Antropologia filosofica
A.A. 2010-2011
Questioni di
Antropologia filosofica
***
Questioni di genere
in Antropologia filosofica
INDICE
Modulo I (istituzionale):
-I. Questioni di Antropologia filosofica
- I. 1. L’antropologia filosofica. Nodi teoretici e storici
“Che cos’è l’antropologia filosofica?”
a) approccio etimologico (cfr.: M. Scheler, “Parola ed espressione”, in:
Sull’idea dell’uomo, pp. 56-63)
b) approccio teoretico (cfr.: Appendice I: Antropologia filosofica e
antropologie settoriali)
c) approccio antropologico-evoluzionistico (cfr.: Allegato T)
- I. 2. Aporetica dell'AF (cfr.: PDF da Il segmento mancante,
“Dissoluzione del corpus filosofico” e ss.)
- I. 3. L’idea di uomo di Max Scheler (M. Scheler, Sull’idea
dell’uomo)
INDICE (segue)
Modulo II (monografico):
- II. Questioni di genere nel pensiero
antropologico di Edith Stein
MODULO I
Questioni di Antropologia filosofica
(Istituzionale)
I.1. a) e b)
L’antropologia filosofica.
Nodi teoretici e storici.
Che cos’è l’antropologia filosofica?
a) Un approccio etimologico
NOTA DI METODO DI CONOSCENZA:
Per affrontare l’ignoto, bisogna partire dal noto.
Nel nostro caso, per instaurare il procedimento che va dal noto
all’ignoto, possiamo trasformare i termini della domanda e
chiederci:
Che cosa ci dicono le parole di cui è composta la domanda?
Le parole che usiamo rappresentano, infatti, quel terreno solido del
noto, a partire dal quale possiamo avventurarci in ambiti meno
noti, alla conquista conoscitiva dell’ignoto (cfr.: M. Scheler, “Parola ed
espressione”, in: Sull’idea dell’uomo, pp. 56-63);.
L’approccio che così assumeremo sarà un approccio etimologico,
come quello utilizzato da Isidoro di Siviglia nel VI sec. d. C.
Isidoro di Siviglia
Isidoro di Siviglia (570 ca.-636) è vescovo di Siviglia nel VI sec.
d. C., quando nella Spagna visigotica, appena stabilizzata, stava
per sopraggiungere l'invasione islamica.
Egli teme di essere fagocitato dall’ignoto e, per conservare
qualcosa del prezioso patrimonio della cultura antica in via di
fatale dispersione, si dedica a scrivere le Etymologiae, un’opera
enciclopedica che tratta dei più vari argomenti (la grammatica,
l'agricoltura, la teologia, la storiografia, la politica e persino
l'abbigliamento o il giardinaggio), a partire dalla individuazione
dell’origine (=etimologia) delle parole stesse.
L’opera è stata paragonata ad una delle attuali finestre di Internet,
dalla quale si accede ad un mondo quanto mai ricco di
informazioni, «navigando», come in una Internet ante litteram.
Ciò diede alcuni anni fa lo spunto a vari estimatori di Isidoro per
designarlo «Patrono di Internet».
Le Etymologiae
Isidorus Hispanensis, Etymologiarum libri XX sive Origines
Trad. it. a cura di A. Valastro Canale, 2 voll., Torino UTET, 2004
Breve esempio dell’opera:
Liber I
De grammatica
Caput I. DE DISCIPLINA ET ARTE.
[1] Disciplina a discendo nomen accepit: unde et scientia dici
potest. Nam scire dictum a discere, quia nemo nostrum scit,
nisi qui discit.
(=Disciplina prende il nome dall’imparare: perciò può essere
detta anche scienza. Infatti sapere fu detto da imparare,
perché nessuno di noi può sapere, se non ciò che impara)
Le Etymologiae (1)
L i b e r XI. D e homine et portentis
Caput I. DE HOMINE ET PARTIBUS EIUS.
