Viaggio nel Baltico
IN TERRA DI LETTONIA FANTASTICANDO SULLE METEORITI MENTALI E
INCONTRANDO QUELLE VERE
Diario di un soggiorno di mezza estate, ospite della Writers’ House di Ventspils,
unica italiana, anzi mediterranea, tra autori del nord e dell’est Europa che
condividono per qualche settimana abitudini e incombenze pratiche da famiglia
allargata, multiple sinergie culturali e traduzioni interlinguistiche. Se a Riga, dove
abitò Richard Wagner, rimangono forti le tracce e le influenze dell’antica presenza
tedesca, nell’isola estone di Saaremaa i molti boschi sono un paradiso per i cacciatori.
Gli scrittori residenti sfilano, infine, simpaticamente in corteo, con t-shirt
d’ordinanza, per andare a leggere i loro versi al Festival delle arti locale.
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di Tiziana Colusso
Tra due rive del Baltico
Tra due rive del Baltico dispersa
mediterranea navigo a vista,
tra Visby e Ventspils, terre gemelle
spartite da chissà quale remoto cataclisma
in due archi simmetrici
nel Baltico blu cobalto.
Io Odissea senza Itache, alla quête o questua
d’una patria anche semifredda
con pensieri incastonati in ambra impura,
fossile tra geologici coralli fuori latitudine,
meteorite caduta a Kaali da galassie ignote,
io da lingue gutturali distratta al dolce favellare:
ma ormai cagna di mafiosi e occhiuti servi
la patria mia diventa e resta, e non vedo
oltre le mura e gli archi caro Leo
manco un’unghia di gloria o storia degna;
e nemmeno una vigna
per ritirarsi alla Lucius Quinctius Cincinnatus
mi par che resti ormai –
dunque di forzose odissee è la mia stirpe
di infiniti check-in ed alti lài.
Venerdì 18 luglio
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Verde profondo e compatto sotto l’aereo, come un muschio accogliente, quasi a ridosso della linea
scintillante del mare. Avvicinandosi a terra, ciò che dall’alto sembra muschio fitto si dettaglia in
foreste, boschi e raggruppamenti arborei, a perdita d’occhio. La cosa strana è vedere fitti boschi non
in alta quota, ma a livello del mare, su una scacchiera piatta composta da tasselli in vari colori e
sfumature con foreste, campi coltivati, villaggi, città, senza il minimo salto di livello, senza il più
piccolo trasalimento del terreno. Eccomi di nuovo sul Baltico, ma questa volta sulla riva opposta:
nel luglio del 2006 ero a Visby, sull’isola di Gotland, in Svezia, nel Baltic Centre for Writers and
Translators, e proprio lì ho saputo di quest’altra Writers House che stava aprendo sulla costa
lettone. In qualche maniera i due posti sembrano far parte di una stessa terra anticamente unita e poi
separata da chissà quale cataclisma tellurico. Se si segue la forma concava del lato orientale
dell’isola di Gotland, quello rivolto verso la Lettonia, si vede che combacia quasi perfettamente con
la costa lettone, convessa proprio all’altezza di Ventspills, che sulla cartina si trova in perfetta linea
orizzontale con l’isola. Anche la geografia ha una storia, che si dipana non nei secoli ma nelle ere
geologiche, e sempre mi impressiona vedere sulle antichissime mappe le diverse forme e confini dei
continenti, che ora ci sembrano definitivi ma che invece proseguono le loro imperscrutabili derive.
All’aeroporto di Riga una copia di passeggeri giovani e ricchi, tutti griffati in marche italiane,
aspettano con me le loro valigie (anche queste griffate) sotto un grande cartellone pubblicitario di
Palazzo Italia, probabilmente un grande negozio – o forse una galleria con più negozi –
specializzato in Italian fashion. Come ho già notato in molti paesi dell’est, c’è probabilmente anche
qui una generazione di trentenni di successo, con cellulari, macchine sportive e shopping
internazionale, mentre nelle zone rurali si concentra la popolazione più povera, per la quale il tempo
dell’occidentalizzazione ha portato soltanto disagi e mancanza di assistenza da parte di uno Stato
ormai votato al culto del libero mercato.
Fuori dall’aeroporto mi aspetta Dagnjia Dreika, poetessa lèttone e traduttrice di poeti francesi da
molto tempo, le prime edizioni di Rimbaud e di Baudelaire sono state le sue. Ci siamo conosciute in
Slovacchia, al Festival Cap à l’Est di Banská Štiavnica, mi piace avere questa rete di amici scrittori
in tutti gli angoli d’Europa.
Dagnjia è fieramente antirussa, la sua avversione si estende fino a indicare in ogni ubriacone di
Riga uno dei russi rimasti qui come le scorie che lascia sulla spiaggia la marea quando rifluisce.
Sembra che siano rimasti i peggiori, quelli senza mestiere e senza prospettive. L’avversione di
Dagnjia per i russi ha motivazioni storiche (tutta la popolazione lèttone non ha ancora digerito
l’annessione all’URSS) ma anche personali, dal momento che suo nonno, un lèttone di origini
tedesche, è morto di fame in Siberia, mentre il padre è tornato da quel deserto ghiacciato a piedi,
nutrito con il pane che il nonno si era tolto per tenerlo in vita. Certo, vista da fuori la sua avversione
sembra veramente eccessiva, camminando per Riga mi dice che tutto sommato era migliore
l’invasione dei nazisti rispetto a quella dei sovietici. È interessante osservare le ferite e i postumi
della Storia sulle persone, sulle singole storie, attenti agli snodi in cui la storia personale incrocia e
si intreccia con la Storia collettiva. In questi nodi, in questi grumi spesso impuri di vita e di vicende,
ci sono le verità umane, spesso nascoste da sommarie e manipolate verità storiche.
Certo è che la cultura tedesca ha lasciato una forte impronta a Riga, credo che l’ammirazione di
lunga data per la cultura tedesca, qui fortemente radicata, sia stata una sorta di attenuante agli occhi
dei lèttoni per le aberrazioni del nazismo. Dagnjia mi mostra l’imponente palazzo dell’ambasciata
tedesca, poi la casa dove Richard Wagner ha abitato nel suo lungo soggiorno a Riga. Ora c’è una
via intitolata a Wagner, nel luogo dove c’era lo studio del musicista. Riharda Vāgnera Iela. È buffo,
nelle lingue che declinano i nomi propri, a volte questi diventano quasi irriconoscibili. Una targa
riporta le date del soggiorno: 1837-1839. Per sfuggire ai creditori Wagner si trasferisce a Riga, dove
ottiene un posto da dirigente musicale, che perde però due anni dopo. Qui scrisse l’opera Rienzi.
