ENS
ITALIC
G
A
L A
R I V I S T A
D E G L I
I T A L I A N I
IL PREZZO
DELL’ONORE
A G O S T O
D U E M I L A D O D I C I
2
3
ENS
ITALIC
G
A
In questo numero
- Editoriale: Il prezzo dell’onore
- Caduti italiani in Afghanistan
- Strage di Nassirya
- Il conflitto siriano potrebbe degenerare in un conflitto mondiale
- Siria, ribelli finanziati da sauditi e americani
- Siria, USA contro Russia
- L’embargo contro l’Iran affonda l’Italia
- L’intervista: Piero Puschiavo
- Contro il potere della finanza mondiale. La soluzione c’è: Stato del Lavoro
- L’euro ci sta rovinando
- La truffa del fondo salva stati
- L’ascesa di Grilli nel governo Monti
- Controcorrente: Le nazioni senza immigrati vincono sulle società multietniche
- Un milione di italiani ha perso il lavoro, sostituiti da settecentomila immigrati
- Bellezza italiana
- Lo straniero di Rudyard Kipling
- Manuale della comunicazione sull’immigrazione
- Pronta la legge bavaglio sull’informazione libera
- Aiutiamo la comunità italiana in Crimea
- C’era una volta Italia-Germania
Editore: Associazione Culturale “Guglielmo Oberdan”
Anno VI – luglio/agosto 2012
Registrato presso il Tribunale di Udine, numero 1 del 10 gennaio 2007
Direttore responsabile: Stefano Salmè
In redazione: Walter Qualizza, Filippo Rocca, Daniela Perissutti, Andrea Santarossa
[email protected]
4
5
L’ editoriale
Il prezzo
dell’onore
Non avevamo fatto in tempo a goderci la soddisfazione del ritiro delle
truppe italiane in Iraq che già si profilava uno sforzo maggiore nelle tormentate terre afghane. Oggi, quando
sembra avvicinarsi il momento del
ritorno dei nostri soldati da quello
scacchiere martoriato, già si intravedono i segnali di una nuova guerra
nel mediterraneo. La crisi siriana
sarebbe già stata risolta col “metodo
Libia” dagli angloamericani se non
avessero trovato la forte resistenza
di Cina ma soprattutto della Russia,
alleato storico della Siria. Non è passato molto tempo da quando l’Italia
ha pianto il suo cinquantunesimo caduto in Afghanistan ed è ancora forte
la memoria collettiva della strage di
Nassirya, in Iraq, durante la missione
“Antica Babilonia”, che aveva unito
la Nazione come nei suoi momenti
storici più importanti. Questo sacrificio di sangue, oltre che le ingenti
risorse economiche sopportate, rappresentano quello che ho definito
“il prezzo dell’onore” che la nostra
Nazione paga per la sua missione nel
mondo. Ma pur consapevole e condividendo che una grande Nazione
come l’Italia possa e debba assumersi le sue responsabilità internazionali, sono altresì convinto che questo
sacrificio debba essere sopportato
sulla base di chiari interessi nazionali e di un’”idea italiana” del mondo.
Non sembra che le scelte fatte fin qui,
sempre allineate pedissequamente ai
voleri degli anglo-americani, possano essere facilmente attribuibili a
“interesse nazionale”. Non affermo
questo per anti-americanismo preconcetto, ma per evidenti contrasti
d’interesse nati dalla geografia, dalla
storia, oltre che dall’attualità di un
impero americano che sempre più
scarica sugli alleati europei il peso
delle proprie avventure belliche.
L’industria civile americana non è
più competitiva con quella europea,
né giapponese e anche la Cina si avvicina pericolosamente sul piano tecnologico dopo la sua crescita quantitativa. L’unico settore dove gli USA
mantengono un indiscutibile primato
è nel settore dell’industria degli armamenti, dove ancor oggi la tecnologia americana non ha rivali o quasi. L’America quindi è “condannata”
ad usare i propri mezzi militari per
mantenere il proprio primato politico, avendo perso ormai la partita sul
piano industriale ed economico con
gli altri centri del potere economico
mondiale, Europa, Cina, Giappone.
Dopo la guerra in Iraq e e le cosid-
dette primavere arabe, quasi tutto il
medio oriente è controllato direttamente o indirettamente dagli Stati
Uniti e dal maggiordomo inglese.
Solo due stati rimangono fuori da
questo controllo, Siria ed Iran.
Ecco che puntualmente, come in
Kossovo, come in Iraq, come in Libia, comincia quella “macchina del
fango” utile a preparare le opinioni
pubbliche occidentali sulla inevitabilità di un intervento “umanitario” a
suon di missili e bombe per esportare
la “democrazia” (a stelle e strisce ovviamente, perché se l’opinione pubblica eleggesse democraticamente un
partito anti-americano, apriti cielo,
elezioni da rifare o nuovo bombardamento persuasivo) in Siria.
Quello che fino a ieri era uno dei
paesi arabi più laici, più tolleranti
verso la minoranza cristiana, governato da un leader (Assad) cresciuto
a Londra e con un’educazione tipicamente occidentale, all’improvviso
viene rovesciato. La Siria diventa un
paese “terrorista”, Assad, un “dittatore sanguinario”, la guerra civile
che infiamma ha, per gli angloamericani, un solo volto buono, quello
degli oppositori al “regime”. E poco
importa che codesti nuovi “liberatori democratici” si facciano strada a
suon di attentati in “stile libanese”
cospargendo le strade delle città siriane di morti innocenti. Poco importa anche che tra questi cosiddetti
liberatori ci siano tra i più pericolosi
estremisti islamici, prova ne sia che
tutta la comunità cristiana siriana
(10% della popolazione) stia dalla
parte di Assad e del governo legittimo. Poco importa agli angloamericani che il “capitolo Siria” rappresenti
l’ennesima dimostrazione, sin dai
tempi della guerra in Kossovo, che
il principio, scritto a caratteri cubitali
nei trattati internazionali, della “non
ingerenza negli affari interni degli
stati”, valga unicamente per le grandi
potenze, quelle che ancora dopo quasi 70 anni fanno valere il loro diritto
di veto, privilegio concessogli dopo
la seconda guerra mondiale e che si
arrogano il monopolio di possedere
la bomba atomica. Appare sempre
più evidente a chi non abbia qualche
chilo di prosciutto sugli occhi, che le
cosiddette “rivoluzioni colorate”, “rivoluzioni di internet”, mai avrebbero
ottenuto lo scopo senza essere state
ampiamente foraggiate dai servizi
angloamericani attraverso l’esercito
delle ONG (Organizzazioni non governative), presenti nei diversi paesi interessati. Altro che rivoluzioni
arancioni, dei cedri o delle banane,
in realtà trattasi di una sofisticatissima strategia per esportare governi
controllati dagli angloamericani.
Questa realtà potrebbe anche essere
accettata, addirittura appoggiata, a
patto che qualcuno spieghi agli italiani, dove sia, in questo complesso
gioco internazionale, l’interesse nazionale italiano. E’ evidente che la
guerra in Libia e la guerra civile in
Siria siano elementi utili ad accer-
chiare il vero obbiettivo degli angloamericani, la repubblica dell’Iran. La
Siria infatti gode di un trattato difensivo con il regime iraniano e non è da
escludere che un’eventuale intervento in Siria possa dare il pretesto per
un escalation contro l’Iran.
L’altro obbiettivo, non dichiarato,
mascherato, del protagonismo angloamericano in Siria e il tentativo
di estromettere la Russia dal bacino del mediterraneo. Infatti l’unica
base navale della marina russa su
cui poggiare la propria presenza nel
mediterraneo è situata a Tartus, sulle
coste siriane. Sembra evidente che
un’eventuale governo filo-americano, soprattutto dopo la coraggiosa
difesa russa della pace in Siria, revocherebbe la concessione alla Russia,
lasciando la sua marina senza alcun
sostegno logistico su cui basare la
propria presenza. Fu così anche ai
tempi della guerra in Kossovo. Non
solo la Serbia fu bombardata per creare un protettorato americano nella
regione, ma fu finanziata anche la secessione del Montenegro, in modo da
togliere alla Serbia anche l’accesso al
mare e con esso impedire un’eventuale presenza russa nell’adriatico.
Qualcuno in tutto questo riesce a
intravedere l’interesse dell’Italia?
Quello che un tempo veniva chiamato “mare nostrum” trasformato in un
campo di battaglia. Il prezzo del petrolio pronto a schizzare alle stelle in
caso di guerra all’Iran (viene da rabbrividire a pensare al nuovo salasso
6
per la bolletta petrolifera italiana).
Una nuova guerra fredda contro la
Russia, da vent’anni ormai saldamente una democrazia (nonostante i
tentativi americani, attraverso le sue
false ONG, di delegittimare i governanti russi, democraticamente eletti)
che rischia di penalizzare principalmente l’Italia, debitrice verso la Russia per il suo approvvigionamento di
gas e petrolio. Non dimentichiamo
poi che da tempo la Russia rappresenta ormai uno dei migliori mercati
per le imprese italiane e un nuovo inverno nei rapporti con Mosca significherebbe una nuova gelata anche per
la nostra economia.
Pur con tutti i limiti dettati dalla nostra situazione economica, politica e
militare, l’interesse vitale dell’Italia
oggi è di riappropriarsi rapidamente
della propria sovranità. Monetaria
certamente, perché da questa discende la premessa per superare la nostra
crisi economica, ma anche politica e militare. Solo qualche sperduta candida verginella può non aver
compreso il quadro strategico che
dapprima la guerra in Iraq (costruita, non va dimenticato, ingannando
l’opinione pubblica internazionale
sulle cosiddette armi di distruzione
di massa irachene), poi la guerra in
Libia, oggi il sostegno alla guerra civile in Siria e domani un’eventuale
guerra in Iran, va costruendo.
Il medio oriente è una grande bolla
di petrolio che detiene più della metà
delle riserve petrolifere mondiali. Il
suo controllo da parte degli angloamericani e dei suoi alleati regionali
(Arabia Saudita) significherebbe
controllare l’economia mondiale.
Lo stesso gigante asiatico cinese, in
caso di crisi, privato del suo rubinetto mediorientale vedrebbe la sua economia sgonfiarsi di colpo. Lo stesso
dicasi per l’Europa. Se l’Italia vorrà
riconquistare il suo ruolo, anche economico, dovrà pretendere con forza
di partecipare insieme agli alleati ad
ogni decisione riguardante il teatro
del mediterraneo e del vicino oriente. Il mediterraneo è il “nostro” cortile di casa e non è giustificabile che
gli americani possano agire per provocare un incendio proprio alle porte
di casa nostra senza condividere con
noi, scelte e prospettive.
Il dibattito politico italiano tut-
7
to chiuso in una logica domestica,
deve aprirsi alla comprensione che,
da sempre, gli eventi bellici, i mutamenti geostrategici, hanno condizionato in modo decisivo anche la sorte
delle economie delle Nazioni. Ancor
più durevolmente delle scelte economiche e sociali che possono essere
prese all’interno degli stati.
Non vi è infatti alcun dubbio che la
crisi economica internazionale che
così duramente stiamo soffrendo, sia
nata in America anche e soprattutto
per gli squilibri economici americani
dovuti alle stratosferiche spese sostenute dagli USA nelle loro avventure
belliche degli ultimi undici anni.
L’Italia in questi undici anni ha seguito il suo alleato con lealtà e pagando
un costo di sangue ed economico tra
i maggiori. E’ giunto il tempo che
il nostro “prezzo dell’onore” riveli finalmente la sua giustificazione,
pretendendo per il nostro paese quel
rispetto e quel ruolo internazionale
che il sacrificio di sangue sopportato, esige.
Stefano Salmè
Caduti italiani
in Afghanistan
Con l’ultima tragedia sale a quota 51 il numero delle vittime italiane nel paese orientale in otto anni. Ecco chi sono i connazionali deceduti.
2004
- 3 ottobre: un mezzo su cui viaggiano 5 soldati esce di strada uccidendo il caporal maggiore Giovanni Bruno, mentre
altri quattro militari restano feriti.
2005
-3 febbraio: un velivolo civile in volo da Herat A Kabul, precipita a 60 Km sud est dalla capitale, in zona di montagna. A bordo il capitano di vascello Bruno Vianini effettivo al Comando Interforze Operazioni Forze Speciali, in servizio presso Herat.
- 11 ottobre: a causa di un incidente, perde la vita il caporal maggiore capo Michele Sanfilippo.
2006
- 5 maggio: a seguito dell’esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del contingente, perdono la vita il
capitano Manuel Fiorito e il maresciallo capo Luca Polsinelli.
- 2 luglio: il colonnello Carlo Liguori muore per un malore.
- 20 settembre: in un incidente stradale a Kabul, perde la vita il caporal maggiore Giuseppe Orlando.
- 26 settembre: a seguito dell’esplosione di un ordigno al passaggio di una pattuglia del Contingente, nel distretto di
Chahar Asyab, circa 10 km a sud di Kabul, perdono la vita il caporalmaggiore capo scelto Giorgio Langella e successivamente il caporal maggiore Vincenzo Cardella.
2007
- 24 settembre: ferito l’agente del Sismi Lorenzo D’Auria che morira’ il 4 ottobre per le ferite riportate durante la sua
liberazione dai talebani.
8
9
- 24 novembre: un kamikaze si fa saltare in aria a Pagman, a 15 chilometri a ovest di Kabul uccidendo il maresciallo
capo Daniele Paladini.
- 2 luglio: il caporal maggiore Gaetano Tuccillo muore per l’esplosione di un ordigno nel villaggio di Chagaz, 16
chilometri a ovest di Bakwa.
- 12 luglio: perde la vita il primo caporal maggiore Roberto Marchini, dell’8° Reggimento genio guastatori della
Folgore.
- 25 luglio: in seguito alle ferite riportate in uno scontro a fuoco nel villaggio di Khame Mullawi muore il caporalmaggiore Davide Tobini.
- 23 settembre: il tenente Riccardo Bucci, 34 anni, in servizio presso il Reggimento Lagunari Serenissima di Venezia, il caporal maggiore scelto Mario Frasca, 32 anni, in servizio presso il quartier generale del Comando delle Forze
operative terrestri di Verona e il caporal maggiore Massimo Di Legge, 28 anni, in servizio presso il Raggruppamento
logistico centrale di Roma, perdono la vita in un incidente stradale nei pressi di Herat.
2008
- 13 febbraio: in un attentato nella valle di Uzeebin, a 60 km da Kabul, muore il maresciallo Giovanni Pezzulo e rimane ferito il maresciallo Enrico Mercuri.
- 21 settembre: a causa di un malore, muore a Herat il caporal maggiore Alessandro Caroppo, dell’Ottavo Reggimento Bersaglieri di Caserta.
2009
- 15 gennaio: muore Arnaldo Forcucci, maresciallo dell’Aeronautica, per arresto cardiocircolatorio.
- 14 luglio: a 50 km da Farah, un attentato costa la vita al caporalmaggiore Alessandro Di Lisio.
- 17 settembre: un attentato suicida nella capitale provoca la morte di sei paracadutisti della Folgore, Antonio Fortunato, Matteo Mureddu, Davide Ricchiuto, Massimiliano Randino, Roberto Valente e Gian Domenico Pistonami.
- 15 ottobre: in uno spostamento notturno da Herat a Shindad, si ribalta un Lince, uccidendo il caporal maggiore
Rosario Ponziano.
2010
- 26 febbraio: un funzionario dell’Agenzia di informazione e sicurezza esterna (Aise, ex Sismi), Pietro Antonio Colazzo, viene ucciso nel corso di un attentato suicida a Kabul.
- 17 maggio: un veicolo blindato salta in aria su un ordigno uccidendo il sergente Massimilano Ramadù e il caporal
maggiore Luigi Pascazio.
- 23 giugno: il caporal maggiore Francesco Saverio Positano perde la vita a Shindad per un forte trauma cranico.
- 25 luglio: il capitano dei carabinieri Marco Callegaro muore a Kabul, probabilmente suicida, con un colpo d’arma
da fuoco.
- 28 luglio: l’esplosione di un ordigno improvvisato (Ied) provoca la morte di due specialisti del Genio, Mauro Gigli
e Pierdavide De Cillis.
- 17 settembre: nella provincia di Farah in un attentato muore l’incursore Alessandro Romani.
- 9 ottobre: l’esplosione di un ordigno al passaggio di un convoglio provoca la morte di 4 caporal maggiori degli
alpini, Sebastiano Ville, Gianmarco Manca, Marco Pedone e Francesco Vannozzi.
- 31 dicembre: il caporal maggiore Matteo Miotto rimane ucciso per il colpo di un cecchino nell’avamposto Snow
nella valle del Gullistan.
2011
- 18 gennaio: il caporal maggiore Luca Sanna perde la vita nell’avamposto di Bala Murghab, nell’ovest del Paese.
- 28 febbraio: l’esplosione di un ordigno nei pressi di Shindad provoca la morte del tenente Massimo Ranzani.
- 4 giugno 2011: il tenente colonnello dei carabinieri, Cristiano Congiu, intervenuto per difendere una donna americana, è ucciso in una località della valle del Panshir.
2012
- 13 gennaio: un malore uccide il tenente colonnello Giovanni Gallo.
