Antropologia filosofica A.A. 2010-2011 Questioni di Antropologia filosofica *** Questioni di genere in Antropologia filosofica INDICE Modulo I (istituzionale): -I. Questioni di Antropologia filosofica - I. 1. L’antropologia filosofica. Nodi teoretici e storici “Che cos’è l’antropologia filosofica?” a) approccio etimologico (cfr.: M. Scheler, “Parola ed espressione”, in: Sull’idea dell’uomo, pp. 56-63) b) approccio teoretico (cfr.: Appendice I: Antropologia filosofica e antropologie settoriali) c) approccio antropologico-evoluzionistico (cfr.: Allegato T) - I. 2. Aporetica dell'AF (cfr.: PDF da Il segmento mancante, “Dissoluzione del corpus filosofico” e ss.) - I. 3. L’idea di uomo di Max Scheler (M. Scheler, Sull’idea dell’uomo) INDICE (segue) Modulo II (monografico): - II. Questioni di genere nel pensiero antropologico di Edith Stein MODULO I Questioni di Antropologia filosofica (Istituzionale) I.1. a) e b) L’antropologia filosofica. Nodi teoretici e storici. Che cos’è l’antropologia filosofica? a) Un approccio etimologico NOTA DI METODO DI CONOSCENZA: Per affrontare l’ignoto, bisogna partire dal noto. Nel nostro caso, per instaurare il procedimento che va dal noto all’ignoto, possiamo trasformare i termini della domanda e chiederci: Che cosa ci dicono le parole di cui è composta la domanda? Le parole che usiamo rappresentano, infatti, quel terreno solido del noto, a partire dal quale possiamo avventurarci in ambiti meno noti, alla conquista conoscitiva dell’ignoto (cfr.: M. Scheler, “Parola ed espressione”, in: Sull’idea dell’uomo, pp. 56-63);. L’approccio che così assumeremo sarà un approccio etimologico, come quello utilizzato da Isidoro di Siviglia nel VI sec. d. C. Isidoro di Siviglia Isidoro di Siviglia (570 ca.-636) è vescovo di Siviglia nel VI sec. d. C., quando nella Spagna visigotica, appena stabilizzata, stava per sopraggiungere l'invasione islamica. Egli teme di essere fagocitato dall’ignoto e, per conservare qualcosa del prezioso patrimonio della cultura antica in via di fatale dispersione, si dedica a scrivere le Etymologiae, un’opera enciclopedica che tratta dei più vari argomenti (la grammatica, l'agricoltura, la teologia, la storiografia, la politica e persino l'abbigliamento o il giardinaggio), a partire dalla individuazione dell’origine (=etimologia) delle parole stesse. L’opera è stata paragonata ad una delle attuali finestre di Internet, dalla quale si accede ad un mondo quanto mai ricco di informazioni, «navigando», come in una Internet ante litteram. Ciò diede alcuni anni fa lo spunto a vari estimatori di Isidoro per designarlo «Patrono di Internet». Le Etymologiae Isidorus Hispanensis, Etymologiarum libri XX sive Origines Trad. it. a cura di A. Valastro Canale, 2 voll., Torino UTET, 2004 Breve esempio dell’opera: Liber I De grammatica Caput I. DE DISCIPLINA ET ARTE. [1] Disciplina a discendo nomen accepit: unde et scientia dici potest. Nam scire dictum a discere, quia nemo nostrum scit, nisi qui discit. (=Disciplina prende il nome dall’imparare: perciò può essere detta anche scienza. Infatti sapere fu detto da imparare, perché nessuno di noi può sapere, se non ciò che impara) Le Etymologiae (1) L i b e r XI. D e homine et portentis Caput I. DE HOMINE ET PARTIBUS EIUS. [5] Graeci autem hominem άνθρωπον appellaverunt, eo quod sursum spectet sublevatus ab humo ad contemplationem artificis sui. Quod Ovidius poeta designat, cum dicit: Pronaque cum spectant animalia cetera terram, os homini sublime dedit coelumque videre iussit, et erectos ad sidera tollere vultus. Qui ideo erectus caelum aspicit, ut Deum quaerat, non ut terram intendat veluti pecora, quae natura prona et ventri oboedentia finxit. (=I Greci diedero all’essere umano il nome di ànthropos per il fatto che esso, sollevatosi dalla terra, guarda in alto, per contemplare il proprio artefice. A questo allude il poeta Ovidio quando dice: Mentre gli animali tutti guardano la terra,/all’essere umano concesse viso sublime e di guardare il cielo/ ordinò, e di levare agli astri i volti eretti. Questi, eretto, volge il proprio sguardo al cielo alla ricerca di Dio, senza fissare la terra come le bestie, che la natura ha creato prone e schiave del ventre) Etimologia