"DALLE AULE PARLAMENTARI ALLE AULE DI SCUOLA. LEZIONI DI COSTITUZIONE" Anno scolastico 2011-2012 GIORNATE DI FORMAZIONE DEI DOCENTI INCONTRO CON IL SENATORE A VITA EMILIO COLOMBO IOLANDA CARDARELLI. Buongiorno senatore, la ringrazio molto di essere intervenuto e le cedo subito la parola. EMILIO COLOMBO. Io devo scusarmi molto. Lungo la linea che caratterizza la nostra vita c'è una fase ascendente, lungo la quale aumenta la nostra esperienza, la nostra conoscenza delle cose, la nostra profondità di introspezione e direi in qualche modo la nostra lucidità, e poi c'è una fase discendente, che è quella che segue la curva degli anni. I miei di anni sono tanti, si vede dall'esterno il peso dell'età, tra qualche mese compirò 92 anni... (Applausi). Ho diritto a dirlo non solo per avere un applauso, ma anche per essere compreso se, come stamattina, non solo non rispetto la puntualità degli impegni ma non soddisferò completamente le vostre attese. Vi dirò che stavo per telefonare per annunciare che non sarei venuto, perché ho un po' di raffreddore, forse qualche piccolo accenno di alterazione febbrile, ma poi non l'ho fatto perché è uno scherzo che non si fa, quello di dire "non vengo" all'ultimo momento, lasciando le assemblee senza alternative. Utilizzerò alcuni appunti che avevo preparato in occasione della celebrazione del sessantesimo anniversario della Costituzione, un po' diversamente quindi dall'intervento che ho fatto nel precedente incontro con le scuole di questa iniziativa, modificando il modo di presentare la Costituzione. Vi faccio una piccola introduzione, diciamo così, ambientale. Immaginate la grande Aula di Montecitorio che conoscete, perché la vedete in televisione; immaginatela riaperta per la prima volta dopo la parentesi della Camera dei fasci e delle corporazioni, che era il tentativo del fascismo di dare una rappresentatività al popolo, ma realizzata attraverso i criteri del corporativismo. Dunque, un'Aula che aveva ospitato questa esperienza e che poi aveva assistito al declino del Parlamento, del parlamentarismo e quindi dei principi della libertà, quel giorno accolse i parlamentari eletti il 2 giugno del 1946, lo stesso giorno in cui l'Italia votò per la Repubblica e scelse i Costituenti, cioè coloro che avrebbero dovuto formulare la nuova Costituzione. Ebbene, fra questi c'ero anch'io, mi potete considerare come mi ha definito un giornalista qualche mese addietro, quando mi sono alzato a parlare in Senato, bontà loro i Senatori hanno cessato di farfugliare tra di loro nell'emiciclo e si è fatto un certo silenzio. Il giornalista ha scritto: "Ma guarda, si alza un reperto archeologico!" e così mi potete considerare. Ma io allora ero giovane, avevo compiuto da tre mesi 26 anni, l'età necessaria per poter entrare nella Costituente e in Parlamento. E quell'Assemblea era molto variegata per composizione, prima di tutto per gli uomini, per alcuni uomini. Come dissi l'anno scorso ai vostri colleghi che vennero qui per un incontro di questo stesso tipo, i commessi più anziani, che erano anche i più esperti, conoscevano gli uomini e le cose, si avvicinavano ai più giovani, come ero io, per indicarci chi erano i "vecchi". "Vede, quello è Benedetto Croce!", anche lui era membro dell'Assemblea Costituente. "Quell'altro è Vittorio Emanuele Orlando!" Come ricorderò qui nella mia esposizione, Vittorio Emanuele Orlando aprì i lavori della Costituente, essendo il membro considerato più anziano, era il cosiddetto "Presidente della Vittoria", cioè era Presidente del Consiglio quando si vinse l'ultima Guerra d'Indipendenza e si riconquistarono i territori del Trentino e della Venezia Giulia e di cui però si ricordano piuttosto le lacrime, il pianto, per non aver visto completamente soddisfatto il sacrificio degli italiani con altrettante concessioni al tavolo della pace. Ma c'era anche De Gasperi, che fu poi il Presidente a cui toccò di firmare il Trattato di pace. C'è un video che hanno trasmesso in questi giorni, mi è capitato di vederlo due o tre volte, sulla storia della Democrazia Cristiana, dove un De Gasperi molto polemico, pare, dice che la firma di quel Trattato sarà ricordata dagli italiani per i sacrifici imposti a causa della nostra sconfitta. Nell'ultima guerra noi fummo degli sconfitti; avemmo un armistizio che fu sottoscritto da Badoglio ma che, in realtà, non era nient'altro che la manifestazione giuridica esterna e diplomatica della nostra sconfitta militare, che aveva poi portato il Sud Italia ad avere un Governo sostanzialmente gestito dal Luogotenente e nell'Italia del Nord e a Roma l'occupazione tedesca. E De Gasperi in quel video dice: "Noi pagheremo, pagheremo, dobbiamo pagare, sentiremo sulle nostre carni l'esito di questa sconfitta!". Vengo ora al tema. L'Assemblea Costituente, di cui vi stavo parlando, nasce in un'Italia non solo sconfitta in termini militari e con un Trattato di pace che è quello che vi ho detto, ma con la distruzione fisica delle sue città, delle sue strade, delle sue infrastrutture, e anche provata moralmente. Noi tornavamo allora dai teatri di guerra, io stesso tornavo dal Nord, uscito dalla scuola ufficiali ero andato a prestare il primo servizio da ufficiale al Nord quando venne l'armistizio, l'8 settembre del 1943. E poi, siccome sentimmo che il piede dell'esercito tedesco stava per gravare sulle sorti delle popolazioni italiane, specialmente nella parte del Nord, cercammo di raggiungere le nostre famiglie ma non riuscimmo, io dovetti fermarmi a Roma dove restai a lungo, tutto il periodo dell'occupazione tedesca. Questa è l'atmosfera nella quale nasce questa grande Assemblea! Vi ho parlato di Vittorio Emanuele Orlando, di Alcide De Gasperi, ma io lo conoscevo già. E continuavano: "Vedi, quello è Togliatti, quello è Nenni, quello è Vittorio Emanuele Orlando, quello è Terracini!" e poi c'erano i più giovani: Fanfani, Rossetti, un comunista molto intelligente, Laconi, che si rivelò molto bravo durante la fase della redazione della Costituzione. Insomma, era un'Assemblea nella quale ci si sposavano insieme il passato e il presente o anche le speranze per il futuro. Questo avveniva il 25 giugno del 1946, quando si ebbe la prima seduta della Costituente. La Costituzione fu approvata da quell'Assemblea con una maggioranza di 453 su 515 presenti e fu promulgata il 27 dicembre del 1947, quindi un anno e mezzo dopo l'inizio dell'Assemblea Costituente, con le firme di De Nicola, Terracini e De Gasperi, ed entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Enrico De Nicola era un altro dei grandi dell'Assemblea Costituente, finissimo giurista napoletano, molto attento al rispetto del protocollo e delle precedenze nelle alte cariche dello Stato, qualche volta provocava delle crisi, si andava a sedere all'ultimo posto per poter essere poi ad un certo momento riconosciuto e richiamato per ovazione al primo, ma era una piccola debolezza, un cervello molto fine, un giurista