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Nel 1839, nuovamente in fuga dai creditori, varca di nascosto, il confine fra Russia e Prussia, si
imbarca su una piccola barca a vela alla volta di Londra: da questo viaggio burrascoso, in balia di
un mare avverso, Wagner trarrà ispirazione per Il Vascello Fantasma. Come sembrano poetiche le
vite, persino i creditori sembrano forze benigne che contribuiscono all’ispirazione. Se uno riuscisse
a guardare con questo stesso occhio la propria vita, e i propri creditori…..
La sera, sfogliando un bel libro su Riga che mi ha regalato Dagnjia, e altri materiali che avevo
stampato da Internet, scopro che alla Lettonia sono legati altri nomi famosi, tra gli italiani
sicuramente il più famoso è Giuseppe Tomasi di Lampedusa, che ha vissuto per vari anni nel
castello di Stāmeriana, dopo aver sposato nel 1932, proprio qui a Riga, la nobildonna Alexandra
von Wolff, già al suo secondo matrimonio. Dalle foto su Internet il castello di Stāmeriana deve
essere bellissimo, peccato che si trovi in tutt’altra parte del paese sia rispetto a Riga che rispetto a
Ventspills. Non è sulla costa, come queste due località, ma nel cuore interno e boscoso del paese.
Pare che ci sia una biblioteca favolosa, in parte creata proprio da Tomasi di Lampedusa. Certo dopo
i caldi siciliani immagino che gli inverni nei boschi gelidi di un paese confinante con la Russia non
deve essere stato il massimo. Immagino lo scrittore immerso in lunghe letture nel salone riscaldato
dal camino. In realtà, poi, dai documenti mi sembra di capire che i due coniugi vissero soprattutto a
Palermo, con la madre di lui, ma che Alexandra scappò ben presto per tornare in Lettonia. La nobile
e colta dama, studiosa di psicoanalisi, al secondo matrimonio, si sarà detta “Meglio i lupi della
steppa nordica alla porta che la suocera sicula in casa…”
Sabato 19 luglio
Altri giri per Riga, bisognerebbe girare con il naso all’insù per guardare tutte le sculture sui tetti.
Una delle più belle è sicuramente la casa in stile art decò denominata Maison des Chats, sovrastata
scultura stranissima enorme di gatto in bronzo sul tetto. Mentre fotografavo casa e scultura un gatto
vero si è manifestato sulla soglia per farsi fotografare. Inseguendo con la macchina fotografica un
altro gatto proprio all’angolo della casa, in un piccolo giardino, sono incappata in una strana
scultura, nota qui come Viso di Pietra. La scultura è stata trovata da alcuni archeologi, nessuno ne
sa l’origine, forse è una figura mitologica, o forse lo scherzo di un artista. Mi impressiona la sua
rassomiglianza con la raffigurazione che un’artista ha realizzato per illustrare una mia favola, Il
paese delle orme, che ha per protagonista una pietra rotolante, una rolling stone identica a questa
che ora sta al centro di un minuscolo giardino pubblico di Riga. Vedi come arrivano lontano, le
pietruzze rotolanti…..
Nel caldo afoso del pomeriggio parto in pullman per Ventspils. Dagnjia mi saluta da terra, tra
qualche giorno arriverà anche lei alla Writers’ House sulla costa. Il vecchio bus percorre una strada
tra i boschi, a volte qualche anziana vende sul ciglio della strada i “frutti della foresta”, tipici del
paese: lamponi, mirtilli, visciole. In Italia sono frutti esotici, qui sono diffusi e popolari come le
patate. Lungo la strada noto la frequente presenza di grandi cicogne appollaiate in appositi nidi
costruiti in cima a pali della luce, o sui tetti delle case. Mi piace immaginare – e forse è proprio così
– che si tratti di rituali per attirare la buona fortuna, o la fecondità, di cui le cicogne sono simboli.
Alla stazione dei pullman mi aspettano la direttrice della International Writers’ House, Andra
Konste, e la coordinatrice della struttura, Ieva Balode, entrambe piacevolemente informali, come
sempre nel nord Europa. Contrariamente a quanto accade in Italia i funzionari o professori o
direttori dei paesi nordici non hanno bisogno di circondarsi di un alone quasi mistico e reverenziale
per essere credibili. Prima impressione di Ventspills, nel tardo pomeriggio: grida di gabbiani nel
silenzio di un piccolo villaggio. Nei giorni successivi ho poi scoperto che si tratta in realtà di una
cittadina piuttosto estesa, e fortemente abitata, con un passato glorioso di porto commerciale,
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avviato già nel 1300. Ma la Writers’ House è un po’ separata, in una piazzetta vicino ad una delle
rive dei vecchi moli, dove non passa quasi mai nessuno.
La Casa degli Scrittori è un’ampia e bassa costruzione in pietra, con la facciata sulla piazzetta (dove
si affacciano anche una grande Biblioteca e una Chiesa) e il retro che comprende un giardino
piccolo ma accogliente. Non ho più lo stupore della mia prima volta in una Writers’ House, a Visby,
amplificato anche dal fascino di essere su di un’isola in mezzo al mare, raggiungibile soltanto con
un’ora di un piccolo aereo da Stoccolma o da una nave, che però parte da qualche località della
costa sud della Svezia. Tuttavia è sempre un’emozione entrare in una casa che non sarà un alloggio
temporaneo ed estraneo, come un albergo, ma il luogo dove per un lungo mese vivere, mettere la
spesa in un ripiano del grande frigo collettivo, scrivere, fare amicizie, fare il bucato nelle lavatrici a
disposizione e stenderlo all’aperto in cortile, fare la sauna, prendere in prestito un libro dalla
biblioteca. È un’esperienza che consiglio ad ogni scrittore. Peccato che siano pochissimi gli scrittori
italiani che girano in questi posti. Qui a Ventspills sono la seconda italiana a sbarcare, anche a
Visby ero l’unica dispersa mediterranea in mezzo a scrittori soprattutto dell’Europa del nord e
dell’est. In Italia gli scrittori preferiscono stare a casa propria, o ospiti da amici per le vacanze,
rimanendo pigramente nelle loro abitudini, molti non parlano lingue straniere, o forse
semplicemente molti ignorano l’esistenza di queste Case degli Scrittori, sparse in tutta Europa, di
questo modo di viaggiare unico nel suo genere.