di «antropologia filosofica» L’espressione «antropologia filosofica» è un grecismo άνθροπος + λόγος ànthropos + lògos uomo + discorso razionale φίλος+σωφία fìlos+sophìa amico+sapienza Recuperarne l’origine ci trasporta nel mondo dell’antica Grecia, un mondo temporalmente lontano dal nostro, in cui affondano le nostre radici culturali. Il logos e la sophìa Ai Greci dobbiamo, infatti, le espressioni e le nozioni di lògos, di philèin e di sophìa, che sono portanti per intendere il significato di Antropologia filosofica. Il lògos indica: a) la trama di razionalità che pervade l’essere; b) la facoltà tipicamente umana di cogliere tale razionalità e raggiungere la conoscenza del senso ultimo dell’essere (sophìa). Il philèin E' un tendere amoroso che non aspira al possesso, ma alla fruizione e perciò è tipico della relazione d’amicizia, piuttosto che di quella erotica. Aristotele dedica all'amicizia i libri VIII e IX dell'Etica Nicomachea. L'opera consiste in una raccolta di lezioni che Aristotele tenne probabilmente ad Atene, durante il suo secondo soggiorno nella città, fra il 335 e il 323 a.C.: è il periodo aureo del suo impegno teoretico e didattico, che s'interromperà soltanto alla morte di Alessandro Magno, quando ad Atene si scatena una violenta reazione antimacedone. Allora i legami di vecchia data del filosofo con la dinastia regale della Macedonia lo inducono ad allontanarsi dalla città e a ritirarsi nei possedimenti della madre a Calcide, nell'isola Eubea. Vi morirà di malattia l'anno seguente, il 322, a 62 anni di età. Il philèin Aristotele costruisce un articolato impianto teorico inteso a sussumere la pluralità di significati dell'amicizia. Egli distingue tre cause di philìa: l'utile, il piacere e il bene. Ne individua il fine nella realizzazione di un equilibrio fra due individui, ammettendo espressamente l'amicizia fra diseguali, accanto a quella – ritenuta più stabile e sincera – fra uguali. Estende il concetto dal rapporto fra individui a quello fra membri della stessa famiglia, sovrapponendolo così al legame di sangue, e alla relazione fra membri di una stessa comunità e, dunque, della polis. Philìa è il vincolo fondato sulla fiducia leale e sincera, presupposto condiviso delle amicizie personali, dei legami affettivi familiari, sia naturali sia acquisiti, della coesione interna alla comunità sociale e allo Stato. Il philèin Questa potenza della philìa, che abbraccia le relazioni dell'individuo a partire dalla sua dimensione privata fino a quella pubblica e collettiva, è riconosciuta da Aristotele nel carattere attivo e transitivo dell'amare: «la philìa pare consistere più nell'amare (philèin) che nell'essere amati (philèisthai)» (EN, 1159a 26-27). Il rigore dell'argomentare filosofico richiede che l'affermazione sia suffragata da una prova logica. E colpisce come all'esigente e severo raziocinio del filosofo basti, una volta tanto, l'evidenza irrefutabile di un'argomentazione puramente empirica, e cioè l'esempio toccante fornito dal gratuito amore materno : «segno [della natura attiva del philèin] è il fatto che le madri provano piacere nell'amare: infatti alcune danno i loro figli ad allevare e continuano ad amarli, sapendo di loro, senza cercare di essere amate in contraccambio, se entrambe le cose non sono possibili; ma sembra che a loro basti sapere che stanno bene e li amano, anche se quelli, per ignoranza, non ricambiano affatto con l'amore che si deve a una madre» (EN,1159a 27-33). La sophìa Fu Aristotele (IV sec. a. C.) che distinse la sapienza (sophìa) dalla saggezza (phrònesis). La saggezza ha per oggetto le faccende umane, che sono mutevoli e contingenti = in quanto possono essere così o diversamente da così. La sapienza, invece, ha per oggetto il necessario = ciò che non può essere altrimenti. La sapienza perciò è il più perfetto dei saperi, perchè non solo sa ciò che deriva dai principi, come la scienza o “abito”(=ciò che si possiede stabilmente), delle dimostrazioni dai principi, ma conosce anche la verità dei principi, avendo l'intelletto o conoscenza diretta dei principi. La sophìa In quanto grado di conoscenza più alto e più completo, comprensivo di intelletto e scienza, inoltre, la sapienza