Numero XII - marzo 2014 EDITORIALE OMAGGIO A NELSON MANDELA P. 3 VITA INTERNA INTERVISTA A VIRGINIO MEROLA P. 4 INTERVISTA A IVANO DIONIGI P. 5 INTERVISTA AL MINISTRO MAURIZIO LUPIE GIANLUCA GALLETTI P. 6 A CHRISTMAS DINNER P. 7 VITA ESTERNA università e ricerca, tasto dolente di un paese morente P. 8 “via zamboni non è un letamaio” P. 9 una sfida per l’italia del futuro: salvare la terra dei fuochi P. 10 in cerca di bologna: spring hill studentS remember their italian semester P. 11 VITA CAMPLUS TWO IS GOOD, FOUR IS BETTER IN DUE VA BENE, MA IN QUATTRO è MEGLIO! P. 12 LA VITA BOLOGNESE P. 13 CULTURA NICOLAS WINDING REFN: MONOGRAFIA DI UN DELIRIO P. 14 GIOVANNI ALLEVI. UN UOMO, UN ARTISTA, LA GENUINA SEMPLICITà DI UNA COMPLESSA PERSONALITà P. 16 LE NOVITà HI-TECH 2014 P. 17 RECENSIONE LIBRO: “MISTERI, CRIMINI E STORIE INSOLITE DI BOLOGNA” P. 18 angolo dellE poesiE P. 19 NBA, MADE IN ITALY P. 20 LE LECCORNIE DEL NOSTRO PAESE ricettE DI SICILIA: “A PASTA CHI SARDI” P. 21 TORTA TENERINA P. 22 LA VIGNETTA P. 23 Camplus International Camplus Alma Mater Sede San Felice Via G.A. Sacco, 12 40127 Bologna www.camplus.it [email protected] Direttore Alberto Acuto Cristiana Di Tommaso Redazione Elena Baldi Martina Caruso Chiara Cordella Mary Jane Dempsey Raffaella Dicuonzo Alessandra Di Vanna Gianluca Fini Daniele Licheri Giuliano Manfreda Jolanda Pappalardo Lidia Porfiri, Francesca Ranalli Salvo Sapienza Davide Scalinci Giovanni Silva Sabrina Tauro, Martin Torosantucci Silvia Zanarotti Editoriale Omaggio a Nelson Mandela di Alberto Acuto & Cristiana Di Tommaso Apriamo questo secondo numero con un omaggio a Nelson Mandela, poliedrico personaggio della storia contemporanea. Si Ringraziano vivamente tutti i ragazzi che hanno collaborato a questo numero: Gabriele Pruneddu per l’articolo sul Basket Carlo Stoppani per l’aiuto alle interviste Paolo Di Marcantonio per le foto all’alpertura del Bononia Isabella Giancola e Andrea Paracchini per le foto della cena di Natale Jerome Cochan e Bieke Deprince per il racconto della loro esperienza a Bologna Eugenia Brera per le foto della festa di Jerome e Bieke Elizabeth Sabetta e Karissa Hansen per l’articolo sullo Speaking Partner Project Complimenti a Carmen Perez Calabuig e Alessandra Di Vanna e a tutti gli altri partecipanti del contest fotografico! dicembre 2013 © Camplus Alma Mater Ciao regaz! Siamo lieti di presentarvi il nuovo numero del nostro amato giornalino! Nonostante la pressante sessione d’esami e la rinuncia a preziose ore di sonno, con l’attiva partecipazione di voi tutti (che ringraziamo di cuore!) siamo qui a mostrarvi la nostra più recente creazione... Nel primo numero vi avevamo promesso che avreste trovato più internazionalità e, siccome siamo di parola, questa volta vi proponiamo articoli in inglese, frutto della collaborazione con lo Spring Hill College e con i ragazzi Erasmus, che hanno deciso di condividere con noi le proprie “esperienze italiane”. Il numero è stato arricchito anche grazie ai contributi apportati da collegiali e studenti internazionali, con articoli, fotografie ed interventi vari. Passate dalla pagina facebook “Il resto del Camplus” per essere sempre aggiornati sugli ultimi articoli, contest, dibattiti ai quali siete -CALDAMENTE!- invitati a partecipare... Buona lettura, regaz! Cristiana e Alberto Vita interna Intervista a Virginio Merola Vita interna Intervista a Ivano Dionigi Inaugurazione Camplus Bononia - 22 novembre 2013 di Carlo Stoppani Inaugurazione Camplus Bononia - 22 novembre 2013 di Cristiana Di Tommaso dell’abbonamento. Non abbiamo fatto distinzioni tra studenti e giovani e per questo abbiamo un aumento degli abbonamenti del 16%. Originario di Santa Maria Capua Vetere, a cinque anni si trasferisce a Bologna e vi rimarrà per tutto il corso degli studi, conclusi con la Laurea in Filosofia. E’ tra i fondatori del Partito Democratico e dal 24 Maggio 2011 è Sindaco del capoluogo emiliano. Sindaco, riguardo tutti coloro che hanno intenzione di venire a studiare qui a Bologna e considerando l’entità consistente delle tasse da sostenere per poter