1 Giovanni Boine Il peccato ed altre cose ANTEPRIMA GRATUITA EDIZIONE CRITICA A CURA DI FABIO BARRICALLA Con un saggio di Franco Contorbia e uno scritto di Giuseppe Conte «Gli Infiniti» Collana a cura di Fabio Barricalla 2 Il peccato ed altre cose © 1914 Giovanni Boine Prima edizione ne «Gli Infiniti», ottobre 2014 © 2014 Matisklo Edizioni ISBN: 978-88-98572-29-8 In copertina: Imperia, veduta dal Monte Calvario, maggio 2014 (foto di Fabio Barricalla, elaborazione grafica di Francesco Vico) Matisklo Edizioni S.N.C. di Oddera Cesare & Vico Francesco Via Eremita 14 17045 Mallare (SV) [email protected] www.matiskloedizioni.com 3 SOMMARIO Invito alla lettura di Giuseppe Conte Per «Il peccato ed altre cose» di Franco Contorbia Apparati di Fabio Barricalla Il peccato ed altre cose di Giovanni Boine Ringraziamenti del curatore 4 INVITO ALLA LETTURA di Giuseppe Conte Ho alcune buone ragioni per scrivere del Peccato (ed altre cose) di Boine e per consigliarne la lettura in questa nuova edizione. Non sono soltanto ragioni letterarie. Sono anche ragioni private, esperienze vissute, memorie legate a luoghi mutati, ad amici che non ci sono più, a radici familiari scolorite, oramai quasi invisibili. Boine e Porto Maurizio, la cittadina di mare dove lui ha abitato gli ultimi sette anni della sua esistenza e dove io ho passato i miei primi diciotto, rimangono per me inscindibili. Per me Boine è il Corso Garibaldi, dove si affacciavano le finestre della sua casa, e quelle della casa dove da ragazzo, per poco tempo, ho vissuto io, a pochi numeri civici di distanza. Corso Garibaldi – per i nativi il «Boulevard», così, per antonomasia – corre per buona parte sospeso sul mare, e dalle case che sono sul suo lato a monte, il mare si vede che spadroneggia sino all’orizzonte. Ma non è il mare aperto. È quello che sta al di qua del promontorio di Capo Berta, quello del porto, che era raccolto e supremamente ar monico con i suoi due moli, i fari, i traffici dei velieri, ai tempi di Boine e della mia giovinezza. Ora di moli ne resta uno: abnorme, americano, che Boine non riconoscerebbe. Per me Boine è la chiesa-convento della Madonna del Carmelo: quella verso il borgo detto del Prino, dal nome del torrente che scende giù da Dolcedo e Lecchiore, dove la 5 famiglia dell’autore del Peccato aveva i suoi uliveti. La chiesa è vicina a un giardino di alberi folti, con un sentiero ripido lungo un muro di quelli che hanno segnato la poesia e l’immaginazione dei liguri. Irto. Scosceso. Che se non ha cocci di bottiglia in cima ce li immagini. E lì cantava la suora dalla voce melodiosa che viene evocata nel Peccato. Una leggenda familiare racconta che mio nonno, socialista, non entrava in chiesa se non per sentire cantare. Poiché intorno al 1910 aveva trentacinque anni, era ancora scapolo e frequentava il quartiere del Prino, mi piace immaginare che qualche volta abbia sentito insieme a Boine la voce della suora salire verso la volta della chiesa, in un canto sacro e insieme profano, conturbante. Per me Boine è la Biblioteca di Porto Maurizio, che poi diresse con piglio autoritario, verve polemica e passione infinita Leonardo Lagorio, amico dello scrittore da giovane e imparentato con la famiglia paterna di mia madre. Curiosamente lui non mi parlò mai di Boine. Non so se la cosa potrà far sorridere lo spirito dell’autore del Peccato, ma l’unica persona che mi parlò di lui dicendomi di averlo conosciuto e traccian domene una immagine (magro, fervido, sempre con una lunga palandrana nera) da artista romantico e maudit fu una anziana signorina, una sarta, che ai tempi di Boine doveva essere stata molto bella, una signorina con un passato, tanto che si mormorava che un ufficiale, o un sergente, ma l’effetto non cambia, si era suicidato vicino al Duomo perché respinto da lei. Per me Boine è le passeggiate