"DALLE AULE PARLAMENTARI ALLE AULE DI SCUOLA. UNITÀ, NAZIONE, COSTITUZIONE" Giornate di formazione 3 DICEMBRE 2010 INCONTRO DEI DOCENTI CON IL SENATORE A VITA EMILIO COLOMBO FEDELI. Ringrazio vivamente il presidente Emilio Colombo per essere qui con noi. L'incontro con un protagonista della vita civile degli ultimi decenni del nostro Paese e con uno di coloro che hanno dato un contributo fondamentale alla redazione della Costituzione della Repubblica dà lustro alla nostra iniziativa. Il senatore Colombo è sempre sensibile alle iniziative che il Senato della Repubblica e la Camera dei deputati rivolgono al mondo della scuola, ai giovani. Credo di interpretare, quindi, anche i sentimenti dei colleghi della Camera nel ringraziarlo sentitamente per essere anche quest'anno presente. Gli cedo subito la parola. (Applausi). COLOMBO. Comincio, anzitutto, ringraziando a mia volta per avermi invitato. L'incontro coi giovani sul tema della Costituzione è un modo per ritrovare gli anni più belli dell'esperienza politica parlamentare e per me, in fondo, della mia vita. Io quest'anno ho compiuto novant'anni (Vivi applausi). Ringrazio Dio di avermi dato una vita così lunga e mi auguro di continuare ancora. Ho potuto non solo fare una lunga esperienza, ma vivere quei tempi che sono alla base, all'origine di questo libretto su cui sta scritto "Costituzione della Repubblica italiana". Ho vissuto il periodo che ha preceduto l'avvio della Costituente e quindi della Costituzione e ne ho potuto seguire passo per passo l'attuazione; il che vuol dire una lunga esperienza di politica concreta, la norma vissuta nella realtà delle Istituzioni e nella realtà della vita. Ecco, voi docenti a vostra volta, se ho bene afferrato il vostro compito, dovrete insegnare ai vostri ragazzi una conoscenza e, direi, lo spirito di fedeltà alla Costituzione. Allora, non credo che il mio compito sia quello di esporvi quello che sta scritto qui dentro, perché quello lo potete fare anche voi, ma forse condividere alcune riflessioni e alcuni commenti. Io sono arrivato a Roma venendo dal Nord, dove mi trovavo per il servizio militare, ho dovuto prendere servizio come sottotenente alla prima esperienza dopo il giuramento e poi i primi sei mesi di esperienza come ufficiale, prima ancora di avere la nomina definitiva. Il 6 settembre 1943 mi sono presentato all'ufficio dov'ero stato assegnato e ho avuto una grossa ramanzina dal mio ufficiale, perché non avevo i guanti bianchi; quell'ufficiale forse non sapeva che stavamo proprio agli sgoccioli e che si stava avvicinando quell'8 settembre nel quale sarebbe avvenuto il passaggio sostanziale. Il 25 luglio c'era stata la caduta del fascismo, dopo il voto del Gran Consiglio del fascismo che aveva spodestato il Duce, e poi c'era stato questo periodo intermedio che aveva portato all'armistizio dell'8 settembre, alla occupazione da parte delle truppe tedesche nel Nord Italia fino a metà della Penisola, la fuga del Re e il suo spostamento a Brindisi e la costituzione di un Governo di passaggio, il Governo Badoglio. Ma chi attraversava l'Italia era circondato da rovine fisiche, che erano quasi il simbolo di un disfacimento della rovina del nostro Paese, e io mi sono domandato allora, come tanti giovani dell'epoca, se ci sarebbe stato per noi un posto nella vita, nel nostro Paese, cioè se si sarebbe potuti uscire da quella condizione nella quale una guerra sbagliata ci aveva portati ad una sconfitta, prevedibile. Da queste poche parole che vi ho detto, vi rendete subito conto di come in simili frangenti, oltre alle rovine materiali, dovute ai bombardamenti, e alla vita economica interrotta, tranne per i lavori nei campi, meno interessati e più difesi dall'effetto delle incursioni aeree, era soprattutto l'edificio Italia, con le sue Istituzioni, con gli uomini che interpretavano quelle Istituzioni, che sostanzialmente era disfatto, era caduto. Ed è un'atmosfera di questo tipo che io ho cercato di rendervi, attingendo alle mie impressioni, vive ora come lo erano allora. E' da questa realtà che è nato il nuovo, cioè questo libretto che tengo in mano, la Costituzione, che a sessant'anni non è ancora vecchia perché possiamo veramente dire di avere una Costituzione che sfida il tempo per la novità dei suoi principi, i quali sono nuovi come sono nuove le cose che hanno una solidità, un'essenzialità che le rende intramontabili nella vita. Qualcuno potrà dire, magari quelli che hanno uno spirito critico più raffinato, ma lei ci viene a fare della retorica? No, io non vi faccio della retorica, vi racconto le cose come sono. Vediamo allora da dove nasce questa Costituzione. Per dirvi da dove nasce iniziamo con l'identificarne l'ambiente. Io sono entrato all'Assemblea costituente che avevo compiuto 26 anni da tre mesi, l'11 aprile 1946; il 2 giugno abbiamo fatto le elezioni e io sono stato eletto membro dell'Assemblea costituente. I lavori sono cominciati alla fine del mese di giugno e i commessi di Montecitorio, che mi vedevano giovane e un po' spaesato (c'erano tanti vecchi, come età media), mi indicavano fra i seicento personaggi che sedevano nella Costituente Benedetto Croce, il più grande filosofo vivente. Gentile era morto, ucciso a Firenze. Mi indicavano Vittorio Emanuele Orlando, che fino al momento della sua morte è stato denominato il Presidente della vittoria, perché era il Presidente del Consiglio dei ministri quando l'Italia aveva vinto la prima guerra mondiale, quando - vi ricorderete - la leggenda nazionale vuole che gli sgorgassero le lacrime quando vide non riconosciuti i confini d'Italia dal Trattato di pace che egli era andato a discutere a Parigi. C'era anche Nitti, che era un mio corregionale; e siccome io provenivo dal mondo cattolico - lui apparteneva al