ENS ITALIC G A L A R I V I S T A D E G L I I T A L I A N I IL PREZZO DELL’ONORE A G O S T O D U E M I L A D O D I C I 2 3 ENS ITALIC G A In questo numero - Editoriale: Il prezzo dell’onore - Caduti italiani in Afghanistan - Strage di Nassirya - Il conflitto siriano potrebbe degenerare in un conflitto mondiale - Siria, ribelli finanziati da sauditi e americani - Siria, USA contro Russia - L’embargo contro l’Iran affonda l’Italia - L’intervista: Piero Puschiavo - Contro il potere della finanza mondiale. La soluzione c’è: Stato del Lavoro - L’euro ci sta rovinando - La truffa del fondo salva stati - L’ascesa di Grilli nel governo Monti - Controcorrente: Le nazioni senza immigrati vincono sulle società multietniche - Un milione di italiani ha perso il lavoro, sostituiti da settecentomila immigrati - Bellezza italiana - Lo straniero di Rudyard Kipling - Manuale della comunicazione sull’immigrazione - Pronta la legge bavaglio sull’informazione libera - Aiutiamo la comunità italiana in Crimea - C’era una volta Italia-Germania Editore: Associazione Culturale “Guglielmo Oberdan” Anno VI – luglio/agosto 2012 Registrato presso il Tribunale di Udine, numero 1 del 10 gennaio 2007 Direttore responsabile: Stefano Salmè In redazione: Walter Qualizza, Filippo Rocca, Daniela Perissutti, Andrea Santarossa [email protected] 4 5 L’ editoriale Il prezzo dell’onore Non avevamo fatto in tempo a goderci la soddisfazione del ritiro delle truppe italiane in Iraq che già si profilava uno sforzo maggiore nelle tormentate terre afghane. Oggi, quando sembra avvicinarsi il momento del ritorno dei nostri soldati da quello scacchiere martoriato, già si intravedono i segnali di una nuova guerra nel mediterraneo. La crisi siriana sarebbe già stata risolta col “metodo Libia” dagli angloamericani se non avessero trovato la forte resistenza di Cina ma soprattutto della Russia, alleato storico della Siria. Non è passato molto tempo da quando l’Italia ha pianto il suo cinquantunesimo caduto in Afghanistan ed è ancora forte la memoria collettiva della strage di Nassirya, in Iraq, durante la missione “Antica Babilonia”, che aveva unito la Nazione come nei suoi momenti storici più importanti. Questo sacrificio di sangue, oltre che le ingenti risorse economiche sopportate, rappresentano quello che ho definito “il prezzo dell’onore” che la nostra Nazione paga per la sua missione nel mondo. Ma pur consapevole e condividendo che una grande Nazione come l’Italia possa e debba assumersi le sue responsabilità internazionali, sono altresì convinto che questo sacrificio debba essere sopportato sulla base di chiari interessi nazionali e di un’”idea italiana” del mondo. Non sembra che le scelte fatte fin qui, sempre allineate pedissequamente ai voleri degli anglo-americani, possano essere facilmente attribuibili a “interesse nazionale”. Non affermo questo per anti-americanismo preconcetto, ma per evidenti contrasti d’interesse nati dalla geografia, dalla storia, oltre che dall’attualità di un impero americano che sempre più scarica sugli alleati europei il peso delle proprie avventure belliche. L’industria civile americana non è più competitiva con quella europea, né giapponese e anche la Cina si avvicina pericolosamente sul piano tecnologico dopo la sua crescita quantitativa. L’unico settore dove gli USA mantengono un indiscutibile primato è nel settore dell’industria degli armamenti, dove ancor oggi la tecnologia americana non ha rivali o quasi. L’America quindi è “condannata” ad usare i propri mezzi militari per mantenere il proprio primato politico, avendo perso ormai la partita sul piano industriale ed economico con gli altri centri del potere economico mondiale, Europa, Cina, Giappone. Dopo la guerra in Iraq e e le cosid- dette primavere arabe, quasi tutto il medio oriente è controllato direttamente o indirettamente dagli Stati Uniti e dal maggiordomo inglese. Solo due stati rimangono fuori da questo controllo, Siria ed Iran. Ecco che puntualmente, come in Kossovo, come in Iraq, come in Libia, comincia quella “macchina del fango” utile a preparare le opinioni pubbliche occidentali sulla inevitabilità di un intervento “umanitario” a suon di missili e bombe per esportare la “democrazia” (a stelle e strisce ovviamente, perché se l’opinione pubblica eleggesse democraticamente un partito anti-americano, apriti cielo, elezioni da rifare o nuovo bombardamento persuasivo) in Siria. Quello che fino a ieri era uno dei paesi arabi più laici, più tolleranti verso la minoranza cristiana, governato da un leader (Assad) cresciuto a Londra e con un’educazione tipicamente occidentale, all’improvviso viene rovesciato. La Siria diventa un paese “terrorista”, Assad, un “dittatore sanguinario”, la guerra civile che infiamma ha, per gli angloamericani, un solo volto buono, quello degli oppositori al “regime”. E poco importa che codesti nuovi “liberatori democratici” si facciano strada a suon di attentati in “stile libanese” cospargendo le strade delle città siriane di morti innocenti. Poco importa anche che tra questi cosiddetti liberatori ci siano tra i più pericolosi estremisti islamici, prova ne sia che tutta la comunità cristiana siriana (10% della popolazione) stia dalla parte di Assad e del governo legittimo. Poco importa agli angloamericani che il “capitolo Siria” rappresenti l’ennesima dimostrazione, sin dai tempi della guerra in Kossovo, che il principio, scritto a caratteri cubitali nei trattati internazionali, della “non ingerenza negli affari interni degli stati”, valga unicamente per le grandi potenze, quelle che ancora dopo quasi 70 anni fanno valere il loro diritto di veto, privilegio concessogli dopo la seconda guerra mondiale e che si arrogano il monopolio di possedere la bomba atomica. Appare sempre più evidente a chi non abbia qualche chilo di prosciutto sugli occhi, che le cosiddette “rivoluzioni colorate”, “rivoluzioni di internet”, mai avrebbero ottenuto lo scopo senza essere state ampiamente foraggiate dai servizi angloamericani attraverso l’esercito delle ONG (Organizzazioni non governative), presenti nei diversi paesi interessati. Altro che rivoluzioni arancioni, dei cedri o delle banane, in realtà trattasi di una sofisticatissima strategia per esportare governi controllati dagli angloamericani. Questa realtà potrebbe anche essere accettata, addirittura appoggiata, a patto che qualcuno spieghi agli italiani, dove sia, in questo complesso gioco internazionale, l’interesse nazionale italiano. E’ evidente che la guerra in Libia e la guerra civile in Siria siano elementi utili ad accer- chiare il vero obbiettivo degli angloamericani, la repubblica dell’Iran. La Siria infatti gode di un trattato difensivo con il regime iraniano e non è da escludere che un’eventuale intervento in Siria possa dare il pretesto per un escalation contro l’Iran. L’altro obbiettivo, non dichiarato, mascherato, del protagonismo angloamericano in Siria e il tentativo di estromettere la Russia dal bacino del mediterraneo. Infatti l’unica base navale della marina russa su cui poggiare la propria presenza nel mediterraneo è situata a Tartus, sulle coste siriane. Sembra evidente che un’eventuale governo filo-americano, soprattutto dopo la coraggiosa difesa russa della pace in Siria, revocherebbe la concessione alla Russia, lasciando la sua marina senza alcun sostegno logistico su cui basare la propria presenza. Fu così anche ai tempi della guerra in Kossovo. Non solo la Serbia fu bombardata per creare un protettorato americano nella regione, ma fu finanziata anche la secessione del Montenegro, in modo da togliere alla Serbia anche l’accesso al mare e con esso impedire un’eventuale presenza russa nell’adriatico. Qualcuno in tutto questo riesce a intravedere l’interesse dell’Italia? Quello che un tempo veniva chiamato “mare nostrum” trasformato in un campo di battaglia. Il prezzo del petrolio pronto a schizzare alle stelle in caso di guerra all’Iran (viene da rabbrividire a pensare al nuovo salasso 6 per la bolletta petrolifera italiana). Una nuova guerra fredda contro la Russia, da vent’anni ormai saldamente una democrazia (nonostante i tentativi americani, attraverso le sue false ONG, di delegittimare i governanti russi, democraticamente eletti) che rischia di penalizzare principalmente l’Italia, debitrice verso la Russia per il suo approvvigionamento di gas e petrolio. Non dimentichiamo poi che da tempo la Russia rappresenta ormai uno dei migliori mercati per le imprese italiane e un nuovo inverno nei rapporti con Mosca significherebbe una nuova gelata anche per la nostra economia. Pur con tutti i limiti dettati dalla nostra situazione economica, politica e militare, l’interesse vitale dell’Italia oggi è di riappropriarsi rapidamente della propria sovranità. Monetaria certamente, perché da questa discende la premessa per superare la nostra crisi economica, ma anche politica e militare. Solo qualche sperduta candida verginella può non aver compreso il quadro strategico che dapprima la guerra in Iraq (costruita, non va dimenticato, ingannando l’opinione pubblica internazionale sulle cosiddette armi di distruzione di massa irachene), poi la guerra in Libia, oggi il sostegno alla guerra civile in Siria e domani un’eventuale guerra in Iran, va costruendo. Il medio oriente è una grande bolla di petrolio che detiene più della metà delle riserve petrolifere mondiali. Il suo controllo da parte degli angloamericani e dei suoi alleati regionali (Arabia Saudita) significherebbe controllare l’economia mondiale. Lo stesso gigante asiatico cinese, in caso di crisi, privato del suo rubinetto mediorientale vedrebbe la sua economia sgonfiarsi di colpo. Lo stesso dicasi per l’Europa. Se l’Italia vorrà riconquistare il suo ruolo, anche economico, dovrà pretendere con forza di partecipare insieme agli alleati ad ogni decisione riguardante il teatro del mediterraneo e del vicino oriente. Il mediterraneo è il “nostro” cortile di casa e non è giustificabile che gli americani possano agire per provocare un incendio proprio alle porte di casa nostra senza condividere con noi, scelte e prospettive. Il dibattito politico italiano tut- 7 to chiuso in una logica domestica, deve aprirsi alla comprensione che, da sempre, gli eventi bellici, i mutamenti geostrategici, hanno condizionato in modo decisivo anche la sorte delle economie delle Nazioni. Ancor più durevolmente delle scelte economiche e sociali che possono essere prese all’interno degli stati. Non vi è infatti alcun dubbio che la crisi economica internazionale che così duramente stiamo soffrendo, sia nata in America anche e soprattutto per gli squilibri economici americani dovuti alle stratosferiche spese sostenute dagli USA nelle loro avventure belliche degli ultimi undici anni. L’Italia in questi undici anni ha seguito il suo alleato con lealtà e pagando un costo di sangue ed economico tra i maggiori. E’ giunto il tempo che il nostro “prezzo dell’onore” riveli finalmente la sua giustificazione, pretendendo per il nostro paese quel rispetto e quel ruolo internazionale che il sacrificio di sangue sopportato, esige. Stefano Salmè Caduti italiani in Afghanistan Con l’ultima tragedia sale a quota 51 il numero delle vittime italiane nel paese orientale in otto anni. Ecco chi sono i connazionali deceduti. 2004 - 3 ottobre: un mezzo su cui viaggiano 5 soldati esce di strada uccidendo il caporal maggiore Giovanni Bruno, mentre altri quattro militari restano feriti. 2005 -3 febbraio: un velivolo civile in volo da Herat A Kabul, precipita a 60 Km sud est dalla capitale, in zona di montagna. A bordo il capitano di vascello Bruno Vianini effettivo al Comando Interforze Operazioni Forze Speciali, in servizio presso Herat. - 11 ottobre: a causa di un incidente, perde la vita il caporal maggiore capo Michele Sanfilippo. 2006 - 5 maggio: a seguito dell’esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del contingente, perdono la vita il capitano Manuel Fiorito e il maresciallo capo Luca Polsinelli. - 2 luglio: il colonnello Carlo Liguori muore per un malore. - 20 settembre: in un incidente stradale a Kabul, perde la vita il caporal maggiore Giuseppe Orlando. - 26 settembre: a seguito dell’esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del Contingente, nel distretto di Chahar Asyab, circa 10 km a sud di Kabul, perdono la vita il caporalmaggiore capo scelto Giorgio Langella e successivamente il caporal maggiore Vincenzo Cardella. 2007 - 24 settembre: ferito l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria che morira’ il 4 ottobre per le ferite riportate durante la sua liberazione dai talebani. 8 9 - 24 novembre: un kamikaze si fa saltare in aria a Pagman, a 15 chilometri a ovest di Kabul uccidendo il maresciallo capo Daniele Paladini. - 2 luglio: il caporal maggiore Gaetano Tuccillo muore per l’esplosione di un ordigno nel villaggio di Chagaz, 16 chilometri a ovest di Bakwa. - 12 luglio: perde la vita il primo caporal maggiore Roberto Marchini, dell’8° Reggimento genio guastatori della Folgore. - 25 luglio: in seguito alle ferite riportate in uno scontro a fuoco nel villaggio di Khame Mullawi muore il caporalmaggiore Davide Tobini. - 23 settembre: il tenente Riccardo Bucci, 34 anni, in servizio presso il Reggimento Lagunari Serenissima di Venezia, il caporal maggiore scelto Mario Frasca, 32 anni, in servizio presso il quartier generale del Comando delle Forze operative terrestri di Verona e il caporal maggiore Massimo Di Legge, 28 anni, in servizio presso il Raggruppamento logistico centrale di Roma, perdono la vita in un incidente stradale nei pressi di Herat. 2008 - 13 febbraio: in un attentato nella valle di Uzeebin, a 60 km da Kabul, muore il maresciallo Giovanni Pezzulo e rimane ferito il maresciallo Enrico Mercuri. - 21 settembre: a causa di un malore, muore a Herat il caporal maggiore Alessandro Caroppo, dell’Ottavo Reggimento Bersaglieri di Caserta. 2009 - 15 gennaio: muore Arnaldo Forcucci, maresciallo dell’Aeronautica, per arresto cardiocircolatorio. - 14 luglio: a 50 km da Farah, un attentato costa la vita al caporalmaggiore Alessandro Di Lisio. - 17 settembre: un attentato suicida nella capitale provoca la morte di sei paracadutisti della Folgore, Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, Roberto Valente e Gian Domenico Pistonami. - 15 ottobre: in uno spostamento notturno da Herat a Shindad, si ribalta un Lince, uccidendo il caporal maggiore Rosario Ponziano. 2010 - 26 febbraio: un funzionario dell’Agenzia di informazione e sicurezza esterna (Aise, ex Sismi), Pietro Antonio Colazzo, viene ucciso nel corso di un attentato suicida a Kabul. - 17 maggio: un veicolo blindato salta in aria su un ordigno uccidendo il sergente Massimilano Ramadù e il caporal maggiore Luigi Pascazio. - 23 giugno: il caporal maggiore Francesco Saverio Positano perde la vita a Shindad per un forte trauma cranico. - 25 luglio: il capitano dei carabinieri Marco Callegaro muore a Kabul, probabilmente suicida, con un colpo d’arma da fuoco. - 28 luglio: l’esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) provoca la morte di due specialisti del Genio, Mauro Gigli e Pierdavide De Cillis. - 17 settembre: nella provincia di Farah in un attentato muore l’incursore Alessandro Romani. - 9 ottobre: l’esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio provoca la morte di 4 caporal maggiori degli alpini, Sebastiano Ville, Gianmarco Manca, Marco Pedone e Francesco Vannozzi. - 31 dicembre: il caporal maggiore Matteo Miotto rimane ucciso per il colpo di un cecchino nell’avamposto Snow nella valle del Gullistan. 2011 - 18 gennaio: il caporal maggiore Luca Sanna perde la vita nell’avamposto di Bala Murghab, nell’ovest del Paese. - 28 febbraio: l’esplosione di un ordigno nei pressi di Shindad provoca la morte del tenente Massimo Ranzani. - 4 giugno 2011: il tenente colonnello dei carabinieri, Cristiano Congiu, intervenuto per difendere una donna americana, è ucciso in una località della valle del Panshir. 