TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 237 Il Tempietto L’Opera italiana Paola Ruminelli S e le nostre aspirazioni unitarie cercano un supporto nella tradizione culturale italiana, l’Opera musicale ottocentesca rappresenta un momento fondamentale per l’affermazione di una comunanza spirituale tra le genti diverse che popolano la nostra nazione. Gli autori di questo genere musicale provengono infatti da tutte le regioni italiane e, pur appartenendo a scuole musicali diverse, confluiscono in un orientamento di gusto, che caratterizza inequivocabilmente la nostra storia artistica. L’Opera italiana, almeno fino alla prima guerra mondiale, ha detenuto un primato internazionale e ancora oggi sui palcoscenici di tutto il mondo si succedono testi tratti dal nostro repertorio con rinnovato successo. L’Opera in musica L’Opera in musica è un’invenzione italiana che l’Europa moderna ha fatto propria. Gli intermezzi per commedie e gli stessi madrigali già avevano il carattere di rappresentazioni teatrali, preannunciando il teatro musicale, ma la vera e propria storia dell’opera italiana inizia nel Cinquecento presso il palazzo de’ Corsi nel centro di Firenze con la Camerata dei Bardi, di cui facevano parte Vincenzo Galilei, i cantori e musicisti Jacopo Peri e Giulio Caccini, il poeta Ottavio Rinuccini, Emilio de’ Cavalieri e Girolamo Mei. 237 Nella diffusa abitudine di costruire all’esterno del teatro un pronao di fattura greca, i teatri lirici portano ancora il segno ideale della volontà, che aveva mosso i Bardi, di ricondursi al classicismo, alla ricerca di un rapporto semplice e diretto della parola con la musica, come ritenevano fosse avvenuto nell’antica Grecia. Di questi gentiluomini, che coniarono l’espressione del “recitar cantando”, si può dire con il musicologo Lorenzo Arruga che: «Credevano, essi, a fondo nella musica e tramandavano l’antica convinzione che assolvesse alle tre grandi e decisive funzioni dell’arte: che potesse esprimere sentimenti e moti dell’anima, che potesse comunicarli, che sapesse purificare»(1). La storia continua con Monteverdi attraverso il Seicento, che realizzò un equilibrio tra l’antico e il nuovo: «il Monteverdi muove dalla polifonia - scrive Il critico Massimo Mila - e v’inserisce lo stile recitativo, senza rinunciare alla ricchezza e alle possibilità di quella»(2). Nel Settecento l’opera ebbe larga diffusione in Italia e in Europa. Nella prima metà del secolo all’opera seria, di cui Apostolo Zeno aveva teorizzato la coerenza, si sostituisce sempre più l’opera buffa, originariamente nata dagli intermezzi posti tra gli atti dell’opera seria, che spesso TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 238 238 Il Tempietto diventavano dei veri capolavori come nel caso della Serva padrona di Giovan Battista Pergolesi. L’opera buffa si affermò principalmente a Napoli, ma fiorì anche a Venezia per la presenza del Goldoni, che si avvalse di collaboratori musicali. Tra i principali esponenti Pergolesi di Jesi, Niccolò Piccinni di Bari, che fu chiamato in Francia dagli enciclopedisti francesi ad un confronto con il tedesco Gluck, Giovanni Paisiello di Taranto e Domenico Cimarosa di Aversa. Già in questa produzione i caratteri dei personaggi emergono con naturalezza e vivacità, anticipando quello che sarà l’interesse principale della lirica italiana per la vita umana e le sue vicende. Nella seconda metà del ‘700, dopo la diaspora dei principali rappresentanti della musica strumentale (da Vivaldi a Scarlatti a Boccherini a Viotti a Muzio Clementi), si afferma il melodramma, che nell’Ottocento, dopo la tempesta rivoluzionaria e lo sforzo di restaurazione dell’ancien régime da parte della Santa Alleanza, si ripropone trasformato anche per l’influenza di Gluck, di cui risentirono profondamente sia il fiorentino Luigi Cherubini sia Gaspare Spontini di scuola napoletana, attivi a Parigi nel periodo napoleonico e musicisti apprezzati anche dai romantici tedeschi. Mentre in Francia la produzione operistica si accentrava intorno all’Acadèmie Royale, in Italia esisteva un policentrismo dovuto al gran numero di teatri sparsi in tutta la penisola e alle molteplici scuole nate nelle diverse località italiane. Nel Cinquecento dominarono le scuole polifoniche di Roma e di Venezia, nel Settecento si affermò il campo teatrale con Napoli quale nuova capitale musicale, mentre a Venezia fiorì la produzione strumentale con Vivaldi, Albinoni e Tartini unitamente al melodramma su librettistica del Goldoni. Alla fine del Settecento, dopo il declino della Repubblica veneta e con Milano capitale del regno lombardo-veneto, la situazione venne organizzandosi intorno a due centri principali nel Mezzogiorno e nel Settentrione, tanto che come nota Mila: «Fin da quando S. Ambrogio stabilì a Milano un rito particolare, che venne rispettato nella sua autonomia dalla costituzione gregoriana, la musica italiana è il risultato dialettico di questa concordia discors».(3) In realtà nella tradizione italiana c’è sempre stato uno scambio e una collaborazione tra i vari teatri, che ha favorito lo sviluppo della cultura in nome dell’universalità del linguaggio musicale. Nell’Ottocento Bellini fin dall’inizio della sua produzione fu apprezzato dal bergamasco Donizetti, lui che era del sud. A Milano fu chiamato alla Scala dal Barbaja e fu presentato dall’operista napoletano Mercadante al poeta Felice Romani genovese, con il quale incominciò la sua collaborazione, mentre Donizetti presentava molte sue opere al sud. L’effetto è che nord e sud finiscono con il riunirsi come principi TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 239 Il Tempietto complementari, delineando le peculiarità della musica italiana nei confronti di quella d’oltralpe, orientata in senso armonico e sinfonico più che in senso melodico come nella nostra tradizione. Il successo del melodramma Nel Settecento, come scrive Mila «l’opera era un passatempo musicale, fondato principalmente sulla bravura dei cantanti: lo spettatore non nutriva alcun vero interesse per le sorti delle Sofonisbe, degli Artasersi, degli Alessandri Magni che erano gli eroi di quegli spettacoli».