napoletano di grande rilievo. La Costituzione portava le firme di De Nicola come Capo dello Stato provvisorio, di Umberto Terracini come Presidente dell'Assemblea Costituente e di Alcide De Gasperi come Presidente del Consiglio dei ministri allora in carica. I lavori dell'Assemblea costituente, ho detto prima, furono aperti da Vittorio Emanuele Orlando, come più anziano degli eletti, il quale nel suo saluto accennò al fatto di rappresentare tutto il passato di una storia che non si è chiusa, come disse allora Vittorio Emanuele Orlando. E qui vorrei spendere qualche parola, qualche considerazione, sul retroterra storico del costituzionalismo contemporaneo e di quello italiano. In una prima fase, i principi del costituzionalismo si sono sviluppati in chiave di storie nazionali, di lotte per l'indipendenza e di guerre tra Stati. L'ultima Guerra mondiale tra nazioni, o per le nazioni, valse a dissolvere i due grandi imperi multinazionali presenti all'epoca in Europa. La seconda Guerra mondiale segnò invece il confronto finale fra le democrazie, cioè fra i regimi che si rifacevano ai principi del costituzionalismo nato alla fine del Settecento e i regimi autoritari che rifiutavano i fondamenti storici e pratici del costituzionalismo; e tra questi naturalmente parliamo soprattutto della Germania, con tutto quello che significa, non solo come negazione del Parlamento, ma per le rovine morali e pratiche della Shoah. L'esito del conflitto segnò la storia dei principi del costituzionalismo come principi universali. Nel 1945 nacque l'ONU e nel dicembre del '48 venne approvata la Dichiarazione universale dei diritti; ed è a questo costituzionalismo universale, rinato in quella fase, che si rifà la nostra Costituzione. C'è una bella pagina di Giuseppe Dossetti, uno dei costituenti più intelligenti, morto da una decina di anni, entrato come professore di diritto ecclesiastico, molto fine, molto intelligente, poi però allontanatosi dalla politica e datosi all'ascesi, perché si fece monaco, pur conservando però sempre una lucidità critica nella riflessione sui problemi. E riflettendo sulle radici più profonde della Costituzione, egli polemizzò contro quanti pensavano che la Costituzione fosse - sono le sue parole - "un fiore pungente nato quasi per caso da un arido terreno di sbandamenti postbellici e da un risentimento di faziosi rivolti al passato (...) o da una ideologia antifascista di fatto coltivata da certe minoranze (...) o da un richiamo alla Resistenza con cui l'Italia può avere ritrovato il suo onore". Egli sosteneva che la Costituzione è stata ispirata da un grande patto globale in sei anni della Seconda Guerra mondiale, un evento enorme, nata da questo crogiolo ardente ed universale più che dalla vicenda italiana del fascismo e del post-fascismo, che pure aveva il suo valore, intendiamoci bene. Così si esprimeva in un discorso fatto a Monteveglio, in provincia di Bologna, il 16 settembre 1994. Certamente Dossetti non intendeva espungere dalle radici delle ispirazioni costituzionali sentimenti, culture e valori coltivati nella lotta di liberazione, che pure sono validi per capire la Costituzione italiana; tuttavia suggeriva di recuperare il senso universale dei principi che sono a fondamento della nostra Costituzione, affinché le sue radici non fossero di carattere nazionale o legate ad un periodo storico ristretto, pure importante; certamente il fascismo, l'antifascismo, la lotta di liberazione sono pagine importanti della storia del nostro Paese ma sempre, in qualche modo, soltanto nazionali e non aperte ad una visione di carattere più ampio, internazionale, epocale. Quindi egli suggeriva - e io condivido questa tesi - come recuperare il senso universale e non caduco, ma permanente, di una Carta che non a caso si iscrive nella vicenda del costituzionalismo contemporaneo, le cui radici religiose e umanistiche si legano alle grandi visioni spirituali del mondo e dell'umanità. Fu in questo quadro che, fondamentalmente, agì la dialettica politica dell'Assemblea Costituente; un quadro di valori e di procedure nel quale fu possibile, a seguito dei confronti serrati e di altissimo profilo, realizzare un accordo fra parti diverse: e quanto diverse erano le parti rappresentate in quest'Assemblea che abbiamo visto! Il Patto - e qui rispondo ad una domanda che si solito si fa sulla nostra Costituzione, per capire se abbiamo fatto una transazione, un compromesso - fu costruito sui punti più alti della elaborazione delle parti politiche. Si trattò certo di un compromesso, il cui valore divenne elemento di forza perché fondò i valori di convivenza e di coesione di una comunità civile, ma si trattò piuttosto di una sintesi alta e ciò fu possibile perché la Costituzione finì col trascendere i singoli punti di vista e gli esponenti degli schieramenti dichiararono di riconoscersi in essa indipendentemente dalla loro collocazione politica. Questo è in fondo il miracolo intellettuale, culturale e giuridico che è stato alla base della Costituzione. Vogliamo chiederci poi quali sono i valori della Carta nella loro derivazione dalle correnti culturali ed ideali presenti nella storia italiana? Innanzitutto il principio personalista; vorrei che questo restasse come un elemento fondamentale di questa nostra conversazione. La nostra è una concezione basata sul principio personalista, cioè sull'uomo definito come persona. E qui si richiama la cultura più recente fra i cattolici, specialmente Jacques Maritain e Emmanuel Mounier, dove l'uomo è definito come persona con le sue proiezioni: una proiezione verticale, per chi arriva a proiettarla fino a Dio, ed una orizzontale, con i rapporti con gli altri, in cui entrano tutte le istituzioni e le associazioni in cui la persona umana realizza se stessa e i suoi valori, a cominciare dalla famiglia, il sindacato, il partito politico e sul piano giuridico i Comuni, le Province, e via dicendo. La persona è al centro e le proiezioni della persona nella vita sociale sono l'altro elemento che in nome della persona devono essere riconosciuti nella Carta costituzionale. L'altro principio che sta alla base della Costituzione è il principio di sussidiarietà, di cui si parla normalmente ma non se ne capisce fino in fondo il significato. Cosa vuol dire questo principio di sussidiarietà? Che nessun organismo, nessun ente più elevato può fare o deve fare ciò che il più piccolo può fare da sé, cioè quello che l'uomo, l'individuo, può fare da sé è meglio che lo faccia da sé e non che lo faccia un ente superiore. Su questo principio di sussidiarietà poi si è molto discusso a proposito non della Costituzione italiana, ma della Costituzione europea. Io mi ricordo che al Parlamento europeo fummo incaricati di redigere la Costituzione europea e ad un certo momento io avevo la delega generale, ma c'era un personaggio francese di grande rilievo, Giscard d'Estaing, che poi era stato Presidente della Repubblica oltralpe, che