[5] Graeci autem hominem άνθρωπον appellaverunt, eo quod sursum spectet
sublevatus ab humo ad contemplationem artificis sui. Quod Ovidius poeta
designat, cum dicit:
Pronaque cum spectant animalia cetera terram,
os homini sublime dedit coelumque videre
iussit, et erectos ad sidera tollere vultus.
Qui ideo erectus caelum aspicit, ut Deum quaerat, non ut terram intendat
veluti pecora, quae natura prona et ventri oboedentia finxit.
(=I Greci diedero all’essere umano il nome di ànthropos per il fatto che esso, sollevatosi
dalla terra, guarda in alto, per contemplare il proprio artefice. A questo allude il poeta
Ovidio quando dice:
Mentre gli animali tutti guardano la terra,/all’essere umano concesse viso sublime e di
guardare il cielo/ ordinò, e di levare agli astri i volti eretti.
Questi, eretto, volge il proprio sguardo al cielo alla ricerca di Dio, senza fissare la terra
come le bestie, che la natura ha creato prone e schiave del ventre)
Etimologia di «antropologia filosofica»
L’espressione «antropologia filosofica» è un grecismo
άνθροπος + λόγος
ànthropos + lògos
uomo + discorso razionale
φίλος+σωφία
fìlos+sophìa
amico+sapienza
Recuperarne l’origine ci trasporta nel mondo dell’antica
Grecia, un mondo temporalmente lontano dal nostro, in cui
affondano le nostre radici culturali.
Il logos e la sophìa
Ai Greci dobbiamo, infatti, le espressioni e le nozioni di
lògos, di philèin e di sophìa, che sono portanti per
intendere il significato di Antropologia filosofica.
Il lògos indica:
a) la trama di razionalità che pervade l’essere;
b) la facoltà tipicamente umana di cogliere tale
razionalità e raggiungere la conoscenza del senso ultimo
dell’essere (sophìa).
Il philèin
E' un tendere amoroso che non aspira al possesso,
ma alla fruizione e perciò è tipico della relazione d’amicizia,
piuttosto che di quella erotica.
Aristotele dedica all'amicizia i libri VIII e IX dell'Etica
Nicomachea. L'opera consiste in una raccolta di lezioni che
Aristotele tenne probabilmente ad Atene, durante il suo secondo
soggiorno nella città, fra il 335 e il 323 a.C.: è il periodo aureo del
suo impegno teoretico e didattico, che s'interromperà soltanto alla
morte di Alessandro Magno, quando ad Atene si scatena una
violenta reazione antimacedone. Allora i legami di vecchia data
del filosofo con la dinastia regale della Macedonia lo inducono ad
allontanarsi dalla città e a ritirarsi nei possedimenti della madre a
Calcide, nell'isola Eubea. Vi morirà di malattia l'anno seguente, il
322, a 62 anni di età.
Il philèin
Aristotele costruisce un articolato impianto teorico inteso a
sussumere la pluralità di significati dell'amicizia.
Egli distingue tre cause di philìa: l'utile, il piacere e il bene.
Ne individua il fine nella realizzazione di un equilibrio fra due
individui, ammettendo espressamente l'amicizia fra diseguali,
accanto a quella – ritenuta più stabile e sincera – fra uguali.
Estende il concetto dal rapporto fra individui a quello fra
membri della stessa famiglia, sovrapponendolo così al legame di
sangue, e alla relazione fra membri di una stessa comunità e,
dunque, della polis.
Philìa è il vincolo fondato sulla fiducia leale e sincera,
presupposto condiviso delle amicizie personali, dei legami
affettivi familiari, sia naturali sia acquisiti, della coesione interna
alla comunità sociale e allo Stato.
Il philèin
Questa potenza della philìa, che abbraccia le relazioni dell'individuo a partire
dalla sua dimensione privata fino a quella pubblica e collettiva, è riconosciuta
da Aristotele nel carattere attivo e transitivo dell'amare:
«la philìa pare consistere più nell'amare (philèin) che nell'essere amati
(philèisthai)» (EN, 1159a 26-27).
