Periodico trimestrale dei Domenicani d’Italia - Aut. Trib. di Napoli n. 2220, 16 aprile 1971
Spedizione in abbonamento postale - Anno LXIV (2011), n. 1/2 - ISSN 9770036471006
Direttore onorario: MICHELE MIELE - Dir. responsabile: ENRICO DE CILLIS
Comitato di Redazione: CIRO CAPOTOSTO, GIOVANNI DISTANTE, ROSARIO PISTONE
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ARTICOLI
ARTICOLI
P. BIRTOLO, C. E.
SARNATARO
Le catechesi di S.
Tommaso
d’Aquino
PISCIONE, , . ..........
.......
CIOLLARO
, dell’uomo.
O. F.
TODISCO
, Nella
libertà la dignità
.............
L’antropologia
di G. Duns
Scoto
.....................................
pagg.
pagg.
»
3-68
3-19
69-98
»»
99-109
21-62
SEGRETERIA - AMMINISTRAZIONE: EDI, Via Giuseppe Marotta, 12 - 80133 NAPOLI
Tel. (+39) 081 5526670 - Fax: (+39) 081 4109563 - e-mail: [email protected]
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1.
Un'ermeneutica
biblica
circolare
(G. CaBenedetto Croce e Maria Curtopassi (1941-1952) ...........
pagg.
Birtolo); C. REGALIA-G. PALEARI, Perdonare, p. 116 (P. Birtolo); M. CAMPANINI, Il
C E(P.
NBirtolo);
S I O N IM. CAMPANINI, Averroè, p. 122
pensiero islamico contemporaneo, R
p.E119
(P. U.
Birtolo).
DOVERE, ( ) , p. 192 (M. Miele); S. CIPRESSA, , p. 194 (V. Gigante);
S. CIPRESSA, Z
(A.A M.
R. PITITTO,
S E G N A L
A
I O N I ,
B I B L p.
I O195
GR
F I Fiammata);
CHE
* * + " " , p.198 (F. De
Sono segnalati scritti di G. Chimirri, G. Concetti, N. Giordano, A. M. Maccarini, E.
Carolis); O. TODISCO, ,, p. 200
Marino, E. Morandi, G. G. Nastri, J. Pieper, R. Prandini, G. L. Sanna, G. Tettamanti,
(A. Grazioso); C. CAPUTO, ( , , * * * p.
M. Vozzolo
pagg.
125-128
202 (D. Verardi).
SEGNALAZIONI
BIBLIOGRAFICHE
Sono segnalati scritti di E. Avogadro della Motta, G. Boccadamo, S. Cavaciuti, M.
G. D'Agostino, C. DemouleÂ, C. Fabro, E. C. Fontana, A. Rosmini, A. Stagnitta
pagg.
205-208
Testata Associata alla
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COSTI E MODALITÀ DI ABBONAMENTO PER L’ANNO 2011
63-86
stello), 2. Considerazioni filosofiche (F. Donadio), 3. L'identita
Á uomo-donna:
lettura A
antropologica
(R. GalliASTROBISI
, Il concettouna
di verità.
proposito di due
G. J. M
naro),di4.Fernando
MaschileFiorentino
e femminile:
unitaÁ e reciprocitaÁ nella
volumi
.......................................
»
87-100
differenza (P. Giustiniani), 5. Donna e amore nella Bibbia:
R. M. dialogo
PIZZORNI
‘Se vuoi coltivare
la pace,6.custodisci
colO.P.,
femminismo
(C. Militello),
La determinail creato
»
101-109
zione ............................................................................
`personalistica' e il cristianesimo antico (E. Prinzivalli) . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
pagg.
111-170
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CENSIO
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»
171-182
ERARDI
,
Humana
PhysiognomoD.
V
P. BROGGIO, La teologia e la politica. Controversie dottrinali, Curia Romana e Monarnia $traCinque
% p. 111
(M.
Miele);
G.
R.
F RANCI
,» Yoga, p.
183-191
chia spagnola
e Seicento,
13 (P.
I testi del periodico «Sapienza. Rivista di filosofia e di Teologia» sono di proprietà esclusiva della Editrice Domenicana Italiana s.r.l. I diritti di traduzione in qualsiasi forma, di
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N O T E C R I T I C H E - D I S C U S S I O N111
I
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
SEI INVERVENTI SU UN LIBRO RECENTE
Gli autori della pagine che seguono fanno il punto su un lavoro di Andrea
Milano, Donna e amore nella Bibbia. Eros, agape, persona, pubblicato a Bologna
dalle Edizioni Dehoniane nel 2008. Si tratta di approcci disciplinari diversi a
seconda delle competenze messe in atto nell'indagine del libro. I vari interventi
coinvolgono l'ermeneutica biblica, ma anche la teologia, la ®loso®a, l'antropologia e
gli studi di genere. Non eÁ qui forse fuor di luogo ricordare che ad Andrea Milano,
ordinario di Storia del Cristianesimo e delle Chiese ®no all'anno accademico 2009/
2010, nel 2009, per questo suo libro, eÁ stato assegnato il Premio Capri per la storia e
l'antropologia. Tra le recensioni uscite dopo la sua pubblicazione va menzionata
in®ne quella del card. Gianfranco Ravasi su Il Sole 24 Ore.
1. Un'ermeneutica biblica circolare
L'approfondita ricerca del Prof. Milano su Donna e amore nella Bibbia,
benche densa per la lunga gestazione e i precedenti approfondimenti su quasi
ogni singolo aspetto qui richiamato, si offre alla lettura di un pubblico vasto per
la chiara scansione dei passi metodologici e per la stessa organizzazione della
materia. La ricerca coinvolge sin dall'inizio il lettore rendendolo partecipe di una
constatazione richiamata dall'autore e che funziona da forte stimolo per proseguire nella fatica: la non piena realizzazione dell'uguaglianza e del riconoscimento della dignitaÁ di ogni persona nell'occidente nonostante duemila anni di
cristianesimo. Una questione di non poco conto che si ripresenta in molti e
diversi contesti e viene riproposta per gli svariati ambiti in cui si constata la
distanza tra annuncio evangelico, e piuÁ in generale biblico, e realizzazioni storiche piuÁ o meno convincenti.
L'indagine, inoltre, eÁ condotta in costante dialogo con le voci piuÁ critiche
intorno all'argomento «donna», quelle del femminismo nella sua ampia diversi®cazione, da quello piuÁ radicale a quello moderato come giustamente l'autore
speci®ca a proposito di ogni singola posizione. EÁ come il contrappunto continuo
alle osservazioni sul testo biblico, una voce che mette in discussione non solo le
letture tradizionali o anche magisteriali (in particolare del cattolicesimo), ma
anche le stesse osservazioni esegetiche. Completando la lettura dell'opera ci si
accorge che il dialogo, con le pur legittime osservazioni del movimento femminista, al di laÁ di radicali riduzioni del testo biblico, rappresenta per l'autore un
ef®cace stimolo per ulteriori approfondimenti. Non mancano veri e propri affondi contro le posizioni piuÁ critiche della cosiddetta esegesi femminista come si
legge in particolare nelle pagine 142-143 a proposito delle posizioni della citatissima SchuÈssler Fiorenza sul rapporto tra GesuÁ e le donne. Il confronto con le
112
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
posizioni femministe si fa piuÁ marcato a proposito del capitolo su Paolo (c. IX)
dove talvolta assume, diversamente dalla dominante pacata esposizione, il tono di
una difesa delle posizioni dell'apostolo sottoposte ai colpi dell'accesa critica
femminista (cf per es. p. 192). Una questione rimane sullo sfondo, quella della
«esegesi» femminista. In senso proprio quello femminista si presenta piuttosto
come un «approccio» al testo biblico (come chiarisce del resto il documento
della Ponti®cia Commissione Biblica del 1993 «L'interpretazione della Bibbia
nella Chiesa»), il che non toglie forza alla critica piuÁ o meno radicale che si
leva ormai da piuÁ parti del mondo verso una lettura «maschilista» della Bibbia,
ma invita a riconoscere che non si puoÁ parlare di un metodo esegetico; le osservazioni di tipo esegetico si basano spesso su analisi di tipo sociologico e storico
critico, privilegiate in questo tipo di ricerche, ma non disdegnano metodi di tipo
sincronico, utilizzati di volta in volta per le dimostrazioni di quella che l'autore
de®nisce «ermeneutica della liberazione» (§ 2.2). Il giaÁ citato documento della
Ponti®cia Commissione Biblica parla non a caso dell'approccio femminista insieme all'approccio liberazionista in un paragrafo che li unisce ambedue sotto il
titolo signi®cativo di «Approcci contestuali». Il volume di Milano sembra dar
ragione non sulle posizioni, ma sull'utilitaÁ di porre la questione circa una lettura
della Bibbia che si eÁ manifestata in sostanziale continuitaÁ temporale come lettura
al maschile, rafforzata dalla prassi delle chiese, in particolare cattolica e ortodosse, anche al di laÁ delle loro intenzioni. A uno sguardo forse non suf®cientemente approfondito l'esclusione delle donne dal sacerdozio e dalle cariche ecclesiastiche di responsabilitaÁ diretta non puoÁ che essere inquadrato in una
sostanziale dipendenza delle forme religiose (in particolare mediterranee) che
ha assunto il monoteismo biblico e coranico dalle societaÁ sostanzialmente patriarcali in cui esse ebbero origine e che il sistema religioso, solitamente conservativo di forme sociali, eÁ riuscito almeno ®no ad oggi ad imporre senza troppi
problemi. La ricerca di A. Milano non intende affrontare la questione sotto il
pro®lo socio-antropologico che pure non eÁ assente dallo strumentario del ricercatore, ne ridursi a un dibattito a distanza con le posizioni femministe, ma andare
al fondo della questione con la domanda se sia il testo biblico in se che promuove
e sostiene una lettura della Bibbia in cui prevalga il genere maschile e la sua
posizione di dominio verso quello femminile. A tale scopo si dimostra estremamente ef®cace, come caso particolarmente rilevante perche fondativo, lo studio
del rapporto tra agape ed eros, a cui si deve tanta parte della rappresentazione del
rapporto uomo-donna nella nostra cultura.
L'opera delinea un percorso circolare: dall'analisi dei testi biblici, attraverso
le considerazioni ermeneutiche e storico-®loso®che, all'approfondimento del
concetto di persona per una messa a punto del rapporto tra eros e agape; completato l'itinerario si dispone di strumenti idonei per iniziare nuovamente a
leggere, con maggior pro®tto, quegli stessi testi biblici da cui si eÁ cominciato.
Solo con un'operazione di questo genere, circolare, eÁ possibile fruire veramente
delle preziose indicazioni ermeneutiche offerte dall'autore per una comprensione
approfondita di quanto il testo biblico, nella semplicitaÁ del racconto genesiaco o
nella narrazione degli atteggiamenti di GesuÁ nei confronti delle donne del suo
tempo, puoÁ offrire al lettore attento. Sul piano ®loso®co teologico, il concetto
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
113
che emerge e intorno a cui l'intera materia viene ripensata e rivitalizzata eÁ quello
di «persona» a cui il Prof. Milano ha dedicato intensi anni di ricerca e produzione scienti®ca (cf Persona in teologia. Alle origini del signi®cato di persona nel
cristianesimo antico, Dehoniane, Roma 19962).
Sin dalle prime pagine del volume vengono proposte le coordinate dello
studio: la scelta ermeneutica per l'aspetto metodologico, il cristocentrismo come
chiave principale per la lettura cristiana di Antico e Nuovo Testamento, la critica
storico-letteraria per fondare criticamente, ad ogni passo, le proprie argomentazioni. Pur avvalendosi dello studio storico-critico, come dimostrano le molte
citazioni di opere esegetiche del secolo scorso e anche molto recenti, a proposito
in particolare del libro della Genesi l'autore evita prudentemente di entrare nella
questione delle fonti del Pentateuco. EÁ una scelta che si puoÁ condividere vista la
situazione attuale in cui dell'edi®cio wellhausiano rimangono certo importanti
intuizioni ma non piuÁ le precise ricostruzioni delle singole fonti, completate dagli
studiosi successivi a Wellhausen con dettagli su epoche, luoghi di origine e
persino linee teologiche delle singole tradizioni, in cui ci si poteva avventurare
®no a pochi decenni orsono. Utilizza invece con maggiore ampiezza le conclusioni dello studio critico, storico e letterario, in relazione al Nuovo Testamento
(pp. 126 ss.). A tale proposito va segnalato un merito particolare: sempre in
relazione all'uso del metodo storico-critico, l'autore compie lo sforzo di collocare
giustamente il NT, attraverso un'esegesi puntuale dei singoli passi, nel contesto
letterario e religioso dell'AT e delle attese giudaiche. CosõÁ, per esempio, nel
capitolo dedicato a Maria (cap. VIII), rilegge i racconti dell'infanzia alla luce
dell'annuncio del Regno di Dio. L'autore conferma cosõÁ, sia in relazione alla
lunga e ricca tradizione patristica, sia in relazione a letture sincroniche dei giorni
nostri, la necessitaÁ di ancorare il testo al suo contesto letterario e storico. Una
preziosa indicazione di metodo, che sembra opportunamente rivolgere l'attenzione su quei «limiti dell'interpretazione» richiamati nel titolo stesso della nota
opera di Umberto Eco. Le puntualizzazioni storico-critiche creano un argine allo
straripare di interpretazioni antiche e recenti debolmente fondate nel testo collocato nel suo contesto. Come si diceva, questo ancoraggio che Milano ha inteso
dare al suo lavoro si manifesta lungo l'intera opera, e con particolare ef®cacia nel
capitolo relativo alla ®gura femminile biblica principale, per il cristianesimo e in
particolare per il cattolicesimo, quella di Maria. Un capitolo non semplice, visto il
particolare carico di responsabilitaÁ che il femminismo in generale ha attribuito
alla rappresentazione della maternitaÁ e delle virtuÁ di Maria in senso patriarcale.
L'autore indugia volutamente, per esempio, sul signi®cato della singola espressione che l'angelo rivolge a Maria secondo la narrazione lucana per mostrare
come l'approfondimento di aspetti linguistici, grammaticali, sintattici relativi al
greco koineÁ semitizzato dell'epoca neotestamentaria, pur non trasformandosi in
camicia di forza per il lettore, offre orientamenti che escludono divagazioni o
banalizzazioni a cui tanta letteratura religiosa ci ha abituati. I vangeli dell'infanzia, collegati all'insieme del messaggio biblico a partire dalla Genesi, vengono
cosõÁ presentati come ef®cace sintesi ermeneutica con la quale gli evangelisti, in
particolare Luca, hanno inteso anticipare il senso complessivo dell'evento GesuÁ
(p. 175).
114
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
Ben otto capitoli (III-X) su dodici sono dedicati a un libro o a un personaggio fondamentale della narrazione biblica. L'autore, negli accurati approfondimenti biblici a partire dalla Genesi e ®no all'Apocalisse, ha dovuto compiere
inevitabilmente delle scelte; restano ovviamente alcune pagine, o interi libri
biblici che avrebbero potuto contribuire all'approfondimento. Si pensi per esempio alla pro®cuitaÁ di un approfondimento della storia patriarcale narrata dalla
Genesi: patriarcale, appunto, ma che in realtaÁ ha per protagonisti piuttosto le
coppie patriarcali: Abramo e Sara (Agar); Isacco e Rebecca; Giacobbe Lia e
Rachele (e le due schiave). Non meno interessante sarebbe stato in tal senso
una considerazione della biblica storia di Ruth anche per la sua ricezione tradizionale. EÁ naturale, si diceva, che bisognava fare delle scelte e va osservato che
alle ®gure femminili della storia patriarcale non mancano accenni (cf. p. 114), ma
si vuole segnalare che il materiale biblico per lo studio del tema offre ulteriori
spunti alla ri¯essione e, chissaÁ, per altri lavori.
A proposito dell'inno alla creazione del libro della Genesi (1,1-2,4a), dove si
sottolinea la reciprocitaÁ della persona femminile e della persona maschile (pp. 5767), proprio per approfondire il senso del riferimento alla «immagine e somiglianza di Dio» un ulteriore spunto testuale mi pare si potesse utilmente raccogliere. Il testo ripete per ben dieci volte che le creature sono create secondo la
loro specie e producono seme secondo la loro specie. Quando nel sesto giorno si
parla dell'uomo invece della loro specie si dice «a nostra immagine» rinviando
signi®cativamente, per l'essere umano, non all'individuo precedente creato ma a
Dio stesso. L'interruzione nella successione del riferimento alla «specie» per tutti
gli esseri creati e l'introduzione del riferimento diretto a Dio non per il primo
uomo ma per l'uomo in quanto tale contribuisce a rafforzare quanto viene
illustrato a proposito della «immagine e somiglianza».
Pure in sintonia con le osservazioni complessive di Milano eÁ il rilievo dell'espressione utilizzata da Dio in occasione della creazione della donna in Gn
2,18: «Non eÁ bene che l'uomo sia solo, voglio fargli un aiuto che gli corrisponda».
L'espressione in seÂ, sotto il pro®lo esegetico eÁ carica di contenuto: `ezer viene
tradotto con «aiuto, appoggio, soccorso, ... alleato...». Nella Bibbia spesso si dice
che l'aiuto viene da Dio (Sl 121,1.2; 124; 20; Dt 33,26; talvolta anzi si identi®ca
con Dio: Es 18,4; 33,7.29; Sl 33,20: ...). In generale si puoÁ dire che si tratta di un
soccorso personale, indispensabile per la vita (cfr. Sl 121; 124). Inoltre la forma
avverbiale kenegdoà = «di fronte a lui» eÁ reso giustamente dalla nuova traduzione
CEI 2008 con l'espressione «che gli corrisponda», capace cioeÁ di stargli di fronte,
diversamente dagli animali precedentemente creati a cui Adamo eÁ chiamato a
dare nome in un rapporto di supremazia (Gn 2,19-20). L'analisi e l'interpretazione del testo di Gn 3 eÁ molto ben equilibrata e convincente, in particolare
rispetto alla questione dell'albero della conoscenza del bene e del male e sul
senso dell'espressione «aprire gli occhi» (pp. 75-78).
L'autore mostra, a partire dai testi che cita solitamente ed opportunamente
per esteso, che l'attribuzione al maschio di alcune prerogative appartiene piuttosto all'ambito dell'interpretazione successiva giudaica e cristiana della Bibbia.
CosõÁ per esempio, rilegge in riferimento alla persona (maschio e femmina) il
testo di Siracide 17, ... 2-10 (p. 71); si potrebbe tuttavia obiettare che proprio
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
115
nell'ambientazione storico-religiosa del testo, al di laÁ delle successive interpretazioni, compresa quella proposta dall'autore, il Siracide facendo riferimento in
particolare alla scienza, e specialmente all'alleanza e ai suoi decreti, si riferisse
almeno preferenzialmente all'uomo, tradizionalmente destinatario principale
nella religione di Israele dei precetti divini. Questa lettura storico-critica non
va estremizzata, tuttavia sarebbe rischioso sostituire il pregiudizio maschilista a
quello che potrebbe diventare un pregiudizio egualitario per la lettura di testi
nati in un contesto diverso da quello contemporaneo. Analogamente, a proposito
del riferimento al simbolismo sponsale da parte dei profeti, Milano insiste sulla
ingiusta accusa rivolta dalle femministe alla irriducibile misoginia che sarebbe
presente in testi in cui il riferimento al simbolo sponsale avviene per sottolineare
la fedeltaÁ dello sposo (Dio) rispetto all'infedeltaÁ della sposa (donna). CioÁ che
sostiene Milano appare corretto, anche se non si puoÁ non riconoscere che l'uso di
quella rappresentazione del rapporto Dio/uomo ha avuto ed esercitato in se
stesso una forza persuasiva nel perpetrare, al di laÁ del valore di simbolo (da
collocare sullo sfondo storico della sua origine), l'origine di una debolezza o in
generale negativitaÁ maggiore della donna nei confronti dell'uomo secondo la
cultura a cui gli agiogra® appartengono. Insomma non va misconosciuto, e certamente non eÁ intenzione dell'autore, che la donna in molti racconti biblici venga
rappresentata come anello debole nel rapporto di responsabilitaÁ tra l'uomo e
Dio. CosõÁ nel testo di Gn 3 come, per fare un esempio, nella storia di Giobbe. Il
testo va interpretato, e cosõÁ fa l'autore, senza forzare il desiderio di vedervi
affermato, semplicemente, una paritaÁ dei sessi.
Particolare approfondimento, e anche gusto, offrono le pagine dedicate al
Cantico dei Cantici in cui con maggiore evidenza viene posto il problema e il
senso dell'«erotico» nella rivelazione biblica e quanto la tradizione interpretativa
abbia preferito eludere completamente la questione leggendo simbolicamente il
canto d'amore ostinatamente conservato nella trasmissione canonica sia giudaica
che cristiana. Giustamente Milano mette in guardia circa la necessitaÁ di distinguere fra l'erotico e il nuziale e tra il nuziale e il matrimoniale, offrendo un
suggerimento che si auspica venga accolto da tanta letteratura divulgativa e
spesso eccessivamente sempli®catrice sul Cantico (p. 110), piegata a sostenere
semplicemente la dottrina sul matrimonio. A tale proposito tocca anche una
questione di grande rilievo per il dibattito e le problematiche connesse con
l'omosessualitaÁ: anche qui si puoÁ parlare di eros, ma nella situazione storica di
decadimento in cui la nuzialitaÁ eÁ stata separata dall'eros. Nell'analisi di Milano
viene dato grande risalto all'esegesi origeniana del Cantico: da una parte Origene
predilige decisamente un'interpretazione spirituale, dall'altra e di maggior rilievo, propone la sostanziale assimilazione tra i termini eros e agape (p. 301),
sulla base non del semplice platonismo, ma della tradizione successiva medio e
neo-platonica (p. 307), pur conservando degli innegabili punti di differenza. Pur
nella rielaborazione di tale ereditaÁ tuttavia porteraÁ con se la concezione sostanzialmente dualistica dell'essere creato in opposizione alla concezione unitaria
proposta dalla bibbia. Il risultato, chiarisce Milano, saraÁ non tanto una cristianizzazione dell'idea platonica dell'eros, quanto una ellenizzazione del concetto
biblico di agape, con tutto cioÁ che ne consegue. Nell'analizzare le posizioni di
116
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
Nygren e di Barth, viene ancor piuÁ evidenziata la tendenza, diversamente confermata dai due autori, di una contrapposizione tra eros e agape sostenuta dalla
sottolineatura della radicale novitaÁ portata da GesuÁ Cristo. Qui si tocca il punto
focale della tesi di Milano che riprende in qualche modo quanto si diceva a
proposito della collocazione della ®gura di GesuÁ Cristo e del Nuovo Testamento
nel suo contesto anticotestamentario e giudaico. Milano segnala inoltre, a proposito delle tesi di Nygren, un aspetto che piuÁ volte ricorre nelle analisi teologiche del secolo scorso: la preferenza per Paolo con la quasi totale esclusione del
pensiero giovanneo (p. 321).
Proprio alla luce del paragrafo 11.6 (La problematica riscoperta moderna
dell'agape) emerge la possibilitaÁ di rileggere in una luce diversa il testo di Gn
2-3 relativamente alla creazione e alla trasgressione della prima coppia. Il testo
genesiaco, cosa rilevata al principio dall'autore, parla dell'uomo e della donna
come dell'opera creata da Dio che porta con se il segno profondo dell'appartenenza alla terra. Non eÁ questa appartenenza l'elemento negativo ma il fatto che
Eva e Adamo «ascoltino» (nel senso profondo di «obbedire») la sola voce della
terra, rappresentata dalla ®gura altamente simbolica del serpente. EÁ possibile
notare questo dominio di campo da parte del serpente, portavoce delle esigenze
della terra, osservando la sapiente costruzione delle tre scene in cui eÁ strutturato
il capitolo terzo della Genesi e avvalendosi della narratologia: nella scelta di
prendere del frutto del'albero proibito parla solo il serpente, Dio eÁ tenuto fuori.
L'attenzione eÁ totalmente rivolta a soddisfare qui ed ora il proprio appetito
vissuto al di laÁ di ogni altra relazione personale. Lo stesso testo della Genesi
mostreraÁ subito dopo, con le successive maledizioni, a cosa porteraÁ questo atteggiamento: tra l'uomo e la donna si tradurraÁ in rapporto di dominio-soggezione; tra l'uomo e la terra di sfruttamento infruttuoso, tra l'uomo e Dio di
penosa lontananza. Qui le relazioni sono di desiderio per seÂ, non di amore. Il
fondamentale rapporto uomo donna, in relazione al tema speci®co scelto dall'autore, apre collegamenti con altri ambiti di grande attualitaÁ come appunto il
rapporto dell'uomo con la terra.
L'esegesi condotta dal prof. Milano sui testi del Nuovo Testamento ha
molto da dire anche in merito al metodo, nel contesto attuale della critica neotestamentaria piuÁ recente, nota come «terza fase» in cui si pone particolare attenzione al contesto sociale, religioso, culturale dell'epoca di GesuÁ sottolineando in
particolare, e va aggiunto «giustamente», l'inquadramento e l'interpretazione
delle parole e dei gesti del maestro di Galilea nel quadro del giudaismo del
suo tempo (§ 7.1, p. 126). EÁ noto quanto questa bene®ca puntualizzazione abbia
portato a una profonda revisione di alcuni dei criteri di autenticitaÁ storica un
tempo ritenuti indispensabili criteri-guida per orientarsi nel riconoscere la veritaÁ
storica del racconto evangelico. Tra questi il criterio della discontinuitaÁ per il
quale era tanto piuÁ ragionevole attribuire a GesuÁ di Nazaret cioÁ che contrastava
profondamente con la cultura e la prassi giudaica del tempo. Un criterio non del
tutto infondato, ma che partiva dal diffuso preconcetto cristiano di una sostanziale discontinuitaÁ tra l'insegnamento e gli atteggiamenti di GesuÁ, quasi ignorando (o volendo ignorare) la sua giudaicitaÁ. L'inquadramento di GesuÁ nel giudaismo del suo tempo ha dato origine a una notevole quantitaÁ di studi e
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
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approfondimenti di tipo esegetico e teologico e ha contribuito notevolmente alla
crescita del dialogo cristiano-ebraico degli ultimi decenni. Milano, pur collocando sempre l'atteggiamento di GesuÁ, anche verso la donna, nel contesto del
giudaismo del suo tempo, non manca di osservare che proprio a tale proposito si
deve registrare con altrettanta onestaÁ un atteggiamento di rottura del maestro
galilaico con norme e comportamenti condivisi nel giudaismo del tempo. GesuÁ
non teme di toccare le donne mestruate o persino giaÁ morte (pp. 150-1). Una
libertaÁ che tuttavia non va costruita arti®ciosamente addossandola a GesuÁ in
chiave femminista per giungere ad affermare, come diverse esponenti del mondo
femminista e non solo, che donne fossero pure presenti nel gruppo del dodici (p.
159). CosõÁ pure a proposito dell'insegnamento paolino, l'autore dichiara a ragione di non condividere quelle posizioni che giungono a ricondurre l'insieme
del messaggio paolino all'interno del giudaismo del tempo (contrariamente per
es. a M. Pesce, p. 205).
A proposito di Paolo nel corso della lettura sorge un'altra osservazione: il
suo messaggio viene riletto completamente in chiave universalista perdendo talvolta di vista il contesto piuÁ speci®co e limitato delle originarie chiese domestiche. Rimane insomma la questione di come debbano essere intesi alcuni insegnamenti dell'apostolo, se compresi come indicazione per i piccoli gruppi di
cristiani a cui venivano indirizzate le lettere o giaÁ una ri¯essione che dal piccolo
intendeva indirizzarsi all'universale.
Tra gli approfondimenti piuÁ interessanti e ricchi per la lettura bisogna
collocare senza dubbio il paragrafo 9.4 (p. 207) a proposito dell'espressione
paolina di Gal 3,28: Non c'eÁ piuÁ «maschio e femmina», testo de®nito nel titolo
stesso del paragrafo come «Il manifesto della liberazione evangelica». Milano
segnala l'importanza di un'accurata traduzione del testo che anche nella precedente versione CEI, in continuitaÁ con le opposizioni precedenti (non c'eÁ piuÁ
giudeo ne greco, non c'eÁ piuÁ schiavo ne libero) traduceva allo stesso modo il terzo
membro del versetto (non c'eÁ piuÁ uomo ne donna), non facendo attenzione al
fatto che per la terza coppia di termini non troviamo l'opposizione oudeÁ, ma la
congiunzione kai. Questa giusta osservazione, segnalata da alcuni esegeti (per es.