si fece attribuire il compito di redigere la relazione sul principio di sussidiarietà nelle istituzioni europee. Naturalmente la visione di Giscard d'Estaing, che era francese, era quella proprio di mantenere limitata ogni proiezione di aggregazione di potere verso l'alto, cioè rendere meno stringente il vincolo europeo. Io dall'altra parte avevo invece l'altra visione, la nostra visione originaria europeista, che era quella di partire dalla Comunità economica europea per giungere all'Unione europea politica, che non siamo riusciti ancora a realizzare e ne stiamo vedendo in questi giorni le conseguenze pratiche. Ad un certo momento mi ricordo che dissi a Giscard d'Estaing che la tesi o il problema che lui stava discutendo era già risolto in un grande testo, l'Enciclica "Quadragesimo Anno" di Pio XI, scritta per commemorare il cinquantesimo della "Rerum Novarum" e dove è descritto il principio di sussidiarietà; e glielo ricordavo perché egli non negasse il valore e il senso delle entità superiori alla persona, come l'Unione europea. Però, insomma, il principio personalista è il principio che sta alla base della nostra Costituzione. Le garanzie costituzionali dei diritti civili, sociali, economici e politici è concepita però in termini dinamici, sicché allo Stato compete di - sono parole della Costituzione - "rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che possono incidere sulla libertà, sull'eguaglianza e sulla effettiva partecipazione di tutti ai vari livelli della vita del Paese". Dunque, abbiamo parlato di principio personalista, di principio di sussidiarietà e ora del principio democratico. Quindi bisogna attenti, perché se n'è discusso molto in questi mesi scorsi durante l'esperienza politica che è appena terminata (non voglio suscitare polemiche con questo mio discorso). Il terzo principio è dunque il principio democratico; la sovranità appartiene al popolo, che non solo legittima il potere ma ne è l'effettivo titolare e il popolo esercita questa sovranità nel quadro e sulla base dei principi fissati nella Costituzione. Tanto per fare il contrario di quello che ho detto un minuto fa, ossia che non voglio suscitare polemiche, sottolineo che questo tema è stato discusso molto in questo periodo. Berlusconi dice: ma io sono stato investito dalla sovranità popolare e quindi devo gestire pienamente il mandato del popolo; ma attenzione, calma, la nostra è una Repubblica parlamentare, la sovranità risiede nel popolo, presso il popolo, ed è esercitata dagli eletti dal popolo, in Parlamento. Purtroppo, recentemente, negli anni scorsi, quando si è rifatta la legge elettorale è stato inserito un elemento che - mi ricordo che mi opposi allora - secondo cui nel voto per la elezione del Parlamento si poteva segnare una certa preferenza ai fini della gestione del potere di Governo; un nome che era come una indicazione, ma su questo è nato l'equivoco. Cos'è una indicazione che elimina il potere del Presidente della Repubblica di designare, sulla base delle consultazioni politiche, la persona che può costituire il Governo? Oppure, invece, è soltanto una indicazione per orientare la persona verso la quale ci sarebbe maggiore consenso? C'è stata l'interpretazione di questa indicazione quando una decina di anni fa è stata inserita questa norma nella legge elettorale - quelli che non sono più giovani giovani se lo ricorderanno - secondo cui l'indicazione della persona per la Presidenza del Consiglio sopprime, elimina il potere proprio del Presidente della Repubblica di designare il Presidente del Consiglio in relazione alle consultazioni politiche. E invece, certo, in qualche modo lo limita, ma non lo elimina, perché il parere del Presidente della Repubblica deve formarsi, oltre che sulla base della indicazione di cui parla la legge elettorale e delle elezioni politiche, anche attraverso un giudizio di opportunità ed una consultazione delle parti politiche, come avviene al Quirinale tutte le volte che ci si accinge a formare un nuovo Governo. Altrimenti - e questo è il passaggio importante - la nostra da Repubblica parlamentare si trasformerebbe in Repubblica presidenziale, che è un'altra cosa, è diversa. Allora si avrebbe l'elezione del più alto rappresentante di una Repubblica che, però, assomma in sé anche una parte notevole del potere esecutivo, come accade nella Repubblica francese. Ma io ricordo che quando De Gaulle fece questa trasformazione della Repubblica in Francia - ed aveva ragione a farlo perché il parlamentarismo lì in quel periodo era degenerato - noi tutti che eravamo scottati dall'esperienza fascista avemmo paura che però il gaullismo potesse aprire la strada ad una forma di fascismo. Guardate che a quell'epoca noi democristiani, ma anche i repubblicani, soprattutto La Malfa, eravamo preoccupati di questo, tant'è vero che iniziammo le trattative per l'ingresso dell'Inghilterra nella Comunità europea proprio per il timore che suscitava la presenza nell'Europa di una Francia gaullista e presidenzialista, ma con un odore - a noi sembrava allora, era la prima esperienza - di radici fasciste, quindi proprio per poter avere nella Comunità economica europea una grande nazione democratica, come l'Inghilterra, che salvaguardasse il principio fondamentale della democrazia. Poi, come sempre, non si indovina completamente nelle cose e, una volta avuta l'Inghilterra, abbiamo avuto attraverso questo Paese anche un freno alla piena attuazione della visione europea come l'avevamo noi e ne stiamo pagando adesso le conseguenze. È bene che il primo ministro Mario Monti sia andato a Strasburgo e si sia seduto, finalmente, dopo una decina anni di esclusione, insieme alla Merkel e Sarkozy, è bene che sia finita questa diarchia e sia ricominciata quella che è stata la tradizione dei rapporti in Europa. Io stesso sono stato partecipe di tutto questo. Noi Italia avevamo sempre un rapporto particolare con la Germania proprio per poter fermare in qualche modo la tendenza della Francia a stabilire un rapporto speciale con la Germania ed eliminare gli altri, per creare una diarchia nell'ambito della Comunità economica europea. Dunque vi ho detto questo per dire il significato e il senso del principio democratico, cioè la sovranità risiede presso il popolo e viene esercitata secondo i principi della Costituzione. Quindi la nostra è una Repubblica non presidenziale, ma è una Repubblica parlamentare, dove la sovranità risiede nel popolo e viene esercitata attraverso gli eletti del popolo che sono in Parlamento. Infine, c'è un altro principio. Ricordate, personalista, di sussidiarietà, democratico, ora l'altro principio è quello pluralista, che implica il superamento della concezione individualista del liberalismo classico. Ve l'ho già accennato precedentemente: la persona, ogni persona, ciascuno di noi è al centro di una molteplicità di relazioni che danno vita ad organizzazioni autonome dallo Stato. L'universo personale