Il rigore dell'argomentare filosofico richiede che l'affermazione sia suffragata
da una prova logica. E colpisce come all'esigente e severo raziocinio del
filosofo basti, una volta tanto, l'evidenza irrefutabile di un'argomentazione
puramente empirica, e cioè l'esempio toccante fornito dal gratuito amore
materno :
«segno [della natura attiva del philèin] è il fatto che le madri provano
piacere nell'amare: infatti alcune danno i loro figli ad allevare e continuano ad
amarli, sapendo di loro, senza cercare di essere amate in contraccambio, se
entrambe le cose non sono possibili; ma sembra che a loro basti sapere che
stanno bene e li amano, anche se quelli, per ignoranza, non ricambiano affatto
con l'amore che si deve a una madre» (EN,1159a 27-33).
La sophìa
Fu Aristotele (IV sec. a. C.) che distinse la sapienza (sophìa) dalla
saggezza (phrònesis).
La saggezza ha per oggetto le faccende umane, che sono mutevoli
e contingenti = in quanto possono essere così o diversamente da
così.
La sapienza, invece, ha per oggetto il necessario = ciò che non può
essere altrimenti.
La sapienza perciò è il più perfetto dei saperi, perchè non solo sa
ciò che deriva dai principi, come la scienza o “abito”(=ciò che si
possiede stabilmente), delle dimostrazioni dai principi, ma conosce
anche la verità dei principi, avendo l'intelletto o conoscenza
diretta dei principi.
La sophìa
In quanto grado di conoscenza più alto e più completo,
comprensivo di intelletto e scienza, inoltre, la sapienza è anche
il sapere delle cose più alte e sublimi, quelle che non mutano
e dalle quali dipende il senso delle cose mutevoli.
Come dice Aristotele:
«Vi sono altre realtà di natura ben più divina degli uomini,
come risulta chiarissimo se non altro dagli astri luminosi di cui
è costituito l'universo...Perciò si dice che Anassagora e Talete e
gli uomini come loro vengono chiamati sapienti e non saggi,
giacchè non si applicano a conoscere ciò che è vantaggioso per
loro ma conoscono cose straordinarie e meravigliose, difficili e
divine, ma inutili giacchè essi non indagano intorno ai beni
umani».
(Etica Nicomachea, VI, 7, 1041b 1)
Il significato etimologico
di «antropologia filosofica»
Collegando i significati delle parole greche di origine,
άνθροπος + λόγος
ànthropos + lògos
uomo + discorso razionale
φιλεϊν /φίλος+σωφία
filèin/fìlos+sophìa
amico+sapienza
possiamo, per via etimologica, ipotizzare che, quando si parla di
«antropologia filosofica», si intende una disciplina razionale, che
ha come proprio oggetto di ricerca l’uomo e che tende a
raggiungere su di lui una conoscenza di tipo non
intellettualistico, ma
sapienziale cioè tale da soddisfare
l’esigenza principale di cui la vita umana è portatrice, quella di
conoscere il senso dell’essere umano e di ogni altro essere
nell’ambito del tutto dell’essere.
Giudizi contrapposti sulla
filosofia
Non sempre però tale legame tra la filosofia e
la vita umana è stato riconosciuto.
Significativi in proposito i due aneddoti,
rispettivamente di Platone e di Aristotele, sul
fondatore della filosofia, Talete.
(cfr.:PDF da Il segmento mancante, 1.2.2.“La filosofia
come ricerca del principio tra intenzionalità e
realizzazione”, pp. 43-53)
L’aneddoto di Platone
«Si racconta anche di Talete, il quale mentre stava
mirando le stelle e aveva gli occhi rivolti in alto,
cadde in un pozzo; e allora una servetta di Tracia,
spiritosa e graziosa, lo motteggiò, dicendogli che
le cose del cielo si dava una gran pena di
conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i
piedi non le conosceva affatto […] Questo motto
si può ben applicare egualmete a tutti quelli che
fanno professione di filosofia».