Fabris), eÁ recepita dalla nuova traduzione CEI (2008). Se tutte e tre le opposizioni vano inserite nel tempo presente del giaÁ e non ancora, l'autore chiarisce
peroÁ la differenza sottolineata: le prime vengono percepite e presentate come
contrapposizioni, la terza de®nisce invece, nei termini del racconto della Genesi,
il rapporto tra maschio e femmina, una reciprocitaÁ che non eÁ contrapposizione
abolita, ma differenza trasformata (p. 210). L'autore chiarisce quanto sorge
spontaneo a un certo punto nell'investigazione sull'eros: puoÁ dunque essere
considerato sempre e comunque come dono di Dio, rifacendosi alla benedizione
originaria della coppia umana? Proprio con l'apostolo delle genti si fa un passo
avanti nella considerazione del rapporto tra eros e agape nel NT: per l'apostolo
anche l'eros va umanizzato, cosõÁ come nelle chiese delle origini: da solo, l'eros,
puoÁ costituire la premessa dell'amore biblicamente inteso o anche la negazione di
esso. Deve entrare, come richiesto a tutto l'agire umano, nel nuovo ethos richiesto dalla fede (p. 231). Il messaggio neotestamentario sull'agape non eÁ dunque
proposta di un amore cristiano (agape) in opposizione all'eros. Si tratta di con-
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NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
vertire anche l'eros. Questa conclusione costituisce il nucleo centrale dell'approfondimento esegetico storico e teologico dell'autore, come viene presentato in
particolare nel cap. XI. E con esso l'inevitabile domanda sulla non comprensione
di tale rapporto in duemila anni di cristianesimo. Un ri®uto dell'eros che si eÁ
manifestato, come nota giustamente Milano, con l'interdizione del termine
stesso, a partire dalla LXX e in tutto il NT. Il problema nasce dal dialogo della
cultura biblica (giudaica prima e cristiana) con la ®loso®a del tempo, dialogo
necessario quanto insidioso.
Facendo propria la tesi che vede nel cosiddetto «inno alla caritaÁ» la forma
retorica dell'«encomio» o elogio (cf. tra gli altri Fabris) Milano mette in rilievo la
corrispondenza della scelta paolina di tale genere retorico con quella di Platone,
nel Simposio dove si dedica un «encomio» a eros (p. 330). La convincente dimostrazione porta all'importante conclusione che l'agape rappresenta nella proposta
neotestamentaria un contenuto centrale della fede cristiana, come del resto Giovanni indicheraÁ esplicitamente.
L'agape dunque si presenta come forma di amore che salva, che tras®gura in
senso cristiano ogni altra forma di amore, compreso l'eros rispetto al quale non eÁ
presentato in contrapposizione. In tal senso il testo mi pare che offra indicazioni
preziose e accuratamente fondate per una valutazione piuÁ attenta di questioni
etiche oggi di grande attualitaÁ, da quella della realtaÁ matrimoniale, troppo spesso
ravvisata in ogni riferimento biblico che parli della coppia umana (cf Cantico)
all'amore omosessuale. Rispetto a tali questioni prevale spesso un atteggiamento
emotivo ispirato soprattutto alla tradizione sociale e religiosa, piuttosto che una
ragionata, salutare, fondazione critica come quella offerta dallo studio di Andrea
Milano.
Napoli, FacoltaÁ teologica, sez. S. Tommaso d'Aquino
GAETANO CASTELLO
2. Considerazioni filosofiche su Donna e amore nella Bibbia 1
C'eÁ un problema «cattolico» del femminismo? Il libro di Andrea Milano
vuole offrire una risposta ragionata e documentata a questa domanda, ricostruendo innanzitutto i motivi di consenso e di dissenso con quel variegato
movimento femminista che, sorto nella seconda metaÁ del secolo XX, prima negli
Stati Uniti e successivamente nei paesi europei, come rivendicazione dell'emancipazione della donna da una lunga storia di subordinazione culturale, sociale e
politica al modello maschile, si eÁ prolungato anche in una sua versione teologica,
abbastanza intrecciata con la coeva teologia della liberazione, con®gurandosi a
sua volta come contestazione globale di una teologia tradizionale (accusata di
essere) costruita in tutte le sue varianti a partire da una prospettiva androcentrica
e misogina. Naturalmente questa presa d'atto di una his-story (storia-di-lui) da
1
Un'altra recensione impostata in modo «diverso» eÁ in Archivio di storia della
cultura XXII (2009) pp. 305-320.
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contrapporre a una her-story (storia-di-lei), cioeÁ l'individuazione di una speci®ca
ottica storico-culturale-linguistica «fallocentrica», come si usa dire in un linguaggio tecnico peraltro simmetrico alla forma «logocentrica» del cosiddetto pensiero
«forte», di cui si conserverebbero tracce persino nella redazione dei testi biblici,
con i suoi effetti perversi e devianti sulla stessa organizzazione concettuale del
dato teologico e dei comportamenti concreti, imponeva una diversa e piuÁ adeguata pratica di lettura non giocata, certo, solo sul piano di una critica del
linguaggio teologico (come lo erano state dopotutto qualche generazione prima
la questione della «demitizzazione» sollevata da Bultmann o quella di un'«interpretazione secolare dei concetti biblici» sollevata a sua volta da Bonhoeffer), ma
spinta ®no a una revisione radicale dello stesso impianto ecclesiologico della
tradizione cattolica, della sua strutturazione gerarchico-maschilista. Ne conseguiva la rivendicazione esplicita di un sacerdozio «ministeriale» non riservato
ai soli uomini, secondo una prassi antica e ininterrotta nei secoli, ma esteso alle
donne, sul presupposto della mancanza di ragioni esegetiche e teologiche «decisive», se non legate appunto a contingenti condizioni storico-culturali, a favore
di una tale prassi. Si aggiunga che per la stessa teologia femminista, ma non solo,
in tale esclusione delle donne dal sacerdozio ministeriale non mancava di ri¯ettersi anche una certa dif®denza della teologia e della spiritualitaÁ tradizionale, da
collegare a incidenze di tradizioni platoniche e neoplatoniche, per la sfera della
corporeitaÁ e della sessualitaÁ in generale, non giocosamente vissute come proiezione della stessa persona, come il suo modo di rapportarsi al mondo e agli altri,
ma come limite e decadimento della ragione, come il suo negativo da rimuovere
e/o da reprimere.
Per dipanare questo intrico di questioni alle quali si connette certo non solo
un impatto immediato sulle forme di democrazia partecipativa all'interno delle
strutture ecclesiastiche, ma anche sul piano della loro ricaduta sui rapporti ecumenici con le altre confessioni cristiane e piuÁ in generale sul piano di un'interpretazione non pregiudizialmente dissonante della religione con la modernitaÁ, di
cui appunto la nuova sensibilitaÁ, intessuta di rispetto e di riconoscimento, per la
«questione femminile» eÁ uno dei piuÁ alti indicatori Ð un autentico «segno dei
tempi» Ð, il Milano, come si vedraÁ, avverte la necessitaÁ di ripercorrere il problema della «Donna nella Bibbia» intrecciandolo continuamente con un orizzonte teorico piuÁ ampio, quello suggerito dal sottotitolo stesso del libro: «eros,
agape e persona».
A ben vedere si tratta di un disegno di ampio respiro, rigorosamente costruito con il ricorso alle piuÁ raf®nate tecniche di analisi storico-critica dei testi
biblici, patristici e ®loso®ci relativi a questo campo tematico, dentro un tessuto
argomentativo che tiene insieme profonditaÁ di scandaglio storiogra®co e abilitaÁ
di sintesi teorica «a conferma» di una tesi ben riconoscibile come una tesi
«classica» della posizione cattolica Ð da cui anche il carattere «militante» del
libro Ð quella della irriducibilitaÁ del femminile a ogni omologazione al maschile.
Ne consegue che, pur nel riconoscimento di quanto di buono eÁ stato portatore il
movimento femminista per l'arricchimento della stessa coscienza religiosa, questo libro si muove in una sostanziale presa di distanza da esso, senza concessione
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NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
alcuna al «politicamente corretto», ma anche senza mascherarsi in una difesa
acritica della tradizione.
Per quanto attiene soprattutto al problema del sacerdozio ministeriale, che eÁ
il punto di condensazione piuÁ alto del plesso di questioni sollevato dalla teologia
femminista e comunque un punto che qui non eÁ «esplicitamente» trattato, per
quanto co-presente sullo sfondo, si puoÁ ragionevolmente dedurre, per usare un
eufemismo, che nell'agenda prossima e prevedibilmente futura della chiesa cattolica non c'eÁ di fatto, ma secondo molti neppure di diritto [ ! ], un qualcosa
all'ordine del giorno che possa con®gurarsi come l'equivalente dell'istituzione
laica di un ministero delle pari opportunitaÁ, cioeÁ di una modi®cazione strutturale
dell'attuale ordine delle cose nella chiesa, ma al piuÁ si possono presagire e/o
vagheggiare variazioni puramente quantitative all'interno di un sistema di comunicazione e di governo sorretto da codici linguistici e ruoli operativi sostanzialmente «omoerotici». La questione, come si vede, per il peso esercitato da una
tradizione lunga e ininterrotta, ma anche per il carico di responsabilitaÁ connesso
al governo di un organismo storicamente e geogra®camente complesso come la
chiesa cattolica non eÁ solo «teorico-dottrinale» e percioÁ non eÁ di poco conto per
le sue ricadute sul piano operativo.
Per avviarci all'analisi interna della nostra tematica eÁ opportuno ri¯ettere
innanzitutto sul carattere «storico» dei testi biblici, sul fatto cioeÁ che essi veicolano la Parola di Dio in forma umana, secondo quel modello «incarnazionista» di
cui il Cristo eÁ l'archetipo vivente. Si tratta, dunque, di riconoscere nella Bibbia
come Parola di Dio la densitaÁ di un realismo salvi®co coniugato intimamente con
la fatica e la pazienza della storia, con i suoi ritmi di maturazione e di assimilazione, assumendo appunto il testo biblico non come un puro assemblaggio di
astratte tesi teologiche sganciate da un concreto terreno d'inerenza e di connessioni vitali, fuori da ogni processo di contestualizzazione, che eÁ la maniera di
interpretarlo secondo la «lettera», secondo quel modulo «fondamentalista» che
ignora ogni lettura e interpretazione d'insieme di questo testo, le sue profonde
strati®cazioni culturali e i suoi complessi intrecci simbolici, il suo con®gurarsi
come un ordine di risposte a domande di senso e di salvezza legate a condizioni
umane ed esistenziali radicate in un determinato tempo e in determinato luogo, a
partire da sensibilitaÁ, costumi e linguaggi speci®ci, all'interno, dunque, di una
storia di lunga durata di cui eÁ possibile rintracciare continuitaÁ e rotture, correlazioni e trasformazioni. La bibbia, invece, eÁ da accostare dentro un quadro
unitario costituito essenzialmente, da un lato, dall'investimento umano sull'«invisibile» e dalla connessa credenza in esso e, dall'altro, dalla scommessa che,
quantomeno per la coscienza giudaico-cristiana, anche se in gradi diversi, un tale
invisibile si eÁ reso visibile, si eÁ prodotto in una reale traversata storica, in un
viaggio terrestre che eÁ stato insieme anche celeste e viceversa, si eÁ appunto
«incarnato». EÁ in tale riconoscimento di una Rivelazione di Dio nella storia,
nella totalitaÁ delle sue scansioni de®nibili tra un inizio creativo e un eschaton
conclusivo che si riassume la fragile forza della fede in Dio attestata dagli scritti
biblici. Si deve qui solo aggiungere che per una ermeneutica «cristiana» di questi
scritti il carattere prolettico di una tale fede non rinvia puramente a un evento
conclusivo della storia secondo una scansione cronologica collocata su un mo-
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vimento orizzontale, ma a un accadere che ha il carattere di una totalitaÁ «anticipata» nella ®gura «paradossale» del Cristo stesso, nella pienezza escatologica
racchiusa nella sua persona e nel suo dinamismo soteriologico in cui inizio e ®ne
si richiamano reciprocamente in uno scambio attuoso a cui attinge e di cui si
sostanzia ogni concreta esperienza di fede.
Sul piano della resa linguistica questo effetto dell'azione escatologica divina
sul presente eÁ condensato nel cosiddetto «passivo divino», cioeÁ nell'impiego del
participio perfetto passivo di un verbo, come ad esempio nella formulazione
dell'annuncio dell'angelo a Maria di «ricolmata-di-grazia» (kecharitomeÂne), ma
anche di altre formulazioni presenti in una numerosa letteratura giudaica della
diaspora di lingua greca, in una certa letteratura apocalittica e soprattutto nei
vangeli. «GesuÁ Ð scrive il professore Milano Ð si riallaccia certo allo stile apocalittico, ma con accenti suoi propri e in un ambito incomparabilmente piuÁ
ampio e intenso, dilatandolo e insieme concentrandolo dentro il ``qui'' e ``ora''
della sua azione e della sua parola, in cui Dio stesso eÁ coinvolto. Tutti, dunque, i
``passivi divini'' usati da GesuÁ intendono affermare che in lui si realizza il compimento delle promesse di Dio, il mistero del regno di Dio, l'irrompere dello
spirito di Dio» (p. 164).
Ne risulta per una tale ermeneutica che anche il richiamo all'inizio storicosalvi®co della creazione non eÁ affatto con®gurabile come pura «nostalgia delle
origini» (Eliade), ma si dispiega sempre a partire da un'analisi del proprio presente riconosciuto come dono e come grazia, come sottoposto all'effetto della
misteriosa azione escatologica di Dio. In realtaÁ, eÁ a partire da questo gioco
interpretativo ispirato alla struttura dell'evento escatologico-Cristo come «advenire-riveniente» che gli stessi scritti neotestamentari ricostruiscono il suo percorso biogra®co, interpretano i suoi detti e le sue azioni, veicolano il nuovo
annuncio di salvezza. CosõÁ, a partire dall'appropriazione dell'evento cardine della
sua morte e risurrezione, il Cristo della storia, inestricabilmente connesso con il
Cristo della fede, diventa il principio interpretativo fondante in base al quale si
costituiscono le varie tradizioni che con¯uiranno nei vangeli e ispireranno le piuÁ
antiche formule di fede. EÁ ancora a partire da questo nuovo orizzonte escatologico che si puoÁ cogliere la mutazione genetica in cui s'inscrive il nuovo rapporto
verticale tra Dio e l'uomo e il nuovo rapporto orizzontale degli uomini tra loro,
rapporti nei quali l'antico ordine della legge viene ripreso e tras®gurato nel
nuovo ordine della grazia, con la conseguente «trasmutazione di valori» connessa
a un tale passaggio, anche ai ®ni di una riabilitazione del ruolo della donna oltre
il contesto civile, sociale e religioso dell'epoca.
Dentro un tale contesto escatologico, in®ne, deve essere riportato il radicalismo di certe affermazioni evangeliche sul matrimonio e sul celibato con l'annessa forza simbolica di anticipazione del Regno che esse racchiudono, la dissolvenza, operata da Paolo all'interno di un tale contesto, della stessa differenza
tra maschio e femmina, al di laÁ di quella tra greco e giudeo, tra schiavo e libero,
un autentico «manifesto di liberazione evangelica», pensabile solo all'interno
della sfera di una libertaÁ donata, sulla base, dunque, di un rapporto «comunionale» da con®gurare come superamento di vetuste nostalgie di predominio e
astratte romanticherie fusionali. EÁ vero che questo livello messianico-escatolo-
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NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
gico non eÁ da porre accanto o sopra all'ordine della corrente ordinaria della
storia, ma nelle sue stesse viscere, laÁ dove essa attende di essere riscattata dalla
sua intrinseca corruzione, ma tutto questo eÁ novitaÁ di fede, non veritaÁ evidente da
proporre e conseguire per le stesse vie con cui la storia insegue le sue ®nalitaÁ. La
storia, per quanto aperta alla libertaÁ escatologica, resta esposta allo scacco e
all'inerzia della contro®nalitaÁ, al peccato come «incurvatio in se ipsum». Dentro
questa ambiguitaÁ strutturale si muoveva la stessa Chiesa delle origini e all'interno
di un tale contesto era diretta l'azione pedagogica e missionaria di Paolo nel
richiamare a uno stile di vita riferito all'orizzonte di quella concreta «utopia
cristiana» fondata sull'azione redentiva del Cristo.
A partire da un tale impianto ermeneutico il Milano sviluppa le sue annotazioni sul nesso tra «eros, agape e persona» non solo all'interno di singole
sezioni del libro, laddove cioeÁ se ne offre l'occasione, ma soprattutto nel capitolo
XI che eÁ una sintesi ragionata di quelle categorie, il tentativo di raccoglierle in
una connessione sistematica.
Intanto si puoÁ partire da un'annotazione di carattere linguistico: la nostra
lingua Ð ma prima ancora la lingua ebraica Ð ha un'unica parola per coprire quel
vasto campo semantico dell'«amore» racchiuso tra la sua accezione piuÁ «carnale»
e quella piuÁ «spirituale»: «l'amor che move il sole e l'altre stelle», a differenza
della lingua greca che ha, invece, due termini Ð «eros» e «agape» Ð per indicare
due modalitaÁ idealtipiche dell'esperienza amorosa, ciascuna delle quali intenziona un distinto campo semantico e si de®nisce per contrapposizione rispetto
all'altra. Sempli®cando, con tutto il rischio connesso a una tale operazione, si
potrebbe dire che «eros» eÁ il principio attivo della condizione «creaturale» della
vita, movimento centripeto e di attrazione a differenza dell'«agape» che eÁ movimento centrifugo e di espansione, l'uno movimento carnale a differenza dell'agape che eÁ movimento spirituale, l'uno principio di egoitaÁ, l'altro di donazione.
Naturalmente quest'uso all'apparenza puramente descrittivo dei due termini, al di laÁ della sua precaria veritaÁ ed ef®cacia espositiva, porta giaÁ in se tracce
evidenti di un processo di contaminazione/tras®gurazione simbolica e percioÁ
«eros» e «agape» nella loro lontananza sono piuÁ vicini di quanto si possa pensare,
in quanto entrambi attingono alla sfera dell'immaginario e dell'emotivo, dell'interioritaÁ e della corporeitaÁ, del desiderio e della partecipazione: il loro rapporto
non puoÁ, dunque, con®gurarsi in termini di «pura» opposizione. Credo che sia
riduttivo, e percioÁ improprio, appiattire, ad esempio, l'eros sul sesso, supposto
che questo nell'uomo possa essere con®nato nella sfera del puramente corporeo,
sganciato da quella corrente d'esistenza in generale che lo riprende e lo carica di
un signi®cato piuÁ ampio all'interno del quale anche le cosiddette differenze
sessuali, cioÁ che appunto viene attribuito al maschile e al femminile, non eÁ
solo un dato di natura, ma anche il risultato di una costruzione sociale, del
modo cioeÁ in cui uomini e donne vivono e sperimentano «storicamente» le
loro differenze. Se, dunque, eros e agape non sono con®gurabili come due
invarianti senza rapporto tra loro, ma come due modalitaÁ di rapportarsi a se
stessi, agli altri e a Dio, appunto come due modalitaÁ «esistenziali» che si prolungano in una contrapposizione di stili di vita, allora in tale accezione «antropologica» «eros» eÁ il progettarsi dell'uomo a partire da un principio di clausura
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terrestre e autosuf®cienza egoistica, il suo arroccamento dentro un movimento
d'immanenza e di morte, di solitudine e vuoto, mentre «agape» eÁ il progettarsi
dell'uomo a partire da un'esperienza di trascendenza e di comunione partecipativa, la sua apertura a cioÁ che irrompe come dono e come grazia, l'appropriazione
vivente della veritaÁ evangelica: «chi perde la sua vita, la guadagna».
EÁ a partire da una tale autocomprensione esistenziale di eros e agape ripresa, sulla scia di Lutero, da Anders Nygren, ma con qualche variante polemica
anche da Karl Barth nel secolo scorso, che puoÁ meglio chiarirsi quella vera e
propria «censura linguistica nei confronti dell'eros e della sua famiglia lessicale»
praticata nella traduzione della Bibbia greca dei LXX dall'ebraico, una censura
che si spinge a una sistematica utilizzazione del termine «agape» anche laddove si
tratta di «eros», un'operazione radicalizzata a sua volta dagli autori neotestamentari.
Perche questa rimozione del termine «eros» dai testi biblici? Naturalmente
si comprende subito che una tale operazione non eÁ un fatto «innocente», in
quanto le parole non sono pure etichette appiccicate alle cose, ma veicolano
sempre una determinata esperienza del mondo con i suoi annessi codici di valore.
Se, dunque, gli autori biblici dif®dano della parola «eros» eÁ perche essi ravvisano
morte e disperazione in quella stessa parola che per i greci tentava di esprimere
ebbrezza e felicitaÁ. EÁ dentro un tale radicale cambiamento di segno che si costituisce l'opposizione tra sapienza greco-pagana e fede ebraico-cristiana, ma
tutto questo diventa comprensibile non attardandosi in una meccanica equivalenza tra eros e peccato e/o tra agape e virtuÁ, riportando l'eros a un sistema di
cieca necessitaÁ e l'agape a un sistema di ideale libertaÁ, quasi una contrapposizione di notte e giorno, tenebra e luce, selvaggia passione e autopresenza trasparente, «pura» natura e «puro» spirito. Nell'uomo, in effetti, tutto eÁ natura e
tutto eÁ spirito e non eÁ possibile separare nel suo comportamento una componente che possa ricondursi alla «pura» natura o al «puro» spirito essendo egli
piuttosto, in quanto spirito «incarnato», quel luogo «ambiguo» in cui i processi
naturali sono giaÁ attraversati da una intenzionalitaÁ e quelli spirituali sono inseparabili dal sostrato naturale su cui s'innestano. Se si tiene presente l'unitaÁ di
questo senso globale dell'umano allora il termine «eros» non connota un negativo spazio espressivo di per seÂ, ma appunto il fatto che in esso si proietta un
determinato modo d'essere dell'uomo nel rapporto con gli altri, una speci®ca
«opzione fondamentale», si sarebbe detto una volta, determinata da un ripiegamento narcisistico sul proprio io, caparbiamente indisponibile a ogni movimento
di trascendenza e di apertura all'altro, fagocitato da un universo impersonale e
anonimo. Inteso in tale accezione si comprende la necessitaÁ della sua «conversione», cioeÁ di un processo catartico che porti l'eros a liberarsi della «servituÁ»
costitutiva che lo divora dall'interno per tras®gurarsi in «agape», cioeÁ in un'esperienza di apertura e di dono, un'esperienza al contempo di rinuncia alla
clausura dell'io e di conservazione/trasformazione della stessa corrente calda
dell'eros nella profonditaÁ di un presente liberamente partecipato e condiviso,
secondo l'esempio del Cantico dei cantici e di quei passi biblici ispirati a un
«simbolismo sponsale» nei quali l'amore Ð persino quello tra Dio e il suo popolo
Ð non eÁ governato dall'arbitrio fugace dell'eros, ma dal «legame liberante» di una
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NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
vera relazione interpersonale, che eÁ l'orizzonte in cui l'erotico viene sollevato
all'etico, cioeÁ al kantiano regno dei ®ni.
Nell'impossibilitaÁ di approfondire qui il ricco tessuto di analisi e di argomentazioni che accompagnano i temi richiamati, che sono solo alcuni tra i molti
altri, dei quali peraltro il lettore puoÁ prendere visione semplicemente scorrendo
l'ampio indice analitico del libro, non potendo qui che accontentarci di una
visione quasi impressionistica dell'insieme di questo lavoro, eÁ forse opportuno
soffermarci su un ultimo punto, che eÁ anche quasi la ricapitolazione e il coronamento da cui a mio avviso appare orientata l'intera ricerca, quello della categoria di «persona».
Si eÁ appena accennato Ð e forse eÁ inavvertitamente passato come un messaggio neppure tanto subliminale Ð al fatto che «eros» si annuncia dentro un
orizzonte «impersonale», mentre «agape» eÁ esperienza costituente «persona» e
costituita da «persone». Si puoÁ qui aggiungere che l'entrata in scena della categoria di «persona» non si produce per un meccanismo esterno a quanto ®nora
detto, ma vi si connette strettamente, anzi essa, in quanto principio di relazione,
si presenta giaÁ tutta racchiusa ed evocata con la questione intorno all'esseredonna, portando la donna inscritto nella stessa struttura generativa del suo corpo
un rapporto vivente con l'altro in quanto «altro da se dentro di se». Anche qui,
peroÁ, una radicalizzazione dell'opposizione tra «eros» e «agape=persona» rischia
di portare a una dimensione puramente «coscienziale» della persona, neutralizzando, marginalizzando o comunque ignorando quello strato originario di Lebenswelt su cui riposa ogni sua attivitaÁ esplicita, quel mondo preliminare praticopercettivo che, in quanto intercorporeitaÁ, funge da vinculum in ogni esperienza
di intersoggettivitaÁ. In un certo senso il riconoscimento dell'«eros» come momento costitutivo della nostra soggettivitaÁ, per quanto non staccato da una integrazione dinamica con l'interezza dell'umano, deve richiamarci alla nostra condizione di soggettivitaÁ «®nite», mai completamente sciolte da ogni inerenza alla
fattualitaÁ: «dal buio dell'irrazionale (dal sentimento, dalla brama, splendida madre della conoscenza) germogliano i luminosi pensieri», scriveva Schelling (VII,
360). La cosiddetta «conversione» dell'eros, alla cui necessitaÁ si fa riferimento nel
testo del professore Milano, non puoÁ certo coincidere con la sua nulli®cazione o
con il suo risolversi nelle idealizzazioni degli sguardi belli e trasparenti dell'agape. Per instaurarsi a un livello piuÁ profondo l'eros, certo metamorfosandosi,
deve continuare ad alimentare il terreno su cui prende corpo l'attivitaÁ dell'agape
e appunto in tale rapporto di implicazione reciproca si chiarisce l'osservazione
dello stesso Schelling che «solo nella personalitaÁ eÁ vita; e ogni personalitaÁ si
fonda su un fondamento oscuro, che deve essere senza dubbio anche fondamento della conoscenza» (VII, 413). Alla rivendicazione di «quell'oscura forza
originaria, che eÁ a fondamento di ogni esistenza», in cui Schelling stesso cerca un
superamento dell'«idealismo», a cui viene contestato di negare quella «originaria
forza di negazione», anzi di voler «eliminare del tutto l'inquieto, sciogliere del
tutto l'incomprensibile nell'intelletto», in breve di «annullare l'opposizione alla
fonte» (VIII, 212), si potrebbe far corrispondere nel nostro contesto quella
dell'«eros».
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Si possono trovare varie denominazioni per individuare il contenuto dell'eros: potenza irrazionale, impulso originario, cieco volere o cioÁ che si collega alla
Sucht boÈhmiana, che eÁ desiderio e nostalgia, il fondo senza regola e senza limite
dell'essere stesso che appunto ne rivela la «natura anceps», il suo carattere
«demoniaco» capace di travolgere e distruggere tutto al pari del dionisiaco nietzschiano. Gli eÁ, peroÁ, che senza questo oscuro «principio barbarico», a cui lo
spirito eÁ chiamato a conferire ordine e misura, freno e stabilitaÁ, la vita stessa dello
spirito perderebbe slancio e forza, contenuto e dinamismo.
Potrebbe questo intrico di osservazioni offrire qualche utile suggerimento Ð
naturalmente tenendo conto dei distinti contesti di discorso Ð anche per un'articolazione meno rigida ed esclusiva del rapporto tra «eros» e «agape»? E potrebbe la stessa categoria di «persona», non solo quella dell'uomo, ma per Schelling persino quella di Dio, riceverne un fascio di illuminazione rispetto all'intera
tradizione dello «spiritualismo» occidentale, spesso cosõÁ illanguidito ed esangue,
per rappresentare «compiutamente» una religione fondata sulle veritaÁ dell'«incarnazione» divina e della risurrezione dei «corpi»? Forse c'era piuÁ veritaÁ e
certamente piuÁ robusto realismo di tante diffuse formule «spiritualistiche» nell'adagio medioevale: «gratia non destruit, sed per®cit naturam», a buon ragione
riconosciuto una sintesi ef®cace del pro®lo piuÁ proprio e profondo dell'interpretazione «cattolica» dell'esperienza religiosa, una sintesi che l'ha resa capace di
guardare attraverso i secoli allo stesso rapporto paganesimo-cristianesimo non
come a un puro terreno di con¯itto e di separazione, ma di reciproca integrazione. Un buon auspicio anche per una trattazione serena ed equilibrata «Fra i
tempi» Ð come recita il titolo del capitolo conclusivo Ð della condizione femminile in chiave cattolica? Di certo eÁ che il lettore potraÁ trovare nel libro del
professore Milano molto di piuÁ e molto meglio argomentato di quanto qui si eÁ
accennato e ammirare la curiositaÁ intellettuale con cui egli si muove in rebus
theologicis, senza tirarsi indietro quando si tratti di parlare fuori dai denti.