(4) La partecipazione appassionata alle vicende dei personaggi è invece propria del pubblico dell’Ottocento, che condivideva le sventure degli eroi delle azioni sceniche, confrontando le loro vicende con le proprie esperienze personali. Nell’Ottocento, sotto l’influsso del grande movimento romantico, l’Opera si trasforma:« Il Dramma è penetrato nel melodramma, ed il fatto è tanto più importante in Italia, dove non esisteva un vitale testo letterario per svolgere quel compito di educazione sentimentale e di scuola del costume, che esercitavano in Francia Corneille e Racine, Rotrou, Molière, Marivaux, Beaumarchais e Voltaire»(5). L’opera musicale viene a sopperire alla carenza di una mancata tradizione di carattere tragico e il genere del teatro d’opera si diffonde largamente in diversi strati sociali, secondo quel 239 dettato romantico, che auspicava l’avvento di un’arte popolare largamente fruibile. In tutte le città italiane i teatri grandi e piccoli erano frequentati non solo dai benestanti della borghesia e dell’aristocrazia, che occupavano i palchi e la platea, ma anche dal popolo, che si affollava nel loggione e che con l’andare del tempo diventava sempre più numeroso. Anche uomini di cultura come Foscolo e Stendhal non disdegnavano di recarsi a teatro, ove un pubblico sempre irrequieto e vario sanciva o meno i successi musicali. Grandi protagonisti della scena erano i cantanti: dal soprano che è l’eroina della situazione di solito vittima innocente di intrighi che la conducono al sacrificio di sé, al tenore dalla voce squillante, che rappresenta l’innamorato intrepido della soprano. Ad essi si contrappongono la mezzosoprano o contralto e il baritono rivali dei due protagonisti o il basso, che spesso sono anche nella parte del padre inflessibile o, nell’opera buffa, i protagonisti della maggior comicità. A regolare la regia era il “poeta del teatro” a volta affiancato nelle prime dallo stesso autore, che sorvegliava lo svolgimento dell’opera. Le scene erano allestite con particolare cura all’ambientazione storica della vicenda. Quanto agli argomenti in genere il melodramma dell’Ottocento corrispondeva al gusto del romanzesco, ispirato al genere del romanzo, introdotto da W. Scott. Presentava figure di vittime innocenti, di eroi TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 240 240 Il Tempietto coraggiosi, storie di morte e di libertà attraverso la forma espressiva musicale, che fa diretto appello al sentimento senza la mediazione concettuale e la scrittura, che richiedono cultura e preparazione. La musica con le sue melodie e le scene appassionate comunicava in maniera immediata il valore del sentimento, esaltato nell’età romantica come portatore di ideali che danno senso alla vita. Non a caso l’ammirazione reciproca di Manzoni e di Verdi nasceva dal loro riconoscersi affini perché accomunati dall’arte, intesa romanticamente come espressione suprema di sentimento e di verità. Nell’Ottocento la relazione tra poesia e melodramma è molto stretta. Nel melodramma i musicisti riflettono la sensibilità dei poeti nel delineare i loro personaggi, anche se il rapporto tra musica e poesia con Verdi si fa sempre più spostato a favore della musica e sono note le sue baruffe con i librettisti che non riuscivano ad accontentare il maestro, sempre alla ricerca della parola scenica. A differenza dei poeti però i grandi compositori( come Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi e in seguito Puccini), contrariamente a quanto accadeva negli autori russi o tedeschi, ambientavano i loro drammi in luoghi diversi da quelli originari, dimostrando, come ben vede lo studioso Donald Sassoon(6), un notevole cosmopolitismo, con esiti globali e tali da allargare la diffusione nel mondo della musica italiana. Il critico Carl Dalhaus evidenzia alcuni elementi atti a distinguere la tradizione italiana nei confronti di altre tradizioni. Se infatti non si possono stabilire rapporti stabili tra i vari elementi che costituiscono il genere musicale dell’Opera, è però possibile sottolineare come talune combinazioni musicali predominino su altre a seconda delle diverse tradizioni nazionali e regionali: «nell’opera italiana l’importanza centrale assunta dagli affetti e dai conflitti d’affetti sospinge in primo piano talune risorse drammaticomusicali e relega talune altre ai margini»(7). Così piuttosto raro nell’Opera italiana è il ricorso alla tecnica del Leitmotif in quanto «il procedimento di ricordare eventi preteriti o di presagirne di venturi è poco conciliabile con l’espressione spontanea dell’affetto, ancorata all’immediata presenza scenica e mirante semmai “alla pienezza dell’attimo”»(8). Dahlhaus sottolinea anche come il fattore gestuale e la simultaneità delle voci nel concertato siano caratteristiche essenziali del genere musicale di contro al dramma di parola. Mentre infatti nel dramma di parola non è possibile che più personaggi parlino senza dialogare, ma ciascuno per sé, come avviene nell’opera musicale, nel concertato si condensa il dramma degli affetti,«scatenati dagli scontri interpersonali».(9) TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 241 Il Tempietto Una differenza rilevante tra l’Opera e il dramma in prosa è inoltre la maggiore spettacolarità, quale elemento inscindibile dal genere musicale, strettamente caratterizzante dello stesso. Ma mentre tale elemento trova nel teatro d’opera francese la sua piena espressione con il grand opéra, al centro dell’Opera italiana permane l’attenzione alla intimità della vicenda umana. C’è infine da osservare che più che la considerazione dei moti oscuri dell’anima o degli aspetti segreti della realtà, nel melodramma italiano furono privilegiate le concrete vicende della vita senza particolare attenzione a quel desiderio di evasione e a quegli slanci all’infinito, che sono piuttosto propri della tradizione tedesca. Il senso dell’equilibrio e della misura, che caratterizza la vocazione umanistica latina, sono dominanti nel teatro musicale italiano, volto alla ricerca di una espressività naturale e spontanea. Nelle pagine che seguono si delineano alcuni aspetti della personalità artistica dei quattro principali compositori del teatro lirico dell’Ottocento, Gioacchino Rossini, Vincenzo Bellini, Gaetano Donizetti, Giuseppe Verdi, attraverso i quali la tradizione operistica italiana si definisce nella varietà delle sue provenienze culturali ed insieme nella sostanziale identità di interessi per la vitalità e la ricchezza dei sentimenti umani. Gioacchino Rossini Come ricorda Franco Abbiati nella sua Storia della musica, Stendhal 241 affiancava le due glorie di Napoleone e di Rossini e parlava della “campagna” di Rossini veneziana-lombarda, iniziata con la Cambiale di matrimonio e finita con Sigismondo, della campagna napoletana, iniziata con Elisabetta in Inghilterra e finita con Zelmira, e della campagna di Francia (trasferimento di Rossini a Paragi) e la prima rappresentazione del Guglielmo Tell. In realtà Rossini fu genio italiano per eccellenza, in lui c’è il musicista colto e