DOMENICA 11 SETTEMBRE 2011
NAPOLI
@
CULTURA
■ XXII
PER SAPERNE DI PIÙ
www.alfonsogatto.it
www.dilce.unipa.it/web/docenti/profilo_tedesco.htm
Gatto, le ragioni per sopravvivere
Le difficoltà del poeta durante gli anni del fascismo
LORENZO CATANIA
DI RECENTE, “Il Girasole Edizioni”
Valverde (Ct) ha pubblicato un raffinato libretto, “Carlo Muscetta —
Alfonso Gatto”, 64 pagine, 15 euro,
che raccoglie una scelta delle lettere inedite che Alfonso Gatto tra il
1932 e il 1942 scrisse a Carlo Muscetta, maestro “eretico” della critica letteraria, che lo aiutò a pubblicare presso la Libreria del Novecento di Napoli la raccolta di prose
e versi “Isola”, a cui dedicarono recensioni favorevoli Sandro Penna
ed Eugenio Montale. Le lettere qui
raccolte, corredate da due foto, una
delle quali mostra il giovane Muscetta insieme a Guido Dorso e
Alfonso Gatto, testimoniano un’amicizia protratta nel tempo e fondata su comuni interessi culturali e
politici, ma rivelano anche gli assilli per motivi pratici che angustiarono la giovinezza del poeta salernitano e lo costrinsero a interrompere gli studi nella Facoltà di Lettere a
Napoli e poi a peregrinare fra diverse città (Milano, Firenze, Venezia,
Roma) e diverse occupazioni
(commesso di libreria, correttore
di bozze, giornalista, insegnante).
Da Salerno, il 27 ottobre del ‘33,
Gatto comunica a Muscetta che
una sua recensione per “Moby
Dick”, il capolavoro di Hermann
Melville curato da Cesare Pavese,
sarà pubblicata sul “Roma”, dove
spera di trovare lavoro e che l’articolo su “Moby Dick” gli potrà frut-
Pubblicate alcune
lettere inedite
scritte al critico
Carlo Muscetta
tra il 1932 e il 1942
Alfonso Gatto. Nella foto piccola, Carlo Muscetta
tare 100 lire. Ma trovare sicurezze
lavorative non è facile per il giovane Gatto, che il 27 novembre del ‘33
scrive a Muscetta: «Sono a Napoli
dalla fine di novembre: in cerca di
lavoro. Ci vuole veramente forza a
resistere ai propri pensieri, a cercar
di vincere orgogli e debolezze. Questo te lo dico perché anche io non
riesco a vincermi: e proprio oggi sono stato assai male, se non addirittura avvilito [...]. Non so cosa farò,
cosa riuscirò a fare. Ma a Salerno
non torno. Forse andrò a Roma».
Poi, come sappiamo da queste
lettere, nel ‘34 Gatto trova un ac-
cordo col “Regime” (2 articoli al
mese a 50 lire l’uno), scrive a Lorenzo Gigli per collaborare alla “Gazzetta del Popolo”, lavora per “L’Italia letteraria”, ha in mente uno studio su Crepuscolari che intende inviare alla rivista “Pan”, vive a Milano dove lavora alla redazione del
“Regime”, cerca collaborazioni
con l’“Ambrosiano” e con “Il Lavoro”, e intanto conosce uomini di
primo piano come Sergio Solmi e
Cesare Zavattini e innumerevoli
letterati come Pirandello e Cardarelli. Alla luce della biografia di Gatto — arrestato a Milano alla fine del
‘36 per presunta attività antifascista e poi scagionato da ogni sospetto, tanto da ritornare nelle grazie
del Minculpop, essere proposto
per la concessione di un sussidio
che gli consenta di far fronte alle più
urgenti necessità familiari, trovare
lavoro presso le riviste “Letteratura”, “Circoli”, “Frontespizio”, “La
Ruota”, “Primato” e ottenere nel
‘41 una cattedra di insegnamento
statale senza concorso e senza laurea — affiora tra le righe di questo
epistolario un frammento della secolare storia del ceto colto italiano
e più in generale dell’uomo medio
costretto per sopravvivere ad adeguarsi alle mutevoli vicende esterne. Nel nostro caso alla stupidità,
alla violenza e alla volgarità di un sistema totalitario che invade la vita
pubblica e privata degli individui e
alternando ricompense e punizioni li spinge a uniformarsi in maniera passiva alle credenze dell’ideologia fascista. A trasformare perciò
il dissenso ambiguo e reticente verso la dittatura (lo scrittore Manlio
Cancogni nel libro autobiografico
“Gli scervellati” riferisce che fin dal
1940-41 Gatto «era comunista e
sperava che dalla sconfitta dell’Asse scaturisse la rivoluzione») in obbedienza, perché non si ha il coraggio o la possibilità materiale di rifiutare le prebende e la visibilità che
il governo al potere offre agli artisti
e agli intellettuali non recalcitranti.
Le lettere di Gatto all’amico Muscetta aiutano a capire bene la malignità del fascismo abietto e prepotente, che corteggia i giovani di
talento e offre loro possibilità di lavoro e di carriera, ma anche la fragilità dell’antifascismo, che a partire
dal 1945 eluse e cancellò, quando
non le edulcorò, intere pagine della nostra storia, come la vergognosa vicenda delle leggi razziali, impedendo così all’Italia postfascista
di uscire veramente rinnovata dopo l’esperienza della guerra, e agli
italiani di trasformarsi da sudditi in
cittadini di una nazione meno malsicura e più coesa.