notturne per il Parrasio sotto quei muraglioni 6 ciclopici, le soste sulle scalinate ripide, il rombo del mare lontano, le diatribe dolcissime con gli amici, gli scherzi, la follia chimica della giovinezza. Quello che vissi durante la composizione e la messa in scena del Boine, un’opera per musica dedicata all’autore del Peccato, di cui scrissi il libretto tanti anni fa. Per me Boine è Franco Carli, il regista, l’attore portorino che lo interpretò magistralmente prestandogli voce, sangue, sogni, ironia, fantasmi. In una lettera ad Alessandro Casati del 16 febbraio 1913 […] 7 PER «IL PECCATO ED ALTRE COSE» di Franco Contorbia Quando ad Aristarco Scannabue nei numeri V e VII della sua «Frusta» dopo avere ben bene frustato intorno chi gli pareva dovere frustare, capitaron fra mani le Lettere famigliari di Giuseppe Baretti, ebbe la consolazione di poterle aper tamente lodare, anzi di trovarvi dentro dei capi d’opera che citò per disteso. — Qui non cito, anzitutto perché i lettori di «Riviera» conoscon già questo mio peccato ed il resto, ma poi, e mi rincresce, perché capidopera qui non vi sono, sebbene vi sian pagine che esprimono come volevo certi miei interiori tormenti. Vi sono lungaggini. L’intenzione generale era di rappresentare quel lirico intrecciarsi di molto pensiero sulla scarsezza di pochi fatti; quel continuo sconfinare della poca cronistoria esteriore nella contradittoria, nella dolorosa, angosciata complessità del pensare che è la vita di molti e la mia; — intenzione di esprimere una complessità, una compresenza di cose diverse nella brevità dell’attimo, dentro una apparente povertà di vita. Ma son ten tativi: restan tentativi. Passiam oltre. L’autorecensione a Il peccato ed altre cose che Giovanni Boine scrive nel giugno 1914 e che Mario Novaro accoglie nel fascicolo di agosto de «La Riviera ligure» pare alludere abbastanza scopertamente a un processo di rimo zione non più passibile di deroghe, o di pentimenti. Nel ventitreesimo Quaderno della Voce, datato «maggio 1914» e distribuito all’inizio di giugno, Boine ha fatto confluire le tre sezioni della «novella» (Il limbo, La 8 qualunque avventura, Il tormento) originariamente desti nate alla rivista di Novaro (che pubblica le prime due nei numeri di ottobre 1913 e di febbraio 1914, mentre l’ultima puntata, sdoppiata per esigenze di spazio, vede la luce nel maggio e nel luglio 1914, immediatamente prima e poco dopo l’uscita del libro), e vi ha allegato altre due prove latu sensu narrative apparse nella stessa sede: La città («La Riviera ligure», maggio 1912) e Conversione al Codice (dicembre 1912). Tanto basterebbe, insomma, ad autoriz zare l’ipotesi di un definitivo slontanamento, se non degli «interiori tormenti», dei modi di una rappresentazione avvertita come inadeguata e parziale. I termini della questione sono [...] 9 Apparati di Fabio Barricalla ANTEPRIMA GRATUITA 10 NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA Giovanni Boine nasce a Finalmarina il 2 settembre 1887. Il padre Giobatta è un modesto impiegato ferroviario originario di Verolengo, provincia di Torino; la madre Irene Benza è di famiglia agiata, proprietaria di ulivi e originaria di Lecchiore, in val di Prino, nell’entroterra di Porto Mau rizio. La famiglia è soggetta a numerosi spostamenti per via del lavoro paterno: Sestri Ponente, Genova, Novara, Mila no. Il 20 settembre 1890 nasce ad Andora il secondogenito Piero, futuro campione dei pesi massimi. I due ragazzi Boine trascorreranno tutte le estati nella casa del nonno materno. Giovanni studia in Liguria, Piemonte e Lombar dia, conseguendo il diploma, nel 1906, al «Beccaria» di Milano. Intanto i coniugi Boine si separano: il padre si trasferisce in Piemonte, la madre resta nella città ambro siana coi due figli. Giobatta solo si rifarà una vita, convivendo per anni more uxorio con una giovane donna, Maria Merlano, che gli darà anche un figlio, Giovanni Pietro Boine, nel 1921 (Boine 1985 a, p. 127). Terminati gli studi liceali [...] 