accedere ai servizi offerti dall’Alma Mater, noi studenti avevamo pensato ad una proposta, ossia: come accade già in alcune città italiane, o di comprendere nella quota versata all’Ateneo l’abbonamento dell’autobus (o di altri mezzi di locomozione per raggiungere l’università) o di essere comunque agevolati economicamente. Lei pensa che questa proposta sia da tenere in considerazione o vi sono dei limiti che non possono essere superati? Oggi noi abbiamo difficoltà di bilancio come in tutti i comuni però in città, io direi che i ragazzi delle elementari non pagano l’autobus; fino ai 27 anni c’è un abbattimento, quasi un dimezzamento, del costo Riguardo l’inaugurazione di questa struttura, che ospita studenti non solo italiani, lei pensa che questa “formula di accoglienza” sia valida ed adatta anche per incrementare l’arrivo di altri studenti? Beh, per essere attrattivi bisogna saper essere ospitali..questo sicuramente è un polo d’eccellenza, dal punto di vista della qualità… penso che ci voglia una città accogliente nel senso che abbia servizi, che sia bella da vedere, abbia degli spazi e delle opportunità culturali, una forte offerta culturale come questa città ha, dal cinema al teatro, alla musica (è città della Musica dell’Unesco) ed ha la possibilità anche di mettersi alla prova, di fare esperienza e, allo stesso tempo, è una città capace di avere relazioni con il mondo..questa è la caratteristica di Bologna: è una città attrattiva in questo senso per gli studenti che vengono da ogni parte del mondo. Perfetto! Se mi concede un’ultima domanda in relazione a ciò che ha appena detto.. Bologna è sicuramente un centro attrattivo però quello che viene da chiedersi, soprattutto a persone esterne, è come è possibile che la città riesca a vivere il contrasto, ad esempio, tra il Teatro dell’Opera e Piazza Verdi di fronte? Questo riflette la differenziazione nel tessuto sociale di Bologna, che poi è anche il motivo per cui stanno protestando qui fuori in questo momento… Lei pensa che ci sia un fattore scatenante ben preciso e che ci sia qualcosa da risolvere? Contrapporre il diritto all’istruzione al merito e alle capacità lo trovo del tutto sbagliato.. la strada è quella di riuscire a concordare che la priorità per il futuro è investire nell’istruzione, nella formazione e nella ricerca. Non credo che ci sia una contrapposizione tra gli studenti su questo, ma credo che ci sia la possibilità di riconoscere un futuro alle nuove generazioni, perché avendo un tasso di disoccupazione così alto nel nostro Paese, dichiaro che c’è una difficoltà di fondo che però non deve permetterci di abbandonare la centralità della formazione. Formarsi e laurearsi serve,comunque. Latinista italiano, ex professore ordinario di Letteratura Latina, attualmente è il Magnifico Rettore dell’Alma Mater Studiorum. Il 10 novembre 2012 viene nominato da Benedetto XVI presidente della neonata Pontificia Accademia della Latinità. Innanzitutto volevo comunicarLe che ho apprezzato molto la mail che Lei ha inviato a tutti i docenti per renderci partecipi dei sottofinanziamenti cronici e di tutti gli svantaggi che noi studenti siamo costretti a sopportare a causa di ciò che accade nel Governo. Ho apprezzato molto l’intervento soprattutto quando si sostiene che si tratti dell’ennesimo affossamento del principio di meritocrazia, nonostante la consapevolezza che su istruzione e ricerca si giochi il futuro del Paese. Quindi volevo chiederLe, considerato tale problema del sottofinanziamento, come si pensa di risolvere quelli che si ritiene essere i problemi legati strettamente al taglio dei fondi, soprattutto a seguito della legge che è stata approvata dal Senato il 7 Novembre? Mah, ieri abbiamo avuto anche la conferenza dei Rettori..le prospettive non sono rosee, però ancora non si dispera di poter acquisire quel fondo (che poi si parla di una miseria) di 41 mln che servirebbero, almeno simbolicamente, a dare un segnale che si vuol premiare i più meritevoli, perché se non avessimo un finanziamento additivo supplementare alla fine veniamo tutti schiacciati con la stessa