Domenica 20 luglio
Proprio di fronte alla Writers’ House, nella piazzetta che contiene anche la magnifica Biblioteca
pubblica, c’è una chiesa luterana. Mentre facevo colazione nella cucina della Casa ancora silenziosa
– sembra che le allodole mattutine come me siano poche tra gli ospiti – ho sentito suonare le
campane, e ho deciso di affacciarmi a curiosare. Protetti da un gentile signore in nero che apre la
porta e soavemente controlla chi entra, gli abitanti di Ventspils ascoltavano una messa cantata, con
il contributo di un magnifico organo, perfino sproporzionato alle dimensioni della chiesa. Le panche
e gli arredi in legno dipinto in bianco e verde acquarello – come quelli che si usano nelle camerette
di bambini – creavano un alone di pacifica luce, ben lontana dalla drammaticità metafisica di certe
chiese barocche. Un’atmosfera di sereno raccoglimento di una comunità di villaggio: molte teste
bianche di anziane ed anziani, con prevalenza di donne come sempre nelle chiese, ma anche
famiglie con bambini piccoli, e qualche ragazzotto con tatuaggi sulle braccia e ragazzine con gonna
corta. La cerimonia della comunione è un po’ diversa da quella cattolica, e si svolge in un rituale
complesso e lungo, accompagnato dalla musica. I fedeli, a piccoli gruppi (gli altri aspettano in
ordinate file) si dispongono inginocchiati in una lunga panca di fronte all’altare, l’officiante con
abito talare passa a benedire ognuno appoggiando le mani sulla testa, poi due suoi aiutanti vestiti in
abito nero con croce all’occhiello passano a distribuire rispettivamente l’ostia e a far bere ciascun
fedele da un unico calice, pulendolo ogni volta con una salvietta. Ho notato che tutti quelli che
vanno a fare la comunione lasciano borse e borsette appese nei banchi ad appositi ganci, nessuno la
porta con sé. Evidentemente si conoscono tutti, oppure hanno una grande fiducia nel prossimo.
Anche la Writers’ House è quasi sempre accessibile – tranne la notte quando viene attivato
l’allarme, e anche questo soltanto da poco, da quando sono stati rubati dei computer. Durante il
giorno però il cancello del giardino è aperto, e aperta è la porta finestra che dal giardino porta nella
cucina e da lì alle camere. Credo che qui comunque il peccato più frequente in queste latitudini non
sia rubare ma ubriacarsi, almeno a giudicare dal numero di vagabondi che si vedono nei negozi e
supermarket a comprare bottiglie di birra pagando con infiniti spiccioli, il risultato di elemosine
probabilmente. Nei negozi sono sempre tolleranti con loro, le commesse aspettano che abbiano
finito di contare le monetine farfugliando e cercandosi nelle tasche di zozzi pantaloni.
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Il pomeriggio sono andata a passeggiare lungo il vecchio porto commerciale, che è in effetti a
cinque minuti a piedi dalla Writers’ House. Ventspils è stato il maggior porto di transito per il
petrolio sovietico, ora è in parte dismesso, rimangono soltanto poche attività e molte delle
gigantesche strutture arrugginiscono inutilizzate. Dal 1996 ha lo status di porto franco. Mi diverto a
fotografare il porto industriale, l’industriarsi delle grosse navi e chiatte da trasporto, le strutture in
metallo, le gru, i mucchi di carbone. Mi affascinano, molto più della parte balneabile della costa,
nonostante la palpabile presenza di fattori inquinanti, l’odore di nafta che a volte le navi si lasciano
dietro in scia, i metalli che marciscono nel terreno. C’è qualcosa di epico, in questo gigantesco
porto dell’ex-potenza sovietica. La ruggine di queste strutture è la ruggine stessa della Storia. Ho
perfino preso un battello turistico che fa il giro del lungo porto, per vedere e fotografare meglio le
strutture. Sotto gli occhi un po’ perplessi dei turisti, che tenevano le macchine fotografiche in mano
inutilizzate in attesa di qualcosa di canonicamente bello da immortalare, ho scattato molte foto a gru
fatiscenti, vagoni ferroviari fermi sui binari dell’angiporto, banchine di carico ricoperte di
vegetazione selvatica, imbarcazioni in secca, silos pieni di crepe. Fotografie di vago sapore
costruttivista, e insieme fascino di rovine di una civiltà, come se queste gru fossero totem di qualche
città sepolta. Poi il battello ha virato verso la parte abitata del porto, dove ci sono anche costruzioni
interessanti turisticamente – il Castello dell’Ordine dei Livoniani, la vecchia costruzione della
Capitaneria di Porto, le nuove fontane scolpite – e qui i turisti si sono rianimati, e hanno fatto a gara
a catturare qualche immagine-cartolina da mostrare a parenti e amici.
Lunedì 21 luglio
Prima spesa al mercato di Ventspils, molto colorato e fornito. I frutti di bosco sono diffusi ed
economici come avevo immaginato vedendone i cesti in vendita lungo la strada statale. Sempre dai
boschi arrivano dei funghi a campana, gialli, ma per il momento non me la sento di acquistarli,
voglio prima sapere dalle responsabili della Casa se sono sicuri. Tra i venditori nessuno parla
l’inglese, figuriamoci l’italiano. Così imparo a fare la spesa a gesti, e a farmi scrivere, mimando il
gesto, la cifra da pagare in lire lèttoni su foglietti. In un banco di frutta la venditrice fa ancora i
calcoli con un pallottoliere di legno colorato, che manovra con sorprendente velocità. In un altro
banco vendono solo fiori e patate, e colpita dall’accoppiamento insolito li compro entrambi. La
prima parola che imparo in lettone è Alus, birra. Ne vanno matti, e ne distillano una varietà
autoctona qui a Ventspils, densa e saporita., la Užavas Alus. Il vino è considerato qualcosa di
esotico. Un giorno ho incontrato nel supermercato vicino alla Writers’ House uno degli ospiti, un
poeta e giornalista lèttone, e accanto agli scaffali ci siamo imbarcati in una animata discussione in
inglese riguardante il vino, in cui lui cercava di convincermi che i vini italiani e francesi hanno
troppo carattere, e che la gente vuole invece vini equilibrati, come quelli californiani o cileni.
Martedì 22 luglio
Dopo la scoperta della pietra con il viso scolpito a Riga, altre pietre accompagnano questo viaggio.
