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Giovanni Boine
Il peccato
ed altre cose
ANTEPRIMA GRATUITA
EDIZIONE CRITICA
A CURA DI FABIO BARRICALLA
Con un saggio di Franco Contorbia
e uno scritto di Giuseppe Conte
«Gli Infiniti»
Collana a cura di
Fabio Barricalla
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Il peccato ed altre cose
© 1914 Giovanni Boine
Prima edizione ne «Gli Infiniti», ottobre 2014
© 2014 Matisklo Edizioni
ISBN: 978-88-98572-29-8
In copertina: Imperia, veduta dal Monte Calvario,
maggio 2014 (foto di Fabio Barricalla, elaborazione
grafica di Francesco Vico)
Matisklo Edizioni S.N.C.
di Oddera Cesare & Vico Francesco
Via Eremita 14
17045 Mallare (SV)
[email protected]
www.matiskloedizioni.com
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SOMMARIO
Invito alla lettura
di Giuseppe Conte
Per «Il peccato ed altre cose»
di Franco Contorbia
Apparati
di Fabio Barricalla
Il peccato ed altre cose
di Giovanni Boine
Ringraziamenti
del curatore
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INVITO ALLA LETTURA
di Giuseppe Conte
Ho alcune buone ragioni per scrivere del Peccato
(ed altre cose) di Boine e per consigliarne la lettura in
questa nuova edizione. Non sono soltanto ragioni letterarie.
Sono anche ragioni private, esperienze vissute, memorie
legate a luoghi mutati, ad amici che non ci sono più, a
radici familiari scolorite, oramai quasi invisibili. Boine e
Porto Maurizio, la cittadina di mare dove lui ha abitato gli
ultimi sette anni della sua esistenza e dove io ho passato i
miei primi diciotto, rimangono per me inscindibili. Per me
Boine è il Corso Garibaldi, dove si affacciavano le finestre
della sua casa, e quelle della casa dove da ragazzo, per poco
tempo, ho vissuto io, a pochi numeri civici di distanza.
Corso Garibaldi – per i nativi il «Boulevard», così, per
antonomasia – corre per buona parte sospeso sul mare, e
dalle case che sono sul suo lato a monte, il mare si vede che
spadroneggia sino all’orizzonte. Ma non è il mare aperto. È
quello che sta al di qua del promontorio di Capo Berta,
quello del porto, che era raccolto e supremamente ar­
monico con i suoi due moli, i fari, i traffici dei velieri, ai
tempi di Boine e della mia giovinezza. Ora di moli ne resta
uno: abnorme, americano, che Boine non riconoscerebbe.
Per me Boine è la chiesa-convento della Madonna del
Carmelo: quella verso il borgo detto del Prino, dal nome del
torrente che scende giù da Dolcedo e Lecchiore, dove la
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famiglia dell’autore del Peccato aveva i suoi uliveti. La
chiesa è vicina a un giardino di alberi folti, con un sentiero
ripido lungo un muro di quelli che hanno segnato la poesia
e l’immaginazione dei liguri. Irto. Scosceso. Che se non ha
cocci di bottiglia in cima ce li immagini. E lì cantava la
suora dalla voce melodiosa che viene evocata nel Peccato.
Una leggenda familiare racconta che mio nonno, socialista,
non entrava in chiesa se non per sentire cantare. Poiché
intorno al 1910 aveva trentacinque anni, era ancora scapolo
e frequentava il quartiere del Prino, mi piace immaginare
che qualche volta abbia sentito insieme a Boine la voce
della suora salire verso la volta della chiesa, in un canto
sacro e insieme profano, conturbante. Per me Boine è la
Biblioteca di Porto Maurizio, che poi diresse con piglio
autoritario, verve polemica e passione infinita Leonardo
Lagorio, amico dello scrittore da giovane e imparentato con
la famiglia paterna di mia madre. Curiosamente lui non mi
parlò mai di Boine. Non so se la cosa potrà far sorridere lo
spirito dell’autore del Peccato, ma l’unica persona che mi
parlò di lui dicendomi di averlo conosciuto e traccian­
domene una immagine (magro, fervido, sempre con una
lunga palandrana nera) da artista romantico e maudit fu
una anziana signorina, una sarta, che ai tempi di Boine
doveva essere stata molto bella, una signorina con un
passato, tanto che si mormorava che un ufficiale, o un
sergente, ma l’effetto non cambia, si era suicidato vicino al
Duomo perché respinto da lei. Per me Boine è le
passeggiate notturne per il Parrasio sotto quei muraglioni
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ciclopici, le soste sulle scalinate ripide, il rombo del mare
lontano, le diatribe dolcissime con gli amici, gli scherzi, la
follia chimica della giovinezza. Quello che vissi durante la
composizione e la messa in scena del Boine, un’opera per
musica dedicata all’autore del Peccato, di cui scrissi il
libretto tanti anni fa. Per me Boine è Franco Carli, il regista,
l’attore portorino che lo interpretò magistralmente
prestandogli voce, sangue, sogni, ironia, fantasmi.
