CORTE DI CASSAZIONE, SEZ. IV PENALE, 25 GENNAIO 2006, N. 24201 ISTRUTTORE SUBACQUEO – POSIZIONE DI GARANZIA – OMICIDIO COLPOSO MASSIMA: L’istruttore subacqueo che organizza un’immersione è titolare di una posizione di garanzia nei confronti dei partecipanti all’immersione stessa e risponde – a titolo di omicidio colposo – per la morte di uno dei partecipanti, allorché siano accertate colpevoli inosservanze delle norme cautelari generiche o specifiche (nella specie, il giudice di merito aveva accertato che il subacqueo deceduto era stato coinvolto, senza adeguata assistenza e senza le necessarie cautele, in un’immersione pericolosa, in ragione della profondità che doveva essere raggiunta, avendo altresì l’istruttore omesso di verificare le modalità di risalita, per impedire quegli errori tecnici cui era risultata riconducibile la morte). REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE QUARTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. BATTISTI Mariano - Presidente Dott. MARINI Lionello – Consigliere Dott. DE GRAZIA Benito Romano – Consigliere Dott. CAMPANATO Graziana – Consiglierere Dott. MARZANO Francesco – Consigliere ha pronunciato la seguente: SENTENZA sul ricorso proposto da: C.C., N. IL (OMISSIS); avverso la sentenza del 11/03/2004 della CORTE d’APPELLO di GENOVA; visti gli atti, la sentenza ed il procedimento; udita in PUBBLICA UDIENZA la relazione fatta dal Consigliere Dott. MARINI Lionello; udito il Procuratore Generale in persona del Dott. FRATICELLI Mario che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito, per le parti civili, l’Avv. Miele Iole, del Foro di Roma, che ha concluso per il rigetto del ricorso; udito il difensore Avv. Martini Doriana, del Foro di Milano, che ha concluso per l’accoglimento del ricorso. SVOLGIMENTO DEL PROCESSO Con sentenza in data 21 gennaio 2003 il Tribunale di Chiavari dichiarava C.C. responsabile del delitto di omicidio colposo commesso in danno di Co.Fa.Li. il giorno 1 agosto 1998 e, riconosciute le circostanze attenuanti generiche, lo condannava alla pena di un anno di reclusione nonché al risarcimento dei danni in favore delle parti civili costituite, assegnando alle medesime una provvisionale immediatamente esecutiva di Euro 50.000,00 e subordinando la concessa sospensione condizionale della pena al pagamento della somma suddetta. L’addebito mosso al C., ritenuto fondato dal Tribunale, era quello di avere, per colpa, consistita in negligenza, imprudenza ed imperizia nonché nella violazione delle norme di buona tecnica in materia di immersioni subacquee, cagionato la morte (avvenuta per "dilatazione terminale del cuore secondaria e barotrauma ed embolia gassosa") del predetto Co., avendo l’imputato, nella qualità di istruttore di un gruppo di sette subacquei (superiore al numero di quattro consentito dalla normativa PADI per singolo istruttore, in violazione dell’ordinanza n. 79/98 emessa il 16 luglio 1998 dall’Ufficio Circondariale Marittimo di Santa Margherita Ligure), disposto e coordinato una immersione nelle acque di (OMISSIS), località (OMISSIS), per raggiungere la profondità di 60 metri, senza predisporre ed effettuare alcuno check di controllo a bassa profondità e senza controllare, al fine di impedirne gli errori tecnici, le condotte di immersione degli allievi in impresa rischiosa (in quanto nel mondo del lavoro subacqueo le immersioni ad aria con autorespiratore sono limitate a 50 metri) e non adeguata alle capacità e professionalità dei partecipanti ed in particolare del Co.Fa.Li., il quale era alla sua prima immersione a quella profondità e, sceso troppo velocemente a metri 61 e rimasto a tale quota per 3 minuti e 30 secondi, era risalito a velocità di 9,47 metri al minuto fino a 43 metri di quota, e poi di 43 metri al minuto fino alla superficie (dopo avere gonfiato il GAV) senza effettuare alcuna sosta decompressiva, sì da essere colto da crisi embolia che lo aveva condotto a morte. Sull’impugnazione dell’imputato, la Corte di Appello di Genova, con sentenza pronunciata il giorno 11 marzo 2004 ha confermato la sentenza impugnata. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, il quale, con un primo motivo ha dedotto il vizio di cui all’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’avvenuta attribuzione alla sua persona del ruolo di istruttore nella immersione dell’8 agosto 1998. Sostiene il ricorrente che la Corte territoriale illogicamente ha ritenuto attendibili e probanti i deposti de relato di parenti ed amici della vittima, i quali non avevano partecipato alla immersione in oggetto e non erano stati in grado di affermare che la medesima facesse parte di un corso per subacquei (circostanza a suo dire logicamente esclusa dalla disomogeneità dei gradi di preparazione di coloro i quali vi avevano partecipato) ed ha disatteso, invece, le deposizioni rese da coloro i quali avevano preso parte a quella immersione sull’assunto di incertezze e contraddittorietà nei quali questi ultimi sarebbero incorsi, non concernenti, peraltro, l’affermazione concorde della natura meramente "ricreativa" della suddetta immersione, nell’ambito della quale il Co. aveva operato autonomamente. Il ricorrente censura ulteriormente, con il suddetto motivo, l’affermazione della Corte territoriale secondo la quale il documento sottoscritto da tutti i partecipanti incluso l’imputato - contenente una "dichiarazione di manleva" nei confronti del Comitato operatori subacquei turistici dei Golfi Tigullio, Paradiso e Genova (Comitato che egli afferma essere esistente, al di là delle espressioni dubitative dei secondi giudici)" - non avrebbe avuto senso ove non si fosse trattato di una immersione guidata, ed integrava una predisposizione di prova favorevole da parte dell’imputato; al contrario, afferma il ricorrente, il suddetto Comitato fa sottoscrivere dichiarazioni di manleva proprio per le immersioni ricreative, e la sottoscrizione del C. era dimostrativa di una sua posizione equiparata a quelle degli altri partecipanti (con esclusione, pertanto, di una sua veste di istruttore). Con un secondo motivo il ricorrente ha dedotto "violazione dell’art. 606 c.p.p., lett. e) in relazione all’art. 546 c.p.p., lett. e). La censura concerne essenzialmente l’affermazione dei giudici di merito che il Co. era stato colpito da una "narcosi di azoto" in conseguenza della profondità di circa 60 metri alla quale era disceso nel corso della immersione de qua. Sostiene il ricorrente che tale affermazione non soltanto riguarda una circostanza non provata (la insorgenza della suddetta narcosi), ma si pone in rapporto di insanabile contraddizione logica con l’avere la Corte territoriale, una volta premesso che una prenarcosi di tale tipo può colpire il subacqueo anche alla profondità di 40 metri, ha dato atto della circostanza, risultata del computer da polso della vittima, che nella risalita dai 61 ai 43 metri il Co. aveva fatto un uso interno del GAV per controllare la velocità della risalita (avvenuta nella misura di circa 9 metri al minuto, e quindi in perfetta aderenza ai dettami di una graduale e controllata risalita), senza avere tratto da tale risultanza la logica conseguenza della escludibilità, nel caso concreto, del fatto che il Co. potesse essere affetto dalla suddetta narcosi mentre si portava, in fase di risalita, da 61 a 43 metri di profondità, avendo invece apoditticamente e contraddittoriamente affermato che la risalita aveva semplicemente attenuato i sintomi della narcosi, senza eliminazione della situazione di affanno causata dall’ansia e dalla narcosi che durava da tempo. In realtà - afferma il ricorrente - la situazione critica del Co., isolato dal resto del gruppo, aveva avuto inizio alla quota di 43 metri nella fase ascendente, momento nel quale egli si era lasciato risalire senza controllo del GAV con una "pallonata", per motivi sconosciuti e che potevano essere i più vari, essendo inoltre insignificante il dato relativo all’aria consumata dal Co. (lt. 2520 invece di lt. 1913) sia perché la differenza non era tale da assumere rilievo oggettivo, sia perché il consumo dell’aria è elemento in gran parte soggettivo e non era noto il consumo d’aria da parte del Co. durante altre immersioni. Le parti civili hanno depositato, a mezzo del comune difensore, una memoria con la quale hanno richiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso od il rigetto del medesimo. Il primo motivo è infondato. Invero la Corte territoriale ha tratto il convincimento che l’imputato avesse rivestito, in relazione alla immersione subacquea nella quale il Co. trova