Documenti
“Occulto Italia”
il fenomeno
delle sette
I MEDIA tendono a considerare le sette come
un fenomeno marginale, capace solamente di
colpire individui deboli e
facilmente soggiogabili
dal santone di turno.
«Niente di più sbagliato,
queste organizzazioni
sono tante e presenti tra
noi» scrive Lucia Annunziata, nella prefazione di
“Occulto Italia”, Rizzoli
editore, scritto dai giornalisti Gianni Del Vecchio e Stefano Pitrelli. Gli
autori, servendosi di documenti inediti e di testimonianze dirette, hanno
realizzato, in “Occulto
Italiano”, un’inchiesta
approfondita sul mondo
delle sette, creando una
mappa dei culti pericolosi. In Italia, denunciano Del Vecchio e Pitrelli
operano decine di sette,
che lavorano nell’ombra, portando alla rovina
intere famiglie, ottenendo, per giunta, in molti
casi, l’approvazione e il
sostegno delle istituzioni, come nel caso di
“Scientology
Damanhur” e “Arkeon”, i
cui casi sono analizzati
con dovizia di particolari nel libro.
“Occulto Italia”; pagine 507; prezzo 12.50 euro.
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Poesie
“In viaggio” è il libro di versi di Natale Tedesco, allievo di Salvatore Battaglia
Napoli, quartieri malinconici
e gabbiani sporchi di nafta
NATO a Palermo nel 1931, cresciuto a Bagheria, Natale Tedesco si è
formato a Napoli alla scuola di Salvatore Battaglia (altro siculo-partenopeo). Si è occupato tenacemente, come professore di Letteratura italiana all’Università di Palermo, di tutti gli scrittori isolani,
senza peraltro trascurare più vasti
scenari. Né i suoi interessi sono rimasti circoscritti alla letteratura,
divagando dal cinema alla pittura,
dal teatro alla fotografia. E l’approccio saggistico gli è apparso un
ambito troppo angusto. Ecco allo-
biani sporchi di nafta” che razzolano tra gli incatramati rifiuti del
porto. E naturalmente la Sicilia, a
cui sempre il treno vittoriniano
torna per filiale e fatale attrazione.
A Samarcanda, sulla via di Marco
Polo, il viaggiatore soppesa la vita
che resta: la morte è l’inevitabile
nomade di Cocteau. Ma il viaggio
non è lineare, è gorgo eliotiano del
guadagno e della perdita. Insieme
all’ombra della morte si ripete
un’immagine di luce che ferisce o
ridesta i nostri sensi con femminea
seduzione. Ricorrono altri archetipi: la fuga e la malinconia. La luna
soprattutto, leopardiano interlo-
Una sobria e
sorvegliata
nostalgia
che riprende un filo
che risale al 1957
Vari luoghi,
emblematiche
stazioni di un io
che permane
e muta
MARCELLO BENFANTE
Natale Tedesco
ra che escono adesso i suoi versi in
una forte e insieme delicata silloge
che ha per titolo “In viaggio” (Nino
Aragno editore, 66 pagine, 8 euro).
Non si tratta di un tardivo debutto.
Di un ritorno, semmai. Tedesco lo
fa con una sobria e sorvegliata nostalgia riprendendo un filo che risale al 1957, anno in cui un suo piccolo gruppo di liriche veniva premiato al “Castellammare di Stabia” da una giuria di cui facevano
parte Michele Prisco e Domenico
Rea. Da quel felice principio si è dipartita una vena carsica di cui “In
viaggio” racconta l’intima evoluzione con versi della seconda metà
del Novecento e poi del nuovo millennio fino a oggi. Un percorso dell’uomo e del letterato che si dipana
come un gomitolo di memorie e si
iscrive nel corpo che “scivola nel
declivio”.
Ma il viaggio avviene nello spazio come nel tempo, e tocca vari
luoghi, emblematiche stazioni di
un io che permane e muta. La Calabria “addormentata” di Alvaro
appare fumigante dal treno, “unico essere caldo”, come un ventre
materno. C’è poi la Liguria montaliana, la Mosca dove aleggia lo spirito tolstojano, la Riga ebraica segnata dal Lampedusa, la Jesi fidericiana. O Malta, che riverbera una
luce caravaggesca, e la pigra Andalusia, dove langue la sensualità fosca del pittore Julio Romero de
Torres. Napoli naufraga con i suoi
“quartieri malinconici” e “i gab-
cutore. È il viaggio dell’Ulisse di Saba, come nota Giorgio Barberi
Squarotti nella postfazione, itinerario nella lingua che si acchiocciola introvertendo il mondo e la
storia, estroflettendo il divenire
della coscienza.
In questi versi si avverte una vocazione autentica, aliena da astuzie accademiche. La musicalità, il
ritmo, la dolente cadenza ispanica, cedono alle impellenze dello
sguardo. Si prenda “Villa Palagonia” col suo gioco cromatico: è una
poesia pittorica, quella di Tedesco,
in cui rivive il segno di Augusto Perez (ancora all’incrocio tra Sicilia e
Napoli), la cultura di Vitaliano Corbi e il magistero di Renato Guttuso.
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Repubblica Napoli
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