ne sono all’origine, con opere di giustizia e di
sviluppo”. Con tanta forza di volontà Ernesto e alcuni
amici riuscirono a trasformare un arsenale di guerra in
un centro di accoglienza e di ristoro per i poveri e gli affamati. Già da subito noi ragazzi siamo rimasti affascinati
dall’imponenza del luogo e delle opere che in esso vengono realizzate. In più ci ha colpito come questa persona, abbia avuto il coraggio di impegnarsi per costruire
un mondo migliore e abbia scelto la bontà come stile di
vita, e tutto ciò quando era ancora molto giovane e solo
con la condivisione di pochi altri.
Dall’origine sono sorti, poi, altri due arsenali e giovani di
tutto il mondo si mettono oggi a disposizione per fare piccoli gesti per grandi opere. Così anche noi siamo stati
coinvolti in questo progetto, anche se per un tempo piuttosto limitato, provando a metterci a disposizione degli
altri. Ci siamo impegnati nello smistaggio dei vestiti, del
cibo, nella pulizia delle stanze e nel preparare piatti caldi.
Sicuramente l’aver constatato di persona che intorno a
noi c’è tanta povertà ci ha aiutato a capire che anche noi
possiamo aiutare concretamente i più disagiati, perché
sicuramente vi sono situazioni nel nostro ambiente che
richiedono un aiuto. È importante lasciarci guidare dagli
esempi di vita di chi ci circonda, che ci invitano a metterci
in gioco nella semplicità di gesti che diventano ciò che
di più grande possiamo donare. Sappiamo che sul nostro territorio sono presenti molte attività di caritativa, che
sarebbe bello sostenere sempre più per “non rassegnarci al mondo così com’è, ma operare per cambiarlo”,
così come abbiamo ascoltato dalle parole stesse di Ernesto.
Francesca Torsa (Gruppo Adolescenti)
Siamo due ragazzi di tredici anni che frequentano ogni sabato il catechismo della Comunità Pastorale insieme ai nostri amici di seconda e
terza media, sotto la guida di don Andrea e degli educatori, che ci stanno
accompagnando nel cammino di preparazione alla Professione di Fede.
Infatti, dal 9 all’11 aprile avremo l’occasione di recarci a Roma dove parteciperemo all’udienza generale con il Papa, per poi recitare il Credo
davanti alla tomba di San Pietro. Per essere pronti al meglio, durante
gli incontri settimanali di catechismo stiamo riflettendo particolarmente
sul significato di questo simbolo della nostra fede: abbiamo parlato del
Padre, del Figlio e dello S. Santo, e in queste ultime settimane ci siamo
concentrati sulla Chiesa, intesa come comunità di credenti. Generalmente, il catechismo si svolge in questo modo: all’inizio don Andrea
introduce l’incontro spiegandoci che cosa faremo, dopodiché i ragazzi
di seconda media si spostano in un’altra stanza e noi di terza ascoltiamo
gli educatori che ci parlano di un tema, riguardo al quale noi apportiamo
la nostra testimonianza, soprattutto concentrandoci sull’essere cristiani
nella quotidianità. Infine ci riuniamo, recitiamo la preghiera e don Andrea elenca gli avvisi della settimana. Secondo noi frequentare il catechismo è una splendida esperienza, soprattutto perché stiamo con i
nostri amici, condividendo delle regole ed uno scopo ben preciso: diventare anche noi testimoni di Gesù. Ed è proprio per questa ragione
che non vediamo l’ora di partire per Roma e di recitare il Credo: porteremo poi la Sua parola e le Sue opere ai nostri fratelli, non con “paroloni” o frasi fatte, ma con il nostro modo di vivere e con le azioni
quotidiane. Ci vediamo!
Federico “Fede” Caon Marco “Mastro” Mastrorilli (III Media)
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In cammino...