In una lettera ad Alessandro Casati del 16 febbraio
1913 […]
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PER «IL PECCATO ED ALTRE COSE»
di Franco Contorbia
Quando ad Aristarco Scannabue nei numeri V e VII
della sua «Frusta» dopo avere ben bene frustato intorno chi gli
pareva dovere frustare, capitaron fra mani le Lettere famigliari
di Giuseppe Baretti, ebbe la consolazione di poterle aper­
tamente lodare, anzi di trovarvi dentro dei capi d’opera che citò
per disteso. — Qui non cito, anzitutto perché i lettori di
«Riviera» conoscon già questo mio peccato ed il resto, ma poi, e
mi rincresce, perché capidopera qui non vi sono, sebbene vi sian
pagine che esprimono come volevo certi miei interiori tormenti.
Vi sono lungaggini. L’intenzione generale era di rappresentare
quel lirico intrecciarsi di molto pensiero sulla scarsezza di pochi
fatti; quel continuo sconfinare della poca cronistoria esteriore
nella contradittoria, nella dolorosa, angosciata complessità del
pensare che è la vita di molti e la mia; — intenzione di esprimere
una complessità, una compresenza di cose diverse nella brevità
dell’attimo, dentro una apparente povertà di vita. Ma son ten­
tativi: restan tentativi. Passiam oltre.
L’autorecensione a Il peccato ed altre cose che
Giovanni Boine scrive nel giugno 1914 e che Mario Novaro
accoglie nel fascicolo di agosto de «La Riviera ligure» pare
alludere abbastanza scopertamente a un processo di rimo­
zione non più passibile di deroghe, o di pentimenti.
Nel ventitreesimo Quaderno della Voce, datato
«maggio 1914» e distribuito all’inizio di giugno, Boine ha
fatto confluire le tre sezioni della «novella» (Il limbo, La
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qualunque avventura, Il tormento) originariamente desti­
nate alla rivista di Novaro (che pubblica le prime due nei
numeri di ottobre 1913 e di febbraio 1914, mentre l’ultima
puntata, sdoppiata per esigenze di spazio, vede la luce nel
maggio e nel luglio 1914, immediatamente prima e poco
dopo l’uscita del libro), e vi ha allegato altre due prove latu
sensu narrative apparse nella stessa sede: La città («La
Riviera ligure», maggio 1912) e Conversione al Codice
(dicembre 1912). Tanto basterebbe, insomma, ad autoriz­
zare l’ipotesi di un definitivo slontanamento, se non degli
«interiori tormenti», dei modi di una rappresentazione
avvertita come inadeguata e parziale.
I termini della questione sono [...]
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Apparati
di Fabio Barricalla
ANTEPRIMA GRATUITA
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NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA
Giovanni Boine nasce a Finalmarina il 2 settembre
1887. Il padre Giobatta è un modesto impiegato ferroviario
originario di Verolengo, provincia di Torino; la madre Irene
Benza è di famiglia agiata, proprietaria di ulivi e originaria
di Lecchiore, in val di Prino, nell’entroterra di Porto Mau­
rizio. La famiglia è soggetta a numerosi spostamenti per via
del lavoro paterno: Sestri Ponente, Genova, Novara, Mila­
no. Il 20 settembre 1890 nasce ad Andora il secondogenito
Piero, futuro campione dei pesi massimi. I due ragazzi
Boine trascorreranno tutte le estati nella casa del nonno
materno. Giovanni studia in Liguria, Piemonte e Lombar­
dia, conseguendo il diploma, nel 1906, al «Beccaria» di
Milano. Intanto i coniugi Boine si separano: il padre si
trasferisce in Piemonte, la madre resta nella città ambro­
siana coi due figli. Giobatta solo si rifarà una vita,
convivendo per anni more uxorio con una giovane donna,
Maria Merlano, che gli darà anche un figlio, Giovanni
Pietro Boine, nel 1921 (Boine 1985 a, p. 127).