Tutto il lungoporto è costellato di sculture in pietra, di vario genere e di vario interesse. Sicuramente
la più interessante, soprattutto per il titolo, è quella denominata “Sette meteoriti mentali”, scultura
del 1996 di un certo O. Feldbergs, come recita la targa illustrativa sul lato. Ho cercato poi su
Internet notizie su questa scultura e su questo autore, ma senza riuscire a trovare nulla. Ho trovato
però in una pubblicazione nella biblioteca della Casa degli Scrittori la storia di una meteorite vera,
di cui rimane un cratere-lago sull’isola di Saarema, a poca distanza dalla costa lèttone, ma già nelle
acque appartenenti all’Estonia. Decido di andarci, mi affascinano le meteoriti, sono anche loro delle
rolling stones che corrono su e giù per gli spazi interplanetari, imprevedibili e bizzarre come i
meteoriti mentali che rimbalzano tra i campi gravitazionali dei pensieri.
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Camminando per quasi mezz’ora arrivo finalmente alla costa balneabile oltre gli spazi chiusi e
ingombri del porto. Dietro un’alta duna cespugliosa, il mare. Il vento è molto forte, solleva in
mulinelli la sabbia chiarissima e fine. A Gotland la marea gettava sulle rive piccoli frammenti
fossili, pietre grigie spesso con tracce di animali preistorici all’interno. Qui, a quanto mi hanno detto
le responsabili della Writers’ House, il mare a volte deposita in spiaggia pezzi di ambra, che è
sempre un fossile, ma talmente bello da poter diventare un gioiello. Sollevando un pugno di sabbia
per esaminarla alla ricerca di ambra, ho catturato invece due coccinelle, forse scese dai fitti cespugli
che delimitano la spiaggia.
È tutto molto pulito, sia la spiaggia che il mare, freddissimo (mi limito ad immergere la punta di un
piede). Su una guida che avevano alcuni italiani in gruppo sull’aereo, avevo letto che Ventspils, alla
fine degli anni ’80 soffocava nelle polveri di carbonato di potassio, ma poi è stata oggetto di una
vasta operazione di pulizia, ora la località costiera ha la “Bandiera Blu”.
Mi metto in un angolo riparato a leggere, voglio vedere che effetto mi fa rileggere su una immensa
e quasi deserta spiaggia nordica la mia favola Il paese delle orme, che è ambientata appunto su una
spiaggia, e che già Dagnjia – che l’ha letta nella versione francese – sta iniziando tutta infervorata a
tradurre in lèttone. I fogli mi scappano dalle mani e corrono sulla spiaggia, portati dal forte vento di
mare, così rapidi che non riesco a riacchiapparli, e corro a perdifiato per un bel po’. Poi finalmente
un uomo si volta verso di me e capisce la situazione, si piazza un po’ piegato in avanti come un
portiere di una partita di calcio e letteralmente “para” i fogli che gli passano accanto.
Mercoledì 23 luglio
Nelle lunghissime serate, con la luce dell’estate nordica che fino a mezzanotte resiste caparbiamente
in cielo, leggo un libro di narrativa storica che riguarda insieme l’Italia e la Lettonia. L’autore è
Maurizio Lo Re, che per alcuni anni ha ricoperto l’incarico di ambasciatore italiano a Riga, e
durante il suo mandato è incappato in uno strano personaggio storico, Filippo Paulucci. Il libro,
intitolato appunto Filippo Paulucci, l’italiano che governò a Riga, (Book & Company) racconta la
storia di questo personaggio particolare, cadetto di una famiglia di marchesi e avventuriero, ha
contribuito a liberare i servi della gleba in Lettonia, a promuovere la lingua lèttone,
all’ammodernamento urbanistico di Riga, al punto che – come racconta l’autore in una nota – gli
era stata dedicata una strada nella capitale. Nel 1925, però, subito dopo la prima indipendenza della
Lettonia, la strada aveva cambiato nome. Io non sono in genere una fan dei libri storici, ma devo
dire che questo mi affascina per lo stile e soprattutto per la possibilità che ho di leggerlo qui, in
loco, immersa nell’atmosfera del paese e della cultura. Intanto mi ha permesso di scoprire qualche
cosa sulla storia della Lettonia, che nel XIX secolo, al tempo di Paulucci, era ancora divisa nelle
regioni della Livonia (dove si trova Riga) e della Curlandia − dove si trova Ventspils, e quindi dove
mi trovo io con questo libro in mano nell’infinito crepuscolo baltico. Del resto anche Ventspils a
quel tempo aveva un altro nome, Windau.
Giovedì 24 luglio
Stasera nel giardino della Casa degli Scrittori una proiezione all’aperto, sul muro di cinta – con un
proiettore collegato a un computer – di cartoline d’epoca di Ventspils e dintorni. Tutto questo è in
perfetta sintonia con il libro di Lo Re sulle vicende storiche della Lettonia. Certo era un bel tipo
quel marchese Paulucci, che si era preso la briga di venire nel freddo delle foreste di betulle per
perorare la causa dei servi della gleba, chiedendone ai latifondisti della Livonia, della Curlandia e
dell’Estonia l’affrancamento e la cancellazione del debito contratto con il padrone della terra
durante il suo stato servile. L’autore della biografia di Paulucci ha riportato stralci di lettere, ed è in
effetti notevole leggere una missiva che Paulucci manda il 13 dicembre 1818 al Landtag (il governo
della regione), dove si dice che affrancare i servi della gleba senza cancellare i debiti è una finta
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liberazione, perché “se il debitore dovrà restituire i debiti, facendo il bracciante, egli certamente
perderà in modo indiretto la libertà personale e la sua posizione diventerà pessima”.
Sulle cartoline di Ventspils-Windau, foreste sbiadite in color seppia si alternano a ville sbiadite
color seppia, a paesaggi marini color seppia. Sicuramente queste immagini restituiscono meno la
storia del paese delle parole di Lo Re, italiano appassionato della Lettonia.
Venerdì 25 luglio
Dagnjia ha finito la sua traduzione – attraverso la versione francese – della mia favola Il paese delle
orme, ho deciso che per l’edizione lèttone che lei vuole proporre ad una casa editrice al posto delle
illustrazioni della prima edizione metterò alcune delle foto che sto facendo qui, ad ogni passeggiata
sulla costa, con il sole o il vento, con le onde lunghe e il sole abbacinante nelle pozze bagnate sulla
sabbia. Alcune delle foto sono risultate – al di là delle mie aspettative – quasi astratte, ricordano
alcune immagini di arte povera.