la morte, la funzione di istruttore di quest’ultimo (oltre che di altri soggetti), da una serie di elementi probatori, la cui avvenuta valutazione in termini di affidabilità delle fonti e di conducenza del dato rappresentato si sottrae alla censura di illogicità manifesta mossa dal ricorrente sul punto. I secondi giudici hanno, infatti, ritenuto che l’immersione del giorno 8 agosto 1998, alla quale aveva preso parte anche l’imputato, avesse costituito un momento attuativo del programma di un corso per subacquei tenuto dal C. nella veste di istruttore - e non già un’attività sportiva a mero carattere ricreativo, pertanto non guidata e priva di accompagnatore - sulla base dei seguenti elementi: 1) la testimonianza resa dalla moglie della vittima, T.A., in ordine al fatto che il marito stava frequentando il corso tenuto dal C. per conseguire la specialità "PADI profonda", corso che si componeva di lezioni di teoria e di pratica (delle quali ultime faceva parte l’immersione tragicamente conclusasi), e per il cui pagamento il marito aveva staccato un assegno di lire 560.000; 2) la deposizione resa dal teste D., amico di famiglia dei Co. ed allievo del C., in ordine al fatto che l’immersione in oggetto costitutiva la terza posta in essere in esecuzione del programma del corso per immersioni profonde tenuto dall’imputato, corso (del costo di lire 500.000) al quale erano iscritte, oltre al predetto Co., altre sette persone, ed al quale la persona offesa aveva parlato, prima della metà del mese di luglio del 1998, per cercare di convincerlo ad iscriversi (avendo ottenuto dal teste risposta negativa perché questi riteneva le propria capacità non all’altezza della impegnativa impresa); il Co.Fa.Li. aveva poi riferito al D. di avere avuto dei problemi nel corso della prima immersione profonda; 3) la testimonianza del cognato della vittima, S.E., il quale aveva riferito che proprio il giorno della immersione de qua, verso mezzogiorno, aveva incontrato il Co. il quale gli aveva detto che non poteva mangiare perché si preparava a fare immersione ed era in ritardo, e che era stato previsto di discendere in gruppi di tre o quattro persone, che sarebbe stata effettuata una immersione unica, a circa 50 metri, che la meta finale del corso era un relitto giacente sul fondale e che l’istruttore era il C., persona non conosciuta dal predetto teste. Le suddette deposizioni testimoniali, pur contenenti dichiarazioni de relato, in un contesto nel quale non era stato ovviamente possibile udire la fonte di riferimento, essendo il Co. deceduto, sono state definite dai giudici di merito chiare e circostanziate, né l’attendibilità delle medesime può essere esclusa, eo ipso, dai legami di parentela o di amicizia intercorrenti tra i testimoni e la vittima. Peraltro non è unicamente su tali convergenti risultanze testimoniali che è stata affermata la veste di accompagnatore-istruttore dell’imputato nella effettuazione della immersione profonda rivelatasi fatale per il Co., posto che la Corte territoriale ha valorizzato anche ulteriori elementi probatori, integrati: A) dalle annotazioni sul libretto del Co. delle precedenti immersioni effettuate l’1 ed il 2 agosto, la prima al (OMISSIS), sotto la colonna "Observation", con la scritta "profonda" e con l’apposizione, sotto il riquadro "Signature") della firma del C. (come tale non disconosciuta); B) dalla matrice dell’assegno staccato dal Co. in data 3 agosto 1998, con annotato il nome " C.T.", la cui riferibilità all’imputato doveva essere ritenuta in forza della testimonianza della T.; C) dallo stesso documento, sottoscritto da tutti i partecipanti alla immersione, incluso il C., e costituito da una "dichiarazione di esenzione di responsabilità e assunzione di rischi" intestata ad un non meglio identificato "Comitato operatori subacquei turistici dei golfi: Tigullio, Paradiso e Genova", privo della indicazione della sede e del legale rappresentante ed, altresì, di ogni indicazione atta alla individuazione del nome del soggetto esentato; secondo la Corte territoriale, a prescindere dal valore giuridico di tale documento, l’avvenuta sottoscrizione del medesimo sarebbe stata del tutto fuori luogo nel caso di immersione ricreativa, diversamente dal caso di immersione guidata, sì da apparire