Terminati gli studi liceali [...]
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CRONISTORIA DEL TRITTICO
ATTRAVERSO LE LETTERE
Il trittico
Giovanni Boine, nell’autunno del ’13, spinto non
tanto da ragioni artistiche, quanto piuttosto da ragioni
economiche, in una lettera all’amico e mecenate Alessandro
Casati dimostra di voler ristampare in volume Il peccato, di
cui a quell’epoca è già uscita soltanto la prima puntata, Il
limbo, nell’ottobre del ’13, insieme ad altri scritti. Il
progetto, il cui titolo, a partire dal 2 maggio del ’14, sarà Il
peccato ed altre cose, è articolato in tre elementi, tutti già
pubblicati sulla «Riviera ligure»: Il peccato, «il ricono­
sciuto masterpiece di Giovanni Boine» (Ulian 1985, p. 7);
La città (maggio ’12), il primo testo narrativo in senso lato;
e infine Conversione al Codice (dicembre ’12). In verità,
viene preso in considerazione anche un quarto elemento,
Compero... (Novella), scartato subito da colui che, a partire
dal febbraio del 1914, diventerà l’editore del trittico,
Giuseppe Prezzolini, allora direttore della «Voce» [...]
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Nota al testo
ANTEPRIMA GRATUITA
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IL PECCATO ED ALTRE COSE
Il titolo
È necessario soffermarsi sul titolo esatto del trittico,
ossia Il peccato ed altre cose, la cui grafia è incerta fin dal
maggio del 1914. Rimandando il 2 maggio le bozze del
Quaderno a Prezzolini, l’autore dà precise indicazioni: «Il
titolo in copertina deve essere Il peccato ed altre cose»; e
ancora: «Mettete un indice» (C I 121). Purtuttavia, nell’In­
dice del volumetto, si legge chiaramente, e in maiuscoletto,
«IL PECCATO», nonostante gli occhielli siano sempre tutti in
maiuscolo. Dunque ‘peccato’, parola-chiave del lessico boi­
niano, andrebbe riportato con la maiuscola, ossia Il Pecca­
to. Per la verità, ciò sarebbe confermato soltanto da una
cartolina a Novaro, datata 1° marzo, relativa alla terza pun­
tata della «lunga novella» [...]
Questa edizione
Questa nuova edizione de Il peccato ed altre cose di
Giovanni Boine riproduce la princeps del maggio del ’14,
l’unica pubblicata in vita dall’autore, e da questi voluta e
sorvegliata, seppur sommariamente, a partire dal mese di
febbraio di quell’anno. Anche perciò, e per via dei ritocchi
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apportati, è il Quaderno a tramandare l’ultima volontà
boiniana, perlomeno per quanto riguarda il testo di ogni
singolo elemento del trittico. È bene tuttavia avvertire il
lettore che ciascun elemento, essendo già stato stampato
primariamente sulla «Riviera ligure», e a compimento di
un processo creativo coerente, nel caso in cui fosse ripub­
blicato singolarmente, andrebbe riproposto in esclusiva con
quella primitiva veste editoriale, soprattutto Il peccato e La
città, da quasi quarant’anni ristampati, anche isolatamente,
in maniera senz’altro discutibile, cioè tenendo a base il
testo del Quaderno, senza minimamente tener conto dell’u­
nità macrotestuale della raccolta. Perciò ci si riserva di
riproporre in un futuro prossimo i tre elementi in edizione
critica, tenendo invece a base il testo di «Riviera», regi­
strando in apparato progressivo le varianti redazionali.
Il peccato ed altre cose infatti è un’opera a sé stante,
non solo un semplice assemblaggio di tre novelle spicciola­
te: certamente scontata è per Boine la scelta di ristampar
Peccato, se non il suo capolavoro, certamente lo scritto col
quale lo scrittore prende congedo dalla sua esperienza
narrativa; e forse altrettanto scontata è la scelta di ripro­
porre La città, «con cui Boine teneva a battesimo, non
senza qualche pudore [...], il suo esordio narrativo» (Aveto
2012, p. 67); un po’ meno scontata è la scelta di riproporre
Conversione al Codice, alla quale l’autore forse semplice­
mente tiene, «perché spesso gli pare il suo ritratto» (C II
104). Pare dunque assodato che questa prima scelta di
novelle, o meglio questa prima antologia di «cose totalmen­
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te d’arte», segni un punto di svolta, nell’opera boiniana;
dopo di che l’autore, «scontata fino in fondo l’esperienza
del peccato, e delle altre cose», per citare Contorbia, «si
dispone davvero a passar oltre» (Contorbia 1987 a, p. [8]).