11 CRONISTORIA DEL TRITTICO ATTRAVERSO LE LETTERE Il trittico Giovanni Boine, nell’autunno del ’13, spinto non tanto da ragioni artistiche, quanto piuttosto da ragioni economiche, in una lettera all’amico e mecenate Alessandro Casati dimostra di voler ristampare in volume Il peccato, di cui a quell’epoca è già uscita soltanto la prima puntata, Il limbo, nell’ottobre del ’13, insieme ad altri scritti. Il progetto, il cui titolo, a partire dal 2 maggio del ’14, sarà Il peccato ed altre cose, è articolato in tre elementi, tutti già pubblicati sulla «Riviera ligure»: Il peccato, «il ricono sciuto masterpiece di Giovanni Boine» (Ulian 1985, p. 7); La città (maggio ’12), il primo testo narrativo in senso lato; e infine Conversione al Codice (dicembre ’12). In verità, viene preso in considerazione anche un quarto elemento, Compero... (Novella), scartato subito da colui che, a partire dal febbraio del 1914, diventerà l’editore del trittico, Giuseppe Prezzolini, allora direttore della «Voce» [...] 12 Nota al testo ANTEPRIMA GRATUITA 13 IL PECCATO ED ALTRE COSE Il titolo È necessario soffermarsi sul titolo esatto del trittico, ossia Il peccato ed altre cose, la cui grafia è incerta fin dal maggio del 1914. Rimandando il 2 maggio le bozze del Quaderno a Prezzolini, l’autore dà precise indicazioni: «Il titolo in copertina deve essere Il peccato ed altre cose»; e ancora: «Mettete un indice» (C I 121). Purtuttavia, nell’In dice del volumetto, si legge chiaramente, e in maiuscoletto, «IL PECCATO», nonostante gli occhielli siano sempre tutti in maiuscolo. Dunque ‘peccato’, parola-chiave del lessico boi niano, andrebbe riportato con la maiuscola, ossia Il Pecca to. Per la verità, ciò sarebbe confermato soltanto da una cartolina a Novaro, datata 1° marzo, relativa alla terza pun tata della «lunga novella» [...] Questa edizione Questa nuova edizione de Il peccato ed altre cose di Giovanni Boine riproduce la princeps del maggio del ’14, l’unica pubblicata in vita dall’autore, e da questi voluta e sorvegliata, seppur sommariamente, a partire dal mese di febbraio di quell’anno. Anche perciò, e per via dei ritocchi 14 apportati, è il Quaderno a tramandare l’ultima volontà boiniana, perlomeno per quanto riguarda il testo di ogni singolo elemento del trittico. È bene tuttavia avvertire il lettore che ciascun elemento, essendo già stato stampato primariamente sulla «Riviera ligure», e a compimento di un processo creativo coerente, nel caso in cui fosse ripub blicato singolarmente, andrebbe riproposto in esclusiva con quella primitiva veste editoriale, soprattutto Il peccato e La città, da quasi quarant’anni ristampati, anche isolatamente, in maniera senz’altro discutibile, cioè tenendo a base il testo del Quaderno, senza minimamente tener conto dell’u nità macrotestuale della raccolta. Perciò ci si riserva di riproporre in un futuro prossimo i tre elementi in edizione critica, tenendo invece a base il testo di «Riviera», regi strando in apparato progressivo le varianti redazionali. Il peccato ed altre cose infatti è un’opera a sé stante, non solo un semplice assemblaggio di tre novelle spicciola te: certamente scontata è per Boine la scelta di ristampar Peccato, se non il suo capolavoro, certamente lo scritto col quale lo scrittore prende congedo dalla sua esperienza narrativa; e forse altrettanto scontata è la scelta di ripro porre La città, «con cui Boine teneva a battesimo, non senza qualche pudore [...], il suo esordio narrativo» (Aveto 2012, p. 67); un po’ meno scontata è la scelta di riproporre Conversione al Codice, alla quale l’autore forse semplice mente tiene, «perché spesso gli pare il suo ritratto» (C II 104). Pare dunque