quale un tentativo, da parte del C., di precostituirsi una prova favorevole. Inoltre, i secondi giudici hanno rilevato che - pur prescrivendo l’ordinanza n. 79/98 dell’Ufficio Circondariale Marittimo di Santa Margherita Ligure, all’art. A 8, che, nel caso di immersioni per le prove di conseguimento dei brevetti, il "sodalizio organizzatore" deve far pervenire alla Capitaneria di Porto, almeno 12 ore prima, una nota informativa recante le indicazioni della data, dell’orario e del numero dei partecipanti - il C. non aveva dato notizia alcuna dello svolgimento di attività di tipo didattico nel periodo 16 luglio/31 agosto 1998 né all’Ufficio Circondariale Marittimo di Santa Margherita né alla Capitaneria di Porto di Genova (come relazionato dall’Ispettore Si. in data 15 aprile 2002), e pertanto anche per le immersioni dell’1 e del 3 agosto, pur esistendo la prova (fornita dalla relazione dell’Ispettore Si. e dalle dichiarazioni del teste Avv. Ci.) della attività di istruttore svolta dall’imputato, costituita dall’avvenuto rilascio da parte del medesimo, nella citata specifica veste, di brevetti rescue ai subacquei R. e B. in data 1 agosto 1998 (quella della prima immersione). E se - ha affermato il giudice di appello - i fratelli Co., il R. e l’ A., soggetti i quali avevano partecipato alla immersione dell’8 agosto insieme al Co.), sentiti ex art. 210 c.p. avevano sostenuto (mentre il B. ed il L., essi pure partecipanti alla medesima, si erano avvalsi della facoltà di non rispondere) che si era trattato di una immersione ricreativa organizzata tra gli appartenenti allo stesso club, tuttavia le dichiarazioni rese da costoro non erano attendibili (tanto che il relativo verbale era stato trasmesso all’Ufficio del Procuratore della Repubblica per quanto di competenza del medesimo in ordine ai reati ravvisabili) in quanto non soltanto incerte, ma anche tra loro contraddittorie nonché caratterizzate da numerose modificazioni alle risposte già date (come evidenziato in sentenza nel prendere dette dichiarazioni in esame singulatim), in particolare non avendo costoro neppure saputo indicare chi si fosse concretamente interessato dell’organizzazione della immersione concordata "tra amici", in un contesto nel quale il Co. era da loro a malapena conosciuto. Tale attenta ed articolata valutazione di una serie di elementi di natura testimoniale ed oggettiva effettuata dai secondi giudici - che ha condotto al convincimento della veste di istruttore assunta (con conseguente configurabilità di una precisa posizione di garanzia) dell’imputato nell’occorso, veste correlata al corso per subacquei da costui provatamente tenuto, al quale il Co. era iscritto e nel cui ambito erano state già eseguite altre due immersioni profonde rispetto alle quali la terza, in oggetto, presentava indubbie connotazioni di maggiore pericolosità in considerazione della maggiore profondità di immersione concordata (era infatti provato che tutti i subacquei erano discesi, nel corso di tale terza immersione, a 60 metri di profondità) - non presenta connotazione alcuna di illogicità manifesta ai sensi dell’art. 606 c.p.p., neppure laddove non è stata ritenuta attendibile la concorde deposizione dei testi indotti dalla difesa sull’avvenuta esecuzione di una immersione a carattere ricreativo, decisa dagli stessi partecipanti ed estranea al programma del corso, sul rilievo di contraddizioni ed incertezze che avevano caratterizzato, sia pure su di una serie di particolari (solo apparentemente) di contorno, le disattese dichiarazioni rese da soggetti trovatisi nella posizione contemplata dall’art. 210 c.p.p. ed uditi pertanto con le garanzie difensive loro spettanti (il che non implicava la ritenibilità, in capo a costoro, della stessa neutralità che va riconosciuta - sia pure con attenzione a rapporti di parentela con la persona offesa o di amicizia con la famiglia di questa - a chi sia definibile come testimone sic et simpliciter); a tale riguardo devesi comunque rilevare che la ritenuta attendibilità o non attendibilità del dato testimoniale consegue ad una valutazione di puro merito che come tale - se, come nella specie, sorretta da congrua motivazione - non è sindacabile dal giudice di legittimità. Neppure l’avvenuta valorizzazione, nel senso di una cautela