perdita, cioè vale a dire che gli Atenei che non meritano o che hanno demeritato perdono il 5% nel bilancio, mentre chi ha meritato perde il 4.7%: quindi vorrebbe dire che fare o non fare, fare bene o fare male, è la stessa cosa e questo sarebbe il messaggio peggiore. Quindi io ancora mi auguro che questo non avvenga perché le sue conseguenze sarebbero disastrose come messaggio. Un’agenzia nazionale di valutazione per due anni ci ha stressati con le valutazioni,ci ha preso tutte le misure, sarete giudicati, valutati e premiati o puniti a seconda degli esiti. Poi, un bel giorno capita che questo non avviene e questo porterebbe ad una crisi di credibilità insopportabile in tutto il sistema. E infatti i miei colleghi mi dicono “ma allora, Rettore, tu ci stressi, ci fai correre e tutto ma poi alla fine, va bene “virtus per se ipsa premium”,chi è virtuoso…però, voglio dire, il problema è che il diritto allo studio è fare un bel collegio, fare le mense, dare le borse.. ma il diritto allo studio è anche non tagliare i corsi e reclutare professori migliori..se uno non ha questi fondi e se a quell’università che più corrono e più si affermano a livello internazionale dicono le agenzie, non io, che Bologna è la migliore italiana, se questo non ha un riconoscimento e ci chiedono anche di competere..praticamente abbiamo una classe politica che io faccio fatica a capire..qui il problema è di una scelta veramente politica: o si crede che dalla materna alle medie, ai licei, alle scuole superiori, all’università, col dottorato ci si giochi il futuro del Paese come si crede che il bene della salute sia un bene pubblico da tutelare, il bene della mente e dell’anima e la salute del corpo sono i due primi valori..o si crede a questo e si tirano le conseguenze, o sennò fate come vi pare, non siamo degni di questo Paese..io sono un ottimista impenitente,continuo a credere che..ciò che mi spinge a credere è soprattutto questa mia comunità di docenti, di tecnici e di studenti che marciano e reggono e quindi nonostante tutti i colleghi dipendenti abbiano gli stipendi bloccati da tre anni, nonostante che le matricole ogni anno aumentano, le leggi e la burocrazia ci devastano e quindi più lavoro, meno stipendi, più disagio e otteniamo risultati paradossalmente competitivi e che primeggiano, però voglio dire, questo lo si può chiedere a chi è iscritto all’Avis, a chi fa i voti di castità, povertà e obbedienza, non so se alla lunga lo possiamo chiedere anche a chi…(non finisce la frase) questo non lo so..non voglio,finchè son Rettore, aumentare di un solo euro le tasse..penso che il diritto allo studio sia un dovere prioritario dello Stato. Ecco, questo dice la Costituzione, io mi ostino a credere che questo deve essere il primo dovere di un Paese civile. Focalizzando invece la nostra attenzione sul valore dell’università, partendo dal presupposto che questo valore non sia stimato sulla base di finanziamenti che effettivamente l’Università riceve, quale è il vero valore del nostro Ateneo, l’Alma Mater? Io credo che l’Ateneo abbia un di più.. Bologna non è il Politecnico, non è la Normale di Pisa, un piccolo collegio..è una grande comunità, un grande studio generale con tutti i saperi e questo ovviamente è un di più che mescola i saperi,unisce le culture. E poi ha la storia…e per vocazione storica questa è l’università degli studenti. Vita interna Intervista al Ministro Maurizio Lupi Vita Interna A Christmas dinner Inaugurazione Camplus Bononia - 22 novembre 2013 di Francesca Ranalli Maurizio Lupi, milanese di nascita, laurea in Scienze Politiche e carriera da giornalista, è stato Vicepresidente della Camera dei Deputati per il PdL per la XVI legislatura e riconfermato nella XVII fino alla nomina,il 28 aprile 2013,a Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti (governo Letta). Situazioni come queste sono la dimostrazione di come la forza dell’Università non è quella della sua stanzialità, ma è quella di permettere a tutti (l’esperienza dei ragazzi internazionali a tal proposito è molto significativa) di andare a scegliere un sistema dove