mondo laico, un po' anticlericale - mi chiamava "il sagrestanello", in modo affettuoso. Era una "malalingua", terribile, un uomo di una intelligenza straordinaria. E poi c'era Togliatti, il capo del grande Partito comunista che dopo la Democrazia cristiana era la più grande forza politica; anzi, devo dire che nella Costituente i comunisti erano il terzo partito, perché il secondo era il Partito socialista. Poi, quando nel 1948 alle elezioni che rappresentarono lo spartiacque fra il passato e il futuro avvenne lo scontro fra le grandi ideologie del secolo scorso, i comunisti in Italia si allearono con i socialisti e, attraverso l'utilizzo sapiente da una parte e insipiente dall'altra parte dei meccanismi elettorali, i comunisti riuscirono ad avere tanti voti di preferenza in modo da essere il secondo partito dopo la Democrazia cristiana e i socialisti diventarono il terzo. E fu da allora che avvenne il declino o la minora influenza di un partito che, se non avesse fatto quell'errore, probabilmente avrebbe segnato in modo diverso lo sviluppo della vita italiana, quello che oggi chiamiamo oggi "bipolarismo" avrebbe avuto un altro significato; ma non voglio entrare in questi particolari. Poi c'erano Fanfani, Dossetti, ma loro li conoscevo già perché avevamo vissuto insieme anche il periodo preparatorio. Quell'Assemblea era l'espressione, in quel momento, della più alta cultura italiana e delle più antiche esperienze politiche ma anche dei nuovi, cioè quelli che durante il difficile periodo del fascismo avevano studiato e si erano preparati. Ho dimenticato di citare fra i nomi - a quest'età si comincia un po' a dimenticare - De Nicola, un grande personaggio e anche Presidente, per un certo periodo di tempo, della Camera dei deputati e poi anche del Senato. Era un uomo giurista, napoletano, molto raffinato e onesto, con una grande autorità, così come l'aveva Terracini, comunista, però un Presidente rigorosissimo dell'Assemblea Costituente. E naturalmente voglio ricordare De Gasperi, che per me non era una novità ma per gli altri, che si affacciavano alla vita politica in quell'Assemblea, era una novità. Il lavoro della Costituente nasce dalla fine dell'ultima - speriamo che sia veramente tale - grande guerra mondiale, nasce dalla caduta del fascismo, nasce dall'apertura del nostro Paese verso un nuovo sistema di vita ispirato alla libertà. Anche noi ragazzi che avevamo vissuto il periodo fascista avevamo imparato, in concreto, sull'esperienza della nostra vita, che cosa significasse non poter esprimere un pensiero diverso da quello del pensiero ufficiale, della idea incarnata dagli organi costituzionali allora vigenti; il Governo, il Partito Unico. Era stato nel 1925 che erano stati aboliti i partiti politici, quindi si può essere più o meno favorevole ai partiti ma abolirli vuol dire abolire la diversità delle opinioni per mantenere in piedi una sola opinione, quella espressa dal Governo che è al potere in quel momento. Io poi, essendo un dirigente in quel periodo dell'Azione cattolica, ho vissuto lo scontro del 1933 tra il regime fascista e l'Azione cattolica quando, pur dopo la firma del Concordato fra lo Stato e la Chiesa, il regime fascista non ammetteva, non voleva ammettere che vi fossero altri ad educare i giovani fuorché lo Stato e il Partito fascista incarnato nelle Istituzioni, mentre naturalmente c'era chi sosteneva tesi diverse e, fra queste, l'Azione cattolica. Poi vi era stata anche un'altra crisi, successivamente, dello stesso tipo e quindi le avevamo vissute tutte queste cose. Si può dire dunque che la Costituzione nasce dall'antifascismo? Sì, anche, ma non solo. Durante il periodo che precedette e che seguì l'8 settembre vi fu la Resistenza al fascismo. La Resistenza al fascismo, che da alcuni viene interpretata come la lotta nella Repubblica di Salò fra fascisti e antifascisti, in realtà risaliva ai primi tempi del fascismo, tant'è vero che Nitti, di cui prima vi ho parlato, era esule in Francia e De Gasperi era stato in galera e poi si era difeso, perché lo avevano accolto e tutelato in Vaticano che, avendo la sua sovranità specifica, non poteva essere insidiato dalla presenza del fascismo. I fratelli Rosselli e ancora Nenni, Pertini: questa è stata fin dall'inizio la Resistenza contro il regime fascista e poi vi è stata la Resistenza armata. Nasce da questo la Costituzione? Anche. La Costituzione nasce dalla contraddizione tra coloro che difendevano i principi di libertà - la libertà di pensiero, di espressione, di stampa, la discussione, la diversità delle opinioni - e chi sosteneva il pensiero unico, debole in realtà come pensiero, ma forte come sua incarnazione perché sostenuto dalle forze dello Stato, dallo Stato e dal Partito unico come era il Partito fascista. Dunque la Costituzione nasce dalla Resistenza? Sì, certo, Resistenza intesa nel senso più ampio. Vi faccio un esempio. C'è un brano, che in genere non è molto conosciuto, di un grande, grandissimo giurista, toscano, fiorentino, Piero Calamandrei, che disse ai giovani che "dietro ogni articolo della Costituzione ci sono i giovani che sono morti durante la Resistenza....". E' una considerazione molto bella, perché è vera. E tuttavia, se noi dessimo alla Costituzione solo queste basi e queste origini, forse ancora manterremmo la sua derivazione e il suo fondamento in un ambito importante ma ristretto e quindi, come tutte le cose radicate in una fascia stretta di esperienza di vita, suscettibile di essere "tramontabile". In realtà, noi dobbiamo pensare che il periodo successivo alla guerra mondiale, il post fascismo, la lotta e la Resistenza che sono pure alla base della Costituzione sono solo alcuni degli aspetti che sono a fondamento della Costituzione; ma ciò che è alla base