così come viene espresso nel pensiero francese - ho citato prima Maritain e Mounier - è un universo nel quale individuo e legame sociale concorrono a definire la ricchezza e il valore delle persone. Guardate che all'epoca in cui discutevamo della Costituzione in Italia non tutti nel mondo cattolico accettavano la dottrina maritainiana; la Democrazia Cristiana era il partito più grosso all'interno della Costituente, ma non tutti nel mondo cattolico la accettavano, anzi alcuni la consideravano eretica. Colui che poi sarebbe diventato Paolo VI - che era un po' un punto di riferimento per tutti noi più giovani della Federazione Universitaria Cattolica Italiana, la FUCI, o dell'Azione cattolica o i laureati cattolici - in fondo era un seguace di questi principi dei grandi cattolici francesi di cui vi ho detto, Maritain e Mounier. Questi principi sono in fondo presenti nella nostra Costituzione. Pluralismo sociale e pluralismo istituzionale sono complementari, nel senso che lo svolgimento della persona trova nel complesso delle sue relazioni, in una Repubblica unitaria ma strutturata su una pluralità di centri dotati di autonomia politica, i luoghi nei quali realizzarsi. Forse è un po' difficile il modo in cui mi sono espresso, ma in realtà vuol dire che nell'ambito della Costituzione, sulla base del valore personalista, del valore della persona come soggetto a cui si fa riferimento nel fondamento dei rapporti costituzionali, devono essere garantite le formazioni sociali, come ho detto prima, in cui la persona si realizza, si esprime, realizza se stessa. Poi la Costituzione ha anche un impianto regionalista e qui devo fare una precisazione, che certamente mi creerebbe delle immediate polemiche se fossero presenti dei rappresentanti della Lega. Una concezione regionalista, non federalista, poiché si è posta nell'ottica di realizzare un'architettura che tenesse dentro l'unità statuale una ricca articolazione democratica, ma appunto all'interno dell'unità statuale. L'unità statuale è il presupposto nell'ambito del quale si articolano queste realtà, non la tendenza alla secessione, ma la tendenza alla convergenza verso l'unità. C'è stato un parlamentare di cui per fortuna, finalmente, è stata scritta una bella biografia in questi ultimi mesi, io ho anche presentato questo volume in una occasione di carattere culturale. L'onorevole Attilio Piccioni apparteneva ad una famiglia di persone intelligenti, era il padre di Leone Piccioni, quello della televisione; una famiglia intelligentissima: uno era deputato, l'altro era direttore didattico di Pistoia e l'altro vescovo di Livorno. Ogni volta che parlavano facevano un graffio, in realtà, per la capacità di sintesi e la forza della convinzione. E questo Piccioni mantenne tutta la discussione sul regionalismo, perché alla Costituente a sostenere le Regioni e l'autonomia regionale furono soltanto la Democrazia Cristiana e il Partito Repubblicano, che costituirono la maggioranza, per il resto erano un po' in qualche modo assenti dalla discussione o addirittura contrari. Ricordo una volta, durante la discussione per la fiducia ad un Governo De Gasperi, uno dei primi Governi senza comunisti, quando De Gasperi dovette escluderli e fece i Governi come poteva, con il sostegno della Democrazia Cristiana e di alcune forze democratiche come i repubblicani, i socialdemocratici e altri piccoli partiti, tra cui la Democrazia del lavoro, fu proprio la Democrazia del lavoro che non solo determinò una crisi, ma non volle partecipare alla soluzione della crisi. E appunto durante la discussione per la fiducia al Governo De Gasperi il Piccioni, che aveva una vis polemica fortissima, intervenne per la fiducia e fece un discorso sintetico, fortissimo; a un certo punto disse: "E della Democrazia del lavoro perché parlarne?" E difatti di questo partito non se ne parlò più. Vorrei dire però questo punto - perché mi pare giusto - che per la buona riuscita del lavoro all'Assemblea Costituente fu decisiva la conferma, nonostante queste differenze sul piano del Governo, della leadership della classe dirigente che nei Comitati di liberazione nazionale aveva condotto l'opposizione al fascismo, che ancora qua e là cercava di rimontare la sconfitta. Fu dunque il tempo nel quale uomini come De Gasperi, Togliatti, Saragat, poi La Pira, Fanfani, Rossetti, Nenni, La Malfa, erano al centro di questa grande Assemblea. E vorrei ricordare soprattutto La Pira, siciliano ma sindaco di Firenze, un ometto piccolo ma di un'intelligenza straordinaria, professore di diritto romano ma in realtà teorico della dottrina sociale cristiana, che fece il discorso introduttivo della discussione generale all'Assemblea Costituente. Parlò tre ore, naturalmente ogni tanto era interrotto da quelli che avevano concezioni diverse, lui accettava l'interruzione e poi riprendeva il suo discorso. Leggendo quel discorso - se avete la pazienza di leggerlo, ma è presente certamente negli archivi del Senato - troverete la concezione personalista che è alla base della nostra Costituzione. Ho già sottolineato quanto è stato importante che restasse al centro della Costituente la solidarietà dei partiti che avevano costituito il Comitato di liberazione nazionale, perché fu il Governo tripartito del maggio '47 che condusse all'approvazione della Carta costituzionale, nel segno dei principi di libertà, di democrazia e di solidarietà. Non dimentichiamo che alle spalle del ciclo che portò all'approvazione della nostra Costituzione vi fu quel rivolgimento delle coscienze che noi chiamiamo Resistenza; quel movimento di liberazione e quella tensione ideale e civile che ritroviamo trasfusi nella nostra Carta. Credo che più efficacemente di come sto per fare non si potrebbe dire, se non facendo riferimento al noto discorso di un giurista e costituzionalista molto importante, componente dell'Assemblea Costituente, Piero Calamandrei, il quale sottolineò come dietro gli articoli della Costituzione che voi leggete in modo così distaccato, in qualche modo asettico, bisogna vedere quanti giovani sono morti sulle nostre montagne, nella Resistenza al fascismo e agli eserciti che rappresentavano il nazismo, avendo in cuore la speranza di una società libera e di una società più giusta. Vi ho parlato di La Pira e mi sono dimenticato di dire che la Pira durante la fase dell'occupazione tedesca di Roma tenne un corso: io vi partecipai sempre, avevo rinunciato allora a far politica, non avevo alcuna idea di presentarmi come deputato all'Assemblea Costituente e mi ero riscritto alla Università lateranense per prendere la laurea in utroque iure, cioè in diritto civile e diritto canonico. E nell'Ateneo lateranense La Pira tenne questo corso. C'è un libretto, adesso non so se si trova ancora, in cui egli definiva quali sono le weltanshauung che stanno alla base dei diversi partiti politici italiani, cioè la visione del mondo e della vita che precedono le visioni politiche dei