Sabato 26 luglio
Nel giardino stasera, ho visto svolgersi un episodio che è l’esatto contrario della Storia della
gabbianella e del gatto che le insegnò a volare di Luis Sepúlveda, favola tutta positiva e perfino
melensa di amicizie fra specie diverse, e di solidarietà tra esseri viventi. Lì c’è un gatto che alleva
una gabbianella sperduta e orfana, la protegge fino a quando questa non sarà un’adulta autonoma e
in grado di volare. Qui, ho visto sotto i miei occhi malinconici – come sempre nel momento del
calar del sole – un gatto vecchio e malato di una brutta ferita al collo essere letteralmente cacciato
dalla scodella di cibo che le responsabili della Casa gli avevano preparato in un angolo all’aperto,
per non farlo mangiare con gli altri due gatti in cucina. A cacciarlo è stato un gabbiano, enorme, che
è planato a becchettare con il suo becco adunco tutto il cibo, soffiando ad ali spiegate per cacciare il
legittimo commensale. Il gatto, troppo debole per combattere, si è rifugiato sotto l’altalena, e il
gabbiano ha finito tutto il cibo, e poi è volato via. Non c’è un finale positivo per questa favola, anzi
non è nemmeno una favola. È la vita nuda e cruda, in un infinito crepuscolo nordico.
Domenica 27 luglio
Il mercato ortofrutticolo è aperto anche di domenica, finalmente ho il coraggio di comprare i funghi
locali dalle vecchiette con i secchielli pieni di prodotti dei boschi, e di mangiarli.
Lunedì 28 luglio
Dopo averla vista tante volte da fuori, mi decido ad entrare nella Biblioteca di Ventspils, in parte
una costruzione in pietra e in parte un corpo aggiunto moderno, in legno e vetro, come si usa nel
nord Europa. È enorme per un posto così piccolo e periferico. Nessun libro italiano, neppure
tradotto. Mi ricordo che nella Biblioteca Pubblica di Visby, sull’isola di Gotland, altrettanto bella e
moderna, erano allineati una trentina di libri italiani, in gran parte tradotti in svedese, alcuni anche
in italiano, soprattutto classici ma anche autori noti del Novecento (Bassani, Moravia, Pavese,
Pasolini). È interessante vedere quali libri italiani si leggono all’estero, soprattutto in posti sperduti.
Dopo la delusione della totale assenza di libri italiani alla Biblioteca Pubblica, esplorando la saletta
biblioteca della Casa degli Scrittori – che contiene soprattutto i libri scritti o tradotti dagli ospiti
della Casa, e qualche libro sparso lasciato qui forse per alleggerire le valigie del ritorno – ho trovato
un’edizione francese di alcune novelle di Pirandello, dalle Novelle per un anno, tradotte con il titolo
collettivo Eau amère da Gallimard. Leggo i titoli delle novelle in francese, chissà a cosa
corrispondono in italiano. Eau amère. La mort à la bouche. Le mal de lune. Quand j’étais fou… Ho
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letto le novelle di Pirandello quasi trent’anni fa, e mi fa piacere rileggerlo. Soprattutto mi piacciono
questi cortocircuiti culturali. Sul dondolo del giardino della Casa degli Scrittori, in una cittadina
lettone sulla costa del Baltico, leggo le novelle di Pirandello in edizione francese che evocano
luoghi come Chianciano o la Sicilia, bevendo birra locale di Ventspils, amara come l’acqua di cui
parla la novella. Questi sono gli aspetti positivi della globalizzazione, ovvero quelli non tendenti
verso l’omologazione delle culture ma l’integrazione, favorita dalla facilità della circolazione di
libri, merci, persone.
Martedì 29 luglio
Esperimento di traduzione multipla dal vivo, tra italiano, francese e lèttone, in una cucina baltica,
con la partecipazione virtuale di Ingeborg Bachmann. Io e Dagnjia avevamo deciso di tradurre
reciprocamente dei nostri testi di poesia, passando attraverso il francese come lingua condivisa.
Dagnjia ha già fatto in due giorni molte traduzioni, io sono stata meno attiva su questo, ho solo
fatto, sulla spiaggia, una prima traduzione in italiano a matita accanto alla versione francese. Bref,
ieri Dagnjia mi chiede se c’è la versione francese anche del mio testo sulla Salamandra (Resistere
come le salamandre, ne Il sanscrito del corpo) perché anche lei ha un testo dove si parla di
salamandre. Mi dà il suo in francese, che io traduco subito perché è breve. Poi traduco anche il mio
dall’italiano al francese, e porto la versione a Diane Meur, scrittrice belga che vive a Parigi, per una
revisione. La cosa particolare è che Diane è anche traduttrice dal tedesco, e quindi ritraduce
direttamente in francese dalla versione tedesca (che io ho trovato su Internet) la frase di Ingeborg
Bachmnann che ho messo in incipit del mio testo: “Vedo la salamandra guizzare attraverso tutti i
fuochi. Non la incalza alcun fremito, e non prova alcun dolore”. Ich seh denj Salamander……
Mentre io cucino una minestra di verdure per la cena, Diane seduta accanto a me mi chiede
spiegazioni sul testo, e apporta delle variazioni. Più in là Dagnjia sta per conto suo, bevendo vino
rosso e leggendo da un’antologia i testi di un poeta lèttone di lingua russa che aveva conosciuto e
anche ospitato, e che è morto giovane. Alla fine di una lunga revisione, con momenti di
divertimento surreale, la versione francese è pronta, e la passo a Dagnjia per la traduzione in
lèttone, che lei farà stanotte, essendo di abitudini notturne.
Tutto questo andirivieni tra le lingue sembra faticoso, e in effetti in alcuni momenti richiede molta
attenzione, ma quando l’atmosfera è rilassata e amichevole, come in questa cucina di una Writers’
House in piena estate, il viaggio tra le lingue diventa un itinerario fantastico…
Forse tra donne è più facile trovare subito questa sorta di intimità e sintonia. Gli autori maschi ospiti
qui nella Casa sono più orsi e solitari, come un Estone che sta tutto il giorno in giro in bicicletta o
barricato in camera sua. Oppure più timidi, come un giovane autore lèttone che ogni tanto si
affaccia discretamente alla cucina per avere un piatto cucinato, e in cambio fornisce indicazioni
dettagliate sulla Lettonia, il clima, il cibo, i trasporti e così via. Sembra che ci siano posti bellissimi
da vedere, ma dovrei affittare una macchina e trovare adepti con cui condividere il viaggio e le
spese. Intanto domani se il tempo regge andrò nell’isola di Saarema, a 4 ore di traghetto da qui, già
nelle acque dell’Estonia.