della nostra Costituzione, e la rende perciò moderna e solida tuttora, è ciò che nacque in quella fase in tutto il mondo e cioè i principi del costituzionalismo moderno, che ha le sue origini dalla fine del '700 e che i regimi autoritari avevano sempre rifiutato. È vero, la fine del conflitto mondiale ha significato la vittoria di questi importanti principi! Nel 1945 nasce l'ONU e approva la Dichiarazione dei diritti universali dell'uomo, la cui eco si avverte in questo libretto. E' da qui, vedete, che si allarga la base e il fondamento delle norme di cui noi parliamo e che voi, sono convinto, vorrete trasmettere ai vostri alunni quando ne parlerete. Uno dei costituenti più intelligenti, cattolico, il professor Dossetti, docente di diritto ecclesiastico (avevamo avuto lo stesso maestro di diritto ecclesiastico, lui poi si è fatto frate), per quanto concerne il fondamento della Costituzione afferma che non si tratta di "un fiore pungente, nato quasi per caso da un arido terreno di sbandamenti postbellici e da risentimenti faziosi volti al passato" o "da una ideologia antifascista di fatto coltivata da certe minoranze" o da un richiamo "alla Resistenza, con cui l'Italia può aver ritrovato il suo onore". No, il fondamento della Carta costituzionale è tutto questo nuovo costituzionalismo, la cui espressione più fondante dal punto di vista storico è proprio la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Non è un fenomeno domestico; è italiano, certo, perché si tratta della nostra Costituzione, ma la sua derivazione va ben oltre i confini della nostra Patria e attinge al moderno costituzionalismo. Questa è la prima riflessione che volevo sottoporre alla vostra considerazione; un'altra è la seguente. Quando si parla della nostra Costituzione, subito i saccenti, coloro che sono sempre pronti a dare i giudizi delle cose senza avere mai approfondito, dicono che si tratta di un compromesso. Non vi dico una cosa falsa: giorni addietro accanto a me era seduto un professore universitario, quindi non una persona di poco conto, ma un docente molto influente nella sua materia, che ha detto proprio questo: la Costituzione italiana è un compromesso! E perché un compromesso? Perché - affermano i sostenitori di questa tesi - nel primo articolo della Costituzione è scritto che la Repubblica italiana è "fondata sul lavoro". Dunque il riferimento al lavoro è un principio derivato dalla concezione marxista. Ma chi l'ha detto? Bisogna sapere come sono andate le cose. Vediamo allora com'è nato questo articolo 1 della Costituzione. Ricordo ancora cosa successe quel giorno; non è che poi le cose nel tempo cambino tanto e anche all'epoca ogni tanto mancavano i deputati dall'Aula! Il Partito comunista propose un emendamento per scrivere che la Repubblica italiana è una "Repubblica di lavoratori", il che significava introdurre, in un documento che aveva quell'ampiezza di visioni di cui vi ho parlato, anche con riferimento alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, un principio che certo era espressione di una delle più grosse ideologie del secolo scorso, che è stato il secolo della lotta fra le grandi ideologie e per fortuna, con la caduta del muro di Berlino, anche della sconfitta delle ideologie. Il riferimento ai lavoratori era in realtà il riferimento alla classe lavoratrice e si dovette trovare un modo per eliminare questo automatismo, senza d'altra parte creare un conflitto insanabile nell'ambito dell'Assemblea. E allora dall'idea della classe lavoratrice e dei lavoratori si passò a quella del lavoro, perché è riferibile a qualsiasi visione e, in ogni caso, alla visione dell'uomo che ha ispirato i principi della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo. Non abbiamo noi forse il dovere di difendere il lavoro? E poi, la nostra Repubblica non vive sul lavoro degli italiani e non è più povera quando gli italiani non hanno lavoro, come spesso accade e come accade in questo momento? L'idea del compromesso è un'idea falsa, nel senso che, certo, questa grande Assemblea vedeva i democratici cristiani con maggioranza relativa che avevano la loro origine in alcuni principi morali della dottrina sociale della Chiesa, perché risalivano alla grande esperienza nella Rerum novarum di Leone XIII, ma vedeva anche i comunisti, che erano guidati da Togliatti. E Togliatti era stato segretario della Internazionale comunista, ma quando di ritorno da Mosca sbarcò a Salerno fece una dichiarazione - appunto la "dichiarazione di Salerno", storicamente ricordata da tutti i cultori della politica e del diritto - per la quale i comunisti rinunciavano alla rivoluzione e dette l'impressione anche di accettare la monarchia. Non vi meravigliate. Perché lo fece? Questa sua posizione era strumentale per poter essere accettabile da un'opinione pubblica più vasta dei militanti comunisti, molti dei quali avevano subito la galera, avevano fatto la Resistenza ed erano stati in carcere. Io per esempio ero molto amico di uno dei due fratelli Pajetta e tutti e due sono stati in carcere. Con quello più grande, Giancarlo, quando arrivava Natale ci scambiavamo sempre in regalo dei libri e una volta io gli regalai degli scritti su Sant'Agostino, che erano stati selezionati da un grande studioso e cultore, don Giuseppe De Luca, di origine lucana, di cui lui era molto amico, e lui mi disse: "Ma dai, Colombo, mi fai 'sto regalo perché mi vuoi far convertire?" e io gli risposi: "No, dovresti imparare che la cultura la si trova dappertutto e cultura è anche Sant'Agostino, per chi vuole essere veramente una persona colta". Questo, insomma, per dirvi il tipo di rapporto che avevamo, in fondo ci legava la fermezza nelle proprie opinioni ma anche la capacità di parlarci fra di noi, sia per dirci le