a carattere difensivo, precostituita dal C. nella "dichiarazione di manleva" intestata ad un non meglio cartolarmente identificato "Comitato di operatori subacquei dei golfi: Tigullio, Paradiso e Genova" (che lo stesso ricorrente si limita a definire come esistente senza fornirne le coordinate identificative) può dirsi affetta da illogicità manifesta, rappresentando essa una deduzione logica tratta, oltre che dalle descritte connotazioni del documento, dal rilievo, per vero del tutto corrispondente a logica, della palese inutilità di sollevare chicchessia da responsabilità in ordine alle eventuali conseguenze di una immersione concordata da altri al di fuori di una qualsiasi attinenza con la veste ed i compiti del "sollevato", nonché, infine, dal complessivo quadro probatorio valorizzato, includente la mancata comunicazione dell’attività didattica svolta dall’imputato nel periodo 16 luglio/31 agosto 1998, alla Capitaneria di Porto di Genova ed all’Ufficio Circondariale marittimo di Santa Margherita in violazione dell’ordinanza n. 79/89 del predetto Ufficio; tale accertata omissione, con particolare riferimento alla immersione dell’1 agosto 1998, data nella quale il C. ebbe provatamente a rilasciare, nella qualità di istruttore, un brevetto a due dei partecipanti al corso, comporta, quanto meno, la insostenibilità, sulla base della medesima, della tesi del difetto di una altrettale veste di istruttore in capo all’imputato nell’ambito dell’immersione dell’8 agosto 1998. Tanto si osserva non senza ulteriormente richiamare l’ulteriore affermazione della Corte territoriale - anche questa non affetta dal dedotto vizio di manifesta illogicità - secondo la quale la violazione, da parte dell’imputato, della già citata ordinanza n. 79/98 dell’Ufficio Circondariale Marittimo, nel cui art. A.4 è prescritto che l’accompagnatore debba seguire un gruppo di non più di quattro subacquei simultaneamente (norma diretta ad assicurare un controllo effettivo, con il rispetto del limite di profondità stabilito dai brevetti dei partecipanti e, ove diversi, seguendo il limite previsto dal grado inferiore), sicché, una volta provato il ruolo di istruttore in capo all’imputato, diveniva addirittura superfluo l’accertare se l’immersione in oggetto facesse o meno parte del corso tenuto dal C., circostanza comunque provata sulla base delle già valorizzate risultanze. In definitiva, le argomentazioni del ricorrente contenute nel motivo di ricorso qui in esame non riescono a scalfire il contenuto logico della motivazione laddove i secondi giudici hanno ritenuto sussistente la posizione di garanzia dell’imputato con riferimento alla effettuata immersione profonda nel corso della quale ebbero a verificarsi le cause che trassero a morte Co.Fa.Li., non riescono a cogliere e ad evidenziare alcuna illogicità dei relativi passaggi motivazionali. Va qui ricordato che compito istituzionale del giudice di legittimità, allo stato della normazione vigente, è quello di accertare la coerenza logica delle argomentazioni poste dal giudice di merito a sostegno della propria decisione, e non già quello di stabilire se la decisione di merito proponga la migliore ricostruzione dei fatti, né il giudice di legittimità deve condividerne la giustificazione, dovendo invece limitarsi a verificare se quest’ultima sia compatibile con il senso comune e con una plausibile opinabilità di apprezzamento; ciò in quanto l’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e) non consente alla Corte una diversa lettura dei dati processuali o una diversa interpretazione delle prove (vedasi, tra le altre, Cass. Sez. IV, 2.12.2003, n. 4842, Elia ed altri; vedansi anche Cass. Sezioni Unite, 24.9.2003, Putrella, la quale ha affermato che il vizio di illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 1, lettera e) è quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, in quanto l’indagine di legittimità sul percorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di Cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo sui vari punti della decisione impugnata; così, in precedenza, Cass. Sezioni Unite, 24.11.1999, n. 24, Spina, e Cass. Sezioni Unite, 30.4.1997, n. 6402, Dessimone ed altri, la quale ultima ha affermato che non può integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali". Il