Oggi per tutto il giorno hanno montato le strutture di un palco proprio nella piazzetta davanti alla
Casa degli Scrittori, e stasera hanno iniziato le prove dell’opera Orfeo ed Euridice di Gluck, che
andrà in scena giovedì 31. Meraviglia infantile del teatro, soprattutto delle prove, di tutto ciò che è
prima e intorno allo spettacolo! E ancora più meraviglioso quando questo accade proprio sotto le
finestre, e si può volar giù in un attimo a fare le foto e poi dopo due minuti scaricarle sul computer
ascoltando dal vivo la musica dell’opera che arriva dalla finestra!
Mercoledì 30 luglio
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Alle 8.30 del mattino siamo già in alto mare, tra la Lettonia e l’Estonia, visto che l’isola di
Saaremaa si trova in territorio estone. Le gigantesche strutture portuali di Ventspils sono già svanite
alle nostre spalle e navighiamo bordeggiando la costa della Lettonia, in direzione di Capo Kolka –
consulto le mappe che sono riuscita a trovare, cercando di assumere l’espressione del lupo di
mare…. Ho comprato sulla nave, dopo un doveroso cambio da euro in corone estoni (ora ho tre
valute diverse in tasca, ogni volta che devo pagare un caffè diventa una cabala), un cappellino con
visiera per il sole, con sopra la scritta “Captain”. Ma stamane mi sento ben poco capitanante, ho
dormito poco e sono anche un po’ malinconica. Oh capitàno mio capitàno, sono cose che càpitano!
Mi assopisco per un po’ nelle poltrone interne del traghetto, e quando mi sveglio sono le dieci e
siamo quasi in mare aperto. Si vede sparire l’estrema lingua di terra di Capo Kolka, là dove si
incrociano i due mari, il golfo di Riga e il Baltico – poi non si vede più terra da nessuna parte
dell’orizzonte. Il viaggio dalla costa di Ventspils all’isola di Saaremaa dura quattro ore. Le
istruzioni dagli altoparlanti del traghetto vengono date in due o tre lingue incomprensibili
(sicuramente estone, lèttone, russo) e infine in inglese. Ma si tratta di un nastro registrato, nella
realtà nessuno dell’equipaggio sa una parola d’inglese, e in caso di naufragio dovrei cercare di
captare istruzioni in idiomi che non mi offrono nessun appiglio.
Arriviamo in una costa deserta, con una lingua di sabbia chiara e fitti boschetti alle spalle, sembra
quasi un’isola tropicale. All’attracco, solo un capannone per il controllo dei passaporti. Nulla
d’altro. Quasi tutti si sono imbarcati sul ferry con le macchine e una volta sbarcati partono alla
scoperta dell’isola boscosa. Quelli appiedati, ovvero io e un gruppo di tre tedescoidi, si ritrovano in
balia di un pulmino semovente definito pomposamente “bus”. I tedeschi mi ignorano durante il
viaggio, tranne una ragazza che addirittura mi si rivolge in italiano, appena sentito il mio nome. È
una svizzera di Berna, che ha imparato l’italiano dal suo primo amore, nato in Svizzera da famiglia
italiana. Parliamo un po’ in italiano, mentre gli altri continuano imperterriti a conversare in tedesco
e ai lati del pulmino sfilano boschi su boschi, assai fitti. Capisco perché in un depliant si diceva che
l’isola è considerata un paradiso per i cacciatori. Questi boschetti devono essere pieni di cinghiali e
di altri poveri animali a cui vengono a sparare da tutta Europa, forse anche grazie ad una
legislazione favorevole. Pochissime casette bianche o costruzioni in legno isolate nei punti in cui i
boschetti – di piante sottili, forse betulle – si diradano.
Arrivati alla cittadina di Kursaama, il gruppo dei tedeschi se ne va a passeggiare nei dintorni in
attesa del pulmino di ritorno. Io mi faccio venire un’idea strampalata, faticosa, e anche rischiosa:
rischio cioè di allontanarmi troppo, e di non riuscire a tornare in tempo per riprendere il pulmino
che ci deve riportare al traghetto, unico e ultimo del pomeriggio. Sarebbe disdicevole restare in
territorio estone, a cercare un albergo con pochi spiccioli in tasca, invece di tornare nella mia bella
(e gratuita) cameretta-studio della Casa degli Scrittori, al di là del mare e del confine. Ma siccome
la curiosità mi punge e le stradine della cittadina sono noiose e piene di turisti, decido di provare.
Ho letto mentre ero sulla nave, in un catalogo di presentazione in inglese che mi avevano dato al
porto di partenza, che al centro dell’isola di Saaremaa, nella località di Kaali, nel fondo di un bosco,
c’è un piccolo laghetto formato dal cratere di un’antica meteorite piombata (con altre consorelle più
piccole) sulla zona. Non ho mai visto un cratere di meteorite, e tanto meno frammenti di meteorite
conservati nel museo costruito ad hoc a Kaali. Si tratta di fare una trentina di chilometri di una
strada nel bosco, e altri trenta a tornare. Al centro di informazioni turistiche riesco a spiegarmi in
inglese e a farmi chiamare una macchina privata, uso taxi. Il guidatore, piuttosto attempato, non
parla nessuna lingua straniera, e veramente non so come sono riuscita a spiegargli che il prezzo
concordato con l’ufficio turistico non l’avrei pagato tutto in soldi estoni, perché ne avevo cambiati
solo pochi per mangiare, ma in parte in valuta dell’Estonia, parte in moneta della Lettonia e
qualcosa in euro. Alla fine, di fronte ad un fascio di banconote (molta carta e poco valore, in tutto
nemmeno 30 euro) di vario tipo e nazionalità che insistevo a mettergli tra le mani, l’uomo ha alzato
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le spalle e mi ha fatto cenno che si partiva. Ha pensato sicuramente che ero pazzoide, a fare tutto
quel casino per vedere un buco nel terreno ricoperto di acqua piovana, ma è stato molto gentile per
tutto il viaggio. Ha perfino pulito con il tergicristalli il vetro quando ha visto che facevo foto
polverose alla strada.