2012 - 13 gennaio: un malore uccide il tenente colonnello Giovanni Gallo. - 20 febbraio: il caporal maggiore capo Francesco Currò, il Primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo e il Primo caporal maggiore Luca Valente muoiono in un incidente stradale nei pressi di Shinbad. -24 marzo: un attacco a colpi di mortaio contro la Fob (Forward Operative Base) ‘Ice’ in Gulistan, nel settore Sud-Est dell’area di responsabilità italiana, assegnata alla Task Force South-East, uccide il sergente Michele Silvestri, 33 anni, del 21° Reggimento Genio Guastatori di Caserta. Altri quattro commilitoni sono feriti. -25 giugno: il carabiniere del nucleo addestrativo della polizia afghana, Manuele Braj, 30 anni, di Collepasso (provincia di Lecce), effettivo al 13° Reggimento «Friuli-Venezia Giulia», muore ad Adraskan (ad ovest di Kabul) per l’esplosione di un razzo. Feriti alle gambe il maresciallo capo Dario Cristinelli, 37 anni, di Lovere (Bergamo) e il carabiniere scelto Emilano Asta, 29, di Alcamo (Trapani). La strage di Nassirya Operazione Antica Babilonia, Iraq Stemma dell’Arma dei carabinieri 12 novembre, “Strage di Nassiriya” Cadono in un attentato suicida eseguito con un camion bomba che provoca 28 morti, 19 italiani di cui 2 civili, e 9 iracheni. I militari italiani sono: Arma dei Carabinieri Massimiliano Bruno, maresciallo capo; Giuseppe Coletta, vice brigadiere; Giovanni Cavallaro, maresciallo aiutante s.ups; Andrea Filippa, appuntato scelto; Enzo Fregosi, primo maresciallo luogotenente; Daniele Ghione, maresciallo; Ivan Ghitti, vice brigadiere; Domenico Intravaia, appuntato; Horatio Majorana, carabiniere scelto; Filippo Merlino, maresciallo; Alfio Ragazzi, maresciallo capo; Alfonso Trincone, maresciallo aiutante s.ups. Esercito italiano Alessandro Carrisi, caporale; Emanuele Ferraro, caporale maggiore capo; Massimo Ficuciello, tenente; Silvio Olla, maresciallo; Pietro Petrucci, caporale. Il conflitto siriano potrebbe degenerare in un conflitto mondiale 10 La crisi siriana ha cambiato natura. Il processo di destabilizzazione che avrebbe dovuto spianare la strada ad un’azione militare dell’Alleanza Atlantica è fallito. Togliendosi la maschera, gli Stati Uniti hanno pubblicamente indicato la possibilità di attaccare la Siria senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, come hanno fatto in Kosovo, facendo finta d’ignorare che la Russia di Vladimir Putin non è quella di Boris Eltsin. Dopo essersi assicurato il sostegno cinese, Mosca ha sparato due colpi di avvertimento in direzione di Washington. La conti- nuazione delle violazioni del diritto internazionale da parte della NATO e del GCC, può ora aprire un conflitto mondiale. Durante la celebrazione della vittoria, il 9 maggio il presidente Vladimir Putin ha sottolineato la necessità per la Russia di essere pronta a un nuovo sacrificio. Il presidente Vladimir Putin ha messo il suo terzo mandato sotto il segno della sovranità del suo paese contro le minacce lanciate direttamente contro la Federazione Russa dagli Stati Uniti e dalla NATO. Mosca ha ripetutamente condannato l’espansione della NATO, le basi militari sulle sue frontiere e lo schieramento della difesa antimissile, la distruzione della Libia e la destabilizzazione della Siria. Nei giorni successivi alla sua investitura, Putin ha passato in rivista l’industria militare russa, le sue forze armate e il suo sistema di alleanze. Ha continuato questa mobilitazione con la scelta di fare della Siria la linea rossa da non oltrepassare. Per lui, l’invasione della Libia da parte della NATO è paragonabile a quella della Cecoslovacchia da parte del Terzo Reich, e quello della Siria, se ciò dovesse accadere, sa- 11 rebbe paragonabile a quella della Polonia che scatenò la seconda guerra mondiale. Qualsiasi interpretazione di quanto sta accadendo nel Levante, in termini di rivoluzione/repressione interna siriana, non è solo falsa, ma impallidisce di fronte ai problemi reali e svela una mera comunicazione politica. La crisi siriana è soprattutto un palcoscenico del “rimodellamento del grande Medio Oriente”, un altro tentativo di distruggere l’”Asse della Resistenza”, e la prima guerra della “geopolitica del gas” . La posta in gioco oggi in Siria, non è se Bashar al-Assad riesca a democratizzare le istituzioni da lui ereditate o se le monarchie del Golfo wahhabite riescano a distruggere l’ultimo regime laico nella regione e a imporre il loro bigottismo; ma quali frontiere separeranno i nuovi blocchi, la NATO (Organizzazione del Trattato Nord Atlantico) e la SCO (Shanghai Cooperation Organization) . Alcuni dei nostri lettori probabilmente hanno sussultato alla lettura della frase precedente. Infatti, da mesi, i media occidentali e del Golfo martellano tutti i giorni sul fatto che il presidente Assad rappresenta una dittatura settaria a favore della minoranza alawita, mentre la sua opposizione armata incarna la democrazia pluralista. Uno sguardo sugli eventi è suf- ficiente per screditare questo travisamento. Bachar al-Assad ha indetto in successione le elezioni comunali, un referendum e le elezioni parlamentari. Tutti gli osservatori concordano sul fatto che le elezioni si sono svolte in modo sincero. La partecipazione popolare ha raggiunto oltre il 60%, anche se gli occidentali l’hanno descritta come una “farsa”, e l’opposizione armata che sostengono ha impedito ai cittadini di andare alle urne nei quattro distretti sotto il loro controllo. Nel frattempo, l’opposizione armata ha aumentato le sue azioni non solo contro le forze di sicurezza, ma contro i civili e tutti i simboli multi-culturali e multi-confessionali. Hanno ucciso sunniti progressisti, poi hanno ucciso a caso alawiti e cristiani per forzare le loro famiglie a fuggire. Hanno bruciato più di 1500 scuole e chiese. Hanno proclamato l’effimero Emirato islamico indipendente di Bab Amr, dove hanno stabilito un tribunale rivoluzionario che ha condannato a morte più di 150 miscredenti, macellati uno per uno dal loro boia. E questo non è lo spettacolo pietoso di alcuni politici disonesti riunitisi nel Consiglio nazionale siriano in esilio, mostrando un progetto democratico di facciata estraneo alla realtà sul terreno dei crimini dell’esercito libero “siriano”, che da molto tempo nascondeva la verità. Inoltre, chi può credere che il regime laico siriano, di cui l’esemplarità era celebre non molto tempo fa, sarebbe diventato una dittatura religiosa, mentre l’esercito libero “siriano”, supportato dalle dittature wahhabite del Golfo e prono alle ingiunzioni dei predicatori takfiriti, sarebbe divenuto un esempio di pluralismo democratico? L’evocazione da parte dei funzionari degli Stati Uniti di un possibile intervento internazionale al di fuori del mandato delle Nazioni Unite, il modo con cui la NATO aveva smembrato la Jugoslavia, ha provocato rabbia e preoccupazione a Mosca. La Federazione Russa, che finora era in una posizione difensiva, ha deciso di prendere l’iniziativa. Questo cambiamento strategico è causato dall’urgenza della prospettiva russa, e dall’evoluzione favorevole sul terreno in Siria. Mosca ha proposto di istituire un Gruppo di contatto sulla Siria per riunire tutti gli Stati interessati, vale a dire gli Stati vicini, le potenze regionali e internazionali. Si tratta di sostituire con un forum per il dialogo l’attuale dispositivo belligerante creato dagli occidentali con il termine orwelliano di “Conferenza degli Amici della Siria”. La Russia continua a sostenere il Piano Annan, che in realtà è solo il recupero appena modificato del pia- 12 no presentato da Sergej Lavrov alla Lega Araba. Si rammarica del fatto che questo piano non sia applicato, ma respinge la colpa sulle fazioni dell’opposizione che hanno preso le armi. Secondo A. K. Lukashevich, portavoce del ministero degli esteri, l’esercito libero “siriano” è un’organizzazione illegale secondo il diritto internazionale. Anche se assassina ogni giorno dai 20 ai 30 soldati siriani, è pubblicamente sostenuto dagli Stati della NATO e del GCC, in violazione del Piano Annan. Posando come fautore della pace di fronte a una NATO guerrafondaia, Vladimir Putin ha chiesto alla CSTO di preparare lo schieramento dei “colbacchi blu” in Siria, sia per separare i belligeranti siriani che per combattere le forze straniere. Nikolaj Bordjuzha, segretario generale della CSTO, ha confermato che dispone di 20.000 uomini addestrati per questo tipo di missione e sono immediatamente disponibili. Questa sarebbe la prima volta che il CSTO dispiegherebbe una forza di pace al di fuori dello spazio ex sovietico. Punto sul vivo, il segretario generale dell’ONU Ban Ki-moon ha cercato di sabotare questa iniziativa offrendosi improvvisamente di organizzare lui stesso un gruppo di contatto. Alla riunione a Washington del grup- po di lavoro sulle sanzioni della Conferenza degli Amici della Siria, la segretaria di stato degli USA Hillary Clinton ha ignorato la proposta russa e ha inasprito il sostegno al cambiamento di regime [7]. In Turchia, i parlamentari dell’opposizione hanno visitato i campi dei profughi siriani. Non hanno trovato più di mille rifugiati registrati dalle Nazioni Unite nel campo principale, ma al contrario, la presenza di un arsenale nel campo. Hanno poi interrogato all’Assemblea il primo ministro Recep Tayyip Erdogan chiedendogli di rivelare la quantità di aiuti umanitari accordati ai fantomatici rifugiati. I deputati ritengono che il campo profughi sia una copertura per una operazione militare segreta. Ospita in realtà dei combattenti, per lo più libici, che lo usano come base arretrata. I deputati hanno suggerito che questi combattenti sono coloro che hanno fatto irruzione nella zona, quando il massacro di Hula ha avuto luogo. Queste informazioni confermano le accuse dell’ambasciatore russo al Consiglio di Sicurezza, Vitalij Churkin, secondo cui il rappresentante speciale di Ban Ki-moon in Libia, Ian Martin, ha utilizzato i mezzi delle Nazioni Unite destinati ai rifugiati, per inviare in Turchia i combattenti di al-Qaida . In Arabia Saudita, la frattura tra re Abdullah e il clan Sudeiri si è di nuovo manifestata. Su invito di Abdullah I, il Consiglio degli Ulema ha emesso una fatwa dichiarando che la Siria non è terra di jihad. Ma al tempo stesso, il principe Faisal, ministro degli esteri, ha chiesto di armare l’opposizione contro l’”usurpatore alawita”. Mentre Ban Ki-moon e Navi Pillay, rispettivamente segretario generale e alto commissario per i diritti umani, indirizzavano la loro requisitoria contro la Siria davanti l’Assemblea generale dell’ONU, Mosca ha lanciato due missili balistici intercontinentali. Il missile Bulava prende il nome dall’antica mazza slava del maresciallo delle armate cosacche. Il colonnello Vadim Koval, portavoce della RSVN, ha ammesso il test di lancio di un Topol, lanciato da un Siria, ribelli finanziati da sauditi e americani 13 silo nei pressi del Mar Caspio, ma non ha confermato quello del Bulava lanciato da un sottomarino nel Mediterraneo. Tuttavia, il lancio è stato osservato in tutto il Medio Oriente, da Israele all’Armenia, e non ci sono altre armi note che potrebbe lasciare simili tracce nel cielo. Il messaggio è chiaro: Mosca è pronta alla guerra mondiale se la NATO e il GCC non ottempereranno agli obblighi internazionali, come definito dal Piano Annan, e continuano ad alimentare il terrorismo. Secondo quanto riferito, questo colpo di avvertimento è stato coordinato con le autorità siriane. Mosca sollecitava Damasco a liquidare l’Emirato islamico di Bab Amr, subito dopo che la leadership del presidente al-Assad era stata confermata dal referendum costituzionale, e incoraggiato il Presidente a liquidare i gruppi dei mercenari nel paese non appena il nuovo Parlamento e il nuovo Primo ministro saranno insediati. È stato dato l’ordine di passare da un atteggiamento difensivo ad un’azione offensiva per proteggere il popolo dal terrorismo. L’esercito nazionale ha pertanto avviato l’attacco contro i bastioni dell’esercito libero “siriano”. La lotta nei prossimi giorni sarà difficile, soprattutto perché i mercenari hanno mortai, missili anticarro e ora missili terra-aria. Per abbassare la tensione, la Francia ha immediatamente accettato la proposta russa per la partecipazione ad un gruppo di contatto ad hoc. Washington ha inviato d’urgenza Frederic C. Hof a Mosca. Contraddicendo le dichiarazioni fatte ieri dalla segretaria di stato Hillary Clinton, il signor Hof ha a sua volta accettato l’invito russo. Non c’è tempo per lamentarsi dell’estensione dei combattimenti in Libano, né di sproloquiare su una possibile regionalizzazione del conflitto. Dopo che per 16 mesi hanno destabilizzato la Siria, la NATO e il GCC hanno creato una situazione di stallo che ora può degenerare in una guerra mondiale. Thierry Meyssan - Aurorasito Un recente articolo del Washington Post ha rivelato come nell’ultimo periodo i “ribelli” armati in Siria stiano ricevendo massicce forniture di armi dall’estero, in gran parte grazie agli sforzi dei paesi del Golfo Persico e sotto il “coordinamento”di Washington. La notizia conferma le intenzioni di questi governi di voler far precipitare la situazione nel paese mediorientale, alimentando le violenze e lo scontro con il regime di Assad, nonostante sia tuttora in corso la missione ONU promossa da Kofi Annan per cercare di trovare una soluzione pacifica ad un conflitto che si trascina ormai da oltre un anno. Ufficialmente, gli Stati Uniti provvedono alla fornitura soltanto di “materiale non letale” all’opposi- 14 zione siriana ma, di fatto, facilitano il trasferimento di armi appoggiando l’impegno in questo senso delle monarchie assolute del Golfo, le quali, come Washington, auspicano un cambio di regime a Damasco per infliggere un colpo mortale all’Iran. Nonostante il presunto atteggiamento cauto degli americani, scrive il Washington Post citando anonimi funzionari del Dipartimento di Stato, l’amministrazione Obama sta comunque intensificando i contatti con i ribelli armati, per cercare di promuovere l’unità delle fazioni che ne fanno parte e per coordinare le iniziative contro le forze di sicurezza del regime. Questo impegno viene puntualmente descritto come inevitabile per il governo americano, dal momento che la situazione in Siria continua a precipitare a causa della repressione senza scrupoli di Assad, lasciando ben poche speranze ad una soluzione negoziata della crisi. In realtà, la situazione sta precipitando anche e soprattutto a causa dell’atteggiamento degli USA e dei loro alleati nel mondo arabo che, come dimostra la massiccia fornitura di equipaggiamenti militari, cercano di alimentare il caos nel paese per giustificare una qualche forma di intervento esterno. Secondo il Washington Post, mentre i ribelli fino a un paio di mesi fa erano a corto di armi, ora il materiale bellico abbonda nei depositi di Damasco, Idlib e Zintan, queste ultime due lo- calità al confine rispettivamente con Turchia e Libano, da dove transitano principalmente le forniture dirette all’opposizione. Il nuovo flusso di armi verso la Siria sarebbe la conseguenza della decisione presa recentemente da paesi come Arabia Saudita e Qatar di sborsare centinaia di milioni di dollari per finanziare le operazioni anti-Assad nel paese. Il denaro proveniente dal Golfo finisce soprattutto per beneficiare quelle fazioni che avanzano l’agenda delle monarchie sunnite, a cominciare dai Fratelli Musulmani che, proprio grazie a questi appoggi esterni, si sono assicurati una posizione di spicco all’interno della struttura organizzativa dell’opposizione siriana. L’importanza del ruolo giocato comunque dagli Stati Uniti è confermata dagli stessi esponenti dell’opposizione, i quali hanno rivelato di essere in contatto diretto con il Dipartimento di Stato americano per indicare a quali gruppi debbano essere indirizzate le forniture di armi. Dopo le ritirate nei mesi scorsi da località propagandate come simbolo della resistenza dai media occidentali, come il quartiere di Baba Amr a Homs, i ribelli si ritrovano dunque ora sufficientemente equipaggiati per riprende l’avanzata e mettere in atto azioni sempre più spregiudicate. Un’evoluzione che, come dimostrano gli episodi sanguinosi di questi giorni, minaccia