liberali, dei cattolici, dei comunisti, dei socialdemocratici. In altre parole, egli spiegava le differenze che vi erano fra questi vari partiti sulla base delle differenze che non riguardavano la politica ma la pre-politica, ossia la visione, la concezione e la definizione dei concetti dell'uomo e dei rapporti umani precedenti la politica. Ed è da queste concezioni e da queste visioni che nasce un principio che sta alla base della nostra Costituzione; ne ho elencati parecchi, ora comprendete anche questo, che è fondamentale. Il principio è che la persona umana è anteriore alla politica. La Costituzione non crea, non definisce la persona ma la riconosce, o non la riconosce; ma se non la riconosce è una Costituzione di altro tipo, in cui tutti i valori della libertà, i diritti dell'uomo non sono basati sulla visione della persona, ma sono basati su una concessione, come era lo Statuto Albertino. Lo Statuto Albertino cos'era? Era una concessione del Principe di alcuni diritti ai suoi cittadini. La Costituzione, invece, è il riconoscimento giuridico nella legge fondamentale del Paese dei valori propri della persona, delle sue libertà e delle sue esigenze di sviluppo. La Pira si chiedeva in quel discorso: l'uomo non è naturalmente sociale? Non vive nelle dimensioni della famiglia, della comunità religiosa, dei sodalizi sociali e delle organizzazioni dei lavori? In sostanza l'uomo è tale se vive queste realtà. E sulla base di questo, La Pira definiva la incompiutezza dei principi del 1879 e delle Costituzioni che al momento erano una concessione. In questa assenza di riconoscimento dei valori della persona trovava la crisi per quei regimi costituzionali che erano tramontati nell'esperienza precedente al nostro costituzionalismo. Nel discorso all'Assemblea Costituente - e qui lo ricordo non per appesantire questa mia esposizione, ma perché ricordiate quali sono i valori che sono alla base della Costituzione - La Pira diceva che il costituzionalismo che non ha come fondamento i valori della persona non ha una validità, perché non riconosce quello che San Tommaso D'Aquino definiva: "Quod est perfectissimum in tota natura", ciò che vi è di più perfetto in tutta la natura, che siamo noi, è l'uomo, pur con tutti i suoi difetti e però con la sua anima spirituale. Questa realtà, questo microcosmo che è ciascuno di noi, intorno al quale si dipana poi la rete di tutte le realtà sociali di cui abbiamo parlato! La nostra Costituzione ha il suo centro nel principio di libertà, nel quale converge lo spirito antifascista che lo ha ispirato; ma la libertà non viene declinata come principio astratto, bensì come condizione civile, permanente, essenziale e anche come percorso, un percorso di complessa attuazione. Infatti, accanto al momento della tutela individuale, la tradizionale contrapposizione tra individuo ed autorità viene superata con momenti di realizzazione istituzionale della libertà, con riferimento alle libertà economiche e ai diritti sociali. Penso che attraverso quello che ho detto finora, magari talvolta con qualche défaillance derivante dalla mia condizione di salute, spero temporale, rispetto a stamattina, si vede qual è la base su cui si fonda la nostra Costituzione. La Pira diceva che le Costituzioni precedenti sono fallite perché non appropriate alla realtà di cui devono occuparsi, che è proprio il valore dell'uomo. Diceva La Pira che non sarebbe appropriata, proporzionata alla società quale essa è, una Costituzione che non tenesse conto di questa definizione dell'uomo, che non esisteva né nella concezione marxista - e si è visto come è andata a finire - né nelle visioni, nelle concezioni individualiste, che si contrapponevano entrambe alla visione personalista di cui ho detto. Allora, quando voi leggete il testo della Costituzione nei vari punti, dovete avere presente qual è il suo fondamento, che è essenziale. Senza tenere presente questo fondamento, si possono fare degli errori, che in realtà turbano quell'equilibrio costituzionale che è poggiato sulla definizione della persona come centro, come punto di riferimento, come base del nostro costituzionalismo. Se poi voi ritenete validi questi miei riferimenti - i principi di cui ho parlato prima, principio personalista, democratico, di sussidiarietà, eccetera eccetera - alla luce di questi riferimenti potete leggere i vari articoli; se io tentassi di farlo ora, credo che susciterei la vostra ribellione, perché attenterei alla libertà delle persone, cioè vi terrei più di quanto non sia lecito ad un qualsiasi oratore tenere attento un uditorio. Ma è importante tenere presente questi principi perché sono alla base della prima parte della Costituzione, ma anche della seconda. A questo punto, prima di terminare, vorrei soffermarmi un momento su un aspetto, in quanto è vero quello che normalmente si dice, per sbrigarsela con i problemi più difficili, e cioè che non si può e non si deve modificare la prima parte della Costituzione, perché è la parte dei principi, mentre si può modificare la seconda parte perché in realtà sarebbe un'articolazione della struttura giuridica dello Stato, il che non implica il riconoscimento dei principi. Questa è una falsità. La seconda parte della Costituzione ha una sua validità se è rapportata alla prima parte; quindi si possono fare certamente delle modifiche alla seconda parte, ma nella misura in cui queste modifiche non attentano a quei valori fondamentali che sono iscritti nella prima parte. Ecco perché io, per esempio, e come me tutti quelli che hanno vissuto l'esperienza della Costituente siamo un po' diffidenti tutte le volte che sentiamo che un Governo - anche quello che ha preceduto l'attuale - vuole modificare la Costituzione. Di modifiche alla Costituzione se ne è intentata una, ma si sono fatti tali e tanti errori che poi è stata respinta dal referendum cui è stata sottoposta. Quindi, modificare la seconda parte della Costituzione non è una cosa così semplice e così facile, perché nella seconda si riflettono i valori che sono a fondamento della prima parte, quella che noi conosciamo e che diciamo di non voler modificare. Con questo non vuol dire che non vi siano dei perfezionamenti che si possono fare o dei mutamenti per attualizzare la seconda parte, sulla base delle esperienze che abbiamo vissuto, ma a condizione che si tenga presente che surrettiziamente, attraverso modifiche alla seconda parte, si possono mettere a rischio i principi fondamentali che sono nella prima. Quindi stateci attenti quando sentite i Governi che parlano con molta facilità di modifiche alla Costituzione. (Applausi). IOLANDA CARDARELLI. Credo di interpretare il sentimento di tutti nel ringraziarla veramente di cuore. Per me poi in particolare, che l'ho sentita più volte, è sempre un grande piacere ascoltarla ma immagino quale sia stato il piacere dei docenti. EMILIO COLOMBO. Ma stavolta il discorso è stato un po' diverso dal precedente. IOLANDA