preparato, ma c’è soprattutto l’artista, che procede naturalmente per forza di spirito e per creatività. Nato a Pesaro nel 1792 Rossini perfezionò la sua rudimentale educazione musicale a Bologna ove, sotto la guida del padre Stanislao Mattei, compose le prime canzonette e molta musica ecclesiastica. A vent’anni diventò già popolare per le sue prime opere buffe, che conobbero successi ed insuccessi come Il Signor Bruschino, rappresentato senza successo a Venezia nel 1813. Tra le opere serie una sorte particolare toccò al Tancredi, caduta in Italia, ma rappresentata con gran plauso a Vienna tanto da suscitare le reazioni dei compositori tedeschi, come Schubert e Weber, che si videro superati dal maestro italiano nel favore del pubblico. Rossini «entra decisamente, impetuosamente nell’età moderna» come scrive l’Abbiati(10), rispondendo ai requisiti richiesti dal gusto del tempo della borghesia ben pensante dell’età della Restaurazione. Il Maestro pesarese non aveva preoccupazioni dottrinarie e la sua TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 242 242 Il Tempietto produzione sembrava frutto di un prodigioso dono naturale. Piacevano la sua cordialità, il suo riso aperto, i ritmi estrosi e le sue dolci melodie: «Rossini parve rispondere mirabilmente ai requisiti di fiduciosa naturalezza espansiva richiesti dall’arte musicale del tempo».(11) Data la scarsità dei documenti è piuttosto difficile ricostruire una poetica rossiniana, ma si può dire che il Maestro ritenesse che gli sconvolgimenti sociali influissero anche sui compositori di musica. Egli non amava le barricate, le rivoluzioni e il progresso tecnico. A commento di una lettera di Rossini - che dichiarava di ritenere «l’arte musicale italiana (specialmente per la parte vocale) tutta ideale e espressiva, mai imitativa come il vorrebbero certi filosofoni materialisti. Mi sia permesso dire che i sentimenti del cuore si esprimono e non si imitano»(12) - Mila così scrive: Dove sembra di capire come con i termini di ideale ed espressivo contrapposto ad imitativo, Rossini volesse indicare, senza riuscire a chiarire perfettamente le ragioni profonde della sua intuizione,una qualità eterna dell’arte,cioè l’esigenza aristotelica della catarsi, che gli pareva non a torto compromessa da certi aspetti della musica romantica, in particolare dalle intenzioni descrittive della musica a programma e dai nuovi indirizzi del dramma musicale,dove l’espressione degli affetti sempre più tende ad evitare l’oggettivazione della forma artistica, per attuarsi invece direttamente, senza diaframmi formalistici, nella vita del suono.(13) Rossini riesce a tradurre in musica il ritmo della vita dei personaggi. Il suo ritmo non risponde ai criteri di sereno equilibrio mozartiano, ma si manifesta in maniera travolgente,risolvendosi nei suoi famosi crescendo. Come lui stesso scrisse: «La forza d’espressione si deve sentire da chi compone, non si impara nelle scuole, non vi sono regole per insegnarla, e tutta consiste nel ritmo. Nel ritmo sta l’espressione musicale, nel ritmo tutta la potenza della musica».(14) Sulla definizione del linguaggio musicale di Rossini, spontaneamente gioioso si sofferma Alessandro Baricco, che in Il genio in fuga parla della lingua della felicità da lui coniata, secondo un concetto che Rossini si trovò in seguito a mettere in gioco nella pratica del dramma: «un concetto bellissimo: esso comprende la memoria di quando essere felici poteva ancora essere un gesto naturale, dolcissimo, e semplice. E accanto ad essa la triste incapacità non tanto di tradurre quel ricordo in realtà, ma di riposarsi in esso. C’è un’inquietudine che strappa via TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 243 Il Tempietto dalla quiete della semplice felicità,in nessun posto è tramandata come nella musica di Rossini che custodiva l’Eden mozartiano,ma insieme il nervoso disagio che impedisce di dimorarvi e l’ansia che induce a rigirarvisi, mille volte fino a che lo scenario cambia ed è ancora felicità, ma in modo diverso,bruciante, nervoso stridente, quasi artificiale questa che è forse la felicità del moderno, si cristallizza in linguaggio nell’opera buffa rossiniana.(15) La felicità che nell’opera buffa si esprime gioiosamente risente della esperienza di un tempo che ormai è consapevole dell’impossibilitò di recuperare un Eden perduto e si manifesta nell’opera buffa come consapevolezza di una realtà irrecuperabile, ma non per questo meno desiderabile e affascinante. Sempre a proposito del carattere di Rossini spesso ne è stata messa in evidenza la sensività. Si dice addirittura che «aveva eccesso di suscettibilità nervosa, una critica spiacevole lo faceva cadere in deliquio»(16). Certo che l’immagine di un Rossini ben pasciuto e paffuto, con spessi bassettoni e sottogola di ricciolini va alquanto ridimensionata. Tale immagine non risponde alla personalità complessa quale appare dall’arte del musicista pesarese. Rossini doveva essere molto sensibile e ben consapevole delle disillusioni della vita e delle contraddizioni dell’esistenza, come appare dalla sua produzione riccamente umana. In ogni caso egli fu un innovatore, nuovo per stile e per 243 spirito. La sua novità non si limita all’introduzione delle famose cavatine, che iniziano in tempo lento per poi trasformarsi in vivaci cabalette, ai duetti, ai concertati, al recitativo obbligato più del recitativo secco allora in uso, ma si impone per lo spirito nuovo che non solo rappresenta il gusto del tempo, ma esprime un’inquietudine che innova il teatro. Seguendo la partizione di Sthendal si può dire che nel primo periodo della produzione rossiniana spicca L’italiana in Algeri, rappresentata a Venezia nel 1873, che esprime il genio comicogrottesco dell’artista pesarese. Qui la contenuta classicità di Mozart è sorpassata da una sensualità più musicalmente caustica e vivificante e nel finale rossiniano, come nota l’Abbiati, sembra risorgere «lo spirito mimetico dei madrigalisti nostri dell’ultimo Cinquecento, veri padri dell’espressione comica musicata nel senso latino della parola»(17). È la storia della schiava favorita di Solimano, che essa gioca con uno sciocco stratagemma. Anche se Rossini non amava le rivoluzioni, in quest’opera, molto prima del Risorgimento, la protagonista Isabella si vanta continuamente della sua italianità e sollecita i suoi compagni italiani a mostrare al turco quanto essi valgano, forse in onore di Venezia che aveva dovuto rinunciare alla sua libertà con il trattato di Campoformio. L’Opera più nota di Rossini e comunque il suo capolavoro è il Barbiere di Siviglia, commissionato a Rossini dal teatro Argentina di Roma nel 1816, e già musicato da molti autori tra i quali Paisiello, il che valse al pesarese la TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 244 244 Il Tempietto stroncatura dei paisiellisti alla prima rappresentazione. Nell’opera, scritta originariamente per contralto e non per soprano nella figura di Rosina, furono da Rossini sapientemente introdotte innumerevoli pagine della precedente produzione, che qui trovano il loro posto con perfetta rispondenza alla gagliardia del testo musicale, caratterizzato da una intensa vita ritmica e da uno slancio vitale irresistibile. Ammiratori dell’opera furono musicisti anti italiani e anti rossiniani quali Berlioz e Wagner. Piacque a Schumann, Beethoven, Schopehnauer, che vi trovava le premesse della sua filosofia e anche a Hegel che in una lettera familiare così confessava:« Ho inteso il Barbiere di Rossini per la seconda volta (a Vienna nel 1834) e convien dire che il mio gusto si sia depravato assai, perché questo Figaro mi riesce di gran lunga più attraente di quello delle Nozze mozartiane»(18) La Cenerentola è un altro grande capolavoro. Di abbagliante purezza melodica e di audacissimi gorgheggi, è di una ebbrezza naturale e di uno spiccato edonismo veramente insuperabili. Anche nella Semiramide rappresentata nel 1823 alla Fenice vi è un grande virtuosismo canoro, mentre con Otello da Sakespeare inizia la produzione delle opere serie, caratterizzate da solennità espressiva e da forza di suggestione romantica. Le opere di questo periodo furono rappresentate nei teatri di tutta Italia (Scala, San Carlo, Argentina) accomunando gli spettatori nell’ammirazione per questo grande innovatore del teatro italiano. A proposito de La donna del lago, dall’omonimo romanzo di W. Scott, Leopardi nel ‘23 scriveva: «Abbiamo in Argentina La donna del lago, la qual musica è una cosa stupenda,e potrei piangere ancor io se il dono delle lacrime non mi fosse stato sospeso».(19) Dopo un soggiorno a Londra di otto mesi durante il quale non scrisse nulla, Rossini nel 1823 si recò a Parigi ove per un biennio ebbe anche la direzione del teatro Italiano. Qui fu messo inscena Il viaggio a Reims ossia l’Albergo del giglio d’oro per i festeggiamenti dell’incoronazione di Carlo X. Seguirono L’Assedio di Corinto, che riprendeva il Maometto II, Il Mosè, che riprendeva il Mosè in Egitto rappresentato al S. Carlo di Napoli nel 1818 in quaresima con la stupenda preghiera Dal tuo stellato soglio e il Conte Ory, rimaneggiamento del Viaggio a Rems, che ebbe molto successo. Nel 1829 venne rappresentato a Parigi il Il Guglielmo Tell, già musicato da molti autori. L’opera rappresenta lo sforzo di Rossini nel genere romantico ed insieme uno dei maggiori capolavori della sua produzione. Compromesso tra la grand’operà francese e il recitativo italiano, precede ed avvia i concertati della Norma e le preghiere corali del Nabucco. Si caratterizza per forza espressiva e per evocazione pittoresca della Svizzera, immergendo lo spettatore nel mondo della natura, nel trionfo della pace e della libertà. TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 245 Il Tempietto Dopo questo ultimo capolavoro Rossini si ritirò dal teatro, anche se continuò a comporre Lo Stabat mater e la Petite Messe solennelle, e altri numerosi pezzi brevi. Dopo un viaggio in Italia con la seconda moglie, morì a Parigi nel 1868 nella villa di Parsy. Le partiture delle sue opere sono studiate da musicisti e da filologi specializzati nella fondazione del Festival Rossini Opera di Pesaro e pubblicate in edizione critica, sulla quale si basano le esecuzioni del Festival. Vincenzo Bellini «Il re del bel canto, Bellini ha segnato la storia della musica esercitando il proprio influsso sia sui colleghi operisti (Verdi, ma anche Wagner) sia sui compositori quali Chopin e List»(20). Così esordisce Roberto Iovino nella sua presentazione di Vincenzo Bellini, sottolineando il fatto che Bellini aprì il varco ad una nuova sensibilità, staccandosi nettamente dall’operismo rossiniano. Nelle opere di Bellini dominano la melodia, che in lui è un vero dono, e la ricerca di immedesimarsi nei personaggi dei suoi drammi. Nacque a Catania il 3 novembre 1801. Il padre era modesto organista ed anche il nonno era musicista. Si sa che il Decurionato di Catania deliberò di concedergli un assegno per recarsi a Napoli a perfezionare gli studi musicali, in cui aveva precocemente dato prova di singolari capacità. La leggenda si occupò di lui come di 245 una creatura ideale, quasi incorporea, tutta soltanto sentimento. Bellissimo di aspetto, raccolse ben presto molti successi amorosi, che lo accompagneranno in tutta la sua breve vita con passioni travolgenti e febbrili. Nel teatrino dell’Istituto di Napoli fu rappresentata la sua prima opera Adelson e Salvini, i cui brani furono poi trasferiti in composizioni successive. Nel 1826 fu data la seconda opera Bianca e Fernando, reiterata due anni dopo da Felice Romani per l’inaugurazione del Teatro Carlo Felice di Genova. Nel Pirata, rappresentato alla Scala nel 1827, c’ è già l’intima semplicità delle immagini melodiche che caratterizza la produzione belliniana. A Milano Bellini riscosse grandi successi presso le più illustri famiglie del tempo, la Straniera e i Capuleti e i Montechi, scritti in questo periodo, rivelano le doti musicali del compositore per la grandiosità degli squarci lirici. Un forte attacco del male, che lo affliggeva, lo costrinse al riposo a Moltrasio, assistito dall’amica Cantù. Ristabilitosi e tornato a Milano, riprese con vigore la sua arte. La Sonnabula del 1831 segna la trasformazione della produzione belliniana rispetto alle opere precedenti. Sereno equilibrio, serietà e sobrietà caratterizzano quest’opera cara a tutte le platee, qui si esprime il canto puro, come lo definiva Ildebrando Pizzetti. Così scrive l’Abbiati: «Sono quei palpiti, quegli accenti e quei sospiri non mai diluiti negli sviluppi eccessivi delle frasi, né TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 246 246 Il Tempietto stemperati nelle superflue ripetizioni di ritornelli e di arie da capo: sono quelle melodie nude e fragranti e incomparabilmente appassionate e profonde che renderanno attonito lo stesso Wagner, per il quale la musica belliniana è tutto cuore e strettamente legata alla poesia».