Napoli, UniversitaÁ Federico II
FRANCESCO DONADIO
3. Sull'identitaÁ dell'uomo e dell'amore umano. Una lettura antropologica
Introduzione
Negli anni '60 e '70 del secolo scorso, fra i tanti fenomeni che hanno
rivoluzionato la convivenza sociale e civile dell'Occidente e, per certi versi,
scosso alcuni dei piuÁ consolidati quanto tradizionali immaginari antropici, c'eÁ
stato lo sviluppo del movimento femminista. Si eÁ trattato di un fenomeno socialmente e culturalmente rilevante per non pochi aspetti.
In primo luogo, come movimento socio-culturale, impegnato a rivendicare a
favore delle donne libertaÁ sessuale, pari opportunitaÁ sociali, politiche e lavorative, ha contribuito alla cosiddetta rivoluzione o, liberazione sessuale. Infatti,
mentre una certa morale tradizionalista cattolica, radicata in particolare nei paesi
mediterranei a forte componente contadina, unitamente all'esigenza di un deter-
126
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
minato pudore sociale, bloccavano le donne in stereotipi del tipo angeli del
focolare, mogli fedeli, mamme e casalinghe, dai paesi anglosassoni e dal nord
Europa partivano le provocazioni del movimento femminista in grado di scuotere
quelle certezze antropo-etiche, ritenute acquisite e praticate, specie in ambito di
morale sessuale e genitale.
In secondo luogo, questo movimento, non poco adiacente al piuÁ generale
processo storico di secolarizzazione che ha visto l'Occidente per protagonista, ha
contribuito, socialmente e politicamente, a riabilitare immagine e ruolo delle
donne, che hanno ottenuto signi®cative conquiste anche in ambito giuridico.
Si pensi, al riguardo, all'odioso istituto giuridico del «delitto d'onore» esistente
nel codice italiano ®no agli anni '50, il quale considerava giusti®cabile un omicidio per l'infedeltaÁ coniugale che vedeva usualmente come vittime le donne. Si
ri¯etta, parimenti, sul dato che solo di recente eÁ stata codi®cata giuridicamente
una norma che ritiene lo stupro un delitto contro la «persona» ed il suo diritto
all'integritaÁ psico-®sica. Il femminile, insomma, in Occidente ha fatto certamente
dei passi verso un riequilibrio sociale con il maschile. Tuttavia, in alcune frange
oltranziste del femminismo e post-femminismo ideologico attuale, non si afferma
la complice rivalitaÁ e la rivale complicitaÁ fra due modi diversi e analoghi di
realizzare l'identica natura umana, bensõÁ un amalgama, meglio, una con-fusione
di ruoli, teorizzata attraverso la nozione di uguaglianza senza residui. Si relativizza la natura a favore di immagini antropologiche decisamente idealizzate.
In terzo luogo, le provocazioni femministe, travalicando gli orizzonti del
sociale e del politico, sono entrate velocemente, ed in piuÁ riprese, nei dibattiti
®loso®ci e teologici, concrezionandosi specie in quegli ambiti che piuÁ direttamente riguardano le ®gure del femminile, dell'amore coniugale, dell'impegno
profetico e dirigenziale nelle varie confessioni cristiane. Attualmente si assiste
a dibattiti complessi che riguardano il ruolo sottomesso che le donne subiscono
in altre confessioni religiose anche quando entrano a far parte del tessuto sociale
occidentale, oggi forzatamente a confronto con i paradigmi socio-culturali vigenti
nell'Occidente post-cristiano. Le critiche polemiche, peroÁ, in particolare, avevano, e ancora hanno, come obiettivo principale la Chiesa Cattolica ed il ruolo
«marginale» quanto anacronistico, che, a loro dire, si ostina ad attribuire alla
donna.
Il movimento femminista, dunque, nonostante e attraverso i suoi pregi e
difetti, eÁ stato un evento storico che ha contribuito, a suo modo, alle attuali
ri¯essioni sull'identitaÁ dell'uomo, della donna, delle relazioni fondamentali che
gli esseri umani istituiscono fra loro.
L'Autore del saggio, oggetto delle presenti considerazioni, non si eÁ lasciato
sfuggire questa ghiotta occasione per proporre il suo itinerario ri¯essivo biblicoteologico incentrato proprio su tali tematiche. Sebbene sarebbe potuto partire da
altri posizionamenti ermeneutici ugualmente validi per scandagliare donna e
amore, eros, agaÂpe e persona nella Bibbia, Milano, a nostro avviso, non ha scelto
a caso il confronto con le piuÁ note esponenti del pensiero femminista, perche le
ha considerate l'alter ego con cui relazionarsi e confrontarsi intellettualmente. Di
ben altra portata sembra essere il ®ne remoto, del quale intendiamo cogliere
alcuni signi®cativi aspetti antropologici, teologici, nonche di ®loso®a dell'uomo,
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
127
che ci sembrano maggiormente fecondi per le numerose quanto attuali questioni
che riguardano le ®gure del maschile, femminile e dell'amore umano.
Conviene rilevare, in prima battuta, che questo denso saggio eÁ solo l'ultimo
anello ri¯essivo di un itinerario di studi intrapreso dall'Autore molto tempo fa. Si
tratta di un cammino teologico ben preciso, che inizia con lo studio sull'istinto in
Tommaso d'Aquino 1, prosegue con la svolta ermeneutica della sua teologia 2,
quindi con il ripensamento a fondo della nozione di persona in teologia 3, approda, in®ne, alla riconsiderazione del concetto di veritaÁ fondato nella autorivelazione della Persona Christi 4, e, appunto, del concetto di maschilitaÁ, femminilitaÁ,
d'amore e delle relazioni d'amore umano, ripensate alla luce del fondamento
agapico cristologico-trinitario 5. Gli ultimi tre lavori offrono non pochi spunti
antropologici e gli ultimi due, in particolare, li potremmo raccordare alle facoltaÁ
dell'anima, intellettiva (la questione della veritaÁ) e volitiva (la questione dell'eros,
agaÂpe, piuÁ in generale delle relazioni affettivo-volitive umane).
L'oggetto di questo saggio, si eÁ detto, eÁ scandagliato da una prospettiva
eminentemente biblica e teologica. Non si tratta, percioÁ, di un saggio ®loso®co.
Tuttavia, come giaÁ per gli altri lavori di Milano, anche in questo, sono contenuti
spunti speculativi, sinossi culturali fra mondi differenti eppure entrati in contatto
fra loro, come il giudaismo e la grecitaÁ. Tutto cioÁ sembra esigere, almeno non
vietare, una rilettura piuÁ ampia del solo approccio biblico-teologico, scorgendovi
spunti e suggestioni pertinenti la ®loso®a dell'uomo. EÁ questo il nostro proposito. Data la complessitaÁ e abbondanza di stimoli ri¯essivi che il testo contiene
cercheremo di muoverci selettivamente, scegliendo solo alcuni temi antropologici
che ci paiono maggiormente adiacenti ai nostri interessi e in grado di apportare
ulteriori stimoli alle attuali, quanto numerose, discussioni e controversie sull'identitaÁ dell'uomo, della donna e delle relazioni che istituisce con gli altri da seÂ.
PiuÁ in generale usufruiremo dei suggerimenti offertici dall'autore per porgere,
eventualmente, ulteriori spunti di discussione, utili per tutte quelle questioni
riguardanti l'affettivitaÁ, l'identitaÁ sessuale, la consistenza ontologica ed etica della
persona umana, l'eventuale ®ne teleologico. Questioni mai del tutto tramontate
neppure nei paradigmi antropologici del post-moderno, anzi tornate alla ribalta
con prepotenza nel tempo del trionfo del tecnologico e del pensiero bioetico 6.
Il saggio, nei primi due capitoli chiari®ca oggetto e motivazioni della propria
ricerca, nonche il metodo biblico-teologico scelto. Quindi, passo dopo passo,
1
A. MILANO, L'istinto nella visione del mondo di San Tommaso d'Aquino, DescleÂe &
C. -- Editori Ponti®ci, Roma 1966.
2
ID, Rivelazione ed ermeneutica. Karl Barth, Rudolf Bultmann, Italo Mancini, Quattroventi, Urbino 1988.
3
ID, Persona in teologia. Alle origini del signi®cato di persona nel cristianesimo
antico, Edizioni Dehoniane, Napoli 1984, Roma 19972 riveduta ed ampliata; La trinitaÁ
dei teologi e dei ®loso®. L'intelligenza della persona in Dio, in A. PAVAN e A. MILANO
(curr.), Persona e personalismi, Edizioni Dehoniane, Napoli 1987, 3-286.
4
A. MILANO, Quale veritaÁ. Per una critica della ragione teologica, Edizioni Dehoniane, Bologna 1999.
5
ID, Donna e amore nella Bibbia. Eros, agape, persona, Edizioni Dehoniane, Bologna 2008.
6
Mi permetto di rimandare al mio I nodi della vita. Indagine sull'idea vita tra
®loso®a e bioetica, ESI, Napoli 2009.
128
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
sistematicamente, dal Primo Testamento ®no al Secondo, persegue la propria
rilettura della donna e amore nella Bibbia, non nascondendo dif®coltaÁ legate alla
concezione patriarcale del giudaismo e del cristianesimo apostolico e post-apostolico, ma, neppure sottovalutando elementi di forte novitaÁ e differenze che
emergono nella Scrittura contro culture e religioni coeve ad Israele. Compara
sinotticamente e con certosina pazienza tutte le differenze esistenti fra la concezione dell'amore umano sviluppatasi nel Testo Sacro con quella del pensiero
®loso®co dei padri ®loso® greci che, comunque, a loro modo, hanno dato notevole impulso alle tematiche dell'eros, philia, agaÂpe e storgheÂ, vocaboli che con
semantiche diverse declinano il mondo delle relazioni d'amore umano 7.
Il punto di vista antropologico, dal quale ci posizioniamo, ci induce, tuttavia, ad operare una rilettura di alcune impegnative tematiche usando una metodologia, per cosõÁ dire, a gambero, partendo da quello che per i nostri interessi eÁ il
capitolo piuÁ signi®cativo dal punto di vista della ®loso®a dell'uomo e cioeÁ l'undicesimo, per retrocedere, quando necessario, altrove. L'autore stesso lo denomina una «ricapitolazione ragionata su eros, agaÂpe e persona».
Origini: «in principio l'eros?»
Qual eÁ il rapporto fra eros, agaÂpe e persona? Questa, indubbiamente, eÁ una
domanda fondamentale che attraversa tutto il saggio. Potremmo chiederci, a
nostra volta se si tratta di una triade di concetti antropologici venuti fuori, in
qualche modo, dalla mitopoiesi biblica, dunque inadoperabili sul piano ri¯essivo
se non in ottica di fede cristiana? Oppure queste tre impegnative cognizioni
hanno una qualche continuitaÁ con la natura e la vicenda dell'autocomprensione
umana globalmente intese? Sarebbero, cioeÁ, una veritaÁ dell'uomo in quanto tale?
In questo caso, rivelerebbero delle ampli®cazioni semantiche in grado di apportare novitaÁ sull'identitaÁ dell'uomo, della donna e dell'amore umano, ricevute, per
grazia, dalla storia della salvezza che ha visto Israele per protagonista? Si tratterebbe, cioeÁ, di una rivelazione antropologica fatta all'umanitaÁ tramite Israele da
parte del Dio delle origini? In che senso, dunque, potrebbero accampare una
pretesa semantica universale, almeno universalizzabile, al di la della fede confessionale?
Il teologo A. Milano, naturalmente, ha come sfondo la sua fede nel Dio
Creatore e Salvatore. Questo punto di partenza, peroÁ, non gli vieta di dialogare
con paradigmi culturali diversi da quello strettamente teologico 8. In ogni caso,
attraverso indagini di indole storico-biblico-teologiche, ma anche attraverso l'utilizzo di una ontologia della persona mai rinnegata, eÁ affermata la
«consustanzialitaÁ» 9 fra eros e la creatura umana corporea, personale, sessuata,
differenziata in maschio e femmina. Essere creature corporee, maschi e femmine,
possedere il dinamismo naturale tipico dell'eros, non eÁ un accidente evolutivo,
7
Donna e amore..., 33-78; cfr. G. ANGELINI, Eros e agape. Oltre l'alternativa, Glossa,
Milano 20062; J.L. MARION, Il fenomeno erotico, Cantagalli, Siena 2007; C. NARDI, L'eros
nei Padri della Chiesa. Storia delle idee, rilievi antropologici, Mir, Roma 2000.
8
Cfr. N. PANAYOTIS, Voi siete dei. Antropologia dei Padri della Chiesa, CittaÁ Nuova,
Roma 1993.
9
Donna e amore..., p. 253.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
129
neppure un peso da sopportare, per poi, un giorno, liberarsene. La dimensione
sessuata e differenziata in maschio-femmina, reciproca ma non gerarchizzata, eÁ
voluta dal Dio Creatore. Essere corpi sessuati, uomini o donne che siano, eÁ una
realtaÁ antropologica originaria buona in seÂ, cosõÁ com'eÁ buona tutta la creazione.
Persino dopo l'irruzione del male, della corruzione a opera del peccato Ð ulteriore concetto biblico che eziologicamente ed in prospettiva religiosa desidera
aprire varchi alla speranza verso il Dio della redenzione e liberazione Ð, eros,
corpo e persone umane necessitano di conversione e redenzione. Il Dio Origine
di tutte le cose vuole presente sin dall'origine, sino dalla prima apparizione della
creatura umana, l'eros come qualcosa di buono, di profondamente umano, consustanziale, appunto, all'essere maschio e femmina 10. Questa tesi eÁ ulteriormente
rafforzata nella misura in cui il medesimo Creatore non eÁ mai indifferente alle
vicende umane. Egli stesso possiede trascendentalmente qualcosa dell'eros creaturale e, anzi, con il prendersi cura della sua creatura, in vista di una offerta
salvi®ca che riguarda l'uomo nella sua integritaÁ ed in vista del mistero dell'Incarnazione, l'eros non gli saraÁ estraneo neppure dal punto di vista corporeo. Una
cura amorevole che culmina con la redenzione offerta da Cristo sintesi misteriosa
dell'umano e del divino, annunciata e vissuta in prima persona dall'uomo-Dio.
Stando a cioÁ, che eÁ analiticamente confermato attraverso il lungo studio biblicoteologico, e guardando alle, talora, distoniche interpretazioni antropologiche
della Chiesa, Milano si pone la domanda del percheÂ: «[...] un paio di millenni
di storia del cristianesimo, a quanto sembra, non corrispondono sempre, per non
dire che corrispondono piuttosto di rado, a una tale comprensione dell'eros in seÂ
e nel suo rapporto con l'agaÂpe?» 11.
Con questo quesito centrale, ma unitamente e volutamente retorico, percheÂ
posto nel capitolo riassuntivo a risultati oramai ottenuti, rivela il suo obiettivo
che eÁ quello di una critica della dottrina e prassi cristiana circa la donna, l'uomo,
l'eros, l'agaÂpe e la persona, nella misura in cui, piuttosto che essere davvero
cristiana, sul piano speculativo, spirituale e pastorale, sembrerebbe avere molto
piuÁ a che fare con ®loso®a e antropologia greche che con la Sacra Scrittura.
Per dare una risposta convincente a questa intuizione, peraltro giaÁ sviluppata a proposito del concetto di veritaÁ, il nostro autore, analizza ®lologicamente i
vocaboli greci che denotano l'amore umano, e, si sofferma, in particolare, sui
sostantivi eros e agaÂpe e sui verbi eraÄn e agapaÄn. Fa notare che nella letteratura
greca agaÂpe e agapaÄn, i quali termini rimandano ad un concetto di amore come
scelta gratuita e libera che parte da un soggetto di solito forte verso un soggetto
debole, dal grande al piccolo che ne riceve grati®cazione, sono poco ricorrenti
rispetto all'uso di eros ed eraÄn. Questi ultimi denotano l'amore erotico in quanto
dinamismo, impeto, desiderio attivo sedotto dal proprio oggetto. Mentre eros ed
eraÄn sono un moto ascensivo, passionale, una specie di furia erotica che puoÁ
innalzarsi ®no al livello supremo meta®sico-divino, agaÂpe e agapaÄn descrivono
una forma d'amore pacata, diffusiva, orizzontale 12.
10
Ib.,
11
Ib.,
12
pp. 67-71.
p. 254.
Ib., p. 256.
130
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
Nella traduzione greca della Bibbia, invece, accade esattamente l'opposto.
Sostantivo e verbo eros ed eraÄn sono centellinati, mentre agaÂpe e agapaÄn sono
usati come sostitutivi, anche quando si tratta di descrivere relazioni passionali,
sessuali, cioeÁ quando si dovrebbe usare la semantica di eros, eraÄn 13.
Un primo motivo di questa inversione semantica il nostro teologo lo individua nel fatto che la Bibbia, pur parlando di amore umano, vuole distinguersi
rispetto al mondo greco-pagano da cui mutua i termini. La traduzione cosiddetta
dei Settanta usa alcuni termini greci a volte seguendo la semantica semitica, altre
volte quella greca, altre volte ancora nessuna delle due, inventando neologismi ad
hoc. Ancora di piuÁ se si pensa che la traduzione della Bibbia eÁ stata usata da
cristiani che hanno fatto convergere il Primo Testamento verso il Secondo 14. La
nuova dottrina, percioÁ, esigeva il ri®uto di praticare l'eros secondo usi, abusi e
costumi pagani, ®no al punto d'interdire i vocaboli che si riferivano a quel
paradigma antropologico. Il secondo motivo, Milano, l'individua nella radicalitaÁ
della buona notizia evangelica. Il Nuovo Testamento non conosce erotismo
confuso con un generico senso di religiositaÁ, meta®sico, rituale e popolare che
esso sia, cosõÁ com'era di solito concepito nelle culture e religioni extra bibliche 15.
Ma anche il Primo Testamento non confonde questi piani e concepisce l'eros,
originariamente creato insieme agli uomini, come qualcosa di umano, personale,
che deriva dal Dio dell'alleanza, amante geloso dell'umanitaÁ.
Ma qual eÁ l'originazione dell'eros nel mondo greco, dal momento che il
paradigma meta®sico-antropologico ellenico eÁ cosõÁ presente nelle speculazioni
teologiche della tradizione cattolica? Per Milano questo eÁ uno degli aspetti centrali del suo studio e che pone all'attenzione del lettore. In realtaÁ, esiste una
sostanziale discontinuitaÁ fra l'eros concepito nel mondo biblico e quello teorizzato dalla ®loso®a greca. A tal proposito, prende in considerazione, in particolare, le teorie sull'eros di Platone per piuÁ motivi. Intanto, perche la concezione
platonica eÁ paradigmatica del modo greco di vivere l'eros, delle prassi sessuali
concrete ed usuali in quel periodo storico, delle relazioni fra donna e uomo, ma
non solo. Inoltre, perche le teorie platoniche hanno avuta una vasta eco nei secoli
successivi, travalicando il mondo pagano in cui sono sorte per innervarsi in
profonditaÁ anche nella tradizione religiosa giudeo-cristiana dei primi secoli
post-apostolici. Il platonismo, ed eÁ questa una importante tesi dell'autore, peraltro giaÁ accennata ma che conviene ora ribadire, eÁ entrato a far parte del patrimonio, per cosõÁ dire, della teologia e spiritualitaÁ cristiane, condizionandone non
poco le successive ri¯essioni su maschio, femmina, eros, agaÂpe e persona, ®no ai
nostri giorni.
Ora, alla ricerca di chiari®cazioni storico-teoretiche, analiticamente compie
una esegesi dei piuÁ importanti dialoghi del grande ateniese, dimostrando di
essere perfettamente a suo agio anche nel «mondo di Sophia». Si sofferma in
13
Si rimanda al cap V dedicato al «contrappunto» Cantico dei cantici, pp. 93-115,
che riveste, a mio parere, un grande rilievo nell'ermeneutica biblica dedicata dall'Autore
al Primo Testamento.
14
Donna e amore..., p. 258. Cfr. U. BIANCHI (et alii), Le civiltaÁ nel mediterraneo e il
Sacro, Jaca Book, Milano 1992.
15
Donna e amore..., p. 259.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
131
particolare sul dialogo Simposio non prima di aver notato che i Padri della Chiesa
hanno avuto una sincera ammirazione per le speculazioni ®loso®che contenute
nei dialoghi platonici, ®no a ritenerne l'autore una specie di profeta pre-cristiano,
che, in qualche misura, avrebbe anticipato non poche tematiche circa l'uomo e il
suo mondo care al cristianesimo. Platone, in altri termini, avrebbe disposto il
paganesimo ad accogliere il cristianesimo per quella forma di «praeparatio
evangelii» 16 esistente nella sua sapienza ®loso®ca. Questo signi®ca che il cristianesimo delle origini avrebbe pensato ad una forma di continuitaÁ fra l'uso ®loso®co della ragione ed i contenuti dottrinali della Rivelazione 17.
L'eros pagano, attraverso la sottile ermeneutica che ne fa il saggista, emerge
come una potenza a piuÁ facce che va dall'essere considerato come un dio da
osannare 18 ®no ad un qualcosa da capire in profonditaÁ af®nche possa essere una
via d'accesso alla vera sapienza 19. Tutto cioÁ ben risulta dalla polemica contenuta
nel Simposio fra le ®gure dialoganti ®ttizie di Agatone e Socrate 20. EÁ attraverso la
®gura del suo maestro e della sua arte maieutica che Platone espone le proprie
sottili analisi sull'eros. Possiamo sintetizzare il tutto in alcuni punti chiave individuati da Milano 21.
In primo luogo, l'eros non eÁ un dio, ma, pur essendo qualcosa di superiore
all'uomo, eÁ inferiore agli dei. Per secondo, percioÁ, eÁ mediazione fra mondo degli
umani e mondo degli dei. Eros eÁ un essere, un demone, che fa da ponte fra questi
due mondi. Per terzo, eros, ®glio di povertaÁ (Penia) e ricchezza (Poros), in quanto
mediatore fra uomini e divinitaÁ, eÁ una potenza impulsiva che incessantemente
attiva il dinamismo dei desideri degli uomini, inclinandoli a colmare cioÁ che loro
manca, cioÁ di cui per natura sono carenti e ne avvertono la privazione.
Proseguendo, l'eros Ð e questo eÁ uno svincolo centrale per l'economia del
saggio Ð eÁ rivolto verso «l'oggetto» e non verso i «soggetti». Per cui, essendo
impulso, desiderio, spinta ed inclinazione al possesso del buono in seÂ, del bello in
seÂ, del Buono che eÁ Bello, ma, anche viceversa, non si comprende a partire dai
soggetti Ð che sono solo ¯ebili rimandi di queste qualitaÁ meta®siche dell'essere Ð
bensõÁ se riferito all'Oggetto meta®sico che esprime le suddette qualitaÁ meta®siche
in quanto tali. Un ulteriore importante nodo eÁ il seguente. Eros, dunque, eÁ una
potenza mediatrice che spinge «ascensivamente» gli uomini alla ricerca dell'immutabile bellezza e bontaÁ. Non si rivolge primariamente verso cioÁ che eÁ dentro la
deperibilitaÁ del mondo materiale. La felicitaÁ, che Platone teoreticamente elabora
per gli uomini, consiste proprio nell'appagamento di questa pulsione ascensiva,
meta®sica verso l'Oggetto bello e buono per se e in seÂ. Occorre, dunque, andare
oltre le soggettivitaÁ di genere maschio e femmina. Questo ulteriorizzarsi al di la
16
Ib.,
17
p. 262.
Cfr. G. RINALDI, Cristianesimi nell'antichitaÁ. Sviluppi storici e contesti geogra®ci,
Edizioni GBU, Chieti-Roma 2008, pp. 57-113.
18
Donna e amore..., 264.
19
Ib., p. 266.
20
Ib., pp. 267-272.
21
Questi punti li abbiamo tratti dal lavoro complessivo, in particolare dalle pagine
dedicate a Paolo di Tarso, da quelle dedicate a Platone ed alla incommensurabilitaÁ fra i
due modi d'intendere eros e agaÂpe. Sono affermazioni che, tuttavia, sono richiamate per
l'intero lavoro un po' a macchia di leopardo.
132
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
della materia rende indifferenti all'eros i soggetti concreti portatori del ri¯esso
della bellezza ideale. Essere maschio o femmina importa poco poiche i soggetti, a
loro volta, sono solo mezzi, non ®ni, verso il mondo ideale immutabile.
Milano fa notare Ð e questo eÁ un ulteriore punto importante della sua
ermeneutica platonica Ð che eros, nelle teorie del ®losofo ateniese messe in bocca
al maestro Socrate, ammette persino l'amore per i fanciulli (omo®lia), poiche eÁ
indifferente al sesso dell'amato. Purche sia amore retto, ovvero virtuoso, e non
esercizio smodato di sessualitaÁ viziosa, che, in qual caso, allontanerebbe dal
raggiungere l'ideale meta®sico. L'eros ®sico, dunque, nella linea speculativa platonica eÁ ritenuto il gradino piuÁ basso del vero amore che tende alla purezza del
meta®sico. Ecco percheÂ, addirittura, l'amore per i fanciulli dello stesso sesso eÁ
piuÁ puro di quello per le donne, poiche puoÁ fare a meno della passione carnale.
Analogamente alla dimensione antropica corporea che ostacola la pienezza della
esistenza meta®sica, la passione carnale, per Platone, ostacola la fruizione della
Bellezza e BontaÁ ideali. Misura di tutte le cose, allora, sono i trascendentali
dell'essere: UnitaÁ, VeritaÁ (intelligibilitaÁ dell'essere), BontaÁ e Bellezza. Questi
attributi rendono l'essere meta®sico desiderabile anche attraverso il furore erotico.
Milano, giustamente, si pone la domanda: e le donne? E l'amore di coppia?
Nell'orizzonte greco-pagano, fa notare, assolutizzare un individuo umano eÁ erroneo. Non eÁ teleologicamente degno della scintilla meta®sica posseduta dagli
individui umani orientare l'eros al di qua dell'ideale meta®sico: «Ci si potraÁ forse
sorprendere e persino scandalizzare, ma eÁ proprio cosõÁ. Sarebbe eccessivo parlare
di ``horror personae'', ma, certo generalizzando, va detto che, nel profondo, non
solo quella platonica, ma, in generale, la concezione greca dell'eros non fa conto
del singolo essere umano, della persona» 22. L'unica relazione che l'eros greco
ammette eÁ il concetto di partecipazione meta®sico in ordine alla generica nozione
di essere. L'antropologia greca non conosce i concetti di relazione, reciprocitaÁ,
io-tu 23.
Queste affermazioni di Milano, naturalmente, sono condivisibili. Dal punto
di vista della ®loso®a dell'uomo, anche se siamo consapevoli che esula dalle
intenzioni contenute nel saggio, potremmo, tuttavia, chiederci se la carenza dei
concetti di reciprocitaÁ, relazione, comunione interpersonale, sia un difetto dell'antropologia greca, perche poteva arrivarci speculativamente in qualche modo
usando diversamente la ragione naturale. Ovvero, se il massimo speculativo
consentito alla ragione naturale, non ispirata da una fede rivelata ma da un
pensiero religioso-meta®sico naturale, non consentisse aprire alcun passaggio
naturale verso l'antropologia relazionale. Ci chiediamo ulteriormente: l'ottica
ascensiva puntata sull'Oggetto dell'antropologia e meta®sica platoniche non mostra sorprendenti analogie con l'ascetica ®loso®ca buddista, ad esempio, al di la
dei concetti ®n troppo abusati di «trasmigrazione delle anime» e di «reminescenza» della veritaÁ? Non esistono, forse, sorprendenti similitudini fra l'antropologia greca e alcuni attuali paradigmi antropici fondati su un concetto di
22
Donna
23
e amore..., 271.
Qui, 272-273.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
133
esistenza universale ologrammatico e interrelazionato a rete? 24 I concetti di reciprocitaÁ, relazione interpersonale io-tu, trovano sostegno nella nozione di persona. Proprio questo concetto non eÁ, forse, continuamente messo in discussione
in Occidente, e ritenuto marginale nella gran parte delle antropologie esistenti
nel mondo contemporaneo? Che la nozione di persona sia pietra di scandalo sul
piano speculativo non vuol dire che non sia il centro della veritaÁ e vita di ogni
essere umano. Tuttavia, per accoglierla entro i limiti dell'umano pensare occorre
per forza la fede nel Dio della Bibbia, Origine, Creatore e Signore della storia?
Oppure no? Questioni che, in qualche modo, sgorgano leggendo il saggio in
questione. Questioni che in questa sede si possono solo porre ma non affrontare
sistematicamente. EÁ indiscutibile, comunque, che il percorso speculativo dei
greci ha portato al concetto di veritaÁ come indifferenza del Logos ed al concetto
di amore come indifferenza dell'eros.
Proprio in questa linea, Milano, individua un'ulteriore evoluzione della
semantica erotica greca con l'ultimo dei grandi ®loso®, Plotino, vissuto ampiamente in epoca cristiana e che ha in¯uito su pensatori cristiani del calibro di
Origene e Dionigi l'Aeropagita 25.