cose su cui eravamo in disaccordo sia le cose per le quali eravamo d'accordo. Questa "dichiarazione di Salerno", a cui ho fatto cenno, fa capire come si svolse la discussione e adesso ve ne do un altro segno concreto. Il discorso più importante che fu fatto all'apertura della discussione generale, dopo che aveva lavorato la Commissione dei Settantacinque, fu quello di Giorgio La Pira, che durò tre ore, ogni tanto qualcuno lo interrompeva e il Presidente lo richiamava; lui poi aveva un suo modo di parlare che non aveva mai nulla di retorico, era tra il ragionamento e la solleticazione delle emozioni ma in modo molto delicato, gentile. Ebbene, in questo discorso c'è la spiegazione del fondamento di questa Costituzione, che è la persona umana, l'uomo. E come reagirono i comunisti? Se andate a rileggervi il resoconto, dopo il discorso di La Pira ci fu quello di Togliatti, che fu un discorso molto breve, che lui fece anche con un pochino - se le signore me lo consentono, uso la parola - di "sfottò" nei confronti di La Pira. Voi sapete che per La Pira è in corso anche la causa di beatificazione, perché era veramente un sant'uomo, piccolino, siciliano di origine e fiorentino, professore di diritto romano, giurista. Dopo questa esposizione così ampia sul fondamento della Costituzione, da giurista che parlava con le sue ispirazioni ideali, in sostanza il discorso di Togliatti fu questo: "Io ho capito che nel discorso di La Pira elemento essenziale è il principio di solidarietà". La persona umana è quella realtà che San Tommaso d'Aquino dice: "quod potissimum in tota natura", cioè ciò che c'è di più importante, noi diremmo oggi di esaltante nella natura è la persona umana, l'uomo come persona, con i suoi rapporti verticali e con i suoi rapporti orizzontali con gli altri uomini, l'individualità e l'alterità. E l'alterità porta necessariamente al principio di solidarietà, che naturalmente è vicino alla visione comunista, diciamo che è un aspetto della concezione comunista, il lottare per gli altri, soprattutto per i più deboli, per i lavoratori. Un filosofo ha detto che il '900 è il secolo delle "verità impazzite", delle verità sempre tali ma ad un certo momento circondate da una serie di non verità o di visioni contrastanti, in modo tale che il nucleo venisse in qualche modo espunto. Così, per esempio, il principio di libertà è un principio importante, sacrosanto, ma quando poi diventa liberalismo senza limiti si ha la crisi attuale, cioè le banche fanno i loro interessi senza tener conto dei riflessi che questo ha sulla società, l'economia è senza regole, mentre noi abbiamo seguito e seguiamo l'economia sociale di mercato. Allora si può spiegare come ad un certo momento Togliatti, dopo il discorso di La Pira, disse: "Insomma, siccome La Pira ha parlato della solidarietà che è una cosa importante nella nostra concezione, io approvo e sono d'accordo con lui". Se questo è un compromesso, lo è al livello più alto! Non un compromesso tanto per andar d'accordo e superare un momento difficile, ma la ricerca e l'equilibrio di punti d'incontro a livello più alto possibile rispetto alle concezioni da ciascuno ritenute valide. Allora, la seconda idea di fondo che vorrei lasciarvi è questa: lo Statuto Albertino, che ha preceduto la Costituzione italiana, apparteneva a quel grande movimento liberale - che ad un certo momento si è espanso, dopo la rivoluzione francese e anche nei tempi successivi - di rivendicazione di alcune libertà, di partecipazione delle rappresentanze dei cittadini alla vita dello Stato, e così via. Ma in quei casi era il principe che concedeva le libertà individuali, il loro esercizio, i limiti del loro esercizio. Il fondamento di questa Costituzione è il valore della persona umana, che precede la norma costituzionale. Non è questa Costituzione che concede e riconosce il valore della persona umana, ma è la Costituzione che riconosce un valore preesistente alla norma costituzionale. In altre parole, quando si viola la Costituzione in quanto non si rispetta la persona umana, si viola non un bene che nasce dalla Costituzione, bensì un bene che precede la norma costituzionale e che quindi va rispettato perché è più importante, viene prima della norma scritta. Stesso discorso vale per tutti gli altri diritti, come anche per i doveri, che sono riconosciuti dalla norma costituzionale, ma che precedono la norma scritta: la norma scritta li riconosce, non li crea né li attribuisce. Non so se il mio pensiero riesce ad essere sufficientemente chiaro. Ecco perché è importante questo libretto - la Costituzione ed ecco perché è nuovo, è sempre nuovo, perché riconosce valori eternamente nuovi, validi, è vero scoperti spesso a poco a poco, anche nell'esperienza pratica e nella cultura, ma aventi in sé un valore fondamentale. E questo è quello che bisogna cercare di divulgare per far comprendere la validità della Costituzione, il senso vero della Costituzione. Una delle caratteristiche che rendono valida la nostra Costituzione è il principio personalista: cioè, come dicevo, il fondamento della Costituzione è il valore della persona umana, che poi è una concezione - permettetemi di dirlo - pienamente cristiana. Se voi pensate che, in fondo, secondo la concezione cristiana, il figlio di Dio diventa uomo e si immola per gli altri uomini è perché dev'essere veramente importante la persona umana: se accade una cosa di questo genere, per chi ha la fede questo è un fatto importante! Ma il passo ulteriore di questo documento, della Costituzione, è l'anteriorità della persona rispetto alla norma che ne caratterizza la validità. L'altro principio importante è la cosiddetta sussidiarietà. Che cosa significa? E' un principio che contiene in sé altri principi importanti, perché