Devo dire che sono orgogliosa della mia capacità di sbrigarmela da sola in ogni situazione e in ogni
angolo di mondo, tranne forse che nella palude italica…. I nomi dei villaggi che passiamo sono
affascinanti: Kaali, Kaarma…. Una sorta di oriente vocalitico trapiantato in un’isola baltica
sforacchiata dalle meteoriti…
A proposito di oriente, una volta arrivata scopro che nel laghetto perfettamente sferico che ha
ricoperto il cratere crescono dei bellissimi fuori di loto. Non mi stupisco di questa presenza esotica
in queste latitudini, già ipnotizzata dalla dea Kalì di Kaali……
Il museo – Kaali Meteoriitika-ja Paekivimuuseum – è pieno di reperti interessanti, in aggiunta alle
meteoriti locali ci sono frammenti di rocce meteoritiche provenienti da tutto il mondo, faccio
rotolare con dovizia queste meteoriti mentali nella mia testa curiosissima, fino a quando non mi
rendo conto che è ora di tornare a recuperare il tassista dal bar dove l’ho lasciato (l’unico del luogo)
e farmi riportare di corsa a Kursaama, se non voglio perdere il traghetto.
Non ho mangiato e sono in viaggio per mare e per terra dalla mattina alle 7, ma le meteoriti mi
danno una forza incredibile, forse a causa di tutto il ferro che contengono divento una specie di
Braccio di Ferro intergalattica: e nel quarto d’ora che mi resta prima di precipitarmi al pulmino di
ritorno con gli altri turisti, riesco a correre a vedere uno strano castello esagonale al porto di
Kursaama, al centro di un lago artificiale che funge da fossato, e perfino a fotografare dei grassi
rondinotti che abitano una rientranza del muro di cinta del castello invece di un nido.
Eppure qualche scotto dovevo pagarlo per tanta felice tracotanza, ed ecco che nel viaggio di ritorno
in traghetto, appena ripartiti da Saaremaa, vengo punta sul pollice, mentre cerco di scacciarlo, da un
grosso insetto che rassomiglia ad un’ape ma di dimensioni enormi (giuro, non ho mangiato nessun
fungo allucinogeno sul bordo del cratere meteoritico), che mi fa letteralmente piangere di dolore. Il
personale del traghetto, spaventato, chiama un ufficiale di bordo, gentile e cavalleresco come da
manuale, il quale mi fa preparare una rudimentale borsa del ghiaccio dal bar, mi spalma una
pomata, mi accompagna in una cabina assai confortevole dove mi terranno in osservazione per
sincerarsi che non mi venga uno shock anafilattico a causa del veleno dell’insetto. Faccio il resto
del viaggio sdraiata come una crocerista tra i cuscini, con il pollice in fiamme appoggiato sul
ghiaccio, sospesa tra pigrizia e malinconia. Riemergo dalla cabina alle 8 e mezza di sera, il sole
lunghissimo dell’estate nordica è ancora sopra il filo dell’orizzonte, e riesco a stare ancora un po’
sul ponte, e a guardare le manovre di entrata nel lungo canale del porto di Ventspils. Nel giardino
della Writers’ House gli ospiti prendono il fresco della sera, tutti mi chiedono della gita a Saaremaa,
e sono sicura che se non fossi tornata stasera, perdendo il traghetto o per altre ragioni, si sarebbero
preoccupati come una vera famiglia. La pietra rotolante per isole, crateri e cabine è tornata nella sua
temporanea ma confortevole casa.
Giovedì 31 luglio
“Orfeis un Eiridike”, il titolo è in lèttone ma per fortuna il libretto è in italiano (con traduzioni in
lèttone che scorrono proiettate su pannelli ai lati della scena. Credo di essere l’unica a capire il testo
in tutta questa folla (ma da dove sono usciti?) che si è radunata nella piazzetta di fronte alla Casa
degli Scrittori per l’esecuzione dell’opera di Gluck. Mi dicono che il protagonista è il Controtenore
più famoso del paese, e che è un grande onore averlo qui. Qui vuol dire non solo a Ventspils, ma
proprio nella Writers’ House, dove i musicisti, i cantanti e i ballerini hanno fatto per vari giorni
avanti e indietro durante le prove, e anche stasera li ho visti indossare i vestiti di scena nella nostra
sala biblioteca trasformata in camerino. È bello vivere per un po’ dentro un teatro. Dopo lo
spettacolo sono venuti tutti a bere nel nostro giardino, e il controtenore mi diceva dispiaciuto di
conoscere in italiano solo le parole dei libretti d’opera.
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Venerdì 1° agosto
Da quando ho cominciato a pensare alle meteoriti intergalattiche, mi arrivano varie news “spaziali”.
Oggi leggo su Internet: la Nasa conferma c’è acqua su Marte. Sempre su Internet trovo l’annuncio
di un’eclissi di sole, che si dovrebbe vedere bene proprio qui, nel nord Europa: il punto più forte
dell’eclissi sarà tra la Groenlandia e la Siberia. Alle 12, l’ora prevista, sbircio il cielo attenta a non
bruciarmi gli occhi, ma mi sembra di non vedere ombre sul sole.
Dopo una mattinata sonnolenta, da giorno dopo la festa, alle cinque ricomincia a filtrare la musica
delle prove dalla finestra del mio studio. Oggi mi sembra che sia un gruppo di jazz a suonare, sento
pianoforte e sassofono, ogni tanto la batteria, tra un po’ scendo a vedere.
Sabato 2 agosto
Oggi tocca ai poeti! Anche gli ospiti della Writers’ House sono coinvolti nel Festival estivo di
musica, teatro e varie che viene allestito a Ventspils ogni anno. Ci portano, in “divisa d’ordinanza”
(una maglietta con il logo della Writers’ House) ad una buffa parata, dove sfiliamo con tanto di
stendardo tra due ali di folla, insieme a tutte le “notabili” istituzioni cittadine (biblioteca, banca,
ospedale, scuole), mentre da un altoparlante dicono (e per me traduce la direttrice della Casa) che la
Casa degli Scrittori ospita ogni anno autori da tutto il mondo, e qui ne è presente un drappello. Mi
diverto molto a sfilare nel ruolo e nel vestito di Autore Residente!
Poi il pomeriggio, nella solita piazzetta che ormai sento come un prolungamento di casa, c’è una
piccola Fiera del Libro, con vari stand all’aperto e un palco, sul quale ci alterniamo con dei
musicisti a leggere i nostri testi. Il più interessante mi sembra un poeta russo ospite della Casa, che
mi cattura subito per il ritmo appassionato della sua lettura. Gli chiedo poi dei testi tradotti, e in
effetti confermo l’impressione positiva.
Domenica 3 agosto
Ieri s’è tenuto qui in Lettonia un referendum, se ho ben capito per far passare con plebiscito
popolare una legge che consente di revocare il mandato dei parlamentari in caso di comportamento
fraudolento o anche soltanto inadempiente. Non si è raggiunto il quorum, anche perché in una
domenica di agosto molte sono le persone in vacanza o all’estero.
