TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°374! 05 GIUGNO 2014 ZADANKAI Una scelta consapevole di Claudia Mazzucco Anche la recitazione di Gongyo e Daimoku può essere guidata più dal bisogno di aderire a un modello formale che ai principi dell'insegnamento buddista. Chiedersi sempre qual è il vero scopo delle nostre azioni è la ricetta per non cadere mai nella trappola del senso del dovere. Si insinua nella tua vita quando meno te l'aspetti, proprio quando le cose vanno bene e non hai più i super obiettivi di sopravvivenza che qualche mese fa ti hanno portato a recitare Nam-myoho-renge-kyo davanti al Gohonzon senza un filo di dubbio come "per cercare l'acqua nel deserto". Reciti Gongyo la mattina e la sera, cerchi di mantenere un numero dignitoso di Daimoku e apparentemente i gesti sono quelli giusti. Partecipi alle riunioni di discussione e ti sforzi anche di intervenire. Ma inizi a farlo per dovere. Certo, meglio che non praticare per nulla. Ma la differenza tra farlo per dovere e farlo per piacere è la stessa tra una bella passeggiata in montagna e una distratta sessione di macchine in palestra, solo per dire a se stessi alla fine: «Beh! Almeno ci sono andato... Meglio che starsene sul divano a mangiare una vaschetta di gelato». Ma i risultati comunque sono scarsi. E dal momento che il modo in cui pratichi è la cartina al tornasole del modo in cui vivi, fatalmente fare le cose per dovere diventa il motivo conduttore della vita di tutti i giorni. Ti obblighi ad andare a correre perché se no non ti senti a posto; ti forzi a uscire la sera perché se no poi ti senti un poverino; ti obblighi ad andare a trovare la tua amica all'ospedale perché se no poi ti senti in colpa. Piano piano, senza quasi accorgertene, nella tua esperienza quotidiana di essere vivente non avverti più una percepibile differenza tra la sensazione che hai quando lavori, quando paghi la bolletta della luce o quando esci il sabato sera con gli amici. Tutto è pesantezza e noia. Il senso del dovere è una virtù sociale Eppure quando si sente parlare di "senso del dovere" affiorano alla mente concetti positivi come disciplina, rispetto delle regole, ordine. GRUPPO PROMONTORIO! PAGINA 1 TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°374! 05 GIUGNO 2014 Anzi, quando si pensa a una persona dotata di "grande senso del dovere" ci vengono in mente solo giudizi positivi: affidabile, rispettosa degli impegni presi, socialmente adeguata... Di lei si dice un gran bene ma sotto sotto si pensa che non sa godersi la vita e quindi per andare in vacanza la si chiamerebbe al massimo per tenere la cassa comune. Il senso del dovere senz'altro è una virtù sociale. Il dovere di rispettare le norme del vivere civile, se senso di responsabilità e senso di rispetto non sorgono spontanei, è un aspetto fondamentale della convivenza umana. Sembra però che questa decantata virtù sociale non sia una gran virtù... esistenziale. Quando questo atteggiamento dall'ambito sociale diventa il principio ispiratore della vita personale, diventa un problema che ha a che fare con la mancanza di gioia di vivere. Ecco perché è così importante sapere che questo atteggiamento non è facile da riconoscere, si sa camuffare perfettamente da tipo per bene e per questo è assai importante smascherarlo. La natura oscura del senso del dovere Non ha la stessa evidenza di una malattia in forma acuta ma è simile a una malattia cronica. Non è semplice nemmeno accorgersene perché dall'esterno non si vede e se non ci rifletti magari non si vede nemmeno dall'interno. In pratica potrebbe non saperlo nessuno! Ci si fa l'abitudine, non ci si accorge nemmeno di averla e così non si cura per tempo, salvo poi svegliarsi un giorno e vedere che non si va più avanti. Perché chi pratica per senso del dovere è come se andasse, in modo più lento, nella stessa direzione di chi non pratica per nulla. Vive nell'illusione. Il suo oggetto di culto non è la Legge dell'universo che è in ogni fenomeno, ma è l'insieme di norme scritte e non scritte che lo fanno sentire in regola. E questo oggetto di culto, la sua Legge, è invariabilmente al di fuori di sé, come dice nel