Questo Peccato ed altre cose parrebbe insomma un primo
tentativo, da parte di Boine, di sistematizzare la propria
produzione narrativa affidata esclusivamente alle colonne
della «Riviera ligure». Ciononostante, nessun editore ha
prima d’ora mai riproposto integralmente il testo del Qua­
derno, con la sola eccezione dell’anastatica del 1987. [...]
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LA «PREFAZIONE» DELL’AUTORE
Attestata da un solo testimone, cioè il «Quaderno
ventitreesimo», non segnalata nemmeno nell’Indice reda­
zionale, la cosiddetta «prefazione» al Peccato ed altre cose,
datata «30 aprile ’14», viene citata per la prima volta il 2 di
maggio del 1914, quando Boine rimanda a Prezzolini le
bozze corrette del trittico: «Ti mando (in tipografia), [...], le
bozze del Quaderno alle quali ho aggiunto due righe di
prefazione, perché mi è venuta vergogna d’aver ripubblica­
ta questa roba che forse non meritava» (C I 121); e ancora:
«Non fa bisogno ch’io riveda più le bozze, tranne, se volete,
quelle della prefazione». Dal Carteggio risulta che Boine
non avrebbe rivisto più nulla.
Benché sia pregna di significato (poiché riflette,
aggiornate all’aprile del ’14, le idee maturate dallo scrittore
intorno ai testi raccolti del Quaderno, irrimediabilmente
rifiutati, fatta salva la Conversione al Codice), la «prefazio­
ne», nell’ultimo secolo, non è mai stata riproposta nella sua
sede originaria: espunta arbitrariamente nella «seconda
edizione» del 1922, è da Novaro rimpiazzata – purtuttavia
con un certo qual gusto – nella «III Edizione» del ’38
dall’auto-recensione dell’autore pubblicata tra i «Plausi e
botte» di agosto del ’14 col n. 67 (PB 318 bis b); l’edizione
del ’71, direttamente dipendente da quella del ’38, non la
ricupera nemmeno in nota; pertanto onore al merito del­
l’Ungarelli prima e del Puccini poi averla riproposta inte­
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gralmente (Ungarelli 1975 c, p. XXIII; Puccini 1983 a, p. 2).
Ora, vale la pena soffermarsi giusto sul primo perio­
do del testo: «Ristampo queste cose ch’io credevo sotterrate
per sempre nella Riviera ligure dove apparvero gli anni
scorsi come schizzi e studi e, spesso, pudiche intimità che
dell’aperto publico s’intimidivano» (PAC 14 5). Nono­
stante si parli di semplice ‘ristampa’ di «cose» edite, le af­
fermazioni dell’autore vengono contraddette da un’accurata
collazione: il testo infatti è tacitamente rivisto in più di un
punto e non semplicemente ‘ristampato’.
Il testo-base riproduce naturalmente quello della
princeps (PAC 14 5), da cui ci si discosta nei seguenti
luoghi:
intimità ] intimitá PAC 14 5, 3 | intimità ] intimitá
PAC 14 5, 5 | vanità ] vanitá PAC 14 5, 9
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IL PECCATO
Il titolo
La prima volta che Giovanni Boine nel Carteggio
cita il titolo della «lunga novella» è in una lettera a Casati
dell’11 di marzo del 1913: «Forse hai ragione per l’Agonia.
Ma non è una novella ed un po’ di quell’artificiosità irreale
che v’è nel suo andamento e in quello dell’altre due che
conosci, è voluto. L’ho mandata con Conversione a Botta.
Quella intitolata il peccato di cui t’avevo detto è ricopiata e
finita» (C III/2 678). Nei tre sommari della «Riviera
ligure», relativi alla prima seconda e terza puntata del
racconto, si legge chiaramente sempre e solo «Il peccato»,
in corsivo minuscolo; si legge invece, nell’ultima puntata,
«Il tormento». Gli occhielli sono sempre in maiuscolo
tondo. D’altro canto, nell’Indice del «Quaderno venti­
treesimo» il titolo della novella è trascritto in maiuscoletto,
«IL PECCATO» (così nell’Indice di PAC 22 e PAC 38), e i
sottotitoli in minuscolo tondo: «Il Limbo» (così nell’Indice
di PAC 22, ma non in quello di PAC 38, a causa forse di
un ritocco di Mario Novaro), «La qualunque avventura»,
«Il tormento». Gli occhielli sono tutti in maiuscolo [...]