La meta®sica plotiniana ritiene che all'origine di tutto vi sia un piuÁ che ente,
assolutamente puro, oltre lo stesso essere, oltre dio, percioÁ ineffabile e inenarrabile. Questa arcana origine eÁ denotata come «Uno». Il saggio chiari®ca che, in
ottica plotiniana, all'Uno non si puoÁ attribuire una autocoscienza ri¯essa, percheÂ,
in qualche modo, perimetrerebbe cosõÁ la sua in®nitaÁ. La coscienza di se sembra a
Plotino essere un qualcosa di troppo umano. L'Uno ha una certa coscienza della
sua potenza, del suo eros originario, ma non di seÂ, perche eÁ in®nito e cristallino
impulso generante ma trascendente ogni generato. In questo senso, piuttosto che
essere logos di logos all'aristotelica maniera, eÁ «eros di se» 26. Ora, proprio in virtuÁ
del suo essere dinamismo di purissima volontaÁ, origine dell'origine, anche del
negativo, in questa formula di auto-erotismo meta®sico l'Uno ama cioÁ che esiste
di se nei suoi effetti, prodotti per emanazione 27. Poiche la nozione di emanazione
deve intendersi come una scia meta®sica che piuÁ si allontana dall'Uno e piuÁ
degrada, l'origine dell'eros umano eÁ qualcosa che proviene dal «dinamismo discensivo», esistente grazie alla causa meta®sica che lo rilascia come impronta
imperfetta di seÂ, dunque, eÁ un qualcosa di degradato rispetto all'originale assoluto, che attrae irrestistibilmente verso la fonte. Il moto ascensivo, nella mistica
®loso®ca plotiniana, eÁ una forma di risposta dell'eros umano che cerca la via del
ritorno all'Uno per perdersi in esso, nella sua in®nita indifferente e immutabile
quiete 28. Il nirvana mistico-meta®sico pensato da Plotino ritiene la dimensione
24
Cfr. F. CAPRA, La rete della vita. Una nuova visione della natura e della scienza,
BUR, Milano 1997.
25
Donna e amore..., p. 275.
26
Ib., pp. 274-275.
27
Nel prefazio VII delle domeniche del tempo ordinario della liturgia eucaristica
cattolica a un certo punto si legge: «[...] cosõÁ hai amato in noi cioÁ che ami nel Figlio...».
Ci siamo sempre chiesti del perche di certe affermazioni sibilline. Ora, grazie al lavoro di
Milano, comprendiamo che potrebbe essere una ripercussione sul piano liturgico-spirituale della mistica discensiva plotiniana.
28
Donna e amore..., p. 278.
134
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
corporea umana un'impasse da superare. In cioÁ eÁ analogo a Platone. Le creature
umane hanno come ®ne proprio l'annullamento dell'identitaÁ soggettiva, cosa che
accadrebbe con l'unione mistica con l'Uno. EÁ evidente che per questo paradigma
®loso®co il concetto di persona eÁ quanto mai marginale, com'eÁ marginale l'identitaÁ soggettiva sessuata dei singoli. Acutamente nota Milano: «Con tutta l'ammirazione che gli si deve, si eÁ obbligati, peroÁ, a prendere atto che Plotino dell'Uno
non parla mai in termini propriamente personali. Ne tratta, allora, in termini
impersonali? Se si vuole [...] Plotino lascia intendere che l'Uno eÁ quasi-personale,
in quanto eÁ al di la della personalitaÁ» 29. Questa prospettiva non eÁ forse analoga a
molti paradigmi antropologici post-cristiani che teorizzano l'indifferenza del
principio, ®sico, meta®sico o divino che esso sia? Non assomiglia, forse, a certe
®loso®e dell'uomo teorizzate da pensatori sincretisti da un punto di vista di
fede? 30 Quanto di Plotino c'eÁ in quella linea tradizionale antropologica e teologica cristiana che ha creduto rendere un servizio al Vangelo sminuendo la portata
del corpo e dell'eros a vantaggio di un misticismo dell'anima, ottenendo, invece,
un vantaggio per la mistica meta®sica a svantaggio della novitaÁ evangelica?
Eros e agaÂpe: una questione antropologica
EÁ proprio per rispondere a quest'ultimo quesito che eÁ dedicata una lunga
ri¯essione ad Origene, individuando nel suo pensiero uno dei punti critici di una
certa tradizione dottrinale cristiana. Milano lo prende in considerazione all'interno della sua ricerca teologica sui temi dell'eros, agaÂpe, persona, donna e amore,
perche fra i pensatori cristiani «[...] egli eÁ stato il primo a ritenere possibile far
coincidere i signi®cati della terminologia dell'eros con quelli designati dalla terminologia dell'agaÂpe» 31. L'autore, naturalmente, si chiede come mai questo celebre teologo cristiano dell'antichitaÁ abbia optato per la «pari®cazione semantica»
fra eros e agaÂpe, peraltro, depistando dagli autentici signi®cati dell'agaÂpe nella
Sacra Scrittura, specie quelli contenuti nel Nuovo Testamento 32. Formatosi nel
crogiuolo policulturale alessandrino del II-III sec., imbevuto di platonismo ripensato, rielaborato e assorbito in profonditaÁ dalla cultura del tempo, Origene
ben rappresenta l'altro esito del platonismo rispetto a quello di Plotino. Ermeneutiche dell'unica fonte, divergenti fra loro ma anche af®ni 33.
Questo raf®nato teologo dell'antichitaÁ, pur essendo cristiano, mutua da
Platone lo schema dualistico che oppone sensibile e intelligibile, materiale e
spirituale. Lo applica, quindi, alla propria dottrina esegetico-teologica. Tuttavia,
pur considerando la ®loso®a qualcosa di importante, la ritiene mezzo, ausilio, per
la ri¯essione sulla Scrittura, mai un ®ne in se stessa 34. CioÁ che Milano analizza del
pensiero di Origene sostenta le tesi centrali del libro. Ritiene esserci stato un
29
Ivi.
Esemplare in tal senso eÁ il sincretismo ®loso®co religioso di S. Weil. Mi permetto
rimandare al mio: La cristoso®a di Simone Weil fra religione, ®loso®a ed etica, Luciano,
Napoli 2000.
31
Donna e amore..., p. 285.
32
Ib., p. 286.
33
Ib., p. 288.
34
Ib., pp. 289-294.
30
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
135
«fraintendimento» sulle tematiche oggetto del saggio, che hanno in¯uito pesantemente sull'antropologia, teologia e spiritualitaÁ cristiane. Origene articola la sua
ermeneutica dell'eros e dell'agaÂpe attraverso l'esegesi del Cantico dei cantici Ð
cosa che anche Milano fa nel suo «contrappunto» ma con esiti ben diversi Ð.
Attribuisce al prezioso libretto del Primo Testamento un triplice senso: letterale,
spirituale e psicologico. Il livello letterale narra una vicenda impastata di eros e
poesia fra due amanti che si cercano per congiungersi nuzialmente. Una vicenda
squisitamente umana 35, che, tuttavia, eÁ interpretata da Origene come simbolica e
funzionale al secondo e terzo livello esegetico da lui proposto. Lo sposo e la
sposa, cosõÁ, divengono mezzi, ®gure di rimando, del Cristo (maschile) e della
Chiesa (femminile), del Logos divino (maschile, dunque piuÁ fondamentale) e
anima umana (femminile, dunque meno fondamentale). Il Cantico sarebbe uno
dei tanti testi biblici da interpretare esclusivamente in senso spirituale 36. Attraverso le analisi sull'alessandrino, l'Autore, affonda le ri¯essioni sulla terminologia
di eros-agaÂpe, mostrando il fraintendimento provocato dall'appiattimento semantico operato dal teologo dell'antichitaÁ, percheÂ, secondo lui, la Scrittura avrebbe
sostituito eros con agaÂpe solo per motivi di decenza e dignitaÁ, poiche l'interpretazione spirituale della Scrittura non eÁ alla portata di tutti 37. Platone, come del
resto Plotino, identi®cando l'eros come dinamismo ascensivo teleologicamente
orientato alla Bellezza e BontaÁ meta®siche, ha disposto il pensiero verso un'antropologia della contemplazione e della scarni®cazione. Molto di cioÁ eÁ presente
nel dna ermeneutico di Origene 38. La sua idea dell'amore, dunque, puoÁ essere
considerata una «fusione di platonismo ed esegesi biblica» 39. Quando la teologia
origeniana collega bellezza e sapienza alla ®gura del Cristo e connette l'eros con
la bellezza, compie una equazione squisitamente platonica risalente, come fa
notare l'Autore, direttamente al Simposio 40. Sugli in¯ussi storici del fraintendimento di Origene, Milano si esprime ef®cacemente: «EÁ Origene che, come
stiamo osservando, offre cittadinanza cristiana al legame platonico dell'eros
con la bellezza e, quindi, traspone questo stesso legame anche al divino in Cristo.
SaraÁ questa la compenetrazione che arriveraÁ allo Pseudo Dionigi, il quale, da
parte sua elaboreraÁ ripensandola insieme con la teoresi procliana, e saraÁ appunto
il risultato dell'operazione cosõÁ compiuta dallo Pseudo Dionigi che si trasmetteraÁ,
in ondate successive, a Massimo il Confessore e Giovanni Scoto Eriugena, e poi
ancora a Nicola Cusano, Marsilio Ficino e cosõÁ sino a Edith Stein» 41. Origene,
pur credendo che il Dio cristiano eÁ agaÂpe personale, applica al Dio della Rivelazione una sorta di sincretismo con la ®loso®a del proprio tempo e non mostra
di sentire contraddizione fra la formula giovannea del Dio come agaÂpe e quella
35
Donna e amore..., pp. 93-115, in cui Milano fa emergere l'impostazione erotica e
personale del Cantico.
36
Ib., p. 298.
37
Ib., p. 300.
38
Ib., p. 301.
39
Ivi.
40
Ib., p. 303.
41
Ib., p. 304. EÁ opportuno notare che il saggista cita indifferentemente ®loso® e
teologi, autorizzando ancora di piuÁ incursioni interpretative non con®nate al solo
aspetto biblico e teologico.
136
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
platonico-plotiniana del dio al di sopra dell'essere, originario e meta®sico logoseros 42, produttore, suo malgrado, di tutti gli effetti secondari derivanti dall'origine. Quasi, aggiungiamo noi, come il fumo che necessariamente deriva dalla
combustione; fumo che ha una qualche memoria della combustione originaria,
che in qualche misura gli appartiene, e alla quale tenderebbe naturalmente Ð nel
caso dell'uomo razionalmente Ð per ricomporsi con essa.
Milano, da queste ri¯essioni, trae le conseguenze in ambito antropologico,
che eÁ quello che ci interessa maggiormente. In primo luogo fa notare che Origene
cede molto al dualismo platonico che come conseguenza comporta una forte
svalutazione della nozione biblica di creatura. CioÁ si ripercuote pesantemente
sull'antropologia e sulle successive formulazioni e teorizzazioni dottrinali ®loso®co-teologiche cristiane 43. EÁ in questo schema meta®sico e nella tradizione che ha
principiato che debbono inserirsi le considerazioni sulla dignitaÁ e valore della
corporeitaÁ, della continenza, del matrimonio, della dignitaÁ e valore della donna
rispetto all'uomo, di una sessuofobia tipica di un certo moralismo ecclesiastico 44.
Il saggista, infatti, ci fa notare che le posizioni espresse dall'alessandrino sulla
donna e amore sono contraddittorie. Da un lato soggiace ai pregiudizi maschilisti
dell'epoca. Dall'altro c'eÁ qualche apprezzamento del femminino che trae dalla
Bibbia. In generale, la donna eÁ considerata inferiore all'uomo, fonte di libidine,
tentazione, peccato ecc., ®no a giungere, come si sa, alla soluzione ®nale della
svalutazione speculativa e pratica della sessualitaÁ, dell'eros carnale, per conservare solo quello spirituale. Ecco perche Origene non eÁ in perfetta sintonia con
l'idea neotestamentaria di agaÂpe 45.
In secondo luogo, il pareggiamento, meglio, la confusione semantica fra i
due termini in discussione, coinvolge direttamente l'ontologia dell'uomo. Infatti,
se eros e agaÂpe sono la stessa cosa allora, come l'uomo nel dinamismo di crescita
deve volgere l'eros al di la del sesso e del corpo, verso lo spirito Рpoiche il corpo
non sarebbe stato fatto per l'unione sessuale ma mistica Ð, cioÁ eÁ quanto in una
certa spiritualitaÁ cristiana fondamentalista si intende per sublimazione, analogamente il credente grezzo puoÁ innalzarsi al livello di cristiano perfetto per giungere a Cristo Sapienza, eliminando l'elemento che lo allontana ovvero l'eros 46.
Stando cosõÁ le cose, eÁ lecito affermare che Origene, eÁ il pensatore che ha favorito
il fenomeno dell'ellenizzazione dell'idea di agaÂpe «[...] piuttosto che la radicale,
compiuta cristianizzazione dell'idea di eros cosõÁ come era stata elaborata nel
pensiero greco, in particolare nella tradizione platonica» 47.
La dipendenza euristica fra momento speculativo e pratico, a proposito
dell'amore umano, storicamente ha ben mostrato che l'antropologia greca tollerava, se non approvava esplicitamente, una vita sessuale disordinata, ambigua,
che ammetteva l'uso del sesso ritualizzato (prostituzione sacra, riti d'iniziazione e
propiziatori a sfondo erotico ecc.). L'agaÂpe, biblicamente e cristianamente intesa
42
Ib.,
43
Ib.,
44
Ivi.
45
Ib.,
46
Ib.,
47
Ivi.
p. 308.
p. 309.
p. 110.
p. 311.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
137
Ð come mostra il lungo itinerario biblico del saggio invitando a ripensare biblicamente Paolo di Tarso ad esempio Ð, eros incluso, comporta sempre una relazione personale io-tu. Questo aspetto fa emergere la dignitaÁ dei soggetti in
relazione e della relazione stessa. CioÁ costituisce una rivelazione antropologica
sconosciuta al mondo pagano.
L'amore cristiano eÁ fondato sull'antropologia cristiana che eÁ sempre incarnata, spaziale, temporale, storica, dimensionata nelle vicende umane concrete,
vissute, godute, sofferte, da uomini e donne concreti. Non ha nulla dell'eterna atemporalitaÁ meta®sica di un principio nascosto nella propria arcana e meta®sica
indifferenza. Ecco perche Milano sottolinea incessantemente attraverso tutto il
saggio che l'amore cristiano eÁ diretto sempre alle persone concrete. La dignitaÁ
in®nita di cui godono le persone umane non deriva dalla loro eventuale composizione meta®sica, ma dall'impronta agapica divina che portano dentro 48.
AgaÂpe: intellectus hominis
L'antropologia teologica attuale ha riscoperto l'importanza della dimensione
escatologica della teologia. Questa esigenza eÁ stata preparata da una serie di
avvenimenti storici e teologici culminati durante il ventesimo secolo. Milano
prende in seria considerazione il rinnovamento della teologia, in particolare la
svolta ermeneutica, la teologia dialettica, la svolta antropologica 49. Lo fa, tuttavia,
criticamente, facendo notare che anche teologi del calibro di K. Barth, ad esempio, non escono fuori da una interpretazione dualistica fra eros ed agaÂpe, ritenendo il primo termine un aspetto contingente dell'uomo vecchio sotto il segno
del peccato, dunque da eliminare, la seconda nozione, invece, sarebbe il terminus
ad quem dell'uomo redento dalla fede. In pratica, la natura umana, per l'euristica
teologica della teologia dialettica, ma anche in qualche tornante della teologia
della cosiddetta svolta antropologica, o si manifesta sotto l'aspetto dell'eros o
sotto quello dell'agaÂpe, intravedendo una inconciliabilitaÁ radicale fra i due aspetti
dell'amore umano, frutto di una dialettica di opposizione situata all'interno della
ontologia, ovvero della natura profonda dell'uomo 50. AgaÂpe ed eros, pur essendo
fenomeni umani, non possono coesistere, perche l'uno porta alla salvezza e l'altro
alla perdizione. Questo aspetto, tipico della teologia riformata che ha importato
un certo pessimismo e dualismo antropologico dentro la concezione dell'uomo
biblico, lo si trova non poco presente anche nella antropologia teologica cattolica. L'Autore prende decisamente distanza dalle posizioni dualiste da qualsiasi
parte o momento storico vengano. Sulla base della Bibbia afferma che fra eros e
agaÂpe non vi eÁ alcuna contrapposizione dialettica. Piuttosto, afferma che Dio
esige, perfeziona, redime, le singolaritaÁ personali delle creature umane. Analogamente l'agaÂpe afferma ed insieme redime quella dimensione naturale dell'uomo
che eÁ l'eros 51. Milano, percioÁ, puoÁ affermare che «l'eros della creazione buona di
Dio e poi inquinata dal peccato non ha forse a che fare con la stessa ``nuova
48
Ib.,
49
Ib.,
50
Ib.,
51
p. 312.
pp. 314-317.
p. 317.
Ib., p. 322.
138
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
creazione'' attuata nell'evento pasquale di Cristo, a cui in fondo si connette pure
l'universale risurrezione della carne?» 52. Questa prospettiva biblico-teologica la
rinviene anche nel recente magistero ecclesiale 53. A questo punto antropologia e
sintesi teologica, escatologia in particolare, sono sintetizzate in un crescendo di
suggestioni, che pongono non pochi motivi di ri¯essione e discussione per chi
volesse fruirne anche da una prospettiva eminentemente di ®loso®a dell'uomo.
Il termine agaÂpe, cosõÁ com'eÁ formulato nell'encomio di 1 Cor., 13, di Paolo
di Tarso dedicato all'amore, e che Milano scruta in dettaglio poiche ha un grande
rilievo nell'economia del suo lavoro, emerge come termine polisemantico 54. In
questo importante brano del N.T., certamente scritto per aiutare a mitigare le
esuberanze sessuali dei neoconvertiti di Corinto, eÁ presente, tuttavia, una specie
di pro®lo psicologico-esistenziale di GesuÁ di Nazareth. Sulla scia di alcuni selettivi approfondimenti biblici 55, lo interpreta in senso eminentemente cristologico
al punto da rinvenire la sostituibilitaÁ fra il termine agaÂpe e il nome GesuÁ di
Nazareth. Infatti, nel tratteggiare le caratteristiche dell'amore cristiano Paolo
sembra descrivere la persona del Cristo, in base alla sua esperienza personale 56.
La polisemia di questa nozione, percioÁ, converge nella Persona Christi ed
attraverso Lui nella vita Trinitaria in base all'equazione teologica: se Cristo eÁ vera
Persona divina e Dio eÁ amore allora Cristo eÁ il volto incarnato dell'amore di Dio;
il che equivale a dire della identitaÁ di Dio. AgaÂpe, dunque, nella rilettura cristocentrica e trinitaria del saggio, eÁ il fondamento antropologico della fede cristiana,
della identitaÁ ontologica dell'uomo e dell'amore umano e, piuÁ in generale, della
creazione tutta intera 57.
L'inversione speculativa presente nel saggio, a questo punto, eÁ chiara. Milano
intende ridisegnare e riconvertire verso il Cristo la ®loso®a dualista che ha attraversato l'antropologia occidentale da Platone a Descartes ed oltre, ®no ai nostri
giorni. Intende, altresõÁ, ridisegnare cristologicamente e trinitariamente la ®loso®a
dell'essere che ha il suo fondamento storico nel Primo Testamento, in Esodo (3,14),
e che ha dato l'avvio a tante ri¯essioni ®loso®co-teologiche, importanti dal punto di
vista della storia della dottrina cristiana, ma oggi insuf®cienti, come la ®loso®a
dell'atto d'essere di Tommaso d'Aquino. Il nuovo e radicale fondamento eÁ l'AgaÂpe,
ovvero Persona e Comunione di Persone divine, relazione d'amore purissimo 58. EÁ
l'amore, e cioÁ che comporta, il fondamento dell'essere, non viceversa. La vera vita,
52
Ivi.
53
Benedetto
54
XVI, Enciclica «Deus Charitas est» del 2005.
Da un punto di vista biblico-teologico risultano assolutamente centrali le pagine
dedicate a Paolo di Tarso (pp. 187-234) nelle quali eÁ mostrato in dettaglio non solo il
con¯itto della concezione dell'amore fra il cristianesimo delle origini e il mondo greco
ma anche la discontinuitaÁ con la stessa dottrina ecclesiale. Donna e amore..., pp. 323-338.
55
L'autore sembra polemizzare con non pochi biblisti che intravedono in Paolo
componenti misogine e non gli rendono giustizia sulle novitaÁ teologiche a proposito
dell'amore umano. Sceglie, come riferimento biblico alcuni studiosi piuÁ aderenti alla sua
particolare esegesi, in particolare il biblista Romano Penna. Al riguardo cfr., J. MURPHYO' CONNOR, Vita di Paolo, Paideia, Brescia 2004; G. BARBAGLIO, Il pensare di Paolo,
Edizioni Dehoniane, Bologna 2004.
56
Donna e amore..., p. 336.
57
Ib., p. 338.
58
Ivi.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
139
percioÁ, eÁ amore, piuttosto che pensiero o essere. In questo senso, ed anche da un
punto di vista ®loso®co, occorrerebbe prendere sul serio l'auto-affermazione divina avvenuta nella Persona Christi: Io Sono la Via, VeritaÁ, la Vita. Esistere e
pensare non rivelano appieno la natura umana. L'amore volge la creatura verso
la piena realizzazione perche l'avvolge dal di dentro. La carenza d'amore, non di
pensiero, coscienza, ecc., inclina le creature verso l'annientamento 59. Il fondamento
®loso®co-teologico che propone l'Autore, sul piano antropologico, benche affascinante, richiede, tuttavia, il riconoscimento della Persona Christi come unico
fondamento, culmine speculativo ed esistenziale insieme, universale concreto,
che inserisce l'uomo nella circolaritaÁ teologico-teologale. Esige, in altri termini,
la fede cristiana e l'accoglienza della escatologia del N.T.
Antropologicamente si potrebbe aprire la contesa della veritaÁ sull'uomo con
le altre religioni, in particolare quelle monoteistiche, perche la Rivelazione afferma un solo Dio ma almeno tre veritaÁ, ovvero i tre grandi monoteismi del
mediterraneo; una sola natura umana ma tre modi d'intendere essere ed agire
dell'uomo. CioÁ riguarderebbe discussioni di ®loso®a della religione che esulano
dalle presenti ri¯essioni. Comunque, una volta sostituito il termine agaÂpe con
quello di essere, anche una ®loso®a dell'uomo cristianamente ispirata e non
estranea alla teologia potrebbe subire un'accellerata speculativa non senza interessanti conseguenze. Cogliamone alcune.
In primo luogo, l'agaÂpe in tal modo intesa, eÁ intelligibile in quanto nome di
Dio TrinitaÁ rivelatosi in Cristo, vite in grado di far sussistere e frutti®care ogni
tralcio esistente che non puoÁ sfuggire a questo radicamento nell'unica vite divina,
autorivelatasi personalmente come unitaÁ-comunitaÁ d'amore di persone, amore fra
tre sussistenti distinti, ma pur sempre uno nell'unitaÁ di natura ed in continuo
processo d'intercomunicazione agapica. AgaÂpe, dunque, eÁ il continuo dono di seÂ
che circola incessantemente in quanto apertura in®nita. Questa agaÂpe creatrice,
identitaÁ ontologica divina, include eminentemente ogni altra forma d'amore
creato, in primo luogo l'eros, e tende a tras®gurarlo conservandolo, al pari delle
identitaÁ create umane che ne sono portatrici 60. La nuova creazione Ð e le creature
rinnovate che la abiteranno Ð non saraÁ ex nihilo, ma conserveraÁ l'identitaÁ della
vecchia. Analogamente, agaÂpe conserva, tras®gura e redime tutto cioÁ che entra a
far parte dell'amore umano che si snoda attraverso l'avvicendarsi dei tempi e
delle stagioni, ovvero attraverso storia ed esistenza concreta degli uomini 61.
Per secondo, agaÂpe eÁ via eminentiae dell'intellectus hominis. Pur tendendo a
pervadere le diverse forme d'amore umano 62, non giusti®ca, neppure attua il suo
potere tras®gurante per tutte quelle forme d'amore patologico, maligno, negativo, lacerato e corrotto dal peccato 63. Scrive Milano: «Per comprendere l'agaÂpe
bisogna, percioÁ, scrutare bene, volta per volta, ``chi ama chi'', cioeÁ il ``soggetto'' e
l'``oggetto'' di questa forma d'amore» 64. CioÁ eÁ esigito dalla rivelazione personale e
59
Ivi.
60
Ib.,
61
Ib.,
62
Ib.,
63
Ib.,
64
Ivi.
p., 340.
p., 343.
p. 344.
p. 345
140
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
trinitaria, paradosso della fede cristiana, estranea a qualsiasi oggettivazione e
riduzione divina impersonale. Anche Paolo di Tarso (in 1Cor.) non ammetteva
l'eros come esercizio smodato sessuale (porneÂia), tantomeno copule sessuali
oscene ed omosessuali. Tuttavia, come piuÁ volte ribadisce Milano, se l'eros
umano puoÁ signi®care e manifestarsi in molteplici forme perche la creatura
umana eÁ aperta e non chiusa entro i con®ni del proprio istinto riproduttivo,
ancora di piuÁ l'agaÂpe non puoÁ essere costretta semanticamente in signi®cati
univoci e formule sempli®catrici de®nitorie (amore oblativo, effusivo, ascensivo,
discensivo ecc.) 65.
In ultimo, si eÁ avuto modo di apprezzare che tutto il discorso speculativo del
saggio ruota attorno alle nozioni di creazione, nuova creazione, incarnazione,
redenzione, identitaÁ divina trinitaria e personale, natura umana, che, in quanto
immagine divina, eÁ persona in relazione comunionale fondamentale, differenziata, giammai disgiunta, in maschio e femmina. Ora, l'ontologia personalistatrinitaria, cristologicamente concentrata cui mette capo Milano, lo induce a
trovare analogie ma anche incompatibilitaÁ e incommensurabilitaÁ con l'antropologia greca, proprio attraverso le nozioni di eros e agaÂpe. La nozione ``persona'',
invece, eÁ qualcosa che ritiene di stretta derivazione biblica, embrionalmente
presente sin dal Primo Testamento, meglio rinvenibile nel Secondo, successivamente elaborata con sempre maggior precisione dall'intellectus ®dei nella storia
della Chiesa. Se, come si eÁ detto, fondamento della persona umana eÁ la Persona
Christi, ed attraverso di Lui la Santa TrinitaÁ divina, allora dovraÁ scaturirne
un'antropologia ripensata in piuÁ punti.
Un primo aspetto eÁ la critica alle antropologie universalizzanti ma anche
individualizzanti, perche in ambo i casi non si tiene conto degli individui concreti, delle loro vicende personali, della dignitaÁ onto-assiologica che ogni persona
umana eÁ in quanto qualcuno di unico ed irripetibile. Un'antropologia fondata nel
senso detto, invece, ritiene l'umanitaÁ fatta da esseri concreti umani, al maschile e
femminile, sessualmente caratterizzati e differenziati, in grado di esprimere, accanto ad altre forme d'amore, l'amore erotico come segno di radicale apertura
all'altro da se ma pur sempre con-presente in seÂ. Corpo, sesso, eros, dunque,
sono espressioni dell'unica esistenza umana, incarnata, temporale, unica ed irripetibile, che ogni persona umana eÁ 66. Si puoÁ ammettere che l'uomo possa essere
uscito fuori da un processo evolutivo ed essersi posizionato al vertice del medesimo processo. Tuttavia, avverte, che contiguitaÁ col mondo animale a parte,
l'uomo, e l'amore che gli appartiene, si distingue dalle altre creature percheÂ,
pur essendo una potenza corporea, puoÁ andare al di laÁ di essa, convertendosi
in amore relazionale personale. Anche la Bibbia celebra l'eros originario che
attrae ed unisce uomo e donna, rendendoli «coppia», ovvero distinti ed uniti 67.
Un secondo aspetto eÁ quello di considerare l'identitaÁ antropica come strutturalmente relazionale. Tuttavia, a mio avviso, occorre distinguere questa antropolo65
«L'agaÂpe si declina in molti modi concreti differenti fra loro. Per principio non eÁ
in contrasto con nessuna forma d'amore[...], tantomeno con l'amore ``erotico''». Donna
e amore..., p. 351.
66
Ib., p. 352.