Gosho Il raggiungimento della Buddità in questa esistenza: «Non devi mai pensare che qualcuno degli ottantamila sacri insegnamenti di Shakyamuni o qualcuno dei Budda e bodhisattva delle tre esistenze e delle dieci direzioni sia al di fuori di te. La pratica degli insegnamenti buddisti non ti solleverà affatto dalle sofferenze di nascita e morte a meno che tu non percepisca la vera natura della tua vita. [...] Questo implica che finché non si percepisce la natura della propria vita, la pratica sarà un'infinita e dolorosa austerità» (BS, 119, 12-13). E sappiamo tutti che quando una cosa è dolorosa e austera, chi te la fa fare? Qual è il test di controllo? Si può iniziare con qualche domanda. Questa mattina avrai senz'altro recitato: con quale soddisfazione? Senz'altro avrai fatto Gongyo: con quali occhi l'hai letto? Strana domanda, in questo test di controllo? Leggiamo cosa scrive Nichiren Daishonin. A proposito del secondo e del sedicesimo capitolo del Sutra del Loto, quelli che recitiamo ogni giorno in Gongyo, nel Gosho Risposta a Soya Nyudo si legge: «Ogni ideogramma di questo sutra è un Budda vivente di suprema Illuminazione, ma noi, guardando questo sutra con gli occhi dei comuni mortali, vediamo solo gli ideogrammi. Gli spiriti affamati vedono il fiume Gange come fuoco, gli esseri umani vi vedono l'acqua e gli esseri celesti lo vedono come amrita. L'acqua è sempre uguale, ma appare diversamente secondo la capacità karmica degli individui. I ciechi non possono vedere gli ideogrammi di questo sutra; gli occhi dei comuni mortali li vedono come parole scritte [...], i bodhisattva li vedono come innumerevoli insegnamenti» (SND, 7, 147). Dunque con quali occhi hai letto il libretto per fare Gongyo stamattina? Con quelli di un comune mortale, di un bodhisattva o di un Budda? Solo tu conosci la risposta, solo tu sai se l'hai fatto per senso del dovere o perché hai scelto liberamente di farlo. L'erba posso Questa domanda in particolare ci aiuta a entrare nel cuore del problema. Per quale motivo stai praticando il Buddismo? Perché devi, perché vuoi o perché puoi? Qualche anno fa venne pubblicato su questo giornale il memorabile articolo dell'"erba posso" che con una metafora "botanica", prendendo ispirazione dal famoso proverbio: «L'erba voglio non cresce nemmeno nel giardino del re», ci presentava una serie di vegetali: "l'erba devo" con la sua variante strisciante detta "erba del senso di colpa"; l'"erba voglio", coltivata dalle persone "di testa", che usano la forza della volontà razionale come motore della vita salvo poi... bucare la gomma al primo chiodo che il karma piazza sulla strada; infine "l'erba posso" dove questo posso è un «scelgo di fare, è una mia libera decisione, è un mio diritto, e allo stesso tempo è un "sono in grado di farlo, ho la capacità, ho la possibilità di farlo perché sono vivo, ho la potenzialità di realizzarlo perché sono un Budda» (NR, 189, 6). Questo potere è il termine riki di Nyo ze riki che noi ripetiamo sei volte al giorno, mattina e sera, quando leggiamo per tre volte i dieci fattori, al termine del capitolo "Espedienti" (Hoben) di Gongyo. Riki è il potere interno alla persona, che solo noi possiamo usare. Oppure non usare. GRUPPO PROMONTORIO! PAGINA 2 TRATTO DAL NUOVO RINASCIMENTO N°374! 05 GIUGNO 2014 Quando si pratica inserendo il "pilota automatico" senza rideterminare ogni giorno di adempiere alla propria missione di Bodhisattva della Terra e pensando che per il semplice fatto di ripetere la frase come una formula magica si sarà protetti, si colloca ancora una volta fuori di sé il proprio potere. Ciò equivale a usare il Gohonzon come un talismano portafortuna. Allora, se attribuiamo il potere di farci felici alle cose o alle persone intorno a noi, succederà che questo potere non si attiva, semplicemente perché non c'è. Non funziona e non succede nulla. E di qui inizia il dubbio. Se si deve allora non si vuole, e se non si vuole, non si può. La cura per guarire Fatto il test, una volta che ci si è accorti che l'atteggiamento con cui si pratica è timbrare il cartellino, come si fa per guarire?Partiamo dall'inizio: dicevamo che quando si ha