legati al principio della persona, ossia che l'ente o l'organismo o l'associazione che viene dopo non deve mai far proprio o non deve tendere a fare ciò che ciascuno può fare da sé, per proprio conto. Mi ricordo una volta al Parlamento europeo, discutevamo della Costituzione europea, io ero relatore della Costituzione in quanto tale e c'era un personaggio molto importante, che voi certamente conoscete, Giscard d'Estaing (è stato anche presidente della Repubblica francese), che era relatore, sempre di quel testo costituzionale, sul principio della sussidiarietà. Quel principio vuol dire che non deve fare l'Europa ciò che possono fare gli Stati, così come a livello nazionale non può fare lo Stato ciò che possono fare un Comune o una Regione. Vedete come si snocciola nella realtà il principio di sussidiarietà! I francesi, come voi sapete, nella visione dell'Europa intesa come superamento della sovranità nazionale, sono stati sempre piuttosto sordi. Lui insisteva sul principio della sussidiarietà, ad un certo momento io l'ho interrotto e gli ho detto: "Presidente, guarda che il principio di sussidiarietà non lo stai inventando tu in questo momento, c'era già prima; e se c'è un bel testo da cui si può apprendere cos'è il principio di sussidiarietà è la Quadragesimo Anno (che è un'enciclica di papa Pio XI, fatta per celebrare il quarantesimo anno della Rerum Novarum), in cui il nocciolo della concezione, della visione è proprio il principio di sussidiarietà: cioè non faccia l'ente superiore quello che può fare l'ente sottostante, oppure non faccia la società quello che l'uomo può fare, da solo o in comunità con gli altri con cui convive, più strettamente, negli aggregati più vicini. Questo è importante perché attraverso questa visione in qualche modo si snocciola la difesa della libertà dell'uomo, nei vari organismi di cui egli fa parte, limitando i compiti di ciascuno. L'altro elemento è il principio democratico e su questo ci sarebbero tante cose da dire. La sovranità appartiene al popolo che non solo legittima il potere ma ne è il titolare. Nella nostra Costituzione il popolo è il titolare della sovranità popolare e la trasmette al Parlamento e solo così il Parlamento diventa l'espressione della sovranità popolare. Io non ho nessuna remora nel parlare, anche quando le argomentazioni toccano il presente e questo è uno degli argomenti di cui si discute in questo momento. Dice il primo ministro Berlusconi: "Io sono eletto dal popolo, io sono l'espressione della sovranità popolare. Dunque voi non potete limitarmi, voi del Parlamento non potete cacciarmi via". Ma tutto è poggiato su un equivoco. In Italia, il Primo ministro, anzi il Presidente del Consiglio dei ministri è nominato dal Presidente della Repubblica, il quale a sua volta è eletto dal Parlamento. Dunque, il Presidente del Consiglio viene nominato dal Presidente della Repubblica, il quale per farlo consulta le varie forze politiche e quando vede che intorno ad una persona si può formare una maggioranza designa quella persona per fare il Presidente del Consiglio dei ministri. Quando sono stato nominato Presidente del Consiglio dei ministri, allora c'era il Presidente Saragat, che fece le consultazioni, vide che intorno al mio nome c'era la maggioranza e mi dette l'incarico; se poi fece una cosa buona o cattiva, questo lo vedranno gli altri, guardando quello che io ho fatto, quello che non ho fatto o quello che ho fatto in modo sbagliato. Poi ci fu un momento in cui quelli che erano d'accordo prima non furono più d'accordo e allora dovetti dare le dimissioni al Presidente della Repubblica e un altro ebbe l'incarico per fare un Governo di minoranza, di transizione. Era sempre difficile individuare attraverso i colloqui del Presidente della Repubblica chi dovesse fare il Governo ma è accaduto - scusate se mi fermo ancora un momento su questo, poi abbrevierò su altre cose - che, dopo la caduta del Muro di Berlino e delle ideologie e quindi dopo la caduta delle grandi forze politiche, dei grandi partiti politici, si è introdotta una norma nella legge elettorale, non nella Costituzione, cui mi sono opposto allora, senza esito. Nella legge elettorale si è introdotta la facoltà per l'elettore di segnare il nome di chi avrebbe voluto come Presidente del Consiglio, ma questa è una designazione, non un'elezione, perché il potere di nomina nella Costituzione resta sempre attribuito al Capo dello Stato. Il nostro Primo ministro fa una confusione fra quella designazione della legge elettorale e il principio della nomina da parte del Capo dello Stato: questo è uno dei grandi equivoci sui quali nell'attuale situazione si avviluppa la nostra vita costituzionale! Ora, siccome forse vi ho detto troppe cose e altre ve le potete vedere da voi, naturalmente poi sarò a vostra disposizione per eventuali integrazioni, voglio esprimere solo un ultimo pensiero. Spesso si dice che la prima parte della Costituzione non è variabile, non si può cambiare; intendiamoci, tutto si può fare se ci sono le maggioranze, ma la prima parte contiene i diritti e i doveri degli uomini, che hanno valore in sé, mentre la seconda parte è il modo in cui si articola l'ordinamento dello Stato e si possono fare delle modifiche. Io dico, invece, che bisogna stare attenti: stiamoci attenti! Seguendo questo principio si possono emanare delle norme che, pur appartenendo solo alla seconda parte della Costituzione, incidono sulla prima. Vi faccio un esempio, che peraltro non riguarda l'Italia e allora lo possiamo fare più liberamente. In Francia, dopo un periodo veramente di corruzione, non in senso economico, monetario ma di cattivo funzionamento della quarta Repubblica francese, De Gaulle con la quinta Repubblica fece una rivoluzione, certo solo sostanziale