(Platone, Teeteto, 174 A-B)
L’aneddoto di Aristotele
«Siccome, povero com’era, gli rinfacciavano l’inutilità
della filosofia, dicono che [Talete], avendo previsto in base
a computi astronomici un abbondante raccolto di olive,
ancora nel cuore dell’inverno, disponendo di una piccola
somma, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio,
dando una cifra irrisoria, perché non ce n’era richiesta
alcuna: ma quando giunse il tempo della raccolta, poiché
molti cercavano frantoi tutt’insieme e d’urgenza, li dette a
nolo al prezzo che volle e, così, raccolte molte ricchezze,
dimostrò che per i filosofi è davvero facile arricchirsi, se lo
vogliono – e invece non è questo di cui si preoccupano».
(Aristotele, Politica, I, II, 1259a 8-19)
Che cos’è l’Antropologia filosofica?
I. 1. b) Approccio teoretico
Un’osservazione
Ci rendiamo conto, a questo punto, che il procedimento
etimologico, che fin qui ci ha guidato dal noto all’ignoto, ha
raggiunto il suo limite e che ora dobbiamo proseguire la nostra
ricerca ad un altro livello.
Sul piano etimologico, non ci fa problema il suffisso «-logia» né
l’espressione «antropo-logia».
Per il loro significato disponiamo, infatti, di molte analogie
linguistiche, su cui appoggiarci.
Nel nostro tempo, le discipline particolari rivolte ai vari ambiti
del reale si sono moltiplicate, dando luogo a sempre nuove «-logie».
P. es.: «minera-logia», «geo-logia», «etno-logia», «socio-logia»,
«psico-logia».
Un’osservazione (1)
Anche per investigare il problema antropologico, molto sentito a
partire dal XX sec., si sono enormemente moltiplicate le discipline
antropologiche settoriali, generando numerose antropologie e
aprendo altrettanti punti di vista sull’uomo.
Possiamo nominare molti esempi di antropologie settoriali:
l’antropologia economica; l’antropologia giuridica;
l’antropologia politica; l’antropologia sociale;
l’antropologia religiosa; l’antropologia medica;
l’antropologia biologica; l’antropologia fisica;
l’antropologia culturale………
Cfr.: Appendice I, Antropologia filosofica e antropologie settoriali.
Sul filosofico
Ciò che, invece, oggi non è affatto scontato è che si sappia dare una
risposta alla domanda: «Che cos’è la filosofia?» e conseguentemente
un contenuto determinato all’aggettivo «filosofica», che qualifica la
nostra disciplina.
A partire dalla cultura di cui attualmente disponiamo, abbiamo, anzi,
qualche difficoltà ad esplicitare, oltre la mera analisi etimologica, il
significato dell’aggettivo «filosofica», che si aggiunge ad
«antropologia», per denominare la nostra disciplina.
Infatti, mentre è in noi molto viva la curiosità nei confronti delle
scienze e delle discipline settoriali, l’attenzione per la filosofia si è
andata sempre più riducendo ed ora è piuttosto bassa: per questo
ci resta enigmatico proprio l’aggettivo, «filosofica», che non solo è
accostato alla parola «antropologia», ma qualifica la nostra
disciplina.
Accostarsi alla filosofia
D’altra parte, abbiamo necessità di sapere da quale punto di
vista svolgeremo la nostra ricognizione sull’uomo.
Avvertiamo, infatti, che l’antropologia filosofica tratta
dell’uomo in modo differente dalle antropologie settoriali, quali:
l’antropologia sociale, l’antropologia economica, l’antropologia
politica, l’antropologia medica, la bioantropologia, l’antropologia
religiosa, l’etnoantropologia, la demoantropologia…ecc…
Dobbiamo perciò applicarci ad assumere il punto di vista
filosofico, che qualifica l’antropologia filosofica e a fare la
conoscenza con la disciplina che ne è portatrice, la filosofia.