c’è eccellenza, dove ci si può formare, incontrare, “avere l’occasione fondamentale ” per essere pronti, formarsi e dare il proprio meglio nella società. Allora il dovere che noi abbiamo è esattamente quello di permettere che l’opportunità sia per tutti, anche tramite la costruzione di luoghi d’eccellenza che permettano di concludere il processo formativo dello studente e per far questo anche la migrazione e l’incontro sono importanti. Il tema dei campus e degli alloggi universitari a tal proposito diviene fondamentale e, tra l’altro, diviene anche di competenza del Pubblico. Io ricordo la mia esperienza universitaria a Milano e tutti i miei compagni che avevano difficoltà nel trovare un alloggio in grado di poter completare il loro processo di formazione, convivere, continuare a stare in compagnia e mi ricordo che fondammo una cooperativa universitaria che aveva come obiettivo quello di dare una risposta concreta agli altri ragazzi. Questo rappresenta un desiderio di approcciarsi alla realtà e di esserne protagonisti e sicuramente a lungo andare se ne ricaveranno i frutti…per questo, anche, non capisco le proteste, perché il problema non è quello dei ricchi e quello dei poveri, ma è la possibilità di permettere a tutti, indipendentemente dal reddito, di usufruire di una cosa così, pubblica o privata che sia. Bisogna creare opportunità per tutti di crearsi la propria partita e mettersi in gioco, tramite la risorsa pubblica che diventa un moltiplicatore della risorsa privata. Intervista a Gianluca Galletti Inaugurazione Camplus Bononia - 22 novembre 2013 di Cristiana Di Tommaso Nato a Bologna nel 1961, politico appartenente alla schiera dell’UdC (di cui diviene capogruppo alla Camera), il 2 maggio 2013 viene nominato Sottosegretario al Ministero dell’Istruzione sotto il Ministro Carrozza (governo Letta). La prima domanda che le rivolgo è in merito agli scenari che si prospettano in particolare per noi studenti, a seguito soprattutto delle nuove leggi, come quella del 7 Novembre che comunque ha previsto dei tagli ai finanziamenti. Noi chiediamo più che altro quali sono le prospettive,di miglioramento o meno, nel medio e lungo termine, particolarmente in relazione alle vicende di quest’ultimo mese ed anche cosa noi studenti dovremmo aspettarci sulla base di ciò a cui voi state lavorando. Allora..noi con quel decreto del 7 Novembre abbiamo voluto dare un segnale: basta tagli lineari sulla scuola; sulla scuola bisogna investire. Poi, capisco anch’io che 450 mln non risolvono i problemi decennali della scuola, dell’Università e della Ricerca, però con questi soldi abbiamo affrontato alcune priorità come l’edilizia scolastica (40 mln per pagare le rate dei mutui,quote,interessi e capitale che le regioni possono contrarre per fare edilizia scolastica), tra l’altro già trattata nel ‘’Decreto del Fare’’, il welfare, con 15 mln per aiutare gli studenti più deboli per quanto riguarda il trasporto; abbiamo investito non ricordo quanti mln per il wireless nelle scuole e 100 mln sul diritto allo studio in maniera triennale e siamo intervenuti sulla dispersione scolastica. Come ogni anno, presso la residenza dell’Alma Mater, si è tenuta l’attesissima Cena di Natale Camplus, ma che per la prima volta, il 17 dicembre di quest’anno, ha visto protagonisti tutti e tre i collegi dell’area bolognese insieme, un folto branco di studenti affamati, pronti ad attaccare le numerose pietanze dell’“abbuffet” e, in alcuni casi, anche i camerieri! Tra i famelici ospiti della serata c’erano anche l’attore Franco Palmieri e il musicista Pierpaolo Bellini, insieme registi della rappresentazione teatrale “Due sfortunati amanti” tenutasi in loco, che ha visto in scena, nelle vesti dei personaggi di Romeo e Giulietta, alcuni studenti di Alma Mater, San Felice e Bononia, donandoci uno spettacolo unico, inimitabile… e a porte chiuse! (Nel senso che molti studenti che volevano assistervi sono stati sbattuti fuori perché arrivati con qualche minuto di ritardo). Aaaah, capricci da star! Ma a proposito di star, la rivelazione della serata, a parte il Direttor