CARDARELLI. Infatti, l'avevo notato! Quindi ringrazio veramente il presidente Colombo della sua presenza e lo aspetto per le prossime occasioni. (Applausi). Se qualcuno ha delle domande... ecco la prima. Prego. DOCENTE. Buongiorno, molto piacere di conoscerla. EMILIO COLOMBO. Piacere mio. DOCENTE. Io vengo da Treviso, è una terra un po' tribolata in questo momento. Ho due domande, una in tono polemico e una è una curiosità. La domanda in tono polemico è questa: per quale ragione con maestri come voi, la classe politica è così caduta in basso? (Applausi). La seconda domanda è una mia curiosità, che mi porto dietro da quando ero ragazzo. Qualcuno ha detto che in sede di Costituente venne fuori la possibilità di scrivere l'articolo 1, dicendo che l'Italia è una Repubblica democratica fondata sulla Resistenza. Io le chiederei se questo risponde a verità o se è una leggenda metropolitana. Grazie. EMILIO COLOMBO. Sulla prima domanda, la risposta deve ispirarsi un po' all'umiltà. Vuol dire che quelli che vengono considerati i maestri non lo sono stati a tal punto da evitare la corruzione nel tempo dei principi sui cui si erano fondati. Poi lei, non so qual è la sua posizione, ma se è un cattolico, se è un cristiano, deve tenere conto che l'uomo ha il peccato originale, quindi ha le debolezze che sono proprie di una persona che è stata intaccata da questo peccato e quindi, nello svolgersi di un'attività delicata come la politica, nel tempo vi possono essere forme di corruzione. Bisogna combatterle, con le forme giuridiche che possono prevenire e anche con la serietà nel colpire le deviazioni che si svolgono nel tempo. Poi qui c'è un problema da esaminare, che posso solo accennare, non vorrei approfondirlo. Quando una Repubblica democratica per esprimere la volontà popolare si differenzia in partiti politici, se la differenziazione è finalizzata ad esprimere valori diversi, allora ha un suo reale fondamento. Se invece è finalizzata soltanto alla conquista del potere, cioè andare al Governo per esercitare il potere, allora manca un fondamento di carattere morale, quindi di una corrispondenza ai principi propri della Costituzione. E questo è molto facile che avvenga ed è il male che noi stiamo attraversando. (Applausi). Non mi fate esemplificare perché non vorrei creare polemiche in questa nostra discussione, ma voi capite, basta un accenno perché voi comprendiate. La seconda risposta è no. Il problema dell'articolo 1 non fu la Repubblica fondata sulla Resistenza, il problema fu se ripetere nell'articolo 1 della Costituzione quello che era il riferimento che c'era nello Statuto Albertino, cioè il riferimento a Dio. Una Repubblica che in modo diverso, in qualche modo, all'inizio del suo proclama, del suo programma, della sua impostazione, faceva un riferimento di carattere religioso. Sulla Resistenza non ci fu una polemica forte, magari ci saranno stati dei tentativi, ma vedete che anche Dossetti in quel discorso di Monteveglio che io ho citato qui nella prima parte della mia esposizione disse di stare attenti a non fondare la Costituzione su avvenimenti storici, che hanno sempre un carattere transitorio, ma bisogna fondarla su principi universali. Invece importante fu la discussione riguardante l'introduzione del riferimento religioso; perché questo vi era nello Statuto Albertino. Vi fu La Pira che presentò un emendamento al testo presentato dalla Commissione dei 75. Io lo ricordo molto bene questo episodio, purtroppo non lo vedo riportato così in molti dei testi che si riferiscono a questo importante, altissimo momento dell'Assemblea Costituente. L'emendamento faceva un riferimento a Dio. Naturalmente nella Costituente vi erano persone di orientamenti diversi; non tutti disposti ad una declinazione religiosa, all'accettazione di un principio religioso così espressamente definito. E io ricordo una persona, con cui poi ho avuto rapporti personalmente, era un socialista, una persona perbene, direi non solo nelle sue concezioni, ma proprio nei suoi comportamenti, l'onorevole Giua con cui io ebbi molte conversazioni, il quale non era credente, come tanti altri, che di fronte all'emendamento di La Pira restarono sbandati. Ricordo il discorso di questo Giua, che disse: “Caro La Pira, io non credo in Dio, ma lo cerco, e non l'ho trovato. Perché tu vuoi obbligarmi a votare in questa sede per Dio o contro Dio?” Sulla base di una riflessione di questo genere fu ritirato l'emendamento di La Pira. Ebbe un carattere di testimonianza da parte di tutti i credenti, ma di rispetto anche per i non credenti. Ma nel riferimento al valore della persona che, come detto prima, implica sempre la concezione di due orientamenti sostanziali dell'uomo - quello verticale, verso l'alto, e quello orizzontale verso gli altri - vi è anche un riconoscimento del significato dei valori religiosi, che l'uomo ha in sé e quindi una libertà religiosa, ma non l'imposizione di un credo, perché questo sarebbe contro il rispetto della persona umana. Prevalse questa tesi. Queste sono le discussioni intorno all'articolo 1. Non so se ho risposto... IOLANDA CARDARELLI. Un'altra domanda? DOCENTE. Sono Resta dell'Istituto “Bonsignori” di Brescia. Volevo chiederle questo: ho sentito un riferimento ai suoi incontri con Giscard d'Estaing sull'Unione europea. Alla luce anche degli avvenimenti recenti, di quello che sta avvenendo, la nostra Costituzione potrà reggere anche l'Unione europea, l'unione politica ed economica? Per esempio, lei ha fatto riferimento alla politica internazionale e al ruolo dell'Inghilterra. Ecco, volevo un po' capire: ce la faremo? Magari, le chiedo di fare un po' una previsione anche da questo punto di vista. EMILIO COLOMBO. Dunque, a proposito del rapporto, mi pare che questo sia, oltre che una valutazione di merito anche una valutazione di carattere teorico sull'impostazione della Costituzione. Quando si pensa al nostro sforzo di creare l'Europa, bisogna fare riferimento all'articolo 11 della Costituzione, il quale dice: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali.; consente, in condizione di parità con gli altri Stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le Nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo". Tutto il nostro sforzo per la costruzione europea, giuridicamente e direi anche eticamente, è fondato su questo articolo 11 della Costituzione. Noi possiamo, come in realtà abbiamo fatto, rinunciare ad alcuni aspetti della nostra sovranità nazionale per conferirne la gestione, insieme ad altri Stati, quelli appartenenti all'Unione europea, ad una sede internazionale. Questa è la legittimazione della nostra partecipazione all'Unione europea, che comporta la rinuncia ad una parte della sovranità. Quando per esempio la BCE, la Banca centrale europea, ha mandato la lettera a Berlusconi per dire che dovevamo fare, cercare di correggere alcuni aspetti diciamo della nostra politica, si sono levate delle critiche. “Ma allora questi vogliono venire a comandare in casa nostra!”