è anche il sapere delle cose più alte e sublimi, quelle che non mutano e dalle quali dipende il senso delle cose mutevoli. Come dice Aristotele: «Vi sono altre realtà di natura ben più divina degli uomini, come risulta chiarissimo se non altro dagli astri luminosi di cui è costituito l'universo...Perciò si dice che Anassagora e Talete e gli uomini come loro vengono chiamati sapienti e non saggi, giacchè non si applicano a conoscere ciò che è vantaggioso per loro ma conoscono cose straordinarie e meravigliose, difficili e divine, ma inutili giacchè essi non indagano intorno ai beni umani». (Etica Nicomachea, VI, 7, 1041b 1) Il significato etimologico di «antropologia filosofica» Collegando i significati delle parole greche di origine, άνθροπος + λόγος ànthropos + lògos uomo + discorso razionale φιλεϊν /φίλος+σωφία filèin/fìlos+sophìa amico+sapienza possiamo, per via etimologica, ipotizzare che, quando si parla di «antropologia filosofica», si intende una disciplina razionale, che ha come proprio oggetto di ricerca l’uomo e che tende a raggiungere su di lui una conoscenza di tipo non intellettualistico, ma sapienziale cioè tale da soddisfare l’esigenza principale di cui la vita umana è portatrice, quella di conoscere il senso dell’essere umano e di ogni altro essere nell’ambito del tutto dell’essere. Giudizi contrapposti sulla filosofia Non sempre però tale legame tra la filosofia e la vita umana è stato riconosciuto. Significativi in proposito i due aneddoti, rispettivamente di Platone e di Aristotele, sul fondatore della filosofia, Talete. (cfr.:PDF da Il segmento mancante, 1.2.2.“La filosofia come ricerca del principio tra intenzionalità e realizzazione”, pp. 43-53) L’aneddoto di Platone «Si racconta anche di Talete, il quale mentre stava mirando le stelle e aveva gli occhi rivolti in alto, cadde in un pozzo; e allora una servetta di Tracia, spiritosa e graziosa, lo motteggiò, dicendogli che le cose del cielo si dava una gran pena di conoscerle, ma quelle che aveva davanti e tra i piedi non le conosceva affatto […] Questo motto si può ben applicare egualmete a tutti quelli che fanno professione di filosofia». (Platone, Teeteto, 174 A-B) L’aneddoto di Aristotele «Siccome, povero com’era, gli rinfacciavano l’inutilità della filosofia, dicono che [Talete], avendo previsto in base a computi astronomici un abbondante raccolto di olive, ancora nel cuore dell’inverno, disponendo di una piccola somma, si accaparrò tutti i frantoi di Mileto e di Chio, dando una cifra irrisoria, perché non ce n’era richiesta alcuna: ma quando giunse il tempo della raccolta, poiché molti cercavano frantoi tutt’insieme e d’urgenza, li dette a nolo al prezzo che volle e, così, raccolte molte ricchezze, dimostrò che per i filosofi è davvero facile arricchirsi, se lo vogliono – e invece non è questo di cui si preoccupano». (Aristotele, Politica, I, II, 1259a 8-19) Che cos’è l’Antropologia filosofica? I. 1. b) Approccio teoretico Un’osservazione Ci rendiamo conto, a questo punto, che il procedimento etimologico, che fin qui ci ha guidato dal noto all’ignoto, ha raggiunto il suo limite e che ora dobbiamo proseguire la nostra ricerca ad un altro livello. Sul piano etimologico, non ci fa problema il suffisso «-logia» né l’espressione «antropo-logia». Per il loro significato disponiamo, infatti, di molte analogie linguistiche, su cui appoggiarci. Nel nostro tempo, le discipline particolari rivolte ai vari ambiti del reale si sono moltiplicate, dando luogo a sempre nuove «-logie». P. es.: «minera-logia», «geo-logia», «etno-logia», «socio-logia», «psico-logia». Un’osservazione (1) Anche per investigare il problema antropologico, molto sentito a partire dal XX sec., si sono enormemente moltiplicate le discipline antropologiche settoriali, generando numerose antropologie e aprendo altrettanti punti di vista sull’uomo. Possiamo nominare molti esempi di antropologie settoriali: l’antropologia economica; l’antropologia giuridica; l’antropologia politica; l’antropologia sociale; l’antropologia religiosa; l’antropologia medica; l’antropologia biologica; l’antropologia fisica; l’antropologia culturale……… Cfr.: Appendice I, Antropologia filosofica e antropologie settoriali. Sul