Vita dell’Oratorio
Educazione
è anzitutto
accoglienza
FESTA SAN GIOVANNI BOSCO:
“PER ESSERE NEL MONDO BUONI
CRISTIANI E ONESTI CITTADINI”
L’oratorio “S. Luigi” di Gavirate, sensibile come sempre ai problemi dei
giovani e dei ragazzi di ogni età, da
più di tre anni ha organizzato un
corso di recupero scolastico bisettimanale per gli alunni della Scuola
Media Statale di Gavirate, ma accessibile anche ad alunni frequentanti
scuole limitrofe. Questa iniziativa è
stata resa possibile grazie sia all’operosità di due gentilissime signore,
che si sono dedicate e si dedicano
tuttora alla sua organizzazione, sia
alla generosa disponibilità e sensibilità di uno staff di professori di provata esperienza che in modo
completamente gratuito accolgono i ragazzi e li aiutano
nello svolgimento dei compiti
nonché nel colmare eventuali
lacune di base. La base di questo servizio è costituita dalla relazione, cioè dalla conoscenza
del soggetto, la rilevazione dei
suoi bisogni, l’aiuto nel superamento delle varie difficoltà scolastiche ed affettive. L’alunno,
infatti, non viene solamente aiutato nell’esecuzione dei compiti
ma viene anche invogliato ad
esprimersi con più disinvoltura e sicurezza e a superare eventuali difficoltà di rapporto con gli altri.
L’oratorio ha stipulato a tal
proposito una convenzione
con la Scuola “Carducci” per
l’espletamento di questo servizio con l’impegno di mantenere
i collegamenti con i consigli di
classe ed i singoli docenti. La relazione con le famiglie è impostata in
accordo con la scuola stessa. La frequenza si aggira intorno alla trentina
di alunni suddivisi nelle tre classi.In
questi anni i risultati sono stati discreti ma siamo convinti che con la
fattiva collaborazione di tutti i componenti ( Scuola Media, famiglia, docenti e alunni ) i risultati saranno
senz’altro più positivi. Cogliamo l’occasione per ringraziare quanti generosamente si stanno adoperando per
il buon esito dell’iniziativa.
I docenti del doposcuola
In occasione della Festa di San Giovanni
Bosco abbiamo riproposto
la fiaccolata che ha visto
coinvolte le parrocchie di
Comerio, Gavirate e, novità di quest’anno, anche
Oltrona. Quale modo migliore di ricordare il
grande educatore Giovanni Bosco se non passando un pomeriggio
con i ragazzi, tra preghiere, momenti di riflessione, di festa e di
gioco? Così sabato 28
gennaio a Comerio un
gruppo di coraggiosi fedeli guidati
dalla luce di una fiaccola, nonostante il clima tutt’altro che favorevole, ha iniziato il cammino che si
sarebbe concluso dopo una
breve sosta a Oltrona, con l’accensione del falò nell’oratorio di
Gavirate. Un’ esperienza sicuramente singolare e, come diranno anche alcune delle
testimonianze riportate qui
sotto, simbolo del cammino di
comunione che stiamo iniziando…
Viste le previsioni meteo per
quella sera la voglia di uscire
per una fiaccolata era davvero poca, ma spinto dalla
novità e dall'invito di don
Andrea ho deciso di partecipare. E' stato molto
coinvolgente e la
strada percorsa con i
miei amici è il simbolo del
cammino che possiamo fare insieme nella vita di tutti i giorni in parrocchia e in oratorio.
Francesco Caprioli (II media)
La fiaccolata è stata una manifestazione molto importante, che
ha coinvolto sia nell’organizzazione, sia nella partecipazione, tutti i
membri della Comunità Pastorale. Lo scopo principale di questo evento,
oltre alla collaborazione tra gli oratori, era sottolineare l’importanza dell’educazione dei nostri ragazzi, proprio come avrebbe voluto San Giovanni
Bosco, il cui motto era: “Buoni cristiani e onesti cittadini”. Educare è far crescere una persona, aiutarla a tirare fuori il meglio di sé insegnandole ad
aprire gli occhi sulla presenza di Dio nella sua vita, riconoscendo di essere
un dono e dimostrando che il rapporto con il Signore è ciò che dà significato
ad ogni attività e impegno. Un cittadino può non essere credente, ma il cri21
In cammino...