Essa è diventata oggi un oggetto misterioso ma un tempo era
molto praticata e rispettata
L’opinione di I. Kant
Già nel XVIII secolo la filosofia era considerata non più praticabile,
come ci documenta Immanul Kant, quando rileva:
«Fu già un tempo che questa [la metafisica=disciplina filosofica per
eccellenza] era chiamata la regina di tutte le scienze….Ma ormai la
moda del nostro tempo porta a disprezzarla».
[a causa del dogmatismo in cui è incorsa e che ha generato
scetticismo e anarchia]
I. Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura (1781):
La filosofia per Severino Boezio
Dobbiamo risalire indietro nel tempo per trovare una
pratica filosofica non solo intellettualistica ma di
effettiva utilità per l’uomo.
Severino Boezio († 525 d.C.),* mentre era in carcere,
condannato a morte dal re goto Teodorico,
riprendendo dal Protrettico di Aristotele, scrive il De
consolatione philosophiae, in cui, presenta la
filosofia come una nobile dama, che lo conforta,
rispondendo ai suoi dubbi relativi al senso di ciò
che gli sta capitando.
* Cerca su Internet!
L’opinione di Severino Boezio
Nel corso dei 5 libri, Boezio propone una concezione e
una pratica della filosofia per cui questa disciplina serve a
«trovare/dare senso» a tutte le nostre esperienze, anche
quelle più devastanti.
La filosofia reca consolazione a Boezio appunto perché
è in grado di mostrargli che la condizione infelice, in cui
egli si trova, non va ridotta soltanto a un caso
sfortunato, ma, con un opportuno esercizio della
ragione, di cui tutti gli uomini sono provvisti, può invece
essere ricondotta ad una ragione provvidenziale, da noi
riconoscibile, per quanto a noi superiore e perciò per noi
sempre misteriosa.
L’opinione di Alain de Botton
Alain De Botton si è dedicato a scrivere su: Le consolazioni della
filosofia, Guanda, Milano 2005, dimostrando senza ombra di dubbio
quanto il senso pieno del filosofare, ancora vivo ed efficace per S.
Boezio, sia andato perduto per noi, che dobbiamo perciò
impegnarci a recuperarlo. L’opera si snoda secondo il seguente
Indice:
I. Consolazione per l'impopolarità ; II. Consolazione per i problemi di denaro ;
III. Consolazione per il senso di frustrazione ; IV. Consolazione per il senso di
inadeguatezza ; V. Consolazione per le pene d'amore ;VI. Consolazione per le
difficoltà del vivere .
Tale Indice ci mostra che A. De Botton non ci offre vera
consolazione (=possibilità di preservarci dalla disperazione, sottraendo la ns.
esperienza alla casualità sfortunata e collocandola , invece, in un ordine
provvidenziale di senso), ma solo consigli tratti dalle varie concezioni
filosofiche per rimediare ai nostri problemi
Filosofia e antropologia (1)
La filosofia opera in modo del tutto originale e differente dagli
altri saperi, svolgendo anche funzioni consolatorie e terapeutiche.
La filosofia apre orizzonti di senso
In ciò si mostra al servizio dell’istanza di trascendenza o
funzione
“meta”,
la
più
autentica
e
profonda
esigenza/intenzionalità antropologica, il contrassegno della sua
stessa soggettività.
L’uomo, infatti, non si accontenta di conoscere gli enti, ma si
interroga soprattutto sul senso che essi hanno per lui, anelando
amorosamente alla sapienza (φιλεϊν + σωφία =philèin+sophìa).
Filosofia e antropologia (2)
Potremmo dire, perciò, che coltivare l’antropologia
filosofica significhi conoscere l’uomo dal punto di
vista dell’istanza/intenzionalità di trascendenza,
in cui consiste la sua essenza (=nucleo costante
che rende uomo l’uomo) di essere cui non basta
conoscere e di fare, ma sempre di nuovo deve
soddisfare l’interrogativo sul senso di sé e di tutto
quanto lo circonda. Per questo, sempre di nuovo
egli si sente spinto a contestualizzare in un
orizzonte di significati intersoggettivamente
condivisi le esperienze che fa.