- 20 febbraio: il caporal maggiore capo Francesco Currò, il Primo caporal maggiore Francesco Paolo Messineo e il
Primo caporal maggiore Luca Valente muoiono in un incidente stradale nei pressi di Shinbad.
-24 marzo: un attacco a colpi di mortaio contro la Fob (Forward Operative Base) ‘Ice’ in Gulistan, nel settore Sud-Est
dell’area di responsabilità italiana, assegnata alla Task Force South-East, uccide il sergente Michele Silvestri, 33 anni,
del 21° Reggimento Genio Guastatori di Caserta. Altri quattro commilitoni sono feriti.
-25 giugno: il carabiniere del nucleo addestrativo della polizia afghana, Manuele Braj, 30 anni, di Collepasso (provincia di Lecce), effettivo al 13° Reggimento «Friuli-Venezia Giulia», muore ad Adraskan (ad ovest di Kabul) per
l’esplosione di un razzo. Feriti alle gambe il maresciallo capo Dario Cristinelli, 37 anni, di Lovere (Bergamo) e il
carabiniere scelto Emilano Asta, 29, di Alcamo (Trapani).
La strage di Nassirya
Operazione Antica Babilonia, Iraq Stemma dell’Arma dei carabinieri
12 novembre, “Strage di Nassiriya”
Cadono in un attentato suicida eseguito con un camion bomba che provoca 28 morti, 19 italiani di cui 2 civili, e
9 iracheni. I militari italiani sono:
Arma dei Carabinieri
Massimiliano Bruno, maresciallo capo;
Giuseppe Coletta, vice brigadiere;
Giovanni Cavallaro, maresciallo aiutante s.ups;
Andrea Filippa, appuntato scelto;
Enzo Fregosi, primo maresciallo luogotenente;
Daniele Ghione, maresciallo;
Ivan Ghitti, vice brigadiere;
Domenico Intravaia, appuntato;
Horatio Majorana, carabiniere scelto;
Filippo Merlino, maresciallo;
Alfio Ragazzi, maresciallo capo;
Alfonso Trincone, maresciallo aiutante s.ups.
Esercito italiano
Alessandro Carrisi, caporale;
Emanuele Ferraro, caporale maggiore capo;
Massimo Ficuciello, tenente;
Silvio Olla, maresciallo;
Pietro Petrucci, caporale.
Il conflitto siriano
potrebbe degenerare in
un conflitto mondiale
10
La crisi siriana ha cambiato natura. Il processo di destabilizzazione
che avrebbe dovuto spianare la strada ad un’azione militare
dell’Alleanza Atlantica è fallito.
Togliendosi la maschera, gli Stati
Uniti hanno pubblicamente indicato la possibilità di attaccare la
Siria senza l’approvazione del Consiglio di Sicurezza, come hanno
fatto in Kosovo, facendo finta
d’ignorare che la Russia di Vladimir
Putin non è quella di Boris Eltsin. Dopo essersi assicurato il
sostegno cinese, Mosca ha sparato due colpi di avvertimento in
direzione di Washington. La conti-
nuazione delle violazioni del diritto
internazionale da parte della NATO
e del GCC, può ora aprire un
conflitto mondiale.
Durante la celebrazione della vittoria, il 9 maggio il presidente
Vladimir Putin ha sottolineato la
necessità per la Russia di essere
pronta a un nuovo sacrificio. Il presidente Vladimir Putin ha messo il
suo terzo mandato sotto il segno
della sovranità del suo paese contro
le minacce lanciate direttamente
contro la Federazione Russa dagli
Stati Uniti e dalla NATO. Mosca ha ripetutamente condannato
l’espansione della NATO, le basi
militari sulle sue frontiere e lo
schieramento della difesa antimissile, la distruzione della Libia e la
destabilizzazione
della
Siria.
Nei giorni successivi alla sua investitura, Putin ha passato in
rivista l’industria militare russa, le sue forze armate e il suo
sistema di alleanze. Ha continuato questa mobilitazione con la
scelta di fare della Siria la linea rossa da non oltrepassare. Per
lui, l’invasione della Libia da parte della NATO è paragonabile a
quella della Cecoslovacchia da parte del Terzo Reich, e quello della
Siria, se ciò dovesse accadere, sa-
11
rebbe paragonabile a quella della
Polonia che scatenò la seconda
guerra
mondiale.
Qualsiasi interpretazione di quanto sta accadendo nel Levante, in
termini di rivoluzione/repressione interna siriana, non è solo falsa,
ma impallidisce di fronte ai problemi reali e svela una mera
comunicazione politica. La crisi siriana è soprattutto un palcoscenico
del “rimodellamento del grande Medio Oriente”, un altro tentativo di
distruggere l’”Asse della Resistenza”, e la prima guerra della
“geopolitica del gas” . La posta in gioco oggi in Siria, non è se
Bashar al-Assad riesca a democratizzare le istituzioni da lui
ereditate o se le monarchie del Golfo wahhabite riescano a distruggere
l’ultimo regime laico nella regione
e a imporre il loro bigottismo; ma
quali frontiere separeranno i nuovi
blocchi, la NATO (Organizzazione
del Trattato Nord Atlantico) e
la SCO (Shanghai Cooperation
Organization) .
Alcuni dei nostri lettori probabilmente hanno sussultato alla lettura
della frase precedente. Infatti, da
mesi, i media occidentali e del
Golfo martellano tutti i giorni
sul fatto che il presidente Assad
rappresenta una dittatura settaria
a favore della minoranza alawita,
mentre la sua opposizione armata incarna la democrazia pluralista.
Uno sguardo sugli eventi è suf-
ficiente per screditare questo
travisamento. Bachar al-Assad ha
indetto in successione le elezioni
comunali, un referendum e le
elezioni parlamentari. Tutti gli
osservatori concordano sul fatto che le elezioni si sono svolte in
modo sincero. La partecipazione
popolare ha raggiunto oltre il 60%,
anche se gli occidentali l’hanno descritta come una “farsa”, e
l’opposizione armata che sostengono ha impedito ai cittadini di andare
alle urne nei quattro distretti sotto il loro controllo. Nel
frattempo, l’opposizione armata ha
aumentato le sue azioni non solo
contro le forze di sicurezza, ma
contro i civili e tutti i simboli
multi-culturali
e
multi-confessionali. Hanno ucciso sunniti
progressisti, poi hanno ucciso a
caso alawiti e cristiani per forzare
le loro famiglie a fuggire. Hanno bruciato più di 1500 scuole e
chiese. Hanno proclamato l’effimero Emirato islamico indipendente di
Bab Amr, dove hanno stabilito un
tribunale rivoluzionario che ha
condannato a morte più di 150 miscredenti, macellati uno per uno dal
loro boia. E questo non è lo spettacolo pietoso di alcuni politici
disonesti riunitisi nel Consiglio nazionale siriano in esilio,
mostrando un progetto democratico
di facciata estraneo alla realtà sul
terreno dei crimini dell’esercito libero “siriano”, che da molto tempo
nascondeva la verità. Inoltre, chi
può credere che il regime laico
siriano, di cui l’esemplarità era celebre non molto tempo fa, sarebbe
diventato una dittatura religiosa,
mentre l’esercito libero “siriano”,
supportato dalle dittature wahhabite del Golfo e prono alle
ingiunzioni dei predicatori takfiriti, sarebbe divenuto un esempio di
pluralismo
democratico?
L’evocazione da parte dei funzionari degli Stati Uniti di un possibile
intervento internazionale al di fuori del mandato delle Nazioni Unite,
il modo con cui la NATO aveva smembrato la Jugoslavia, ha provocato
rabbia e preoccupazione a Mosca.
La Federazione Russa, che finora era
in una posizione difensiva, ha deciso di prendere l’iniziativa. Questo
cambiamento strategico è causato
dall’urgenza della prospettiva russa,
e dall’evoluzione favorevole sul terreno in Siria.
Mosca ha proposto di istituire un
Gruppo di contatto sulla Siria per
riunire tutti gli Stati interessati, vale a dire gli Stati vicini, le
potenze regionali e internazionali. Si tratta di sostituire con un
forum per il dialogo l’attuale dispositivo belligerante creato dagli
occidentali con il termine orwelliano di “Conferenza degli Amici della
Siria”.
La Russia continua a sostenere il
Piano Annan, che in realtà è solo il
recupero appena modificato del pia-
12
no presentato da Sergej Lavrov alla
Lega Araba. Si rammarica del fatto
che questo piano non sia applicato,
ma respinge la colpa sulle fazioni
dell’opposizione che hanno preso le
armi. Secondo A. K. Lukashevich,
portavoce del ministero degli esteri,
l’esercito libero “siriano” è un’organizzazione illegale secondo il
diritto internazionale. Anche se assassina ogni giorno dai 20 ai 30
soldati siriani, è pubblicamente sostenuto dagli Stati della NATO e
del GCC, in violazione del Piano Annan.
Posando come fautore della pace di
fronte a una NATO guerrafondaia,
Vladimir Putin ha chiesto alla CSTO
di preparare lo schieramento dei
“colbacchi blu” in Siria, sia per
separare i belligeranti siriani che
per combattere le forze straniere. Nikolaj Bordjuzha, segretario
generale della CSTO, ha confermato che dispone di 20.000 uomini
addestrati per questo tipo di missione e sono immediatamente
disponibili.
Questa sarebbe la prima volta che il
CSTO dispiegherebbe una forza di
pace al di fuori dello spazio
ex sovietico. Punto sul vivo, il
segretario generale dell’ONU Ban
Ki-moon ha cercato di sabotare questa
iniziativa offrendosi improvvisamente di organizzare lui stesso un
gruppo di contatto.
Alla riunione a Washington del grup-
po di lavoro sulle sanzioni della
Conferenza degli Amici della Siria, la segretaria di stato degli USA
Hillary Clinton ha ignorato la
proposta russa e ha inasprito il
sostegno al cambiamento di regime [7].
In Turchia, i parlamentari dell’opposizione hanno visitato i campi dei
profughi siriani. Non hanno trovato più di mille rifugiati registrati
dalle Nazioni Unite nel campo principale, ma al contrario, la presenza
di un arsenale nel campo. Hanno poi
interrogato all’Assemblea il primo
ministro Recep Tayyip Erdogan chiedendogli di rivelare la quantità di
aiuti umanitari accordati ai fantomatici rifugiati. I deputati
ritengono che il campo profughi sia
una copertura per una operazione
militare segreta. Ospita in realtà
dei combattenti, per lo più libici,
che lo usano come base arretrata. I deputati hanno suggerito che
questi combattenti sono coloro che
hanno fatto irruzione nella zona,
quando il massacro di Hula ha avuto
luogo.
Queste informazioni confermano le
accuse dell’ambasciatore russo al
Consiglio di Sicurezza, Vitalij Churkin, secondo cui il rappresentante
speciale di Ban Ki-moon in Libia,
Ian Martin, ha utilizzato i mezzi
delle Nazioni Unite destinati ai rifugiati, per inviare in Turchia i
combattenti di al-Qaida .
In Arabia Saudita, la frattura tra
re Abdullah e il clan Sudeiri si è
di nuovo manifestata. Su invito
di Abdullah I, il Consiglio degli
Ulema ha emesso una fatwa dichiarando che la Siria non è terra di
jihad. Ma al tempo stesso, il principe Faisal, ministro degli esteri,
ha chiesto di armare l’opposizione contro l’”usurpatore alawita”.
Mentre Ban Ki-moon e Navi Pillay,
rispettivamente segretario generale
e alto commissario per i diritti umani, indirizzavano la loro
requisitoria contro la Siria davanti l’Assemblea generale dell’ONU,
Mosca ha lanciato due missili balistici intercontinentali.
Il missile Bulava prende il nome
dall’antica
mazza
slava
del
maresciallo delle armate cosacche.
Il colonnello Vadim Koval, portavoce della RSVN, ha ammesso il test di
lancio di un Topol, lanciato da un
Siria, ribelli finanziati da
sauditi e americani
13
silo nei pressi del Mar Caspio, ma
non ha confermato quello del Bulava lanciato da un sottomarino nel
Mediterraneo. Tuttavia, il lancio
è stato osservato in tutto il Medio
Oriente, da Israele all’Armenia,
e non ci sono altre armi note che
potrebbe lasciare simili tracce nel
cielo.
Il messaggio è chiaro: Mosca è pronta alla guerra mondiale se la NATO
e il GCC non ottempereranno
agli obblighi internazionali, come
definito dal Piano Annan, e continuano ad alimentare il terrorismo.
Secondo quanto riferito, questo colpo di avvertimento è stato
coordinato con le autorità siriane. Mosca sollecitava Damasco a
liquidare l’Emirato islamico di Bab
Amr, subito dopo che la leadership
del presidente al-Assad era stata confermata dal referendum
costituzionale, e incoraggiato il
Presidente a liquidare i gruppi dei
mercenari nel paese non appena il
nuovo Parlamento e il nuovo Primo
ministro saranno insediati. È stato dato l’ordine di passare da un
atteggiamento difensivo ad un’azione offensiva per proteggere il
popolo dal terrorismo. L’esercito nazionale ha pertanto avviato
l’attacco contro i bastioni dell’esercito libero “siriano”. La lotta
nei prossimi giorni sarà difficile, soprattutto perché i mercenari
hanno mortai, missili anticarro e ora
missili terra-aria.
Per abbassare la tensione, la Francia ha immediatamente accettato la
proposta russa per la partecipazione ad un gruppo di contatto ad hoc.
Washington ha inviato d’urgenza
Frederic C. Hof a Mosca.
Contraddicendo le dichiarazioni fatte ieri dalla segretaria di stato
Hillary Clinton, il signor Hof
ha a sua volta accettato l’invito
russo.
Non c’è tempo per lamentarsi
dell’estensione dei combattimenti in
Libano, né di sproloquiare su una
possibile regionalizzazione del
conflitto. Dopo che per 16 mesi hanno destabilizzato la Siria, la NATO
e il GCC hanno creato una situazione di stallo che ora può degenerare
in una guerra mondiale.
Thierry Meyssan - Aurorasito
Un recente articolo del Washington
Post ha rivelato come nell’ultimo periodo i “ribelli” armati in Siria stiano
ricevendo massicce forniture di armi
dall’estero, in gran parte grazie agli
sforzi dei paesi del Golfo Persico e
sotto il “coordinamento”di Washington. La notizia conferma le intenzioni
di questi governi di voler far precipitare la situazione nel paese mediorientale, alimentando le violenze e lo
scontro con il regime di Assad, nonostante sia tuttora in corso la missione
ONU promossa da Kofi Annan per
cercare di trovare una soluzione pacifica ad un conflitto che si trascina
ormai da oltre un anno.
Ufficialmente, gli Stati Uniti provvedono alla fornitura soltanto di
“materiale non letale” all’opposi-
14
zione siriana ma, di fatto, facilitano
il trasferimento di armi appoggiando l’impegno in questo senso delle monarchie assolute del Golfo, le
quali, come Washington, auspicano
un cambio di regime a Damasco per
infliggere un colpo mortale all’Iran.
Nonostante il presunto atteggiamento cauto degli americani, scrive il
Washington Post citando anonimi
funzionari del Dipartimento di Stato, l’amministrazione Obama sta
comunque intensificando i contatti
con i ribelli armati, per cercare di
promuovere l’unità delle fazioni che
ne fanno parte e per coordinare le
iniziative contro le forze di sicurezza
del regime.
Questo impegno viene puntualmente descritto come inevitabile per il
governo americano, dal momento
che la situazione in Siria continua a
precipitare a causa della repressione
senza scrupoli di Assad, lasciando
ben poche speranze ad una soluzione negoziata della crisi. In realtà, la
situazione sta precipitando anche e
soprattutto a causa dell’atteggiamento degli USA e dei loro alleati nel
mondo arabo che, come dimostra la
massiccia fornitura di equipaggiamenti militari, cercano di alimentare
il caos nel paese per giustificare una
qualche forma di intervento esterno.
Secondo il Washington Post, mentre i
ribelli fino a un paio di mesi fa erano
a corto di armi, ora il materiale bellico abbonda nei depositi di Damasco,
Idlib e Zintan, queste ultime due lo-
calità al confine rispettivamente con
Turchia e Libano, da dove transitano
principalmente le forniture dirette
all’opposizione.
Il nuovo flusso di armi verso la Siria
sarebbe la conseguenza della decisione presa recentemente da paesi come
Arabia Saudita e Qatar di sborsare
centinaia di milioni di dollari per finanziare le operazioni anti-Assad nel
paese. Il denaro proveniente dal Golfo finisce soprattutto per beneficiare
quelle fazioni che avanzano l’agenda
delle monarchie sunnite, a cominciare dai Fratelli Musulmani che, proprio grazie a questi appoggi esterni,
si sono assicurati una posizione di
spicco all’interno della struttura organizzativa dell’opposizione siriana.
L’importanza del ruolo giocato comunque dagli Stati Uniti è confermata dagli stessi esponenti dell’opposizione, i quali hanno rivelato di essere
in contatto diretto con il Dipartimento di Stato americano per indicare a
quali gruppi debbano essere indirizzate le forniture di armi.