Vita dell’Oratorio
stiano non può non essere cittadino. Con la fiaccolata abbiamo iniziato un cammino che continuerà durante tutte le
attività della comunità e ci auguriamo che i nostri ragazzi si impegneranno in tutto, dal catechismo alle varie attività
proposte dai nostri oratori.
Alessandro De Luca
(educatore Pre-Adolescenti)
Con questa fiaccolata ci siamo messi in cammino… in questa realtà dove tutto è frenetico e dove regnano la solitudine
e l’indifferenza dobbiamo affidarci al Signore con cuore sincero perché ci aiuti ad educare i nostri ragazzi, ad ascoltarli,
ad amarli per come sono e non per come noi li vorremmo. Apriamo le porte del nostro cuore come faceva don Bosco.
Impegnandoci ad accogliere con il sorriso i ragazzi in oratorio, mettiamo da parte le nostre fragilità, le nostre debolezze
e raccontiamo loro quanto sia bella la vita e come è importante essere pronti a tendere la mano verso il prossimo instaurando relazioni concrete.
Katia (una mamma)
Le note della Fede…
I libretti sono stampati, i volanti distribuiti, ieri sera ancora qualche
messaggio agli amici per ricordare l'appuntamento...alcuni papà e
giovani spostano pedane per costruire un palco sui gradini dell'altare, i tecnici audio provano strumenti e microfoni, alcune mamme
sono in oratorio e stanno preparando un prelibato banchetto per un
momento di amicizia a fine serata. Un momento atteso e preparato
da molti quello del concerto-meditazione proposto dal coro Shekinah
per questa Quaresima. Un'amicizia iniziata qualche anno fa con il
primo concerto qui a Gavirate, approfondita poi dall'ingresso di tre
giovani della nostra comunità nel coro. L'idea di proporre il concerto-meditazione nasce dal desiderio di proporre un evento che ci
permettesse di pensare alcuni temi della fede con linguaggi di versi,
appunto quelli della musica e della lettura, e di incontrare una realtà
che ci facesse gustare la freschezza e la gioia della comunità cristiana... davvero suggestivo incontrare quel gruppo di giovani arrivati da diverse parti della Diocesi per condividere con noi la loro passione per la
Chiesa e per la musica. Ecco la testimonianza di due giovani della nostra Comunità Pastorale che cantano in questo coro giovani della nostra
Diocesi.
Il gruppo Shekinah nasce dai "colori della fede" del servizio giovani della pastorale giovanile ed è costituito da oltre un
centinaio di giovani provenienti da diversi oratori della Diocesi di Milano e anima attraverso il canto, la danza e la recitazione momenti di riflessione e di preghiera per i giovani. Partecipa a veglie di preghiera in Duomo come la Redditio
Symboli, le veglie missionarie e la Traditio Symboli, ma anche "concerti meditazione" dove, attraverso il canto e alcuni
testi, meditiamo su ciò che Gesù ci ha insegnato. Il gruppo è aperto a tutti i giovani appassionati di musica e di recitazione
che vogliono, inoltre, approfondire la propria esperienza di fede e le relazioni fraterne. Altri avvenimenti unici e significativi
sono le messe di Natale e Pasqua che animiamo nel carcere S. Vittore di Milano, dove abbiamo incontrato persone che
hanno molto bisogno di sentirsi amate ed accettate nonostante i loro sbagli. Grazie a questa occasione, per loro siamo
stati promessa di una speranza che si rinnova ogni giorno, specialmente nei giorni di festa, nei quali i ricordi gioiosi dei
tempi trascorsi con le famiglie portano con sé una grossa ferita. "Basterà una voce": questo è il nome che aveva il concerto tenutosi a Gavirate sabato 10 marzo. Il titolo sta ad indicare il fatto che ogni uomo ha dentro di sé una mancanza,
un desiderio, che può riempire solo una parola, una voce, quella che Cristo ci fa sentire tutti i giorni in ogni ambito della
nostra vita. Ciò che ci sta più a cuore è comunicare tramite canti, letture e meditazioni la bellezza del Vangelo e trasmettere l’amore di Gesù, che non ci lascia mai soli e ci permette di fare questa stupenda esperienza che ci fa crescere
nella fede, perché, come diceva S.Agostino, chi canta prega due volte.