Filosofia e antropologia (3)
L’antropologia filosofica ci apre sull’uomo
una prospettiva peculiare e diversa da
quelle di tutti gli altri saperi.
Con essa abbiamo accesso infatti al livello
“intenzionale” dell’essere umano, quello
che traspare nei comportamenti ma ha
sede nell’interiorità coscienziale, dove si
compiono gli atti che conferiscono senso ai
prodotti dell’attività neuronale-cerebrale.
Filosofia e antropologia (4)
Tale qualità umana suscita la meraviglia dei cultori di scienze
oggettivanti come documentato dalla frase di T.H. Huxley*
sotto riprodotta:
« How it is that anything so remarkable as a state of consciousness
comes about as the result of irritating nervous tissue, is just as
unaccountable as the appearance of Djin when Aladdin
rubbed his lamp in the story. »
(Thomas Henry Huxley, The elements of physiology and
hygiene, 1868, p. 178)
(tr. it.: «Come avvenga che qualcosa di così sorprendente come uno stato di
coscienza sia il risultato della stimolazione del tessuto nervoso è tanto
inspiegabile quanto la comparsa del genio quando Aladino, nella favola,
strofina la lampada. »)
* Cerca su Internet/Wikipedia
L'intenzionalità*
*cerca su Internet/Wikipedia
E’ una parola che proviene dal latino medioevale (intentio)
e significa il «tendere a»
- I filosofi medioevali usavano l’espressione intentio per indicare il
riferimento di qualsiasi atto umano a un oggetto diverso da sé; p. es.:
di una rappresentazione alla cosa rappresentata, di un atto di volontà
alla cosa voluta, ecc…
- La nozione fu usata dapprima nell’ambito pratico: da cui anche
l’odierno significato prevalente della parola «intenzione», che
designa il riferirsi di un’attività pratica al suo oggetto.
- Successivamente subentrò anche l’uso in ambito conoscitivo, a
indicare i concetti, suddivisi in intentiones primae quando si
riferivano alle cose reali, e intentiones secundae quando si riferivano
ad altri concetti.
- Secondo S. Tommaso (XIII sec.), nell’intenzione si esprime «la
similitudine pensata della cosa» (C. Gent.,IV, 11, 11)
L’intenzionalità è della coscienza
(1)
La coscienza non
è una cosa (Cartesio),
ma è struttura intenzionale d’atto
=
Con-formazione del flusso energetico mentale,
in polarità soggettiva e oggettiva, connesse da
tensione intenzionale
L’intenzionalità è della coscienza
(2)
Solo in tali conformazioni intenzionali o atti,
ogni concreto prodotto neuronale-cerebrale
può essere coscienzialmente ospitato
e diventare esperienza
ovvero:
solo perché la coscienza è tale
struttura intenzionale d’atto
prefigurante ogni concreto prodotto cerebrale,
noi possiamo avere coscienza delle nostre esperienze
L’atto di coscienza
PS
I
PO
Ego
cogito
cogitata
Ego
sentio
sentimentum
Ego
volo
volitum
polo soggettivo tendere a
polo oggettivo
intenzionalità della coscienza
(in virtù del suo essere intenzionale,
la coscienza non è affatto chiusa nel suo essere soggettivo,
ma in quanto struttura d’atto è sempre aperta e rivolta ad
ospitare l'essere oggettivo)
Nuova concezione della
coscienza
Per ogni concreta esperienza umana
c’è
per quanto impercettibile alla sensibilità
e portato ad evidenza solo dalla riflessività intuitiva
della descrizione fenomenologica dei vissuti,
un’attività intenzionale della coscienza,
che appronta la forma coscienziale (=in-esistente)
per il darsi in essa, come riempimento,
di ciascuna concreta esperienza di coscienza
(percezione, pensiero, sentimento, desiderio, attesa, volizione….).
Il metodo fenomenologico d’indagine
La scoperta della coscienza come struttura intenzionale d’atto è
stata resa possibile , nel XX sec., dall’introduzione in filosofia, da
parte di Edmund Husserl, del metodo fenomenologico d’indagine.