Guidetti che balla Gangnam Style, è stato il gruppo rock formato da Salvo “Salvo” Sapienza, Gianluca “Giaggiù” Fini, Giampaolo “Pasta” Lacarbonara e Nicola “Dobby” Mottolese, che ha allietato gran parte della serata mandando la folla letteralmente in V-I-S-I-B-I-L-I-O!!!!! Persone che urlavano, donne che piangevano, reggiseni che volavano… va beh, forse un po’ è stato anche merito del vino e dello spumante, gentilmente offerti dalla Direzione, per affrontare CARICHI il momento più atteso… La lotteria? No! IL BRINDISI DEL DIRETTORE!!!! “Prima che non ci conoscevamo, bevevamo! Adesso che ci conosciamo, beviamo, beviamo, beviamo, finché non vomit…” ehm “… finché non ci conosciamo!”. Il tormentone ha contagiato anche alcuni studenti abruzzesi dell’Alma Mater, che han lasciato gli stazzi per andare verso il mare e tutti insieme il Capodanno festeggiare! (Vi siamo vicini). Tanti ricchi premi, risate, l’impeccabile esibizione dell’Almusicorum di nuova generazione e JibJab sono stati poi gli elementi immancabili della serata, che hanno contribuito a renderla come sempre speciale e, per questo, tanto attesa. Il primo premio della lotteria quest’anno, uno splendido i-Pad Apple, è andato (a Giuliano! No, scherzo XD) al nostro responsabile di giornalino Alberto Acuto, con il quale guiderà meglio tutti noi e Il Resto del Camplus verso la gloria! O anche verso un brillante futuro va bene. (Ti sei salvato per quest’anno, Giuliano). Buone Feste passate a tutti! Vita esterna Università e Ricerca, tasto dolente di un paese morente Vita esterna “Via Zamboni non è un letamaio!” di Salvo Sapienza di Alberto Acuto Dal Paese che ha dato i natali ad alcune tra le più grandi menti che hanno illuminato il panorama mondiale nel corso dei secoli ci si aspetterebbe una più rosea visione del mondo della Ricerca. Oggi, invece, ci troviamo davanti ad un desolante scenario, dove l’università è tristemente lasciata morire e falcidiata come prima vittima sacrificale dei tagli al budget. Ma le condizioni della Ricerca in Italia sono davvero così tragiche, tanto da doverne celebrare gli elogi funebri, o stiamo solamente sottovalutando le nostre potenzialità? Certo, la situazione non è delle migliori: lo Stato italiano investe molto meno di altri che, sulla carta, godono di minore considerazione e prestigio, contrariamente a quanto ci si aspetterebbe per mantenere l’attuale status di potenza economica. Ma c’è un segnale, forte, che ci dà la speranza per continuare: la nostra qualità. Nonostante tutti i problemi, l’Università italiana rimane tra le migliori nel mondo e sforna studenti pronti per il mercato globale già dopo la laurea triennale (ancora fin troppo sottovalutata). I nostri laureati, infatti, che in patria trovano molte difficoltà ad affermarsi, riescono ad eccellere in tutto il mondo con discreta facilità. Esempi di questo fatto? Prendiamo il team che al CERN ha scoperto il Bosone di Higgs: era formato principalmente da ricercatori provenienti dall’Italia. Questa è solamente una piccola dimostrazione delle tante che se ne possono trovare in un qualsiasi settore della ricerca, con riscontri e giudizi positivi che arrivano da tutto il mondo. Ovviamente molto si fa anche nel nostro territorio, dove i ricercatori, a fronte della precarietà dei contratti e delle difficoltà derivanti dai pochi fondi a disposizione, riescono ad ottenere risultati stupefacenti. Scorrendo la lista delle 10 scoperte scientifiche dell’anno appena trascorso, stilata dal noto quotidiano “Il Corriere della Sera”, notiamo come il contributo italiano sia stato fondamentale. Infatti, il primo microlaboratorio quantistico a fotoni, un simulatore di urti quantistici, è stato costruito sotto la supervisione del CNR del Politecnico di Milano e dall’università “La Sapienza” di Roma. Altro importante successo, conseguito sempre a Roma, è stato riuscire prevedere, e per la prima volta osservare, l’esplosione di una Supernova che si trovava nella costellazione del Leone, a “soli” 4 miliardi di anni luce da noi (quindi all’incirca nel momento in cui si stava formando la Terra). Che la