filosofico Ciò che, invece, oggi non è affatto scontato è che si sappia dare una risposta alla domanda: «Che cos’è la filosofia?» e conseguentemente un contenuto determinato all’aggettivo «filosofica», che qualifica la nostra disciplina. A partire dalla cultura di cui attualmente disponiamo, abbiamo, anzi, qualche difficoltà ad esplicitare, oltre la mera analisi etimologica, il significato dell’aggettivo «filosofica», che si aggiunge ad «antropologia», per denominare la nostra disciplina. Infatti, mentre è in noi molto viva la curiosità nei confronti delle scienze e delle discipline settoriali, l’attenzione per la filosofia si è andata sempre più riducendo ed ora è piuttosto bassa: per questo ci resta enigmatico proprio l’aggettivo, «filosofica», che non solo è accostato alla parola «antropologia», ma qualifica la nostra disciplina. Accostarsi alla filosofia D’altra parte, abbiamo necessità di sapere da quale punto di vista svolgeremo la nostra ricognizione sull’uomo. Avvertiamo, infatti, che l’antropologia filosofica tratta dell’uomo in modo differente dalle antropologie settoriali, quali: l’antropologia sociale, l’antropologia economica, l’antropologia politica, l’antropologia medica, la bioantropologia, l’antropologia religiosa, l’etnoantropologia, la demoantropologia…ecc… Dobbiamo perciò applicarci ad assumere il punto di vista filosofico, che qualifica l’antropologia filosofica e a fare la conoscenza con la disciplina che ne è portatrice, la filosofia. Essa è diventata oggi un oggetto misterioso ma un tempo era molto praticata e rispettata L’opinione di I. Kant Già nel XVIII secolo la filosofia era considerata non più praticabile, come ci documenta Immanul Kant, quando rileva: «Fu già un tempo che questa [la metafisica=disciplina filosofica per eccellenza] era chiamata la regina di tutte le scienze….Ma ormai la moda del nostro tempo porta a disprezzarla». [a causa del dogmatismo in cui è incorsa e che ha generato scetticismo e anarchia] I. Kant, Prefazione alla Critica della ragion pura (1781): La filosofia per Severino Boezio Dobbiamo risalire indietro nel tempo per trovare una pratica filosofica non solo intellettualistica ma di effettiva utilità per l’uomo. Severino Boezio († 525 d.C.),* mentre era in carcere, condannato a morte dal re goto Teodorico, riprendendo dal Protrettico di Aristotele, scrive il De consolatione philosophiae, in cui, presenta la filosofia come una nobile dama, che lo conforta, rispondendo ai suoi dubbi relativi al senso di ciò che gli sta capitando. * Cerca su Internet! L’opinione di Severino Boezio Nel corso dei 5 libri, Boezio propone una concezione e una pratica della filosofia per cui questa disciplina serve a «trovare/dare senso» a tutte le nostre esperienze, anche quelle più devastanti. La filosofia reca consolazione a Boezio appunto perché è in grado di mostrargli che la condizione infelice, in cui egli si trova, non va ridotta soltanto a un caso sfortunato, ma, con un opportuno esercizio della ragione, di cui tutti gli uomini sono provvisti, può invece essere ricondotta ad una ragione provvidenziale, da noi riconoscibile, per quanto a noi superiore e perciò per noi sempre misteriosa. L’opinione di Alain de Botton Alain De Botton si è dedicato a scrivere su: Le consolazioni della filosofia, Guanda, Milano 2005, dimostrando senza ombra di dubbio quanto il senso pieno del filosofare, ancora vivo ed efficace per S. Boezio, sia andato perduto per noi, che dobbiamo perciò impegnarci a recuperarlo. L’opera si snoda secondo il seguente Indice: I. Consolazione per l'impopolarità ; II. Consolazione per i problemi di denaro ; III. Consolazione per il senso di frustrazione ; IV. Consolazione per il senso di inadeguatezza ; V. Consolazione per le pene d'amore ;VI. Consolazione per le difficoltà del vivere . Tale Indice ci mostra che A. De Botton non ci offre vera consolazione (=possibilità di preservarci dalla disperazione, sottraendo la ns. esperienza alla casualità sfortunata e collocandola , invece, in un ordine provvidenziale di senso), ma solo consigli tratti dalle varie concezioni filosofiche per rimediare ai nostri problemi Filosofia e antropologia (1) La filosofia opera in modo del tutto