di aggravare la crisi, spingendo la Siria verso la guerra 15 civile. Ad aumentare le tensioni è stata inoltre l’altro giorno la diffusione della notizia, riportata da alcuni media russi, che gruppi di militanti anti-Assad sarebbero stati inviati in Kosovo per ricevere addestramento sulle tattiche di guerriglia. La rivelazione ha suscitato l’immediata condanna da parte del Cremlino, da dove da tempo già si punta il dito contro i governi occidentali, accusati di fomentare le violenze in Siria e di essersi schierati apertamente con l’opposizione per rovesciare il regime alleato di Mosca. Lo stesso articolo del Washington Post ha infine evidenziato un’altra iniziativa degli Stati Uniti che potrebbe aumentare il caos in Siria nonostante l’appoggio formale al piano di pace di Kofi Annan. Esponenti dell’amministrazione Obama avrebbero cioè incontrato questa settimana una delegazione della minoranza curda siriana, finora rimasta in gran parte neutrale nel conflitto per il timore di finire nuovamente emarginata in un eventuale futuro regime a maggioranza sunnita. Durante il meeting, gli americani, con ogni probabilità promettendo in cambio qualche concessione dal prossimo regime, avrebbero cercato di convincere i leader curdi in Siria a schierarsi apertamente contro Assad e ad aprire un secondo fronte nel paese per contribuire al logoramento delle forze di sicurezza di Damasco. Com’è ovvio, l’allargamento del conflitto porterebbe a nuove violenze in aree del paese fino ad oggi relativamente risparmiate dalle ostilità. In uno scenario nel quale la possibilità di un intervento armato esterno appare ancora lontana, a causa della ferma opposizione di Russia e Cina nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU, il rafforzamento delle opposizioni armate appare per gli USA e i loro alleati la soluzione migliore per giungere al cambio di regime a Damasco, anche se il Pentagono ha da tempo preparato i piani per un’ipotetica azione militare in Siria. I presunti rappresentanti dei ribelli che operano sul campo, intanto, martedì hanno proceduto ad estendere per altri tre mesi il mandato alla guida del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) di Burhan Ghalioun. La decisione, presa durante un incontro a Roma, ha provocato le polemiche di molti membri del CNS, poiché in precedenza era stata stabilita una rotazione alla presidenza del comitato esecutivo del gruppo, mentre Ghalioun si trova ora ad iniziare il suo terzo mandato. Il CNS è d’altra parte attraversato da profonde divisioni tra le varie fazioni che lo compongono, sintomo principale della sua sostanziale impopolarità tra la grande maggioranza della popolazione siriana che vorrebbe rappresentare. Nonostante riceva l’appoggio incondizionato e i massicci finanziamenti dell’Occidente e dei paesi del Golfo e trovi quotidianamente nei media mainstream un’ampia cassa di risonanza, il CNS continua a distinguersi per la mancanza di coordinamento tra i propri membri, la struttura rigida e anti-democratica ed è esposto all’eccessiva influenza dei Fratelli Musulmani a discapito delle fazioni secolari. Molti dissidenti hanno perciò abbandonato in polemica il CNS sia prima che dopo la discussa rielezione di Ghalioun. A testimoniare dello stato in cui si trova l’organo su cui punta Washington per assicurare una transizione verso un nuovo regime a Damasco meglio disposto verso i propri interessi ha contribuito il parere espresso qualche giorno fa al Wall Street Journal dal veterano dissidente siriano Fawaz Tello. Quest’ultimo, dopo aver lasciato recentemente la Siria proprio per collaborare con i vertici del CNS a Parigi e a Istanbul, ha definito il Consiglio stesso un cadavere che l’intera comunità internazionale sta cercando disperatamente di resuscitare. Altrenotizie 16 Siria: U.S.A. contro Russia Con l’aggravarsi del conflitto in Siria e il sempre più probabile fallimento del piano diplomatico promosso dall’ex Segretario Generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan, gli Stati Uniti e i loro alleati in Europa e nel modo arabo stanno moltiplicando gli sforzi per giungere ad un intervento 17 armato esterno che porti alla rimozione del presidente Bashar al-Assad. Negli ultimi giorni, i toni da Washington hanno fatto segnare un ulteriore innalzamento soprattutto contro il principale alleato di Damasco, la Russia, mentre continuano parallelamente ad emergere resoconti su alcuni dei più recenti episodi di violenza che smentiscono le ricostruzioni dell’opposizione al regime, quasi sempre accettate integralmente dai media e dai governi occidentali. Fallito il tentativo di convincere Mosca ad appoggiare un piano di transizione pacifica in Siria, gli USA sembrano tornati in fretta ad affrontare a muso duro la Russia, accusando il Cremlino di essere il principale ostacolo ad una risoluzione del conflitto nel paese mediorientale. Infatti, martedì il Segretario di Stato, Hillary Clinton, parlando al fianco del presidente israeliano Shimon Peres presso la Brookings Institution di Washington, ha accusato la Russia di rifornire il regime di Assad con elicotteri da combattimento che verrebbero utilizzati per la repressione della rivolta. La Clinton ha sostenuto di aver sollevato la questione delle forniture militari con il governo russo, il quale però avrebbe risposto che gli equipaggiamenti spediti a Damasco non vengono impiegati nel conflitto interno. Quest’ultima posizione di Mosca era stata espressa qualche giorno fa direttamente dal presidente Putin durante la sua visita a Berlino, ma per il capo della diplomazia USA sarebbe sfacciatamente falsa. Le forniture di armi dalla Russia alla Siria avvengono peraltro in conformità di contratti già sottoscritti e dunque perfettamente legali. Come ha affermato il numero due della compagnia russa pubblica produttrice di armi, Rosoboronexport, citato dall’agenzia di stampa RIA Novosti martedì a Parigi, nessuno può accusare la Russia di violare le regole sul commercio di armamenti fissate dalla comunità internazionale. Le accuse rivolte dagli Stati Uniti a Mosca vengono puntualmente amplificate dai media che a loro volta sottolineano come la vendita di armi, ancorché legale, contribuisca ad inasprire il clima internazionale, rendendo più complicata una risoluzione diplomatica della crisi siriana. Ciò che invece Hillary Clinton non ha detto è che, se anche gli elicotteri da combattimento di fabbricazione russa vengono impiegati dalle forze di sicurezza di Assad, segnando così un’escalation nell’uso della forza da parte del regime, ciò avviene in conseguenza dell’aumentata aggressività delle opposizioni armate. I gruppi ribelli hanno infatti potuto espandere notevolmente le proprie azioni nell’ultimo periodo proprio grazie a massicce forniture di armi, a cominciare da potenti missili anticarro, provenienti in gran parte dalla Turchia e grazie all’appoggio finanziario di Arabia Saudita e Qatar con la supervisione di Washington. La Turchia continua in realtà ad affermare di limitarsi a fornire solo aiuti umanitari ai ribelli siriani. Tuttavia, come confermano svariate testimonianze, Ankara fornisce da tempo armi e addestramento a gruppi come il Libero Esercito della Siria e rappresenta una delle voci più critiche nei confronti di Damasco. Questo genere di forniture militari, in ogni caso, non disturbano il Segretario di Stato americano, anche se sono di fatto il principale motivo del deterioramento della situazione in Siria. L’aggravamento del conflitto è stato certificato in qualche modo anche dall’ONU proprio l’altro giorno, quando il responsabile delle operazioni di peacekeeping, Hervé Ladsous, ha definito ciò che accade in Siria come una vera e propria guerra civile. Membri dell’amministrazione Obama e i funzionari dell’ONU condividono ormai la tesi di una guerra di natura settaria tra la minoranza alauita (sciita) filo-Assad e l’opposizione sunnita. Tale scenario contraddice perciò la caratterizzazione proposta dai media e dai governi occidentali, secondo i quali quello in corso nel paese sarebbe uno scontro tra un regime dittatoriale e un’opposizione che si batte per la democrazia. Con inquietanti affinità con l’Iraq del dopo Saddam Hussein e, come ha significativamente messo in luce qualche giorno fa il segretario ge- nerale della NATO, Anders Fogh Rasmussen, con il conflitto nella ex Yugoslavia, in Siria l’occidente sta infiammando lo scontro settario per i propri obiettivi strategici, cioè per gettare il paese nel caos e favorire un intervento armato che metta fine al regime di Assad. Che la situazione sul campo in Siria sia più complessa di quanto non traspaia dalle versioni ufficiali è stato confermato anche da un reportage da Damasco di Rainer Hermann del giornale tedesco conservatore Frankfurter Allgemeine apparso il 7 giugno scorso (Abermals Massaker in Syrien). L’articolo è un’indagine sulle responsabilità del massacro di Houla, nel quale il 25 maggio sono stati uccisi più di cento civili, tra cui decine di donne e bambini, e che ha scatenato l’indignazione della comunità internazionale. Al contrario di quanto affermato dai governi occidentali che, pur senza prove evidenti, avevano attribuito la responsabilità dell’accaduto interamente al regime o alle milizie Shabiha ad esso affiliate, l’investigazione del reporter del Frankfurter Allgemeine, basata su interviste con testimoni oculari, conferma in sostanza la tesi di Assad e cioè che la strage sarebbe stata commessa dai ribelli armati. Il massacro sarebbe avvenuto in seguito ad un violento scontro a fuoco dopo un attacco di un gruppo di opposizione contro postazioni 18 dell’esercito regolare appena fuori la città di Houla, a maggioranza sunnita, impiegato per proteggere alcuni villaggi popolati da sciiti. Secondo il giornalista tedesco, in questo scenario decine di civili di fede sciita e altri recentemente convertiti e ritenuti collaboratori del regime sarebbero stati sterminati dai ribelli sunniti. Subito dopo i fatti, gli autori della strage hanno postato sul web filmati delle vittime, indicate come civili di fede sunnita, producendo una valanga di condanne contro Assad in tutto il mondo. Con perfetto tempismo, le violenze di Houla hanno preceduto di poche ore la già programmata visita di Kofi Annan a Damasco, rendendo ancora più complicati i negoziati per l’implementazione del piano di pace. Le modalità del massacro, eseguito con sgozzamenti e colpi di arma da fuoco da distanza ravvicinata, coincidono inoltre con quanto riportato precedentemente da un altro giornale tedesco, Der Spiegel, il quale lo scorso marzo aveva pubblicato un’indagine sugli abusi commessi dai membri del Libero Esercito della Siria ai danni di presunte spie del regime e soldati catturati Il reportage del Frankfurter Allgemeine non è stato praticamente citato dai principali media occidentali, pronti invece a ripetere senza alcun riscontro il quotidiano bilancio delle vittime della repressione del regime riportato dai gruppi di opposizione di stanza all’estero e finanziati dalle monarchie assolute del Golfo Persico, come il londinese Osservatorio Siriano per i Diritti Umani. Se dovesse corrispondere al vero, quanto scritto dal giornale tedesco solleverebbe dunque preoccupanti interrogativi sulle responsabilità degli Stati Uniti e dei loro alleati nei fatti che hanno gettato la Siria nel caos, dal momento che, come conferma il sostegno garantito in termini economici, di armamenti e di addestramento, questi governi sono infatti, con ogni probabilità, perfettamente a conoscenza delle operazioni condotte dai ribelli nel conflitto contro il regime di Bashar al-Assad. Altrenotizie 19 L’embargo contro l’Iran affonda l’Italia L’intervista: Piero Puschiavo Piero Puschiavo, Presidente Associazione Progetto Nazionale. Piero Puschiavo è un imprenditore vicentino di 46 anni che opera nel settore ambientale e dell’arredamento. La sua attività politica comincia nella metà degli anni ottanta, benché in forma extraparlamentare ma vicina all’allora Movimento Sociale Italiano, con una forte campagna di sensibilizzazione del problema immigrazione. Forte oppositore della moneta unica, l’€uro, sin dalla sua nascita, tra i suoi scritti anche un volume intitolato “Dai Gangsters ai Banksters”che anticipava in tempi non sospetti tutte le truffe finanziarie che si sono susseguite nell’ultimo periodo in Italia. Dal caso Fazio alla Cirio, Parmalat, Bagaglino, Unipol, ecc. Nel 2006 è stato membro del Comitato Centrale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore per poi conseguire gli incarichi di Coordinatore Regionale del Veneto e componente della Segreteria Nazionale. Nel maggio 2010 a Vicenza, viene ufficialmente presentato il laboratorio politico Progetto Nazionale Fiamma Futura di cui lo stesso Puschiavo assume la presidenza. Successivamente Puschiavo ha aderito al partito La Destra di Francesco Storace, che lo ha nominato componente dell’esecutivo nazionale, incarico che ricopre tutt’ora. L’embargo occidentale sul petrolio iraniano fa pagare anche all’Italia un caro prezzo. Le sanzioni anti-iraniane impongono a Roma di reperire altrove quel 13,4 per cento d’importazioni petrolifere da Teheran. Il costo dell’operazione non è poca roba perche’ quel 13,4% è, quantitativamente, assai più consistente, del 30% della Grecia o del 15% di Spagna, i due Paesi che precedono l’Italia nelle importazioni europee di greggio iraniano. I primi a saperlo sono i 400 dipendenti della raffineria Api di Falconara Marittima destinati alla cassa integrazione per la chiusura degli impianti. L’Api - uno dei grandi clienti del petrolio iraniano assieme a Erg, Saras e Ies di Mantova - oltre a dover spendere molto di più per rifornirsi deve anche adeguare una raffineria strutturata per la lavorazione del particolare tipo di petrolio bituminoso estratto dai pozzi iraniani. Da un punto di vista geopolitico, geo-energetico e geo-economico, il piano anti-iraniano imposto dall’amministrazione Obama all’Europa è anche più perfido. L’America che chiede agli europei di rinunciare al petrolio iraniano ed alza il livello dello scontro con Teheran è infatti un’America pronta ormai ad affrontare senza danni un blocco di Hormuz. Le nuove tecnologie di trivellazioni e le scoperte di giacimenti petroliferi tra l’Alaska e la Patagonia hanno permesso a Washington di ridurre al 22 per cento la quota di greggio importata dall’Arabia Saudita e da altri cinque Paesi mediorientali. Grazie ad un contenimento dei consumi d’energia e alle nuove tecniche di fratturazione idraulica che permettono lo sfruttamento di pozzi un tempo inaccessibili in Alaska, Texas e Nord Dakota, gli Usa hanno ridotto la dipendenza dal greggio straniero dal 60% del 2005 al 45% del 2011. Cosi mentre Europa ed Italia affondano, l’America di Obama si prepara a vendere il suo petrolio agli europei. D. Sig. Piero Puschiavo, dopo essere stato per alcuni anni un dirigente nazionale della Fiamma Tricolore, ha fondato un movimento di cui è presidente, Progetto Nazionale. Cosa si propone? R. Di fatto non ho fondato nulla di nuovo, ho solo concretizzato in associazione la mia corrente politica creatasi all’interno della Fiamma Tricolore in seguito alla mia estromissione da tutti gli incarichi. In poche parole, si tratta di una componente improntata a fare politica in maniera più pragmatica, meno nostalgica rispetto a quella di matrice missina, maggiormente calata nel contesto sociale attuale e soprattutto proiettata al futuro; poiché ritengo che trincerarsi dietro vecchie simbologie oggi sia insensato, mentre occorrerebbero invece strutture più innovative, versatili ed elastiche rispetto alle sclerotiche logiche partitiche, spesso incapaci di aggregare a causa dei troppo ingessati meccanismi statutari e degli apparati elefantiaci. Affermo questo senza tentazioni di rinnegamenti o abiure, ma anzi nella consapevolezza che talune idee che improntano un certa visione del mondo conservano intatto il loro valore e la loro a-temporalità, ciò non toglie che noi si debba lottare oggi senza torcicolli ideologici che sempre più spesso mascherano incapacità di