C. S. e C. P.
22
In cammino...
Vita dell’Oratorio
dono il valore del servizio nella loro disponibilità come
animatori, i genitori si nutrono della gioia e dell’allegria
che i più piccoli sanno trasmettere.
Quest’anno vivremo, per la prima volta, l’esperienza
L’estate è un momento prezioso per le attività del nostri
dell’Oratorio Estivo all’interno della Comunità Pastorale.
oratori. Infatti, appena terminano le scuole, si apre una
Cosa
cambierà? Tutto e niente. Infatti, ogni singolo orastagione ricca di iniziative e appuntamenti per i ragazzi
torio
continuerà
a svolgere il proprio servizio di accodi tutte le età. Prima fra tutte la proposta dell’Oratorio
glienza
e
di
animazione
“a casa propria”; quello che
Estivo che aprirà le porte lunedì 11 giugno e le chiuderà
cambierà
sarà
sicuramente
lo stile di conduzione che
venerdì 13 luglio. Cinque settimane intense all’insegna
sarà
unitario,
alcuni
momenti
di formazione, di gioco, di
dell’allegria e del divertimento, ma soprattutto occasione
preghiera
vissuti
insieme
e
la
consapevolezza che in
propizia per annunciare a tutti i ragazzi il Vangelo di
siamo
tutti
membri
di
un’unica
famiglia. Da questa
fondo
Gesù. Infatti, anche se l’Oratorio Estivo si presenta
nuova
esperienza,
ne
siamo
certi,
tutte
le singole realtà
come un tempo di gioco, ha la possibilità di essere davusciranno
arricchite
e
maggior
mente
motivate
nel voler
vero un tempo speciale. I bambini e i ragazzi vivono
crescere
sempre
più
insieme.
l’esperienza della comunione, gli adolescenti comprenTerminato l’Oratorio Estivo non si va mica in vacanza! O
meglio, ci andremo
tutti insieme! Proponiamo
l’esperienza
della Vacanza Comunitaria per ragazzi.
Una settimana formativa a Chiusa di Val
Gardena (BZ), nel
cuore delle Dolomiti.
Divisi in due turni, per
fasce di età, vivremo
una settimana a stretto
contatto con la natura
e con la parola di
Gesù che ci farà da
guida nella nostra avventura. Saremo ospiAlloggeremo alla Casa Zickherof, con la formula dell’ autogestione completa. La casa
tati in una casa
si trova sopra alla frazione Gudon, a 3 km dal centro del paese, nella zona tirolese autogestita
direttacompresa fra la valle Isarco, la val Pusteria e la val Gardena, 20 km a sud di Bressa- mente dagli adulti dei
none ed a nord di Bolzano.
nostri oratori e saremo
accompagnati da don
ISCRIZIONI PRESSO LE SEGRETERIE PARROCCHIALI
Andrea, dagli educatori e dai alcuni animaFINO A ESAURIMENTO POSTI
tori.
ENTRO Sabato 30 giugno
Riteniamo di dover
caldeggiare la parteciPer maggiori informazioni: don Andrea 339.1277771 - 0332.743405
pazione dei ragazzi a
questi momenti formativi estivi. L’Oratorio
Estivo e la Vacanza
CASA ZICKHEROF
Comunitaria possono
essere luoghi autentici
di crescita umana e di
maturazione spirituale
per tutti i nostri ragazzi. Queste, e altre
iniziative ancora in
cantiere, saranno spie3ª Elem.- 2ª Media
gate meglio e specificate con l’avvicinarsi
del tempo estivo, ma
intanto iniziamo a
prenderne nota e prepariamoci a vivere una
3ª Media - 5ª Sup.
bellissima estate in
compagnia!
Estate Ragazzi 2012
ESTATE RAGAZZI 2012
GUDON
CHIUSA DI VALGARDENA (BZ)
290 €
I° TURNO
14-21 Luglio
II° TURNO
21-28 Luglio
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Pasqua 2012 - Decanato di Besozzo