perché concordata nelle forme, in quanto il Primo ministro in carica, il presidente Pflimlin (che io ho conosciuto molto bene e che è stato anche lui il Presidente del Parlamento europeo), era d'accordo a che la transizione avvenisse in modo tranquillo. Però, nonostante tutto questo, noi italiani abbiamo avuto delle grandi preoccupazioni in quel periodo, perché la Costituzione gollista (poi è stata modificata) umiliava totalmente o, meglio, privava il Parlamento dei suoi poteri, per cui non c'era più l'equilibrio dei poteri. Ad un certo momento il Presidente della Repubblica, che era anche Primo ministro, nonostante vi fosse poi un Presidente del Consiglio formale più che sostanziale, indubbiamente si sottraeva al controllo di un Parlamento sostanzialmente indebolito. Il principio di libertà poteva essere toccato modificando l'ordinamento istituzionale, così da modificare il valore dei principi sul piano costituzionale. Pensate che a quell'epoca - vi dico delle cose che normalmente non si dicono fummo tanto preoccupati di questo in Europa (allora eravamo in un'Europa piccola, sei Paesi, tre piccoli e tre grandi, Francia, Germania e Italia), che insistemmo per l'ingresso dell'Inghilterra nella stessa Europa. Alcuni di questi inguaribili pensatori, piuttosto radicali e faziosi, dicevano che noi volevamo cambiare l'Europa carolingia in una Europa democratica e per questo invitavamo l'Inghilterra. In realtà allora - e io ve lo dico perché trattavo all'epoca con La Malfa, con gli altri, e mi sono occupato sempre dell'Europa - ci siamo preoccupati di far entrare una democrazia matura, come quella dell'Inghilterra, in un'Europa nella quale c'era una Francia che a noi destava preoccupazione. Agli inglesi si possono dire tante cose, ma non si può negare che lì la democrazia funziona; magari possono anche decidere delle cose sbagliate ma le decidono secondo il metodo giusto, corretto; c'è l'alternanza della maggioranza e della minoranza in Parlamento, anche se adesso comincia anche lì ad esserci il pluripartitismo e non più soltanto due partiti. Dicevo che noi cercammo di forzare la trattativa con l'Inghilterra - e io fui negoziatore di questo tentativo - perché quel Paese entrasse in Europa proprio per le preoccupazioni che destava la Francia, che poi per la verità a sua volta ha modificato alcune di queste norme; nell'ordinamento francese ne sono rimaste alcune che possono creare qualche difficoltà, ma non c'è più oggi una visione come quella gollista, perché De Gaulle aggiungeva la sua autorità personale a norme che potevano essere facilmente inclini a far fallire chi avesse una grossa concezione di sé e volesse imporre la sua volontà sugli altri. Mi fermo qui. Non so quanto tempo ho parlato ma sulla Carta costituzionale ci sono talmente tante riflessioni da fare che non potevo e non potrei narrarvi tutto; del resto, al di là del tempo che richiederebbe, che cosa vi resterebbe se facessi un'esposizione sull'intera struttura della Costituzione? Ho cercato di darvi alcuni input per interpretare la visione della nostra Costituzione e derivarne soprattutto un principio: la nostra Costituzione è moderna e valida, nonostante i suoi più che sessant'anni, e dobbiamo essere attenti contro i facili ideatori di modifiche costituzionali. Io ho qui, tra le mie carte, il testo di una mia dichiarazione di voto fatta al Senato quando fu approvata quella riforma costituzionale che poi, per fortuna, attraverso il referendum è stata bocciata. Era una dichiarazione contraria perché la riforma conteneva alcuni grossi attentati alla visione organica della Costituzione che io vi ho esposto. Ho voluto esporvi alcuni principi fondamentali e non tutti, per sensibilizzarvi sull'attenzione che bisogna porre tutte le volte che qualche giurista o qualcuno che si improvvisa costituzionalista e vuole apportare modifiche alla Costituzione. Attenti, perché qui c'è un tutto che si tiene in una visione organica, a difesa di alcuni valori fondamentali che rappresentano la ricchezza della nostra Costituzione! Vi ringrazio. (Vivi applausi). FEDELI. Ringrazio vivamente il presidente Colombo per la sua introduzione ai lavori di oggi così partecipata. Se avete qualche domanda, il Presidente ha ancora un po' di tempo. Prego. DOMANDA. Buongiorno, volevo chiedere innanzi tutto come si svolgevano i lavori della Costituente, se in maniera analoga a come si svolgono oggi alla Camera, e poi chi sono stati gli uomini che, secondo lei, più hanno contribuito alla redazione della nostra Costituzione. COLOMBO. Si possono distinguere tre gruppi e si può fare una suddivisione verticale e orizzontale. Vediamo prima quella orizzontale. Orizzontalmente, c'era la vecchia classe post-risorgimentale, gli epigoni del Risorgimento, che sono quei nomi - ma non solo quelli - che ho già richiamato: Vittorio Emanuele Orlando, Francesco Saverio Nitti, Porzio, e così via. Questi appartenevano a coloro che poi erano rimasti antifascisti durante il periodo fascista. Certo, anziano era anche Pertini, anziano era anche Nenni, ma non si può anche dire che essi appartenessero alla classe postrisorgimentale, essi erano giunti in una fase successiva, quando erano apparsi sulla scena politica in modo influente i partiti. Poi vi erano le forze di una fascia intermedia, che appartenevano a tutte quelle forze politiche che immediatamente prima del fascismo, anzi nei primi anni del Novecento avevano avuto una grossa presenza, che però non ancora avevano espresso tutte le loro personalità; ora è difficile ricordarsi tutti i nomi. Infine, vi era una classe di giovani, tra i quali possiamo considerare pure La Pira, nonostante che qualche anno in più l'avesse, Dossetti, Taviani, Segni, che non era giovane, era anziano, apparteneva alla fascia