un bel guaio da risolvere si pratica come quando si cerca l'acqua nel deserto. Si pratica sul serio per la vita, propria o di qualcuno che ci sta a cuore e si è determinati e sinceri. Il senso del dovere arriva quando ci sembra che tutto vada abbastanza bene, che non ci manchi nulla. Come se quello che abbiamo lo avessimo per sempre e ci dimenticassimo del principio primo della vita, che si rivelò a Shakyamuni duemilacinquecento anni fa: che tutto è impermanente. In pratica, quando diamo per scontato quello che abbiamo. Quindi la prima medicina è una parola: grazie. Prendiamo un pezzo di carta, scriviamo questa parola e imprimiamola nella nostra vita. Poi ci verrà in mente perché dire grazie, ognuno di noi si accorgerà delle innumerevoli cose per cui dire grazie alla vita. Poco a poco da questo senso di gratitudine nascerà spontaneamente una preghiera più sincera, lo stato vitale si alzerà e si uscirà dal momento di stallo. Si avrà voglia di condividere questo sentimento di riconoscenza con gli altri, magari domani quando andremo a fare Gongyo da un compagno di fede, riscoprendo la nostra missione di bodhisattva. È il primo passo, il passo del coraggio. Anche il presidente Ikeda ce lo dice: «La distanza tra zero e uno è molto più grande di quella tra uno e cento. Nel Gosho si legge "Anche un viaggio di mille miglia inizia da un primo passo". Perciò il primo passo è veramente importante» (BS, 121, 1). In questo modo, per noi rigidi soldatini dell'obbedienza, il grande allenamento alla disciplina e allo sforzo che abbiamo sviluppato in nome del senso del dovere, tornerà utile e si trasformerà in determinazione e tenacia. La nostra rivoluzione umana sarà invertire la direzione verso cui andava tutta questa energia e indirizzarla, anziché verso la ripetizione di una vita fatta con lo stampino, verso la creazione di una nuova vita "fatta a mano". Dialoghi con i Giovani Il diritto di praticare il buddismo IKEDA: Immaginate gli immensi benefici che otterrete recitando seriamente e con continuità Daimoku e Gongyo! In sostanza si recita Daimoku per se stessi: la pratica non è un obbligo, ma un diritto. Il Gohonzon non vi chiederà mai di recitare ma, più vi sforzate nella fede, facendo Gongyo e recitando Daimoku, più potrete ottenere nella vita. Il Daishonin inoltre non precisa nei vari Gosho quanto Daimoku recitare. Dipende interamente dalla propria coscienza e dal proprio senso di responsabilità. La fede è una meta da perseguire tutta la vita, non è il caso di essere inutilmente agitati o in ansia per la quantità di Daimoku che recitiamo. IGETA: So che c'è gente che non riesce a praticare se non avendo fissato una quantità, un "tetto" preciso da raggiungere. È corretto spronarsi in circostanze o situazioni difficili, ripromettendosi per esempio: «Mi sfido a fare tutti i giorni quindici minuti di Daimoku e Gongyo cerimonia sia al mattino sia alla sera»? IKEDA: Come ho già detto non è proprio il caso di diventare ansiosi o di sentirsi sotto pressione inutilmente. Il Buddismo è nato per liberare le persone, non per obbligarle. Anche "un poco ogni giorno" è importante: il cibo di cui ci nutriamo tutti i giorni si trasforma in energia nei nostri corpi. Anche lo studio diventa un patrimonio solo quando ci si applica quotidianamente. La nostra vita è il risultato di ciò che facciamo, di come viviamo ogni giorno. Per questa ragione dovremmo fare del nostro meglio per vivere ogni giorno in modo da migliorarci continuamente. La forza propulsiva è proprio Gongyo. Offrire le proprie preghiere solo in particolari occasioni dell'anno, come le folle di giapponesi ai templi scintoisti o buddisti il giorno di Capodanno, è soltanto un rituale vuoto e tutto sommato privo di senso. Sforzarsi ogni giorno nella pratica di Gongyo corrisponde invece a quello che potremmo considerare un vero e proprio allenamento spirituale che purifica e fa splendere la propria vita, dà potenza al proprio motore esistenziale, collocandoci sul giusto binario per affrontare la giornata. Gongyo fa sì che il nostro corpo e la nostra mente siano calmi e sereni e ci mette in sincronia con l'universo. GRUPPO PROMONTORIO! PAGINA 3