originale e differente dagli altri saperi, svolgendo anche funzioni consolatorie e terapeutiche. La filosofia apre orizzonti di senso In ciò si mostra al servizio dell’istanza di trascendenza o funzione “meta”, la più autentica e profonda esigenza/intenzionalità antropologica, il contrassegno della sua stessa soggettività. L’uomo, infatti, non si accontenta di conoscere gli enti, ma si interroga soprattutto sul senso che essi hanno per lui, anelando amorosamente alla sapienza (φιλεϊν + σωφία =philèin+sophìa). Filosofia e antropologia (2) Potremmo dire, perciò, che coltivare l’antropologia filosofica significhi conoscere l’uomo dal punto di vista dell’istanza/intenzionalità di trascendenza, in cui consiste la sua essenza (=nucleo costante che rende uomo l’uomo) di essere cui non basta conoscere e di fare, ma sempre di nuovo deve soddisfare l’interrogativo sul senso di sé e di tutto quanto lo circonda. Per questo, sempre di nuovo egli si sente spinto a contestualizzare in un orizzonte di significati intersoggettivamente condivisi le esperienze che fa. Filosofia e antropologia (3) L’antropologia filosofica ci apre sull’uomo una prospettiva peculiare e diversa da quelle di tutti gli altri saperi. Con essa abbiamo accesso infatti al livello “intenzionale” dell’essere umano, quello che traspare nei comportamenti ma ha sede nell’interiorità coscienziale, dove si compiono gli atti che conferiscono senso ai prodotti dell’attività neuronale-cerebrale. Filosofia e antropologia (4) Tale qualità umana suscita la meraviglia dei cultori di scienze oggettivanti come documentato dalla frase di T.H. Huxley* sotto riprodotta: « How it is that anything so remarkable as a state of consciousness comes about as the result of irritating nervous tissue, is just as unaccountable as the appearance of Djin when Aladdin rubbed his lamp in the story. » (Thomas Henry Huxley, The elements of physiology and hygiene, 1868, p. 178) (tr. it.: «Come avvenga che qualcosa di così sorprendente come uno stato di coscienza sia il risultato della stimolazione del tessuto nervoso è tanto inspiegabile quanto la comparsa del genio quando Aladino, nella favola, strofina la lampada. ») * Cerca su Internet/Wikipedia L'intenzionalità* *cerca su Internet/Wikipedia E’ una parola che proviene dal latino medioevale (intentio) e significa il «tendere a» - I filosofi medioevali usavano l’espressione intentio per indicare il riferimento di qualsiasi atto umano a un oggetto diverso da sé; p. es.: di una rappresentazione alla cosa rappresentata, di un atto di volontà alla cosa voluta, ecc… - La nozione fu usata dapprima nell’ambito pratico: da cui anche l’odierno significato prevalente della parola «intenzione», che designa il riferirsi di un’attività pratica al suo oggetto. - Successivamente subentrò anche l’uso in ambito conoscitivo, a indicare i concetti, suddivisi in intentiones primae quando si riferivano alle cose reali, e intentiones secundae quando si riferivano ad altri concetti. - Secondo S. Tommaso (XIII sec.), nell’intenzione si esprime «la similitudine pensata della cosa» (C. Gent.,IV, 11, 11) L’intenzionalità è della coscienza (1) La coscienza non è una cosa (Cartesio), ma è struttura intenzionale d’atto = Con-formazione del flusso energetico mentale, in polarità soggettiva e oggettiva, connesse da tensione intenzionale L’intenzionalità è della coscienza (2) Solo in tali conformazioni intenzionali o atti, ogni concreto prodotto neuronale-cerebrale può essere coscienzialmente ospitato e diventare esperienza ovvero: solo perché la coscienza è tale struttura intenzionale d’atto prefigurante ogni concreto prodotto cerebrale, noi possiamo avere coscienza delle nostre esperienze L’atto di coscienza PS I PO Ego cogito cogitata Ego sentio sentimentum Ego volo volitum polo soggettivo tendere a polo oggettivo intenzionalità della coscienza (in virtù del suo essere intenzionale, la coscienza non è affatto chiusa nel suo essere soggettivo, ma in quanto struttura d’atto è sempre aperta e rivolta ad ospitare l'essere oggettivo) Nuova concezione della coscienza Per ogni concreta esperienza umana c’è per quanto impercettibile alla sensibilità e portato ad evidenza solo dalla riflessività