assodato che questa prima scelta di novelle, o meglio questa prima antologia di «cose totalmen 15 te d’arte», segni un punto di svolta, nell’opera boiniana; dopo di che l’autore, «scontata fino in fondo l’esperienza del peccato, e delle altre cose», per citare Contorbia, «si dispone davvero a passar oltre» (Contorbia 1987 a, p. [8]). Questo Peccato ed altre cose parrebbe insomma un primo tentativo, da parte di Boine, di sistematizzare la propria produzione narrativa affidata esclusivamente alle colonne della «Riviera ligure». Ciononostante, nessun editore ha prima d’ora mai riproposto integralmente il testo del Qua derno, con la sola eccezione dell’anastatica del 1987. [...] 16 LA «PREFAZIONE» DELL’AUTORE Attestata da un solo testimone, cioè il «Quaderno ventitreesimo», non segnalata nemmeno nell’Indice reda zionale, la cosiddetta «prefazione» al Peccato ed altre cose, datata «30 aprile ’14», viene citata per la prima volta il 2 di maggio del 1914, quando Boine rimanda a Prezzolini le bozze corrette del trittico: «Ti mando (in tipografia), [...], le bozze del Quaderno alle quali ho aggiunto due righe di prefazione, perché mi è venuta vergogna d’aver ripubblica ta questa roba che forse non meritava» (C I 121); e ancora: «Non fa bisogno ch’io riveda più le bozze, tranne, se volete, quelle della prefazione». Dal Carteggio risulta che Boine non avrebbe rivisto più nulla. Benché sia pregna di significato (poiché riflette, aggiornate all’aprile del ’14, le idee maturate dallo scrittore intorno ai testi raccolti del Quaderno, irrimediabilmente rifiutati, fatta salva la Conversione al Codice), la «prefazio ne», nell’ultimo secolo, non è mai stata riproposta nella sua sede originaria: espunta arbitrariamente nella «seconda edizione» del 1922, è da Novaro rimpiazzata – purtuttavia con un certo qual gusto – nella «III Edizione» del ’38 dall’auto-recensione dell’autore pubblicata tra i «Plausi e botte» di agosto del ’14 col n. 67 (PB 318 bis b); l’edizione del ’71, direttamente dipendente da quella del ’38, non la ricupera nemmeno in nota; pertanto onore al merito del l’Ungarelli prima e del Puccini poi averla riproposta inte 17 gralmente (Ungarelli 1975 c, p. XXIII; Puccini 1983 a, p. 2). Ora, vale la pena soffermarsi giusto sul primo perio do del testo: «Ristampo queste cose ch’io credevo sotterrate per sempre nella Riviera ligure dove apparvero gli anni scorsi come schizzi e studi e, spesso, pudiche intimità che dell’aperto publico s’intimidivano» (PAC 14 5). Nono stante si parli di semplice ‘ristampa’ di «cose» edite, le af fermazioni dell’autore vengono contraddette da un’accurata collazione: il testo infatti è tacitamente rivisto in più di un punto e non semplicemente ‘ristampato’. Il testo-base riproduce naturalmente quello della princeps (PAC 14 5), da cui ci si discosta nei seguenti luoghi: intimità ] intimitá PAC 14 5, 3 | intimità ] intimitá PAC 14 5, 5 | vanità ] vanitá PAC 14 5, 9 18 IL PECCATO Il titolo La prima volta che Giovanni Boine nel Carteggio cita il titolo della «lunga novella» è in una lettera a Casati dell’11 di marzo del 1913: «Forse hai ragione per l’Agonia. Ma non è una novella ed un po’ di quell’artificiosità irreale che v’è nel suo andamento e in quello dell’altre due che conosci, è voluto. L’ho mandata con Conversione a Botta. Quella intitolata il peccato di cui t’avevo detto è ricopiata e finita» (C III/2 678). Nei tre sommari della «Riviera ligure», relativi alla prima seconda e terza puntata del racconto, si legge chiaramente sempre e solo «Il peccato», in corsivo minuscolo; si legge invece, nell’ultima puntata, «Il tormento». Gli occhielli sono sempre in maiuscolo tondo. D’altro canto, nell’Indice del «Quaderno venti treesimo» il titolo della novella è trascritto in maiuscoletto, «IL PECCATO» (così nell’Indice di PAC 22 e PAC 38), e i sottotitoli in minuscolo tondo: «Il Limbo» (così nell’Indice di PAC 22, ma non in quello di PAC 38, a causa forse di un ritocco di Mario Novaro), «La qualunque avventura», «Il tormento». Gli occhielli sono tutti in maiuscolo [...] 