principio di diritto sopra enunciato rileva, e non può non trovare applicazione, anche nell’esame del secondo dei motivi posti a sostegno del ricorso, con il quale viene dedotto il medesimo vizio di legittimità di cui sopra in relazione al disposto dell’art. 546 c.p.p., asseritamente violata dalla sentenza impugnata, e con riferimento all’affermata insorgenza di una "narcosi da azoto" che avrebbe colpito il subacqueo Co.. Detto motivo - con il quale il ricorrente tenta nella sostanza di sostenere l’assunto di illogicità motivazionale della sentenza impugnata laddove affermativa della intraneità della condotta rimproverata al processo causativo dell’evento e, quindi, della sussistenza del nesso causale ex art. 40 c.p.p. in relazione al delitto di cui all’art. 589 c.p.p. - è infondato. Invero nella motivazione della sentenza impugnata si rileva l’avvenuta programmazione di una discesa a 60 metri di profondità, in tal senso deponendo le registrazioni del computer da polso della persona offesa (attestante una discesa continua tale da avere raggiunto la quota di 61 metri circa) e di quelli degli altri partecipanti (che hanno registrato profondità di immersione tra i 60 ed i 62 metri) e si afferma - in risposta al motivo di appello, volto a sostenere (sull’assunto che l’effetto narcosi scompare con la risalita e che è certo che nel primo tratto di risalita, dai 60 ai 40 metri, il Co. aveva tenuto una velocità controllata così avendo dimostrato, in tale fase, la capacità di autodeterminarsi) che la persona offesa non poteva essere stata colpita da una narcosi da azoto dovuta alla profondità della quota di immersione raggiunta ed alla velocità di discesa - quanto segue. Nella perizia espletata si è ponderatamente sostenuto che il deterioramento delle capacità del subacqueo in fase discendente inizia già alla profondità di 40 metri, con sindrome di prenarcosi, e che la risalita a 43 metri (dai 60 raggiunti) non aveva che attenuato gli effetti di una narcosi già in atto; inoltre il perito ha rilevato che il Co. aveva consumato lt. 2520 di aria a fronte della quantità di lt. 1913,125 necessaria per l’immersione, dal che si deduceva che, pur considerando un uso intenso del GAV nella fase di risalita per compensare la perdita di spinta dovuta al fondale, la respirazione era stata affannosa ed affrettata; tale stato di affanno si autoalimenta, più la respirazione è veloce meno i polmoni vengono ventilati, ed il ciclo aumenta in continuazione, determinandosi, in operatore inesperto e non addestrato, una vera e propria fame d’aria che non può essere soddisfatta dall’erogatore, sicché la percepita necessità di raggiungere rapidamente la superficie spinge a gonfiare il GAV e comporta una incontrollata risalita di emergenza. Tali affermazioni del perito, adeguatamente rapportate al caso concreto con un preciso riferimento alla quantità d’aria consumata dalla vittima in misura eccedente il necessario, sono state condivise nella sentenza impugnata, e sulla base delle medesime è stata operata la ricostruzione della dinamica del fatto in termini conseguenti, avendo la Corte territoriale affermato che - non emersa alcuna concreta soluzione alternativa in ordine alla individuazione delle cause determinative dell’evento, in un contesto nel quale era stato accertato tramite apposita consulenza il perfetto funzionamento dell’attrezzatura utilizzata dal Co. nell’occorso, il nesso di causalità tra la discesa del Co. a 60 metri di profondità e la morte (e quindi tra la condotta incauta dell’imputato ed il mancato rispetto degli obblighi dell’istruttore spettanti al medesimo) doveva essere ritenuto sussistente in termini di "certezza processuale" (la sentenza impugnata richiama, a questo punto, quella delle Sezioni Unite di questa Corte 10.7.2002/11.9.2002, n. 30328, Franzese, a tenore della quale, come è noto, nel reato omissivo improprio il rapporto di causalità tra omissione ed evento deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica). A tale affermazione - nella quale si dà conto della condotta colposa, sia commissiva (il coinvolgimento da parte del C. dell’inesperto Co. in una pericolosa immersione, per lui la prima a tale profondità, senza le necessarie cautele e la dovuta assistenza) sia