. Ma no! Noi abbiamo conferito a questi organismi internazionali un potere e lo abbiamo fatto con consapevolezza, perché l'Unione europea potesse andare avanti facendo in comune dei sacrifici e facendo delle politiche capaci di garantirne l'efficienza. Questo è il senso della nostra appartenenza all'Unione europea. Poi in questa domanda ce n'è un'altra, come si dice, in cauda venenum, non una visione teorica ma una domanda per dire: "E poi ce la facciamo?". Ma ce la dobbiamo fare! Ce la dobbiamo fare, e qui non tutto è così chiaro, né per noi né per gli altri. Non so se avete notato che concludendo la sua visita, mi pare a Strasburgo, il Presidente del Consiglio Monti ad un certo momento ha detto: "Beh, adesso andiamo a casa a fare il nostro compito". A casa, come fanno i ragazzi quando hanno le versioni da fare, vanno a casa a fare le versioni da portare il giorno successivo a scuola; e noi abbiamo dei compiti a casa da fare. Però credo che il Presidente del Consiglio Monti sappia - e chi più di lui può non saperlo, essendo stato per dieci anni membro della Commissione europea, commissario europeo - che qui è vero che la crisi investe tutto il mondo. Gli Stati Uniti si ricordano che c'è l'Europa e chiedono all'Europa di fare bene le sue cose per non accentuare la crisi. Io in tempi piuttosto lontani ebbi a Washington un colloquio con l'allora presidente Kennedy, qualche mese prima che lo uccidessero, sulla cosiddetta partnership Europa-Stati Uniti, Stati Uniti-Europa, nel senso di concepire l'Europa come un soggetto civile internazionale, con una personalità propria che si raccordasse con la personalità propria degli Stati Uniti in un rapporto di cooperazione. Adesso abbiamo visto che l'attuale Presidente Obama capisce e si rende conto di che cosa vorrebbe dire lo sfascio dell'Europa ai fini degli equilibri internazionali e si rivolge anche a noi. Noi – e qui esprimo una mia opinione, naturalmente discutibile - dalla crisi ci si salva, o si esce, non rallentando i vincoli europei ma con più Europa, cioè accentuando il processo di unificazione. Cos'è un sogno questo? Basta che vi faccio un esempio e voi capite subito di che si tratta. Noi abbiamo fatto la moneta unica con una banca centrale che non è la banca simile com'è la Banca d'Italia o la Bundesbank per la Germania, ma soprattutto non abbiamo avuto la forza di affermare un principio che era già evidente allora, quando si è fatta la moneta unica, ossia che una moneta unica non può avere un fondamento serio se non vi è una politica, quella che normalmente si dice politica fiscale comune, che non è la politica delle tasse, ma è la politica di bilancio, e nel gergo europeo significa di bilancio e quindi anche fiscale, ma insomma, non è soltanto di carattere fiscale nel senso delle tasse. Cioè, raccordarsi per esempio nella misura dei deficit di bilancio, di come si fa fronte ai deficit di bilancio, il che vuol dire che i Governi, quando si ritrovano a Bruxelles, devono ancora più profondamente discutere dei problemi di casa propria per coordinare alla soluzione che fanno gli altri Paesi. Quindi, se avremo più Europa, usciremo più facilmente dalla crisi. Questo è un punto, per esempio, su cui in questo momento non vi è una convergenza così chiara. Per esempio, avete sentito che alcuni Stati, compresa l'Italia, attraverso la voce di Monti, richiedono la creazione da parte dell'Unione europea degli eurobond e la Germania resiste. Anche la Germania ha ragione su questo, perché non vorrebbe pagare attraverso gli eurobond i difetti o i deficit degli altri Paesi, perché questo non glielo consentirebbe l'elettorato tedesco. Eppure, però, bisogna trovare il modo per poter uniformare le politiche economiche perché questa è la vera base di una politica europea. Questo è facile a dirsi, come io lo sto dicendo in questo momento, ma è molto difficile a farsi. Vi faccio un piccolo esempio per dirvi come è difficile a farsi. Ricordo quando io fui chiamato a fare la prima volta il Ministro del tesoro, poi l'ho fatto per dieci anni, fui chiamato in un momento di una grande bufera per l'Italia. Vi era un'inflazione a due cifre, cioè la più alta inflazione dopo quella del dopoguerra che era stata bloccata da Einaudi e De Gasperi. Io mi trovai di fronte a questa spaventosa condizione dell'economia italiana, che dovemmo fronteggiare, ma era quello il momento in cui i socialisti dovevano entrare al Governo. E i socialisti entravano al Governo con l'idea di andare - come diceva Nenni - nella stanza dei bottoni per poter amministrare, fare una politica sociale più ampia, distribuire fondi, pensioni, ricchezze e via dicendo, ma io dovevo invece tenere i cordoni della borsa stretti. In quel momento il Commissario economico europeo - allora la Commissione aveva poteri più ristretti - era un francese, un uomo molto intelligente e molto fine che io ricordo con molto rispetto ed affetto, poi è morto, mi disse che voleva venire in Italia per ricordare a noi che il problema dell'inflazione italiana era un problema che non riguardava solo l'Italia ma riguardava l'Europ e. i nostri guai si riflettevano sugli altri. Io allora gli telefonai e gli dissi: "Guarda, è meglio che venga io da te e non che tu vieni qua” - (Ilarità) - “perché se tu vieni qua, in questo momento difficile, allora gli italiani diranno che tu vieni ad imporci questo o quello, invece se tu me lo dici a me in un incontro riservato...". E difatti io andai col mio capo di gabinetto a casa dell'Ambasciatore a Bruxelles ed ebbi un incontro con questo intelligente e fine Commissario francese che si chiamava Marjolein: discutemmo della situazione italiana, io spiegai quali erano le politiche che stavamo facendo, lui mi espresse le preoccupazioni europee e io garantii che noi avremmo proseguito in quella politica. E difatti andammo avanti e in pochi mesi noi abbattemmo quel tasso di inflazione così alto senza abbattere molto la crescita del reddito. Noi allora crescevamo in Italia – che sogno adesso! - al 6-7 per cento annuo. Bene, ricordo bene che in quell'anno di restrizione la crescita del PIL, del prodotto interno lordo, invece di essere al 6-7 per cento, fu del 3,85. Immaginatevi se riuscissimo adesso ad avere una crescita del 3,85 per cento! Però vi furono certamente delle critiche per questo polso fermo, ma io, che ero andato lì per cercare di contemperare esigenze italiane ed esigenze europee, dopo qualche settimana mi trovai su un giornale italiano molto diffuso un articolo intestato così: "Colombo va a Bruxelles per congiurare contro il centrosinistra", che era invece la politica che noi, d'accordo con i socialisti, sostenevamo perché avevamo bisogno di una base più larga per la politica. Questo per dirvi come sono difficili questi rapporti europei, però la nostra convinzione deve essere che dalla crisi si esce con più Europa e non con meno