19 LA CITTÀ Il titolo Il titolo imposto da Boine alla «novella (specie di novella)» è La città; purtuttavia, nell’Indice del volumetto della «Voce» (che, si ricordi, non è mai stato supervisionato dall’autore: «Mettete un indice», scriveva a Prezzolini il 2 di maggio del 1914, C I 121), si legge: «LA CITTÀ», in ma iuscoletto (così negli indici di PAC 22 e PAC 38). Benché si tratti, come nel caso del Peccato, di una parola con una forte carica simbolica [...] La dedica La dedica della Città suona così nella prima edizione della «Riviera ligure»: «a Maria G. amorosamente.» (C 44 a). Spiega Aveto: Forse solo il direttore, Mario Novaro, e gli altri radi amici «di qui» («l’avventura», per parafrasare l’incipit del Pec cato, aveva fatto «molto rumore in paese») erano in grado di sciogliere il cognome – Gorlero, quello del marito, un vetturino morto di tisi dal quale la donna, classe 1886, aveva già avuto una figlia – che si celava dietro quell’iniziale puntata; probabil mente nessuno degli amici di fuori doveva saperne nulla, almeno a leggere la corrispondenza raccolta da Margherita Mar 20 chione e S. Eugene Scalia nei quattro volumi del Carteggio; nulla ne sapeva senz’altro Casati, informato dei fatti solo molto più tardi, prima di seconda mano, poi direttamente dall’in teressato (Aveto 2012, p. 67). La novella pertanto è dedicata dall’autore alla donna amata; ma non si tratterebbe solo di semplice galanteria: secondo Aveto la «specie di novella» risentirebbe chiara mente di quella [...] 21 Giovanni Boine Il peccato ed altre cose ANTEPRIMA GRATUITA 22 Ristampo queste cose ch’io credevo sotterrate per sempre nella Riviera ligure dove apparvero gli anni scorsi come schizzi e studi e, spesso, pudiche intimità che del l’aperto publico s’intimidivano. Ma sebbene io sappia che non valgono che come intimità e come schizzi, e sia del parere che solo ciò che è bello e grande meriti di escire in libro, perchè è inutile e dannoso aumentare le tonnellate della carta stampata la «Libreria della Voce» le ha dis sotterrate e non per vanità o desiderio che se ne parli io le ho concesse. Il che mi serva di giustificazione dinanzi ai pochi che mi conoscono e del giudizio dei quali m’importa. Portomaurizio, 30 aprile ’14. 23 Il peccato ANTEPRIMA GRATUITA 24 I. IL LIMBO L’avventura cominciò qualche anno dopo che egli se n’era, finiti gli studi, tornato a casa. Fece molto rumore in paese. La gente aveva avuto fino allora di lui un certo diffidente rispetto come per uno che è d’altra razza che noi: che opina e fa diversamente da noi, che non si cura di noi, ma di cui qualcosa precisamente di male nessuno può dire. Vivendo senza fissa occupazione nell’agio noncurante e discreto di una famiglia di patrizi antichi, i saggi mercanti, i vari ragionieri guadagna-denaro della città dicevano di lui che perdeva il suo tempo. «E che fa? Perde il suo tempo». Le vecchie signore beghine, i fabbriceri ed il parroco sebben si togliesse sempre con rispetto il cappello quando passava il Santissimo (ma c’erano invece in paese gli spiriti forti che lo calcavano fieri e feroci fino agli orecchi); e venisse spesso in chiesa alla messa e ci stesse come si deve serio senza fare alle occhiate e ai segnali colle ragazze in parata, (ci van perciò appunto i giovani la domenica in chiesa), sospet tavan di lui. S’eran sentite certe voci su lui di quand’era agli studi... E par che avesse detto ch’egli al catechismo nelle scuole non ci teneva gran che. — Pei politicanti del Con siglio comunale egli era un «originale». Non si capiva cos’era. Aveva scritto sul giornale del sito in pro, che so