67
Ib., p. 353.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
141
gia della relazione cristologicamente e personalmente fondata, da altre ®loso®e
della relazione che pensano l'uomo all'interno di trame ed orditi relativi, affascinanti quanto mai, ma che, alla ®ne, perdono di vista proprio l'identitaÁ personale. Una relazione strutturalmente parte dell'identitaÁ personale, nel senso proposto da Milano, riteniamo che, se ripensata nel proprio fondamento
cristologico-trinitario, manterraÁ fermo il doppio momento della essenzialitaÁ dell'identitaÁ individua e, parimenti, della essenzialitaÁ dell'individuo umano come
relazione fondamentale. La relazione, cioeÁ, non fagocita l'identitaÁ individua,
ma, anzi, nell'agaÂpe, paradossalmente, l'ampli®ca e la porta a compimento. In®ne, questa antropologia cristiana opportunamente ripensata, ritiene che l'umanitaÁ di tutti i tempi eÁ fatta, e sino alla ®ne del mondo saraÁ fatta, da un insieme di
persone, sia nella loro singolaritaÁ sia nella loro reciprocitaÁ di uomini e donne,
collegati dalla medesima natura umana che si espande nell'humus storico ed
ontologico, e che cammina sotto lo sguardo provvidenziale d'amore della persona suprema, cioeÁ Dio, ed in relazione costante con Lui 68.
Alcune osservazioni critiche
Siamo stati catturati ed affabulati da questo studio, cosõÁ come dalle numerose suggestioni antropologiche che contiene, alcune delle quali particolarmente
af®ni ad una certa sensibilitaÁ ®loso®ca attuale. Occorre, tuttavia, mettere in
rilievo alcuni punti critici che, almeno a nostro giudizio, sono rinvenibili in ottica
di ®loso®a dell'uomo, benche non sia l'ottica del saggio e di cui ci rendiamo
perfettamente conto. Elementi critici che potrebbero tradursi in ulteriori approfondimenti ri¯essivi impossibili da farsi in questa sede. Ci limiteremo, percioÁ, a
presentare quelle che, nel nostro perimetro d'interesse, possono essere dif®coltaÁ
dell'ordine speculativo.
In primo luogo, l'approccio di Milano all'antropologia, cioeÁ l'uomo corporeo,
sessuato, dimensionato nello spazio, nel tempo e nella storia che manifesta, percioÁ,
eros, reciprocitaÁ e relazione fondamentale, persona immagine di Dio, eÁ compatibile
con un concetto di evoluzione, poiche l'eros umano ha adiacenze col mondo animale, sia pure trascendendolo. Questo eÁ un elemento positivo per un eventuale
spendibilitaÁ dialogica con tutte le antropologie contemporanee biologicamente
fondate. La creazione stessa potrebbe essere ripensata in tal senso attraverso il
movimento di trascendenza verso l'ultima creazione. In ottica squisitamente ®loso®ca sorgono alcuni quesiti. Si sottintende una nozione di creazione ed antropizzazione diretta evolutivamente da Dio? Eventualmente fosse questo il sotteso speculativo, in che senso? Milano non si pone direttamente queste questioni e non
avrebbero neppure senso all'interno dell'ordito del saggio. Tuttavia, all'occhio
dell'antropologo, che pur rinviene nel lavoro una in®nitaÁ di spunti speculativi,
questi quesiti hanno senso, se posti a confronto con alcuni recenti paradigmi antropologici, adiacenti alle numerose teorie neoevoluzioniste, e per i quali la spinta
erotica e la differenziazione sessuale rivestono notevole importanza euristica 69.
68
Ib,
69
p. 354.
Per un primo approccio alle teorie neoevoluzioniste ed alle ripercussioni che
hanno in ambito antropologico si veda T. PIEVANI, Introduzione alla ®loso®a della biolo-
142
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
Alcune di queste ®loso®e dell'uomo ri¯ettono sulla natura umana in quanto
qualcosa che eÁ emerso dal gioco evolutivo. L'emergenza dell'uomo dal mondo
della natura ®sica non manifesta alcun ordine provvidenziale, sia pur ritenendo
l'uomo qualcuno, persona, con tutta la carica semantica che tale nozione comporta. Anzi, paradossalmente, proprio per questo i sistemi viventi appartenenti
alla specie umana possono essere pensati come persone, ovvero sistemi biologici
eccedenti un certo ordine limitato e ripetitivo, poiche totalmente aperti allo
scambio, ma che possiedono vincoli d'identitaÁ che, se li differenziano da altri
sistemi viventi, anche li accomunano. Gli uomini, insomma, sono considerati
soggetti di relazione unici e irripetibili, totalitaÁ sistemiche aperte ma biologicamente radicate, che, peroÁ, per essere tali non hanno bisogno di alcun fondamento religioso che ne affermi la dignitaÁ assiologica, amore umano compreso.
Tali antropologie, relativizzando ma non estromettendo totalmente l'ontologia
personalista classica di matrice cristiana, operano una forma di riduzionismo,
meglio, di asservimento della nozione persona, con®nando l'uomo entro i limiti
storici, ermeneutici, naturali, di cui eÁ impastato. Questa sorta di ¯uidi®cazione
ontologica e relazionale, che pensa la nozione di persona solo in ottica di divenire, espone le persone umane al riconoscimento da parte dell'altro, degli altri.
Un embrione ad esempio Ð ma anche un soggetto in stato di coma irreversibile Ð
eÁ certamente un individuo appartenente alla specie umana. Ma, non potendo
manifestare le qualitaÁ tipiche della persona matura, ovvero autocoscienza esplicita, autonomia e capacitaÁ di reagire agli stimoli e relazioni antropiche, non
sarebbe da considerarsi persona. Escatologia, uomo nuovo, nuova creazione,
sarebbero questioni culturali e di fede; onirico venuto fuori dalla mente paradossale di homo sapiens, ma, che, non hanno nulla a che fare con l'autocomprensione ®loso®ca dell'uomo in quanto tale. Tenendo conto di queste dif®coltaÁ
speculative, di cui si eÁ stringato solo un esempio, risulta, a nostro avviso, almeno
per ora, utile un ancoraggio ®loso®co all'antropologia dell'essere ontologicamente fondata, sia pur aperta alle suggestioni e arricchimenti che provengono
dal saggio di Milano, in vista di un serrato confronto su base razionale con tali
questioni ontogenetiche, ®logenetiche ed etiche, riguardanti la razza umana.
Anche l'autore, in effetti, forse consapevole di cioÁ, non opera un netto riduzionismo ontologico della nozione persona ma, anzi, afferma che occorre evitare il
rischio di «[...] qualsiasi attacco alla sussistenza ontologica e all'identitaÁ di ciascun individuo umano, qualsiasi slittamento nell'impersonale, qualsiasi riduzione
a fuggevole emergenza dal nulla, nel quale altrimenti potrebbe dissolversi il
nostro breve apparire sulla scena di questo mondo» 70. Tuttavia, la questione eÁ
se una determinata concezione del signi®cato e ®ne della natura umana, cristologicamente incentrata, puoÁ essere condivisa, anche per con¯itto d'interpretazioni, con quei paradigmi antropologici tutt'altro che infondati, ma, che, escludono, almeno in prima istanza, approcci confessionali. Milano si rivolge
criticamente a certe ideologie antropologiche e teologie del passato, tradizionali
gia, Laterza, Roma-Bari 2005; cfr., O. FRANCESCHELLI, Dio e Darwin. Natura e uomo tra
evoluzione e creazione, Donzelli, Roma 2005.
70
Donna e amore..., p. 356.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
143
e recenti che siano, che hanno relativizzato la nozione biblica di persona. Le
antropologie naturalistiche contemporanee riservano, ove mai possibile, insidie
anche peggiori a questa nozione, poiche senza negarla, anzi affermandola per
altre vie da quella squisitamente biblico-teologica, tendono alla sua strumentalizzazione. Alcune bio®loso®e contemporanee, paradigmatiche in tal senso, ri¯ettono sulla nozione persona come qualcosa di evolutivo, procedurale, negando, pertanto l'intagibilitaÁ etico-pratica 71.
Un'ulteriore batteria di discussioni potrebbe essere innescata dalla proposta
contenuta nel saggio di considerare la dimensione relazionale coessenziale alla
natura umana e personale. Precisiamo che questa proposta speculativa, unitamente ®loso®ca e teologica, ci trova del tutto d'accordo. Tuttavia, almeno all'interno di uno schema euristico di ®loso®a dell'uomo, andrebbe sviluppata analiticamente, passaggio per passaggio, per non incorrere in appiattimenti semantici
con numerose altre attuali antropologie della relazione che, in buona sostanza,
hanno ripensato teoreticamente questa dimensione antropica ma a scapito della
forza onto-assiologica della nozione persona 72. Le dottrine classiche ritenevano
che il principio d'individuazione della persona umana eÁ il corpo sessualmente
caratterizzato che esprime a modo proprio (maschio o femmina) eros e relazioni
orizzontali e verticali autotrascendenti. Ora, le persone umane possono essere
unite relazionalmente fra di loro in una sorta di comunione culturale, psicoesistenziale, storica, sentimentale ecc. Non possono, peroÁ, riversarsi totalmente
nell'altro da se conservando il proprio principio di sussistenza. In questo senso la
tradizione tomista parlava di una triplice incomunicabilitaÁ della persona umana
rispetto alla piena comunicabilitaÁ delle Persone divine. L'ordine della comunicazione ontologica, invece, era tematizzato attraverso la nozione di appartenenza
analogica all'essere 73. L'ontologia della persona, inoltre, distingueva la capacitaÁ
dall'attualitaÁ. Ogni nuovo essere umano venuto al mondo era da considerarsi giaÁ
persona ma con capacitaÁ di attuare nel tempo, spazio e storia le qualitaÁ tipiche
della propria natura. Altrimenti detto, l'ontologia tradizionale non riteneva ®loso®camente corretto considerare gli uomini persone potenziali, bensõÁ persone
con potenzialitaÁ da esprimere attraverso le condizioni storiche, qualora eventi e
vicende, appunto, personali, lo avrebbero permesso. Le nozioni dell'incomunicabilitaÁ ontologica e della partecipazione analogica mi pare che vengano messe in
discussione da Milano poiche le ritiene troppo aderenti, e giustamente, alla
71
R. GALLINARO, I nodi..., pp. 25-49. Cfr. R. BAKER LYNN, Persone e corpi. Un'alternativa al dualismo cartesiano e al riduzionismo animalista, Mondatori, Milano 2007.
72
In molte delle antropologie cosiddette della relazione, la nozione relazione sarebbe al primo posto nella scala ontologica dell'essere umano. La persona, in questo
caso, sarebbe l'elemento accidentale. Questa inversione speculativa rispetto alle nozioni
tradizionali eÁ esattamente il contrario della proposta di Milano che, pertanto, non solo ci
sembra piuÁ ragionevole ma anche maggiormente fruibile in contesti diversi da quelli
®loso®ci e teologici. Per un primo approccio alla nozione «relazione» fra ®loso®a e
teologia si vedano: U. GALEAZZI, IdentitaÁ umana e libertaÁ. Narrazioni rivali nella storia
della ®loso®a, Milella, Genova 2002; G. CICCHESE, I percorsi dell'altro. Antropologia e
storia, CittaÁ Nuova, Roma 1999; M. MARIANELLI, Ontologia della relazione, CittaÁ Nuova,
Roma 2008.
73
R. GALLINARO, Dimensioni della persona. Linee introduttive all'antropologia morale, Luciano, Napoli 2000, pp. 76-79.
144
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
®loso®a greca. Queste nozioni, nella sua ermeneutica biblico-teologica, hanno
storicamente bloccato la feconditaÁ euristica della nozione persona cosõÁ come
viene fuori dalla Sacra Scrittura 74. EÁ proprio sulla base di questa «interdizione»
speculativa della persona come relazione fondamentale all'altro da se che individua l'interdizione dell'eros come «potenza d'amore» buona e «sessualmente»
caratterizzata 75.
In pratica, l'Autore sembra dirci che, poiche la nozione di relazione eÁ stata
pensata dalla dottrina cristiana un accidente della persona umana, che inerisce
alla sussistenza ontologica ma, in quanto accidente, non eÁ essenziale alla determinazione della natura personale che eÁ qualcuno di irrelativo, altrettanto l'eros eÁ
stato ritenuto accidentale per la realizzazione della persona, se non, addirittura,
deleterio. Infatti: «In un pensiero teologico deciso dall'evento Cristo dovrebbe,
percioÁ, apparire con chiarezza solare che anche il problema della persona deve
affrontarsi in modo adeguato a Cristo. Con®gurandosi in chiave seriamente e
conseguentemente ``cristocentrica'', l'indagine potrebbe consentire di intravedere le abissali dimensioni della persona in Dio, ma pure quelle analogamente
peculiari dell'essere persona nell'uomo. Se Cristo eÁ l'icona, l'immagine del Dio
invisibile [...], egli eÁ pure il primogenito di quelle creature fatte a immagine e
somiglianza di Dio» 76. Su questa base teologica, l'analogia fra Persone divine e
persone umane, «fondata, sostenuta e misurata dalla Persona Christi», deve
uscire fuori dalle sabbie mobili dell'analogia entis per ri¯ettere la relazionalitaÁ
consustanziale alla persona umana attraverso l'analogia Christi. Ritorna, allora,
con prepotenza la nozione di agaÂpe ed il doppio sillogismo teologico che comporta. Dio eÁ agaÂpe; Cristo eÁ Dio; Cristo eÁ agaÂpe. Parimenti, l'uomo eÁ immagine di
Dio; Cristo eÁ vero uomo e vero Dio, dunque agaÂpe increata; l'uomo, attraverso
Cristo, eÁ agaÂpe creata 77. Inoltre, come non esiste agaÂpe senza relazione, non puoÁ
dirsi neppure il contrario. Tutto cioÁ appartiene anche all'identitaÁ dell'uomo
persona in quanto tale.
Sembra tutto convincente, e di fatti, a mio parere, lo eÁ. Tuttavia, quei ®loso®
che si lasciano stimolare dalla Bibbia ma che devono percorre queste vie impervie, inizialmente con la fragile forza della ragione umana, si trovano di fronte a
numerose questioni. Ad esempio, si puoÁ teorizzare attraverso il paradosso del
dogma del Dio Unitrino che eÁ distinto immanentemente come tre relazioni
sussistenti che si attraversano pericoreticamente in un movimento incessante e
in®nito d'amore. L'intercompenetrazione divina come potrebbe, o dovrebbe, sul
piano ontologico, essere applicata all'uomo corporeo, dal momento che io non
posso compenetrarmi all'altro se non per via empatica e sentimentale? Occorre
ripensare la comunione col Cristo Risorto attraverso la presenza sacramentale
nella Chiesa nei termini della relazione essenziale proposti da Milano? Occorre
dare nuova base antropologica al popolo di Dio ed alle relazioni che istituisce
con altri popoli? Occorre ripensare e rivalutare tutto attraverso un recupero forte
74
Donna e amore., p. 357. Cfr. R. LUCAS, Orizzonte verticale. Senso e signi®cato della
persona umana, San Paolo, Cinisello Balsamo 2007.
75
Donna e amore..., p. 358.
76
Ib., p. 359.
77
Ib., p. 363.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
145
della corporeitaÁ, sessualitaÁ, eroticitaÁ, dal momento che l'ultima creazione eÁ la
Risurrezione ®nale della carne? Occorre, forse, ripensare anche alla comunione
uomo-donna nella Chiesa? Occorrerebbe smettere di condannare pregiudizialmente tutte quelle relazioni fra consacrati su base corporea quanto agapica,
perche l'uomo parla, agisce, ama, attraverso il corpo, relazioni fraterne e sororali
ma che spesso sono viste da un certo moralismo ecclesiale come qualcosa di
negativo? CioÁ, con buona pace dell'uomo persona relazione coessenziale alla
propria natura, non signi®ca condannare chi desidera votarsi totalmente al servizio di Cristo e Chiesa ad una forma di solitudine e morti®cazione relazionale?
Viceversa, ci sarebbero dei rischi maggiori di scadere in relazioni sessualmente
disordinate riducendo l'agaÂpe ad eros e non viceversa? Oltre la presenza eccessiva
di Platone, Plotino, Origene ecc., non eÁ forse anche una questione di potere,
d'ingovernabilitaÁ della libertaÁ delle persone, che ha suggerito alla gerarchia ecclesiale d'imporre una morale basata sulla paura del corpo, piuttosto che dell'amore per i corpi poiche persone e corpi sono tutt'uno? Questioni di storia della
Chiesa complesse che, pertanto, non sono facilmente riducibili ad un solo nodo
critico causa di tutto. Le suggestioni di Milano, tuttavia, incamminano verso un
ripensamento radicale che hanno come principio e ®ne Cristo e la sua vicenda
d'amore, iniziata duemila anni fa. CioÁ resteraÁ per sempre.
Napoli, FacoltaÁ Teologica, Sez. S. Tommaso d'Aquino
ROBERTO GALLINARO
4. Persona maschile e persona femminile: unitaÁ e reciprocitaÁ nella differenza
Circa dieci anni fa, sulla soglia del terzo millennio cristiano, Andrea Milano
aveva esortato i teologi ad una piuÁ decisa concentrazione cristologica nelle loro
ri¯essioni ed elaborazioni, al ®ne di portare effettivamente all'altezza di Cristo il
pensiero, sia ®loso®co che teologico, prodotto storicamente dopo Cristo dagli
intellettuali credenti ma non sempre comandato epistemologicamente dal criterio-Cristo 1. Ora egli mostra i frutti di un analogo ripensamento esercitabile sulla
concezione ®loso®co-teologica delle femmine e dei maschi o, meglio Ð come
tutto quest'interessante e documentato libro suggerisce in maniera emblematica 2
Ð delle persone di genere femminile e maschile. La consapevolezza di fondo,
guadagnata rigo per rigo, eÁ che la proclamazione di Galati 3,29 Ð «tutti siete
uno solo in Cristo GesuÁ» Ð possa, anzi debba, comportare oggi l'audacia e la
forza di pensare davvero i due come «uno solo» (l'originale greco presenta eis al
maschile) «come se si trattasse di una sola persona» in Cristo GesuÁ (p. 211).
Alludendo ad una compagine talmente solidale che andrebbe stabilita con il
Cristo da parte dei credenti, l'Apostolo non intendeva certo suggerire un livellamento o una fusione antropologica dei due generi femminile e maschile, nei
1
A. MILANO, Quale veritaÁ. Per una critica della ragione teologica, Edizioni Dehoniane, Bologna 1999.
2
A. MILANO, Donna e amore nella Bibbia. Eros, agape, persona, Edizioni Dehoniane,
Bologna 2008, p. 88.
146
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
quali si articola il modo personale di esistere della specie umana, bensõÁ proporre
una vera e propria unitaÁ antropologica, derivabile da un'unitaÁ ecclesiologica, ma
a sua volta «fondata... dall'ancora piuÁ radicale ``unitaÁ cristologica''» (p. 211). Ne
consegue sul piano umano che anche le persone di genere femminile e maschile
sono da ritenere effettivamente una «unitaÁ nella reciprocitaÁ differente del maschile e del femminile non abolita, ma trasformata» (p. 210). Da cioÁ stesso
consegue, sia sul piano teologico che culturale, la necessitaÁ Ð attuata dall'Autore
nel volume Ð di ripensare le diverse forme di amore che si esplicitano emblematicamente nel rapporto tra uomo e donna, ovviamente alla luce della nozione
cristiana di agaÂpe. Questo libro mostra appunto come la nozione di agaÂpe e con i
suoi riverberi antropologici, grazie ad un'investigazione diligente dei sacri testi di
cui ogni pagina cerca le profonde intenzioni (p. 65), possa essere davvero pensata
da capo e riproposta come de®nitivamente e originalmente cristiana, non comportando essa ne un deprecabile processo di compromissione del cristianesimo
con l'ellenismo neÂ, allo stesso tempo, soltanto una «radicale, compiuta ``cristianizzazione'' dell'idea dell'eros cosõÁ com'era stata elaborata nel pensiero greco, in
particolare dalla tradizione platonica» (p. 311).
Una raffinata riflessione storico-teologica sui testi sacri
Ecco, in qualche modo, i presupposti di questa grande e raf®nata ri¯essione
storico-teologica e storico-®loso®ca consegnata nel volume, che signi®cativamente si apre col «manifesto» di Gal 3, 28 (che funge anche da Dedica, p. 7),
quasi per far ri-assaporare giaÁ in limine ad ogni lettore il senso rivoluzionario di
quel paolino «non c'eÁ piuÁ maschio e (kaõÁ) femmina» (p. 208). Proprio Paolo,
spesso tacciato di misoginia nella storia del cristianesimo, citando esplicitamente
Gen 1, 27, sembra infatti in questo suo testo voler quasi chiudere il cerchio delle
origini antropiche, cosõÁ come descritte dal libro che apre le Scritture sacre, alla
luce della potente nuova creazione inaugurata dal Croci®sso-Risorto, che chiude
in qualche modo la rivelazione scritta. In questa luce saraÁ possibile, auspica
Milano, non soltanto puri®care una certa esegesi della letteratura paolina, ma
altresõÁ riformulare l'intero programma cristiano sulla donna e sull'uomo e, dunque, anche sulle loro relazioni d'amore nelle varie forme e gradi di manifestazione. Effettivamente, «dinanzi ai segreti della parola di Dio, racchiusi e messi a
nostra disposizione in parole umane in quello scrigno chiamato Bibbia, bisogna
fare in modo che non sia piuÁ un ostacolo, bensõÁ una risorsa, l'essere giudeo o
greco, schiavo o libero, ``donna e uomo''» (pp. 51-52). Tutto questo per ritornare
da capo a scoprire il senso genuino della vasta tastiera dell'amore «biblicamente e
cristianamente compreso, nelle sue diverse forme e, dunque, anche nell'eros»,
che «viene a comportare una relazione personale e, pertanto, il legame di ``io'' e
``tu''» (p. 312). Un tal modo di fare, se opportunamente praticato, consentiraÁ al
pensiero cristiano di tratteggiare e realizzare ®nalmente un'antropologia di
donne e uomini in termini ontologicamente e teologicamente relazionali, peraltro
in sintonia con le esigenze dialogiche della cultura contemporanea. Impresa,
questa tentata da Milano, effettivamente ardua in teologia se, per esempio, si
rammenta che la situazione contemporanea eÁ un effetto di quello che avveniva
«tra il II e il III secolo» allorche «accanto alla sempre piuÁ marcata differenzia-
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
147
zione tra clero e laicato, si impone nettissima quella tra uomo e donna» (p. 233).
Nonostante alcune diversitaÁ nella prassi di certune Chiese orientali, tutto questo
comportoÁ anche dei processi di subordinazione sociale e per®no ecclesiali della
persona di genere femminile, peraltro accompagnati spesso da reticenze e inibizioni circa gli aspetti relazionali ed erotici del rapporto eterosessuale umano tra
un uomo ed una donna.
L'elaborata ricerca, consapevole della dif®coltaÁ e, per certi aspetti, dell'inusualitaÁ del tema e dell'impianto, procede a piuÁ strati, guadagnando di volta in
volta nuovi approdi mediante sondaggi nel mondo dei testi che compongono
quell'universo che eÁ la Bibbia cristiana, accostata con ottimi strumenti ®lologici
ed esegetici, senza mescolare i testi in pasticci ®lologici (cf. p. 343), soprattutto
facendo continuamente «i conti con la ®lologia senza cedere alla fantasia» (p.
284), ma anche procedendo nell'orizzonte di una precisa prospettiva ermeneutica, di cui l'Autore ha giaÁ teorizzato altrove la pro®cuitaÁ, comunque procedendo
in continuo confronto con quanto la storia dell'esegesi, della teologia e della
®loso®a hanno messo ®n qui a disposizione degli specialisti. In tal modo la messa
a fuoco del tema speci®co dell'eros e dell'agaÂpe (cf. p. 261) diviene funzionale a
una piuÁ profonda domanda relativa alla precisa con®gurazione dell'agaÂpe nel
Nuovo Testamento, la cui positiva risposta permette appunto di ri-disegnare
una teoria cristiana della donna e dell'uomo nella linea personologica, che Milano
riscontra presente non soltanto nei dibattiti trinitari e cristologici, ma giaÁ suggerita dai sacri testi, in maniera da non dover pagare eccessivi debiti ad altre
rielaborazioni antiche e tardo-antiche di simili tematiche. Certo, per®no i Padri
della Chiesa non seppero resistere all'immenso in¯usso di Platone, anzi del
«beato» Platone, ®nendo tuttavia per non percepire piuÁ la pur rilevante differenza tra i testi paolini e quelli di tenore platonico della tradizione ellenistica, e
rischiando anzi di non avvertire «lo stridore insopportabile tra mondi culturali e
religiosi eterogenei e incompatibili» (p. 263). Eppure il testo sacro, se ben interrogato, propone piuÁ di qualche spunto per un pensiero effettivamente cristiano e
libero da certe precomprensioni ellenistiche su tali temi. PiuÁ volte questo speci®co nodo ritorna nelle pagine di Milano (pp. 262-263; 311), il quale, come giaÁ ha
fatto per la questione della veritaÁ, vuole ora pensare a tappeto in termini cristici il
tema dell'amore umano (come del resto nella sua prima enciclica ha cercato
®nalmente di fare anche un papa come Benedetto XVI). Egli trova siffatta indicazione di percorso nell'encomio di 1Cor 13, laddove le battute linguistiche
paoline lo spingono irresistibilmente a «pensare a GesuÁ di Nazaret, sembrano
anzi quasi rendere l'agaÂpe ``sinonimo di Cristo''» (336).
L'Autore mostra di sapersi muovere con destrezza e competenza nell'intricata selva di contributi di studio sia di indole esegetica che teologica e storica,
che talvolta propongono delle critiche senz'appello alla prospettiva teologica
cristiana, come in particolare si vede nelle opere provenienti dalla cosiddetta
ala femminista della teologia, sia nelle sue versioni radicali ed estreme, sia in
quelle piuÁ moderate. In merito, Milano, oltre a prendere sul serio qualunque
obiezione ed ogni critica, non teme di «misurarsi con l'integralitaÁ del testo
biblico e dell'annuncio in esso contenuto» (p. 28), sia per veri®carne l'esatto
orizzonte circa la donna e l'amore, ma anche nella convinzione che «nondimeno
148
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
all'interno della Bibbia potrebbero trovarsi tracce non lievi della misoginia da cui
nei due millenni di storia cristiana hanno creduto di trarre incentivi e argomenti
l'incoscienza, la stupiditaÁ o l'infamia dell'oppressione della donna» (p. 46). Egli
tuttavia eÁ ben convinto che, cosõÁ come le sacre parole crescono con i propri
lettori Ð secondo l'antico adagio di Gregorio Magno 3 Ð, anche questo suo non
del tutto «modesto libro sulla Bibbia» (p. 371) potraÁ ben esser letto e frequentato, sempre comprendendo e ricomprendendo quanto di piuÁ umano e, come si
vedraÁ, di piuÁ biblico e di piuÁ cristiano, eÁ effettivamente comportato dalla dimensione erotico-agapica della persona umana sia di genere femminile che di genere
maschile. Si tratta ovviamente di rimboccarsi le maniche, di approfondire seriamente l'indagine (cf. p. 55); di non isolare troppo i singoli versetti «incriminati di
misoginia» dal contesto e dalla salutare dinamica del circolo ermeneutico; di
tener conto delle delicate problematiche della formazione del canone biblico
dei cristiani (p. 59); di guardare da altri lati, per esempio, il pur bistrattato e
«maschilista» Siracide (p. 71); di carpire quell'in piuÁ che la Scrittura ha sempre
da dirci (p. 75) anche nella letteratura del Primo Testamento che, pure, a prima
vista sembrerebbe del tutto omologa ad una certa praticata asimmetria di rapporti tra donna ed uomo nel vicino Oriente antico (cf. p. 82) e che, invece, grazie
ai sondaggi dell'Autore, illumina altri possibili livelli di lettura del Cantico dei
cantici Ð testo da rimettere nelle mani dei semplici, in controtendenza rispetto
alla presa di posizione del pur grande Origene d'Alessandria (cf. p. 297) Ð.