omissiva (la omessa ottemperanza agli obblighi di controllo, spettanti all’istruttore, della condotta dell’allievo), e nella quale si dà atto altresì dell’assenza di prova della sussistenza di altri fattori interagenti nella produzione dell’evento - il ricorrente oppone una censura di illogicità manifesta sull’assunto che i secondi giudici avrebbero dovuto trarre dalla resa affermazione che la narcosi da azoto si attenua con la risalita, e dal provato corretto uso del GAV fino alla quota di 43 metri raggiunta in tale fase, la conseguenza dell’essere venuto meno l’ipotizzato stato di narcosi. Nella sostanza, il ricorrente ripropone quella stessa tesi che già era stata a posta a sostegno dell’appello e che è stata disattesa dai secondi giudici con motivazione non illogica né contraddittoria, posto che gli stessi giudici hanno affermato che la suddetta narcosi da azoto, la cui insorgenza nel caso concreto era stata motivatamente ritenuta dal perito di ufficio sulla base di argomentazioni (maxime quella relativa al calcolo dell’aria consumata dalla vittima nella fase della immersione, e quella secondo la quale l’uso, anche intenso, del GAV per compensare la perdita di spinta dovuta al fondale non elimina uno stato di affanno che si autoalimenta, con aumento progressivo della frequenza respiratoria, il che comporta in un subacqueo non esperto il tentativo di una risalita di emergenza incontrollata, sia pur esplosa, come tale, una volta raggiunta la quota di 43 metri nella fase ascensionale) che sono state riportate nella sentenza impugnata, e delle quali il ricorrente non riesce a dimostrare la illogicità né l’arbitrarietà, a fronte della motivata affermazione, in sentenza, che, se il Co. era riuscito ad operare una risalita tenuta sotto controllo per i primi 43 metri, il successivo abbandono di ogni controllo era dovuto al fatto che egli aveva finito col cedere ad una perdurante situazione di affanno connessa agli effetti residui di quella narcosi da azoto che, pur progressivamente attenuatesi nella sua entità, era comunque da tempo in atto con la relativa sintomatologia. E comunque dalla motivazione delle decisioni dei giudici di merito emerge con chiarezza come non illogicamente essi abbiano collegato l’evento letale verificatosi a quella discesa, non assistita e non controllata dall’istruttore, del Co. ad una profondità eccessiva rispetto alle capacità ed al grado di preparazione di quest’ultimo, sicché, anche a prescindere dalla insorgenza di una vera e propria crisi da azoto resta il fatto che dalla motivazione della sentenza impugnata si evince il sicuro collegamento evidenziato dall’essere la persona offesa risalita "a palla" dai 43 metri di profondità alla superficie avendo di colpo perduto ogni controllo - tra l’incauta e non assistita immersione a profondità elevata, nella quale certamente, il Co. ebbe a contare la propria sua mancanza di esperienza unitamente alla solitudine assoluta nella quale era venuto a trovarsi in quanto lasciato dall’istruttore C. in balia di se stesso; ciò in piena violazione dei compiti connessi alla veste di quest’ultimo. In conclusione - ritenuta la infondatezza della censura di violazione del disposto dell’art. 546 c.p.p., comma 1, lettera e), atteso che l’impugnata sentenza è, come si visto, compiutamente motivata con la esposizione dei motivi di fatto e di diritto sui quali la decisione è stata fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e con l’enunciazione delle ragioni per le quali sono state ritenute inattendibili le prove contrarie - il ricorso per cassazione proposto da C.C. va, per le ragioni sin qui esposte, rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente grado di giudizio, nonché alla rifusione delle spese con questo sostenute dalle parti civili costituite C.A., Co.An. e T.A. in proprio e nell’interesse dei figli minori C.V. e C.E., spese che vanno congruamente determinate in complessivi Euro 2.250,00 di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre I.V.A e C.P.A. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalle parti civili costituite, spese che si liquidano in complessivi Euro 2.250,00, di cui Euro 2.000,00 per onorari, oltre I.V.A. e C.P.A. Così deciso in Roma, il 25 gennaio 2006. Depositato in Cancelleria il 13 luglio 2006