Nel pomeriggio con Dagnjia all’ultimo evento del piccolo Festival cittadino: il concerto di un
quartetto per tre archi e pianoforte, tutti musicisti lèttoni di ottimo livello, che suonano in varie
orchestre sia nazionali che all’estero. In programma musiche di Strauss e Brahms. Mi colpisce la
sensualità con cui suona il violoncellista, soprattutto nell’esecuzione della Arabischer Tanz di
Strauss, ritmo trascinante e rapido. Immagino una donna al posto di quel violoncello, e del resto la
forma aiuta l’immaginazione…. già Man Ray aveva utilizzando per creare un violoncello dadaista
la foto della modella e sua amante Kiki de Montparnasse a cui aveva sovrapposto i segni ad effe del
violoncello…. Ora guardo questo violoncellista nordico, con spalle larghe ma viso delicato e
gentile, che solletica con l’archetto lo strumento, pizzica le corde e carezza i fianchi arcuati e lisci
durante le pause… suona spesso a occhi chiusi, con foga…. Un vichingo delicato, che a quanto
leggo nel programma suona nell’Orchestra Filarmonica di Tampere. Gran finale con Rondò alla
zingarese di Brahms, tutto saltellato….
Martedì 5 agosto
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Arriva la notizia della morte di Solženicyn, ma qui non lo ama nessuno, perché “era un fottuto
nostalgico degli zar”. Amen.
Mercoledì 6 agosto
Sono stata in gita in pullman a Kuldiga in compagnia di un poeta della Bielorussia, Andrei
Khadanovich. Per una volta posso rilassarmi mentre lui chiede informazioni in russo sugli itinerari,
gli orari, i trasporti, e poi me li traduce in inglese. Siamo stati a zonzo per il centro storico, tra
vecchie librerie con insegne a mano ora diventate sale di Bingo e case antiche lasciate marcire – la
solita immagine di una modernizzazione rapida e superficiale – e poi a piedi fino alle cascate sul
fiume, che sono l’attrazione del luogo, sembra che siano le cascate più larghe (come fronte d’acqua)
in Europa, anche se sono piuttosto scarse in altezza, un paio di metri. Andrei mi dice di aver
tradotto in bielorusso, passando attraverso una versione inglese, il testo di Va pensiero di Verdi,
che una radio ha trasmesso come inno alla libertà. Passiamo in resto della giornata a cantare,
camminando tra i vicoli della Kuldiga medioevale, Va pensiero in varie lingue e versioni, sotto gli
occhi perplessi dei rari passanti.
Venerdì 8 agosto
Ci sono problemi in Georgia e Ossezia, arrivano le notizie da Internet e dalla televisione lèttone
(non si prendono canali stranieri a parte qualche canale russo). Oggi arriva Kristina. in pulman da
Varsavia. Anche lei conosciuta in Slovacchia. Continuano gli arrivi dalla regione, nessuno dal
Mediterraneo….. sono proprio l’unica “dispersa mediterranea”….?
Sabato 9 agosto
Continua la guerra tra Georgia e Russia per l’Ossezia del Sud. Qui se ne discute poco
collettivamente, forse perché ci sono sensibilità diverse. Su un punto sono tutti d’accordo: il
presidente della Georgia è un cretino, e quelli più furbi di lui (la Russia ovviamente, ma anche
l’Occidente) ne approfittano per seguire i propri disegni geopolitici sulla regione.
Domenica 10 agosto
Oggi il presidente della Polonia e i presidenti delle tre Repubbliche baltiche ex sovietiche di
Estonia, Lettonia e Lituania hanno lanciato un appello alla Ue e alla Nato perché intervengano
contro “la politica imperialista” della Russia contro lo stato “sovrano e indipendente” della Georgia.
I presidenti Toomas Hendrik Ilves (Estonia), Valdis Zatlers (Lettonia), Valdas Adamkus (Lituania)
e Lech Kaczynski (Polonia) in una nota congiunta si dichiarano “estremamente preoccupati” per “le
azioni della Federazione russa contro la Georgia”.
Lunedì 11 agosto
Farewell Spaghetti, gli spaghetti dell’addio. Come è consuetudine nelle Case degli Scrittori, chi
parte offre un pranzo o una cena a tutti, cucinando possibilmente un piatto tipico del paese. Vai con
gli spaghetti! conditi con un ragù di carne fatto cuocere a fuoco così lento, che nemmeno in Sabato
Domenica e Lunedì di Eduardo….. il tutto condito con vino italiano. La direttrice mette in mio
onore, nella grande soleggiata cucina, un cd di opera italiana cantata da Placido Domingo, e tutti ci
esibiamo, dopo vari bicchieri di vino, in assoli strazianti (strazianti soprattutto per chi ascolta…).
Martedì 12 agosto
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Di nuovo in viaggio da Ventspils a Riga. In città ho giusto il tempo per una passeggiata rapida nel
centro medioevale, e per fotografare ancora una volta il viso di pietra scolpita nel giardino accanto
alla Casa dei Gatti.
Mercoledì 13 agosto
Partenza sotto una pioggia battente. O sole mio, sto arrivando! L’ultima immagine prima
dell’imbarco, all’aeroporto, è quella della conferenza stampa del ministro degli esteri russo,
trasmessa dalla CNN. Nella confusione del terminal, tra gli annunci dell’altoparlante e gli
schiamazzi dei passeggeri in partenza (molti italiani, of course) non si capisce molto. Lavrov ripete
la condanna della Georgia per genocidio, e promette ( o minaccia) che i russi resteranno nella
regione come peacekeepers. I lupi diventati agnelli? Il gioco delle parti, più probabilmente: oggi
tocca a te fare il lupo, ieri è toccato a me (con la Cecenia, ad esempio) e domani chissà. Sul giornale
di bordo leggo un lungo articolo su una mostra di “arte dei tempi sovietici”, arte del realismo
socialista, all’Arsenal exibition hall di Riga. The mithology of Soviet Land, è titolato l’articolo. Dice
che molti andranno per nostalgia, molti per curiosità (io sarei stata uno di questi, se l’avessi saputo
prima, e se avessi avuto più tempo nel passaggio a Riga), e molti andranno per deprecare. Alcuni
non andranno affatto, tutti presi dalla rincorsa verso la modernità consumista. Il tempo, poi, come si
sa, cancellerà ogni cosa per presentare nuove sfide e nuovi problemi.
> Tutte le foto © di T. Colusso <
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