intuitiva della descrizione fenomenologica dei vissuti, un’attività intenzionale della coscienza, che appronta la forma coscienziale (=in-esistente) per il darsi in essa, come riempimento, di ciascuna concreta esperienza di coscienza (percezione, pensiero, sentimento, desiderio, attesa, volizione….). Il metodo fenomenologico d’indagine La scoperta della coscienza come struttura intenzionale d’atto è stata resa possibile , nel XX sec., dall’introduzione in filosofia, da parte di Edmund Husserl, del metodo fenomenologico d’indagine. A differenza dei metodi psicologici e scientifici, che cercano le cause dei vissuti, esso prende in considerazione ogni fenomeno vissuto «per come in se stesso si manifesta». Praticando la riduzione (=epochè), che esclude dal campo d’indagine tutto ciò di cui si può dubitare (risultati scientifici, esperienza naturale, mondo psico-fisico e persona psicofisica di chi indaga), il metodo fenomenologico consente di concentrare l’osservazione solo sulla personale «esperienza vissuta della cosa, afferrata nella percezione, nel ricordo o in qualsiasi altro modo». L’esperienza vissuta « L’esperienza vissuta di ciascun fenomeno rappresenta ciò che non può essere messa fuori circuito. Che significa? Si può dubitare che Io, questo Io empirico al quale è assegnato un nome, una posizione sociale e che è fornito di particolari qualità, esista veramente. Tutto il mio passato potrebbe essere un sogno e il suo ricordo un inganno, per cui può essere messo fuori circuito, rimanendo l’oggetto della mia considerazione solo come fenomeno. Ma “IO”, il soggetto dell’esperienza vissuta, che considero il mondo e la mia persona come fenomeni, io sono nell’esperienza vissuta e soltanto in essa permango, per cui non è possibile che siano cancellati sia l’Io che la stessa esperienza vissuta». [E. Stein, Il problema dell’empatia] La teoria della mente* (1) Contestualmente alle scoperte della fenomenologia, le scienze umane si sono aperte alla dimensione di soggettività/intenzionalità orientata al senso, di cui anche dal loro punto di vista oggettivante, l’uomo si mostra portatore . Proprio dall’ambito delle scienze psicologiche è stato elaborato di recente il costrutto-ponte della Teoria della mente, variamente utilizzato per definire significati diversi, seppur spesso simili, nell’ambito della filosofia della mente e della psicologia cognitiva, in psicologia dell’apprendimento e del pensiero, in psicologia clinica, in psicologia dello sviluppo, epistemologia genetica e psicologia dinamica. La ToM (Theory of Mind) si è così rivelata un potente e trasversale costrutto euristico*, che ha permesso il dialogo e l'avvicinamento tra campi di ricerca prima molto lontani. * Cercare su Wikipedia La teoria della mente (2) Grazie al contributo di autori come John Bowlby* e soprattutto Peter Fonagy*, costrutti come la Teoria dell'Attaccamento, la Funzione del Sé riflessivo e la Metacognizione, pur se relativamente differenti e riferiti a contesti leggermente diversi, possono essere in parte unificati utilizzando quello di "Teoria della Mente" (o ToMM, Theory of Mind Mechanism) come costrutto-ponte da un punto di vista epistemologico. * Cercare su Internet/Wikipedia La teoria della mente (3) Più in particolare: Nell'ambito della filosofia della mente, la ToM rappresenta il modello ontologico e strutturale dei processi mentali, formulato per rispondere alla domanda: “Cosa è la Mente?" In psicologia cognitiva, la ToM equivale al modello di funzionamento della psiche e serve a rispondere alla domanda: “Come funziona la Mente, quali sono i suoi processi funzionali?" La teoria della mente (4) In senso più operativo ed applicativo: -in psicologia dell'apprendimento e psicologia del pensiero, la ToM è stata spesso usata come analogo di metacognizione, ovvero di capacità osservativa ed automodulante degli stessi processi cognitivi individuali -in psicologia clinica, la ToM funge da equivalente funzionale delle funzioni del Sé riflessivo. -in psicologia dello sviluppo, epistemologia genetica e psicologia dinamica la ToM esprime la capacità del bambino di costituirsi una rappresentazione adeguata dei processi di pensiero propri e dell'Altro significante: