MODULO I Questioni di Antropologia filosofica (Istituzionale) I. 2. Aporetica dell'Antropologia filosofica Antropologia e filosofia Se fin qui l’applicazione all’uomo del metodo filosofico della ricerca del principio ha mostrato la sua fecondità, facendoci riscoprire dimensioni antropologiche che avevano dimenticato, dal punto di vista storico, invece, il rapporto antropologia-filosofia non sembra altrettanto costruttivo. Dobbiamo osservare, infatti, che nel corso della sua storia millenaria 1) la filosofia si è applicata ad investigare l’area extra-umana della metafisica articolandola nelle discipline: - Metaphysica generalis o ontologia, che tratta dell’essere in quanto tale e - Metaphysicae speciales, a loro volta suddivise in: .Psychologia, volta allo studio dell’anima; .Cosmologia, volta allo studio del mondo; .Theologia, volta allo studio di Dio; 2) fino alla nascita dell’antropologia filosofica moderna, nel XX sec., la filosofia non ha messo a tema l’uomo in se stesso, quale entità ontologica unitaria o sfera autonoma d’essere. La metafisica ** μετά τά φυσικά (metà tà physikà) = ciò che viene dopo la fisica a) Denominazione biblioteconomica che indicava la posizione dei libri di Philosophia Prima di Aristotele, nella biblioteca di Alessandria d’Egitto, la più grande e celebre dell’antichità, andata distrutta nel periodo ellenistico a causa di un incendio e oggi ricostruita. Tali libri erano collocati: «dopo i libri di fisica» b) Poiché, poi, nella Philosophia Prima, Aristotele si poneva i problemi relativi al senso del mondo fisico nell’intero dell’essere, si cominciò a parlare di «metafisica» con riferimento ad una disciplina conoscitiva che affronta le problematiche relative al senso delle cose, elaborando sistemi simbolici d’essere. Infatti, noi uomini possiamo apprendere, solo in quanto tutto ciò che apprendiamo rientra nell’orizzonte d’essere che abbiamo ovvero: è/non è. Antropologia e filosofia (1) Fino al XX secolo, la filosofia si è occupata dell’uomo considerandolo un essere tra gli altri, seppure particolare e perciò applicandosi soprattutto a riscontrare in lui fattori già analizzati e descritti in sede di trattazione generale dell’essere. P. es.: - secondo Aristotele l’uomo è una sostanza composta dall’elemento materiale e da quello spirituale, cioè è «sinolo di materia e forma»; -per Cartesio l’uomo è composto di res cogitans e res extensa unite dalla ghiandola pineale (dualismo antropologico cartesiano); - per Spinoza l’uomo è un «modo» dell’unica sostanza. Antropologia e filosofia (2) Nel nostro procedere alla ricerca del significato dell’aggettivo «filosofica» che qualifica la nostra disciplina, ci imbattiamo così in un problema imprevisto: l’accostamento dell’aggettivo «filosofica» ad «antropologia» comporta forse l’autocontraddizione di trattare dell’uomo in modo extra-umano? Poiché, infatti, la filosofia si è storicamente occupata dell’uomo solo metafisicamente, sorge il sospetto che proprio quando l’uomo, spontaneamente, cioè dando seguito alle istanze di ricerca di senso più caratteristiche della sua natura, si spinge a investigare su di sé in modo filosofico, proprio allora di sé non parla più tematicamente, almeno fino al XX secolo d. C., allorchè, ai nostri giorni, dalla crisi della metafisica è sorta l’antropologia filosofica. Antropologia e filosofia (3) Per dissipare il sospetto che l'antropologia filosofica abbia imboccato una «via senz'uscita» (= aporetica), incorrendo nell' autocontraddizione, di voler trattare l'uomo con metodologia extra-umana, non abbiamo altra via che quella di addentrarci nella storia della filosofia, fino a raggiungere il suo momento di origine. Origine della filosofia I Il tipo di sguardo conoscitivo, filosofico, sulla realtà si è sviluppato spontaneamente tra i Greci del VII sec. a. C., dove ad opera di Talete di Mileto la realtà tutta, fino ad allora rappresentata in termini mitologici o pratico-religiosi, fu investita da un interrogativo originale e radicale, che chiedeva quale fosse l’αρχή πάντων (=archè pànton) ovvero il principio di tutte le cose, da cui scaturiva l’ordine razionale dell’universo. Cfr.: D. Verducci, Il segmento mancante. Percorsi di filosfia del lavoro, Carocci, Roma 2003, pp. 43-53, § 1.2.2., «La filosofia come ricerca del principio tra intenzionalità e realizzazione» (testo allegato in pdf). Origine della filosofia II Come mai si è sviluppato un tale investimento conoscitivo, filosofico, della realtà? Evidentemente, non