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LA CITTÀ
Il titolo
Il titolo imposto da Boine alla «novella (specie di
novella)» è La città; purtuttavia, nell’Indice del volumetto
della «Voce» (che, si ricordi, non è mai stato supervisionato
dall’autore: «Mettete un indice», scriveva a Prezzolini il 2
di maggio del 1914, C I 121), si legge: «LA CITTÀ», in ma­
iuscoletto (così negli indici di PAC 22 e PAC 38). Benché
si tratti, come nel caso del Peccato, di una parola con una
forte carica simbolica [...]
La dedica
La dedica della Città suona così nella prima edizione
della «Riviera ligure»: «a Maria G. amorosamente.» (C 44
a). Spiega Aveto:
Forse solo il direttore, Mario Novaro, e gli altri radi
amici «di qui» («l’avventura», per parafrasare l’incipit del Pec­
cato, aveva fatto «molto rumore in paese») erano in grado di
sciogliere il cognome – Gorlero, quello del marito, un vetturino
morto di tisi dal quale la donna, classe 1886, aveva già avuto
una figlia – che si celava dietro quell’iniziale puntata; probabil­
mente nessuno degli amici di fuori doveva saperne nulla,
almeno a leggere la corrispondenza raccolta da Margherita Mar­
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chione e S. Eugene Scalia nei quattro volumi del Carteggio;
nulla ne sapeva senz’altro Casati, informato dei fatti solo molto
più tardi, prima di seconda mano, poi direttamente dall’in­
teressato (Aveto 2012, p. 67).
La novella pertanto è dedicata dall’autore alla donna
amata; ma non si tratterebbe solo di semplice galanteria:
secondo Aveto la «specie di novella» risentirebbe chiara­
mente di quella [...]
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Giovanni Boine
Il peccato
ed altre cose
ANTEPRIMA GRATUITA
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Ristampo queste cose ch’io credevo sotterrate per
sempre nella Riviera ligure dove apparvero gli anni scorsi
come schizzi e studi e, spesso, pudiche intimità che del­
l’aperto publico s’intimidivano. Ma sebbene io sappia che
non valgono che come intimità e come schizzi, e sia del
parere che solo ciò che è bello e grande meriti di escire in
libro, perchè è inutile e dannoso aumentare le tonnellate
della carta stampata la «Libreria della Voce» le ha dis­
sotterrate e non per vanità o desiderio che se ne parli io le
ho concesse.
Il che mi serva di giustificazione dinanzi ai pochi
che mi conoscono e del giudizio dei quali m’importa.
Portomaurizio, 30 aprile ’14.
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Il peccato
ANTEPRIMA GRATUITA
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I.
IL LIMBO
L’avventura cominciò qualche anno dopo che egli se
n’era, finiti gli studi, tornato a casa. Fece molto rumore in
paese. La gente aveva avuto fino allora di lui un certo
diffidente rispetto come per uno che è d’altra razza che noi:
che opina e fa diversamente da noi, che non si cura di noi,
ma di cui qualcosa precisamente di male nessuno può dire.
Vivendo senza fissa occupazione nell’agio noncurante e
discreto di una famiglia di patrizi antichi, i saggi mercanti, i
vari ragionieri guadagna-denaro della città dicevano di lui
che perdeva il suo tempo. «E che fa? Perde il suo tempo».
Le vecchie signore beghine, i fabbriceri ed il parroco sebben
si togliesse sempre con rispetto il cappello quando passava
il Santissimo (ma c’erano invece in paese gli spiriti forti che
lo calcavano fieri e feroci fino agli orecchi); e venisse spesso
in chiesa alla messa e ci stesse come si deve serio senza fare
alle occhiate e ai segnali colle ragazze in parata, (ci van
perciò appunto i giovani la domenica in chiesa), sospet­
tavan di lui. S’eran sentite certe voci su lui di quand’era agli
studi... E par che avesse detto ch’egli al catechismo nelle
scuole non ci teneva gran che. — Pei politicanti del Con­
siglio comunale egli era un «originale». Non si capiva
cos’era. Aveva scritto sul giornale del sito in pro, che so io,
della «scuola serale» (dunque è con noi socialisti) e poi
detto male del discorso del tale e del talaltro al comizio del
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primo maggio passato (dunque non è socialista). Si me­
scolava del resto di rado nelle conversazioni a caffè; non
giocava; che avesse donne nessuno per allora sapeva; le
compagnie allegre, quelle che restan di notte fino alle due
in schiamazzi a far la serenata alla bella, o si spandon fra le
quinte in teatro l’inverno a pizzicar le coriste, i giovanotti
che capiscon la vita e come si deve («son nell’età!») se la
godono, quelli lo avevano un poco in concetto tra di
«prete» e babbeo.