Milano predilige un'impostazione ermeneutica. Essa sfugge, con P. Ricoeur,
«all'ossessione di un impiego servile del metodo storico-critico, valorizzandolo
anzi senza spregiarlo nella sua pur sempre preziosa ef®cacia» (p. 107), in maniera
da rileggere simpateticamente gli antichi testi sacri senza sospettarli pregiudizialmente «d'essere in gran parte depositari di credenze assurde o, comunque,
infantili» (p. 125). Anzi tutti i brani biblici esaminati testualmente sono da lui
tradotti da capo, per soppesarne i riverberi speculativi e teologici (cf. p. 12, n.; e
3
GREGORIO MAGNO, Moralia in Iob, 20,1: «Quamuis omnem scientiam atque doctrinam scriptura sacra sine aliqua comparatione transcendat, ut taceam quod uera praedicat, quod ad caelestem patriam uocat; quod a terrenis desideriis ad superna amplectenda cor legentis immutat; quod dictis obscurioribus exercet fortes et paruulis humili
sermone blanditur, quod nec sic clausa est ut pauesci debeat, nec sic patet ut uilescat,
quod usu fastidium tollit, et tanto amplius diligitur quanto amplius meditatur; quod
legentis animum humilibus uerbis adiuuat, sublimibus sensibus leuat, quod aliquo modo
cum legentibus crescit, quod a rudibus lectoribus quasi recognoscitur, et tamen doctis
semper noua reperitur; ut ergo de rerum pondere taceam, scientias tamen omnes atque
doctrinas ipso etiam locutionis suae more transcendit, quia uno eodem que sermone
dum narrat textum, prodit mysterium, et sic scit praeterita dicere, ut eo ipso nouerit
futura praedicare, et non immutato dicendi ordine, eisdem ipsis sermonibus nouit et
acta describere, et agenda nuntiare; sicut haec eadem beati iob uerba sunt, qui dum sua
dicit, nostra praedicit; dum que lamenta propria per sermonem indicat, causas sanctae
ecclesiae per intellectum sonat» (PL 143 A, lin. 1); cf ancora di piuÁ Homiliae in Hiezechihelem prophetam, lib. 1. hom. 7: «Et quia unusquisque sanctorum quanto ipse in
scriptura sacra profecerit, tanto haec eadem scriptura sacra pro®cit apud ipsum, recte
dicitur: cum ambularent animalia, ambulabant pariter et rotae; et cum eleuarentur
animalia de terra, eleuabantur simul et rotae, quia diuina eloquia cum legente crescunt,
nam tanto illa quisque altius intellegit, quanto in eis altius intendit» (PL 142, lin. 140).
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
149
soprattutto, per le scelte parzialmente divergenti rispetto alle traduzioni circolanti, pp. 94, n.; 109; 196; 199; 202; 205 n.; 227)
Quale prospettiva ermeneutica
Il lettore eÁ posto, dunque, di fronte a dei sondaggi Ð cosõÁ sono semplicemente, troppo semplicemente, chiamati dall'Autore Ð, o se si vuole di fronte a
non sprovvedute incursioni in alcuni libri e brani emblematici delle sacre Scritture che piuÁ di altri mettono sotto gli occhi del lettore le tematiche della relazione
tra i sessi, del ruolo della donna, soprattutto della vasta tastiera di temi che va
dall'eros all'amore ®no all'agaÂpe, avvicinati sempre nella prospettiva del cosiddetto «circolo ermeneutico», in base al quale «per comprendere il tutto, si
devono comprendere le parti e, per comprendere le parti, eÁ necessaria una
qualche comprensione del tutto» (p. 30). Ma cioÁ richiede di abbandonare ogni
pretesa epistemologica moderna e cartesiana la quale reputerebbe invece che si
possa de®nitivamente attingere un'oggettivitaÁ asettica, ®no a poter reperire cioeÁ
nei testi «degli elementi ultimi e tanto fondamentali da non poter essere ulteriormente ridotti e analizzati» (p. 32). I pur nobili ®ni di una costruzione argomentata e rigorosa, ovvero more geometrico demonstrata, inseguirebbero il miraggio di un'oggettivitaÁ assoluta la quale suppone che, di fronte ad essa, ci possa
essere un soggetto indagante altrettanto assoluto, con il rischio che entrambi i
poli della ricerca ®nirebbero per essere avviluppati in una dialettica del tipo
padrone-servo, giaÁ ben analizzata da Hegel. Se per®no il pur venerando e consolidato metodo storico-critico Ð peraltro ampiamente utilizzato anche nel corso
di questo volume Ð si lasciasse catturare in questa polaritaÁ dialettica moderna e
ambisse di percorrere tutt'al piuÁ una serie di asettici interrogativi del tutto indipendenti dalla stessa fede dell'interrogante, ne avremmo esiti, forse, ®lologicamente corretti, ma non certamente positivi ai ®ni di una prospettiva che predilige
invece i sondaggi nel tutto e nelle parti del testo sacro, alla ricerca del senso tra i
vari sensi pur possibili. Considerata dunque illusoria una tale pretesa oggettivistica moderna, Milano invita ogni interprete, in particolare, a «chiedersi anche
se, per caso, la sacra pagina non ponga, a sua volta, essa stessa delle domande e
proprio a lui» (p. 33), ovvero se questa pagina Ð oltre che scrigno di cose narrate
da riferire testualmente e di fatti documentati in maniera oggettiva Ð, non contenga anche provocazioni, appelli ed inquietudini per il lettore, essendo «essenzialmente ``rivelazione'' e, pertanto, pure kerygma, annuncio, proclamazione, cioeÁ
appello inquietante e coinvolgente» (ivi). Probabilmente le critiche serrate che
un certo femminismo radicale o anche moderato ha rivolto alla Bibbia nel suo
insieme, ma soprattutto a Paolo e agli scritti suoi e della sua tradizione, accusati
come incubatori di misoginia cristiana, nonche alla ®gura di Maria ed al ruolo da
lei svolto nei Vangeli canonici e nella prima Chiesa come motivo cementatore
delle strutture patriarcali oppressive delle donne, sono anche il frutto di prospettive ermeneutiche parziali che assolutizzavano ora la lettera del testo ora il
mondo del soggetto davanti al testo. Ottica del tutto angusta, quella criticata
dall'ermeneutica di Milano, che dovrebbe mettere nel conto il rischio di perdere
la cosa stessa del testo che pure era negli auspici iniziali di qualunque ricerca
sulla Bibbia. Chi, infatti, isolasse le pretese cose oggettive del testo sacro, dimen-
150
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
ticando che quel grande codice funziona chiedendo piuttosto al lettore una
disponibilitaÁ ed una sintonia tali da permettere «di aprire davvero gli occhi
per vedere e le orecchie per ascoltare» (p. 36), si lascerebbe sfuggire malamente
il senso del tutto nelle parti. Piuttosto, le «cose», i «fatti» e i «detti» di quel
peculiare testo non valgono soltanto tunc, ovvero per il suo autore nel passato,
ma sono sempre in movimento ex tunc verso il nunc del lettore, a cui intendono
parlare, soprattutto interpellarlo via via che egli le legge e rilegge, le predica e le
propone. Non si potrebbe, dunque, mai isolare un singolo testo magari marchiandolo dell'infamia della misoginia, del maschilismo o della teorizzazione di
una struttura patriarcale di subordinazione della donna, ®no a coinvolgere nell'accusa l'intera Bibbia circa la quale, nell'ottica criticata, si eÁ talvolta affermato
che essa giungerebbe addirittura a «proclamare che la dif®denza, il disprezzo,
l'odio nei confronti delle donne». Se fondate, siffatte accuse denigrerebbero
effettivamente «tutta la Bibbia» anzi «la rendono un inservibile ferro vecchio
da buttarsi dietro le spalle una volta per sempre» (pp. 166-167). I potenziali
lettori del testo sacro non possono peroÁ schierarsi da un sol lato, come ha fatto
per esempio la cosiddetta esegesi di genere, e appartenere a un sol gruppo
escludendo altre fette di umanitaÁ, anzi devono coprire sia l'una che l'altra
metaÁ del cielo. Difatti, il vero «ambiente vitale in cui si realizza l'autentica
ermeneutica della rivelazione divina» (p. 37), non eÁ un «qualsiasi gruppo di
donne o di uomini che pensano di lottare a favore degli oppressi, senza che si
assumano consapevolmente, per cosõÁ dire, anche la fatica del concetto e il rischio
dell'equivoco» (ivi). La Bibbia, insomma, non puoÁ mai essere piegata nella nostra
disponibilitaÁ in quanto essa chiede, come Parola scritta dopo essere stata anche
detta nella sua preistoria orale, di poter continuare comunque a parlare sempre
da capo al suo nuovo lettore col quale intende crescere. Neppure essa potrebbe
diventare nelle nostre mani una sorta di arma da far valere ora per questa, ora per
quell'altra lotta ideale o emancipatoria (p. 41), magari alla luce di questo o
quell'altro criterio ritenuto prevalente o esclusivo (fossero pure i sacrosanti valori
della liberazione degli oppressi o dell'emancipazione della donna dalla subordinazione), che in tal caso sembrerebbe poter assurgere quasi ad un canone del
canone (cf. pp. 42-43). Occorre insomma, esseri umani quali siamo di fronte a
Parole divine dette nella nostra lingua e nella nostra storia, sempre rispettare,
come fa continuamente ogni capitolo di questo libro, quel «``circolo'' incessante
fra il tutto e le parti, fra precomprensione e comprensione e, piuÁ ancora, fra
``soggetto'' e ``oggetto''» (p. 41), rammentando che soltanto uno ha reclamato per
se tutta la sacra Scrittura d'Israele, GesuÁ di Nazaret, il quale l'ha potuto fare
soltanto sapendo di essere «l'``ermeneutica'' fatta persona» (p. 49). Di conseguenza, qualsiasi metodo esegetico o di lettura della Bibbia, che la storia della
®lologia e dell'esegesi mettono a disposizione, vanno utilizzati alla luce di quel
criterio d'intelligenza che «non eÁ se non GesuÁ Cristo in quanto compreso, interpretato e vissuto per la potenza del suo Spirito nella comunitaÁ dei credenti in lui,
la Chiesa» (49). Ma sempre, insieme, sapendo altresõÁ che «la Bibbia supera
in®nitamente la Bibbia: proprio per questo leggerla e interpretarla eÁ un compito
che non ®nisce mai» (p. 78).
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
151
Si potraÁ dunque, anzi saraÁ lecito e doveroso «smontare pezzo per pezzo un
testo e suddividerne ancora i minuscoli ritagli... Ma poi bisogna comprendere se
e come funziona il tutto del testo, per protendersi, per quanto eÁ possibile, verso
una comprensione della cosa stessa che interessa il testo» (p. 135), nel nostro
caso verso la comprensione del signi®cato della persona femminile nella sua
relazione con la persona maschile, nel piuÁ vasto orizzonte di tutta la variegata
tastiera dell'amore cosõÁ come creato dal Padre e liberato dal Figlio incarnato, del
quale Ð occorreraÁ sempre ricordarlo Ð «i vangeli sono memorie, per cosõÁ dire,
paradigmatiche, non resoconti completi sul ``GesuÁ della storia'' e sono, insieme,
anche espressioni delle comunitaÁ e degli individui, che alle origini tentarono di
affermare qual era il signi®cato di GesuÁ per la propria ``fede''» (p. 137). Non saraÁ
mai suf®ciente, pertanto, rileggere isolatamente i racconti di creazione (cf. capitolo 3, pp. 53-78) o i libri profetici (cf. capitolo 4, pp. 79-91 ), oppure il contrappunto sublime del Cantico dei Cantici (cf. capitolo 5, pp. 93-115). Neppure
saraÁ suf®ciente rovistare da cima a fondo la letteratura paolina (cf. capitolo 9, pp.
187-234) o l'apocalittica neotestamentaria con i famosi simboli della donna e
della grande prostituta (cf. capitolo 10, pp. 235-252). Gli stessi singoli episodi
riguardanti le donne e l'amore nei Vangeli (cf. capitoli 6-7, pp. 117-160), se
indagati isolatamente, non ci diranno molto circa i precisi orientamenti gesuani
rispetto al giudaismo tradizionale e coevo nonche alla prassi del vicino Oriente
antico, «®nche i diversi particolari delle sue parole e delle sue azioni non vengano
colti come un tutto, ®nche i singoli testi che riguardano, in particolare, lui e le
donne non vengano inseriti nel ``circolo ermeneutico'' della narrazione globale
della sua storia, dentro l'insieme del suo ``evangelo''» (144). Evangelo che eÁ il
regno di Dio; il che comporta il riconoscimento di Dio come creatore e salvatore,
interessato senza esclusione a ciascuna creatura e, in particolare, comporta il
riconoscimento che quel Dio non eÁ soltanto il Dio «di» GesuÁ Cristo ma altresõÁ
il Dio «in» GesuÁ Cristo, «Dio» «in modo personalmente distinto, ma pure
insieme... ``una cosa sola'' (en) con il Dio e padre suo..., il quale, in concreto,
eÁ lo stesso Dio d'Israele» (pp. 145-146). Ecco perche questi sondaggi esegeticoteologici che Milano compie egregiamente nella letteratura biblica, avvicinandosi
a questo o quel versetto, non sono mai accompagnati dalla «smodata presunzione
di sviscerare tutti i problemi connessi con la loro ermeneutica» (p. 241), ma
soltanto cercano, nella prospettiva del suo lavoro, riuscendovi peraltro bene,
di «mettere a fuoco il problema» (p. 241) di volta in volta indagato, soprattutto
di accostarsi, con nuova ®ducia di trovare, a pagine su cui si sono talvolta
sedimentate venerande, anche se non sempre ®lologicamente corrette, interpretazioni, temi e sottotemi correlati e che non di rado presentano ancora degli
enigmi.
Lo sfondo ermeneutico cosõÁ delineato non puoÁ non incrociare anche la
storia dell'inculturazione che dei testi biblici eÁ stata prodotta dai pensatori cristiani antichi nell'incontro con la tradizione ®loso®ca greca e, in particolare con
le varie versioni del platonismo che si sono sviluppate tra Platone e lo pseudoDionigi Areopagita. Com'eÁ noto, l'incrocio del cristianesimo con la grande teorica greca dell'eros ha comportato, accanto ad avventure straordinarie, anche
qualche rischio per l'ottica propriamente cristiana, anzi «uno dei maggiori rischi
152
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
corsi dall'autocoscienza della fede cristiana nel suo cammino millenario» (p.
285). L'enorme fortuna ottenuta da una certa rielaborazione della visione sapienziale dell'amore ripensata e ri-semantizzata alla luce della tradizione ®loso®ca
platonica, medioplatonica e neoplatonica, tentata dai due pensatori di Alessandria, Clemente e Origene e, in seguito, da Mario Vittorino e Agostino, domanda
appunto di ritornare anche su questi avvenuti, e talvolta ancora presenti, processi
di de-semantizzazione e ri-semantizzazione in lingua straniera della grammatica
biblica dell'amore, tanto piuÁ che proprio Origene fu anche il primo scrittore
cristiano «a ritenere possibile far coincidere i signi®cati della terminologia dell'eros con quelli designati dalla terminologia dell'agaÂpe» (285). Del resto eÁ sempre
Origene ad assumersi «l'enorme responsabilitaÁ di de®nire, per primo in assoluto,
che il Dio di GesuÁ Cristo eÁ eros, analogamente a come proclama 1Gv 4,8,
secondo cui lo stesso Dio eÁ, invece, agaÂpe» (305), benche con un palese fraintendimento (cf. capitolo 11.5). L'abbaglio dell'Alessandrino, come si esprimeva
giaÁ «nel 1918 Adolf von Harnack» (p. 305), si consuma nel corso dei suoi tre
ritorni proprio sul testo enigmatico del Cantico dei cantici. Egli giungeva ®no a
ritenere secondario in quel libro biblico il signi®cato letterale e carnale dell'amore secondo la carne, pur presente nella lettera del testo, a vantaggio di un
amore ritenuto piuÁ degno di Dio in quanto spirituale e spiritualizzato, dunque
neoplatonicamente non indegno di Dio e soprattutto non dannoso per le anime
dei semplici e dei non ancora maturi nel cristianesimo, che hanno bisogno di cibo
non ancora solido e soprattutto non vanno scandalizzati. In tal modo, peroÁ,
quell'abbaglio comporteraÁ enormi riverberi negativi sulla ri¯essione cristiana
successiva, al punto che il pur grande lettore della Bibbia Origene ®nisce per
non valorizzare, proprio nella sua rilettura prospettica del Cantico, le precise
indicazioni e integrazioni provenienti da quell'«encomio paolino sull'agaÁpe» (p.
299) alla luce del quale si potrebbero rileggere, come adesso fa invece Milano (cf.
capitolo 11.5-6), tutti i termini della questione. L'Alessandrino, infatti, sentendosi in dovere di proteggere i lettori da quello che lo stesso Platone avrebbe
potuto chiamare «eros volgare», in de®nitiva ®nisce per integrare ed elaborare i
dati di origine biblica a disposizione in una struttura di pensiero oggettivamente
platonica (come chiosa in merito Milano sulla scia di un saggio di M. Simonetti).
Solo che Origene Ð per il quale la sacra Scrittura ispirata da Dio equivale alla
Bibbia greca usata dalla chiesa cattolica, in cui cioeÁ i traduttori avrebbero consapevolmente messo quasi del tutto da parte il vocabolario dell'eros presente
invece nei testi originari Ð, parte da questa minuscola base Ð che eÁ anche un
minuscolo error in principio Ð per giungere a dei veri e propri esiti nefasti per la
logica cristiana e a degli «ardimenti esegetici, azzardandosi in questa iniziativa
anche grazie alla sua ``precomprensione'' platonica» (p. 304).
Oltre la lettura della Bibbia al femminile
Senza dubbio la moderna lettura femminista, piuÁ o meno radicale, dei testi
sacri del giudaismo e del cristianesimo, ed anche dei ®loni interpretativi «alla
Origene», ha contribuito a far emergere il vero e proprio «nervo scoperto» di
una certa misoginia propria dei pensatori cristiani che, se ne dovraÁ concludere,
nei vari secoli non sempre sono rimasti fedeli all'evangelo di GesuÁ e, come
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
153
mostra il libro di Milano, per®no allo stesso evangelo di Paolo, che del medesimo
evangelo di Cristo eÁ annunciatore e missionario. All'Apostolo, poi, eÁ toccato in
sorte di essere assunto addirittura a corifeo e teorizzatore di una subordinazione
strutturale, nella societaÁ e nella chiesa, della ®gura femminile, i cui effetti si
vedrebbero ancor oggi in una certa teorizzazione della subordinazione della
donna all'uomo e in una certa soggezione intra-ecclesiale del femminile rispetto
al maschile. In questo senso, questo volume su donna e amore nella Bibbia, che
®n dall'esordio dichiara di voler «sondare la Bibbia intorno al tema della donna e
dell'amore, con l'intento di individuarvi e vagliare anche alcuni tratti negativi, di
cui anch'essa, a prima vista, non appare del tutto immune» (p. 7), non poteva
non tener conto dell'apporto critico del pensiero femminista, che talvolta si eÁ
rivelato aggressivo talaltra no, ma che ha dato comunque molto «in campo
storico, antropologico, ®loso®co, ma si aggiunga pure in quello biblico e teologico» (p. 14). Milano riconosce a questo ®lone di aver in qualche modo contribuito in bene o in male alla stessa elaborazione teologico-antropologica degli
ultimi cinquant'anni, per il fatto di aver richiamato la ri¯essione scienti®ca sulla
fede ad una riscoperta della dignitaÁ della donna nella comunitaÁ civile ed ecclesiale e di aver inoltre proposto una critica talvolta storiogra®camente pertinente
ad una certa misoginia della teologia e della prassi pastorale cristiane. Se le idee
possono anche diventare assassine nella storia, come certi eventi del secolo XX
hanno mostrato, anche certe teorie misogine sono diventate talvolta delle vere e
proprie forme di violenza esercitate sulle donne e sui loro corpi, talvolta con la
copertura ideologica di una sorta di autorizzazione proveniente dalla stessa Bibbia (cf. p. 24). Eppure, suggerisce Milano, nel ripercorrere a occhi aperti le piuÁ
rilevanti pubblicazioni delle teologhe femministe di vario indirizzo religioso, pur
accettando le critiche fondate bisogna comunque aguzzare lo sguardo sempre un
po' oltre, in vista di quella grande «rivoluzione piuÁ lunga» che ridondi effettivamente a vantaggio delle donne (un'espressione di J. Mitchell, ripresa a p. 376) e
non sia un mero rivendicazionismo di moda. Per esempio tenendo conto che, dal
punto di vista degli odierni lettori, il problema antropologico non eÁ forse piuÁ neÂ
quello della subordinazione femminile, ne della misoginia, ne quello dei pretesi
diritti di eventuali altri generi, bensõÁ quello «piuÁ urgente e drammatico... [eÁ] la
stessa disumanizzazione dell'essere umano in quanto tale» (p. 375). Soprattutto
tenendo conto del fatto, come si accennava, nel sondare da capo il punto di vista
dei sacri Testi, che «dinanzi ai segreti della parola di Dio, racchiusi e messi a
nostra disposizione in parole umane in quello scrigno chiamato Bibbia, bisogna
fare in modo che non sia piuÁ un ostacolo, bensõÁ una risorsa, l'essere... ``donna e
uomo''» (pp. 51-52). Il che, oltre a suggerire il superamento di certi inviti al
silenzio una volta imposti alle donne nella societaÁ e nella chiesa, e ora agli uomini
Ð anch'essi da ritenere in grado, come le donne, di pensare pur qualcosa (cf. p.
29) Ð, implica, da un lato, di non omettere mai il confronto serrato con le
conclusioni dell'esegesi femminista, per®no di non evitare per partito preso certe
letture «al femminile» dei sacri testi, ma di correlare comunque la lettera al senso
e le parti al tutto, nonche il tutto al contesto ed alle nuove domande del lettore
contemporaneo. Tutto il volume percioÁ cerca volentieri di «fare i conti o, meglio,
di dialogare» (p. 11) anche con qualunque tipo di esegesi, anche quella femmi-
154
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
nista, col desiderio non celato che, tra i primi interlocutori della fatica consegnata
nelle pagine, «ci siano, in primo luogo, le donne e, fra loro, le studiose femministe» (p. 11). In questo senso, ogni pagina aspira non a contrapporsi bensõÁ a
dialogare entro un orizzonte universale nel quale si possa davvero parlare con
tutti «ma in particolare con le femministe», anche se poi le congratulazioni
vengono esplicitate dall'Autore soltanto all'indirizzo di qualche «teologa d'alto
livello» (p. 90) Ð alla quale viene riconosciuto il merito di scrivere con sensibilitaÁ
davvero tutta femminile e competenza scienti®ca Ð, oppure di qualche esegeta
de®nito, rispetto ai numerosi altri inventariati, uno «specialista rigoroso e responsabile» (p. 326). D'altra parte, se il femminismo, tra i suoi non pochi e
piccoli meriti, vanta quello di aver contribuito a far «prendere coscienza che la
Bibbia, a quanto pare, eÁ stata scritta in massima parte da uomini e ne reca anche
le tracce piuÁ o meno vistose» (37) Ð anche se per esempio «non eÁ mancato chi ha
attribuito il Cantico, dall'inizio alla ®ne, a un autore donna»: cf. p. 106 Ð, tuttavia
non eÁ vietato ritornare sempre di nuovo, con altre domande e con altri metodi,
sui sacri testi per interrogarli nuovamente circa l'eros, l'amore e la donna e, di
conseguenza, circa l'uomo e la persona, peroÁ sempre premuniti di una specie di
«terapia del sospetto» nei confronti della Scrittura, anzi «mettendo all'ordine del
giorno il problema di un suo eventuale androcentrismo» (p. 37). Insieme, tuttavia, non bisogneraÁ mai chiudersi nel recinto esclusivo di una prospettiva di
«lettura di genere», evitando di cadere, come accade a qualche teologa radicale,
nella trappola di porre un'enfasi eccessiva sulla soggettivitaÁ del lettore ®no a
rovesciare semplicemente i ruoli di hegeliana memoria «tra sudditi e tiranni,
servi e padroni», nel nostro speci®co caso optando, per esempio, per «la sostituzione di un mito, quello del patriarcato, con un altro mito parimenti confuso e
minaccioso, quello del matriarcato» (p. 35). Ecco perche questo lavoro di Milano
ribadisce piuÁ volte qua e laÁ che, pur prendendo molto sul serio il pensiero
femminile e pur parlando elettivamente alle donne, esso «ambisce rivolgersi a
tutti, senza preclusioni di sorta» (p. 11). Viene insomma esercitato un confronto
consapevole dei rischi che si corrono non soltanto sul piano teorico, ma anche
nella prassi, dal momento che «l'analisi teorica femminista, trasposta in antagonismo pratico, ritiene ormai superata la stessa categoria della ``differenza'' sessuale, a vantaggio di quella di ``genere'' (gender), a prima vista piuÁ innocua, ma
nei fatti piuÁ rischiosa, quando non micidiale» (p. 18), sia per i suoi riverberi
antropologici che per i problemi che pone dal punto di vista dell'etica sociale e
della teoria politica.
CosõÁ, risultano ben vagliati da Milano tutti i temi dell'androcentrismo della
cultura patriarcale, del sessismo rinforzato talvolta mediante rinvii religiosi al
testo sacro, insomma le varie problematiche discusse e proposte dall'ala radicale
e dell'ala moderata della teologia riformata e cattolica prodotta da donne e
femministe, andate a con¯uire nei cosiddetti «studi femministi», «studi sulle
donne», «studi femminili», «studi di genere» e cosõÁ via (cf. p. 14; notevole e
ricca bibliogra®camente la n. 5 di p. 10, dedicata appunto all'interpretazione
femminista della Bibbia e alla teologia femminista in generale: sono numerosissime queste preziose note bibliogra®che che offrono le coordinate per successivi
approfondimenti). Milano ne aveva giaÁ discusso nel 1992 pubblicando un saggio
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
155
sulla misoginia nella Bibbia, ma ora, quasi per saldare un debito contratto con se
stesso (p. 8), vi ritorna con nuovi e piuÁ ampi approfondimenti, frutti di un aperto
e serrato scavo nelle stesse pagine del testo sacro, tutte tradotte di nuovo sui testi
originali, quasi per dimostrare in maniera documentata e ®lologicamente aggiornata al lettore «che, come pure hanno convenuto alcune femministe disponibili e
comprendere meglio di qualsiasi rozzo e ottuso maschilista, il disprezzo, l'assoggettamento della donna non eÁ inestricabilmente connesso con la rivelazione
biblica, e il linguaggio del testo sacro non eÁ sempre tenacemente androcentrico»
(pp. 77-78). Ne viene fuori, cosõÁ, un saggio nel saggio, pubblicato «se non per
neutralizzare, almeno per riequilibrare il cahier de doleÂances approntato da alcune femministe contro la Bibbia o contro alcune sue debolezze» (p. 95). Come
si ricorderaÁ, dopo gli esordi di ®ne XIX secolo promossi da Elizabeth Cady
Stanton, «perche la questione dell'atteggiamento da prendersi da parte delle
donne nei confronti della Bibbia si rimettesse con forza all'ordine del giorno,
si sono dovuti attendere gli anni Sessanta del secolo scorso» (p. 24) per una
ripresa di questo ®lone biblico-teologico. EÁ dunque un debito di gratitudine che
la storia della teologia e del cristianesimo ha contratto oggi con tutti gli apporti
che sono seguiti nel medesimo ®lone e che il volume di Milano di volta in volta
segnala, facendone comunque tesoro al di laÁ delle pur presenti distorsioni teologiche a cui talvolta certe bibliste e teologhe hanno sottoposto qui e laÁ i sacri
testi. In ogni caso, l'Autore ricorda che non si puoÁ entrare acriticamente nel
tunnel di una «interpretazione deformante di un'ermeneutica riduttiva» (p. 155)
che senz'appello ®nisce per condannare per®no tutto il Nuovo Testamento ed i
suoi esegeti, i quali da due millenni lo andrebbero interpretando al solo ®ne di
trovare dei puntelli teorici per legittimare «la subordinazione o quantomeno la
marginalitaÁ delle donne» (p. 155), ora appro®ttando, ad esempio, del simbolo
della paternitaÁ di Dio a tutto danno della maternitaÁ di lui, ora invece enfatizzando una certa ri¯essione teologica su Maria che ne risulta esaltata all'eccesso
®no a con®gurarsi come una dea piuttosto che una donna ed una madre, dunque
un «ideale impossibile da raggiungere per le donne in carne e ossa» e, ancor
peggio, come «un ostacolo alle loro rivendicazioni egualitarie, in particolare
all'interno della Chiesa» (p. 182). Per non dire poi, come ben ricorda una certa
ermeneutica di genere, di certi esiti misogini di una tradizionale lettura allegorico-spirituale del Cantico dei cantici e soprattutto del corpus paulinum e per®no
di quel campionario femminile di Apocalisse, che appare non troppo esaltante
dal punto di vista del femminismo (cf. p. 245). Pur essendo ormai trascorsi quasi
vent'anni dalle baldanzose e perentorie lamentele di Mary Daly circa il preteso
vero e proprio antifemminismo di alcuni «vergognosi» brani del primo e del
secondo Testamento, oppure circa la misoginia strutturale dei Padri della chiesa
e di quel peculiare ®lone misantropo e misogino che attraversa i testi dei medievali e per®no quelli del riformatore Lutero (cf. p. 367), non ancora cessano le
accuse ai criticati processi di occultamento della donna e del femminile nella vita
della societaÁ e della chiesa, peraltro in linea con quei primi cristiani i quali
avrebbero consapevolmente deciso di favorire «l'adattamento politico alle strutture greco-romane di dominio, che aprõÁ le porte alla cooptazione imperiale romana dell'evangelo» (p. 142), segnando di fatto la ®ne della carica rivoluzionaria
156
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
dell'evangelo stesso e dunque enervando la prospettiva cristiana. Certo, nessuno
puoÁ negare, anche il volume di Milano, un «tenace svilimento a cui, nei fatti, eÁ
stata largamente e continuamente costretta la donna nel giudaismo, cosõÁ come, in
generale, nel mondo antico» (p. 117). Analogamente, nessuno potrebbe non
registrare il parziale successo del femminismo e del suo pensiero nello sradicare,
spesso con forza e vigore, dalle comunitaÁ cristiane la mala pianta della misoginia
(cf. p. 370). Solo che questo pur encomiabile successo della prospettiva di genere
rischierebbe oggi di essere rimandato o, peggio ancora, vani®cato «se non ci si
ascolteraÁ e ci si aiuteraÁ responsabilmente tutti, donne e uomini, in un dialogo che
®n dal principio rinunci alla ``violenza ermeneutica'' e si faccia disponibile all'ascolto di quella sapienza racchiusa nel testo biblico e, in particolare, nel vangelo
di Cristo» (p. 370). Ecco perche le pagine di questo volume evitano quella
violenza ermeneutica e vanno alla ricerca di un'altra carica rivoluzionaria in
tema di donna, di corpo, di eros ed amore. Questa carica, soprattutto rispetto
al mondo antico, eÁ rappresentata davvero dall'evangelo di Cristo e di Paolo,
insegna Milano. Soltanto un metodo esegetico che non si ponga esclusivamente
l'obiettivo di smascherare eventuali costruzioni ideologiche anti-femminili condensatesi nel testo sacro e nella sua teologia di supporto eÁ in grado di dar luogo a
nuovi sguardi. Non si tratta, certo, di condurre un'operazione in nome di un
revisionismo esegetico dei pretesi testi misogini del libro sacro, bensõÁ di muoversi
alla luce di un criterio di rilettura piuÁ cristocentrico di questa Parola divina
umanamente scritta che eÁ la Bibbia; un criterio mosso dalla «tensione a un'esegesi svolta sine ira et studio, con un metodo di ricerca per quanto possibile
spassionato e rigoroso» (p. 143).