intermedia come età ma aveva una visione avanzata della vita sociale e mi volle affianco quando si fece la riforma agraria. Vi erano molti giovani, per esempio tra i comunisti mi ricordo Pajetta; tra quelli che noi chiamavamo allora neofascisti Almirante, che però non c'era nella Costituente, venne subito dopo, era una persona molto intelligente, molto capace, ma non era alla Costituente. Dei comunisti ricordo anche Laconi, un giovane sardo, molto capace, molto intelligente, e poi vi era il gruppo dei cattolici, La Pira, Dossetti, Fanfani ed altri. Io ero fra questi ultimi, il più giovane tra tutti loro e per questo mi permetto il lusso di parlare a voi pur essendo passati più di sessant'anni dalla Costituzione. Mi devo scusare perché, per chi ha raggiunto una certa età, il pericolo maggiore è quello dei nomi, si possono sempre fare degli errori, capite, e quindi bisogna sempre stare attenti a non impegnarsi in questo senso. Se avessi avuto un elenco avrei potuto dare una risposta molto più precisa alla sua domanda. DOMANDA. Buongiorno, sono dell'Istituto nautico di Ischia... COLOMBO. Ischia? Io sono molto affezionato a quell'isola. DOMANDA. Lo so, ricordo quando lei veniva in vacanza a Ischia, io ero piccola. Volevo chiederle: c'erano donne nell'Assemblea costituente? COLOMBO. Sì, c'erano delle signore, delle donne molto capaci. Posso ricordare tra i comunisti la Iotti, tra i democristiani ce n'era un'altra, che era una segretaria di un gruppo parlamentare, molto brava, era trentina; nei socialisti c'era una bella signora bionda di cui in questo momento non ricordo il nome; un'altra, comunista, era stata sindaco di Pisa o di Livorno. C'era, in ogni caso, una cospicua rappresentanza, anche se non tanta quanta ce n'è ora. DOMANDA. Buongiorno Pesidente. Io ho l'immenso piacere di salutarla qui anche come collega, più anziano di me, perché ho fatto parte della Camera dei deputati ed è per me un immenso onore incontrarla. Ora rappresento l'Istituto "Marie Curie" per periti aziendali nel Comune di Verona. Vorrei approfittare della sua presenza perché, a volte, noi abbiamo discusso della mancanza di un riferimento esplicito a Dio nella Costituzione. Alcune Costituzioni, come quella americana, hanno questo espresso riferimento. La mia domanda allora è questa: voi discuteste di questo riferimento? Come anche, nella Comunità europea, discuteste dell'inserimento della croce cristiana nella bandiera? Mi sembra che inizialmente ci sia stato questo tentativo; poi la decisione fu frutto di un compromesso, tra virgolette, intelligente, di un compromesso politico? COLOMBO. Le dirò come andarono le cose. Di questo non solo discusse, ma si lottò, si lottò in un ambiente in cui c'erano i riflessi o i residui di quelle posizioni anticlericali e laiciste radicali che avevano caratterizzato anche l'Italia dell'Ottocento e dei primi del Novecento, ed erano posizioni molto dure sotto questo profilo. Quindi, su questi temi lo scontro fu acceso. Il grande capolavoro di De Gasperi, nella vita italiana, è stato quello di mantenere insieme e di governare il Paese con una grande forza, quale la Democrazia cristiana, insieme con delle forze laiche come i repubblicani, i socialdemocratici e i liberali. Poi c'erano posizioni diverse, sotto questi profili, per esempio tra quelli che avevano posizioni radicali c'erano persone adesso non dico i nomi - che hanno rifiutato i funerali religiosi. Queste tendenze, quindi, si riflettevano nell'Assemblea costituente e di questi temi se ne parlò e si vide che potevano nascere delle spaccature. Secondo il mio ricordo, quando si cominciò la discussione del primo articolo, l'onorevole La Pira, che poi era molto ben voluto da tutti per il suo carattere, fece una proposta di inserire un richiamo, non ricordo se proprio "In nome di Dio....", ecc., così come c'era nello Statuto Albertino. La proposta non fu un emendamento formalizzato ufficialmente dai democratici cristiani, proprio per evitare che si avesse una spaccatura di carattere politico su questo punto, ma era stata presentata da un personaggio rispettato e autorevole in modo che, se ci fossero stati consensi, potevano venire da tutte le parti. In realtà, contrariamente a questa speranza, si ebbero dei contrasti notevoli. Ricordo un socialista, l'onorevole Giua, persona molto perbene come carattere, come visione, onesta nel seguire le sue idee, che non erano certo le mie, il quale fece un discorso che impressionò molto l'Assemblea, in quanto disse: "Caro La Pira, io non sono credente, non credo in Dio, lo cerco, ma non l'ho ancora trovato. Perché tu vuoi, in questa sede, farmi votare per Dio o contro Dio?" In realtà, questo ragionamento colpì in fondo l'Assemblea, questo è il mio ricordo, e allora la proposta di La Pira venne fatta cadere per non dividerci su di un fatto, diciamo, di così alta portata. La domanda sulla questione europea l'ho capita molto meno. Io ho partecipato molto alla redazione della Costituzione europea, lì ha influito in misura rilevante l'eredità dell'illuminismo francese e soprattutto della classe politica francese. In realtà, a mio avviso, la cosa è più semplice: non è che si debba richiedere di credere o non credere, ma di prendere atto che la civiltà europea, se la si esamina criticamente, per come si caratterizza, in realtà ha le sue fondamenta e le sue radici nella visione cristiana. Certo, poi ci sono quelli che si sono dimenticati, che si sono messi contro, ma storicamente si rifletta sul ruolo di san Benedetto, con il suo "ora et labora" che tanto ha inciso sulla civilizzazione europea, di San Francesco, di Santa Chiara, di tutti i Santi che vanno al di là di una visione cristiana in senso ristretto, ma investono i principi fondamentali della vita umana; essi