io, della «scuola serale» (dunque è con noi socialisti) e poi detto male del discorso del tale e del talaltro al comizio del 25 primo maggio passato (dunque non è socialista). Si me scolava del resto di rado nelle conversazioni a caffè; non giocava; che avesse donne nessuno per allora sapeva; le compagnie allegre, quelle che restan di notte fino alle due in schiamazzi a far la serenata alla bella, o si spandon fra le quinte in teatro l’inverno a pizzicar le coriste, i giovanotti che capiscon la vita e come si deve («son nell’età!») se la godono, quelli lo avevano un poco in concetto tra di «prete» e babbeo. S’era fatti amici fra gente «di nessun conto», dice vano: ragazzi di diciasette diciotto anni senza un soldo, ragazzi di liceo smilzi [...] 26 II. LA QUALUNQUE AVVENTURA ... Quand’egli il domani come un automa arrivò incerto guatando, la chiesa era vuota zitta. Anche il dopo dimani, entrato, silenzio. Ma gli si fece incontro la figura spaurita del cappellano, cereo, curvo, come a far festa, co me a dire qualcosa che non bene capì. Parlava a mezza voce ora, quasi si ricordasse di essere in chiesa e lo spinse fuori di nuovo al chiaro del sole e diceva del tempo e del caldo, rapido, presto, senza guardarlo. Alzò gli occhi a lui di sfuggita, chiedendogli a un tratto: «Tu vieni qui sempre?» ma subito li abbassò come a nasconder qualcosa o non osando, impacciato, dir altro. Continuò a balbettare del tempo e del caldo e a dir ch’era stanco. — Il giovane rimase turbato. Lasciato il prete tentò di mettere ordine in sè. Non capiva, non si capiva, come se avvenisse qualcosa in lui a cui non avesse parte. Come se il mistero d’al di là delle cose fosse calato subdolo in lui e non ne fosse padrone («Ma cos’è dunque che avviene?»). La sua volontà e la sua intel ligenza operavano accanto, fuori di questo qualcosa; eran nette e pronte per ogni necessità e i casi occorrenti, ma non penetravano qui. Come non sapessero come non ci avessero a fare. («Ma cos’è dunque che avviene?»). Pigliò il mattino dopo la prima diligenza partente e salì su in vallata quattr’ore distante ai suoi terreni di ulivi. Ci restò una settimana. Rivide i conti al fattore, che non l’aspettava; 27 s’occupò del fieno che giù a dorso di mulo tutto il giorno scendevan gli uomini dai prati arsi sui monti, (aiutò a installare, a stipare nei vani il fieno odoroso e pungente, vi tuffò il viso e le mani, vi si affondò dentro sdraiato come quando da bimbo lo zio, proprio lì gli gridava: «Ma togliti dunque, che lo pesti e lo sporchi e le bestie non me lo vogliono più!»). S’occupò d’un muro ch’era caduto, della vasca dell’acqua che bisognava cementare di nuovo, del l’aratura che era già innanzi bene e d’un certo orto che avrebbe voluto comprare. Tuttociò lucido, queto, come uno a cui tu abbia dato un comando o faccia indifferente il tuo affare. La sera che tornò, stordito un po’ dal traballar sgangherato della vecchia carrozza [...] 28 III. IL TORMENTO Che cosa precisamente il giorno dopo e i seguenti avesse fatto e sentito, anche molto più tardi in calma pen sando non gli riuscì mai di metterlo insieme bene. C’era come una macchia di buio nella sua memoria. Di questo solo si ricordava (e di una aridità meccanica dentro, che gli aveva detto come parlando: «Tu devi»; e di lui che poi si moveva non bene sapendo e come per un esterno comando); di questo si ricordava che aveva (forse un pomeriggio) bussato al convento (senza vergogna come uno mandato, o come se tutto fosse chiaro e si presentasse da sè rassegnato a incolparsi), e chiesto al sacrista di Suora Maria. (Quello aveva fatto un lungo discorso con molti gemiti e gesti di cui ciò solo aveva afferrato: «ha, dicono, il delirio. Medico... medicine». Forse aveva aggiunto anche, lamentoso e in confidenza, che nella notte, oltre tutto, non si sa chi era entrato nell’orto a