Non solo sondaggi
Qui e laÁ, come si eÁ detto, l'Autore parla del suo libro come insieme di
sondaggi non esaustivi, di esplorazioni senza pretese di completezza, per®no di
piccoli contributi. Ma se, com'egli stesso piuÁ volte ricorda, la Scrittura cresce con
i suoi lettori, dopo la lettura di questo volume, per quanto dichiarato «modesto»
(p. 371), il lettore dovraÁ onestamente registrare un oggettivo e sostanzioso contributo offerto alla crescita della comprensione cristiana dei libri sacri. In particolare, colpisce l'originale riscoperta di un fecondo ®lone personologico nella
stessa Bibbia, prim'ancora della piuÁ tardiva elaborazione della teologia della
persona in chiave trinitaria e cristologica. Anche in contesti nei quali a prima
vista non ci si aspetterebbe di trovare tanta ricchezza antropologica e linguistica,
emerge invece una visione del mondo provocatoria e fascinosa circa la persona
umana di genere femminile e di genere maschile, circa il valore della carnalitaÁ e
del corpo sessuato, circa la relazionalitaÁ strutturale di cui sono dotati dal Creatore e salvati dal Redentore tutti gli esseri umani, con non pochi riverberi sui
piani esistenziale, spirituale e morale. I due casi piuÁ evidenti e meglio riusciti del
volume sono senza dubbio quelli relativi alla linea personologica rintracciata giaÁ
nei sacri Testi ed alla grande carica semantica condensata nel termine agaÂpe, uno
dei termini che funge da sottotitolo del volume, purtroppo non ancora del tutto
presente nell'attuale gergo cristiano dell'amore.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
157
Senza l'«ossessione di un impiego servile del metodo storico-critico, valorizzandolo anzi senza spregiarlo nella sua pur preziosa ef®cacia» (p. 107), l'Autore, che non disdegna di segnalare di volta in volta le sue preferenze lessicali e
®lologiche ed esporre i suoi pareri motivati con ampi rinvii bibliogra®ci, dichiara
che «la Bibbia resiste a qualsiasi sommario ``riduzionismo'': eÁ un universo in cui
sembra ri¯ettersi l'intero mondo umano, un'immensa, intricatissima selva che
respinge qualsiasi pretesa di esegesi a poco prezzo» (pp. 45-46). Inoltre, essa
appare non soltanto il Libro da studiare, come si deve, nel suo contesto, nei suoi
testi e nei suoi livelli semantici (Milano rammenta che esso va ripercorso senza
timore di «raccogliere sotto il segno dell'analogia i pur diversi ambiti del metaforico, del simbolico e dell'allegorico», p. 111), ma si mostra anche come una
Parola ispirata che intende dunque continuare a parlare, anzi a provocare il
lettore verso una prospettiva radicalmente rinnovata. Quella stessa Parola che,
nel «tredicesimo apostolo» Paolo, a partire dall'esperienza di Damasco, provocoÁ
una grande rielaborazione culturale cristiana ®no a quel momento impensabile in
un fariseo osservante il quale, peraltro, non aveva potuto storicamente conoscere
il Nazareno pur essendogli toccato in sorte di farne comunque un'esperienza
singolarissima e di perseguitarne alcuni seguaci. SõÁ, «il discorso della Bibbia
continua, percioÁ, a trasmettere qualcosa di signi®cativo e di perennemente valido» (p. 49) nel suo nuovo lettore percheÂ, prim'ancora dei libri scritti, Parola di
Dio eÁ quel «GesuÁ di Nazaret, che quella scrittura non solo l'ha impiegata per
spiegare e accreditare se e la sua missione facendone l'esegesi (Lc 24, 27), ma ne
eÁ stato anzi come l'``ermeneutica'' fatta persona» (p. 49). Tra l'altro, a chi raccoglie la provocazione di Milano a continuare la lettura del Libro, eÁ data la sorpresa
di intravedere mirabilmente cose antiche e cose nuove. Per esempio, per®no
nelle maglie dell'ambito letterale di Gn 2 e 3, gli si manifesteraÁ se non proprio
la «persuasione della paritaÁ assoluta dei sessi», almeno «un germe di personalismo e, pertanto, di femminismo» (p. 66). Difatti, la serrata analisi ®lologica ed
ermeneutica dei racconti di creazione, condotta su questo patrimonio comune
all'ebraismo e al cristianesimo, permette via via il pro®larsi dei «contorni di
un'antropologia e, dunque, una de®nizione dell'umanitaÁ costituita da persone,
e creata da colui che lungo tutta la Bibbia si autopresenta come ``Io'', cioeÁ» in
de®nitiva «come persona, il quale dice anzi di se che eÁ l'``Io sono'' per eccellenza
e, pertanto, eÁ l'essere supremamente personale (Es 3,14)» (p. 70). In quest'antropologia originale e originaria la coppia di donna e uomo si quali®ca e si
presenta, come eÁ, il massimo della comunione interpersonale in quanto simbolo
della stessa situazione dialogale instauratasi tra Dio e l'umanitaÁ (cf. p. 70). In tal
modo lo stesso racconto della donna originaria e della sua condizione, invece di
rappresentare, com'eÁ stato scritto, la premessa di una lunga catena di subordinazione della donna all'uomo acuitasi dopo la disubbidienza al Creatore, fa sõÁ che
«paradossalmente, proprio il simbolo femminile di Eva presentato dalla Genesi
contesta la tesi dell'intrinseca irrecuperabilitaÁ della Bibbia a un discorso de
dignitate mulieris» (p. 71).
Analoghe sorprese presenteraÁ a chi avraÁ la pazienza di rifare il percorso con
Milano, il Cantico dei cantici, «piccolo, ma stupefacente canto di esaltazione
dell'eros allo stato puro» (p. 93), «umile e alto libriccino sull'eros e sulla donna»
158
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
(p. 106), quasi «uno dei piuÁ profani tra i libri biblici» (p. 99). Sottoposto dall'Autore a un'accurata, seppur sintetica, «esplorazione nel quadro della problematica della donna e dell'amore» (p. 95), questo Cantico, oltre a mostrare Dio
come «il grande protagonista segreto di tutta la vicenda d'amore» (p. 99) tra i
due generi, squaderna il suo peculiare legame d'oro con la Genesi attraverso i
libri profetici. Anzi, mentre sottolinea la smisurata capacitaÁ e potenza di amare
propria della donna piuttosto che dell'uomo, ®nisce per esibire anch'esso quel
®lone personologico di cui si diceva, ovvero quel «personalismo, in particolare
quello al femminile», che «puoÁ ben trovare nel Cantico dei cantici il suo incunabolo teologico oltre che poetico» (p. 103). Nel medesimo libro sacro, inoltre,
amare non eÁ tanto, come ci aspetterebbe a motivo degli in¯ussi dei testi coevi del
vicino Oriente antico, un processo gerarchico che puri®ca le forme pretese
inferiori nelle forme superiori. Mentre il mondo ®loso®co greco aveva teorizzato
la gerarchia dell'eros in un certo modo e continuava ancora a teorizzarlo parallelamente al formarsi del canone biblico e del primo pensiero cristiano, il libro
biblico presenta piuttosto la tastiera dell'amore come una complessitaÁ articolata
in cui sia l'amore sessualmente connotato tra uomo e donna, sia l'amore che eÁ
pura dedizione, dilezione e caritaÁ «sono forme qualitativamente differenti, destinate, peroÁ... a compenetrarsi, anche se non si scambiano ne si confondono
mai» (p. 104). Questa nuova e inaudita modalitaÁ di parlare dell'amore umano
ridonda anche sui due sessi e, in particolare, sulla donna, di modo che «sempre
dal Cantico, ma non solo dal Cantico, si scopre quale incomparabile riconoscimento di grandezza riceva la persona della donna, la cui soggettivitaÁ si ammanta
della gloria del suo primato nell'amore come potenza della vita altrettanto vittoriosa come l'inesorabile potenza della morte» (p.113).
Ma, come si diceva, eÁ soprattutto nella nozione di agaÂpe che prende corpo e
consistenza originale l'idea di persona ritrovata da Milano ®n nella Bibbia e non
soltanto nei successivi dibattiti teologici, giaÁ illustrati nei suoi poderosi saggi
storici precedenti 4. Un'idea questa, precisa Milano, che «non viene, dunque,
in®lata dall'esterno, a capriccio, dentro i versetti della Bibbia» (p. 353), che
anzi la si vede spuntare ®n dalle prime righe dei sacri Testi, per prendere corpo
qualche secolo dopo in GesuÁ Cristo e, in lui e mediante lui, nelle tre persone
trinitarie. In qualche modo, anzi, la ri¯essione cristiana successiva, nel prendere
atto di tutto cioÁ che giaÁ i testi sacri insinuavano, non avrebbe potuto far altro che
con®gurare in termini personali la propria fede creduta in GesuÁ Cristo e nella
TrinitaÁ. In questo senso, si legge che «l'esplicita tematizzazione del problema
della persona i cristiani l'hanno dovuta intraprendere a causa delle insorgenti
domande intorno all'identitaÁ del loro Dio, intorno cioeÁ alla caratteristica problematica sollevata dal loro inedito monoteismo esplosa per le dispute trinitarie
prima e cristologiche poi» (p. 354). Anzi, soltanto cogliendo la portata effettiva
4
A. MILANO, Persona in teologia. Alle origini del signi®cato di persona nel cristianesimo antico, nuova edizione con nuova Postfazione, Dehoniane, Roma 1996; Persona e
personalismi, a cura di Antonio Pavan e Andrea Milano, Dehoniane, Roma 1987; cfr.
anche il suo contributo in La persona plurale. Filoso®a pedagogia teologia in dialogo, a
cura di Carla Roverselli, Aracne, Roma 2002; Il paradosso persona, in Dire persona, oggi
[= «Hermeneutica», n. s.], Morcelliana, Brescia 2006, pp. 89-115.
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
159
di questa nozione giaÁ all'interno dei libri biblici si potraÁ sperare quella corale
conversione «non solo intellettuale», esercitata sui piani della teoria e della prassi
circa le donne, «per passare insieme da una prospettiva androcentrica a una
prospettiva femminista o, meglio, come preferiamo dire noi, personalista, e cioÁ
per consentire l'ingresso nel circolo dei virtuosi a donne e anche a uomini di
buona volontaÁ» (p. 45). In questa luce, l'investigazione diligente nei libri biblici
del primo Testamento consente d'incrociare nuovamente il signi®cato di quel
peculiare «una sola carne» di Gen 2,24, che si mostra davvero come una «formula tenera e forte, che de®nisce l'unitaÁ che si compie tra la donna e l'uomo nel
vincolo dell'eros» (p. 65: questa eÁ una pagina chiave all'interno del cap. 3, pp. 5378, tutto dedicato appunto al senso della creazione operata «a immagine e somiglianza di Dio»). Formula che consente di rileggere e gustare nei primi due
capitoli del Genesi quei peculiari «contorni di un'antropologia e, dunque, una
de®nizione dell'umanitaÁ costituita da persone» (p. 70). Formula che permette
altresõÁ di rimeditare i profeti Osea, Geremia, Ezechiele e Deutero-Isaia, i quali
«collegano l'idea dell'alleanza con quella del matrimonio» (p. 82; cf. cap. 4, pp.
79-91), senza evitare il simbolismo dell'eros il cui culmine eÁ proprio l'amore
coniugale. Gli stessi protagonisti sublimi del Cantico (cf. cap. 5, pp. 93-115),
afferrati dall'amore in tutti i loro sensi esterni, nelle emozioni e nei gesti dell'eros
e dell'io desiderante, ri-appaiono cosõÁ in una luce cristocentrica, la quale non
svilisce e non esautora l'eros ma lo ri-avvolge nello sfolgorio dell'agaÁpe. «D'accordo», annota Milano, «diverso eÁ l'eros, l'amore tra uomo e donna, sessualmente caratterizzato, rispetto all'agaÁpe, l'amore che eÁ dilezione e caritaÁ. In un'ottica neotestamentaria, l'eros e l'agaÁpe sono forme d'amore qualitativamente
differenti» (p. 104). Detto altrimenti, le forme cristiane dell'amore risultano
senza dubbio aliene da quel tipo di erotico che esclude formalmente il nuziale
quale si puoÁ per esempio trovare nell'«eros omosessuale, oltre a quello delle
estreme patologie della perversione» (p. 110). Tuttavia, quel linguaggio ispirato
dell'eros, che soltanto Teodoro di Mopsuestia non temeva di segnalare come
possibile linguaggio per parlare per®no dell'Altissimo (anche Lui «vuole parlare
con tanto realismo il fresco e insieme rovente linguaggio degli innamorati»: p.
105), ribadisce al lettore di oggi «quale nobilitazione riceva l'eros umano negli
stessi testi sacri degli ebrei e dei cristiani, dove si presenta il loro Dio creatore e
salvatore» (p. 113).
In questa linea ha operato l'ebreo GesuÁ, che i testi del nuovo Testamento
propongono come uno che mostra di aver autorevolezza sulla stessa ToraÁh, che
egli tratta appunto come se fosse «nella sua disponibilitaÁ». Studiato da capo Ð
sempre nell'ottica del circolo ermeneutico, cioeÁ «della narrazione globale della
sua storia, dentro l'insieme del suo ``evangelo''» (p. 144) Ð GesuÁ conduce un'interpretazione della relazione femminile-maschile non tanto confrontando l'andamento delle cose del mondo con la creazione originaria quanto facendo discendere, dal regno di Dio giaÁ presente e operante nelle sue parole e nei suoi gesti
intimamente connessi, delle rigorose e universali conseguenze sulla relazione tra
donna ed uomo. Nel Nazareno, infatti, stando ai testi sacri, ogni «radicalizzazione della norma si associa... a una concreta tolleranza nei confronti dell'effettuale infrazione» (p. 135); mentre «d'un colpo, mette in crisi il sistema legale
160
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
giudaico del puro e dell'impuro» (p. 151), per esempio facendosi accompagnare
da donne che si pongono alla sua sequela e nel suo discepolato e, dunque, sono
in qualche modo riconosciute come idonee ad insegnare ed educare. Insieme,
peroÁ, egli sentirebbe assai stretta la presunzione che pretendesse di ridurre il suo
evangelo a una semplice azione di abbattimento, in prospettiva femminista antelitteram, di un regime socio-culturale, quello del patriarcato.
Nella medesima scia, quella certa ambivalenza del femminile e del maschile
presente nell'Apocalisse (cf. cap. 10, pp. 235-252), mette il lettore, alla ®ne della
Bibbia, di fronte ad «una folgorante esaltazione della femminilitaÁ» (p. 240). Ma eÁ
soprattutto il bel capitolo dedicato a Paolo che mette in crisi, come giaÁ si accennava, il preteso nefasto in¯usso da lui esercitato sulla subordinazione della
donna, su cui si sono scatenate del resto le accuse piuÁ severe del pensiero
femminista nella sua forma radicale e nelle sue molteplici forme piuÁ moderate
(cf. p. 23, n. 16, con la giusti®cazione di queste etichette storico-teologiche).
L'ipotesi di ricerca di Milano si fa ormai chiarissima: potrebbe, per®no nel
caso di Paolo, essere stata ancora una volta «l'assolutizzazione di questo o
quel versetto, sottratto alla veri®ca o al controllo critico del circolo ermeneutico
di una corretta interpretazione, ad aver giocato il brutto tiro di far passare Paolo
per un bieco sostenitore del privilegio del maschio»? (p. 189). Sia le lettere
considerate autentiche, sia le altre in qualche modo riferibili all'Apostolo, presentano, infatti, non pochi passaggi delicati che piuÁ di una volta nella storia della
recezione hanno alimentato nei lettori il vago sospetto di «un orizzonte rozzamente misogino» (p. 191). Quest'Apostolo dell'ultim'ora, nei suoi scritti non ha
certamente la pretesa di mettersi alla pari con GesuÁ, il Risorto che gli si eÁ rivelato
nell'esperienza di Damasco, ma comunque si trova spesso ad affrontare questioni
pratiche, non ancora presenti al Maestro, soprattutto quelle relative all'esercizio
dell'eros e della sessualitaÁ dentro e fuori la coppia stabile, senza poter ancora
disporre di salvacondotti o di codici di comportamento consolidati come giaÁ
congruentemente cristiani, ovvero in linea con quanto de®nito dal Maestro. Si
ricorderaÁ in merito, con Milano, che ai tempi di Paolo il lessico dell'eros risulta
bandito e aborrito «prima che da tutti i testi canonici del NT, giaÁ dalla traduzione greca della Bibbia ebraica» (p. 196). Eppure, a ben guardare, la peculiare
utilizzazione del lessico del corpo negli scritti paolini e paolinici, nonche la
conoscenza che essi, all'analisi ®lologica ed ermeneutica, mostrano delle teorizzazioni, anche ®loso®che oltre che pratiche, di certi comportamenti erotico-sessuali immorali, squadernano ben presto come un nuovo scenario. Soprattutto
fanno emergere quel vero e proprio «manifesto della liberazione evangelica» (p.
207), come lo denomina Milano, che eÁ Gal 3,28, il quale educa in una direzione
inusuale i propri lettori. Difatti, non c'eÁ piuÁ «maschio e femmina» (nel testo
greco, nota opportunamente l'Autore, si legge un kaõÂ, non un oudeÁ: p. 208)
puoÁ diventare quasi lo slogan per sintetizzare il volume di Milano, ma soprattutto
per disegnare «quell'unitaÁ nella reciprocitaÁ differente del maschile e del femminile non abolita, ma trasformata», p. 210). Ma se cosõÁ stanno le cose, «se per la
ToraÁh la normativitaÁ radicale era stabilita dal teologico», davvero «per l'evangelo
essa viene ristabilita dal cristologico» (p. 214). In Cristo si origina, pertanto, tutto
un nuovo modo di essere e di vivere, quali®cato dal reciproco servizio, ovvero
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
161
dalla reciproca sottomissione di maschi e di femmine: «lo richiede l'amore nuovo
introdotto da Cristo; l'agaÂpe che eÁ dilezione e caritaÁ» (225). EÁ proprio questa
nozione di agaÂpe Ð che Milano invita a riscoprire anche nel gergo cristiano
contemporaneo Ð, come si vede nell'ampia ricapitolazione ragionata (cf. il lunghissimo ed articolato cap. 11, pp. 253-365), che ci fa de®nitivamente render
conto della radicale novitaÁ apportata dall'evangelo di Cristo, che eÁ rigorosamente
anche quello di Paolo. Nell'insinuare una nozione di agaÂpe che non umilia, neÂ
respinge o nega l'eros (termine non biblico, anzi consapevolmente escluso, come
si eÁ detto, quasi del tutto dalla Bibbia ebraica), il nuovo linguaggio cristiano
libera e plasma l'umanissimo eros «per la libertaÁ dell'agaÁpe» (p. 253). Il confronto
con la lingua e con la cultura dei greci permette anzitutto di veri®care che i primi
cristiani, pur intendendo parlare dell'amore in tutte le sue forme, lo vogliono fare
«in modo del tutto diverso, anzi opposto a quello vissuto e compreso dal paganesimo della grecitaÁ classica e di quella ellenistica» (p. 256), ovvero senza le
mediazioni ne i compromessi con le «pratiche pagane dell'eros, quelle comuni
della vita quotidiana e quelle esoteriche dei misteri», soprattutto senza cedere
alle «interpretazioni pagane dell'eros, quelle popolari della mitologia e quelle
raf®nate delle ®loso®e, particolarmente dell'epicureismo, ma pure del platonismo» (259). Il libro di Milano mostra bene, tra l'altro, attraverso il «confronto fra
la concezione biblica e quella pagana dell'amore» (p. 260), come la novitas
christiana dell'agaÁpe, assai vivace nei testi di Paolo, sia aperta alla persona piuttosto che soltanto alla conoscenza (gnosi) o, al massimo, all'individuo, come avveniva nel pensiero greco non cristiano, ancora carente della nozione di persona nel
senso cristiano. AgaÂpe eÁ insomma nozione che si staglia netta nella sua differenza
liberante tanto da poter concludere, in parziale dissonanza con il monumentale
studio di A. Nygren, ripercorso e criticato nei suoi snodi essenziali da Milano,
che «tra l'eros pagano e l'agaÁpe cristiana non c'eÁ nulla in comune» (p. 264). Ma
tutto questo signi®ca pure che un certo in¯usso esercitato dalla teorica del
«beato» Platone sui Padri e della Chiesa «ha prodotto, si noti bene, sul piano
culturale una nobile ``ellenizzazione'' piuttosto che una radicale compiuta ``cristianizzazione'' dell'eros cosõÁ com'era pensato, in particolare, dalla ®loso®a greca,
con la quale il cristianesimo eÁ stato costretto ben presto a entrare in contatto» (p.
263). Il pur notevole apporto di Plotino e della sua henologia (cf. le belle pagine a
lui dedicate: pp. 274-284), che talvolta sembra addirittura approssimarsi alla
stessa direzione dell'agaÂpe come pensata dai cristiani, non oltrepassa mai il cosiddetto schema alessandrino del mondo, non essendo comunque in grado di
aprirsi ad un salvatore che aiuti ad uscire dai guai in cui ci si eÁ da se stessi
cacciati lungo le vie dell'eros. Il rischio di un abbraccio as®ssiante del pensiero
cristiano con la pur nobile visione platonizzante si vede all'opera nel poliedrico
Origene (cf. l'affresco a lui dedicato da Milano: pp. 284-313). Difatti, pur avendo
egli per primo ritenuto «possibile far coincidere i signi®cati della terminologia
dell'eros con quelli designati dalla terminologia dell'agaÂpe» (p. 285), non risulta
indenne dal grande fraintendimento che, come giaÁ si eÁ notato a proposito del
linguaggio del Cantico, ®niraÁ per esclusivizzarne il solo livello spirituale di lettura
(eppure, per lo studio della Bibbia, egli stesso ne aveva teorizzato, come si eÁ
detto, due: livello letterale e livello spirituale, a sua volta articolato in cristologico
162
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
e psicologico: cf. p. 297). In tal modo, eÁ nel testo di Origene che quell'amore
secondo la carne, pur presente nel grande libro biblico del Cantico, ®niraÁ per
essere considerato soltanto secondo il pur legittimo senso spirituale «percheÂ
altrimenti sarebbe indegno di Dio e insieme dannoso per le anime» (p. 299).
In sintesi, il grande Alessandrino, che pure vanta non pochi meriti di confronto e
di ripresa cristiana creativa di problematiche tipiche del platonismo, «non si
sottrae al contagio dell'impostazione dualistica del platonismo insieme con il
sospetto, per non dire con la svalutazione, che ne consegue e coinvolge l'universo
della creazione» (p. 309), quindi anche della donna, dell'amore e dell'eros. In
qualche modo eÁ, anzi, con Origene che si apre il grande iato cristiano rispetto alla
grande idea neotestamentaria di agaÂpe, dal momento che dopo di lui l'agaÂpe non
saraÁ piuÁ com'era, «e non saraÁ piuÁ cosõÁ in virtuÁ di quell'amalgama di platonismo e
di esegesi biblica da lui prodotto e immesso nella circolazione dell'ecumene
cristiana dell'oriente come dell'occidente» (p. 311).
Conclusione: l'encomio paolino dell'agaÂpe
Occorre oggi, invece, ritornare all'amore «biblicamente e cristianamente
compreso, nelle sue diverse forme e, dunque, anche nell'eros», che «viene a
comportare una relazione personale e, pertanto, il legame di ``io'' e di ``tu''»
(p. 312). Insieme peroÁ, contrariamente ad A. Nygren, Milano continua a ricordare che «il NT, preso nella sua globalitaÁ cosõÁ come nelle sue singole testimonianze, eÁ un fatto troppo complesso e profondo per poter essere interamente
stipato nella pur immensa, ma pur sempre unica, categoria dell'agaÂpe» (p. 321).
In conclusione, eÁ l'encomio di 1Cor 13 (circa il quale Milano, sulla scia di R.
Penna dal quale desume anche l'identi®cazione del genere letterario, scarta sia la
tesi della natura interpolativa di 1Cor 12,31 - 13,13, sia quella della peculiaritaÁ
autobiogra®ca del testo), il testo in grado di offrirci la possibilitaÁ di una conclusione solenne e di un'eccezionale sintesi ricapitolativa della fatica di Milano.
L'agaÂpe alla luce del Nuovo Testamento mostra infatti in azione sia la concentrazione cristologica che l'espansione trinitaria della teologia paolina (cf. p. 337)
e quindi manifesta la sua potente carica semantica, la quale risulta in grado di
concentrare tutto l'ammaestramento sull'amore giaÁ concentrato nell'AT e radicalizzato nel NT (cf. p. 344). La stessa veneranda nozione di persona, alla sua
luce, si carica di nuove risonanze, anche nella prospettiva della relazione di
coppia. Anzi, la relazionalitaÁ strutturale evocata dall'agaÂpe, oltre a consentire al
cristianesimo di pensare le tre Persone dell'Unico Dio e di pensare l'unica Persona in Cristo, potrebbe, anzi dovrebbe secondo Milano, diventare una modalitaÁ
costitutiva di pensare la stessa persona umana (p. 357): «La singolaritaÁ irriducibile dell'uomo come persona non puoÁ, infatti, circoscriversi e rinserrarsi nella
solitudine dell'io, in una soggettivitaÁ autosuf®ciente o, peggio, tirannica, e non
puoÁ neppure aprirsi ed espandersi limitandosi alla sola dialogicitaÁ dell'io-tu, ma
deve necessariamente giungere alla coralitaÁ e alla comunione del noi» (p. 361).
Napoli, FacoltaÁ Teologica, Sez. S. Tommaso d'Aquino
PASQUALE GIUSTINIANI
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
163
5. Donna e amore nella bibbia: dialogo col femminismo
Il volume di Andrea Milano esige da parte mia un triplice ringraziamento.
Innanzitutto per l'attenzione al problema donna; in secondo luogo per il dialogo
aperto con la teologia femminista; in terzo luogo per le citazioni esplicite di miei
interventi, per altro con una acribia che mi ha spiazzata. Non eÁ usuale che un
teologo presti attenzione alla questione femminile, ne tanto meno che citi le
colleghe, anche quando si sono prodotte in temi e ricerche af®ni. Di recente
ho lamentato che un volume pregevole sul tema della corporeitaÁ sorvolasse
agilmente non solo sul nesso donna-corporeitaÁ, ma sull'apporto speci®co che
le donne nella decade ultima del secolo XX hanno dedicato alla questione.