(21) Norma, su libretto di Felice Romani, malgrado la protagonista fosse la celebre Giuditta Pasta che aveva cantato con successo nell’Anna Bolena di Donizetti e nella Sonnambula, fu un fiasco alla Scala nel1831. Bellini riteneva che contro di lui vi fosse un partito di nemici personali, Donizetti pensava che Norma non fosse stata capita. Nel corso delle repliche comunque il giudizio del pubblico cambiò radicalmente anche grazie all’impegno degli artisti quali la stessa Giuditta Pasta e Giulia Grisi. Veri e propri trionfi seguirono poi i successi di Milano a Bergamo e a Como e Norma fu rappresentata in tutti i teatri europei, quale espressione del clima romantico musicale . Bellini diventò famoso, in occasione di un viaggio in Sicilia fu accolto grandiosamente dall’Intendente di Catania con una berlina tirata da quattro cavalli bianchi. La partitura di Norma originale autografa rivela il tormento creativo dell’autore per le molteplici cancellature che presenta, tanto che nessuna pagina è priva di correzioni. Anche la Casta diva, canto di sublime bellezza paragonabile, insieme a gran parte della produzione belliniana, alle pagine più alte della nostra letteratura romantica da Foscolo a Manzoni a Leopardi, reca visibili tracce della insoddisfazione del Maestro, così come il dialogo tra Norma e la tenera Adalgisa, che evidentemente arriva alla sublime semplicità del canto attraverso il travaglio creativo. Beatrice di Tenda del 1833 ebbe scarsa accoglienza. Sempre nel 1833 il Maestro catanese si recò a Londra e quindi a Parigi ove gli fu dato l’incarico di un’opera nuova per il Teatro Italiano. Nacque così la sua ultima opera I Puritani su libretto di Pepoli, che fu rappresentata con successo nel gennaio del 1835. Anche in quest’opera, che era stata elaborata con particolare scrupolo perché Bellini non voleva deludere le aspettative dei colleghi, il lirismo puro e le invenzioni melodiche affondano le radici nella tradizione più limpida del belcanto italiano, trasfigurate in una atmosfera romantica semplice e gigantesca insieme. Nello stesso 1835 nel mese di settembre Bellini muore in una villa di un inglese sulla riva della Senna, lontano dagli amici e assistito solamente da un bracciante e da un giardiniere. La notizia della sua morte colpì profondamente l’amico Donizetti che, proprio mentre stava gustando la gioia per il successo della sua Lucia di Lammermoor, scrisse subito una Messa da Requiem e un Lamento per la morte di Bellini. Nel 1876 Catania richiese le spoglie del suo grande figlio. Gaetano Donizetti Rievocando alcuni aspetti del Marin Faliero di Donizetti, Mazzini nella sua Filosofia della musica conclude dicendo: TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 247 Il Tempietto sono tutti più o meno,o travedo, indizii potenti di un genio che non si è svolto tutto finora, che intravede, voglioso un nuovo mondo musicale, che vorrebbe bene percorrerlo, che forse inceppato, strozzato da mille cagioni che ostano oggi al genio valente, nol correrà; ma che in ogni modo, si è rivelato in preludii dai quali la generazione ventura, trarrà argomento a dire “Quegli era potente a conquistarlo, se avesse voluto davvero!”(22) Di Donizetti è stata spesso messa in evidenza una certa qual incompiutezza dovuta anche al fatto che il musicista si era sobbarcato una gran quantità di impegni, che ne fecero peraltro il più copioso operista del tempo. Compositore prolifico di musica sacra e da camera, che non è ancora tutta conosciuta, scritta guardando non solo a Rossini ma anche a Haydin, Mozart e Beethoven, è autore di molte opere teatrali per le quali è diventato famoso. In realtà fu il primo grande romantico, capace di rappresentare i sentimenti umani nel canto semplice, accessibile popolarmente e nello stesso tempo caratterizzato dallo stile raffinato della strumentazione. La sua ispirazione è spesso segnata da un malinconico lirismo e da accenti di umana disperazione, che riflettono i contrasti romantici del tempo. Nacque il 29 novembre 1797 a Bergamo (in Borgo Canale), i genitori lavoravano da sarti. Sei erano i figli, di cui due, Giuseppe e Gaetano, furono avviati alla musica. Giuseppe cantore in 247 S. Maria Maggiore diventerà musicante di Napoleone e poi in Costantinopoli alle dipendenze del sultano, Gaetano fu ammesso alla Scuola di musica fondata a Bergamo da Simone Mayr, autore di successo. Per i suoi eccezionali progressi fu inviato dallo stesso Mayer alla Scuola di Bologna. All’età di venti anni aveva già composto pezzi chiesastici, sinfonie e tre opere Il Pigmalione, Olimpiade, L’ira di Achille e il primo dei 19 quartetti che documentano la sua preparazione contrappuntistica. L’Opera Enrico di Borgogna, accolta freddamente a Venezia, inizia la serie delle rappresentazioni liriche. Donizetti nelle sue prime prove aveva a che fare con i successi di Rossini, che allora imperava per fama e di cui peraltro Donizetti era amico devoto. Le sue prime opere minori furono rappresentate a Venezia, a Mantova, al teatro Argentina di Roma e a Napoli. Scritturato alla Scala con l’opera Chiara e Serafino o i Pirati tiepidamente accolta, continuò ogni anno a partire dal 1824 a comporre opere numerose, tutte dimenticate. Tra tutte si ricorda l’Anna Bolena, tratta dall’Enrico VIII di Shakespeare su libretto di Felice Romani e rappresentata al Teatro Carcano di Milano, ove il romantico sentimentalismo di Donizetti si inserisce in una struttura drammatica con effetti teatrali. È stato notato come nella figura di Anna Bolena si possa cogliere una relazione con il personaggio di Ermengarda dell’Adelchi manzoniano, entrambe eroine offese, ma capaci di perdonare nella morte serena. L’opera riscosse TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 248 248 Il Tempietto grandi successi anche a Londra, Vienna e Parigi dove fu messa in scena. Dopo la Fausta, rappresentata a Napoli nel 1832, il suo primo vero capolavoro L’elisir d’amore, composto in poco più di una settimana su libretto di Felice Romani, rappresentato sempre nel 1832 alla Cannobiana, il maggior teatro di Milano dopo la Scala. Successo travolgente che Donizetti volle dedicare in una risposta all’editore Ricordi alle belle donne di Milano. L’opera attesta la grande fantasia musicale di Donizetti ed insieme la sua vena romantica, che ben si esprime nelle celebri arie Una furtiva lacrima, Quant’è bella quanto è cara, Adina credimi, espressioni del gentile e sincero amore del buon Nemorino per la bella Adina. Donizetti, che conduceva peraltro una vita ordinata accanto alla amata sposa, cominciò a girare per tutti i teatri italiani da Napoli a Firenze, a Milano a Venezia dove venivano rappresentate le opere, che egli continuava a scrivere quali la Parisina, Lucrezia Borgia, Torquato Tasso. Nel 1835 su invito del Teatro italiano, comunicatogli da Rossini, si recò a Parigi ove presentò il Marin Faliero. Fu però a Napoli che apparve l’altro grande capolavoro di Donizetti Lucia di Lammermoor, su libretto del Cammarano, tratto dalla Sposa di Lammermoor di Walter Scott, opera meravigliosa ove si alternano pagine di alto lirismo a scene drammatiche. Così scrive Iovino a proposito di questa bellissima opera: «L’eleganza intoccabile delle melodie, il loro slancio e la loro semplicità, lo stile conciso con cui viene svolto il dramma, la qualità malinconica della strumentazione (con preferenza per i corni) rendono Lucia uno dei titoli ancora oggi più frequentati ed amati».(23) Lucia è il poema musicale dell’amore ed il suo successo sta «fors’anche nella densità dei miti romantici innestati all’interno di una tragicità che conduce alla follia e al suicidio. E che racconta come l’amore è destinato a trionfare, anche dopo la morte».(24) Alla gioia per il trionfo di Lucia seguirono molti lutti familiari, le morti del padre e della madre, un bimbo nato senza vita e la morte della sposa Virginia. Il Maestro si dedicò tutto al lavoro. Il fatto che il Poliuto fosse stato respinto dalla censura borbonica lo indusse a trasferirsi nel 1838 a Parigi ove fu rappresentata la Favorita, canto che commuove e travolge per la potenza drammatica. Seguirono La fille du règiment, che piacque al pubblico parigino per le bellezze melodiche, e i Martyrs, rimaneggiamento del Poliuto chiamati il Mosè di Donizetti, poema religioso ed eroico dalla omonima tragedia di Corneille, con scene edificanti e con pagine di alto interesse musicale. Nel 1848 è ancora a Roma ove mette in scena Adelia o la figlia dell’arciere. Nel 1842 compone per il teatro di corte viennese Linda di Chamonix opera semiseria, che ebbe grande successo tanto che fu nominato Maestro di Cappella e Compositore di TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 249 Il Tempietto Corte, incarichi che già erano stati di Mozart. Su preghiera di Rossini diresse a Bologna lo Stabat Mater del pesarese, che lo avrebbe voluto anche come direttore del Liceo musicale di Bologna. Del 1848 è ancora il Don Pasquale ufficialmente su libretto di Accursi Michele, ma in realtà di Giovanni Ruffini, opera perfetta e di grande equilibrio, composta a Parigi in undici giorni, ma tutta in stile italiano senza influssi dell’operà - comique francese. Lo minava però la malattia, forse anche aggravata dal ritmo di lavoro del Maestro. Fu ricoverato nel manicomio di Irvy a Parigi e quindi ospitato in Bergamo in casa Basoni ove morì nel 1848. Giuseppe Verdi È con il Nabucco che Verdi prende coscienza del suo genio: «Con quest’opera - ebbe ad affermare lo stesso Verdi a proposito del Nabucco si può dire veramente che ebbe principio la mia carriera artistica»(25) Il Nabucco fu preceduto da molte esperienze musicali: dalle esercitazioni sulla spinetta e sull’organo delle Roncole, alle composizioni per la filarmonica di Busseto, ove ottenne il posto di maestro di musica, dopo che fu bocciata la sua ammissione al Conservatorio di Milano ove aveva chiesto di poter continuare gli studi musicali, e soprattutto alla sua prima opera Oberto conte di san Bonifacio. La partitura dell’Oberto, rifiutata dal Teatro di Parma, fu accettata dall’impresario Bartolomeo Merelli su richiesta della cantante Giuseppina 249 Strepponi e del primo violino della Scala, presso la quale venne rappresentata con successo nel 1839. E fu lo stesso Merelli, che malgrado l’insuccesso di Un giorno di Regno sempre alla Scala, offrì a Verdi, allora in preda al più cocente dolore per la morte della sposa Margherita Barezzi e dei suoi due figlioletti, i libretti del Nabucco e dei Lombardi alla prima crociata, che Verdi musicò riscuotendo grande successo.(26) Già nell’Oberto appaiono alcune delle caratteristiche dello stile verdiano: accento umano, forza emotiva e drammatica, mutazioni improvvise e violente. Sia nel Nabucco che nei Lombardi ci sono pagine di sentimento umano e patetico, di espressione religiosa elevata nella preghiera, di violenza, di conflitti drammatici e pathos. Meravigliosi i cori dal Va pensiero del Nabucco al Signor dal tetto natio dei Lombardi. A Venezia nel 1844 va in scena Ernani su libretto del Piave: è l’opera che delinea la natura romantica di Verdi, spirito umanamente vivo e “elementare”. È lavoro già staccato dai vecchi schemi napoletano e rossiniano e appena legato alla concezione donizettiana. Impronta leonina, schietta italianità si rivelano già qui come caratteristiche della musa verdiana. Del 1843 sono I due Foscari su libretto del Piave dalla tragedia omonima di Byron e del 1847 è il Macbeth con il quale Verdi inizia a rapportarsi a Shakespeare, confermando la sua scelta di trarre i suoi soggetti da alte fonti letterarie (in primo luogo Victor Hugo, poi Byron Schiller e quindi TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 250 250 Il Tempietto Shakespeare, il cui teatro fu tradotto in prosa italiana nel 1838 da Carlo Rusconi). Alla prima edizione del Macbeth seguono i Masnadieri. Per quanto riguardava il libretto, che nell’opera italiana era sempre stato composto in versi endecasillabi o anche in quinari settenari ecc., Verdi cercava di staccarsi dalla forma rimata per arrivare ad una sempre maggiore aderenza tra testo e musica: «A dir il vero, pur senza intenzioni programmatiche o così intenzionalmente dirompenti, – scrive lo studioso di semiologia Paolo Fabbri - fin dagli anni ‘50 già Verdi aveva dato mostra di una scrittura che intendeva movimentare i profili soliti, saggiando ad esempio le possibilità offerte in situazioni colloquiali dall’innesto di segmenti vocali flessibili in versi sciolti- con il loro profilo irregolarmente ondulato- su di una base strumentale periodica».