rubare dell’uva e che lui non l’aveva detto nè alla superiora nè a nessuno perchè il danno in sostanza era poco e stavan tutti quanti già male). Poi di quest’altro: che aveva atteso ritto sui gradini ampi di mar mo con le colonne alte contro a lui della Collegiata bianca, il prete dei bimbi alle cinque uscir di capitolo. L’aveva toccato muto al braccio, l’aveva tirato con sè cento passi lungo il gran muro nudo sul piazzale di dietro, fra i quer cioli in fila radi; e che il vecchio docile l’aveva seguito e col 29 viso buono di nuovo, gli aveva chiesto fermandolo, gli occhi cilestri a lui: «Ora dunque che hai?» Egli, contratta, rauca la voce, ma senza ansito, calmo, (pallido pesto nel viso), come se facesse un Caso dei soliti a sciogliere, o continuasse distratto un discorso: «E se un religioso, po niamo una suora (una novizia)», aveva domandato «va contro i suoi tre voti giurati, rompe uno dei voti, poniamo...» [...] 30 La città ANTEPRIMA GRATUITA 31 A MARIA. Or dunque un giorno in mezzo alla via (una domeni ca in mezzo alla gente vestita a nuovo, oziosa, indolente a passeggio) sentì improvviso per tutto il corpo stanco un impeto duro e come un urlo dentro: «si sfascia, si sfascia ogni cosa; non dura più!». Fermo. Ritto. Torvo. Non gridò. Chi gli passò accanto sorrise: lo si sapeva un po’ strambo. Non gridò: essendosi ripreso, continuò giù nella folla, come uno qualunque nella folla, nascondendosi, nascondendo, coprendo spaurito il sussulto violento del suo pensiero nel domenicale vario ondeggiar della folla indolente. Perchè gli pareva a tratti d’esser davvero pazzo. A tratti, che ogni cosa fosse allo stremo, (ogni cosa spiritual mente), gli pareva così certo, così chiaro e immediato, così enormemente mostruoso e ruinoso ch’egli era tutto scosso dall’irrefrenabile fremito di chi getta di scatto l’allarme perchè si schianta una trave e v’è un uomo in pericolo sotto. Ma a tratti sforzandosi come chi esce dall’incubo: «Sono pazzo!» e guatava come chi teme che la gente s’accorga. La gente era queta. Usciva al sole. Queta e come sempre: visi noti, andature note, voci note di tutti i giorni. Ed anche la via intorno era la solita via cento volte ogni giorno percorsa: via maestra di piccola città provinciale, 32 pacifica via. — C’era il sole. Tepore. Azzurrità fra i tetti. Su in alto una campana: la consueta campana di vespro. E lo pigliò uno stupore inquieto, uno sbigottimento pauroso. Voglia di fuggire come chi fiuta un pericolo a buio. Finchè trovò una strada traversa, deserta. Perchè gli uomi ni e le cose gli parevano improvvisamente fatti sordi, come chi non s’accorga di una valanga o della fiumana che ur lando arriva e s’indugi lieto. Ora, egli, dentro la sentiva la valanga e la fiumana angosciosamente urlare; ma la quiete la sicurezza d’ogni cosa intorno, lo faceva dubitoso: «Son pazzo?». Ciò durò molto tempo, dei mesi. Non era del paese; c’era venuto da poco e pel clima. Malato a fondo. Convien dire ch’era colto e al modo di quel li che giudicano, non subiscono, il mondo. Giovane. Vasta tumultuarietà di sentimento [...] 33 Conversione al Codice ANTEPRIMA GRATUITA 34 Nelle mie relazioni con gli uomini mi vorrò accomo dare così, ch’io amerò meno posso, ch’io mi guarderò dall’amore (ho ferma intenzione di guardarmi dall’amore) presso a poco come dalle ubriacature (anche più; anche più!). Ho cinquant’anni: forse ch’io rovescerò il mondo? È ragionevole che a cinquant’anni io speri e tenti di rovescia re il mondo? Vorrò vivere come si vive, senza utopie e senza rivoluzioni (è peccato?). Ho deciso che il codice civile e il penale sian la mia bibbia e sapientissima bibbia a cui sia da stolti mutare un sol ette. Ecco che un galantuomo può col codice legittimamente vivere, ha diritto a vivere il suo can tuccio (ecco ch’io vivrò il mio cantuccio) d’anni e di vita bene, essendo