A differenza dei metodi psicologici e scientifici, che cercano le
cause dei vissuti, esso prende in considerazione ogni fenomeno
vissuto «per come in se stesso si manifesta».
Praticando la riduzione (=epochè), che esclude dal campo
d’indagine tutto ciò di cui si può dubitare (risultati scientifici,
esperienza naturale, mondo psico-fisico e persona psicofisica di chi
indaga),
il metodo fenomenologico consente di concentrare
l’osservazione solo sulla personale
«esperienza vissuta della cosa, afferrata nella percezione, nel
ricordo o in qualsiasi altro modo».
L’esperienza vissuta
« L’esperienza vissuta di ciascun fenomeno rappresenta ciò che
non può essere messa fuori circuito.
Che significa?
Si può dubitare che Io, questo Io empirico al quale è assegnato un
nome, una posizione sociale e che è fornito di particolari qualità,
esista veramente.
Tutto il mio passato potrebbe essere un sogno e il suo ricordo un
inganno, per cui può essere messo fuori circuito, rimanendo l’oggetto
della mia considerazione solo come fenomeno.
Ma “IO”, il soggetto dell’esperienza vissuta, che considero il
mondo e la mia persona come fenomeni, io sono nell’esperienza
vissuta e soltanto in essa permango, per cui non è possibile che siano
cancellati sia l’Io che la stessa esperienza vissuta».
[E. Stein, Il problema dell’empatia]
La teoria della mente* (1)
Contestualmente alle scoperte della fenomenologia, le scienze
umane si sono aperte alla dimensione di soggettività/intenzionalità
orientata al senso, di cui anche dal loro punto di vista oggettivante,
l’uomo si mostra portatore .
Proprio dall’ambito delle scienze psicologiche è stato elaborato di
recente il costrutto-ponte della Teoria della mente, variamente
utilizzato per definire significati diversi, seppur spesso simili,
nell’ambito della filosofia della mente e della psicologia
cognitiva, in psicologia dell’apprendimento e del pensiero, in
psicologia clinica, in psicologia dello sviluppo, epistemologia
genetica e psicologia dinamica.
La ToM (Theory of Mind) si è così rivelata un potente e trasversale
costrutto euristico*, che ha permesso il dialogo e l'avvicinamento
tra campi di ricerca prima molto lontani.
* Cercare su Wikipedia
La teoria della mente (2)
Grazie al contributo di autori come John Bowlby* e
soprattutto Peter Fonagy*, costrutti come la
Teoria dell'Attaccamento, la Funzione del Sé
riflessivo e la Metacognizione, pur se
relativamente differenti e riferiti a contesti
leggermente diversi, possono essere in parte
unificati utilizzando quello di "Teoria della
Mente" (o ToMM, Theory of Mind Mechanism)
come costrutto-ponte da un punto di vista
epistemologico.
* Cercare su Internet/Wikipedia
La teoria della mente (3)
Più in particolare:
Nell'ambito della filosofia della mente,
la ToM
rappresenta il modello ontologico e strutturale dei
processi mentali, formulato per rispondere alla
domanda: “Cosa è la Mente?"
In psicologia cognitiva, la ToM equivale al modello di
funzionamento della psiche e serve a rispondere alla
domanda: “Come funziona la Mente, quali sono i suoi
processi funzionali?"
La teoria della mente (4)
In senso più operativo ed applicativo:
-in psicologia dell'apprendimento e psicologia del
pensiero, la ToM è stata spesso usata come
analogo di metacognizione, ovvero di capacità
osservativa ed automodulante degli stessi processi
cognitivi individuali
-in psicologia clinica, la ToM funge da equivalente
funzionale delle funzioni del Sé riflessivo.
-in psicologia dello sviluppo, epistemologia
genetica e psicologia dinamica la ToM esprime la
capacità del bambino di costituirsi una
rappresentazione adeguata dei processi di
pensiero propri e dell'Altro significante:
Scarica

AF_2010-11_Mod. I.1.a) e b) PP