comprendere e vivere il presente e progettare il futuro: alibi di comodo per giustificare pigrizia e staticità. D. L’area della destra sociale e nazionale è una galassia varia e rissosa, pensa che sia possibile una sua ricomposizione? R. Credo e spero di no. Troppi personalismi dilaniano da anni le possibili collaborazioni e quindi direi che l’Area, di fatto, non esiste più. Dall’unione di tante “debolezze” non potrà mai nascere una forza autentica. Esistono sparute formazioni che tendono a coltivare il proprio orto, e da molti anni, anziché ambire ad un progetto nazionale di più ampio raggio, spesso sembrano “ambire” più a far perdere tutti piuttosto che a vincere insieme. Nonostante la débâcle del 2006 quando Fiamma Tricolore e Alternativa Sociale si son spartiti i voti facendosi superare in percentuale dai Socialisti e dai Democristiani di Rotondi (presentatisi con un unico simbolo anch’essi in coalizione con “La Casa delle Libertà”), e il susseguirsi di risultati elettorali ai minimi storici, a “destra” i vertici sono rimasti sempre gli stessi…un po’ come in Parlamento: diventa quindi difficile differenziarsi e proporsi come novità o alternativa…Il cambiamento lo si esige sempre e solo dagli altri, ma non ho ancora sentito un’autocritica da parte di questi “statisti” responsabili dei troppi “treni persi”. Mentre la cosiddetta “area” in Italia, si logora tra simbolismi e ideologie, il mondialismo ci pialla implacabilmente e il futuro degli italiani viene quotidianamente negato da finanza, immigrazione e malagiustizia. Intanto la “destra” cresce in tutta Europa… D. Di recente si è svolto a Milano un convegno dell’AEMN, Alleanza Europea Movimenti Nazionali, ossia una nuova famiglia politica europea che si affianca a quella dei moderati, PPE, e della sinistra, PSE. Auspica che anche La Destra di Storace vi aderisca? R. C’è da capire molte cose su questa “alleanza” a partire dal fatto politico. Ho assistito a troppe situazioni di convergenze, spacciate ufficialmente come politiche, ma aventi in realtà delle finalità prevalentemente a carattere economico. Ci sono poi posizioni difficilmente sovrapponibili che andrebbero ben chiarite in quanto alcuni di questi movimenti europei sono fortemente contrari al concetto di “centro-destra”, mentre in Italia, con questa legge elet- 20 torale, tarata sul bipolarismo, diventa quasi obbligatorio trovare delle convergenze elettorali in tal senso. La realtà italiana non si può assolutamente paragonare a quella francese, ungherese, inglese... Vantiamo da anni rapporti di conoscenza con molti dirigenti di queste formazioni, di conseguenza auspico sicuramente che la collaborazione proceda con continuità e si concretizzi sempre più in senso (pro)positivo. Se tale progetto si connoterà in senso sempre più serio e concreto, sono convinto che Storace saprà valutarlo con interesse, nel frattempo dobbiamo riportare la nostra politica e i nostri uomini nel Parlamento italiano, cosa che mi auguro avvenga già alle prossime elezioni. Questa è per me una assoluta priorità. D La crisi economica perdura dal 2008, la crisi finanziaria ha colpito duramente l’economia reale, la disoccupazione in Italia e in Europa galoppa. Come ne usciamo? R. Occorre che lo Stato, a tutela dei propri cittadini, si riappropri della sovranità monetaria e ritorni ad emettere la moneta nazionale in nome e per conto della propria collettività, come ha dimostrato di ben sapere fare per oltre un secolo, dal 1874 al 1975. Proponiamo di ripristinare l’istituto dell’emissione monetaria in concorso al Ministero del Tesoro onde ripetere le positive esperienze acquisite nel passato ancora presenti, visibili e funzionanti. Questo è l’unico istituto serio che consente, in piena sovranità e libertà, di disporre subito delle indispensabili risorse economiche per aggredire la crisi senza incrementare la mastodontica spirale del debito pubblico, che, come tutti i debiti, dovrà essere onorato dalle parti che lo hanno progettato e costruito. Solo così sarà possibile pagare subito i debiti dello Stato al boccheggiante mercato, affrontare a tutto campo le spese a difesa del territorio nazionale, attuare i programmi infrastrutturali di grandi opere per il rilancio dell’economia, della piena occupazione e colmare il gap nazionale creatosi con i nostri Paesi concorrenti. Perché chi emette moneta e ne regolamenta la circolazione, controllando così le leve dell’intero sistema economico e produttivo, non può assolutamente essere un organismo privato come l’attuale B.C.E. D. I dati ISTAT fotografano il paradosso di una situazione occupazionale in Italia dove, nonostante il calo degli occupati italiani, aumentano i lavoratori stranieri. Come lo spiega? R. Come avevamo previsto in tempi non sospetti, il fenomeno immigratorio avrebbe assunto delle dimensioni rilevanti diventando una piaga e non una risorsa. L’equazione più immigrazione più criminalità è una realtà che non si può nascondere e a questo si devono aggiungere i costi dell’immigrazione in termini di santità, scuola, giustizia, rimpatri, strutture e centri di accoglienza. Voci queste che vengono generalizzate nel complesso della spesa pubblica senza differenza, tanto che di fronte ad un gettito fiscale di 3,3 miliardi di euro ad opera extracomunitaria va sottratta una spesa generale di circa 53 miliardi di euro; nonostante ciò questo Governo di incompetenti (anche se i loro predecessori non si sono dimostrati migliori su questa questione) si sta prodigando ulteriormente per privilegiarli nelle classifiche di assegnazione. La mancata e reale protezione dei nostri prodotti e del Made in Italy poi ha fatto e farà sì che i nostri figli siano costretti a cercare fortuna all’estero. Solo una nazione educata al masochismo da decenni di lavaggio quotidiano delle menti e delle coscienze può accettare questo: noi purtroppo lo stiamo facendo. D. A breve la Camera dei deputati ratificherà il trattato sul “Fiscal compact” che ci imporrà il vincolo del pareggio 21 di bilancio e l’adesione al “MES”, cioè il “Fondo permanente salva stati”. L’Italia, con tutti i suoi problemi di bilancio sarà il terzo contributore del Fondo, versando 125 miliardi di euro. Tutto questo nel totale silenzio dei mass media. Cosa farete per portare alla ribalta dell’opinione pubblica il tema? R. Storace da Napoli, lo scorso giugno, ha lanciato la battaglia contro il Trattato di Lisbona e, quotidianamente, là dove gli viene consentito un minimo di visibilità mediatica, denuncia in maniera forte le conseguenze che il “fiscal compact” produrrà sulle generazioni future. Non dobbiamo dimenticare che le manovre del governo Monti sono improntate al raccoglimento di questi 125 miliardi di euro, quota che l’Italia dovrà versare per partecipare come membro, unitamente ad altri 16 paesi, a questo ennesimo organismo che nessuno ha eletto, che nessuno ha scelto e che nessuno conosce, ma che continuerà ad emanare direttive “lacrime e sangue” per i cittadini europei. D. La pressione anglo-americana sull’ONU per un intervento armato in Siria è sempre più forte. La Russia invece continua a sostenere le ragioni della pace. Da italiano pensa che l’Italia debba, ancora una volta, come in Libia, sostenere incondizionatamente la politica estera americana? R. Direi che bisogna guardare alla Russia di Putin come nostro miglior alleato, anche in considerazione della nostra carenza di materie prime fondamentali che la Russia detiene. La prospettiva euroasiatica va incoraggiata, sostenuta e perseguita. La politica estera americana si è dimostrata fallimentare e le guerre di occupazione (anche se vengono chiamate umanitarie) hanno seminato morte, distruzione e odio senza precedenti. Da tempo auspichiamo l’uscita dell’Italia dalla NATO, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, in quanto non esiste più alcun “bisogno” di controllare le frontiere ad est, se non in funzione di vigilanza dei flussi extracomunitari. A quanto pare però le scelte di Berlusconi sulle politiche energetiche, alternative agli USA ed alle multinazionali angloamericane, scavalcate dagli accordi con Putin e Gheddafi non sono piaciute oltre oceano, tanto da scatenargli contro un forte propaganda mediatica, unitamente ad un “accanimento” giudiziario senza precedenti in epoca moderna. L’obiettivo di destabilizzare il Nord Africa e il Sud Europa per il controllo del Mediterraneo invece sembra il vero disegno degli USA che, grazie ai bombardamenti “umanitari” da una parte e la compiacenza dei governi fantoccio, Spagna, Italia, Francia, Grecia, pare concretizzarsi. Nonostante gli effetti ben si concretizzino sui costi del carburante e sui prezzi delle bollette, sembra che a nessuno interessi: meglio festeggiare la sconfitta della Nazionale di calcio al Quirinale. Il che è tutto dire! D. L’ambasciatore ucraino, su un noto quotidiano nazionale, ha chiesto all’Italia un sostegno all’adesione del suo paese all’Unione Europea. Che ne pensa? R. Forse dovremo dire all’Ucraina cosa si rischia ad entrare in Europa. Già vivono una situazione precaria e con i programmi di austerità che sicuramente verranno imposti da Bruxelles non faranno altro che peggiorare la loro situazione. Consiglierei all’ambasciatore ucraino di intensificare i rapporti con Mosca più che con “Francoforte”. D. Ultimo libro letto? R. “L’orientalista Guerriero. Omaggio a Pio Filippani Ronconi” edito da Il Cerchio Iniziative Editoriali. 22 23 Contro il potere della finanza mondiale. La soluzione c’è: stato del lavoro Strano mestiere quello dei politici nostrani, a cui, nonostante le belle parole, i seriosi richiami alla responsabilità, i continui peana sull’intoccabilità del verbo della carta costituzionale, viene concesso di dire tutto ed il suo contrario senza che nulla accada, anzi. Così, una distratta ministra Fornero ci fa una sparata sulla non esistenza del diritto al lavoro, rettificata da una ancor più vergognosa dichiarazione, secondo la quale tale diritto andrebbe “conquistato”, lasciando così prefigurare uno scenario ideologico del tutto in contraddizione con la giusta e normale logica della carta costituzionale, per cui, quello al lavoro dovrebbe rappresentare un diritto “naturaliter” innato, consustanziale all’umana natura e non il dono di una qualche capricciosa volontà superiore. Grave, gravissimo il silenzio di un’intera classe politica, oramai dimostratasi totalmente asservita ai desiderata dei poteri forti supernazionali ed ai quali non sa dare alcuna risposta seria, che non sia l’opportunistico ed ipocrita balbettio di chi sa di averla fatta troppo grossa e dentro di sé non sa come uscirne. Mai come stavolta, i poteri forti ed il Mondialismo in genere, hanno agito con tale sfacciata arroganza e sicumera, giustificata dalla già citata resa finale degli establishment politici europei ai superiori interessi della finanza e dell’economia. Ridicole ed illusorie le “minaccette” del PdL alfanesco, sul continuo e sfacciato utilizzo della fiducia alle camere. Altrettanto ridicole ed illusorie le sparatine dei Bersani, dei Fassina e delle varie Camusso su una riforma del lavoro alla cui realizzazione hanno contribuito loro in primis, appoggiando de facto un esecutivo targato Goldman Sachs. Ridicole le varie opposizioni, frammentate, confuse ambivalenti, ora come non mai. I Vendola, i Di Pietro e i Di Liberto, nel ruolo delle belle statuine, con un’opposizione corredata dall’iniziale appoggio a Super Mario, poi fatta a colpi di bei proclami a cui ha solo fatto seguito il fatto concreto di voler creare un’asse politico privilegiato con il PD. Per non parlare della Lega che, dopo le ultime vergognose vicende che ne hanno trasformato l’algido e stentoreo volto di paladino celtico, in una italianissima maschera di Pulcinella, tra storie di Trote raccomandate, fondi tanzaniani e quantaltro, si trova più che mai adagiata su un fianco in attesa della mazzata finale. E che dire di Grillo? E’ innegabile la giustezza delle istanze del movimento creato dal comico genovese, ancora in una fase caratterizzata da incertezza dovuta all’estemporaneità dell’iniziativa che, proprio perché fondata sul carisma di una sola persona, rischia un pericoloso avvitamento su se stesso, finendo sul binario morto di un qualunquismo dalla breve durata. Il fatto è che, al di là di tutti i proclami su una presunta modernizzazione dell’Italia, nei desiderata del ministro Fornero e dell’intera squadra montiana, c’è la solita, trista ed asfittica Italietta, in cui al già presente ostacolo costituito dal sottobosco di raccomandazioni sulla via di una qualsivoglia professione, ora se ne aggiungerà uno che costituirà il vero 24 e proprio “deus ex machina” delle raccomandazioni: quella di trovare lavoro, di poter mangiare, poiché “il lavoro non è un diritto”, corredato dal solito slogan oramai sempre più sulla bocca di tutti i vari padroncini arroganti “tanto possiamo fare anche senza di te”. Alla faccia, dunque, di meritocrazia e libera iniziativa. In questo, il vertice di Bruxelles, altro non è stato che la dimostrazione su larga scala di tale infame e malsana arroganza. Come in una commediola dal sapore passatista, si rivivono i contrasti tra blocchi nazionali ( ora, per esempio, Italia e Francia contro Germania, Belgio ed altri ), nel nome di giochetti di contabilità, dimentichi della natura sistemica della crisi in atto. Né l’istituzione degli Eurobond, né il “Fondo salva-stati” possono alcunché, contro quello che agli occhi di tutti si sta rivelando uno scaltro gioco di ricatto e di usura effettuati sulla pelle dei popoli europei. La soluzione esiste, eccome. Contrariamente alle sparate dei Napolitano e dei Monti, quella dell’Euro e del circo equestre di Bruxelles non è una realtà ineluttabile, una sorta di diktat monoteista, né è detto che si debba morire di spread, borse, nel nome di una folle ed insensata privatizzazione dell’esistenza. Scardinare il circo equestre a regia nord americana di Bruxelles si può, eccome. A cominciare dalla nazionalizzazione delle Banche Centrali, passando attraverso l’adozione di una doppia circolazione monetaria, sino alla radicale revisione degli accordi GATT ed all’adozione di autonome politiche di bilancio ed intervento dello stato nei singoli contesti nazionali, guardando sempre più a Russia, Cina, Iran, Venezuela, Corea del Nord piuttosto che ad USA, Gran Bretagna ed Israele, nel nome dell’autonomia politica e decisionale di ogni nazione. Scardinare si può, eccome, basta averne la volontà. Per questo, oggi più che mai, (chiarito il fatto che l’unico vero nemico è la Globalizzazione di stampo occidentale, con tutte le sue ricadute politiche, economiche, culturali, etc.) è necessario addivenire alla creazione di un “fronte amplio” delle realtà antagoniste in cui la diversità delle esperienze costituisca il propellente atto a determinare la spinta al cambiamento. L’unione o, quantomeno, il coordinamento delle varie scuole di pensiero non può non passare attraverso la rielaborazione e la rivisitazione necessarie a determinare quei nuovi parametri di pensiero in grado di costituire la testuggine ideologica da contrapporre alla Globalizzazione. La lezione dei passati totalitarismi può, in questo, essere illuminante. Lo Stato può e deve tornare a ricoprire un ruolo etico, nel suo compito di rieducazione e mobilitazione delle masse, senza però assumere le vesti di un asfissiante ed onnipresente Moloch, grazie anche alla nuova presa di coscienza che dall’ultimo quarto 25 di secolo in poi, si è venuta formando grazie a tutti quei movimenti che si richiamano al localismo, al federalismo o al bio regionalismo. La stessa analisi marxista sulla conflittualità sociale assieme al concetto di alienazione, può farsi utile metafora per meglio inquadrare ed organizzare la lotta agli aggregati ed ai gruppi sociali che presiedono all’azione del Globalismo, senza per questo ricadere nella trappola di un omologante ed utopico pauperismo. Del pari, gli stimoli determinati dall’irrazionalismo vitalista e dal suo omologo e contrario spiritualismo tradizionalista, debbono essere assunti quale spinta ed incentivo a fruire della vita e della realtà circostante, al pieno delle possibilità determinate dalla propria individualità, imperniando però tale azione su un nucleo forte di valori. Tutto questo, però, senza portare all’esasperato e superomistico individualismo anarcoide né alla settaria chiusura nelle malinconiche “torri d’avorio” tanto care a certi ambienti tradizionalisti. Lo stesso termine “capitalismo” dovrebbe subire una rivisitazione ed una più esatta e funzionale collocazione, per i quali sarebbe però necessario svolgere un lavoro a parte. Ci basti però sapere che una cosa è l’incontrollato accumulo ed accaparramento di risorse finanziarie, altro è una libera iniziativa in economia che permetta all’individuo di poter fruire di sane e gratificanti soddisfazioni economiche e spiritua- li, senza scadere nella folle alienazione di una società unicamente legata al trend delle borse ed alla mitopoietica della pubblicità televisiva. Mai l’arroganza del capitalismo, sorretta dalla folle idea della privatizzazione e della mercificazione dell’umana esistenza è arrivata a tanto. Per questo, oggi più che mai, è necessario saper ritrovare la capacità di saper tradurre le elaborazioni ideologiche in prassi politica, tenendo però ben presente la dinamica sociologica che deve sovrintendere a questo genere di azione, non più demandabile alla solipsistica ed auto celebrativa azione di qualche capetto o alle aspirazioni poltronaie di qualche bastardo fallito che, nella politica vuole trovare la propria fonte di sostentamento economico. La situazione della post modernità, in cui le istanze politiche dell’antagonismo non riescono a tradursi nell’immediato in un’unica forma di “praxis” politico ideologica, a causa dello scenario di molteplice fluidità delle istanze, tipico della post modernità, ci suggeriscono una strategia che parta dall’azione ideologico-programmatica di un vero e proprio arcipelago di equipes di paretiana memoria a cui dovranno fare riferimento altrettanti gruppi operativi, preferibilmente provenienti dal mondo dell’associazionismo. Il motivo conduttore è quello dello scardinamento del capitalismo globale, partendo proprio dal suo primo e più debole tassello: l’Europa. Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, i poteri forti d’Oltreoceano tengono molto alla stabilità del sistema Euro e del circo equestre di Bruxelles. Qualunque colpo alla sua stabilità si ripercuoterebbe negativamente sugli “assett”finanziari determinati dalla stretta interrelazione propria del capitalismo globale. Per questo sputtanare, denunciare, smascherare, è, oggi più che mai, fondamentale, accanto ad un continuo lavoro di elaborazione. Rielaborazione e controinformazione, senza alcun compromesso con le forze collaborazioniste del Globalismo, di destra o sinistra che esse siano. Per quanto assurdo possa sembrare, quanto testè detto dalla Fornero dovrebbe renderci felici, poiché nel gettare definitivamente la masche- ra di ipocrita buonismo tipica della melassa culturale tardo-progressista, ci fornisce a tutti un ulteriore e più marcato incentivo per imprimere un colpo di acceleratore alla lotta al Mondialismo ed a tutte le sue espressioni Umberto Bianchi - mirorenzaglia 26 27 L’euro ci sta rovinando L’Italia sarebbe il paese che avrebbe il maggior vantaggio ad uscire dall’euro Ridotto all’osso, il downgrade di Moody’s dell’Italia di due tacche, a un livello vicino a junk, è un atto d’accusa contro l’intera politica di shock-therapy e di contrazione dell’eurozona (Moody’s contro l’Italia: rating vicino a spazzatura). Le prospettive economiche a breve termine dell’Italia si sono deteriorate, come risulta sia dalla crescita più debole che dalla maggiore disoccupazione, che comportano il rischio di non riuscire a raggiungere gli obiettivi di consolidamento fiscale. Il mancato rispetto degli obiettivi di bilancio a sua volta potrebbe indebolire ulteriormente la fiducia dei mercati, aumentando il rischio di una brusca frenata dei finanziamenti sul mercato. Etc, etc Se Fitch segue l’esempio, il downgrade provocherà un’ondata di vendite da parte dei fondi Asiatici e degli altri fondi sottoposti a severi limiti sul tipo di debito che possono dete- nere. Questi investitori hanno smesso di comprare debito Italiano mesi fa, naturalmente. Ma non l’hanno neanche venduto. Lo faranno. Moody’s fondamentalmente sta dicendo che la drastica austerità imposta all’Italia dalla BCE dopo il suo ultimo Putsch di fine estate (acquisti di obbligazioni a intermittenza per forzare l’uscita dal governo di Silvio Berlusconi) è essa stessa la causa della profonda crisi. Il mix delle politiche di contrazione è stato disastroso. La BCE lo scorso anno ha permesso – o meglio ha causato – il crollo in Italia della massa monetaria M1 ed M3 a livelli da Grande Depressione, con una politica monetaria restrittiva nel bel mezzo della crisi. Questo è stato uno dei peggiori episodi di errore nella politica monetaria dell’ultimo mezzo secolo. Il risultato di questa stretta monetaria e fiscale combinata è stata una doppia recessione, del tutto evitabile e molto dannosa. La Confindustria Italiana ha avvertito che solo quest’anno l’economia si contrarrà del 2.4% e forse anche molto di più, e ha aggiunto che l’austerità sta riducendo il paese in “macerie” dal punto di vista sociale. Questa medicina stile anni ’30 è la ragione principale per cui la traiettoria del debito Italiano, una volta stabile, è improvvisamente peggiorata, con il debito pubblico galoppante al 126% del PIL quest’anno, secondo il FMI. Moody sembra reagire agli obiettivi di “consolidamento fiscale” imposti al paese da Berlino, Francoforte e Bruxelles. L’Italia non dovrebbe farlo. Queste richieste sono velenose. L’Italia ha già un avanzo primario di bilancio, che quest’anno aumenterà al 3.6% del Pil, e il prossimo anno al 4.9%. Questo è di gran lunga il “miglior” profilo fiscale nel blocco del G7, ma è una vittoria di Pirro. Gli effetti recessivi stanno annullando i guadagni. Il debito sta accelerando. La struttura industriale del paese viene dissanguata. Il risultato politico è la spettacolare ascesa di Beppe Grillo, il flagello dell’euro e ora padrone di Parma. Berlusconi può già annusare l’occasione di lanciare una rimonta su un programma anti-Merkel, anti-Tedesco, anti-BCE, e anti-Europa. L’uscita dall’Euro “Non è una bestemmia parlare di uscita dall’euro”, dice, chiedendo un ritorno alla lira a meno che la BCE da parte sua non intervenga per una riduzione dei rendimenti obbligazionari Italiani. L’uscita dall’Euro potrebbe “avere i suoi vantaggi” dice. “La svalutazione ci permetterebbe di esportare. Se andiamo avanti con le politiche della signora Merkel finiremo sempre peggio in una spirale recessiva.” Personalmente,durante un viaggio a Roma tre settimane fa sono rimasto sbalordito dal livello di amarezza. Un alto funzionario – da lungo tempo sostenitore dell’UEM, uno dei suoi custodi – mi ha detto che l’euro era “praticamente morto”. Oramai appena il 30% degli Italiani pensa che l’euro sia stata una “buona idea”. Hanno certamente delle buone ragioni per sentirsi danneggiati. L’Italia non è fondamentalmente un caso disperato. E’ stata trasformata in un caso disperato dai meccanismi perversi dello stesso euro. Debito pubblico e privato combinati insieme arrivano al 260% del PI, più o meno come la Germania e molto meno di Francia, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca, Regno Unito, Stati Uniti o Giappone. Con una ricchezza privata di 8.600 miliardi di €, gli Italiani hanno una ricchezza pro-capite maggiore dei Tedeschi. Guardando all’indicatore del Fondo Monetario Internazionale sulla sostenibilità del debito a lungo termine, l’Italia ha uno dei punteggi migliori, al 4,1, davanti a Germania 4,6, Francia 7,9, Regno Unito 13,3, Giappone 14,3, e Stati Uniti 17. E’ uno dei pochi paesi che ha sistemato lo squilibrio delle pensioni. L’unico grosso problema che hanno gli Italiani è che sono nella valuta sbagliata. Come tutti sappiamo ormai, dal lancio dell’UEM hanno perso circa il 30% di competitività nel costo del lavoro per unità di prodotto contro la Germania, a causa dell’effetto strisciante di una spirale inflazionistica e della scarsa crescita della produttività. Il danno è fatto. Non si può riportare indietro l’orologio . Lo storico surplus commerciale dell’Italia verso la Germania si è trasformato in un grande deficit strutturale, bloccato in modo permanente per effetto dell’UEM. Hanno poche speranze di recuperare il terreno perduto attraverso la deflazione dei salari e la “svalutazione interna”, dal momento che la dinamica del debito scombinerà tutto di nuovo, se non condurrà addirittura alla rivoluzione nelle strade. David Woo di Bank of America ha appena elaborato uno studio di “teoria dei giochi” sull’eurozona, in cui sostiene che l’Italia, più di ogni altro paese (eccetto l’Irlanda), trarrebbe vantaggio dal liberarsi e ripristinare il controllo sovrano sui suoi strumenti di politica economica. Questo dà all’Italia molto potere in una prova di forza con la Germania … anche se se Wolfgang Schauble capisce che la questione è un’altra . L’avanzo primario del paese implica che esso può lasciare l’UEM a sua scelta in qualsiasi momento (a differenza di Grecia, Spagna o Portogallo), ed è grande abbastanza per farcela da solo. La sua posizione di investimenti sull’estero è solo leggermente negativa (a differenza della Spagna, che è in rosso per un ammontare del 92% del PIL). Il tasso di risparmio Italiano molto elevato e il suo livello di ricchezza privata significano che qualsiasi shock del tasso di interesse potrebbe per lo più essere rigirato di nuovo 28 all’economia come pagamenti più elevati per gli obbligazionisti Italiani. Gli effetti-macro potrebbero anche non esserci. Né accetto il solito mantra che dopo l’uscita i tassi d’interesse Italiani salirebbero alle stelle. Sono già saliti in termini reali (anche se oggi sono più bassi in termini nominali che al tempo delle lire). In effetti, può essere argomentato in contrario che l’unico modo per l’Italia in questa fase di abbattere i costi finanziari reali è quello di lasciare immediatamente l’euro. Ovviamente saranno gli Italiani a decidere del proprio destino. In vacanza in Italia, ho letto l’eccellente resoconto di Arrigo Petacco della Seconda Guerra Mondiale dal punto di vista Italiano, La Nostra Guerra 1940-1945. Il tema che più mi ha colpito è stato il numero delle sconfitte e dei disastri Italiani che sono stati il risultato di errori commessi dallo stesso alto comando Tedesco, soprattutto da Rommel. I subs inglesi hanno affondato l’80% dei convogli di rifornimento Italiani in Nord Africa, perché gli Inglesi avevano penetrato i codici dell’Enigma Tedesco, e gli ufficiali Tedeschi inoltravano inutilmente tutti i dettagli dei convogli al proprio quartier generale. Ma Rommel diede tutta la colpa a Roma, dicendo, ingiustamente, che ci dovevano essere delle spie della marina Italiana. La storia si ripete – questa volta in tempo di pace. L’Italia non ha più nulla da guadagnare ad ascoltare i distruttivi consigli Tedeschi o a per- 29 sistere in questa soffocante disavventura. Attendiamo una variante contemporanea del messaggio di Badoglio dell’8 settembre 1943. Tutto ad un tratto, l’Italia ha compiuto l’impensabile. Gli Italiani che ascoltavano la radio alle 18.15 di quella sera scoprirono con loro grande sorpresa – e con grande sollievo – che non erano più impegnati ad andare avanti nella follia. Silvia Conti - Qelsi La truffa del fondo salva stati Il MES (Esm in inglese) è il Meccanismo di Stabilità Europea. Il cosiddetto fondo salva-stati. Sembra una cosa buona, ma con il MES ci stiamo per indebitare di 125 miliardi di euro. 15 dovremo darli subito, e siccome non li abbiamo, dovremo fare nuovi debiti. Nuovi debiti significa nuovi interessi. Per cosa? Per essere “salvati”, nella malaugurata ipotesi dovessimo fallire. Ma come verremo salvati? Ci daranno semplicemente i soldi, un po’ come farebbe un’assicurazione a fronte del pagamento di un premio, al verificarsi di un sinistro? No, ce li presteranno. Nuovi debiti. Paghiamo 125 miliardi per avere la possibilità di farci prestare dei soldi a interessi elevati. Ve l’hanno mai raccontata così? Anzi: ve l’hanno mai raccontata in un qualsiasi modo? Ma non finisce mica qui: chi deciderà quanti soldi dovremo versare e quando? Diciassette uomini: i diciassette mini- stri dell’economia di diciassette stati membri (quelli che ratificheranno il trattato). Il diciassette porta sfiga. Infatti, secondo il trattato, nessuno di questi 17 uomini potrà essere chiamato in giudizio per una qualsiasi delle decisioni che prenderà nell’ambito del MES. E neppure avremo la possibilità di visionare i documenti che al MES verranno prodotti. Una super organizzazione opaca pagata con i soldi dei cittadini, che deciderà se e quale stato avrà il diritto di indebitarsi ulteriormente, a suo insindacabile piacimento, e per quale ammontare, senza essere sottoposta a nessun procedimento di verifica e di controllo democratico. A che scopo tanta segretezza? A che scopo tutta questa impunità? E che senso ha farsi un’assicurazione solo per avere il permesso di farsi riempire di debiti? Quando accendi un finanziamento sai quante rate dovrai pagare e quando scadrà l’ultima. Con il MES diamo un libretto degli assegni infinito e completamente in bianco. Il board dei governatori potrà infatti decidere in qualsiasi momento un aumento di capitale, che partirà con 800 miliardi, e gli stati membri dovranno corrispondere la loro quota parte secondo i tempi e le modalità stabilite di volta in volta, senza potersi opporre in alcun modo. Come non c’è modo di uscirne: se ratifichi il trattato, è per sempre. Non solo, ma siccome non c’è limite al peggio, il MES potrà rastrellare i soldi neces- sari, all’occorrenza, presso la grande finanza internazionale. Per esempio la Cina o le grandi banche d’affari. In questo caso, il finanziatore esterno avrà il diritto di commissariare lo stato sovrano che beneficerà del prestito (cui, è bene ripeterlo, saranno applicati interessi elevati), che si ritroverà la Goldman Sachs o Hu Jintao in Parlamento ad approvare o respingere ogni decisione. E una clausola specifica prevede che nessun Governo successivo a quello che ha ratifi- cato il trattato potrà disimpegnarsi, adottando una eventuale decisione di uscita. Stiamo per consegnare le chiavi di casa alla grande speculazione internazionale e per abdicare a qualsiasi principio democratico conquistato nel tempo. 