Dopo le ritirate nei mesi scorsi da
località propagandate come simbolo
della resistenza dai media occidentali, come il quartiere di Baba Amr
a Homs, i ribelli si ritrovano dunque
ora sufficientemente equipaggiati
per riprende l’avanzata e mettere in
atto azioni sempre più spregiudicate.
Un’evoluzione che, come dimostrano gli episodi sanguinosi di questi
giorni, minaccia di aggravare la crisi, spingendo la Siria verso la guerra
15
civile.
Ad aumentare le tensioni è stata inoltre l’altro giorno la diffusione della
notizia, riportata da alcuni media russi, che gruppi di militanti anti-Assad
sarebbero stati inviati in Kosovo per
ricevere addestramento sulle tattiche
di guerriglia. La rivelazione ha suscitato l’immediata condanna da parte
del Cremlino, da dove da tempo già
si punta il dito contro i governi occidentali, accusati di fomentare le
violenze in Siria e di essersi schierati
apertamente con l’opposizione per
rovesciare il regime alleato di Mosca.
Lo stesso articolo del Washington
Post ha infine evidenziato un’altra
iniziativa degli Stati Uniti che potrebbe aumentare il caos in Siria nonostante l’appoggio formale al piano
di pace di Kofi Annan. Esponenti
dell’amministrazione Obama avrebbero cioè incontrato questa settimana una delegazione della minoranza
curda siriana, finora rimasta in gran
parte neutrale nel conflitto per il timore di finire nuovamente emarginata in un eventuale futuro regime a
maggioranza sunnita.
Durante il meeting, gli americani,
con ogni probabilità promettendo
in cambio qualche concessione dal
prossimo regime, avrebbero cercato
di convincere i leader curdi in Siria
a schierarsi apertamente contro Assad e ad aprire un secondo fronte nel
paese per contribuire al logoramento
delle forze di sicurezza di Damasco.
Com’è ovvio, l’allargamento del
conflitto porterebbe a nuove violenze
in aree del paese fino ad oggi relativamente risparmiate dalle ostilità.
In uno scenario nel quale la possibilità di un intervento armato esterno
appare ancora lontana, a causa della
ferma opposizione di Russia e Cina
nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU,
il rafforzamento delle opposizioni armate appare per gli USA e i loro alleati la soluzione migliore per giungere al cambio di regime a Damasco,
anche se il Pentagono ha da tempo
preparato i piani per un’ipotetica
azione militare in Siria.
I presunti rappresentanti dei ribelli che operano sul campo, intanto,
martedì hanno proceduto ad estendere per altri tre mesi il mandato alla
guida del Consiglio Nazionale Siriano (CNS) di Burhan Ghalioun. La
decisione, presa durante un incontro
a Roma, ha provocato le polemiche
di molti membri del CNS, poiché in
precedenza era stata stabilita una rotazione alla presidenza del comitato
esecutivo del gruppo, mentre Ghalioun si trova ora ad iniziare il suo
terzo mandato.
Il CNS è d’altra parte attraversato da
profonde divisioni tra le varie fazioni
che lo compongono, sintomo principale della sua sostanziale impopolarità tra la grande maggioranza della
popolazione siriana che vorrebbe
rappresentare.
Nonostante
riceva
l’appoggio
incondizionato e i massicci finanziamenti
dell’Occidente e dei
paesi del Golfo e trovi quotidianamente
nei media mainstream un’ampia cassa
di risonanza, il CNS
continua a distinguersi per la mancanza di coordinamento
tra i propri membri,
la struttura rigida e
anti-democratica ed è esposto all’eccessiva influenza dei Fratelli Musulmani a discapito delle fazioni secolari. Molti dissidenti hanno perciò
abbandonato in polemica il CNS sia
prima che dopo la discussa rielezione di Ghalioun.
A testimoniare dello stato in cui si
trova l’organo su cui punta Washington per assicurare una transizione
verso un nuovo regime a Damasco
meglio disposto verso i propri interessi ha contribuito il parere espresso qualche giorno fa al Wall Street
Journal dal veterano dissidente siriano Fawaz Tello. Quest’ultimo, dopo
aver lasciato recentemente la Siria
proprio per collaborare con i vertici
del CNS a Parigi e a Istanbul, ha definito il Consiglio stesso un cadavere
che l’intera comunità internazionale
sta cercando disperatamente di resuscitare.
Altrenotizie
16
Siria: U.S.A.
contro Russia
Con l’aggravarsi del conflitto in Siria
e il sempre più probabile fallimento del piano diplomatico promosso
dall’ex Segretario Generale delle
Nazioni Unite, Kofi Annan, gli Stati
Uniti e i loro alleati in Europa e nel
modo arabo stanno moltiplicando gli
sforzi per giungere ad un intervento
17
armato esterno che porti alla rimozione del presidente Bashar al-Assad.
Negli ultimi giorni, i toni da Washington hanno fatto segnare un ulteriore innalzamento soprattutto contro il principale alleato di Damasco,
la Russia, mentre continuano parallelamente ad emergere resoconti su
alcuni dei più recenti episodi di violenza che smentiscono le ricostruzioni dell’opposizione al regime, quasi
sempre accettate integralmente dai
media e dai governi occidentali.
Fallito il tentativo di convincere Mosca ad appoggiare un piano di transizione pacifica in Siria, gli USA sembrano tornati in fretta ad affrontare
a muso duro la Russia, accusando
il Cremlino di essere il principale
ostacolo ad una risoluzione del conflitto nel paese mediorientale. Infatti,
martedì il Segretario di Stato, Hillary
Clinton, parlando al fianco del presidente israeliano Shimon Peres presso
la Brookings Institution di Washington, ha accusato la Russia di rifornire
il regime di Assad con elicotteri da
combattimento che verrebbero utilizzati per la repressione della rivolta.
La Clinton ha sostenuto di aver sollevato la questione delle forniture militari con il governo russo, il
quale però avrebbe risposto che gli
equipaggiamenti spediti a Damasco
non vengono impiegati nel conflitto interno. Quest’ultima posizione
di Mosca era stata espressa qualche
giorno fa direttamente dal presidente
Putin durante la sua visita a Berlino,
ma per il capo della diplomazia USA
sarebbe sfacciatamente falsa.
Le forniture di armi dalla Russia alla
Siria avvengono peraltro in conformità di contratti già sottoscritti e
dunque perfettamente legali. Come
ha affermato il numero due della
compagnia russa pubblica produttrice di armi, Rosoboronexport, citato
dall’agenzia di stampa RIA Novosti
martedì a Parigi, nessuno può accusare la Russia di violare le regole sul
commercio di armamenti fissate dalla comunità internazionale.
Le accuse rivolte dagli Stati Uniti a
Mosca vengono puntualmente amplificate dai media che a loro volta sottolineano come la vendita di
armi, ancorché legale, contribuisca
ad inasprire il clima internazionale,
rendendo più complicata una risoluzione diplomatica della crisi siriana.
Ciò che invece Hillary Clinton non
ha detto è che, se anche gli elicotteri
da combattimento di fabbricazione
russa vengono impiegati dalle forze
di sicurezza di Assad, segnando così
un’escalation nell’uso della forza da
parte del regime, ciò avviene in conseguenza dell’aumentata aggressività delle opposizioni armate.
I gruppi ribelli hanno infatti potuto
espandere notevolmente le proprie
azioni nell’ultimo periodo proprio
grazie a massicce forniture di armi,
a cominciare da potenti missili anticarro, provenienti in gran parte dalla
Turchia e grazie all’appoggio finanziario di Arabia Saudita e Qatar con
la supervisione di Washington. La
Turchia continua in realtà ad affermare di limitarsi a fornire solo aiuti
umanitari ai ribelli siriani.
Tuttavia, come confermano svariate
testimonianze, Ankara fornisce da
tempo armi e addestramento a gruppi come il Libero Esercito della Siria e rappresenta una delle voci più
critiche nei confronti di Damasco.
Questo genere di forniture militari,
in ogni caso, non disturbano il Segretario di Stato americano, anche
se sono di fatto il principale motivo
del deterioramento della situazione
in Siria.
L’aggravamento del conflitto è stato
certificato in qualche modo anche
dall’ONU proprio l’altro giorno,
quando il responsabile delle operazioni di peacekeeping, Hervé Ladsous, ha definito ciò che accade in
Siria come una vera e propria guerra
civile. Membri dell’amministrazione
Obama e i funzionari dell’ONU condividono ormai la tesi di una guerra di
natura settaria tra la minoranza alauita (sciita) filo-Assad e l’opposizione
sunnita. Tale scenario contraddice
perciò la caratterizzazione proposta
dai media e dai governi occidentali,
secondo i quali quello in corso nel
paese sarebbe uno scontro tra un regime dittatoriale e un’opposizione
che si batte per la democrazia.
Con inquietanti affinità con l’Iraq
del dopo Saddam Hussein e, come
ha significativamente messo in luce
qualche giorno fa il segretario ge-
nerale della NATO, Anders Fogh
Rasmussen, con il conflitto nella ex
Yugoslavia, in Siria l’occidente sta
infiammando lo scontro settario per
i propri obiettivi strategici, cioè per
gettare il paese nel caos e favorire un
intervento armato che metta fine al
regime di Assad.
Che la situazione sul campo in Siria sia più complessa di quanto non
traspaia dalle versioni ufficiali è stato confermato anche da un reportage da Damasco di Rainer Hermann
del giornale tedesco conservatore
Frankfurter Allgemeine apparso il 7
giugno scorso (Abermals Massaker
in Syrien). L’articolo è un’indagine
sulle responsabilità del massacro di
Houla, nel quale il 25 maggio sono
stati uccisi più di cento civili, tra cui
decine di donne e bambini, e che ha
scatenato l’indignazione della comunità internazionale.
Al contrario di quanto affermato dai
governi occidentali che, pur senza
prove evidenti, avevano attribuito
la responsabilità dell’accaduto interamente al regime o alle milizie
Shabiha ad esso affiliate, l’investigazione del reporter del Frankfurter
Allgemeine, basata su interviste con
testimoni oculari, conferma in sostanza la tesi di Assad e cioè che la
strage sarebbe stata commessa dai
ribelli armati.
Il massacro sarebbe avvenuto in seguito ad un violento scontro a fuoco dopo un attacco di un gruppo
di opposizione contro postazioni
18
dell’esercito regolare appena fuori la
città di Houla, a maggioranza sunnita, impiegato per proteggere alcuni
villaggi popolati da sciiti. Secondo
il giornalista tedesco, in questo scenario decine di civili di fede sciita e
altri recentemente convertiti e ritenuti collaboratori del regime sarebbero
stati sterminati dai ribelli sunniti.
Subito dopo i fatti, gli autori della
strage hanno postato sul web filmati
delle vittime, indicate come civili di
fede sunnita, producendo una valanga di condanne contro Assad in tutto
il mondo. Con perfetto tempismo, le
violenze di Houla hanno preceduto di
poche ore la già programmata visita
di Kofi Annan a Damasco, rendendo ancora più complicati i negoziati
per l’implementazione del piano di
pace.
Le modalità del massacro, eseguito
con sgozzamenti e colpi di arma da
fuoco da distanza ravvicinata, coincidono inoltre con quanto riportato
precedentemente da un altro giornale tedesco, Der Spiegel, il quale
lo scorso marzo aveva pubblicato
un’indagine sugli abusi commessi
dai membri del Libero Esercito della
Siria ai danni di presunte spie del regime e soldati catturati
Il reportage del Frankfurter Allgemeine non è stato praticamente citato dai principali media occidentali,
pronti invece a ripetere senza alcun
riscontro il quotidiano bilancio delle
vittime della repressione del regime
riportato dai gruppi di opposizione
di stanza all’estero e finanziati dalle
monarchie assolute del Golfo Persico, come il londinese Osservatorio
Siriano per i Diritti Umani.
Se dovesse corrispondere al vero,
quanto scritto dal giornale tedesco
solleverebbe dunque preoccupanti
interrogativi sulle responsabilità degli Stati Uniti e dei loro alleati nei
fatti che hanno gettato la Siria nel
caos, dal momento che, come conferma il sostegno garantito in termini economici, di armamenti e di
addestramento, questi governi sono
infatti, con ogni probabilità, perfettamente a conoscenza delle operazioni
condotte dai ribelli nel conflitto contro il regime di Bashar al-Assad.
Altrenotizie
19
L’embargo contro l’Iran
affonda l’Italia
L’intervista:
Piero Puschiavo
Piero Puschiavo, Presidente Associazione Progetto Nazionale.
Piero Puschiavo è un imprenditore vicentino di 46 anni che opera nel settore ambientale e dell’arredamento. La sua attività politica comincia nella metà degli anni ottanta, benché in forma extraparlamentare ma vicina all’allora Movimento Sociale Italiano, con una forte campagna di sensibilizzazione del problema immigrazione. Forte oppositore della moneta unica, l’€uro, sin dalla sua nascita, tra i suoi scritti
anche un volume intitolato “Dai Gangsters ai Banksters”che anticipava in tempi non sospetti tutte le truffe finanziarie che si sono susseguite nell’ultimo periodo
in Italia. Dal caso Fazio alla Cirio, Parmalat, Bagaglino, Unipol, ecc. Nel 2006 è stato membro del Comitato Centrale del Movimento Sociale Fiamma Tricolore
per poi conseguire gli incarichi di Coordinatore Regionale del Veneto e componente della Segreteria Nazionale. Nel maggio 2010 a Vicenza, viene ufficialmente
presentato il laboratorio politico Progetto Nazionale Fiamma Futura di cui lo stesso Puschiavo assume la presidenza. Successivamente Puschiavo ha aderito al
partito La Destra di Francesco Storace, che lo ha nominato componente dell’esecutivo nazionale, incarico che ricopre tutt’ora.
L’embargo occidentale sul petrolio
iraniano fa pagare anche all’Italia
un caro prezzo. Le sanzioni anti-iraniane impongono a Roma di reperire
altrove quel 13,4 per cento d’importazioni petrolifere da Teheran. Il costo dell’operazione non è poca roba
perche’ quel 13,4% è, quantitativamente, assai più consistente, del 30%
della Grecia o del 15% di Spagna, i
due Paesi che precedono l’Italia nelle importazioni europee di greggio
iraniano. I primi a saperlo sono i 400
dipendenti della raffineria Api di Falconara Marittima destinati alla cassa integrazione per la chiusura degli impianti. L’Api - uno dei grandi
clienti del petrolio iraniano assieme
a Erg, Saras e Ies di Mantova - oltre a dover spendere molto di più per
rifornirsi deve anche adeguare una
raffineria strutturata per la lavorazione del particolare tipo di petrolio bituminoso estratto dai
pozzi iraniani. Da un
punto di vista geopolitico, geo-energetico
e geo-economico, il
piano anti-iraniano
imposto dall’amministrazione Obama
all’Europa è anche
più perfido. L’America che chiede agli
europei di rinunciare
al petrolio iraniano
ed alza il livello dello
scontro con Teheran è
infatti un’America pronta ormai ad
affrontare senza danni un blocco di
Hormuz. Le nuove tecnologie di trivellazioni e le scoperte di giacimenti
petroliferi tra l’Alaska e la Patagonia hanno permesso a Washington
di ridurre al 22 per cento la quota di
greggio importata dall’Arabia Saudita e da altri cinque Paesi mediorientali. Grazie ad un contenimento dei
consumi d’energia e alle nuove tecniche di fratturazione idraulica che
permettono lo sfruttamento di pozzi un tempo inaccessibili in Alaska,
Texas e Nord Dakota, gli Usa hanno ridotto la dipendenza dal greggio
straniero dal 60% del 2005 al 45%
del 2011. Cosi mentre Europa ed Italia affondano, l’America di Obama si
prepara a vendere il suo petrolio agli
europei.
D. Sig. Piero Puschiavo, dopo essere stato per alcuni anni un dirigente nazionale della Fiamma Tricolore, ha fondato un movimento di cui è presidente, Progetto Nazionale. Cosa si propone?
R. Di fatto non ho fondato nulla di nuovo, ho solo concretizzato in associazione la mia corrente politica creatasi
all’interno della Fiamma Tricolore in seguito alla mia estromissione da tutti gli incarichi. In poche parole, si tratta di
una componente improntata a fare politica in maniera più pragmatica, meno nostalgica rispetto a quella di matrice
missina, maggiormente calata nel contesto sociale attuale e soprattutto proiettata al futuro; poiché ritengo che trincerarsi dietro vecchie simbologie oggi sia insensato, mentre occorrerebbero invece strutture più innovative, versatili
ed elastiche rispetto alle sclerotiche logiche partitiche, spesso incapaci di aggregare a causa dei troppo ingessati
meccanismi statutari e degli apparati elefantiaci. Affermo questo senza tentazioni di rinnegamenti o abiure, ma anzi
nella consapevolezza che talune idee che improntano un certa visione del mondo conservano intatto il loro valore e
la loro a-temporalità, ciò non toglie che noi si debba lottare oggi senza torcicolli ideologici che sempre più spesso
mascherano incapacità di comprendere e vivere il presente e progettare il futuro: alibi di comodo per giustificare
pigrizia e staticità.
D. L’area della destra sociale e nazionale è una galassia varia e rissosa, pensa che sia possibile una sua ricomposizione?
R. Credo e spero di no. Troppi personalismi dilaniano da anni le possibili collaborazioni e quindi direi che l’Area,
di fatto, non esiste più. Dall’unione di tante “debolezze” non potrà mai nascere una forza autentica. Esistono sparute formazioni che tendono a coltivare il proprio orto, e da molti anni, anziché ambire ad un progetto nazionale di
più ampio raggio, spesso sembrano “ambire” più a far perdere tutti piuttosto che a vincere insieme. Nonostante la
débâcle del 2006 quando Fiamma Tricolore e Alternativa Sociale si son spartiti i voti facendosi superare in percentuale dai Socialisti e dai Democristiani di Rotondi (presentatisi con un unico simbolo anch’essi in coalizione con “La
Casa delle Libertà”), e il susseguirsi di risultati elettorali ai minimi storici, a “destra” i vertici sono rimasti sempre
gli stessi…un po’ come in Parlamento: diventa quindi difficile differenziarsi e proporsi come novità o alternativa…Il
cambiamento lo si esige sempre e solo dagli altri, ma non ho ancora sentito un’autocritica da parte di questi “statisti” responsabili dei troppi “treni persi”. Mentre la cosiddetta “area” in Italia, si logora tra simbolismi e ideologie,
il mondialismo ci pialla implacabilmente e il futuro degli italiani viene quotidianamente negato da finanza, immigrazione e malagiustizia. Intanto la “destra” cresce in tutta Europa…
D. Di recente si è svolto a Milano un convegno dell’AEMN, Alleanza Europea Movimenti Nazionali, ossia una
nuova famiglia politica europea che si affianca a quella dei moderati, PPE, e della sinistra, PSE. Auspica che anche La Destra di Storace vi aderisca?
R. C’è da capire molte cose su questa “alleanza” a partire dal fatto politico. Ho assistito a troppe situazioni di
convergenze, spacciate ufficialmente come politiche, ma aventi in realtà delle finalità prevalentemente a carattere
economico. Ci sono poi posizioni difficilmente sovrapponibili che andrebbero ben chiarite in quanto alcuni di questi
movimenti europei sono fortemente contrari al concetto di “centro-destra”, mentre in Italia, con questa legge elet-
20
torale, tarata sul bipolarismo, diventa quasi obbligatorio trovare delle convergenze elettorali in tal senso. La realtà
italiana non si può assolutamente paragonare a quella francese, ungherese, inglese...
Vantiamo da anni rapporti di conoscenza con molti dirigenti di queste formazioni, di conseguenza auspico sicuramente che la collaborazione proceda con continuità e si concretizzi sempre più in senso (pro)positivo. Se tale progetto si
connoterà in senso sempre più serio e concreto, sono convinto che Storace saprà valutarlo con interesse, nel frattempo dobbiamo riportare la nostra politica e i nostri uomini nel Parlamento italiano, cosa che mi auguro avvenga già
alle prossime elezioni. Questa è per me una assoluta priorità.
D La crisi economica perdura dal 2008, la crisi finanziaria ha colpito duramente l’economia reale, la disoccupazione in Italia e in Europa galoppa. Come ne usciamo?
R. Occorre che lo Stato, a tutela dei propri cittadini, si riappropri della sovranità monetaria e ritorni ad emettere
la moneta nazionale in nome e per conto della propria collettività, come ha dimostrato di ben sapere fare per oltre
un secolo, dal 1874 al 1975. Proponiamo di ripristinare l’istituto dell’emissione monetaria in concorso al Ministero
del Tesoro onde ripetere le positive esperienze acquisite nel passato ancora presenti, visibili e funzionanti. Questo è
l’unico istituto serio che consente, in piena sovranità e libertà, di disporre subito delle indispensabili risorse economiche per aggredire la crisi senza incrementare la mastodontica spirale del debito pubblico, che, come tutti i debiti,
dovrà essere onorato dalle parti che lo hanno progettato e costruito. Solo così sarà possibile pagare subito i debiti
dello Stato al boccheggiante mercato, affrontare a tutto campo le spese a difesa del territorio nazionale, attuare i
programmi infrastrutturali di grandi opere per il rilancio dell’economia, della piena occupazione e colmare il gap
nazionale creatosi con i nostri Paesi concorrenti. Perché chi emette moneta e ne regolamenta la circolazione, controllando così le leve dell’intero sistema economico e produttivo, non può assolutamente essere un organismo privato
come l’attuale B.C.E.
D. I dati ISTAT fotografano il paradosso di una situazione occupazionale in Italia dove, nonostante il calo degli
occupati italiani, aumentano i lavoratori stranieri. Come lo spiega?
R. Come avevamo previsto in tempi non sospetti, il fenomeno immigratorio avrebbe assunto delle dimensioni rilevanti
diventando una piaga e non una risorsa. L’equazione più immigrazione più criminalità è una realtà che non si può
nascondere e a questo si devono aggiungere i costi dell’immigrazione in termini di santità, scuola, giustizia, rimpatri,
strutture e centri di accoglienza. Voci queste che vengono generalizzate nel complesso della spesa pubblica senza
differenza, tanto che di fronte ad un gettito fiscale di 3,3 miliardi di euro ad opera extracomunitaria va sottratta una
spesa generale di circa 53 miliardi di euro; nonostante ciò questo Governo di incompetenti (anche se i loro predecessori non si sono dimostrati migliori su questa questione) si sta prodigando ulteriormente per privilegiarli nelle
classifiche di assegnazione. La mancata e reale protezione dei nostri prodotti e del Made in Italy poi ha fatto e farà
sì che i nostri figli siano costretti a cercare fortuna all’estero. Solo una nazione educata al masochismo da decenni di
lavaggio quotidiano delle menti e delle coscienze può accettare questo: noi purtroppo lo stiamo facendo.
D. A breve la Camera dei deputati ratificherà il trattato sul “Fiscal compact” che ci imporrà il vincolo del pareggio
21
di bilancio e l’adesione al “MES”, cioè il “Fondo permanente salva stati”. L’Italia, con tutti i suoi problemi di bilancio sarà il terzo contributore del Fondo, versando 125 miliardi di euro. Tutto questo nel totale silenzio dei mass
media. Cosa farete per portare alla ribalta dell’opinione pubblica il tema?
R. Storace da Napoli, lo scorso giugno, ha lanciato la battaglia contro il Trattato di Lisbona e, quotidianamente, là
dove gli viene consentito un minimo di visibilità mediatica, denuncia in maniera forte le conseguenze che il “fiscal
compact” produrrà sulle generazioni future. Non dobbiamo dimenticare che le manovre del governo Monti sono
improntate al raccoglimento di questi 125 miliardi di euro, quota che l’Italia dovrà versare per partecipare come
membro, unitamente ad altri 16 paesi, a questo ennesimo organismo che nessuno ha eletto, che nessuno ha scelto e
che nessuno conosce, ma che continuerà ad emanare direttive “lacrime e sangue” per i cittadini europei.
D. La pressione anglo-americana sull’ONU per un intervento armato in Siria è sempre più forte. La Russia invece
continua a sostenere le ragioni della pace. Da italiano pensa che l’Italia debba, ancora una volta, come in Libia,
sostenere incondizionatamente la politica estera americana?
R. Direi che bisogna guardare alla Russia di Putin come nostro miglior alleato, anche in considerazione della nostra
carenza di materie prime fondamentali che la Russia detiene. La prospettiva euroasiatica va incoraggiata, sostenuta
e perseguita. La politica estera americana si è dimostrata fallimentare e le guerre di occupazione (anche se vengono
chiamate umanitarie) hanno seminato morte, distruzione e odio senza precedenti. Da tempo auspichiamo l’uscita
dell’Italia dalla NATO, soprattutto dopo la caduta del muro di Berlino, in quanto non esiste più alcun “bisogno” di
controllare le frontiere ad est, se non in funzione di vigilanza dei flussi extracomunitari. A quanto pare però le scelte di
Berlusconi sulle politiche energetiche, alternative agli USA ed alle multinazionali angloamericane, scavalcate dagli
accordi con Putin e Gheddafi non sono piaciute oltre oceano, tanto da scatenargli contro un forte propaganda mediatica, unitamente ad un “accanimento” giudiziario senza precedenti in epoca moderna. L’obiettivo di destabilizzare il
Nord Africa e il Sud Europa per il controllo del Mediterraneo invece sembra il vero disegno degli USA che, grazie ai
bombardamenti “umanitari” da una parte e la compiacenza dei governi fantoccio, Spagna, Italia, Francia, Grecia,
pare concretizzarsi. Nonostante gli effetti ben si concretizzino sui costi del carburante e sui prezzi delle bollette, sembra che a nessuno interessi: meglio festeggiare la sconfitta della Nazionale di calcio al Quirinale. Il che è tutto dire!
D. L’ambasciatore ucraino, su un noto quotidiano nazionale, ha chiesto all’Italia un sostegno all’adesione del suo
paese all’Unione Europea. Che ne pensa?
R. Forse dovremo dire all’Ucraina cosa si rischia ad entrare in Europa. Già vivono una situazione precaria e con
i programmi di austerità che sicuramente verranno imposti da Bruxelles non faranno altro che peggiorare la loro
situazione. Consiglierei all’ambasciatore ucraino di intensificare i rapporti con Mosca più che con “Francoforte”.
D. Ultimo libro letto?
R. “L’orientalista Guerriero. Omaggio a Pio Filippani Ronconi” edito da Il Cerchio Iniziative Editoriali.
22
23
Contro il potere della finanza mondiale.
La soluzione c’è: stato del lavoro…
Strano mestiere quello dei politici
nostrani, a cui, nonostante le belle
parole, i seriosi richiami alla responsabilità, i continui peana sull’intoccabilità del verbo della carta costituzionale, viene concesso di dire
tutto ed il suo contrario senza che
nulla accada, anzi. Così, una distratta ministra Fornero ci fa una sparata sulla non esistenza del diritto al
lavoro, rettificata da una ancor più
vergognosa dichiarazione, secondo
la quale tale diritto andrebbe “conquistato”, lasciando così prefigurare
uno scenario ideologico del tutto in
contraddizione con la giusta e normale logica della carta costituzionale, per cui, quello al lavoro dovrebbe
rappresentare un diritto “naturaliter”
innato, consustanziale all’umana natura e non il dono di una qualche capricciosa volontà superiore.
Grave, gravissimo il silenzio di
un’intera classe politica, oramai dimostratasi totalmente asservita ai
desiderata dei poteri forti supernazionali ed ai quali non sa dare alcuna
risposta seria, che non sia l’opportunistico ed ipocrita balbettio di chi sa
di averla fatta troppo grossa e dentro
di sé non sa come uscirne. Mai come
stavolta, i poteri forti ed il Mondialismo in genere, hanno agito con tale
sfacciata arroganza e sicumera, giustificata dalla già citata resa finale
degli establishment politici europei
ai superiori interessi della finanza e
dell’economia. Ridicole ed illusorie
le “minaccette” del PdL alfanesco,
sul continuo e sfacciato utilizzo della
fiducia alle camere.
Altrettanto ridicole ed illusorie le
sparatine dei Bersani, dei Fassina
e delle varie Camusso su una riforma del lavoro alla cui realizzazione
hanno contribuito loro in primis,
appoggiando de facto un esecutivo
targato Goldman Sachs. Ridicole le
varie opposizioni, frammentate, confuse ambivalenti, ora come non mai.
I Vendola, i Di Pietro e i Di Liberto, nel ruolo delle belle statuine, con
un’opposizione corredata dall’iniziale appoggio a Super Mario, poi
fatta a colpi di bei proclami a cui ha
solo fatto seguito il fatto concreto
di voler creare un’asse politico privilegiato con il PD. Per non parlare
della Lega che, dopo le ultime vergognose vicende che ne hanno trasformato l’algido e stentoreo volto di
paladino celtico, in una italianissima
maschera di Pulcinella, tra storie di
Trote raccomandate, fondi tanzaniani e quant’altro, si trova più che mai
adagiata su un fianco in attesa della
mazzata finale.
E che dire di Grillo? E’ innegabile
la giustezza delle istanze del movimento creato dal comico genovese,
ancora in una fase caratterizzata da
incertezza dovuta all’estemporaneità dell’iniziativa che, proprio perché
fondata sul carisma di una sola persona, rischia un pericoloso avvitamento
su se stesso, finendo sul binario morto di un qualunquismo dalla breve
durata. Il fatto è che, al di là di tutti i
proclami su una presunta modernizzazione dell’Italia, nei desiderata del
ministro Fornero e dell’intera squadra montiana, c’è la solita, trista ed
asfittica Italietta, in cui al già presente ostacolo costituito dal sottobosco
di raccomandazioni sulla via di una
qualsivoglia professione, ora se ne
aggiungerà uno che costituirà il vero
24
e proprio “deus ex machina” delle
raccomandazioni: quella di trovare
lavoro, di poter mangiare, poiché “il
lavoro non è un diritto”, corredato
dal solito slogan oramai sempre più
sulla bocca di tutti i vari padroncini
arroganti “tanto possiamo fare anche
senza di te”.
Alla faccia, dunque, di meritocrazia
e libera iniziativa. In questo, il vertice di Bruxelles, altro non è stato
che la dimostrazione su larga scala
di tale infame e malsana arroganza.
Come in una commediola dal sapore
passatista, si rivivono i contrasti tra
blocchi nazionali ( ora, per esempio,
Italia e Francia contro Germania,
Belgio ed altri…), nel nome di giochetti di contabilità, dimentichi della
natura sistemica della crisi in atto.
Né l’istituzione degli Eurobond, né
il “Fondo salva-stati” possono alcunché, contro quello che agli occhi di
tutti si sta rivelando uno scaltro gioco di ricatto e di usura effettuati sulla
pelle dei popoli europei. La soluzione
esiste, eccome. Contrariamente alle
sparate dei Napolitano e dei Monti,
quella dell’Euro e del circo equestre
di Bruxelles non è una realtà ineluttabile, una sorta di diktat monoteista, né è detto che si debba morire di
spread, borse, nel nome di una folle
ed insensata privatizzazione dell’esistenza. Scardinare il circo equestre
a regia nord americana di Bruxelles
si può, eccome. A cominciare dalla
nazionalizzazione delle Banche Centrali, passando attraverso l’adozione
di una doppia circolazione monetaria, sino alla radicale revisione degli
accordi GATT ed all’adozione di autonome politiche di bilancio ed intervento dello stato nei singoli contesti
nazionali, guardando sempre più a
Russia, Cina, Iran, Venezuela, Corea del Nord piuttosto che ad USA,
Gran Bretagna ed Israele, nel nome
dell’autonomia politica e decisionale
di ogni nazione. Scardinare si può,
eccome, basta averne la volontà. Per
questo, oggi più che mai, (chiarito
il fatto che l’unico vero nemico è la
Globalizzazione di stampo occidentale, con tutte le sue ricadute politiche, economiche, culturali, etc.) è
necessario addivenire alla creazione
di un “fronte amplio” delle realtà
antagoniste in cui la diversità delle
esperienze costituisca il propellente
atto a determinare la spinta al cambiamento. L’unione o, quantomeno,
il coordinamento delle varie scuole
di pensiero non può non passare attraverso la rielaborazione e la rivisitazione necessarie a determinare quei
nuovi parametri di pensiero in grado
di costituire la testuggine ideologica
da contrapporre alla Globalizzazione.
La lezione dei passati totalitarismi
può, in questo, essere illuminante.
Lo Stato può e deve tornare a ricoprire un ruolo etico, nel suo compito
di rieducazione e mobilitazione delle
masse, senza però assumere le vesti
di un asfissiante ed onnipresente Moloch, grazie anche alla nuova presa
di coscienza che dall’ultimo quarto
25
di secolo in poi, si è venuta formando grazie a tutti quei movimenti che
si richiamano al localismo, al federalismo o al bio regionalismo. La
stessa analisi marxista sulla conflittualità sociale assieme al concetto di
alienazione, può farsi utile metafora
per meglio inquadrare ed organizzare la lotta agli aggregati ed ai gruppi
sociali che presiedono all’azione del
Globalismo, senza per questo ricadere nella trappola di un omologante ed
utopico pauperismo. Del pari, gli stimoli determinati dall’irrazionalismo
vitalista e dal suo omologo e contrario spiritualismo tradizionalista,
debbono essere assunti quale spinta
ed incentivo a fruire della vita e della realtà circostante, al pieno delle
possibilità determinate dalla propria
individualità, imperniando però tale
azione su un nucleo forte di valori.
Tutto questo, però, senza portare
all’esasperato e superomistico individualismo anarcoide né alla settaria
chiusura nelle malinconiche “torri
d’avorio” tanto care a certi ambienti tradizionalisti. Lo stesso termine
“capitalismo” dovrebbe subire una
rivisitazione ed una più esatta e funzionale collocazione, per i quali sarebbe però necessario svolgere un lavoro a parte. Ci basti però sapere che
una cosa è l’incontrollato accumulo
ed accaparramento di risorse finanziarie, altro è una libera iniziativa in
economia che permetta all’individuo
di poter fruire di sane e gratificanti
soddisfazioni economiche e spiritua-
li, senza scadere nella folle alienazione di una società unicamente legata
al trend delle borse ed alla mitopoietica della pubblicità televisiva. Mai
l’arroganza del capitalismo, sorretta
dalla folle idea della privatizzazione
e della mercificazione dell’umana
esistenza è arrivata a tanto. Per questo, oggi più che mai, è necessario
saper ritrovare la capacità di saper
tradurre le elaborazioni ideologiche
in prassi politica, tenendo però ben
presente la dinamica sociologica che
deve sovrintendere a questo genere
di azione, non più demandabile alla
solipsistica ed auto celebrativa azione di qualche capetto o alle aspirazioni poltronaie di qualche bastardo
fallito che, nella politica vuole trovare la propria fonte di sostentamento
economico. La situazione della post
modernità, in cui le istanze politiche
dell’antagonismo non riescono a tradursi nell’immediato in un’unica forma di “praxis” politico ideologica, a
causa dello scenario di molteplice
fluidità delle istanze, tipico della
post modernità, ci suggeriscono una
strategia che parta dall’azione ideologico-programmatica di un vero e
proprio arcipelago di equipes di paretiana memoria a cui dovranno fare
riferimento altrettanti gruppi operativi, preferibilmente provenienti dal
mondo dell’associazionismo.
Il motivo conduttore è quello dello
scardinamento del capitalismo globale, partendo proprio dal suo primo
e più debole tassello: l’Europa. Contrariamente a quello che si potrebbe
pensare, i poteri forti d’Oltreoceano
tengono molto alla stabilità del sistema Euro e del circo equestre di
Bruxelles. Qualunque colpo alla sua
stabilità si ripercuoterebbe negativamente sugli “assett”finanziari determinati dalla stretta interrelazione
propria del capitalismo globale. Per
questo sputtanare, denunciare, smascherare, è, oggi più che mai, fondamentale, accanto ad un continuo
lavoro di elaborazione. Rielaborazione e controinformazione, senza
alcun compromesso con le forze
collaborazioniste del Globalismo,
di destra o sinistra che esse siano.
Per quanto assurdo possa sembrare, quanto testè detto dalla Fornero
dovrebbe renderci felici, poiché nel
gettare definitivamente la masche-
ra di ipocrita buonismo tipica della
melassa culturale tardo-progressista, ci fornisce a tutti un ulteriore e
più marcato incentivo per imprimere un colpo di acceleratore alla lotta al Mondialismo ed a tutte le sue
espressioni
Umberto Bianchi - mirorenzaglia
26
27
L’euro
ci sta rovinando
L’Italia sarebbe il paese che avrebbe il maggior vantaggio ad uscire
dall’euro
Ridotto all’osso, il downgrade di
Moody’s dell’Italia di due tacche,
a un livello vicino a junk, è un atto
d’accusa contro l’intera politica
di shock-therapy e di contrazione
dell’eurozona (Moody’s contro l’Italia: rating vicino a spazzatura).
Le prospettive economiche a breve
termine dell’Italia si sono deteriorate, come risulta sia dalla crescita più
debole che dalla maggiore disoccupazione, che comportano il rischio
di non riuscire a raggiungere gli
obiettivi di consolidamento fiscale.
Il mancato rispetto degli obiettivi
di bilancio a sua volta potrebbe indebolire ulteriormente la fiducia dei
mercati, aumentando il rischio di una
brusca frenata dei finanziamenti sul
mercato.
Etc, etc
Se Fitch segue l’esempio, il downgrade provocherà un’ondata di vendite da parte dei fondi Asiatici e degli
altri fondi sottoposti a severi limiti
sul tipo di debito che possono dete-
nere. Questi investitori hanno smesso di comprare debito Italiano mesi
fa, naturalmente. Ma non l’hanno
neanche venduto. Lo faranno.
Moody’s fondamentalmente sta dicendo che la drastica austerità imposta all’Italia dalla BCE dopo il suo
ultimo Putsch di fine estate (acquisti
di obbligazioni a intermittenza per
forzare l’uscita dal governo di Silvio Berlusconi) è essa stessa la causa
della profonda crisi.
Il mix delle politiche di contrazione
è stato disastroso. La BCE lo scorso anno ha permesso – o meglio
ha causato – il crollo in Italia della
massa monetaria M1 ed M3 a livelli da Grande Depressione, con una
politica monetaria restrittiva nel bel
mezzo della crisi. Questo è stato uno
dei peggiori episodi di errore nella
politica monetaria dell’ultimo mezzo
secolo.
Il risultato di questa stretta monetaria
e fiscale combinata è stata una doppia recessione, del tutto evitabile e
molto dannosa. La Confindustria Italiana ha avvertito che solo quest’anno l’economia si contrarrà del 2.4%
e forse anche molto di più, e ha aggiunto che l’austerità sta riducendo il
paese in “macerie” dal punto di vista
sociale.
Questa medicina stile anni ’30 è la
ragione principale per cui la traiettoria del debito Italiano, una volta stabile, è improvvisamente peggiorata,
con il debito pubblico galoppante al
126% del PIL quest’anno, secondo il
FMI.
Moody sembra reagire agli obiettivi
di “consolidamento fiscale” imposti
al paese da Berlino, Francoforte e
Bruxelles.
L’Italia non dovrebbe farlo. Queste
richieste sono velenose. L’Italia ha
già un avanzo primario di bilancio,
che quest’anno aumenterà al 3.6%
del Pil, e il prossimo anno al 4.9%.
Questo è di gran lunga il “miglior”
profilo fiscale nel blocco del G7,
ma è una vittoria di Pirro. Gli effetti
recessivi stanno annullando i guadagni. Il debito sta accelerando. La
struttura industriale del paese viene
dissanguata.
Il risultato politico è la spettacolare
ascesa di Beppe Grillo, il flagello
dell’euro e ora padrone di Parma.
Berlusconi può già annusare l’occasione di lanciare una rimonta su un
programma anti-Merkel, anti-Tedesco, anti-BCE, e anti-Europa.
L’uscita dall’Euro
“Non è una bestemmia parlare di
uscita dall’euro”, dice, chiedendo un
ritorno alla lira a meno che la BCE
da parte sua non intervenga per una
riduzione dei rendimenti obbligazionari Italiani.
L’uscita dall’Euro potrebbe “avere i
suoi vantaggi” dice. “La svalutazione ci permetterebbe di esportare. Se
andiamo avanti con le politiche della
signora Merkel finiremo sempre peggio in una spirale recessiva.”
Personalmente,durante un viaggio a
Roma tre settimane fa sono rimasto
sbalordito dal livello di amarezza.
Un alto funzionario – da lungo tempo sostenitore dell’UEM, uno dei
suoi custodi – mi ha detto che l’euro
era “praticamente morto”.
Oramai appena il 30% degli Italiani
pensa che l’euro sia stata una “buona
idea”. Hanno certamente delle buone ragioni per sentirsi danneggiati.
L’Italia non è fondamentalmente un
caso disperato. E’ stata trasformata
in un caso disperato dai meccanismi
perversi dello stesso euro.
Debito pubblico e privato combinati
insieme arrivano al 260% del PI, più
o meno come la Germania e molto
meno di Francia, Spagna, Paesi Bassi, Danimarca, Regno Unito, Stati
Uniti o Giappone. Con una ricchezza
privata di 8.600 miliardi di €, gli Italiani hanno una ricchezza pro-capite
maggiore dei Tedeschi.
Guardando all’indicatore del Fondo Monetario Internazionale sulla
sostenibilità del debito a lungo termine, l’Italia ha uno dei punteggi
migliori, al 4,1, davanti a Germania
4,6, Francia 7,9, Regno Unito 13,3,
Giappone 14,3, e Stati Uniti 17. E’
uno dei pochi paesi che ha sistemato
lo squilibrio delle pensioni.
L’unico grosso problema che hanno
gli Italiani è che sono nella valuta
sbagliata.
Come tutti sappiamo ormai, dal lancio dell’UEM hanno perso circa il
30% di competitività nel costo del
lavoro per unità di prodotto contro
la Germania, a causa dell’effetto strisciante di una spirale inflazionistica
e della scarsa crescita della produttività. Il danno è fatto. Non si può
riportare indietro l’orologio .
Lo storico surplus commerciale
dell’Italia verso la Germania si è trasformato in un grande deficit strutturale, bloccato in modo permanente
per effetto dell’UEM.
Hanno poche speranze di recuperare
il terreno perduto attraverso la deflazione dei salari e la “svalutazione interna”, dal momento che la dinamica
del debito scombinerà tutto di nuovo, se non condurrà addirittura alla
rivoluzione nelle strade.
David Woo di Bank of America ha
appena elaborato uno studio di “teoria dei giochi” sull’eurozona, in cui
sostiene che l’Italia, più di ogni altro
paese (eccetto l’Irlanda), trarrebbe
vantaggio dal liberarsi e ripristinare
il controllo sovrano sui suoi strumenti di politica economica.
Questo dà all’Italia molto potere in
una prova di forza con la Germania
… anche se se Wolfgang Schauble
capisce che la questione è un’altra .
L’avanzo primario del paese implica che esso può lasciare l’UEM a
sua scelta in qualsiasi momento (a
differenza di Grecia, Spagna o Portogallo), ed è grande abbastanza per
farcela da solo. La sua posizione di
investimenti sull’estero è solo leggermente negativa (a differenza della Spagna, che è in rosso per un ammontare del 92% del PIL).
Il tasso di risparmio Italiano molto
elevato e il suo livello di ricchezza privata significano che qualsiasi
shock del tasso di interesse potrebbe per lo più essere rigirato di nuovo
28
all’economia come pagamenti più
elevati per gli obbligazionisti Italiani. Gli effetti-macro potrebbero anche non esserci.
Né accetto il solito mantra che dopo
l’uscita i tassi d’interesse Italiani salirebbero alle stelle. Sono già saliti in
termini reali (anche se oggi sono più
bassi in termini nominali che al tempo delle lire). In effetti, può essere
argomentato in contrario che l’unico
modo per l’Italia in questa fase di abbattere i costi finanziari reali è quello
di lasciare immediatamente l’euro.
Ovviamente saranno gli Italiani a decidere del proprio destino.
In vacanza in Italia, ho letto l’eccellente resoconto di Arrigo Petacco
della Seconda Guerra Mondiale dal
punto di vista Italiano, La Nostra
Guerra 1940-1945.
Il tema che più mi ha colpito è stato
il numero delle sconfitte e dei disastri Italiani che sono stati il risultato
di errori commessi dallo stesso alto
comando Tedesco, soprattutto da
Rommel.
I subs inglesi hanno affondato l’80%
dei convogli di rifornimento Italiani in Nord Africa, perché gli Inglesi
avevano penetrato i codici dell’Enigma Tedesco, e gli ufficiali Tedeschi
inoltravano inutilmente tutti i dettagli dei convogli al proprio quartier
generale. Ma Rommel diede tutta la
colpa a Roma, dicendo, ingiustamente, che ci dovevano essere delle spie
della marina Italiana.
La storia si ripete – questa volta in
tempo di pace. L’Italia non ha più
nulla da guadagnare ad ascoltare i
distruttivi consigli Tedeschi o a per-
29
sistere in questa soffocante disavventura.
Attendiamo una variante contemporanea del messaggio di Badoglio
dell’8 settembre 1943.
Tutto ad un tratto, l’Italia ha compiuto l’impensabile. Gli Italiani che
ascoltavano la radio alle 18.15 di
quella sera scoprirono con loro grande sorpresa – e con grande sollievo
– che non erano più impegnati ad andare avanti nella follia.
Silvia Conti - Qelsi
La truffa del fondo salva stati
Il MES (Esm in inglese) è il Meccanismo di Stabilità Europea. Il cosiddetto fondo salva-stati. Sembra una cosa
buona, ma con il MES ci stiamo per
indebitare di 125 miliardi di euro. 15
dovremo darli subito, e siccome non
li abbiamo, dovremo fare nuovi debiti. Nuovi debiti significa nuovi interessi. Per cosa? Per essere “salvati”,
nella malaugurata ipotesi dovessimo
fallire. Ma come verremo salvati? Ci
daranno semplicemente i soldi, un
po’ come farebbe un’assicurazione a
fronte del pagamento di un premio,
al verificarsi di un sinistro? No, ce li
presteranno. Nuovi debiti. Paghiamo
125 miliardi per avere la possibilità
di farci prestare dei soldi a interessi elevati. Ve l’hanno mai raccontata
così? Anzi: ve l’hanno mai raccontata in un qualsiasi modo? Ma non
finisce mica qui: chi deciderà quanti
soldi dovremo versare e quando? Diciassette uomini: i diciassette mini-
stri dell’economia di diciassette stati
membri (quelli che ratificheranno il
trattato). Il diciassette porta sfiga. Infatti, secondo il trattato, nessuno di
questi 17 uomini potrà essere chiamato in giudizio per una qualsiasi
delle decisioni che prenderà nell’ambito del MES. E neppure avremo la
possibilità di visionare i documenti
che al MES verranno prodotti. Una
super organizzazione opaca pagata
con i soldi dei cittadini, che deciderà se e quale stato avrà il diritto di
indebitarsi ulteriormente, a suo insindacabile piacimento, e per quale
ammontare, senza essere sottoposta
a nessun procedimento di verifica e
di controllo democratico. A che scopo tanta segretezza? A che scopo tutta questa impunità? E che senso ha
farsi un’assicurazione solo per avere
il permesso di farsi riempire di debiti? Quando accendi un finanziamento
sai quante rate dovrai pagare e quando scadrà l’ultima.
Con il MES diamo un libretto degli
assegni infinito e completamente in
bianco. Il board dei governatori potrà
infatti decidere in qualsiasi momento
un aumento di capitale, che partirà
con 800 miliardi, e gli stati membri
dovranno corrispondere la loro quota
parte secondo i tempi e le modalità
stabilite di volta in volta, senza potersi opporre in alcun modo. Come
non c’è modo di uscirne: se ratifichi
il trattato, è per sempre. Non solo,
ma siccome non c’è limite al peggio,
il MES potrà rastrellare i soldi neces-
sari, all’occorrenza, presso la grande
finanza internazionale. Per esempio
la Cina o le grandi banche d’affari.
In questo caso, il finanziatore esterno
avrà il diritto di commissariare lo stato sovrano che beneficerà del prestito
(cui, è bene ripeterlo, saranno applicati interessi elevati), che si ritroverà la Goldman Sachs o Hu Jintao in
Parlamento ad approvare o respingere ogni decisione. E una clausola
specifica prevede che nessun Governo successivo a quello che ha ratifi-
cato il trattato potrà disimpegnarsi,
adottando una eventuale decisione
di uscita. Stiamo per consegnare le
chiavi di casa alla grande speculazione internazionale e per abdicare a
qualsiasi principio democratico conquistato nel tempo.
30
31
L’ascesa di Grilli
nel governo Monti
Il presidente del Consiglio italiano,
che nessuno ha mai eletto, ha appena
ceduto a Vittorio Grilli, neppure lui
mai eletto, la carica di ministro dell’
economia.
E’ un ulteriore passo in avanti della
piovra europeista? oppure l’inizio
del disimpegno di mario monti di
fronte al disastro che incombe?
Nello scorso novembre l’oligarchia
euro-atlantica, e più esattamente la
Commissione europea e Goldman
Sachs, avevano deciso di cacciare
Silvio Berlusconi congedandolo dal
suo incarico di capo del governo italiano.
NOTA BENE : BERLUSCONI
CACCIATO PER AVER TARDATO A METTERE IN ATTO LE “RIFORME INDISPENSABILI”
Questa decisione era stata presa non
a causa degli innumerevoli scandali
finanziari e di costume che circondavano quello che la stampa italiana
definiva “Il Cavaliere”. No, la decisione di allontanarlo era stata presa
perché Berlusconi tardava a mettere
in atto il programma di “riforme indispensabili” che i Signori Trichet
(presidente della BCE in quel momento) e Draghi (suo successore designato) avevano cucinato nel segreto dei loro uffici, e che gli avevano
reso noto senz ‘altra formalità di una
lettera datata 5 agosto 2011.
Questa lettera stabiliva in modo
molto preciso quale dovesse essere l’azione del governo italiano, in
materia di smantellamento del patto
sociale e di vendita del patrimonio
pubblico italiano alle banche ed altri
fondi d’investimento.
Il tono e il contenuto di questa lettera avevano dell’incredibile se si
pensa che era stata firmata da due
tecnocrati senza alcuna legittimità
democratica, non essendosi mai sottoposti a suffragio universale e per
di più totalmente sconosciuti agli
elettori italiani. Lo scandalo fu tale
che il contenuto della lettera trapelo’
sui giornali a fine settembre, sicura-
mente in conseguenza delle pressioni
esercitate dallo stesso Silvio Berlusconi, furioso di essere trattato come
un domestico.
Questo appello implicito di Berlusconi a sostegno dell’opinione pubblica testimoniava una tale mancanza
di volontà di piegarsi al racket della
mafia euro-atantica che quest’ultima
decise immediatamente la sua caduta.
Nelle settimane che seguirono,
un’autentica cospirazione fu così ordita per cacciare il controverso e spu-
meggiante capo del governo/uomo
d’affari, e per sostituirlo con uno dei
principali membri dell’oligarchia
euro-atlantica, M Mario Monti. Ex
Commissario europeo ed ex responsabile di Goldman Sachs, questi era
sconosciuto al grande pubblico e,
come M Trichet e M Draghi, non era
mai stato eletto.
IL COLPO DI STATO MASCHERATO DEL NOVEMBRE 2011
In pochi giorni, e quando identiche
manovre si tramavano contemporaneamente in Grecia per cacciare il
Primo ministro Papandreou, Mario
Monti fu “nominato senatore a vita”
dal presidente della Repubblica italiana Giorgio Napolitano.
(Questo tipo di nomina “diretta”,
senza elezione e a vita, è una delle
norme quanto meno strane previste
dalla Costituzione della Repubblica
italiana).
Sulla scia di questa nomina, Mario
Monti fu “chiamato” (gentile eufemismo per dire “imposto”) a succedere a Silvio Berlusconi come Presidente del Consiglio dei ministri e a
formare un “governo di tecnici”.
In un attimo, tutti i media al soldo
degli europeisti, liberandosi dell’influenza di Silvio Berlusconi, trovarono l’idolo del momento in quest’uomo provvidenziale, che il 99,9999%
degli italiani non conosceva minimamente.
Il colpo di stato sotto un’apparenza
di legalità fu portato a termine senza
intralci.
Il 12 novembre 2011, Berlusconi cedette al cancan mediatico e alle “trame” politiche tessute dal parlamento
italiano: rassegno’ le dimissioni. Il
giorno dopo, il capo di Stato incarico’
Mario Monti di formare un governo.
Costui ebbe l’incredibile ipocrisia di
accettare “con riserva”, assumendo
atteggiamenti da vera prima donna.
L’ASCESA DEL TRISTO FIGURO
GRILLI
La situazione di sfiducia dei mercati
nei confronti dell’Italia era tale che,
quando s’insediò a Palazzo Chigi a
metà novembre scorso, Mario Monti
decise di assumere insieme alla carica di capo del governo (“Presidente
del Consiglio”) anche l’incarico di
ministro dell’economia.
Ed è quest’ultimo incarico che a sorpresa ha appena deciso di rimettere, l’11 luglio 2012 dopo 8 mesi di
mandato, nominando il vice-ministro
dell’economia Vittorio Grilli come
suo sostituto.
L’ascesa di quest’ultimo non si spiega per qualche exploit elettorale, poiché non si é mai presentato, neppure
lui, di fronte agli elettori.
Non si spiega neanche per un particolare carisma da lasciare abbagliati
perché M Grilli non è propriamente
un uomo che trasuda gioia di vivere
(propongo qui la sua foto...).
Per contro, la sua ascesa si comprende se si da un’occhiata al suo eloquente pedigree.
Vittorio Grilli è stato successivamente:
- professore d’economia all’Università di Yale (Stati Uniti) per 4 anni
Universitari (dal1986 al 1990),
- professore d’economia al Birkbeck
College dell’Università di Londra
(Regno Unito) per 4 anni universitari
(dal 1990 al 1994),
- capo del dipartimento delle Privatizzazioni e dell’analisi economica al
ministero italiano dell’economia, dal
1994 al 2000,
- direttore generale della banca
d’investimento elvetico-americana
“Crédit Suisse First Boston” dal
2001 al 2002,
- ragioniere generale dello Stato italiano dal 2002 al 2005,
- direttore del Tesoro dal 2005 al
2011,
- prima di essere nominato vice-ministro dell’economia nel novembre
scorso da Mario Monti
GRILLI, LA QUINTESSENZA
DELL’ APPARATCHIK EUROPEISTA
Durante le sue ultime funzioni come
Direttore del Tesoro, Vittorio Grilli è
stato il più stretto collaboratore del
“compianto” Tomaso Padoa-Schioppa, ministro dell’economia italiana
(2006 -2008), oggi scomparso.
I partecipanti più attenti delle mie
conferenze si ricorderanno sicuramente che io cito a più riprese Padoa-Schioppa, perché autore di un
articolo-shock intitolato “Gli insegnamenti dell’avventura europea”,
apparso sulla rivista francese “Commentaire” n. 87, autunno 1999.
32
In questo pezzo d’antologia del pensiero europeista, il defunto capo del
nuovo ministro dell’economia italiano aveva in effetti spiegato senza giri
di parole quella che è la presunta costruzione europea: “ La costruzione
europea é una rivoluzione, anche se i
rivoluzionari non sono dei cospiratori pallidi e magri, ma degli impiegati, dei funzionari, dei banchieri e dei
professori. L’Europa non nasce da un
movimento democratico. Essa si crea
seguendo un metodo che potremmo
definire con il termine di dispotismo
illuminato.”
Il suo successore ed emulo Vittorio
Grilli testimonia che questa descrizione è molto giusta ma non completamente esatta. Perché se M Grilli è
un “despota illuminato” a cui è riuscito il miracolo di essere allo stesso
tempo “impiegato, funzionario, banchiere e professore”, non per questo
non è anche “pallido e magro”.
Quanto all’aspetto “cospiratore”, non
so molto bene cosa significhi questo
termine ma mi sembra interessante
notare che Vittorio Grilli è:
1°)- membro del consiglio d’amministrazione del FESF
E’ il famoso “fondo di stabilità
dell’euro”, al quale dovrebbe succedere il MES.
M Grilli è quindi molto legato al tedesco Klaus Regling, direttore del
suddetto FESF, e che sarà il presidente del futuro MES, come ho segnalato in un precedente articolo e
come è stato deciso l’altro ieri.
2°) - ex presidente del Comitato economico e finanziario dell’UE (CEF)
Tale comitato, che non bisogna confondere né con il Sistema europeo
delle Banche centrali (SEBC) nè con
l’Eurosistema, nè con il Consiglio
dei ministri “ECOFIN”, nè con l’Eurogruppo, è un organismo consultivo
istituito dall’articolo 114 del trattato
di Roma (TCE), trasformato nell’articolo 134 del trattato sul funzionamento dell’UE (TFUE).
Composto dai rappresentanti degli
Stati membri, della Commissione europea e della BCE, il CEF ha
il compito di seguire la situazione
economica e finanziaria dell’Unione
europea, i movimenti di capitali e i
pagamenti, dare pareri alle istituzioni europee, e agevolare la coordinazione tra gli Stati membri e le istituzioni europee.
Con i brillanti risultati a cui assistiamo!
In ogni caso, è bene sapere che M
Grilli è stato presidente del CEF
quando la Germania aveva come
rappresentante...Klaus Regling. A riprova del fatto che tra gli eurocrati,
sono sempre le stesse persone che
ruotano.
3°)- membro del consiglio d’amministrazione del “think tank” Bruegel
M Grilli appartiene al “think tank”
ultra-europeista Bruegel, creato nel
2004, e il cui presidente, dal 2005 al
2008, non fu altro che...Mario Monti. Che resta d’altra parte presidente
onorario.
33
Il pubblico che mi segue con più assiduità si ricorderà che questo “think
tank” Bruegel è diretto dall’economista francese Jean Pisani-Ferry, con
il quale ho partecipato ad un dibattito
interrotto su France 24 il 25 novembre 2011
[fonte:
http://www:dailymotion.
com/video/xmkslx_f-asselineau-surfrance-24-25-11-2011_news ]
Come avevo indicato durante quella
farsa di “dibattito”, dove fui costantemente interrotto dal giornalista, il
“think tank” Bruegel è finanziato tra
gli altri da Goldman Sachs.Il mondo
è decisamente molto piccolo.
D’altra parte, il “think tank” ultraeuropeista Bruegel, con Mario Monti come presidente onorario e Jean
Pisani-Ferry come direttore e di cui
Vittorio Grilli è uno dei membri del
consiglio d’amministrazione, non è
finanziato solo da Goldman Sachs.
Tra i generosi donatori di questa
onorabile istituzione che ha a cuore
il buon funzionamento dell’Europa
figurano:
- la società americana di “consulenza” Emst & Young,
- la società americana General Electric,
- la società americana Goldman Sachs, che non
presentiamo più...,
- la società americana Google, i cui
possibili legami con la CIA sono oggetto di più di un’indiscrezione (cf.
per esempio http://www.infowars.
com/group-calls-for-hearings-into-
googles-ties-to-cia-and-nsa/)
- la società americana Microsoft,
i cui legami con la CIA e la NSA
sono un segreto di pulcinella (cf ad
esempio http://infosecisland.com/
blogview/21694-Microsoft-theCIA-and-NSA-Collude-to-TakeOver-the-Internet.html)
- la società americana NYSE Euronext, gruppo mondiale d’imprese del
mercato della finanza (cioè di società
commerciali che hanno per attività
quella di garantire la gestione di uno
o più mercati finanziari). Il gruppo
è nato nel 2007 dalla fusione tra il
gruppo New York Stock Exchange e
il gruppo Euronext. NYSE Euronext
è oggi il primo gruppo mondiale sulle piazze borsistiche e la sua sede si
trova a New York,
- la società americana Qualcomm,
specializzata in telecomunicazioni,
in programmazione e produzione di
processori per telefoni mobili e conosciuta per aver messo a punto la
tecnica CDMA. ( I legami di questa società con la CIA sono stati per
breve tempo al centro della cronaca
negli Stati Uniti nel 1998, quando
uno dei suoi responsabili fu arrestato per spionaggio a Roston-sur-deDon, in Russia, cosa che all’epoca
fece parlare molto : cf. http://business.highbeam.com/4776/article1G1-20202729/risky-business-cianew-cover-story)
In breve, e come mi aveva detto con
asprezza il giornalista di France 24,
bisognerà pure che i think tanks pro-
europei trovino i loro finanziamenti...
In ogni caso memorizziamo bene
che Vittorio Grilli, membro anche
del think tank euroatlantico “ Istituto
Aspen”, incarna l’archetipo dell’ apparatchik europeista. Ne ha tutte le
caratteristiche:
- un burocrate di formazione e di stile,
- un carisma da pesce lesso,
- una carriera negli Stati uniti e nel
mondo bancario e finanziario,
- una conoscenza perfetta della lingua di John Wayne,
- una totale ignoranza di cosa sia un
elettore,
- una preferenza impressionante per
i think tanks profumatamente finanziati da gruppi americani vicini alla
CIA,
- e una vita sotto una campana di
vetro insieme agli altri apparatchiks
europeisti della sua specie.
CONCLUSIONE : PERCHE’
ADESSO?
La domanda che è legittimo porsi è
perché Mario Monti ha deciso di rimettere, l’11 luglio 2012, l’incarico
di ministro dell’economia che aveva mantenuto fino ad oggi insieme
a quello di Presidente del Consiglio?
La prima risposta che ci viene in
mente - un eccesso di lavoro - non è
sicuramente quella giusta:
- da una parte perché non è dopo 8
mesi che ci si rende conto che non è
possibile far fronte a due incarichi.
- dall’altra parte perché nel maggio
2013 si terranno le prossime elezioni generali in Italia per rinnovare la
Camera dei deputati e il Senato della
Repubblica. Mario Monti che aveva
già portato avanti i due incarichi di
Presidente del Consiglio e ministro
dell’economia, poteva conservarli
entrambi fino alla loro naturale scadenza.
- infine perché Vittorio Grilli, che era
già vice-ministro dell’economia, di
fatto svolgeva funzioni di ministro.
Niente, a priori, obbligava a promuoverlo.
E quindi? Ebbene, la spiegazione
deve forse essere cercata altrove.
Perché l’11 luglio, Mario Monti non
ha solo nominato Vittorio Grilli come
ministro dell’economia. Di fronte
alla stampa ha anche annunciato che
“escludeva di ambire” ad un nuovo
mandato alla conclusione di quello
in corso.
Esprimendosi a margine del summit
dei ministri dell’economia a Bruxelles, ha ricordato di aver sempre
escluso di rimanere capo del governo dopo le elezioni della prossima
primavera.
[fonte : http://tempsreel.nouvelobs.
com/monde/20120711.FAP5540/
italie-mario-monti-exclut-de-resterau-pouvoir.html]
E’ vero che M Monti ha 69 anni e
forse ritiene che l’età per lasciare è
arrivata. Ma questa dichiarazione di
rinuncia, concomitante alla nomina
di M Grilli, arriva proprio nel momento in cui la situazione finanziaria
34
e politica dell’Italia continua a degradarsi.
Come ho ricordato qualche giorno fa,
i tassi d’interesse delle obbligazioni
italiane a 10 anni hanno raggiunto
livelli esorbitanti, riprova della rinnovata sfiducia dei mercati.
Oltre tutto, e nonostante avesse sempre dichiarato il contrario, Mario
Monti ieri ha finito per entrare in
contraddizione con se stesso, ammettendo di fronte alla stampa che l’Italia potrebbe, alla fine, fare ricorso al
fondo di stabilità della zona euro.
[fonte : http://www:romandie:com/
news/n/Italie_Monti_n_exclut_pas_
un_recours_aux_fonds_de_secours_
de_la_zo]
Ora, Mario Monti è il primo a sapere
che questi fondi di stabilità sono ancora inesistenti. Il MES ha subito un
ritardo, la Finlandia e i Paesi-Bassi
frenano, e il Tribunale di Karlsruhe
si pronuncerà tra non prima di tre
mesi per stabilire se il MES dovrà essere abbandonato, perché in contraddizione con la Costituzione tedesca e
la democrazia.
In breve, l’altra ipotesi da prendere
in considerazione è quella per cui
Mario Monti cominci ad ammettere
che il colpo di mano che ha condotto
alla sua nomina nel novembre scorso
si stia concludendo con un terribile
fallimento.
Avrà solo ritardato, ma non potrà
fermare la catastrofe che sta sopraggiungendo.
Allora tutto si spiegherebbe a meraviglia:
- M. Monti annuncia che lascerà le
sue funzioni governative in primavera, sperando che l’euro non esploda
prima di allora
- e si libera dell’imbarazzo del ministero dell’economia per rifilare la
responsabilità del disastro che incombe a Vittorio Grilli, che si lascerà
“arrostire” (scusate il brutto gioco di
parole) al suo posto. [ndt: “arrostire”
in francese “griller” assonante con
Grilli]
Questa nuova ridistribuzione di figurine è ovviamente seguita da vicino
dal “Cavaliere”, l’ex capo di governo Silvio Berlusconi che fu cacciato come un domestico indelicato lo
scorso novembre e che probabilmente sta maturando la sua vendetta,
come vuole una consolidata tradizione plurimillenaria sulle sponde del
Tevere.
Proprio oggi, Angelino Alfano, una
delle persone a lui più vicine, ha tratto profitto dalle dichiarazioni di Mario Monti per rendere noto alla stampa dell’esistenza di un movimento
in crescita nell’opinione pubblica a
sostegno del ritorno di Berlusconi.
E il delfino del Cavaliere ha pensato bene di annunciare anche che :
“Credo che in definitiva, deciderà di
presentarsi [alle elezioni del maggio
prossimo].”
Decisamente, Angela Merkel, José
Barroso, tutti i piani di rigore, tutte
35
le “riforme indispensabili”, e tutti i
think tanks europeisti finanziati da
Goldman Sachs non potranno cambiare il dato di fatto che l’Italia è
sempre l’Italia...
Cosa che per altro è una grande fortuna perchè è l’indice più chiaro che
l’euro non potrà ancora a lungo pretendere di cambiare i popoli contro
la loro volontà.
Francois Asselineau
www.agoravox.fr
Legitech
s.r.l.
CONSULENZA FISSO MOBILE INTERNET
La LEGITECH nasce nel 2010 grazie all’impegno e alla collaborazione di più professionisti del settore delle
telecomunicazioni (TLC), che nella società partecipano, non solo con la loro pluriennale esperienza nell’intermediazione commerciale del settore, ma anche promuovendo lo sviluppo di nuove idee, in aiuto alle
aziende che sempre più si trovano a dover affrontare le problematiche sempre più complesse e variegate,
connettività mobile, connettività fissa, WI-MAX, etc.
Nonostante la vita breve della società, con la grande capacità dei suoi soci, LEGITECH ha potuto ottenere
grandi risultati nell’ambito della consulenza, nonchè un crescente interesse della clientela nell’acquisto dei
prodotti offerti.
Non sempre un singolo operatore telefonico è in grado di rispondere totalmente a tutte le esigenze richieste dalle aziende, per questo motivo la LEGITECH interviene nella scelta dell’offerta migliore, in grado di
rispondere alle più diverse caratteristiche richieste.
La scelta della LEGITECH mira ad un’attenta misurazione nel rapporto prezzo-qualità, in controtendenza
rispetto a quello che il mercato solitamente ritiene. Non sempre il risparmio rappresenta l’ottimizzazione del
bilancio. In un momento dove il costo delle telecomunicazioni è molto più basso rispetto a quelli di energia
e risorse umane, LEGITECH pone una riflessione su quanto il telefono possa essere fondamentale per
l’attività dell’azienda.
Gentilezza e cordialità sono infine i tratti distintivi dei consulenti LEGITECH, che uniti alla professionalità,
forniscono una cornice di qualità nel servizio offerto dalla società.
Via Roma, 40 - 33050 Ruda (UD) - Tel. e Fax 0431.782194 - [email protected]
36
37
Controcorrente Gens Italica
Le nazioni senza immigrati
vincono sulle società multietniche
Primi in tutto. Ma senza immigrati un
popolo non doveva essere stanco?
È vero che sia così necessaria l’immigrazione e che questa sia benefica?
È vero che in un paese sviluppato
quasi nessuno voglia più fare i lavori
umili?
È vero che senza risorse naturali e
materie prime si sia destinati al tracollo?
È vero che dobbiamo rassegnarci ad
un’economia di servizi?
È vero che paesi senza materie prime, relativamente piccoli ed ad alta
densità abitativa non possano competere con BRICS e CIVETS?
È vero che dobbiamo rassegnarci ad
una disoccupazione di massa?
È vero che un paese relativamente
piccolo non possa competere tecnologicamente?
È vero che una singola nazione non
abbia la possibilità di prendere decisioni di politica estera coraggiose?
1° LEGGENDA - Un paese come
l’Italia non può eccellere senza Unione Europea
Tutto ciò che vi hanno detto i mass
media occidentali è FALSO. Corea
del Sud e Giappone ne sono la dimo-
strazione.
La Corea del Sud è un paese asiatico
peninsulare di 100.210 KM² (il 33 %
dell’Italia) ed ha una popolazione di
48.875.000 e non ha risorse naturali.
Il Giappone è anch’esso un paese
asiatico, un’isola (una molteplicità di
isole) che si estendono per 377.944
KM², (il 125 % dell’estensione italiana) e con una popolazione pari a
127.960.000 abitanti, ed anch’esso
senza risorse naturali degne di nota.
L’Italia si estende per 301.340 KM²,
è una penisola (alla quale vanno aggiunte alcune isole) con una popolazione di 60.742.397 e non ha praticamente risorse naturali.
Il dato statistico al giorno d’oggi più
citato dopo lo spread è il tasso di disoccupazione. Già il divario è emblematico, in quanto ad Ottobre 2011 in
Corea del Sud si attesta al 2,9 %, in
Giappone al 4,5 % ed in Italia all’8,5
%.
Ma tali dati devono essere attualizzati e contestualizzati in quanto in Italia
la disoccupazione reale è sicuramente
molto più alta, considerando le persone non iscritte ai centri dell’impiego alle quali vanno aggiunte le cifre
dei clandestini, persone fisicamente
presenti in Italia ma tendenzialmente
senza lavoro. C’è anche da ammettere che in Italia il lavoro nero è una
piaga estesa, ma numericamente non
compensa il numero dei disoccupati
reali.
In Giappone invece il tasso di disoccupazione è in leggero rialzo dopo
la tragedia di Fukushima ed a causa
dell’embargo della Cina al Giappone
per quanto concerne le terre rare, 17
materie prime FONDAMENTALI
nei settori dell’alta tecnologia, di cui
le tigri asiatiche sono leader indiscusse, contrariamente all’Italia. La
limitazione cinese per le esportazioni ha causato un rallentamento della
produzione industriale giapponese
del 2,6 %.
2° LEGGENDA - Gli italiani non
vogliono fare i lavori umili (e le motivazioni?)
La prima motivazione che viene addotta per giustificare l’immigrazione
di massa che stiamo subendo è la
decantata mancanza di italiani che
vogliono apprendere o intraprendere un lavoro umile e/o manuale. Ciò
si rivela una falsità, ed anche qui
Giappone e Corea del Sud incorrono in nostro aiuto sotto vari profili.
Il primo è il chiaro nesso che vi è tra
gli STIPENDI MEDI DI UN PAESE INDUSTRIALE IN RAPPORTO
ALL’IMMIGRAZIONE. (paesi che
non sono nè paradisi fiscali o finanziari, nè ricchi di risorse naturali i cui
proventi vengono distribuiti a pioggia ai cittadini).
Nella classifica dei redditi medi netti
annui al 1° posto vi è la Corea del
Sud con 39.931 $ equivalenti. Al
2°, 3° e 4° posto incontriamo Regno
Unito, Svizzera e Lussemburgo che
scartiamo in quanto la media del Regno Unito è fittizia poichè alterata
dagli stipendi della City londinese
e dalle residenze fittizie milionarie,
similmente a quella che ebbe Valentino Rossi a Londra; mentre Svizzera
e Lussemburgo sono ancora vergognosamente PARADISI FISCALI a
due passi da Germania, Francia ed
Italia. Un bel biglietto da visita per
Europa e Unione Europea. Chiunque
comprende che con TRILIONI DI
EURO in casa è facile creare posti di
lavoro con aliquote fiscali al ribasso
(vedasi la tassazione del 30 % a Sergio Marchionne nel cantone di Zugo
per i proventi italiani e del 21 % per
quelli svizzeri). Al 5° posto ritrovia-
mo quindi il Giappone con un reddito medio di 34.445 $ equivalenti.
Perchè prendere come esempi Corea
del Sud e Giappone? Come citato
nella prefazione, sono paesi nella
condizione demografica e territoriale dell’Italia, ma soprattutto NON
HANNO IMMIGRAZIONE. E la
motivazione non è certo la loro distanza o la posizione geografica, dato
che in Italia i cinesi, gli indiani ed i
pakistani e sudamericani giungono
con facilità, e di certo non a nuoto.
Similmente, anche cinesi, malesiani,
indonesiani, vietnamiti, thailandesi,
cambogiani potrebbero recarsi nei
due paesi presi in considerazione,
ma non avviene. Per essere più dettagliati, in Corea del Sud il gruppo
etnico è al 99,99 % composto da coreani, mentre in Giappone il 98,5 %
è composto da giapponesi.
La verità è che senza la concorrenza
sleale di immigrati poveri, ignoranti,
disperati e disposti a tutto, gli stipendi viaggiano al rialzo anzichè al ribasso. Inoltre, per mantenere un’occupazione elevata si è costretti a non
delocalizzare il settore secondario,
ovvero l’industria, che costituisce la
VERA RICCHEZZA DI UN PAESE
MODERNO. Questo avviene poichè non si ha la possibilità di basare
l’economia sull’edilizia in quanto la
richiesta di case è stabile o al ribasso, non essendovi nuovi ingressi nè
incrementi di popolazione, in virtù di
un tasso di fecondità simile a quello
italiano. Inoltre è mantenuta la coesione sociale e lo spirito patriottico
che sono il cuore pulsante di una nazione, altro che multiculturalismo.
In Italia invece lo stipendio medio è
di 21.374 $ equivalenti, ben distante
38
dalla media delle due tigri asiatiche,
dietro cui si cela il vero motivo della
riluttanza degli italiani ad intraprendere un mestiere umile e/o manuale
(acuito anche da fattori culturali),
costretti quindi a subire non solo una
salario DA FAME, ma anche mobbing e maltrattamenti psicologici sul
posto di lavoro, essendo trattati come
merce e bestiame, anzichè come uomini o donne che costituiscono la
base portante di una nazione. Bisogna ovviamente evidenziare l’evasione fiscale che impone il carico fiscale maggiore sui contratti di lavoro
subordinato, ma certamente in assenza di essa saremmo lo stesso ben lungi da Corea del Sud e Giappone. In
Italia sono residenti ufficialmente al
1° Gennaio 2011 4.507.311 stranieri, ai quali dobbiamo aggiungere un
numero INDEFINITO di clandestini (stimato in oltre due milioni) che
danneggiano ulteriormente la nostra
economia, già provata ed al limite a
causa dell’evasione fiscale, della corruzione, della delocalizzazione industriale e del basso contenuto tecnologico ed innovativo della maggior
parte delle nostre produzioni.
Un altro dato è fondamentale, forse
ancor più rilevante del valore numerico del reddito medio, è il coefficiente
di Gini, che misura la redistribuzione
della ricchezza in un paese. La Corea
del Sud ha un coefficiente netto di
0.315, il Giappone di 0,329 e l’Italia
di 0,337 (Le stime sono molteplici e
vi sono anche dati con divari di gran
lunga maggiori). Quindi a fronte di
stipendi più alti vi è anche un migliore redistribuzione del reddito e delle
ricchezze.
3° LEGGENDA - L’Italia è destinata a divenire un’economia di servizi
deindustrializzata, a causa del costo
del lavoro e della concorrenza sleale
Nonostante a pochi chilometri di distanza ci sia l’esempio tedesco che
smentisce questa credenza massmediatica, è nostro dovere indicare (in
breve) il potenziale industriale e manifatturiero di Giappone e Corea del
Sud.
Giappone
Il settore industriale giapponese è
leader mondiale nella metalmeccanica, nei trasporti, nell’energia,
nell’automobile, nell’aerospaziale,
nella robotica, nel navale (superati di
recente proprio dalla Corea del Sud),
nell’elettronica,
nell’informatica,
nelle biotecnologie, nella chimica,
nella farmaceutica, nell’agroalimentare. E tale presenza si manifesta con
COLOSSI INDUSTRIALI di caratura MONDIALE.
Corea del Sud
Il settore industriale coreano non è da
meno, ed anch’esso costituisce l’asse
portante dell’economia della penisola grazie al quale è stato possibile il
miracolo del fiume Han. La Corea
del Sud è leader nel settore navale,
nelle costruzioni, nell’elettronica,
nella meccanica, nelle biotecnologie
e nelle energie rinnovabili.
Ma il suo futuro è ancor più roseo in
virtù dell’alta educazione tecnica e
scientifica, poichè la Corea del Sud
vanta il maggior numero al mondo
di giovani laureati nella fascia di età
compresa tra i 25 e i 34 anni: il 60%.
La media dei paesi OECD non arriva al 40 %. L’Italia arriva appena al
20%.
Il 35% dei laureati coreani ha conseguito il titolo nell’ambito delle scienze naturali o dell’ingegneria. Solo la
Cina al mondo vanta una percentuale
maggiore. In Italia le lauree in scienza e ingegneria sono solo il 20% del
totale. Questo significa che in Corea
del Sud il 20% di tutti i giovani di età
compresa tra i 24 e i 35 anni ha una
laurea scientifica o tecnica, contro il
4% degli italiani.
La Corea del Sud accompagna ingenti investimenti nel campo della
ricerca scientifica e tecnologica. Secondo i dati più recenti pubblicati dal
R&D Magazine nel 2010 ha investito in ricerca e sviluppo 42,9 miliardi
di dollari: il che la colloca al quinto
posto assoluto nel mondo. Sopra la
Francia e sopra la Gran Bretagna. A
mero titolo di paragone, l’Italia – che
ha sia una popolazione sia un PIL superiore – risulta aver investito 18,7 miliardi di
dollari: molto meno
della metà.
Anche in termini relativi la Corea del
Sud è al quinto posto
al mondo: la spesa in
R&S rispetto al PIL è
pari secondo il R&D
Magazine al 3,0% e
viene solo dopo quella di Israele, Svezia,
39
Finlandia e Giappone (una colonna portante della ricerca scientifica
mondiale). Se consideriamo questa
spesa nella sua dinamica storica, vediamo che solo Cina e Giappone hanno aumentato l’intensità della spesa
in R&S con la medesima intensità.
4° LEGGENDA - L’Italia, come altre
singole nazioni, non avrebbe il potere politico e l’autonomia decisionale
per scelte indipendenti
Infine concludiamo con la politica
internazionale. “Giappone e Cina
promuoveranno scambi diretti di yen
e yuan senza usare il dollaro e incoraggeranno lo sviluppo di un mercato dei cambi, per tagliare i costi per
le aziende”, sono le parole del governo giapponese. Il Giappone effettuerà acquisti di obbligazioni cinesi il
prossimo anno, così si è pronunciato
il governo giapponese in una dichiarazione successiva a un meeting tra
il Primo Ministro Yoshihiko Noda e
il Premier cinese Wen Jiabao tenuta
ieri a Pechino. E prima che qualcuno
asserisca che si tratta solo di ostentazioni di politica estera vista l’enorme
dimensione del volume degli scambi
tra le due più grandi economie asiatiche, questo accordo è molto più
significativo di qualsiasi altro patto
che la Cina ha firmato con altre nazioni”.
Il Giappone ha 1,3 trilioni di dollari
(1300 miliardi di dollari) in riserve di
divise estere, il secondo quantitativo
al mondo dopo la Cina. La Corea del
Sud ne ha 275 miliardi, classificandosi sesta.
Cittadinanza Ideale
40
41
Un milione di italiani ha perso il lavoro,
sostituiti da 700.000 immigrati
Tra il 2007 e il 2011 l’occupazione
in Italia è diminuita di circa 250.000
unità ma il dato è il risultato di un
calo di un milione di lavoratori italiani e un aumento di 750.000 lavoratori stranieri. È quanto si legge dalle statistiche sulla coesione sociale
pubblicate dal ministero del Lavoro
sulla base dei dati Istat.
Secondo i dati Istat gli occupati sono
passati da 23.222.000 nel 2007 a
22.967.000 nel 2011 con un calo di
255.000 unità (-1,09%). Ma il calo
è il risultato di una contrazione consistente per i lavoratori con cittadinanza italiana passati da 21.719.000
a 20.716.000 (oltre un milione in
meno pari a -4,61%) e un aumento
rilevante per gli occupati con cittadinanza straniera. I lavoratori immigrati, infatti, sono passati dai 1.502.000
del periodo pre crisi economica a
2.251.000 nel 2011 con un aumento
di 749.000 unità (+49,8%).
Il dato è anche il risultato degli interventi per la regolarizzazione dei lavoratori sommersi, soprattutto badanti
e colf. L’aumento dell’occupazione
straniera è stato rilevante soprattutto
per la componente femminile con il
passaggio da 579.000 unità del 2007
a 960.000 (+65,8%) nel 2011 men-
tre l’occupazione degli
uomini stranieri nello
stesso periodo è passata da 924.000 unità a
1.292.000 (+39,8%).
Nell’andamento dell’occupazione italiana sono
stati penalizzati soprattutto i maschi con il passaggio da 13.133.000
occupati nel 2007 a
12.327.000 (con oltre
800.000 unità in meno e un -6,13%)
mentre per le donne si è registrato
un calo più contenuto. L’occupazione delle donne con cittadinanza italiana è passata da 8.586.000 unità a
8.389.000 unità con circa 200.000
unità in meno (-2,29%).
L’occupazione degli italiani è diminuita soprattutto nel Mezzogiorno con un calo da 6.345.000 del
periodo pre crisi a 5.922.000 nel
2011 (423.000 posti con un -6,66%)
mentre nel Nord gli occupati italiani sono diminuiti da 10.974.000 a
10.565.000 (409.000 posti in meno
con un -3,72%).
Nel Centro l’occupazione è diminuita di di 173.000 unità (da 4.401.000 a
4.228.000 unità) con un -3,93%. Per
gli stranieri l’occupazione nel Nord
nel corso della crisi è aumentata da
947.000 unità a 1.360.000 (+43,6%)
mentre nel Sud l’aumento è stato del
71,3% passando da 171.000 unità a
293.000. Un aumento consistente del
lavoro immigrato si è registrato anche per il Centro con un +55,3% (da
385.000 a 598.000).
Bellezza Italiana
42
Lo Straniero
Lo straniero in casa mia,
può esser sincero e cortese,
ma non parla il mio linguaggio:
io non riesco a coglierne il pensiero.
Vedo il suo volto, e gli occhi, e la bocca,
ma non il suo spirito che vi sta dietro.
Gli uomini del mio stesso seme,
possono comportarsi bene o male,
ma le loro bugie son le stesse che si aspettan da me
- le bugie alle quali sono ben avvezzi.
E non abbiamo bisogno di interpreti
quando dobbiamo fare mercato.
Lo straniero in casa mia
- che egli sia buono o malvagio io non so dire quali forze lo dominano,
quali motivi scuotono il suo umore,
né quando mai gli dèi della sua terra
riprenderanno possesso del suo sangue.
Gli uomini del mio stesso seme
potranno anche esser perversi, ma,
almeno, sentono quel che io sento,
e vedono quello che vedo anch’io.
E per male ch’io pensi di loro e dei loro simili,
è la stessa cosa che loro pensan dei miei.
Questa era l’idea di mio padre,
e questa è anche la mia:
che le stesse spighe sian tutte in un solo covone,
e la stessa uva finisca tutta in un unico tino,
prima che ai nostri figli alleghino i denti
un più amaro pane ed un più amaro vino.
Rudyard Kipling
43
Manuale della
comunicazione
sull’immigrazione
E’ appena giunto ai giornalisti di tutte le redazioni italiane, Comunicare
l’immigrazione Guida pratica per gli
operatori dell’informazione, un vero
e proprio breviario del politicamente
corretto stampato dalla cooperativa Lai-momo di Bologna, in collaborazione con Caritas e Migrantes,
nell’ambito di un progetto del ministero del Lavoro e dell’Interno, finanziato con fondi europei (quindi soldi
che noi diamo a Bruxelles e che, gli
eurocrati girano a questi enti inutili
e dannosi). Centosessanta pagine di
informazioni si, ma soprattutto, una
sorta di libretto delle istruzioni del
bravo pennivendolo “sovietico”, la
cui litania è: «Anche se gli immigrati
commettono un alto numero di reati,
non è detto che l’equazione immigrati uguale a criminalità sia fondata».
Ecco dove può arrivare la mente
umana in preda a fantasie allucinatorie, colpita da patologia xenofila.
Dalla guida si apprende che secondo l’Interno il numero di immigrati
denunciati è il 31,6% del totale delle
denunce(a fronte del 7% di popolazione) e l’80% dei reati è commesso
proprio da stranieri(sempre a fronte
del 7% di popolazione).
Ma per il manuale buonista sono
i giornalisti che danno le notizie i
cattivi. Se la prende soprattutto con
certi giornalacci, colpevoli di causare «ingiustificato allarmismo», di
peccare di «superficialità ed eccesso
di stereotipi» e di parlare di migranti
«nel 52,8% dei casi, solo per articoli
di cronaca nera». Giornalisti pazzi
visionari, che scrivono sugli immigrati solo quando fanno qualcosa
di male. E per rafforzare la predica
cita tal Mario Morcellini, preside di
Scienze della comunicazione alla
Sapienza, che parla di «gigantografia
della paura da parte dei cronisti.
Poi la guida bigotta si mette a dare
anche i voti. Bocciato Il Giornale che
ha interrotto troppo presto la pagina
settimanale di Marina Gersony su
Milano multietnica, «che ha avuto
vita breve (2005-2007)». Promossi,
manco a dirlo, altri «quotidiani più
attenti alle questioni legate all’immigrazione» come L’Unità, Metropoli
di Repubblica e L’Espresso. Secondo il manuale del buon giornalista
le «poche eccezioni» in un mondo
di giornalisti senza cuore, sono Ra-
dio Articolo 1, collegata alla Cgil,
e Radio Popolare, vicina ai partiti
e movimenti di sinistra. Insomma,
per questa guida è eticamente scorretto parlare dei crimini commessi
dagli immigrati. Neppure quando,
nel 2010, un marocchino, drogato
e senza patente, falciò a morte sette
ciclisti nel catanzarese. O quando a
Genova, nel 2011, una donna venne
stuprata da un ghanese clandestino.
E neppure se, un mese fa, una banda
di romeni e albanesi venne beccata
a spacciare droga ai minorenni nella
provincia di Como. Dulcis in fundo,
proprio nei giorni in cui il governo
Monti vara la riforma delle pensioni,
che prolunga di tre anni l’uscita dal
lavoro (69 anni), la guida informa:
«Lo straniero, al compimento di 65
anni, può richiedere la pensione. Il
lavoratore immigrato che vuole tornare nel proprio paese prima di aver
maturato il diritto alla pensione, conserva tutti i diritti previdenziali e di
sicurezza maturati, e potrà ottenere
la totalizzazione dei contributi previdenziali maturati in Italia con quelli
versati nel proprio paese». Alla luce
di questa nebbia censoria che sta calando sul già asfissiante ecosistema
del giornalismo italiano, la nostra
missione assume un’importanza ancora più grande. Per fortuna nostra,
e vostra, noi siamo “eticamente scorretti”.
tuttiicriminidegliimmigrati.com
44
45
Pronta la legge bavaglio
sull’informazione libera
Il governo Monti sta per varare un
giro di vite contro un presunto “razzismo online”(di fatto vuole limitare
la libertà dei blog). Lo ha annunciato il ministro per l’Integrazione e la
cooperazione internazionale, Andrea
Riccardi. “ Stiamo lavorando insieme al ministro della Giustizia Severino e dell’Interno Cancellieri per
dare risposte nette e chiare contro i
seminatori di odio via internet”.
“L’idea - ha anticipato Riccardi - è
quella, a grandi linee, di utilizzare
strumenti usati per combattere altri
reati del web e che hanno dimostrato di essere efficaci. Ciò permetterebbe alla polizia postale di arrivare
all’oscuramento dei siti razzisti e di
perseguire anche il visitatore non
occasionale di queste pagine vergognose”.
Il ministro per la Cooperazione internazionale e l’Integrazione Andrea Riccardi ha ricevuto nella sede
del ministero Abraham H. Foxman,
direttore dell’ Anti-Defamation League. Nel corso del colloquio sono
stati affrontati soprattutto i temi legati al razzismo e all’antisemitismo:
«Ci sono troppe parole di odio - ha
detto Riccardi - anche nella dialettica
politica: un fatto che in un momento
di crisi economica globale può scatenare processi violenti». Foxman si
è detto molto interessato alla costituzione di un ministero che concentra
le deleghe in materia di integrazione, di lotta al razzismo e di cooperazione internazionale: «E’ una novità
importante, introdotta in Italia alla
quale tutta l’Europa deve guardare
come esempio da seguire». Analogo
interesse Foxman ha espresso per la
Conferenza nazionale permanente
su religioni, cultura e integrazione,
insediata da Riccardi nei mesi scorsi. Il ministro, infine, ha espresso a
Foxman la sua preoccupazione «per
la recrudescenza di fenomeni di antisemitismo e di negazionismo su Internet». Una questione, ha aggiunto,
«alla quale occorre porre un freno».
Ovviamente il ministro Riccardi si
è ben guardato dal dire chi sarà a
giudicare “opinioni o affermazioni
di stampo razzista o antisemita”. A
prescindere che un tale giudizio delinea già implicitamente una “dittatura del pensiero”, siamo convinti che
l’eventuale “giuria” sarebbe inevitabilmente un tribunale politico, strabico e funzionale solo a far tacere
le poche, pochissime, voci libere e
scomode del nostro paese.
Aiutiamo la comunità
italiana in Crimea
Il Sindacato Italiano ( SI ), che fa
della difesa dell’ITALIANITA’ e della tutela delle ragioni dei lavoratori
italiani la sua ragion d’essere - indipendentemente dal luogo di residenza sia esso in Italia o all’estero
- avvia una campagna di sensibilizzazione e di aiuto in favore della
46
minoranza italiana vivente in Crimea
( parte della Ucraina), in particolare
nella Regione di Kerc sul Mar Nero.
La presenza della minoranza italiana
a Kerc consta, ad oggi, di poco piu’
di 300 italiani di origine, discendenti dei sopravvissuti alla deportazione
ed allo sterminio attuato in modo sistematico e criminale negli anni ’40
nella Russia comunista su ordine del
dittatore STALIN. Si è trattato di un
vero e proprio olocausto dimenticato
volutamente da gran parte dei “media” a partire dal dopoguerra fino
ai giorni nostri, che è costato la vita
ald oltre quattromila italiani di origine, le cui famiglie erano emigrate
dall’Italia (soprattutto dalla Puglia)
alla fine dell’800 nell’allora Russia dello Zar Alessandro II. Accolti
favorevolmente dal governo zarista
in quanto bravi artigiani e solerti lavoratori per fra progredire economicamente la Crimea, sottratta nel frattempo all’impero Ottomano in via
di dissoluzione, riuscirono a sopravvivere nel nuovo regime comunista
fino al 1942. In tale anno furono deportati su carri bestiami e trasferiti,
quelli rimasti vivi, nei campi di lavoro nell’Asia centrale, ove la stragran-
de maggioranza perirono tra atroci
ed inenarrabili sofferenze. Caduto il
regime comunista, allo stato attuale,
alla sparuta comunità di sopravvissuti non è stato riconosciuto loro lo
status di deportati, né è stata restituita la cittadinanza italiana, da parte
dell’Italia, in quanto appunto di origine italiana. Malgrado tutto ciò continuano a sentirsi pienamente italiani
(forse più di tanti italiani residenti
in Patria), praticando usi,costumi e
lingua del territorio d’origine. Pertanto, chiedono un aiuto a quanti
possono per far studiare i loro figli
con delle borse di
studio all’Università per stranieri (sic!)
a Perugia,nonchè a
costituire la Casa
della Cultura Italiana
nella regione di loro
residenza a Kerc (
Crimea-Ucraina) ed ,
infine,a vincere la loro
annosa battaglia per
ottenere finalmente la
cittadinanza italiana.
Con tale campagna
di soccorso in loro
favore, il SINDACA-
47
TO ITALIANO intende diventare, in
quanto unica forza sociale a fianco
di tale comunità di origine italiana
all’estero, il loro Tutor nella assistenza e nell’ottenimento delle loro
ragioni umanitarie, ancora colpevolmente disattese da parte delle autorità italiane.
AIUTACI AD AIUTARLI, aderendo alla campagna “SOS FRATELLI
ITALIANI IN CRIMEA”. Segreteria
Confederale SICEL
per info: [email protected]
C’era una volta
Italia-Germania
Cosa significasse un dì la nazionale per la Germania lo si può capire
soltanto se si ha avuto la fortuna di
guardare “Il miracolo di Berna”, film
che registra con magistrale tocco
carico di pathos come sulla traccia
della vittoria mondiale del 1954 le
diverse generazioni di un popolo ferito, occupato, diviso, abbiano saputo rinascere e sollevarsi con orgoglio
e dignità.
Un tempo qualunque giocatore indossasse la casacca bianca della squadra
tedesca si trasformava in un guerriero. Un tempo noi italiani, più furbi e
un po’ indolenti, tiravamo di fioretto
ma poi di colpo anche di sciabola e,
con orrore degli inglesi e dei francesi, arrivavamo spesso in fondo.
Eravamo, gli uni e gli altri, i dominatori dell’Europa e per sette volte sul
trono del mondo.
E, cosa bizzarra, mai, dicasi mai, i
tedeschi ci batterono in una partita
48
ufficiale.
Era Italia-Germania.
Il nome della rosa
Anche stasera apparentemente è
così, ma lo è solo nominalmente,
“nel nome della rosa”, perché tutto
in realtà è cambiato.
Tutto è cambiato con la volontà politica mondialista imposta mediante
le pay tv.
Una volontà mondialista che si fonda
sull’internazionalismo e sull’intercambiabilità delle nazionalità. Antiidentitaria per scelta e per calcolo;
totalmente anti-identitaria.
E’ dalla Francia che quest’azione
politica, programmata, partì già negli anni ottanta e poi, pian piano, fu
accolta più o meno da tutti.
Così anche in Germania da qualche
anno si è avviata la rivoluzione. In
campo una serie di naturalizzati tedeschi, che vengono dal Maghreb,
come dalla Turchia, dalla penisola
iberica come dalla Polonia (ma visto
che quest’ultima ha inglobato ampie
regioni storicamente tedesche per secoli e restate tali fino all’ultima guerra, forse in quest’ultimo caso le cose
stanno un po’ diversamente).
Per il resto: il passaporto? Se lo vuoi
te lo prendi. Magari non vale per tutti, ma di certo per i calciatori.
Non è una gran novità. Quasi
vent’anni fa la Gazzetta dello Sport
pubblicava la lettera di un lettore
che non intendeva polemizzare con
Cafu, il quale per poter essere considerato comunitario aveva ottenuto a
tempo di record il passaporto italiano
per via di un presunto trisavolo nato
nella Penisola. Perché mai però si
chiedeva il lettore mia moglie, nata
in Germania da ambo i genitori italiani e sposata con un italiano non ha
ancora ottenuto la cittadinanza già
richiesta da anni?
Questi escamotages, così facili per i
divi sostenuti da sponsores, stridevano e tuttora stridono con la quotidianità.
“Antirazzismo”?
Da allora però se n’è fatto un altro
uso e sono grimaldelli. Perché Cafu,
“italiano” per cavillo è pur sempre
rimasto brasiliano e ha sempre giocato nel Brasile.
Viceversa in Europa da qualche anno
in qua è partita la campagna per fare
delle nazionali non più le espressioni
di una nazione ma dei collages.
Nel 2006 D’Alema e la Melandri, che
ci rappresentavano a Berlino quando
ci laureammo campioni del mondo,
si scusarono praticamente con tutti
annunciando che presto anche noi
avremmo avuto una selezione multiculturale e multirazziale.
L’omogeneità era già diventata politicamente scorretta.
E questo in nome di uno sbandierato
“antirazzismo” che se approfondiamo non c’entra minimamente con
tutto ciò. Anzi, dietro una parvenza
ecumenica si cela, e neanche troppo
bene, un enorme disprezzo.
Nazione, da natio, indicava (e giuridicamente tuttora indica) la discen-
49
denza sanguinea. Che, tradotto nella
norma in vigore, non significa che
per appartenervi si deve essere figli
di due bianchi, ma figli di almeno un
genitore italiano. Oppure aver acquisito sul campo di battaglia, o con il
sangue versato, una comunità di destino.
Nel che, in ogni caso, si è sempre andati cauti. Pochi anni fa si spegneva
in Francia un uomo nato in Italia che
nel 1914 si era arruolato nell’esercito francese per combattere la Grande
Guerra e che, restato colà, sposata
una donna di lì, avendo avuto da ella
dei figli e trascorsa la vita nel Paese
transalpino, aveva ottenuto la cittadinanza francese solo dopo oltre quarant’anni.
Assurdo direte voi? Per niente.
“Cambiare” nazionalità non è una
cosa così priva di significato, in realtà richiede più responsabilità del
cambiare sesso. E inoltre “concedere” la propria nazionalità a qualcuno
non è sinonimo di rispetto per lui ma
al contrario sottende una presunta
superiorità di qualcosa che, appunto,
si concede a qualcuno che, volenti o
nolenti, si considera inferiore.
Dei fratelli Boateng quello più fiero e
orgoglioso è di certo il milanista che,
fregandosene altamente della possibilità di diventare campione con
la maglia tedesca, ha rivendicato la
sua identità ghanese ed ha giocato il
mondiale con la sua gente. Il terzino
del Bayern, che ha scelto invece di
farsi tedesco, non ha fatto una gran-
50
de figura, né migliore l’hanno fatta
i tedeschi accogliendolo paternalisticamente.
Per antirazzismo? Ma cosa significa
razzismo? Disprezzo degli altri? Se
questo è il significato allora naturalizzare un Boateng, quella è stata una
scelta razzista. Se il suo significato è
invece la difesa delle specificità, allora il Boateng ghanese ha fatto lui
una scelta razzista. E se così è stato
si è trattato di un razzismo nobile e
ammirevole.
Razzismo e dintorni
Il Camerun del 1990, il Senegal e
la Turchia del 2002, il Giappone
del 2006 mi hanno dettato non solo
simpatia ma ho fatto anche una certa
dose di tifo per loro. Razzismo? Forse. Basta che ci si metta d’accordo su
quello che significa.
Se significa difendere e affermare
tutte le culture e tutte le diversità,
allora tenere per i pellerossa e per i
palestinesi, come ho sempre fatto, è
razzismo.
E guardare con orrore allo sradicamento globale, volto a costruire plebi
prive d’identità, alla Harlem in Nike,
tutte chewing gum, ketchup e “diritti
delle minoranze” che ledono quelli
dei popoli, chiamatelo come vi pare.
Se lo volete chiamare razzismo fate
pure, non mi scandalizzerò.
In ogni caso che, sulla falsariga dei
complessi di D’Alema e della Melandri, cavalcando l’onda dell’europeo della nostra inedita (multi)
nazionale con ben tre naturalizzati su
ventitré, prima Fini, poi Napolitano
e infine Bersani, senza che nessuno
se ne sia accorto, stiano proponendo
il passaggio allo ius soli e, quindi, la
retrocessione della nazione ad un agglomerato geografico che non avrebbe fatto felice neppure Metternich, è
inquietante.
Né ci si venga a menar il can per
l’aia raccontandoci che gli immigrati onesti che lavorano da noi hanno il
diritto di diventare italiani. I diritti e
la nazionalità sono due cose ben distinte, tanto che a volte i primi sono
addirittura maggiori per chi non ha
la seconda.
Si osservi piuttosto che questi immigrati onesti e lavoratori solitamente
sono fieri della loro nazione, della
loro cultura e della
loro identità e che
pretendere d’imporre
loro le nostre, un po’
come se li emancipassimo, è vergognoso e imbarazzante.
Questo coacervo di
sottili violenze “liberatorie” è minaccioso per tutti, come lo
è quasi tutto ciò che
passa per progresso
morale e civile.
Lo è per l’Italia come
per tutte le nazioni
51
che abbiano un retaggio e una radice.
Non lo è certamente per quelle americane che queste trasformazioni ce
le suggeriscono perché lì le nazioni sono state sterminate da tempo
dagli invasori multiculturali i quali
debbono sopperire artificialmente
all’assenza di radici e laddove non
c’è alcuna sede primigenia devono
inventarsi come “terra promessa”.
Una terra promessa, che si vuol fare
globale, e che vuol distruggere usi,
costumi, storie, leggende, miti, gusti,
per approdare ad una standardizzazione senz’anima.
Ed è in questo preciso processo che,
ostaggi di queste politiche oligarchiche e di questa volontà pangenocida
sulla quale si fonda il mondialismo,
due squadre nominate Italia e Germania si affrontano stasera.
Buon “nome della rosa” amici miei,
e che le spine non vi facciano troppo male quando vi risveglierete dai
circenses utilizzati da quelli che non
solo il panem ma anche l’orientamento vogliono farvi perdere. E che,
a giudicare da quanto vedo, ci stanno
riuscendo perfettamente.
Se ci riuscite provate pure a credere che quella di stasera sia la solita
storia.
L’uomo è maestro nel rappresentarsi la realtà come vuole, peccato che
quest’ultima se ne freghi di come
egli la infiora.
Gabriele Adinolfi
Centro studi Polaris
Scarica

agostoduemiladodicila rivistadegliitaliani