sono una realtà ed essendo una realtà cosa impedisce di riconoscere questa realtà? Non è mica tanto da fare un atto di fede, quanto di riconoscere ciò che storicamente è valido. Ma questo ragionamento, che così pare semplice, invece non è stato accolto e secondo me è stato un deficit nella nostra storia costituzionale europea. DOMANDA. Volevo ringraziare i costituzionalisti perché hanno scritto un articolo molto chiaro, cioè hanno abolito la pena di morte, e noi per fortuna non siamo oggi costretti a metterla in pratica. Ve lo dico anche perché mi capita spesso di sentire i ragazzi, i nostri giovani, che sono istintivamente giustizialisti, esprimersi positivamente anche rispetto all'adozione della pensa di morte. Quindi che ci sia questo limite per me è veramente un grandissimo risultato. Come domanda, avrei da chiedere solo una cosa. Come mai non avete chiarito molto bene la portata della norma di cui si parla nell'articolo 33, secondo la quale: «Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato»? Questo articolo oggi ci sta creando qualche problema. Lei cosa ne pensa? FEDELI. Se qualcuno vuole fare ancora un'ultima domanda... DOMANDA. Buongiorno, io ho colto con straordinario interesse la sua relazione e volevo soffermarmi su questo. Ieri si parlava della differenza, dello iato che esiste tra la norma e la sua applicazione. Ecco, personalmente nel mio lavoro (io vengo da Vicenza e insegno in un liceo classico) non avverto oggi per la Costituzione la fatica di trasmettere o, perlomeno, una resistenza da parte degli studenti quando si mette in evidenza questa discrasia tra la norma e l'applicazione che essa riceve nell'ambito delle pratiche sociali, perché da sempre i limiti della norma non inficiano i valori e i principi della norma stessa. La difficoltà invece che avverto e che mi è risuonata oggi, nel corso della sua relazione, è quella di percepire il testo costituzionale come un elemento, anzi l'elemento fondamentale su cui avviene un riconoscimento dell'unità nazionale. Lei prima, quando parlava della Resistenza, ha detto - e lo ha sottolineato a più riprese - che essa è nata non solo dall'antifascismo ma anche dal costituzionalismo, che è la temperie culturale di quegli anni e che infatti dà poi vita alla Dichiarazione universale. A me invece tornava in mente come nella Resistenza, perlomeno quella che conosco io dalle mie parti, che sono l'altopiano di Asiago, Vicenza, nella resistenza di Giustizia e libertà ma soprattutto in quella del movimento cattolico, quindi non necessariamente la resistenza armata, era molto forte l'idea di unità nazionale. E allora mi chiedo che cosa ne pensa lei, perché veramente nella mia pratica quotidiana di insegnante l'elemento che più mi è difficile da trasmettere - ma probabilmente, anzi sicuramente, per un limite mio - è quello di un testo su cui si riconosce un'intera Nazione. Nel momento in cui fu redatta la Costituzione, probabilmente c'era una forza di appartenenza nazionale talmente elevata da consentire ai Padri costituenti di superare anche le difficoltà che venivano dagli articoli che riguardavano, in qualche modo, la fede religiosa, l'appartenenza al cristianesimo; ma io oggi avverto che questo elemento di unità, non dico che sia venuto meno, ma sicuramente si è molto ridimensionato. COLOMBO. Rispondo al primo quesito. Questo problema del finanziamento della scuola privata è stato uno dei grandi temi che hanno, in fondo, diviso l'Assemblea costituente. Ricordo che chi fece un emendamento che voleva essere un po' compromissorio e trovare la via d'uscita fu l'onorevole Corbino, un uomo siciliano, intelligente, liberale. La soluzione - o la non soluzione - di questa faccenda appartiene a quella visione radicale anticattolica di cui parlavo prima, poiché la scuola privata era prevalentemente nelle mani degli ordini religiosi e quindi finanziarla avrebbe significato finanziare gli ordini religiosi. Per questo la norma, che consente anche di fare alcune cose ma sempre con dei limiti, non è chiara. A me pare che lei avrebbe sperato che fosse più chiara e non lo è perché è un tema sul quale c'è stata una grande controversia, direi più che su altri temi molto più importanti. Sulla seconda questione vorrei essere molto chiaro. Forse io nella mia esposizione ho dato un'impressione parziale e colgo la sensibilità espressa dalla signora; ma ho detto che il fondamento è l'antifascismo ma non è solo l'antifascismo, è la Resistenza ma non è solo Resistenza. Insomma, non volevo sottovalutare nessuna di queste cose, intendiamoci bene, perché guai se noi negassimo che dietro la nostra Costituzione, quella di un Paese libero e democratico, non vi sia, come fondamento, per esempio, l'antifascismo. Anch'io, da ragazzo, l'ho vissuto nella scuola e mi ricordo che i figli dei padri fascisti a noi ci chiamavano PP, cioè Partito popolare; e allora noi non sapevamo ancora bene cos'era stata l'esperienza del Partito popolare. Il mio modo di esporre può aver dato questa impressione ma in realtà io non nego nessuno di questi valori come fondamento della Costituzione e quindi anche quello della Resistenza; ho voluto però anche ampliare l'orizzonte e dire che, oltre ai fondamenti di carattere nazionale, vi è un fondamento più ampio, che è quello del costituzionalismo universale che ha caratterizzato la fase del dopoguerra mondiale. Non so se la mia risposta è esatta e se ho soddisfatto l'interpellante. FEDELI. Presidente, a nome di tutti, anche dei colleghi della Camera e del Ministero, la ringraziamo sentitamente per questa sua relazione così partecipata e per avere risposto alle domande, ma soprattutto per averci portato in questa sede la sua autorevole testimonianza civile. (Generali applausi). COLOMBO. Grazie a tutti voi.