in pace con gli altri e con sè. Ecco finalmente ch’io vivo queto, onestamente queto ed ho per ogni mia azione la tutela e la giustificazione di un articolo o d’un capitolo chiaramente sancito, solennemente sancito, che ha l’approvazione di milioni d’anime e l’autorità di secoli. E forse che i milioni ed i secoli non varranno contro il mio stesso effimero parere, contro lo spaurito sentimento mio? Forse ch’io ho veramente il dovere (ho il diritto?) d’amare, come ho creduto, il prossimo mio contro i fatti che lo vietano e l’autorità del Codice che ne tace? Io amerò la mia donna ed i miei figlioli, amerò mio padre ed i miei fratelli amerò pochi uomini intorno a me e bene scelti se condo il sapore dell’anima loro. E conterò, numererò gli uomini, non permetterò che sian molti (sebben molte siano le definite persone). Cercherò di ridurre a giuridiche per sone gli uomini (troppi!) che si agitano voraci e spinosi 35 intorno a me. E perchè dovrò io essere turbato e commosso in eterno da questa faccenda della «consustanzialità», (io, tu, quell’altro che passa, l’uomo che zappa curvo sul pendio di contro mentre io scrivo, siam tutti una medesima cosa), perchè io debbo essere agitato, dilacerato ogni momento da questa instancata predicazione cristiana (da questo intimo incancellabile senso) della fraternità umana in Dio? Iddio è nostro padre, sì, e se tu guardi fondo anche ogni essere animato nonchè ogni umano, t’è fratello. Ecco, ed ecco che l’anima mia dunque dilaga per ogni forma di vita, (e questo ciuffo di cardi selvatici accanto a me nell’erba colle sue a ride tonde raggiere d’argento, con le sue foglie rabescate spinose nel sole?) ecco che l’anima mia si sperde, gode e per mille piaghe soffre come l’universo corpo di Iddio. Ecco che l’anima mia si sperde e si dà: e non avrò io diritto a ciò che mi tocca, alla mia definita vita? — Dico ch’io tal dei tali, così e così combinato non vivrò più (son dilacerato e in subbuglio), che ciò è insopportabile è enorme fatica; dico che s’io sento l’uomo negli uomini […] 36 RINGRAZIAMENTI del curatore Mi piace ringraziare in questa sede tutti coloro che, in un modo o nell’altro, hanno contribuito in maniera determinante alla realizzazione di questo lavoro boiniano: Fiammetta Ausonio, Andrea Aveto, Laura Barricalla, Marco Berisso, Giorgio Bertone, Silvia Bonjean, Antonella Colom batto, Maria Comerci, Giuseppe Conte, Franco Contorbia, Andrea Lanzola, Marino Magliani, Manuela Manfredini, Loretta Marchi, Maria Novaro, Cesare Oddera, Veronica Pesce, Luigi Surdich, Roberto Tissoni, Marilena Vesco, Francesco Vico. Ringrazio inoltre i seguenti enti: Biblioteca comunale dell’Archiginnasio di Bologna, Biblioteca del Di partimento di italianistica, romanistica, antichistica, arti e spettacolo (DIRAAS) dell’Università degli Studi di Genova, Biblioteca della «Fondazione Mario Novaro» di Genova, Biblioteca di Scienze della Formazione «Mario Puppo» dell’Università degli Studi di Genova, Biblioteca civica «Leonardo Lagorio» di Imperia, Biblioteca del polo univer sitario imperiese dell’Università degli Studi di Genova, Biblioteca civica «Francesco Corradi» di Sanremo, Biblio teca dell’istituto di istruzione superiore (IIS) «Cristoforo Colombo» di Sanremo, «Piccola Biblioteca della Pigna» di Sanremo. Sanremo, 2 settembre 2014 37 INDICE Sommario Invito alla lettura, di Giuseppe Conte Per «Il peccato ed altre cose», di Franco Contorbia Apparati, di Fabio Barricalla Sigle e abbreviazioni bibliografiche Nota bio-bibliografica Cronistoria del trittico attraverso le lettere Nota al testo Il peccato ed altre cose La «prefazione» dell’autore Il peccato La città Conversione al Codice Il peccato ed altre cose, di Giovanni Boine Il peccato I. Il limbo II. La qualunque avventura III. Il tormento La città Conversione al Codice Ringraziamenti, del curatore 38