30 31 L’ascesa di Grilli nel governo Monti Il presidente del Consiglio italiano, che nessuno ha mai eletto, ha appena ceduto a Vittorio Grilli, neppure lui mai eletto, la carica di ministro dell’ economia. E’ un ulteriore passo in avanti della piovra europeista? oppure l’inizio del disimpegno di mario monti di fronte al disastro che incombe? Nello scorso novembre l’oligarchia euro-atlantica, e più esattamente la Commissione europea e Goldman Sachs, avevano deciso di cacciare Silvio Berlusconi congedandolo dal suo incarico di capo del governo italiano. NOTA BENE : BERLUSCONI CACCIATO PER AVER TARDATO A METTERE IN ATTO LE “RIFORME INDISPENSABILI” Questa decisione era stata presa non a causa degli innumerevoli scandali finanziari e di costume che circondavano quello che la stampa italiana definiva “Il Cavaliere”. No, la decisione di allontanarlo era stata presa perché Berlusconi tardava a mettere in atto il programma di “riforme indispensabili” che i Signori Trichet (presidente della BCE in quel momento) e Draghi (suo successore designato) avevano cucinato nel segreto dei loro uffici, e che gli avevano reso noto senz ‘altra formalità di una lettera datata 5 agosto 2011. Questa lettera stabiliva in modo molto preciso quale dovesse essere l’azione del governo italiano, in materia di smantellamento del patto sociale e di vendita del patrimonio pubblico italiano alle banche ed altri fondi d’investimento. Il tono e il contenuto di questa lettera avevano dell’incredibile se si pensa che era stata firmata da due tecnocrati senza alcuna legittimità democratica, non essendosi mai sottoposti a suffragio universale e per di più totalmente sconosciuti agli elettori italiani. Lo scandalo fu tale che il contenuto della lettera trapelo’ sui giornali a fine settembre, sicura- mente in conseguenza delle pressioni esercitate dallo stesso Silvio Berlusconi, furioso di essere trattato come un domestico. Questo appello implicito di Berlusconi a sostegno dell’opinione pubblica testimoniava una tale mancanza di volontà di piegarsi al racket della mafia euro-atantica che quest’ultima decise immediatamente la sua caduta. Nelle settimane che seguirono, un’autentica cospirazione fu così ordita per cacciare il controverso e spu- meggiante capo del governo/uomo d’affari, e per sostituirlo con uno dei principali membri dell’oligarchia euro-atlantica, M Mario Monti. Ex Commissario europeo ed ex responsabile di Goldman Sachs, questi era sconosciuto al grande pubblico e, come M Trichet e M Draghi, non era mai stato eletto. IL COLPO DI STATO MASCHERATO DEL NOVEMBRE 2011 In pochi giorni, e quando identiche manovre si tramavano contemporaneamente in Grecia per cacciare il Primo ministro Papandreou, Mario Monti fu “nominato senatore a vita” dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano. (Questo tipo di nomina “diretta”, senza elezione e a vita, è una delle norme quanto meno strane previste dalla Costituzione della Repubblica italiana). Sulla scia di questa nomina, Mario Monti fu “chiamato” (gentile eufemismo per dire “imposto”) a succedere a Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio dei ministri e a formare un “governo di tecnici”. In un attimo, tutti i media al soldo degli europeisti, liberandosi dell’influenza di Silvio Berlusconi, trovarono l’idolo del momento in quest’uomo provvidenziale, che il 99,9999% degli italiani non conosceva minimamente. Il colpo di stato sotto un’apparenza di legalità fu portato a termine senza intralci. Il 12 novembre 2011, Berlusconi cedette al cancan mediatico e alle “trame” politiche tessute dal parlamento italiano: rassegno’ le dimissioni. Il giorno dopo, il capo di Stato incarico’ Mario Monti di formare un governo. Costui ebbe l’incredibile ipocrisia di accettare “con riserva”, assumendo atteggiamenti da vera prima donna. L’ASCESA DEL TRISTO FIGURO GRILLI La situazione di sfiducia dei mercati nei confronti dell’Italia era tale che, quando s’insediò a Palazzo Chigi a metà novembre scorso, Mario Monti decise di assumere insieme alla carica di capo del governo (“Presidente del Consiglio”) anche l’incarico di ministro dell’economia. Ed è quest’ultimo incarico che a sorpresa ha appena deciso di rimettere, l’11 luglio 2012 dopo 8 mesi di mandato, nominando il vice-ministro dell’economia Vittorio Grilli come suo sostituto. L’ascesa di quest’ultimo non si spiega per qualche exploit elettorale, poiché non si é mai presentato, neppure lui, di fronte agli elettori. Non si spiega neanche per un particolare carisma da lasciare abbagliati perché M Grilli non è propriamente un uomo che trasuda gioia di vivere (propongo qui la sua foto...). Per contro, la sua ascesa si comprende se si da un’occhiata al suo eloquente pedigree. Vittorio Grilli è stato successivamente: - professore d’economia all’Università di Yale (Stati Uniti) per 4 anni Universitari (dal1986 al 1990), - professore d’economia al Birkbeck College dell’Università di Londra (Regno Unito) per 4 anni universitari (dal 1990 al 1994), - capo del dipartimento delle Privatizzazioni e dell’analisi economica al ministero italiano dell’economia, dal 1994 al 2000, - direttore generale della banca d’investimento elvetico-americana “Crédit Suisse First Boston” dal 2001 al 2002, - ragioniere generale dello Stato italiano dal 2002 al 2005, - direttore del Tesoro dal 2005 al 2011, - prima di essere nominato vice-ministro dell’economia nel novembre scorso da Mario Monti GRILLI, LA QUINTESSENZA DELL’ APPARATCHIK EUROPEISTA Durante le sue ultime funzioni come Direttore del Tesoro, Vittorio Grilli è stato il più stretto collaboratore del “compianto” Tomaso Padoa-Schioppa, ministro dell’economia italiana (2006 -2008), oggi scomparso. I partecipanti più attenti delle mie conferenze si ricorderanno sicuramente che io cito a più riprese Padoa-Schioppa, perché autore di un articolo-shock intitolato “Gli insegnamenti dell’avventura europea”, apparso sulla rivista francese “Commentaire” n. 87, autunno 1999. 32 In questo pezzo d’antologia del pensiero europeista, il defunto capo del nuovo ministro dell’economia italiano aveva in effetti spiegato senza giri di parole quella che è la presunta costruzione europea: “ La costruzione europea é una rivoluzione, anche se i rivoluzionari non sono dei cospiratori pallidi e magri, ma degli impiegati, dei funzionari, dei banchieri e dei professori. L’Europa non nasce da un movimento democratico. Essa si crea seguendo un metodo che potremmo definire con il termine di dispotismo illuminato.” Il suo successore ed emulo Vittorio Grilli testimonia che questa descrizione è molto giusta ma non completamente esatta. Perché se M Grilli è un “despota illuminato” a cui è riuscito il miracolo di essere allo stesso tempo “impiegato, funzionario, banchiere e professore”, non per questo non è anche “pallido e magro”. Quanto all’aspetto “cospiratore”, non so molto bene cosa significhi questo termine ma mi sembra interessante notare che Vittorio Grilli è: 1°)- membro del consiglio d’amministrazione del FESF E’ il famoso “fondo di stabilità dell’euro”, al quale dovrebbe succedere il MES. M Grilli è quindi molto legato al tedesco Klaus Regling, direttore del suddetto FESF, e che sarà il presidente del futuro MES, come ho segnalato in un precedente articolo e come è stato deciso l’altro ieri. 2°) - ex presidente del Comitato economico e finanziario dell’UE (CEF) Tale comitato, che non bisogna confondere né con il Sistema europeo delle Banche centrali (SEBC) nè con l’Eurosistema, nè con il Consiglio dei ministri “ECOFIN”, nè con l’Eurogruppo, è un organismo consultivo istituito dall’articolo 114 del trattato di Roma (TCE), trasformato nell’articolo 134 del trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE). Composto dai rappresentanti degli Stati membri, della Commissione europea e della BCE, il CEF ha il compito di seguire la situazione economica e finanziaria dell’Unione europea, i movimenti di capitali e i pagamenti, dare pareri alle istituzioni europee, e agevolare la coordinazione tra gli Stati membri e le istituzioni europee. Con i brillanti risultati a cui assistiamo! In ogni caso, è bene sapere che M Grilli è stato presidente del CEF quando la Germania aveva come rappresentante...Klaus Regling. A riprova del fatto che tra gli eurocrati, sono sempre le stesse persone che ruotano. 3°)- membro del consiglio d’amministrazione del “think tank” Bruegel M Grilli appartiene al “think tank” ultra-europeista Bruegel, creato nel 2004, e il cui presidente, dal 2005 al 2008, non fu altro che...Mario Monti. Che resta d’altra parte presidente onorario. 33 Il pubblico che mi segue con più assiduità si ricorderà che questo “think tank” Bruegel è diretto dall’economista francese Jean Pisani-Ferry, con il quale ho partecipato ad un dibattito interrotto su France 24 il 25 novembre 2011 [fonte: http://www:dailymotion. com/video/xmkslx_f-asselineau-surfrance-24-25-11-2011_news ] Come avevo indicato durante quella farsa di “dibattito”, dove fui costantemente interrotto dal giornalista, il “think tank” Bruegel è finanziato tra gli altri da Goldman Sachs.Il mondo è decisamente molto piccolo. D’altra parte, il “think tank” ultraeuropeista Bruegel, con Mario Monti come presidente onorario e Jean Pisani-Ferry come direttore e di cui Vittorio Grilli è uno dei membri del consiglio d’amministrazione, non è finanziato solo da Goldman Sachs. Tra i generosi donatori di questa onorabile istituzione che ha a cuore il buon funzionamento dell’Europa figurano: - la società americana di “consulenza” Emst & Young, - la società americana General Electric, - la società americana Goldman Sachs, che non presentiamo più..., - la società americana Google, i cui possibili legami con la CIA sono oggetto di più di un’indiscrezione (cf. per esempio http://www.infowars. com/group-calls-for-hearings-into- googles-ties-to-cia-and-nsa/) - la società americana Microsoft, i cui legami con la CIA e la NSA sono un segreto di pulcinella (cf ad esempio http://infosecisland.com/ blogview/21694-Microsoft-theCIA-and-NSA-Collude-to-TakeOver-the-Internet.html) - la società americana NYSE Euronext, gruppo mondiale d’imprese del mercato della finanza (cioè di società commerciali che hanno per attività quella di garantire la gestione di uno o più mercati finanziari). Il gruppo è nato nel 2007 dalla fusione tra il gruppo New York Stock Exchange e il gruppo Euronext. NYSE Euronext è oggi il primo gruppo mondiale sulle piazze borsistiche e la sua sede si trova a New York, - la società americana Qualcomm, specializzata in telecomunicazioni, in programmazione e produzione di processori per telefoni mobili e conosciuta per aver messo a punto la tecnica CDMA. ( I legami di questa società con la CIA sono stati per breve tempo al centro della cronaca negli Stati Uniti nel 1998, quando uno dei suoi responsabili fu arrestato per spionaggio a Roston-sur-deDon, in Russia, cosa che all’epoca fece parlare molto : cf. http://business.highbeam.com/4776/article1G1-20202729/risky-business-cianew-cover-story) In breve, e come mi aveva detto con asprezza il giornalista di France 24, bisognerà pure che i think tanks pro- europei trovino i loro finanziamenti... In ogni caso memorizziamo bene che Vittorio Grilli, membro anche del think tank euroatlantico “ Istituto Aspen”, incarna l’archetipo dell’ apparatchik europeista. Ne ha tutte le caratteristiche: - un burocrate di formazione e di stile, - un carisma da pesce lesso, - una carriera negli Stati uniti e nel mondo bancario e finanziario, - una conoscenza perfetta della lingua di John Wayne, - una totale ignoranza di cosa sia un elettore, - una preferenza impressionante per i think tanks profumatamente finanziati da gruppi americani vicini alla CIA, - e una vita sotto una campana di vetro insieme agli altri apparatchiks europeisti della sua specie. CONCLUSIONE : PERCHE’ ADESSO? La domanda che è legittimo porsi è perché Mario Monti ha deciso di rimettere, l’11 luglio 2012, l’incarico di ministro dell’economia che aveva mantenuto fino ad oggi insieme a quello di Presidente del Consiglio? La prima risposta che ci viene in mente - un eccesso di lavoro - non è sicuramente quella giusta: - da una parte perché non è dopo 8 mesi che ci si rende conto che non è possibile far fronte a due incarichi. - dall’altra parte perché nel maggio 2013 si terranno le prossime elezioni generali in Italia per rinnovare la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica. Mario Monti che aveva già portato avanti i due incarichi di Presidente del Consiglio e ministro dell’economia, poteva conservarli entrambi fino alla loro naturale scadenza. - infine perché Vittorio Grilli, che era già vice-ministro dell’economia, di fatto svolgeva funzioni di ministro. Niente, a priori, obbligava a promuoverlo. E quindi? Ebbene, la spiegazione deve forse essere cercata altrove. Perché l’11 luglio, Mario Monti non ha solo nominato Vittorio Grilli come ministro dell’economia. Di fronte alla stampa ha anche annunciato che “escludeva di ambire” ad un nuovo mandato alla conclusione di quello in corso. Esprimendosi a margine del summit dei ministri dell’economia a Bruxelles, ha ricordato di aver sempre escluso di rimanere capo del governo dopo le elezioni della prossima primavera. [fonte : http://tempsreel.nouvelobs. com/monde/20120711.FAP5540/ italie-mario-monti-exclut-de-resterau-pouvoir.html] E’ vero che M Monti ha 69 anni e forse ritiene che l’età per lasciare è arrivata. Ma questa dichiarazione di rinuncia, concomitante alla nomina di M Grilli, arriva proprio nel momento in cui la situazione finanziaria 34 e politica dell’Italia continua a degradarsi. Come ho ricordato qualche giorno fa, i tassi d’interesse delle obbligazioni italiane a 10 anni hanno raggiunto livelli esorbitanti, riprova della rinnovata sfiducia dei mercati. Oltre tutto, e nonostante avesse sempre dichiarato il contrario, Mario Monti ieri ha finito per entrare in contraddizione con se stesso, ammettendo di fronte alla stampa che l’Italia potrebbe, alla fine, fare ricorso al fondo di stabilità della zona euro. [fonte : http://www:romandie:com/ news/n/Italie_Monti_n_exclut_pas_ un_recours_aux_fonds_de_secours_ de_la_zo] Ora, Mario Monti è il primo a sapere che questi fondi di stabilità sono ancora inesistenti. Il MES ha subito un ritardo, la Finlandia e i Paesi-Bassi frenano, e il Tribunale di Karlsruhe si pronuncerà tra non prima di tre mesi per stabilire se il MES dovrà essere abbandonato, perché in contraddizione con la Costituzione tedesca e la democrazia. In breve, l’altra ipotesi da prendere in considerazione è quella per cui Mario Monti cominci ad ammettere che il colpo di mano che ha condotto alla sua nomina nel novembre scorso si stia concludendo con un terribile fallimento. Avrà solo ritardato, ma non potrà fermare la catastrofe che sta sopraggiungendo. Allora tutto si spiegherebbe a meraviglia: - M. Monti annuncia che lascerà le sue funzioni governative in primavera, sperando che l’euro non esploda prima di allora - e si libera dell’imbarazzo del ministero dell’economia per rifilare la responsabilità del disastro che incombe a Vittorio Grilli, che si lascerà “arrostire” (scusate il brutto gioco di parole) al suo posto. [ndt: “arrostire” in francese “griller” assonante con Grilli] Questa nuova ridistribuzione di figurine è ovviamente seguita da vicino dal “Cavaliere”, l’ex capo di governo Silvio Berlusconi che fu cacciato come un domestico indelicato lo scorso novembre e che probabilmente sta maturando la sua vendetta, come vuole una consolidata tradizione plurimillenaria sulle sponde del Tevere. Proprio oggi, Angelino Alfano, una delle persone a lui più vicine, ha tratto profitto dalle dichiarazioni di Mario Monti per rendere noto alla stampa dell’esistenza di un movimento in crescita nell’opinione pubblica a sostegno del ritorno di Berlusconi. E il delfino del Cavaliere ha pensato bene di annunciare anche che : “Credo che in definitiva, deciderà di presentarsi [alle elezioni del maggio prossimo].” Decisamente, Angela Merkel, José Barroso, tutti i piani di rigore, tutte 35 le “riforme indispensabili”, e tutti i think tanks europeisti finanziati da Goldman Sachs non potranno cambiare il dato di fatto che l’Italia è sempre l’Italia... Cosa che per altro è una grande fortuna perchè è l’indice più chiaro che l’euro non potrà ancora a lungo pretendere di cambiare i popoli contro la loro volontà. Francois Asselineau www.agoravox.fr Legitech s.r.l. CONSULENZA FISSO MOBILE INTERNET La LEGITECH nasce nel 2010 grazie all’impegno e alla collaborazione di più professionisti del settore delle telecomunicazioni (TLC), che nella società partecipano, non solo con la loro pluriennale esperienza nell’intermediazione commerciale del settore, ma anche promuovendo lo sviluppo di nuove idee, in aiuto alle aziende che sempre più si trovano a dover affrontare le problematiche sempre più complesse e variegate, connettività mobile, connettività fissa, WI-MAX, etc. Nonostante la vita breve della società, con la grande capacità dei suoi soci, LEGITECH ha potuto ottenere grandi risultati nell’ambito della consulenza, nonchè un crescente interesse della clientela nell’acquisto dei prodotti offerti. Non sempre un singolo operatore telefonico è in grado di rispondere totalmente a tutte le esigenze richieste dalle aziende, per questo motivo la LEGITECH interviene nella scelta dell’offerta migliore, in grado di rispondere alle più diverse caratteristiche richieste. La scelta della LEGITECH mira ad un’attenta misurazione nel rapporto prezzo-qualità, in controtendenza rispetto a quello che il mercato solitamente ritiene. Non sempre il risparmio rappresenta l’ottimizzazione del bilancio. In un momento dove il costo delle telecomunicazioni è molto più basso rispetto a quelli di energia e risorse umane, LEGITECH pone una riflessione su quanto il telefono possa essere fondamentale per l’attività dell’azienda. Gentilezza e cordialità sono infine i tratti distintivi dei consulenti LEGITECH, che uniti alla professionalità, forniscono una cornice di qualità nel servizio offerto dalla società. Via Roma, 40 - 33050 Ruda (UD) - Tel. e Fax 0431.782194 - [email protected] 36 37 Controcorrente Gens Italica Le nazioni senza immigrati vincono sulle società multietniche Primi in tutto. Ma senza immigrati un popolo non doveva essere stanco? È vero che sia così necessaria l’immigrazione e che questa sia benefica? È vero che in un paese sviluppato quasi nessuno voglia più fare i lavori umili? È vero che senza risorse naturali e materie prime si sia destinati al tracollo? È vero che dobbiamo rassegnarci ad un’economia di servizi? È vero che paesi senza materie prime, relativamente piccoli ed ad alta densità abitativa non possano competere con BRICS e CIVETS? È vero che dobbiamo rassegnarci ad una disoccupazione di massa? È vero che un paese relativamente piccolo non possa competere tecnologicamente? È vero che una singola nazione non abbia la possibilità di prendere decisioni di politica estera coraggiose? 1° LEGGENDA - Un paese come l’Italia non può eccellere senza Unione Europea Tutto ciò che vi hanno detto i mass media occidentali è FALSO. Corea del Sud e Giappone ne sono la dimo- strazione. La Corea del Sud è un paese asiatico peninsulare di 100.210 KM² (il 33 % dell’Italia) ed ha una popolazione di 48.875.000 e non ha risorse naturali. Il Giappone è anch’esso un paese asiatico, un’isola (una molteplicità di isole) che si estendono per 377.944 KM², (il 125 % dell’estensione italiana) e con una popolazione pari a 127.960.000 abitanti, ed anch’esso senza risorse naturali degne di nota. L’Italia si estende per 301.340 KM², è una penisola (alla quale vanno aggiunte alcune isole) con una popolazione di 60.742.397 e non ha praticamente risorse naturali. Il dato statistico al giorno d’oggi più citato dopo lo spread è il tasso di disoccupazione. Già il divario è emblematico, in quanto ad Ottobre 2011 in Corea del Sud si attesta al 2,9 %, in Giappone al 4,5 % ed in Italia all’8,5 %. Ma tali dati devono essere attualizzati e contestualizzati in quanto in Italia la disoccupazione reale è sicuramente molto più alta, considerando le persone non iscritte ai centri dell’impiego alle quali vanno aggiunte le cifre dei clandestini, persone fisicamente presenti in Italia ma tendenzialmente senza lavoro. C’è anche da ammettere che in Italia il lavoro nero è una piaga estesa, ma numericamente non compensa il numero dei disoccupati reali. In Giappone invece il tasso di disoccupazione è in leggero rialzo dopo la tragedia di Fukushima ed a causa dell’embargo della Cina al Giappone per quanto concerne le terre rare, 17 materie prime FONDAMENTALI nei settori dell’alta tecnologia, di cui le tigri asiatiche sono leader indiscusse, contrariamente all’Italia. La limitazione cinese per le esportazioni ha causato un rallentamento della produzione industriale giapponese del 2,6 %. 2° LEGGENDA - Gli italiani non vogliono fare i lavori umili (e le motivazioni?) La prima motivazione che viene addotta per giustificare l’immigrazione di massa che stiamo subendo è la decantata mancanza di italiani che vogliono apprendere o intraprendere un lavoro umile e/o manuale. Ciò si rivela una falsità, ed anche qui Giappone e Corea del Sud incorrono in nostro aiuto sotto vari profili. Il primo è il chiaro nesso che vi è tra gli STIPENDI MEDI DI UN PAESE INDUSTRIALE IN RAPPORTO ALL’IMMIGRAZIONE. (paesi che non sono nè paradisi fiscali o finanziari, nè ricchi di risorse naturali i cui proventi vengono distribuiti a pioggia ai cittadini). Nella classifica dei redditi medi netti annui al 1° posto vi è la Corea del Sud con 39.931 $ equivalenti. Al 2°, 3° e 4° posto incontriamo Regno Unito, Svizzera e Lussemburgo che scartiamo in quanto la media del Regno Unito è fittizia poichè alterata dagli stipendi della City londinese e dalle residenze fittizie milionarie, similmente a quella che ebbe Valentino Rossi a Londra; mentre Svizzera e Lussemburgo sono ancora vergognosamente PARADISI FISCALI a due passi da Germania, Francia ed Italia. Un bel biglietto da visita per Europa e Unione Europea. Chiunque comprende che con TRILIONI DI EURO in casa è facile creare posti di lavoro con aliquote fiscali al ribasso (vedasi la tassazione del 30 % a Sergio Marchionne nel cantone di Zugo per i proventi italiani e del 21 % per quelli svizzeri). Al 5° posto ritrovia- mo quindi il Giappone con un reddito medio di 34.445 $ equivalenti. Perchè prendere come esempi Corea del Sud e Giappone? Come citato nella prefazione, sono paesi nella condizione demografica e territoriale dell’Italia, ma soprattutto NON HANNO IMMIGRAZIONE. E la motivazione non è certo la loro distanza o la posizione geografica, dato che in Italia i cinesi, gli indiani ed i pakistani e sudamericani giungono con facilità, e di certo non a nuoto. Similmente, anche cinesi, malesiani, indonesiani, vietnamiti, thailandesi, cambogiani potrebbero recarsi nei due paesi presi in considerazione, ma non avviene. Per essere più dettagliati, in Corea del Sud il gruppo etnico è al 99,99 % composto da coreani, mentre in Giappone il 98,5 % è composto da giapponesi. La verità è che senza la concorrenza sleale di immigrati poveri, ignoranti, disperati e disposti a tutto, gli stipendi viaggiano al rialzo anzichè al ribasso. Inoltre, per mantenere un’occupazione elevata si è costretti a non delocalizzare il settore secondario, ovvero l’industria, che costituisce la VERA RICCHEZZA DI UN PAESE MODERNO. Questo avviene poichè non si ha la possibilità di basare l’economia sull’edilizia in quanto la richiesta di case è stabile o al ribasso, non essendovi nuovi ingressi nè incrementi di popolazione, in virtù di un tasso di fecondità simile a quello italiano. Inoltre è mantenuta la coesione sociale e lo spirito patriottico che sono il cuore pulsante di una nazione, altro che multiculturalismo. In Italia invece lo stipendio medio è di 21.374 $ equivalenti, ben distante 38 dalla media delle due tigri asiatiche, dietro cui si cela il vero motivo della riluttanza degli italiani ad intraprendere un mestiere umile e/o manuale (acuito anche da fattori culturali), costretti quindi a subire non solo una salario DA FAME, ma anche mobbing e maltrattamenti psicologici sul posto di lavoro, essendo trattati come merce e bestiame, anzichè come uomini o donne che costituiscono la base portante di una nazione. Bisogna ovviamente evidenziare l’evasione fiscale che impone il carico fiscale maggiore sui contratti di lavoro subordinato, ma certamente in assenza di essa saremmo lo stesso ben lungi da Corea del Sud e Giappone. In Italia sono residenti ufficialmente al 1° Gennaio 2011 4.507.311 stranieri, ai quali dobbiamo aggiungere un numero INDEFINITO di clandestini (stimato in oltre due milioni) che danneggiano ulteriormente la nostra economia, già provata ed al limite a causa dell’evasione fiscale, della corruzione, della delocalizzazione industriale e del basso contenuto tecnologico ed innovativo della maggior parte delle nostre produzioni. Un altro dato è fondamentale, forse ancor più rilevante del valore numerico del reddito medio, è il coefficiente di Gini, che misura la redistribuzione della ricchezza in un paese. La Corea del Sud ha un coefficiente netto di 0.315, il Giappone di 0,329 e l’Italia di 0,337 (Le stime sono molteplici e vi sono anche dati con divari di gran lunga maggiori). Quindi a fronte di stipendi più alti vi è anche un migliore redistribuzione del reddito e delle ricchezze. 3° LEGGENDA - L’Italia è destinata a divenire un’economia di servizi deindustrializzata, a causa del costo del lavoro e della concorrenza sleale Nonostante a pochi chilometri di distanza ci sia l’esempio tedesco che smentisce questa credenza massmediatica, è nostro dovere indicare (in breve) il potenziale industriale e manifatturiero di Giappone e Corea del Sud. Giappone Il settore industriale giapponese è leader mondiale nella metalmeccanica, nei trasporti, nell’energia, nell’automobile, nell’aerospaziale, nella robotica, nel navale (superati di recente proprio dalla Corea del Sud), nell’elettronica, nell’informatica, nelle biotecnologie, nella chimica, nella farmaceutica, nell’agroalimentare. E tale presenza si manifesta con COLOSSI INDUSTRIALI di caratura MONDIALE. Corea del Sud Il settore industriale coreano non è da meno, ed anch’esso costituisce l’asse portante dell’economia della penisola grazie al quale è stato possibile il miracolo del fiume Han. La Corea del Sud è leader nel settore navale, nelle costruzioni, nell’elettronica, nella meccanica, nelle biotecnologie e nelle energie rinnovabili. Ma il suo futuro è ancor più roseo in virtù dell’alta educazione tecnica e scientifica, poichè la Corea del Sud vanta il maggior numero al mondo di giovani laureati nella fascia di età compresa tra i 25 e i 34 anni: il 60%. La media dei paesi OECD non arriva al 40 %. L’Italia arriva appena al 20%. Il 35% dei laureati coreani ha conseguito il titolo nell’ambito delle scienze naturali o dell’ingegneria. Solo la Cina al mondo vanta una percentuale maggiore. In Italia le lauree in scienza e ingegneria sono solo il 20% del totale. Questo significa che in Corea del Sud il 20% di tutti i giovani di età compresa tra i 24 e i 35 anni ha una laurea scientifica o tecnica, contro il 4% degli italiani. La Corea del Sud accompagna ingenti investimenti nel campo della ricerca scientifica e tecnologica. Secondo i dati più recenti pubblicati dal R&D Magazine nel 2010 ha investito in ricerca e sviluppo 42,9 miliardi di dollari: il che la colloca al quinto posto assoluto nel mondo. Sopra la Francia e sopra la Gran Bretagna. A mero titolo di paragone, l’Italia – che ha sia una popolazione sia un PIL superiore – risulta aver investito 18,7 miliardi di dollari: molto meno della metà. Anche in termini relativi la Corea del Sud è al quinto posto al mondo: la spesa in R&S rispetto al PIL è pari secondo il R&D Magazine al 3,0% e viene solo dopo quella di Israele, Svezia, 39 Finlandia e Giappone (una colonna portante della ricerca scientifica mondiale). Se consideriamo questa spesa nella sua dinamica storica, vediamo che solo Cina e Giappone hanno aumentato l’intensità della spesa in R&S con la medesima intensità. 4° LEGGENDA - L’Italia, come altre singole nazioni, non avrebbe il potere politico e l’autonomia decisionale per scelte indipendenti Infine concludiamo con la politica internazionale. “Giappone e Cina promuoveranno scambi diretti di yen e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per le aziende”, sono le parole del governo giapponese. Il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi il prossimo anno, così si è pronunciato il governo giapponese in una dichiarazione successiva a un meeting tra il Primo Ministro Yoshihiko Noda e il Premier cinese Wen Jiabao tenuta ieri a Pechino. E prima che qualcuno asserisca che si tratta solo di ostentazioni di politica estera vista l’enorme dimensione del volume degli scambi tra le due più grandi economie asiatiche, questo accordo è molto più significativo di qualsiasi altro patto che la Cina ha firmato con altre nazioni”. Il Giappone ha 1,3 trilioni di dollari (1300 miliardi di dollari) in riserve di divise estere, il secondo quantitativo al mondo dopo la Cina. La Corea del Sud ne ha 275 miliardi, classificandosi sesta. Cittadinanza Ideale 40 41 Un milione di italiani ha perso il lavoro, sostituiti da 700.000 immigrati Tra il 2007 e il 2011 l’occupazione in Italia è diminuita di circa 250.000 unità ma il dato è il risultato di un calo di un milione di lavoratori italiani e un aumento di 750.000 lavoratori stranieri. È quanto si legge dalle statistiche sulla coesione sociale pubblicate dal ministero del Lavoro sulla base dei dati Istat. Secondo i dati Istat gli occupati sono passati da 23.222.000 nel 2007 a 22.967.000 nel 2011 con un calo di 255.000 unità (-1,09%). Ma il calo è il risultato di una contrazione consistente per i lavoratori con cittadinanza italiana passati da 21.719.000 a 20.716.000 (oltre un milione in meno pari a -4,61%) e un aumento rilevante per gli occupati con cittadinanza straniera. I lavoratori immigrati, infatti, sono passati dai 1.502.000 del periodo pre crisi economica a 2.251.000 nel 2011 con un aumento di 749.000 unità (+49,8%). Il dato è anche il risultato degli interventi per la regolarizzazione dei lavoratori sommersi, soprattutto badanti e colf. L’aumento dell’occupazione straniera è stato rilevante soprattutto per la componente femminile con il passaggio da 579.000 unità del 2007 a 960.000 (+65,8%) nel 2011 men- tre l’occupazione degli uomini stranieri nello stesso periodo è passata da 924.000 unità a 1.292.000 (+39,8%). Nell’andamento dell’occupazione italiana sono stati penalizzati soprattutto i maschi con il passaggio da 13.133.000 occupati nel 2007 a 12.327.000 (con oltre 800.000 unità in meno e un -6,13%) mentre per le donne si è registrato un calo più contenuto. L’occupazione delle donne con cittadinanza italiana è passata da 8.586.000 unità a 8.389.000 unità con circa 200.000 unità in meno (-2,29%). L’occupazione degli italiani è diminuita soprattutto nel Mezzogiorno con un calo da 6.345.000 del periodo pre crisi a 5.922.000 nel 2011 (423.000 posti con un -6,66%) mentre nel Nord gli occupati italiani sono diminuiti da 10.974.000 a 10.565.000 (409.000 posti in meno con un -3,72%). Nel Centro l’occupazione è diminuita di di 173.000 unità (da 4.401.000 a 4.228.000 unità) con un -3,93%. Per gli stranieri l’occupazione nel Nord nel corso della crisi è aumentata da 947.000 unità a 1.360.000 (+43,6%) mentre nel Sud l’aumento è stato del 71,3% passando da 171.000 unità a 293.000. Un aumento consistente del lavoro immigrato si è registrato anche per il Centro con un +55,3% (da 385.000 a 598.000). Bellezza Italiana 42 Lo Straniero Lo straniero in casa mia, può esser sincero e cortese, ma non parla il mio linguaggio: io non riesco a coglierne il pensiero. Vedo il suo volto, e gli occhi, e la bocca, ma non il suo spirito che vi sta dietro. Gli uomini del mio stesso seme, possono comportarsi bene o male, ma le loro bugie son le stesse che si aspettan da me - le bugie alle quali sono ben avvezzi. E non abbiamo bisogno di interpreti quando dobbiamo fare mercato. Lo straniero in casa mia - che egli sia buono o malvagio io non so dire quali forze lo dominano, quali motivi scuotono il suo umore, né quando mai gli dèi della sua terra riprenderanno possesso del suo sangue. Gli uomini del mio stesso seme potranno anche esser perversi, ma, almeno, sentono quel che io sento, e vedono quello che vedo anch’io. E per male ch’io pensi di loro e dei loro simili, è la stessa cosa che loro pensan dei miei. Questa era l’idea di mio padre, e questa è anche la mia: che le stesse spighe sian tutte in un solo covone, e la stessa uva finisca tutta in un unico tino, prima che ai nostri figli alleghino i denti un più amaro pane ed un più amaro vino. Rudyard Kipling 43 Manuale della comunicazione sull’immigrazione E’ appena giunto ai giornalisti di tutte le redazioni italiane, Comunicare l’immigrazione Guida pratica per gli operatori dell’informazione, un vero e proprio breviario del politicamente corretto stampato dalla cooperativa Lai-momo di Bologna, in collaborazione con Caritas e Migrantes, nell’ambito di un progetto del ministero del Lavoro e dell’Interno, finanziato con fondi europei (quindi soldi che noi diamo a Bruxelles e che, gli eurocrati girano a questi enti inutili e dannosi). Centosessanta pagine di informazioni si, ma soprattutto, una sorta di libretto delle istruzioni del bravo pennivendolo “sovietico”, la cui litania è: «Anche se gli immigrati commettono un alto numero di reati, non è detto che l’equazione immigrati uguale a criminalità sia fondata». Ecco dove può arrivare la mente umana in preda a fantasie allucinatorie, colpita da patologia xenofila. Dalla guida si apprende che secondo l’Interno il numero di immigrati denunciati è il 31,6% del totale delle denunce(a fronte del 7% di popolazione) e l’80% dei reati è commesso proprio da stranieri(sempre a fronte del 7% di popolazione). Ma per il manuale buonista sono i giornalisti che danno le notizie i cattivi. Se la prende soprattutto con certi giornalacci, colpevoli di causare «ingiustificato allarmismo», di peccare di «superficialità ed eccesso di stereotipi» e di parlare di migranti «nel 52,8% dei casi, solo per articoli di cronaca nera». Giornalisti pazzi visionari, che scrivono sugli immigrati solo quando fanno qualcosa di male. E per rafforzare la predica cita tal Mario Morcellini, preside di Scienze della comunicazione alla Sapienza, che parla di «gigantografia della paura da parte dei cronisti. Poi la guida bigotta si mette a dare anche i voti. Bocciato Il Giornale che ha interrotto troppo presto la pagina settimanale di Marina Gersony su Milano multietnica, «che ha avuto vita breve (2005-2007)». Promossi, manco a dirlo, altri «quotidiani più attenti alle questioni legate all’immigrazione» come L’Unità, Metropoli di Repubblica e L’Espresso. Secondo il manuale del buon giornalista le «poche eccezioni» in un mondo di giornalisti senza cuore, sono Ra- dio Articolo 1, collegata alla Cgil, e Radio Popolare, vicina ai partiti e movimenti di sinistra. Insomma, per questa guida è eticamente scorretto parlare dei crimini commessi dagli immigrati. Neppure quando, nel 2010, un marocchino, drogato e senza patente, falciò a morte sette ciclisti nel catanzarese. O quando a Genova, nel 2011, una donna venne stuprata da un ghanese clandestino. E neppure se, un mese fa, una banda di romeni e albanesi venne beccata a spacciare droga ai minorenni nella provincia di Como. Dulcis in fundo, proprio nei giorni in cui il governo Monti vara la riforma delle pensioni, che prolunga di tre anni l’uscita dal lavoro (69 anni), la guida informa: «Lo straniero, al compimento di 65 anni, può richiedere la pensione. Il lavoratore immigrato che vuole tornare nel proprio paese prima di aver maturato il diritto alla pensione, conserva tutti i diritti previdenziali e di sicurezza maturati, e potrà ottenere la totalizzazione dei contributi previdenziali maturati in Italia con quelli versati nel proprio paese». Alla luce di questa nebbia censoria che sta calando sul già asfissiante ecosistema del giornalismo italiano, la nostra missione assume un’importanza ancora più grande. Per fortuna nostra, e vostra, noi siamo “eticamente scorretti”. tuttiicriminidegliimmigrati.com 44 45 Pronta la legge bavaglio sull’informazione libera Il governo Monti sta per varare un giro di vite contro un presunto “razzismo online”(di fatto vuole limitare la libertà dei blog). Lo ha annunciato il ministro per l’Integrazione e la cooperazione internazionale, Andrea Riccardi. “ Stiamo lavorando insieme al ministro della Giustizia Severino e dell’Interno Cancellieri per dare risposte nette e chiare contro i seminatori di odio via internet”. “L’idea - ha anticipato Riccardi - è quella, a grandi linee, di utilizzare strumenti usati per combattere altri reati del web e che hanno dimostrato di essere efficaci. Ciò permetterebbe alla polizia postale di arrivare all’oscuramento dei siti razzisti e di perseguire anche il visitatore non occasionale di queste pagine vergognose”. Il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi ha ricevuto nella sede del ministero Abraham H. Foxman, direttore dell’ Anti-Defamation League. Nel corso del colloquio sono stati affrontati soprattutto i temi legati al razzismo e all’antisemitismo: «Ci sono troppe parole di odio - ha detto Riccardi - anche nella dialettica politica: un fatto che in un momento di crisi economica globale può scatenare processi violenti». Foxman si è detto molto interessato alla costituzione di un ministero che concentra le deleghe in materia di integrazione, di lotta al razzismo e di cooperazione internazionale: «E’ una novità importante, introdotta in Italia alla quale tutta l’Europa deve guardare come esempio da seguire». Analogo interesse Foxman ha espresso per la Conferenza nazionale permanente su religioni, cultura e integrazione, insediata da Riccardi nei mesi scorsi. Il ministro, infine, ha espresso a Foxman la sua preoccupazione «per la recrudescenza di fenomeni di antisemitismo e di negazionismo su Internet». Una questione, ha aggiunto, «alla quale occorre porre un freno». Ovviamente il ministro Riccardi si è ben guardato dal dire chi sarà a giudicare “opinioni o affermazioni di stampo razzista o antisemita”. A prescindere che un tale giudizio delinea già implicitamente una “dittatura del pensiero”, siamo convinti che l’eventuale “giuria” sarebbe inevitabilmente un tribunale politico, strabico e funzionale solo a far tacere le poche, pochissime, voci libere e scomode del nostro paese. Aiutiamo la comunità italiana in Crimea Il Sindacato Italiano ( SI ), che fa della difesa dell’ITALIANITA’ e della tutela delle ragioni dei lavoratori italiani la sua ragion d’essere - indipendentemente dal luogo di residenza sia esso in Italia o all’estero - avvia una campagna di sensibilizzazione e di aiuto in favore della 46 minoranza italiana vivente in Crimea ( parte della Ucraina), in particolare nella Regione di Kerc sul Mar Nero. La presenza della minoranza italiana a Kerc consta, ad oggi, di poco piu’ di 300 italiani di origine, discendenti dei sopravvissuti alla deportazione ed allo sterminio attuato in modo sistematico e criminale negli anni ’40 nella Russia comunista su ordine del dittatore STALIN. Si è trattato di un vero e proprio olocausto dimenticato volutamente da gran parte dei “media” a partire dal dopoguerra fino ai giorni nostri, che è costato la vita ald oltre quattromila italiani di origine, le cui famiglie erano emigrate dall’Italia (soprattutto dalla Puglia) alla fine dell’800 nell’allora Russia dello Zar Alessandro II. Accolti favorevolmente dal governo zarista in quanto bravi artigiani e solerti lavoratori per fra progredire economicamente la Crimea, sottratta nel frattempo all’impero Ottomano in via di dissoluzione, riuscirono a sopravvivere nel nuovo regime comunista fino al 1942. In tale anno furono deportati su carri bestiami e trasferiti, quelli rimasti vivi, nei campi di lavoro nell’Asia centrale, ove la stragran- de maggioranza perirono tra atroci ed inenarrabili sofferenze. Caduto il regime comunista, allo stato attuale, alla sparuta comunità di sopravvissuti non è stato riconosciuto loro lo status di deportati, né è stata restituita la cittadinanza italiana, da parte dell’Italia, in quanto appunto di origine italiana. Malgrado tutto ciò continuano a sentirsi pienamente italiani (forse più di tanti italiani residenti in Patria), praticando usi,costumi e lingua del territorio d’origine. Pertanto, chiedono un aiuto a quanti possono per far studiare i loro figli con delle borse di studio all’Università per stranieri (sic!) a Perugia,nonchè a costituire la Casa della Cultura Italiana nella regione di loro residenza a Kerc ( Crimea-Ucraina) ed , infine,a vincere la loro annosa battaglia per ottenere finalmente la cittadinanza italiana. Con tale campagna di soccorso in loro favore, il SINDACA- 47 TO ITALIANO intende diventare, in quanto unica forza sociale a fianco di tale comunità di origine italiana all’estero, il loro Tutor nella assistenza e nell’ottenimento delle loro ragioni umanitarie, ancora colpevolmente disattese da parte delle autorità italiane. AIUTACI AD AIUTARLI, aderendo alla campagna “SOS FRATELLI ITALIANI IN CRIMEA”. Segreteria Confederale SICEL per info: [email protected] C’era una volta Italia-Germania Cosa significasse un dì la nazionale per la Germania lo si può capire soltanto se si ha avuto la fortuna di guardare “Il miracolo di Berna”, film che registra con magistrale tocco carico di pathos come sulla traccia della vittoria mondiale del 1954 le diverse generazioni di un popolo ferito, occupato, diviso, abbiano saputo rinascere e sollevarsi con orgoglio e dignità. Un tempo qualunque giocatore indossasse la casacca bianca della squadra tedesca si trasformava in un guerriero. Un tempo noi italiani, più furbi e un po’ indolenti, tiravamo di fioretto ma poi di colpo anche di sciabola e, con orrore degli inglesi e dei francesi, arrivavamo spesso in fondo. Eravamo, gli uni e gli altri, i dominatori dell’Europa e per sette volte sul trono del mondo. E, cosa bizzarra, mai, dicasi mai, i tedeschi ci batterono in una partita 48 ufficiale. Era Italia-Germania. Il nome della rosa Anche stasera apparentemente è così, ma lo è solo nominalmente, “nel nome della rosa”, perché tutto in realtà è cambiato. Tutto è cambiato con la volontà politica mondialista imposta mediante le pay tv. Una volontà mondialista che si fonda sull’internazionalismo e sull’intercambiabilità delle nazionalità. Antiidentitaria per scelta e per calcolo; totalmente anti-identitaria. E’ dalla Francia che quest’azione politica, programmata, partì già negli anni ottanta e poi, pian piano, fu accolta più o meno da tutti. Così anche in Germania da qualche anno si è avviata la rivoluzione. In campo una serie di naturalizzati tedeschi, che vengono dal Maghreb, come dalla Turchia, dalla penisola iberica come dalla Polonia (ma visto che quest’ultima ha inglobato ampie regioni storicamente tedesche per secoli e restate tali fino all’ultima guerra, forse in quest’ultimo caso le cose stanno un po’ diversamente). Per il resto: il passaporto? Se lo vuoi te lo prendi. Magari non vale per tutti, ma di certo per i calciatori. Non è una gran novità. Quasi vent’anni fa la Gazzetta dello Sport pubblicava la lettera di un lettore che non intendeva polemizzare con Cafu, il quale per poter essere considerato comunitario aveva ottenuto a tempo di record il passaporto italiano per via di un presunto trisavolo nato nella Penisola. Perché mai però si chiedeva il lettore mia moglie, nata in Germania da ambo i genitori italiani e sposata con un italiano non ha ancora ottenuto la cittadinanza già richiesta da anni? Questi escamotages, così facili per i divi sostenuti da sponsores, stridevano e tuttora stridono con la quotidianità. “Antirazzismo”? Da allora però se n’è fatto un altro uso e sono grimaldelli. Perché Cafu, “italiano” per cavillo è pur sempre rimasto brasiliano e ha sempre giocato nel Brasile. Viceversa in Europa da qualche anno in qua è partita la campagna per fare delle nazionali non più le espressioni di una nazione ma dei collages. Nel 2006 D’Alema e la Melandri, che ci rappresentavano a Berlino quando ci laureammo campioni del mondo, si scusarono praticamente con tutti annunciando che presto anche noi avremmo avuto una selezione multiculturale e multirazziale. L’omogeneità era già diventata politicamente scorretta. E questo in nome di uno sbandierato “antirazzismo” che se approfondiamo non c’entra minimamente con tutto ciò. Anzi, dietro una parvenza ecumenica si cela, e neanche troppo bene, un enorme disprezzo. Nazione, da natio, indicava (e giuridicamente tuttora indica) la discen- 49 denza sanguinea. Che, tradotto nella norma in vigore, non significa che per appartenervi si deve essere figli di due bianchi, ma figli di almeno un genitore italiano. Oppure aver acquisito sul campo di battaglia, o con il sangue versato, una comunità di destino. Nel che, in ogni caso, si è sempre andati cauti. Pochi anni fa si spegneva in Francia un uomo nato in Italia che nel 1914 si era arruolato nell’esercito francese per combattere la Grande Guerra e che, restato colà, sposata una donna di lì, avendo avuto da ella dei figli e trascorsa la vita nel Paese transalpino, aveva ottenuto la cittadinanza francese solo dopo oltre quarant’anni. Assurdo direte voi? Per niente. “Cambiare” nazionalità non è una cosa così priva di significato, in realtà richiede più responsabilità del cambiare sesso. E inoltre “concedere” la propria nazionalità a qualcuno non è sinonimo di rispetto per lui ma al contrario sottende una presunta superiorità di qualcosa che, appunto, si concede a qualcuno che, volenti o nolenti, si considera inferiore. Dei fratelli Boateng quello più fiero e orgoglioso è di certo il milanista che, fregandosene altamente della possibilità di diventare campione con la maglia tedesca, ha rivendicato la sua identità ghanese ed ha giocato il mondiale con la sua gente. Il terzino del Bayern, che ha scelto invece di farsi tedesco, non ha fatto una gran- 50 de figura, né migliore l’hanno fatta i tedeschi accogliendolo paternalisticamente. Per antirazzismo? Ma cosa significa razzismo? Disprezzo degli altri? Se questo è il significato allora naturalizzare un Boateng, quella è stata una scelta razzista. Se il suo significato è invece la difesa delle specificità, allora il Boateng ghanese ha fatto lui una scelta razzista. E se così è stato si è trattato di un razzismo nobile e ammirevole. Razzismo e dintorni Il Camerun del 1990, il Senegal e la Turchia del 2002, il Giappone del 2006 mi hanno dettato non solo simpatia ma ho fatto anche una certa dose di tifo per loro. Razzismo? Forse. Basta che ci si metta d’accordo su quello che significa. Se significa difendere e affermare tutte le culture e tutte le diversità, allora tenere per i pellerossa e per i palestinesi, come ho sempre fatto, è razzismo. E guardare con orrore allo sradicamento globale, volto a costruire plebi prive d’identità, alla Harlem in Nike, tutte chewing gum, ketchup e “diritti delle minoranze” che ledono quelli dei popoli, chiamatelo come vi pare. Se lo volete chiamare razzismo fate pure, non mi scandalizzerò. In ogni caso che, sulla falsariga dei complessi di D’Alema e della Melandri, cavalcando l’onda dell’europeo della nostra inedita (multi) nazionale con ben tre naturalizzati su ventitré, prima Fini, poi Napolitano e infine Bersani, senza che nessuno se ne sia accorto, stiano proponendo il passaggio allo ius soli e, quindi, la retrocessione della nazione ad un agglomerato geografico che non avrebbe fatto felice neppure Metternich, è inquietante. Né ci si venga a menar il can per l’aia raccontandoci che gli immigrati onesti che lavorano da noi hanno il diritto di diventare italiani. I diritti e la nazionalità sono due cose ben distinte, tanto che a volte i primi sono addirittura maggiori per chi non ha la seconda. Si osservi piuttosto che questi immigrati onesti e lavoratori solitamente sono fieri della loro nazione, della loro cultura e della loro identità e che pretendere d’imporre loro le nostre, un po’ come se li emancipassimo, è vergognoso e imbarazzante. Questo coacervo di sottili violenze “liberatorie” è minaccioso per tutti, come lo è quasi tutto ciò che passa per progresso morale e civile. Lo è per l’Italia come per tutte le nazioni 51 che abbiano un retaggio e una radice. Non lo è certamente per quelle americane che queste trasformazioni ce le suggeriscono perché lì le nazioni sono state sterminate da tempo dagli invasori multiculturali i quali debbono sopperire artificialmente all’assenza di radici e laddove non c’è alcuna sede primigenia devono inventarsi come “terra promessa”. Una terra promessa, che si vuol fare globale, e che vuol distruggere usi, costumi, storie, leggende, miti, gusti, per approdare ad una standardizzazione senz’anima. Ed è in questo preciso processo che, ostaggi di queste politiche oligarchiche e di questa volontà pangenocida sulla quale si fonda il mondialismo, due squadre nominate Italia e Germania si affrontano stasera. Buon “nome della rosa” amici miei, e che le spine non vi facciano troppo male quando vi risveglierete dai circenses utilizzati da quelli che non solo il panem ma anche l’orientamento vogliono farvi perdere. E che, a giudicare da quanto vedo, ci stanno riuscendo perfettamente. Se ci riuscite provate pure a credere che quella di stasera sia la solita storia. L’uomo è maestro nel rappresentarsi la realtà come vuole, peccato che quest’ultima se ne freghi di come egli la infiora. Gabriele Adinolfi Centro studi Polaris