del tutto soddisfacente risultava la forma in cui l’energia vitale dell’istinto di potenza, che nei viventi presiede tanto alla conoscenza quanto all’azione, si era fino a quel momento configurata negli uomini, conducendo Talete ad osservare le stelle, misurare i terreni ed esprimere massime morali. Proprio un tale senso di insoddisfazione lo spinse a un vissuto d’arresto, la meraviglia - in greco: θαυμάζειν (=thaumàzein) - e a trarre da sé, riflessivamente, una modalità di intenzionamento conoscitivo mai vista prima: quella che si interroga sul principio di tutte le cose e mira a descriverle secondo un ordine plausibile, in cui ognuna abbia il suo posto all’interno di un senso complessivo ovvero elaborando una rappresentazione simbolica della totalità dell’essere, a partire dal principio primo individuato. La meraviglia «Quando qualcosa si manifesta come conoscitivamente inoltrepassabile, perché a rischio di caduta nel nulla-di-principio, suscitandoci un senso di ignoranza e di incertezza, come dice Aristotele (Met., A, 2, 982b 20), il filosofare sorge ad esigere che taccia la vitale smania acquisitiva di conoscenze e si lasci spazio ad un ritorno riflessivo sul già noto, che prelude alla teoresi. Questo semplice vissuto d’arresto, che può essere suscitato da qualunque oggetto, anche il più abituale e in qualunque momento - al contrario di quanto accade alla curiosità, istinto di potenza che nelle scimmie antropoidi è innescato invece da tutto quanto esula dalla routine consuetudinaria – oltrepassa, nel suo stesso spontaneo manifestarsi, i limiti del flusso istintivo-vitale, che pure lo supporta. Esso documenta che si è compiuto un atto a priori con cui la coscienza ha assunto un punto di vista, che prima non aveva mai raggiunto, essendo stata impegnata a conseguire conoscenze che attenevano alle necessità di vita, all’agiatezza e al benessere, come avverte ancora Aristotele (Met., A, 2, 982b 22-24)». (SM, p. 48). La meraviglia (1) «E’ per questo che con l’atto della meraviglia o del dubbio o dell’epochè, si delinea una sorta di Urszene(=scena originaria) della filosofia ovvero ci si rappresenta l’avvio di un’attività conoscitiva unica, eminentemente teoretica, in quanto per statuto originario rivolta al sapere delle cause e dei principi. Secondo tale intenzione conoscitiva l’oggetto è colto in rapporto alla sfera assoluta ed è pertanto investigato sia come il rappresentante di un tipo ideale, di un’essenza (Wesenheit) sia come il portatore della condizione problematica radicale, che si confronta con il nulla, dalla quale sorge la domanda circa il “perché, come, a qual fine c’è in generale qualcosa di simile, piuttosto che non esserci?”. Se poi la domanda che scaturisce dall’oggetto, è estesa alla struttura essenziale della totalità mondana (Weltganzheit), allora siamo in presenza dell’autentica meraviglia metafisica, come quella che ha suscitato in Talete la domanda sull’archè pànton, cui egli rispose affermando che “principio di tutto è l’acqua”». (SM, p. 48). Talete I Talete formulò una risposta naturalistica all’interrogativo filosofico appena inaugurato, affermando, secondo la testimonianza di Aristotele, che principio di tutto è l’acqua. Talete partiva «dalla constatazione che il nutrimento di tutte le cose è l’umido e che perfino il caldo si genera dall’umido e vive nell’umido. Ora, ciò da cui tutte le cose si generano è, appunto, il principio di tutto. Egli desunse dunque questa convinzione da questo e inoltre dal fatto che i semi di tutte le cose hanno una natura umida e l’acqua è il principio della natura delle cose umide» (ARISTOTELE, Metafisica, A 3, 983b 23-27; tr. it. di G. Reale, Rusconi, Milano 1998, pp. 16-17). Talete II Rispetto al nostro problema, di come accostare all’antropologia l’aggettivo «filosofica», visto che storicamente il filosofico non sembra riguardare l’antropologico in modo specifico, non è tanto importante la risposta che Talete ha fornito alla domanda sul principio di tutte le cose, risposta del resto rapidamente superata dall’àpeiron (άπειρον=indeterminato) di Anassimandro o dall’aria di Anassimene, quanto la prospettiva conoscitiva inedita così inaugurata. Talete III Anche secondo Nietzsche: «Talete contemplò l’unità di ciò che è, e quando volle comunicare la sua intuizione, parlò dell’acqua!» (F. NIETZSCHE, Die Philosophie im tragischen Zeitalter der Griechen, in Nietzsche Werke. Kritische Gesamtausgabe, a cura di G. Colli e M. Montinari, III2, p. 311; tr. it. di G. Colli, La filosofia nell’epoca tragica dei greci, in Nietzsche Opere Complete, III2, p. 285). Talete IV Di Talete ci interessa scoprire l’intenzionalità ovvero il vissuto filosofico di trascendenza, messo in atto, nella sua ricerca del principio di tutte le cose. Questo vissuto, costitutivo e specie-specifico dell’umano, è ciò che vogliamo apprendere dall’antropologia filosofica, per riscoprirlo in noi e rimetterlo all’opera di questi tempi in cui sembra che abbiamo dimenticato chi siamo veramente. Come procede la filosofia Essa segue il metodo della ricerca del «principio di tutte le cose» (αρχή πάντων=archè pànton), attraverso il quale, a partire dall’individuazione di un principio primo, si strutturano sistemi simbolici di senso, nel cui ambito ciascun ente può trovare la sua posizione adeguata. Il sistema non si può mai considerare chiuso o definitivo, perché essendo soddisfatto solo dalla condizione della totalità, che noi ci rappresentiamo come un’idea, ma non possediamo mai attualmente la comparsa di nuovi enti rimette continuamente in discussione la primalità del principio, di cui va sempre di nuovo verificata la capacità di rendere ragione di ciò che appare alla ribalta della storia, cioè della totalità di volta in volta ri-costituentesi. Filosofia e simbolizzazione Nel filosofare si manifesta la radice antropologica di ogni simbolizzazione. Filosofando, infatti, ci protendiamo lungo le linee intenzionali dell’idea di totalità dell’essere, per cui tutto quanto i nostri organi di senso/sentimento recepiscono viene reso/cifrato in forma d’essere e collocato nella posizione più appropriata nell’ambito dell’orizzonte di senso che si configura a partire dal principio di tutte le cose di volta in volta in vigore. P. es.: per i filosofi ionici, che ritenevano principi di tutte le cose gli elementi naturali, quali l’acqua, la terra, il fuoco, l’aria, tutto il contenuto dell’esperienza si strutturava in termini di “natura animata”. Per i moderni, il cui orizzonte di senso si è costruito a partire dalle scoperte astronomico-fisiche, tutto il contenuto dell’esperienza si struttura invece in termini di “forze inanimate”. L’antropologia filosofica I Possiamo a questo punto concludere che l’antropologia filosofica è il discorso razionale che l’uomo fa su di sè, secondo il metodo della ricerca del principio di tutte le cose, scoperto e inaugurato da Talete nel VII sec. a. C., metodo che risponde alla intenzionalità antropologica più propria, quella che si interroga sul senso di ogni esperienza (= funzione “meta-”, intenzionalità, istanza di trascendenza) L’antropologia filosofica II L’antropologia filosofica mette a fuoco il suo oggetto di conoscenza, l’uomo – sia ricercandone il principio proprio, l’essenza (=ciò per cui ogni uomo è uomo e rende riconoscibile l’uomo, in qualunque condizione spazio-temporale si trovi e comunque sfigurato o deprivato) – sia contestualizzando tale essenza nell’ambito dell’essere nella sua interezza cioè : 1) cogliendo la relazione che l’essere-uomo ha con l’essere in quanto tale, investigato dalla metaphysica generalis o ontologia 2) individuando la posizione che l’ente-uomo assume nell’ambito della gerarchia ontologica, corrispondente alle metaphysicae speciales ovvero psicologia, cosmologia, teologia. L’antropologia filosofica III Considerando l’uomo filosoficamente, cioè secondo la intenzionalità* metafisica**, l’antropologia filosofica rende ragione e risponde alla domanda di senso che l’uomo si pone riguardo a se stesso e riguardo a tutto ciò che è. Infatti l’orizzonte di senso in cui solamente gli enti possono darsi, si costituisce sulla base dell’intenzionalità filosofica di trascendenza, volta al principio di tutte le cose e individuato nell’essere, da Parmenide in poi (cfr. Appendice I). *= atto di protensione “inesistente” (Brentano) della coscienza dal polo soggettivo al polo oggettivo ** metà tà physikà =oltre la fisica, ovvero riguardante le questioni di senso del mondo fisico Antropologia filosofica IV Uscita dall'aporetica L’antropologia filosofica, dunque, solo in apparenza incorre nella situazione aporetica di occuparsi dell’uomo in modo extra-umano, cioè filosofico-metafisico. Infatti non c’è tipologia conoscitiva più radicalmente umana di quella filosofico-metafisica. In essa, è la stessa esigenza di trascendenza o funzione “meta”, costitutiva dell’umano nel suo andare alla ricerca del senso di sé e del mondo, a farsi metodo di indagine.