(27) Su Verdi è stato detto e scritto molto, difficile aggiungere qualcosa alla sua celebrità. Certo che con Verdi la musica italiana perviene a una potente definizione: egli parte dalla vita vera e dall’uomo esaltandone attraverso la musica l’anelito profondo al bene, nelle contraddizioni che pur emergono nel suo animo. Una musica, quella di Verdi, che si riallaccia nella sensibilità romantica all’ umanesimo congenito alla nostra tradizione, classico e realista insieme, volto a cogliere l’essenza stessa dell’uomo. Nel 1849 Verdi abita con la Strepponi a Parigi e, tornato in Italia, inizia le pratiche per l’acquisto della villa Sant’Agata presso Busseto. È quindi a Roma per La battaglia di Legnano, che dà luogo a manifestazioni patriottiche. Nel ‘48 il San Carlo aveva peraltro già rappresentato Luisa Miller (da Schiller), che prelude a Rigoletto anche per argomento, ma non è ancora opera vigorosa e controllata in senso autocritico, mentre Stiffelio, degli stessi anni, non ebbe buon esito. Segue poi la serie dei capolavori, che hanno fatto di Verdi la personalità di spicco del teatro lirico ottocentesco. Rigoletto su libretto del Piave tratto da Le roi s’amuse di Victor Hugo, fu rappresentato con grande successo alla Fenice nel 1851 e fa parte della trilogia romantica, composta dal 1951 al 1953, di Rigoletto, Il Trovatore, La Traviata. Rigoletto è una fiumana travolgente di melodie, grande l’approfondimento psicologico, strumentazione nutrita e pittorica, audace l’intreccio delle parti. Verdi stesso, dopo aver già composto Trovatore e Traviata, scriveva: «Rigoletto la mia migliore opera!» Lusinghiero fu peraltro il successo dell’opera anche in Austria, Ungheria, Germania, Londra e Parigi ove fu ripetutamente messa in scena. Il Trovatore, librettista il Camarrano da un dramma spagnolo El Trobador, fu rappresentato al Teatro Apollo di Roma nel 1853. Anche il Trovatore dall’eccitazione dei sensi raggiunge l’emozione dello spirito sulla base di TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 251 Il Tempietto una grande inventiva musicale. Nel 1853 invece caduta alla Fenice della Traviata, dalla Dame aux camelias di Dumas figlio su libretto del Piave, insuccesso che si ripeté a Napoli anche se Verdi era convinto della buona riuscita del lavoro. Dramma di grande intensità psicologica pone al centro della vicenda l’eroica rinunzia di Violetta che la redime. Musica aristocratica, in cui quanto di delicato era sotteso nelle opere precedenti, ora si svela. Prima dominavano la passionalità indomita e selvaggia, l’austera solennità delle visioni bibliche e il patriottismo, ora prevalgono voci di soave tenerezza, di pianto e di dolore. Ancora un dramma storico con I Vespri Siciliani, macchinosa costruzione melodrammatica scritta su commissione del Governo Imperiale per l’inaugurazione dell’Esposizione Universale di Parigi. Celebre la bellissima sinfonia dell’opera. Segue la stesura del Simon Boccanegra su libretto di Piave per la Fenice, ove cade nel 1858 (nel 1881 fu rappresentato alla Scala il rimaneggiamento del Simon Boccanegra su libretto rivisto da Boito con sviluppo drammatico fuori dalle forme consuete, ove Verdi adotta la declamazione melodica e spezza i vincoli del concertato). Alla ripresa dello Stifelio col titolo di Aroldo, che non riscosse successo, fece seguito Un ballo in maschera su libretto di Antonio Somma, che Verdi ritirò dal San Carlo di Napoli per rappresentarlo a Roma nel 1859, ove fu accolto con grande entusiasmo, diventando 251 occasione di manifestazioni patriottiche al grido di Viva Verdi (per Vittorio Emanuele re d’Italia). Ancora ricca la produzione degli anni successivi, in cui c’è il Verdi tutto musica. Nel 1862 successo a Pietroburgo (era presente anche il Maestro) della Forza del destino su libretto di Piave, nel 1865 rifacimento del Machbet, nel 1867 Don Carlos (da Schiller) dramma della ragion di stato, presentato a Parigi, e rimaneggiamento della Forza del Destino, su libretto di Ghislanzoni, una tra le opere più patetiche di Verdi. Infine le ultime grandi composizioni: Aida, Otello, Falstaf, alle quali si aggiunge la Messa da Requiem inizialmente scritta per Rossini e poi dedicata a Manzoni, morto nel 1873. Anche negli ultimi capolavori, sopra menzionati, si riscontra la lealtà di Verdi per i maestri italiani del passato. Contro di lui e la nostra tradizione c’era stato un attacco dei wagneriani, ai quali Verdi (che aveva ascoltato la sinfonia del Tannhauser e a Bologna nel 1871 il Loengrin, esprimendo giudizi non positivi su Wagner, anche se alla morte del grande musicista tedesco aveva vergato espressioni di cordoglio), contrapponeva la sua coerenza e la sua formazione, che lo aveva portato ad attingere dalla vita la sua ispirazione. L’interesse prevalente per l’immediatezza del sentire non gli aveva però impedito di continuare a perfezionarsi nel contrappunto per progredire nell’arte, pur rimanendo sempre fedele a sé stesso. Nel 1871 aveva fatto eseguire al Cairo Aida, scritta su incarico del Khedivé TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 252 252 Il Tempietto d’Egitto, su libretto di Ghislanzoni. Dolcezza poetica, dramma e musica procedono in quest’opera unite con chiarezza e coerenza; forme tradizionali, arie,romanze e cabalette si susseguono in maniera essenziale e mirabilmente austera. Così scrive Bruno Barrili su Aida: dramma e i nuovi esaltatori del melodramma esotico. In realtà la concezione dell’Otello è sobria, ma italianissima sia pur nel mutamento canoro, per l’organicità strutturale e la caratterizzazione dei personaggi. Così scrive il critico Dino Roncaglia sulla parte finale di Otello: le mescolanze di gregoriano secolare, di moresco e di italiano del ceppo più focoso, sulle quali il genio liturgico e tempolaresco del bussetano scarica saette e fulmini silenziosi dai bagliori abbronzati e torridi fanno uno spettacolo unito e portentoso di geroglifici subitanei. Le forme piramidali dei colori atri, approdano man mano, nelle cupe sonorità azzurrine del quadro rintuonando mirabilmente.(28) e ancora una volta ogni effetto è ottenuto attraverso una grande semplicità di mezzi, e facendo aderire il linguaggio verbale al recitativo sillabico di grande naturalezza e di nuova potente verità espressiva. Questo ormai non è più un melodramma e meno ancora una grand’opera; è il nuovo dramma lirico italiano (secondo quanto è scritto sullo spartito), o meglio l’opera-poema secondo la denominazione di Giuseppina Verdi.(29) In questo periodo Verdi è spesso a Sant’Agata con la Strepponi. Intanto Boito gli prepara il libretto dell’Otello da Shakespeare, acclamato alla Scala nel1887, sotto la direzione di Franco Faccio. In Otello Verdi conferisce particolare spazio alla declamazione melodica per meglio individuare i caratteri. Vi è una soppressione di arie e romanze per un declamato intensivo di dolce e intima melodiosità e vi è anche la ripresa delle sublimi concezioni monteverdiane, non più legate agli schemi fissi del melodramma. Il progresso delle forme, introdotto al fine di non temere più i tedeschi, ebbe però l’effetto di suscitare anche grandi diatribe tra gli idolatri del vecchio A proposito della Messa da Requiem verdiana può essere interessante ricordare il dibattito, tutt’ora aperto, tra i sostenitori di questo mirabile capolavoro e coloro che lo ritengono una composizione melodrammatica o operistica, che non avrebbe nulla a che fare con autentiche opere sacre. Contrario a queste posizioni il critico Giulio