S’era fatti amici fra gente «di nessun conto», dice­
vano: ragazzi di diciasette diciotto anni senza un soldo,
ragazzi di liceo smilzi [...]
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II.
LA QUALUNQUE AVVENTURA
... Quand’egli il domani come un automa arrivò
incerto guatando, la chiesa era vuota zitta. Anche il dopo
dimani, entrato, silenzio. Ma gli si fece incontro la figura
spaurita del cappellano, cereo, curvo, come a far festa, co­
me a dire qualcosa che non bene capì. Parlava a mezza voce
ora, quasi si ricordasse di essere in chiesa e lo spinse fuori
di nuovo al chiaro del sole e diceva del tempo e del caldo,
rapido, presto, senza guardarlo. Alzò gli occhi a lui di
sfuggita, chiedendogli a un tratto: «Tu vieni qui sempre?»
ma subito li abbassò come a nasconder qualcosa o non
osando, impacciato, dir altro. Continuò a balbettare del
tempo e del caldo e a dir ch’era stanco. — Il giovane rimase
turbato. Lasciato il prete tentò di mettere ordine in sè. Non
capiva, non si capiva, come se avvenisse qualcosa in lui a
cui non avesse parte. Come se il mistero d’al di là delle cose
fosse calato subdolo in lui e non ne fosse padrone («Ma
cos’è dunque che avviene?»). La sua volontà e la sua intel­
ligenza operavano accanto, fuori di questo qualcosa; eran
nette e pronte per ogni necessità e i casi occorrenti, ma non
penetravano qui. Come non sapessero come non ci avessero
a fare. («Ma cos’è dunque che avviene?»). Pigliò il mattino
dopo la prima diligenza partente e salì su in vallata
quattr’ore distante ai suoi terreni di ulivi. Ci restò una
settimana. Rivide i conti al fattore, che non l’aspettava;
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s’occupò del fieno che giù a dorso di mulo tutto il giorno
scendevan gli uomini dai prati arsi sui monti, (aiutò a
installare, a stipare nei vani il fieno odoroso e pungente, vi
tuffò il viso e le mani, vi si affondò dentro sdraiato come
quando da bimbo lo zio, proprio lì gli gridava: «Ma togliti
dunque, che lo pesti e lo sporchi e le bestie non me lo
vogliono più!»). S’occupò d’un muro ch’era caduto, della
vasca dell’acqua che bisognava cementare di nuovo, del­
l’aratura che era già innanzi bene e d’un certo orto che
avrebbe voluto comprare. Tuttociò lucido, queto, come uno
a cui tu abbia dato un comando o faccia indifferente il tuo
affare. La sera che tornò, stordito un po’ dal traballar
sgangherato della vecchia carrozza [...]
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III.
IL TORMENTO
Che cosa precisamente il giorno dopo e i seguenti
avesse fatto e sentito, anche molto più tardi in calma pen­
sando non gli riuscì mai di metterlo insieme bene.
C’era come una macchia di buio nella sua memoria.
Di questo solo si ricordava (e di una aridità meccanica
dentro, che gli aveva detto come parlando: «Tu devi»; e di
lui che poi si moveva non bene sapendo e come per un
esterno comando); di questo si ricordava che aveva (forse
un pomeriggio) bussato al convento (senza vergogna come
uno mandato, o come se tutto fosse chiaro e si presentasse
da sè rassegnato a incolparsi), e chiesto al sacrista di Suora
Maria. (Quello aveva fatto un lungo discorso con molti
gemiti e gesti di cui ciò solo aveva afferrato: «ha, dicono, il
delirio. Medico... medicine». Forse aveva aggiunto anche,
lamentoso e in confidenza, che nella notte, oltre tutto, non
si sa chi era entrato nell’orto a rubare dell’uva e che lui non
l’aveva detto nè alla superiora nè a nessuno perchè il danno
in sostanza era poco e stavan tutti quanti già male). Poi di
quest’altro: che aveva atteso ritto sui gradini ampi di mar­
mo con le colonne alte contro a lui della Collegiata bianca,
il prete dei bimbi alle cinque uscir di capitolo. L’aveva
toccato muto al braccio, l’aveva tirato con sè cento passi
lungo il gran muro nudo sul piazzale di dietro, fra i quer­
cioli in fila radi; e che il vecchio docile l’aveva seguito e col
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viso buono di nuovo, gli aveva chiesto fermandolo, gli occhi
cilestri a lui: «Ora dunque che hai?» Egli, contratta, rauca
la voce, ma senza ansito, calmo, (pallido pesto nel viso),
come se facesse un Caso dei soliti a sciogliere, o
continuasse distratto un discorso: «E se un religioso, po­
niamo una suora (una novizia)», aveva domandato «va
contro i suoi tre voti giurati, rompe uno dei voti,
poniamo...» [...]