Europa. (Applausi). DOCENTE. Buongiorno, presidente Colombo, io mi chiamo Porretti e insegno nell'Istituto “Einaudi” di Sora, in provincia di Frosinone. La domanda, secca, è questa: l'Italia è fatta per il sistema bipolare? Cioè, lei non trova che praticamente il nostro sistema istituzionale non regga bene questa nuova impostazione? Io le faccio solamente riferimento alla produzione normativa. Noi nel nostro ambito, nel giro di pochi anni, ci siamo trovati di fronte a tre o quattro riforme della scuola, a volte contraddittorie l'una con l'altra. E quindi la domanda è proprio questa: forse questo sistema bipolare è stato introdotto nel '93 dopo quel referendum, ma forse, secondo me, l'ammissione del referendum nel '93 da parte della Corte costituzionale ha rappresentato una sorta di vulnus perché praticamente ha cambiato il nostro sistema. Ecco, non trova che andrebbe adattato il nostro sistema istituzionale? EMILIO COLOMBO. Guardi, sono d'accordo con lei. Questo bipolarismo introdotto con le modifiche elettorali in realtà ha favorito l'aggressione di una parte contro l'altra e non la stabilità di Governo, come si sarebbe voluto. In fondo al sistema bipolare non ci sono due culture diverse, ma vi sono culture diverse che sottendono quindi politiche diverse. Allora bisogna che questo nostro bipolarismo improvvisato maturi gradualmente, prima di tutto sul piano politico-culturale e successivamente sul piano elettorale. Noi abbiamo visto come l'esperienza del Governo Berlusconi, un po' per i caratteri delle persone e un po' proprio per il sistema, sia stata un'esperienza di contrapposizione permanente, anche perché alla diversità di soluzioni sulle questioni interne si sono contrapposte esigenze di potere di una parte verso l'altra o di una persona verso altre. E quando l'obiettivo di una contrapposizione è personale e di potere, è molto difficile che venga mantenuta una base di discussione oggettiva; arriviamo al turpiloquio anche nell'ambito del Parlamento. Vedete che voi adesso, ad esempio, almeno questo aspetto si è in qualche modo assopito. Allora, prima di pensare di poter arrivare ad un bipolarismo come per esempio c'è in Inghilterra, bisogna che la cultura politica si approfondisca e maturi, restino in piedi le differenze che realmente hanno un fondamento e invece le altre vengano risolte, le differenze, attraverso la discussione continua. Poi, guardi, io ho fatto l'esempio dell'Inghilterra e pure in Inghilterra sono nati tanto i conservatori e i laburisti, le formazioni liberali, e il Vice Presidente dell'attuale Governo è di derivazione di un gruppo liberale, per cui anche nei Paesi a sistema bipolare il bipolarismo è ancora imperfetto. Le stesse cose si verificano anche negli Stati Uniti d'America, figurarsi da noi, dove le concezioni base sono molto differenti! IOLANDA CARDARELLI. Io direi ancora un'ultima domanda. Prego, professoressa. DOCENTE. Ecco, presidente, bisogna che una donna parli! (Ilarità). Onorevole, senatore sì, comunque è un onorevole, lei è una persona veramente onorevole, veramente mi complimento con lei per la chiarezza sul suo intervento e per le risposte che ha dato. Come mamma, come insegnante e soprattutto come donna, appunto, vorrei chiederle questo: noi donne siamo abituate a fare sempre un passo indietro, a lavorare in silenzio, ci facciamo vedere solo quando ad un certo punto vediamo che la nostra dignità è calpestata; quello che abbiamo fatto il 13 di febbraio dell'anno scorso è stato quando veramente non se ne poteva più. Allora la mia domanda è questa: lei ha parlato continuamente di padri fondatori della Costituzione, chiaramente si includevano anche le madri. Qual è stato il ruolo di quelle grandi madri, all'interno quindi del momento della formazione della nostra Costituzione, e qual era l'idea che questi padri fondatori pensavano per le donne del futuro? Oggi purtroppo, al di là della dignità calpestata, ogni tanto anche a livello occupazionale, sappiamo bene che il grande problema in Italia è la non occupazione, sovente anche la mancanza di ricerca di occupazione lavorativa da parte delle donne. Grazie. EMILIO COLOMBO. Nell'Assemblea Costituente di donne ve ne erano poche, per la verità, ma alcune però ebbero un grande rilievo. Ne ricordo due perché adesso me ne vengono in mente due, la Iotti che poi divenne Presidente della Camera, e poi c'è una trentina - di cui mi dovete scusare ma in questo momento non ricordo il nome, i vuoti di memoria capitano a tutti, figurarsi se non possono capitare a me - che era quello che si chiama di solito la “frusta” per il Gruppo Democristiano. Questi indisciplinati che spesso uscivano dall'Aula nei momenti magari cruciali in cui c'era da votare ma lei era attentissima a chi c'era e chi non c'era e poi ci richiamava con grande autorità a rientrare. Ci sono state alcune donne, poche, ma che hanno avuto un grande prestigio. E poi nel mondo politico esterno e nella cultura, indubbiamente ve ne sono state. La tendenza è di aumentarne il ruolo e indubbiamente è aumentato, sempre nel rispetto della donna, non nell'offesa della sua dignità, nel rispetto della donna e della sua funzione nella vita sociale, nella vita di ogni Stato. Dei passi avanti si sono fatti e credo che se ne faranno ancora. Quanto all'occupazione lei ha ragione, vi sono tanti giovani disoccupati, è il momento della crisi. Quando ci domandiamo come si sostiene questo Paese in queste difficoltà, ci si domanda come si fa con la pensione di 400 euro, 300 euro, 350 e via dicendo, non si ricorda che questo è possibile per la convergenza nella stessa famiglia di una serie di persone, tra cui anche alcune donne, che magari beneficiano di queste pensioni sia pure limitate ma che sommandosi insieme danno vita al sostegno della famiglia, che in questo caso dà la possibilità di sopravvivere a tanti uomini e tante donne e tanti giovani nel nostro Paese. Questa risposta non vuol dire che non bisogna fare ulteriori sforzi, ma questi ulteriori sforzi sono legati alla ripresa di carattere economico e ad una vita sociale più intensa. E' inutile che io stia qui a ribadire che il momento che noi attraversiamo è difficile, quindi la disoccupazione si spiega con motivi di carattere generale e non con motivi riferiti alle donne, perché non credo che adesso vi siano ancora dei pregiudizi contro l'ingresso della donna nella vita amministrativa, nella vita professionale e poi anche nella vita politica. Ecco, se vi fossero bisognerebbe abbatterli. IOLANDA CARDARELLI. Bene, allora io reitero i ringraziamenti al senatore Colombo, quindi lo salutiamo e lo aspettiamo, io lo aspetto alle altre iniziative. (Prolungati applausi). EMILIO COLOMBO. Grazie, vi ringrazio molto. Vi faccio tanti auguri per il vostro lavoro e soprattutto vi ringrazio per questo lavoro che fate perché nelle scuole, ai ragazzi venga dato un fondamento per la loro partecipazione alla vita sociale e politica, e il fondamento è la Costituzione. (Applausi).