Confalonieri, che in un articolo del 1950 criticava la tesi che confinava la musica religiosa alla polifonia quattrocentesca e cinquecentesca e alla musica dei corali a sole voci delle scuole franco-fiamminghe e delle scuole romana e veneziana. Confalonieri sosteneva che ritenere la musica sacra conclusa con la morte di TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 253 Il Tempietto Palestrina fosse un errore interpretativo, che non teneva conto dello svolgersi della storia e dell’apparire di nuovi generi musicali, che avevano influito anche sullo sviluppo della musica sacra. A suo vedere l’idea religiosa nell’Ottocento non si sarebbe sviluppata nella sede più diretta, cioè nella musica per Chiesa, ma si sarebbe trasferita nel teatro quando l’Opera appariva essere la forma più alta di creazione artistica Verdi condivideva con il suo tempo l’entusiasmo per la cultura francese e le posizioni teoretiche del Lammenais, di Comte e di Renan, ma nella sua musica, più che nelle sue dichiarazioni pubbliche sulla fede religiosa, l’idea religiosa era sempre viva, come portato di quella verità umana che egli andava perseguendo nei suoi melodrammi: Come diceva Gluck la musica non sa mentire. Ora le estasi di Aida e di Radames sul limite dell’ora postrema non possono significare un semplice abbandono al termine del vivere fisico; esse sono la prescienza di una rinascita, l’anticipazione di una nuova armonia, riscatto ai contrasti e alle ingiustizie dell’esistere in terra; le preghiere corali dei Lombardi e la preghiera solitaria di Desdemona non possono essere rivolte ad una entità illusoria; il terrore di Rigoletto e la sua oscura aspettazione di un tremendo castigo presuppongono la certezza di un giudice.(30) Verdi, figlio dei suoi tempi, provato dalla morte della moglie e dei 253 figlioletti in giovinezza, inquieto di fronte all’esistenza del male «ricoprì la propria inquietudine con una dura riserva e si tenne lontano dalle pratiche della fede, ma nel fondo più occulto dell’essere, durante gli incontri solitari con la perplessità interrogativa delle sue immagini, egli si ricongiunse all’universo cristiano del popolo d’onde egli nacque, all’universo di Dante, di Michelangiolo, del suo “santo” Manzoni»(31) Non a caso l’ultima sua composizione del 1894 è stata un Te deum, in cui si leva il canto di una voce di soprano con la preghiera In te speravi, che sale dal suono sepolcrale delle note basse: una religiosità drammatica perché consapevole della differenza tra l’ansia di pace del cuore e la drammaticità dell’umana condizione. Infine l’ultima grande opera di Verdi Nel 1889 è pronto il libretto di Falstaf di Boito da Shakespeare, che venne rappresentato con successo alla Scala nel1893. «Il più rilevante tratto di originalità del Falstaff - scrive Iovino - sta nella scrittura vocale che, almeno apparentemente, rinuncia ad ogni melodismo»(32). Scompaiono le forme chiuse su cui si era fondata l’opera italiana e che erano state avversate dal teatro wagneriano, per lasciar posto a novità di scrittura musicale: Verdi concepì un declamato continuo, rispettoso della parola, estremamente duttile nel piegarsi TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 254 254 Il Tempietto ad ogni esigenza espressiva e teatrale. Così minuscole cellule si fanno arie di incredibile brevità («Quando ero paggio» o «Va’ vecchio John»), il duetto amoroso tra Fenton e Nannetta è continuamente accennato («Bocca baciata non perde ventura»), quasi a voler ritardare o addirittura evitare quella nota patetica che un vero momento amoroso comporterebbe. Incisi melodici sparsi qua e là nelle voci trovano piena rispondenza in un’orchestra mai prima di allora così leggera eppure così incredibilmente ricca di soluzioni timbriche.(33) Riccardo Stauss definiva Falstaff uno dei massimi capolavori di tutti i tempi, Ildebrando Pizzetti un capolavoro di bonaria arguzia e di maestria tecnica. Si tratta inequivocabilmente di un’opera mirabile, molto originale e diversa dalla precedente tradizione dell’opera comica. Con Falstaff Verdi si è congedato dal teatro con una suprema lezione di tecnica compositiva e di vita. Dopo aver conosciuto il mondo nella ricchezza dei suoi eventi e dei suoi affetti, lo può guardare con serena ironia: «Tutto nel mondo è burla,/ l’uomo è nato burlone./ La fede in cor gli ciurla,/ gli ciurla la ragione./ Tutti gabbati ! Irride / l’un l’altro ogni mortal./ Ma ride ben chi ride / la risata final.»(34) Salvata da lui la grande opera nazionale vocalistica e la tradizione melodrammatica di stampo nostrano contro gli stranieri, Verdi ha indicato le vie a tutto il teatro lirico italiano dell’Ottocento, Maestro indimenticabile di arte e di umanità fino ai nostri giorni. TEMPIETTO 11_Layout 1 04/11/10 14.31 Pagina 255 Il Tempietto Note 1 L. Arruga, Il teatro d’opera italiano, Feltrinelli, Milano 2009, p.14 2 M.Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1977, p.115 3 Ivi, p.158 4 M. Mila, Breve storia della musica, Einaudi, Torino 1977,p.253 5 Ibid. 6 Donald Sassoon, I moschettieri dell’Italia globale, Il Sole 24 Ore, 25 luglio 2010 7 C.Dahlhaus, Drammaturgia dell’opera italiana, EDT, Torino 2005, p.12 8 Ivi, p. 14 9 Ivi,p.15 10 F.Abbiati, Storia della musica, Garzanti, Milano 1954, p.41, 11 Ivi, p.42 12 M.Mila, Le idee di Rossini, in Rassegna musicale Curci, pp.8-16, Edizione Curci Milano, anno L 3, p.16 13 Ibid. 14 L. Arruga, cit. p196 15 A.Baricco, Il genio in fuga, Einaudi, 2006, p.80 16 R.Bacchelli, Sensività di Rossini, Rossini, Torino UTET in Abbiati p.461 17 Abbiati, p.50 18 Abbiati, p.57 19 Ivi, p.65 255 20 R.Iovino G.De Martino All’Opera I Da Rossini a Verdi, Fratelli Frilli, Genova 2008, p.9 21 F. Abbuiati, cit. p.91 22 G. Mazzini, Filosofia della musica. Scritti lettera ridi un italiano vivente, Tomo II, 1847 23 R.Iovino G.De Martino, cit.p.42 24 ibid 25 F. Abbiati, cit.p.158 26 Su Verdi si veda anche un precedente articolo di P. Ruminelli Verdi e il Risorgimento sulla rivista del Tempietto n. 9 Risorgimento… oltre il mito, pp.155-166 27 P.Fabbri, Musica e canto nell’opera italiana, EDTTorino, 2007, p.45 28 Bruno Barrili, Il sorcio nel violino, Milano, Bottega di Poesia, 1925 in Abbiati p.465 29 G. Roncaglia, G.Verdi, Sansoni, Firenze 1940, in Abbiati pp.465-66 30 Giulio Confalonieri, Religiosità di Giuseppe Verdi, Rassegna musicale Curci, anno LXI n. 1, gennaio 2008, pp.6-9, p.9. l’articolo ripropone un articolo pubblicato sulla Rassegna musicale Curci nell’ottobredicembre 1950 31 Ivi, p.9 32 R. Iovino, Tutto nel mondo è burla, De Ferrari, Genova 1998,p,86 33 Ivi,p.87 34 Falstaff, finale atto III