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La città
ANTEPRIMA GRATUITA
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A MARIA.
Or dunque un giorno in mezzo alla via (una domeni­
ca in mezzo alla gente vestita a nuovo, oziosa, indolente a
passeggio) sentì improvviso per tutto il corpo stanco un
impeto duro e come un urlo dentro: «si sfascia, si sfascia
ogni cosa; non dura più!». Fermo. Ritto. Torvo. Non gridò.
Chi gli passò accanto sorrise: lo si sapeva un po’ strambo.
Non gridò: essendosi ripreso, continuò giù nella folla, come
uno qualunque nella folla, nascondendosi, nascondendo,
coprendo spaurito il sussulto violento del suo pensiero nel
domenicale vario ondeggiar della folla indolente.
Perchè gli pareva a tratti d’esser davvero pazzo. A
tratti, che ogni cosa fosse allo stremo, (ogni cosa spiritual­
mente), gli pareva così certo, così chiaro e immediato, così
enormemente mostruoso e ruinoso ch’egli era tutto scosso
dall’irrefrenabile fremito di chi getta di scatto l’allarme
perchè si schianta una trave e v’è un uomo in pericolo sotto.
Ma a tratti sforzandosi come chi esce dall’incubo: «Sono
pazzo!» e guatava come chi teme che la gente s’accorga.
La gente era queta. Usciva al sole. Queta e come
sempre: visi noti, andature note, voci note di tutti i giorni.
Ed anche la via intorno era la solita via cento volte ogni
giorno percorsa: via maestra di piccola città provinciale,
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pacifica via. — C’era il sole. Tepore. Azzurrità fra i tetti. Su
in alto una campana: la consueta campana di vespro.
E lo pigliò uno stupore inquieto, uno sbigottimento
pauroso. Voglia di fuggire come chi fiuta un pericolo a buio.
Finchè trovò una strada traversa, deserta. Perchè gli uomi­
ni e le cose gli parevano improvvisamente fatti sordi, come
chi non s’accorga di una valanga o della fiumana che ur­
lando arriva e s’indugi lieto. Ora, egli, dentro la sentiva la
valanga e la fiumana angosciosamente urlare; ma la quiete
la sicurezza d’ogni cosa intorno, lo faceva dubitoso: «Son
pazzo?».
Ciò durò molto tempo, dei mesi.
Non era del paese; c’era venuto da poco e pel clima.
Malato a fondo. Convien dire ch’era colto e al modo di quel­
li che giudicano, non subiscono, il mondo. Giovane. Vasta
tumultuarietà di sentimento [...]
33
Conversione
al Codice
ANTEPRIMA GRATUITA
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Nelle mie relazioni con gli uomini mi vorrò accomo­
dare così, ch’io amerò meno posso, ch’io mi guarderò
dall’amore (ho ferma intenzione di guardarmi dall’amore)
presso a poco come dalle ubriacature (anche più; anche
più!). Ho cinquant’anni: forse ch’io rovescerò il mondo? È
ragionevole che a cinquant’anni io speri e tenti di rovescia­
re il mondo? Vorrò vivere come si vive, senza utopie e senza
rivoluzioni (è peccato?). Ho deciso che il codice civile e il
penale sian la mia bibbia e sapientissima bibbia a cui sia da
stolti mutare un sol ette. Ecco che un galantuomo può col
codice legittimamente vivere, ha diritto a vivere il suo can­
tuccio (ecco ch’io vivrò il mio cantuccio) d’anni e di vita
bene, essendo in pace con gli altri e con sè. Ecco finalmente
ch’io vivo queto, onestamente queto ed ho per ogni mia
azione la tutela e la giustificazione di un articolo o d’un
capitolo chiaramente sancito, solennemente sancito, che ha
l’approvazione di milioni d’anime e l’autorità di secoli. E
forse che i milioni ed i secoli non varranno contro il mio
stesso effimero parere, contro lo spaurito sentimento mio?