Dunque, singolare la scelta del tema, e ancor piuÁ singolare, commovente quasi,
la mappa a tutto campo della dialogia con il femminismo d'ogni segno, preso
sempre sul serio, direi simpateticamente. In questa mappa che spazia dalle italiane alle tedesche, inglesi, francesi, statunitensi, mi ritrovo anch'io e ovviamente
ringrazio perche la lettura di questo testo ha riproposto me a me stessa. A volte,
infatti, le affermazioni sgorgano ovvie, ma solo nell'eco che suscitano se ne coglie
una ulterioritaÁ di senso. Insomma, non soliloqui sterili, quelli delle donne, ma
provocazioni che in Andrea Milano trovano un attento e compartecipe interlocutore.
Quanto al volume di certo intende rispondere e in parte risanare l'anomalia
che nella cultura cristiana ha veicolato la misoginia Ð tema questo su cui lo stesso
Andrea Milano ha curato una preziosa raccolta di saggi Ð. E, soprattutto, intende
mostrarne l'incongruenza, rispetto al messaggio biblico. In particolare il ®lo
rosso del volume eÁ dato dal desiderio di oltrepassare la indubitabile espulsione
dell'eros nella tradizione cristiana che gli ha preferito il termine agape assumendolo come il solo autenticamente espressivo della relazionalitaÁ essere umano-Dio
/Cristo-Chiesa.
Per farlo Andrea Milano Ð che pone a premessa il versetto ben noto di Gal
3, 28 Ð si muove secondo uno sviluppo tematico che ha a suo fondamento
l'affermazione relativa alla donna come persona. Dato purtroppo non ovvio in
duemila anni di cristianesimo se ancora negli anni '30 Ð ma forse la domanda
resta aperta ancor oggi Ð la rivista Esprit dedicava alla questione: «La donna eÁ
anch'essa persona?» un suo fascicolo. In veritaÁ la questione implica la reciprocitaÁ
vitale tra uomo e donna che, appunto, in quanto «persone» sono e rimangono i
soggetti privilegiati delle diverse forme dell'amore donato e ricevuto (cf. p. 91).
D'altra parte, giaÁ propedeuticamente, Andrea Milano vede il percorso intrapreso come «un appello per un impegno corale di uomini e di donne nel
gareggiare e sostenersi nello sforzo di una sempre piuÁ intensa comprensione
comune della Bibbia» (p. 12). DiraÁ nelle pagine conclusive: «Di laÁ della retorica
dell'uguaglianza, a un'antropologia di una insopportabile subalternitaÁ o di una
banale complementaritaÁ non potraÁ subentrare una vissuta antropologia della
reciprocitaÁ nella differenza, se donne e uomini, insieme, non si confronteranno
e arricchiranno anche di quel sapere della ``persona'' che emerge dall'intelligenza
della Scrittura» (p. 371).
164
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
Dunque eÁ la Scrittura la chiave di questo testo, il messaggio della Scrittura
sulla donna. Una Scrittura, peroÁ, non vagliata solo dagli uomini, ma ®nalmente
vagliata, letta e studiata, interpretata anche dalle donne.
Innanzitutto, dunque, attenzione e ascolto del movimento femminista nel
suo approccio al testo biblico, pur ritenuto espressione e veicolo di una cultura
androcentrica e patriarcale. La stessa questione del collocare uomo e donna tra
differenza e genere (cf. pp. 18 ss.) corrisponde a quella ricognizione che eÁ previa
alla stessa interpretazione della Bibbia di fronte a cui si pongono diversamente il
femminismo radicale e il femminismo moderato (cf. p. 23ss.). In ogni caso la
novitaÁ eÁ quella di un'ermeneutica femminista che Ð e l'autore cita Maria Cristina
Bartolomei Ð «riconosce la speci®citaÁ della soggettivitaÁ femminile, e non la vuole
etero-normata dalla cultura androcentrica. Riconoscere la declinazione del soggetto, peroÁ, non signi®ca per cioÁ stesso affermare l'essenziale irrelatezza di uomini e donne... [ma eÁ piuttosto] affermazione di un diverso paradigma scienti®co...» (pp. 27 s.).
I capitoli 1 e 2 del volume mettono, dunque, a tema: «Femminismo, Bibbia
ed ermeneutica» e «Bibbia e liberazione della donna». I nodi sono relativi alla
richiesta femminista di depatriarcalizzare il testo sacro Ð e in tutta contiguitaÁ di
chiedersi se cioÁ sia possibile Ð e di aprirsi all'esegesi femminista come «ermeneutica della liberazione». Preso atto, ed eÁ irrinunciabile, che la Bibbia eÁ «storia
della salvezza», Andrea Milano sottolinea come la critica femminista non sia
sempre distruttiva (cf. p. 50), sino a chiedersi a cosa si ridurrebbe la Bibbia
senza le donne (cf. p. 115). Questa domanda chiude l'analisi dei capitoli 3, 4,
5, dedicati nell'ordine al tema della immagine e somiglianza, all'alleanza e alla sua
lettura «erotica», al Cantico dei Cantici come «contrappunto sublime» che,
diciamo noi, supporta la lettura erotica dell'alleanza e avalla, come scrive Andrea
Milano, l'analogia tra l'eros umano e l'eros divino.
I capitoli 6 e 7 mettono a tema la donna nel giudaismo e la donna nella
prospettiva del regno annunciato da GesuÁ di Nazaret; il 9 e 10 si sintonizzano
sulla visione degli scritti paolini e sulle ambivalenze del femminile (e del maschile) nell'Apocalisse. Il capitolo 11 offre una «ricapitolazione» ragionata su
eros, agape, persona e il 12 «fra i tempi» pone la questione dell'interazione di
femminismo, storia e responsabilitaÁ.
Lasciamo ad altri queste molteplici attenzioni per dirigerci sul capitolo 8 che
tematizza Maria, la donna «benedetta tra le donne». Va detto che della lettura
femminista di Maria, Andrea Milano eÁ ben consapevole. In essa, infatti, la donna
Maria viene colta come l'eccezione che cementa la proiezione religiosa di una
gerarchia sacerdotale e maschile. Le femministe hanno de®nito Maria un modello
irraggiungibile e disperante. Andrea Milano punta invece a mostrare come la
Maria dei vangeli sia anche altro. E ha buon gioco (felice polifonico polisemantico: cf. p. 163) puntando su Lc 1, 20.30, su quel rincorrersi di chaire... kechatoritomene...charin, dove risuona straripante il termine charis, grazia. Maria eÁ
«oggetto» dell'amore smisurato di Dio ed eÁ «soggetto» che, corrispondendo a
questa manifestazione di scon®nata benignitaÁ, si mostra capace di concedersi con
prontezza generosa e ®ducia totale al disegno divino (cf. pp. 165s.). «La ``ricolmata di grazia'', alla proposta di farsi madre, risponde con la decisione di farsi
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
165
``serva''» (p. 166). Il comportamento libero e responsabile di Maria la mostra
donna in carne ed ossa che rende improponibile l'antica misoginia. «Se GesuÁ eÁ
``il ®glio di Maria'' e se Maria eÁ davvero ``la madre di GesuÁ'' questo vuol dire Ð
egli afferma Ð che si rovescia senza ritorno il destino a cui Eva sembrava aver
avviato le sue ®glie, sottraendo qualunque pretesto alla persuasione che, come
l'antica madre, ogni donna sarebbe, per cosõÁ dire, per natura la rovina dell'uomo... la responsabile del dissidio tra l'uomo e Dio» (p. 167). Nell'orizzonte
di una fede cristologicamente caratterizzata, la donna per eccellenza non eÁ piuÁ
Eva, bensõÁ Maria. Ne con cioÁ siamo dinanzi a una «idea» o a un «mito»: la Maria
dei vangeli cristiani esibisce una identitaÁ di donna viva e vibrante, consapevole di
se e ri¯essiva, umile e autorevole, totalmente e incondizionatamente abbandonata a Dio.
Andrea Milano nelle pagine seguenti mostra l'analogia d'intenti tra le confessioni cristologiche Ð Rm 1,3-4, ad esempio Ð e il dettato dei vangeli dell'infanzia: nell'uno e nell'altro caso siamo di fronte a una cristologia della preesistenza. Maria eÁ inclusa nell'assunzione di carnalitaÁ e temporalitaÁ. Senza di lei non
c'eÁ il Verbo nella carne. E poiche la fede cristologica ha il suo sigillo nella
risurrezione, eÁ questo stesso evento a divenirci chiave della Madre di GesuÁ,
che resta tale, oltre i problemi pure aperti.
Maria, insomma, come garanzia sia dell'umanitaÁ reale sia dell'unicitaÁ di
GesuÁ (cf. p. 178). Caro salutis cardo. Da Maria, secondo Andrea Milano, comincia a modi®carsi la lettura della donna trasformando la maternitaÁ da destino a
libera scelta di autodeterminazione. E, in effetti, il modello lucano fa di Maria il
perfetto discepolo e insieme fa di lei, la donna del Magni®cat, colei che puoÁ
attestare giaÁ in atto la realizzazione del regno di Dio. Conclude Andrea Milano:
«Questa donna, questa madre, con buona pace di alcune femministe, non riunisce in se la piuÁ nobile, la piuÁ ``cristiana'', la piuÁ universale delle possibili identitaÁ
femminili?» (p. 186).
Maria insomma come paradigma di quella conversione dell'eros resa possibile dalla fede cristiana, la quale nell'agape lo tras®gura e non lo abbandona o
disprezza. E se eÁ l'agape il luogo proprio del divenire persona, cioÁ per l'appunto
non avviene nella dannazione dell'eros, ma come detto nella sua tras®gurazione.
La domanda ®nale eÁ pur sempre la stessa: mistica della femminilitaÁ? C'eÁ nel
lavoro di Andrea Milano, nella sua puntigliosa rimessa a fuoco dei molteplici
temi della sua ricerca, un indubbio schierarsi e «arrendersi» dinanzi al mistero
della donna. Ma alla ®ne esso non eÁ disgiunto dal mistero dell'uomo ed eÁ strettamente connesso al mistero di Dio. L'alleanza eÁ cifra dell'amore di Dio verso la
creatura, ma proprio percioÁ eÁ radicata ed esemplata sulla domanda che uomini e
donne reciprocamente indirizzano gli uni alle altre e viceversa, ben intuendo
come il mistero di Dio Ð nella grazia salvi®ca del suo prender carne Ð alla ®ne
non sia poi totalmente altro dal mistero dell'essere umano, dall'uomo-donna
creati ad immagine. Certo resta la presa d'atto di un percorso distorto, assai
diverso da quello che la Scrittura, primo e secondo testamento, ci ha proposto,
pur nel suo linguaggio culturato; resta la delusione per le forme in cui l'uguaglianza originaria dell'immagine e della somiglianza eÁ stata recepita e tradotta
nelle diverse situazioni storiche. CioÁ malgrado Ð mistica della femminilitaÁ? Ð
166
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
Andrea Milano ritiene ci sia del vero nell'accusa a tutta prima infamante che
indica il cristianesimo come «religione di donnette». SõÁ perche le donne, a suo
dire, sviluppano maggiormente il senso del concreto, dimostrano una superiore
capacitaÁ di resistenza di fronte alle avversitaÁ, affrontano coraggiosamente situazioni anche estreme, aborriscono con piuÁ determinata repulsione la violenza,
coltivano con piuÁ intrepida tenacia l'apertura al futuro... Tutto questo Ð egli si
chiede Ð non rende la donna piuÁ immediatamente testimonium animae naturaliter christianae? E, aggiunge, eÁ forse mai venuto meno quel «potere della fede
comunicativa» peculiare delle donne, giaÁ presente alle origini del cristianesimo?
(cf. p. 369). E se resta aperta la stesura di un de mulieris dignitate, resta altresõÁ
evidente che la «mala pianta della misoginia» (p. 370) non saraÁ ef®cacemente
sradicata senza che ci si impegni responsabilmente tutti, uomini e donne, «in un
dialogo che ®n da principio rinunci alla ``violenza ermeneutica'' e si faccia disponibile all'ascolto di quella sapienza racchiusa nel testo biblico e, in particolare, nel vangelo di Cristo» (p. 370).
Roma, FacoltaÁ Teologica «Marianum»
CETTINA MILITELLO
6. Sulla determinazione «personalistica» dell'amore agapico. Un confronto col
cristianesimo antico
EÁ un libro di grande impegno quello di Andrea Milano. L'affermazione
dell'Autore (p. 254), che si tratti di un «saggio dal tema circoscritto» e la stessa
scelta del titolo, che pur elenca nodi problematici di grande intensitaÁ: Donna e
amore nella bibbia. Eros, agape, persona, non rendono giustizia alla complessitaÁ
del discorso svolto, che, cronologicamente, arriva ®no alla patristica e al medioevo, e, metodologicamente, intreccia svariate competenze. Non si trova facilmente nei nostri studi chi abbia il coraggio e la capacitaÁ di muoversi fra Scrittura
ebraica, Scrittura cristiana, teologia e storia, storia dei primi secoli cristiani e
®loso®a, con competenza, con abilitaÁ di sintesi, quest'ultima evidente nel caso del
primo capitolo, dedicato al confronto con l'ermeneutica femminista, e, last but
non least, con il desiderio di non lasciare nulla di implicito o di non dichiarato nel
discorso, il che conduce Milano, per esempio, a precisare la sua posizione circa
l'applicazione del metodo storico nei confronti dell'oggetto GesuÁ di Nazaret (p.
129).
Eppure io capisco perche Andrea Milano abbia potuto parlare per la sua
fatica di tema circoscritto: ha fatto questa affermazione che, ripeto, non rende
giustizia al suo sforzo, perche dominante e urgente eÁ l'unitaÁ di senso che governa
la sua impresa, la quale si potrebbe riassumere in una sola domanda: cosa caratterizza l'amore cristiano, cosa costituisce la sua novitaÁ e la sua irriducibilitaÁ a
qualsiasi intuizione puramente umana, che sia ®loso®ca o sia umanamente consumata?
A questa domanda il libro fornisce una risposta altrettanto unitaria: l'amore
cristiano, cioeÁ del Dio della bibbia ebraica che si disvela nella ulteriore rivelazione di Cristo come trinitario, l'amore espresso con il termine agape sia nei
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
167
Settanta che nel NT, come Milano sottolinea, eÁ amore fondato sulla relazione
personale. Detto sinteticamente: il rapporto d'amore fra persone all'interno del
divino attiva il rapporto d'amore dei credenti interpersonale, intracomunitario e
aperto all'esterno. EÁ l'amore cantato da Paolo in 1Cor 13, in primo luogo,
nell'interpretazione accolta da Milano, «l'agape di Dio, di Cristo e dello Spirito
nei confronti dei credenti» (p. 335), che, a sua volta, diventa ragione dell'amore
degli uomini. Questa determinazione «personalistica» dell'amore agapico fa sõÁ
che essa necessariamente si manifesti, per cosõÁ dire si incarni, nelle diverse relazioni d'amore, nelle diverse modalitaÁ dell'amare, proprie dell'umano: questo
pensiero eÁ ben sintetizzato nel seguente titolo: «tra cielo e terra. L'agape come
forma d'amore che salva e tras®gura l'eros e insieme tutte le altre forme d'amore», titolo dato da Andrea Milano al paragrafo fondamentale del capitolo che
costituisce il nucleo decisivo del volume, cioeÁ: Ricapitolazione ragionata su eros,
agape, persona. Fra le diverse forme d'amore umano c'eÁ appunto l'eros, l'amore
tipico della coppia e che si esprime nell'unione sessuale (p. 349).
In questa impostazione si manifesta la complessa intenzione di Andrea
Milano, animata dal duplice scopo di chiari®cazione teologica e di preoccupazione pastorale, da intendersi nel senso migliore del termine, una preoccupazione
pastorale cioeÁ desiderosa di dare compiuta ragione teorica della sua posizione,
verso i lettori in generale e verso le lettrici in particolare. CioÁ gli consente di
superare l'impostazione di Nygren. In precedenza infatti Milano aveva dedicato
un paragrafo dello stesso capitolo alla discussione del fondamentale lavoro Nygren, che pure riconosce lealmente aver fornito lo spunto e l'intuizione iniziale
per il suo volume: Nygren mette in reciproca contraddizione, senza possibilitaÁ di
mediazione, l'eros greco, rappresentato al meglio da Platone, e l'agape del Dio
cristiano, l'uno appetitivo, in cui l'altro, che sia l'amato umano o Dio, eÁ semplicemente oggetto del desiderio, e l'altro libero oblativo effusivo. In questo modo,
conclude Milano, Nygren, contrapponendo come due mondi incomunicabili
l'eros e l'agape, perde la connessione fra i due e quindi la potenza redentiva
totale dell'agape nei confronti dell'eros. Altrimenti, si chiede Milano, perche mai
un Osea, e poi un Paolo (Ef 5) avrebbero dovuto utilizzare la realtaÁ dell'eros
umano come parabola dell'agape divina? (p. 322).
Tale interrogativo permette, implicitamente, all'autore di riannodare le ®la
di quello che era andato dicendo nei precedenti capitoli: soprattutto nel capitolo
III (Com'era nel principio), nel capitolo IV (Sulla donna e l'eros nei profeti) e nel
capitolo V sul Cantico dei cantici. Nel capitolo riguardante il racconto protologico di Genesi ci sono al centro l'uomo e la donna, ciascuno creato singolarmente
come persona al maschile e al femminile e ciascuno in riferimento all'altro da seÂ,
entrambi posti dinanzi a Dio come persone: e poiche sono entrambi a immagine
e somiglianza di Dio, Dio ama in loro parimenti l'essere maschio del maschio e
l'essere femmina della femmina. Fine eÁ a questo riguardo l'analisi di Milano che
sottolinea come, nel racconto protologico, ciascuno, l'uomo e la donna, divenga
quello che eÁ nel momento in cui si trova faccia a faccia con l'altro. Il culmine
espressivo di questa posizione Milano lo raggiunge nella spiegazione del Cantico
dei cantici: voglio a riguardo citare un breve passo. Dice Milano:
168
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
«Se il Cantico eÁ letto in profonditaÁ e all'interno degli altri scritti biblici, vi si
intravede quale superesaltazione riceva il Dio d'Israele e dei cristiani, per
esempio, nei profeti, dove si attesta che egli eÁ talmente divino di essere
capace d'amare di amore ``erotico'', proprio in analogia con quell'amore
che attrae e avvince la donna e l'uomo, nello stesso momento in cui vi si
proclama che questo Dio agisce cosõÁ proprio in corrispondenza a se e alla
sua trascendente, incommensurabile divinitaÁ. Sempre dal Cantico, ma non
solo dal Cantico si apprende quale nobilitazione riceva l'eros umano negli
stessi testi degli ebrei e dei cristiani, dove si presenta il Dio creatore e
salvatore, che si automanifesta e si autodona in virtuÁ di una passione d'amore analoga a quella che stupisce e incanta la donna e l'uomo, mentre li
spinge a diventare quello che sono, facendo di se stessi una sola carne»
(p. 113).
Proprio rileggendo queste parole, molto ben dette, mi permetto di esprimere l'invito ad Andrea Milano di un ulteriore esame e discussione su un punto
speci®co. Egli insiste molto sull'esclusione del vocabolo eros e del corrispondente verbo dalla bibbia, come segno incontrovertibile della volontaÁ di non
accogliere la visione «bassa» dell'eros che viene attribuita ai pagani, cioeÁ ai
non ebrei. A parte il mio personale ragionevole dubbio sul fatto che i non ebrei
avessero poi effettivamente una visione cosõÁ bassa, vili®cante dell'eros (accetto
peroÁ che tale potesse apparire a chi volesse loro contrapporsi), in cui davvero
non entrasse la componente della dilezione e della reciprocitaÁ, mi chiedo se
questa questione terminologica sia cosõÁ fondamentale. Mi spiego: lo stesso Andrea Milano deve consapevolmente tradurre con eros, per far comprendere
l'intezione appunto erotica del testo, la frase del Cantico: «forte come la morte
eÁ l'amore» (Ct 8,6), dove questo termine in ebraico eÁ ahaba e in greco agape.
Considerando l'interpretazione che del Cantico sia i rabbi ebrei sia i cristiani
hanno sempre dato, ovvero che esprima l'amore di Dio per il suo popolo, e
considerando l'antichitaÁ nella letteratura giudaica di questa comprensione erotica o sponsale, che dir si voglia, dell'amore di Dio (si veda appunto Osea), c'eÁ
forse da chiedersi, allora, se proprio l'amore sessuale, l'eros, non dica qualcosa di
ineludibile sull'amore agapico di Dio, cioeÁ restituisca a quell'amore una dimensione di passione, di sofferenza, di desiderio per la creatura che eÁ di Dio: non
serva cioeÁ a neutralizzare ogni tentazione, ricorrente nella storia della teologia, di
spersonalizzare Dio, con l'evidenziare appunto la componente propriamente
erotica dell'agape divina. Mi sembra che lo stesso Milano acceda a questa visione
con le parole che ho sopra riportato.
Allora, mi chiedo, perche meravigliarsi, ad esempio, che un autore come
Origene, per la cui interpretazione, dico en passant, bisogna tenere presente la
dialettica con gli gnostici, altrettanto importante della componente platonica Ð e
gli gnostici sono stati i grandi cantori della passione interna al divino Ð non esiti a
identi®care eros e agape? CioÁ che Origene vuole esprimere eÁ precisamente questa relazione personale di Dio con le creature. In ogni caso il Dio origeniano eÁ un
Dio che, non solo in Cristo, ma nella sua stessa vita divina, si presta a essere
descritto come passibile, andando cosõÁ ben oltre la concezione platonica dell'amore divino. In un passo celeberrimo Origene dice:
AUTORI VARI - LA PERSONA, L'AMORE E LA DONNA NELLA BIBBIA
169
«Persino il Padre, il Dio dell'universo, ``pietoso e clemente'' (Ps. 103,8) e di
grande benignitaÁ, non soffre anche lui in certo qual modo? Non sai che
quando governa le cose umane, condivide le sofferenze degli uomini? [...]
Nemmeno il Padre eÁ impassibile. Se lo preghiamo, prova pietaÁ e misericordia, soffre d'amore e s'immedesima nei sentimenti che non potrebbe avere,
data la grandezza della sua natura, e per causa nostra sopporta i dolori degli
uomini» (Hom. in Ez. VI 6).
Alla radice del pensiero di Origene c'eÁ dunque il Dio personale della Scrittura ebraica e del vangelo, un Dio che, alla maniera giovannea (I Io. 4, 7.8), si
identi®ca con l'amore, volto alla sollecitudine e alla salvezza delle sue creature
(Comm. Cant. 2,36).
Se vogliamo esprimerci ora in generale sul prosieguo del pensiero cristiano
sempre piuÁ im¯uenzato dal platonismo, dopo questa apertura su un autore
particolare, Origene Ð che ho citato perche Milano lo ritiene signi®cativo del
fraintendimento che sarebbe avvenuto fra eros e agape nei cristiani platonizzanti
Ð potremmo dire che la tematica erotica del Cantico dei Cantici, segnata dalla
reciprocitaÁ di amore fra maschio e femmina, rivisitata nella letteratura
giovannea 1, costituisce, nel pensiero cristiano, il fermento di correzione Ð che
spesso rimane allo stato latente, ma a volte si manifesta Ð delle divaricazioni
portate dal prisma di Platone (mi esprimo qui con l'immagine usata da Benedetta
Zorzi, in un libro molto interessante: Desiderio di bellezza. Da Platone a Gregorio
di Nissa, tracce di una rifrazione teologico-semantica, Roma 2007) fra maschile e
femminile, fra sensibile e intelligibile, fra anima e corpo. Il discorso si farebbe qui
troppo lungo e, per spiegarci, dovremmo introdurre molte varianti. Riassumendo
i termini del discorso di Zorzi, che condivido, dovremmo innazitutto ricordare
che anche il pensiero di Platone eÁ in progress e nel Fedro egli supera la posizione
del Simposio. Dal complesso della ri¯essione sull'eros nel Fedro viene fuori un
piuÁ stretto legame fra intelletto e sessualitaÁ: non ogni pathos eÁ negativo, percheÂ
anche eros eÁ un certo tipo di pathos (252b2), un pathos che, come desiderio di
procreazione nel bello, eÁ spinta effusiva e bene®ca. EÁ un pathos che attiva nell'amato un eros di ritorno, una reciprocitaÁ che stacca l'eros dalla connessione con
la bellezza ®sica e che si collega direttamente al Bene, in quanto l'amore dell'amante diventa creatore di bellezza nell'amato e lo spinge a sforzarsi di farla
emergere. Questa continuitaÁ, qui intravista da Platone, fra sensibile e sovrasensibile si spezza negli stoici. In®ne in Filone, autore che in¯uenza i cristiani
alessandrini, si consuma il divorzio tra il piacere ®sico e l'eros come mania. In
Filone, anche per un piuÁ accentuato dualismo meta®sico, l'eros assume due
signi®cati opposti: da una parte il piacere carnale, sempre bandito, e dall'altro
un desiderio purissimo per le realtaÁ morali e divine.
Pertanto, se ora ci volgiamo al complesso della storia del cristianesimo,
dobbiamo riconoscere che quell'intuizione geniale a proposito del divino insita
nel pensiero ebraico e cristiano, cosõÁ ben illustrata da Andrea Milano, e che si eÁ
1
Cfr. A. ROBERT WINSOR, A King is Bound in the Tresses: Allusions to the Song of
Songs in the Fourth Gospels, New York 1999 e ora G. Lettieri, Il corpo di Dio. La mistica
erotica del Cantico dei cantici dal Vangelo di Giovanni ad Agostino, in R. E. Guglielmetti
(ed.), Il Cantico dei Cantici nel Medioevo, Firenze 2008.
170
NOTE CRITICHE - DISCUSSIONI
trasmessa con in®nite variazioni nei sermoni medievali indicanti l'amore mistico
di Dio e dell'anima, eÁ stata invece umiliata nella declinazione umana, per la
divaricazione dei percorsi sopra accennata, facendo scadere l'eros a piacere da
estirpare: qui si potrebbero veramente sprecare gli esempi e moltiplicare gli
indicatori, fra cui, uno, tanto interessante quanto incontrovertibile, eÁ stata la
dif®coltaÁ a reperire santi sposati, allorche pensiero e pastorale intorno alla spiritualitaÁ del matrimonio sono ®nalmente cambiati. Solo di recente la teologia ha
riconsacrato la valenza erotica dell'amore umano: la mia provocazione eÁ che
dovrebbe compiutamente pensarla e riconoscerla come traduzione ®sica, cioeÁ
nelle modalitaÁ dell'umano, dell'amore divino.
Se posso fare una piccola osservazione critica ad Andrea Milano eÁ che a
volte, dopo aver negato, giustamente, la validitaÁ di un'impostazione apologetica
nei confronti degli autori antichi, come Paolo, sembra cadere lui stesso in questo
tranello. Faccio un esempio. Trattando del celeberrimo passo di 1Tm 2,9-15, uno
dei piuÁ signi®cativi fra quelli che hanno tradizionalmente fondato, almeno sino
alla Inter Insigniores, le prese di posizione del magistero cattolico in merito
all'incapacitaÁ cultuale delle donne, Milano riconosce che «c'eÁ qualche piuÁ o
meno fondato motivo della brutta fama di cui sembra gravata la memoria di
Paolo» (p. 190). Subito dopo Milano precisa che, guardando attentamente il
testo, si scopre «qualcosa di singolare». Confermando l'osservazione della Dewey, nota che il tempo speso dall'autore del testo a raccomandare il silenzio alle
donne indica che «la pratica femminile, reale e accettata, era attiva e sonora e che
non Paolo, ma verosimilmente qualcuno che si fregiava del suo nome e della sua
autoritaÁ, ha tentato di modi®care il comportamento delle donna, per contenerne
la capacitaÁ di leadership» (p. 191).
In pratica Milano scagiona Paolo su due basi: 1) il testo non eÁ suo, ma di un
discepolo; 2) la proibizione indica che c'era qualcosa da proibire, nella fattispecie
l'attivismo delle donne. Questa seconda affermazione eÁ precisamente quello che
l'esegesi femminista vuole dimostrare. L'autore della 1Tm ha lo scopo di estirpare un comportamento non commendevole, secondo il suo modo di vedere, e
adeguare il ruolo della donna cristiana agli standard del contesto ambientale.
Non capisco dunque perche Milano sembri presentare l'affermazione come qualcosa da scoprire a una piuÁ attenta osservazione, quasi che l'esegesi femminista
non lo abbia fatto. Piuttosto io avrei insistito su un altro elemento importante
della 1Tim: se raccomanda la maternitaÁ eÁ perche vuole contrastare l'encratismo
che sembra accoppiarsi con il protagonismo femminile, aprendo uno squarcio
interessante sulla diffusione delle pratiche di continenza nel cristianesimo primitivo.
Quest'ultima osservazione eÁ solo un modo per dire le mille sfaccettature di
una materia complessa che siamo grati ad Andrea Milano di aver affrontato, in
un modo che certo stimoleraÁ ulteriori dibattiti.
Roma, UniversitaÁ La Sapienza
EMANUELA PRINZIVALLI
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