Forse ch’io ho veramente il dovere (ho il diritto?)
d’amare, come ho creduto, il prossimo mio contro i fatti che
lo vietano e l’autorità del Codice che ne tace? Io amerò la
mia donna ed i miei figlioli, amerò mio padre ed i miei
fratelli amerò pochi uomini intorno a me e bene scelti se­
condo il sapore dell’anima loro. E conterò, numererò gli
uomini, non permetterò che sian molti (sebben molte siano
le definite persone). Cercherò di ridurre a giuridiche per­
sone gli uomini (troppi!) che si agitano voraci e spinosi
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intorno a me.
E perchè dovrò io essere turbato e commosso in
eterno da questa faccenda della «consustanzialità», (io, tu,
quell’altro che passa, l’uomo che zappa curvo sul pendio di
contro mentre io scrivo, siam tutti una medesima cosa),
perchè io debbo essere agitato, dilacerato ogni momento da
questa instancata predicazione cristiana (da questo intimo
incancellabile senso) della fraternità umana in Dio? Iddio è
nostro padre, sì, e se tu guardi fondo anche ogni essere
animato nonchè ogni umano, t’è fratello. Ecco, ed ecco che
l’anima mia dunque dilaga per ogni forma di vita, (e questo
ciuffo di cardi selvatici accanto a me nell’erba colle sue a­
ride tonde raggiere d’argento, con le sue foglie rabescate
spinose nel sole?) ecco che l’anima mia si sperde, gode e
per mille piaghe soffre come l’universo corpo di Iddio. Ecco
che l’anima mia si sperde e si dà: e non avrò io diritto a ciò
che mi tocca, alla mia definita vita? — Dico ch’io tal dei tali,
così e così combinato non vivrò più (son dilacerato e in
subbuglio), che ciò è insopportabile è enorme fatica; dico
che s’io sento l’uomo negli uomini […]
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RINGRAZIAMENTI
del curatore
Mi piace ringraziare in questa sede tutti coloro che,
in un modo o nell’altro, hanno contribuito in maniera
determinante alla realizzazione di questo lavoro boiniano:
Fiammetta Ausonio, Andrea Aveto, Laura Barricalla, Marco
Berisso, Giorgio Bertone, Silvia Bonjean, Antonella Colom­
batto, Maria Comerci, Giuseppe Conte, Franco Contorbia,
Andrea Lanzola, Marino Magliani, Manuela Manfredini,
Loretta Marchi, Maria Novaro, Cesare Oddera, Veronica
Pesce, Luigi Surdich, Roberto Tissoni, Marilena Vesco,
Francesco Vico. Ringrazio inoltre i seguenti enti: Biblioteca
comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Biblioteca del Di­
partimento di italianistica, romanistica, antichistica, arti e
spettacolo (DIRAAS) dell’Università degli Studi di Genova,
Biblioteca della «Fondazione Mario Novaro» di Genova,
Biblioteca di Scienze della Formazione «Mario Puppo»
dell’Università degli Studi di Genova, Biblioteca civica
«Leonardo Lagorio» di Imperia, Biblioteca del polo univer­
sitario imperiese dell’Università degli Studi di Genova,
Biblioteca civica «Francesco Corradi» di Sanremo, Biblio­
teca dell’istituto di istruzione superiore (IIS) «Cristoforo
Colombo» di Sanremo, «Piccola Biblioteca della Pigna» di
Sanremo.
Sanremo, 2 settembre 2014
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INDICE
Sommario
Invito alla lettura, di Giuseppe Conte
Per «Il peccato ed altre cose», di Franco Contorbia
Apparati, di Fabio Barricalla
Sigle e abbreviazioni bibliografiche
Nota bio-bibliografica
Cronistoria del trittico attraverso le lettere
Nota al testo
Il peccato ed altre cose
La «prefazione» dell’autore
Il peccato
La città
Conversione al Codice
Il peccato ed altre cose, di Giovanni Boine
Il peccato
I. Il limbo
II. La qualunque avventura
III. Il tormento
La città
Conversione al Codice
Ringraziamenti, del curatore
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