classifica sia un po’ di parte glielo concediamo, perché è giusto dare importanza al grande lavoro che si fa anche qui, ma di certo è indicativa di quanto l’Italia sia ancora viva e in piena attività. Apro una piccola parentesi riguardo le lotte che negli ultimi mesi si stanno combattendo tra animalisti e ricercatori. La sperimentazione animale è una pratica necessaria alla scienza – e qui sottolineo scienza farmaceutica e medica, non cosmetica o altro –, poiché senza la possibilità di osservare su animali vivi l’evoluzione di un virus o di testare un principio attivo destinato ad essere usato sugli esseri umani non si sarebbero potute sconfiggere malattie che fino a 100 anni fa causavano delle vere e proprie catastrofi. Senza nulla togliere agli animalisti, di cui considero comunque lodevole l’impegno per la causa, vorrei solo invitare ad una maggiore lungimiranza, poiché le loro azioni sembrano mosse da ideali troppo lontani dalla realtà e fuorviati dai media, ed ottengono come unico risultato lo svilimento di tanto lavoro, complicando ulteriormente la situazione di un settore già in difficoltà. La crisi strutturale ed economica che attanaglia l’Italia è molto grave e invocare senza cognizione di causa fondi per la ricerca è quanto mai fuori luogo, perché ovviamente esistono delle priorità, ma non si può continuare a penalizzare un ambito che ha le chiavi per una ricrescita importante. Il ruolo della ricerca è quello di creare nuove possibilità, per la scienza in primis, ma specialmente per le persone, per il Paese, per l’industria, portando lavoro e occupazione, ridando fiducia ad un popolo che sembra averla persa. La nostra speranza è quella di riavere un Paese competitivo, fatto dalle piccole e medie imprese (com’è stata la Fiat) protagoniste del grande boom economico degli anni ‘50 e ‘70 del secolo scorso, che hanno gettato le basi per un presente travagliato ma comunque stabile. In questa notte così buia si aspetta solo l’arrivo di una nuova alba. (Speriamo.) “Uno schifo”. Con queste parole, cariche di rabbia, Martina posta su Facebook una foto che ritrae un muro imbrattato un paio di giorni dopo essere stato tinteggiato per l’ennesima volta. “E questo è niente”, scrivono i suoi amici nei commenti. Alludono chiaramente al degrado in cui la zona universitaria di Bologna vessa ormai da tempo. La situazione sembra essere sfuggita di mano alle autorità, mentre i cittadini si organizzano come possono. “Via Zamboni non è un letamaio” è il simbolo dello sdegno dei cittadini: 1200 firme raccolte sul portale firmiamo.it per incitare le istituzioni a muoversi contro queste forme di inciviltà. I commenti in questa pagina sono i più disparati: c’è chi critica il Sindaco per avere tralasciato i problemi della zona universitaria, chi si scaglia contro i “teppisti” con estrema veemenza e chi invoca il “pugno di ferro” da parte della pubblica sicurezza. E, paradossalmente, c’è chi è gioiosamente orgoglioso del “degrado” provocato. L’atteggiamento dimostrato in questi commenti dimostra tuttavia che il problema non è stato compreso in pieno in tutte le sue esternazioni. Il degrado è composto da vari episodi distinti e separati, che non possono essere parificati. Si può spaziare da chi imbratta i muri, ai fenomeni di micro-spaccio di sostanze psicotrope di bassa intensità (“erba” o “fumo”, o ancora “burbuka”) , alla ricettazione di biciclette rubate, ai distributori di alcolici fuori orario, ai clochard che bivaccano davanti il Teatro comunale. Si tratta di fenomeni troppo eterogenei per potere essere contrastati in maniera univoca. La richiesta più immediata, in questi casi, è quella di maggior rigore da parte della pubblica autorità: a quali risultati porterebbe una linea dura? In che direzione potrebbe rivolgersi questo intervento? L’inasprimento delle sanzioni amministrative previste non funziona: le multe non assolvono la loro funzione prevenzione generale, visto che, seppur previste, non hanno disincentivato condotte “degradanti”. Di conseguenza, appare evidente che questi episodi devono essere letti alla luce delle loro radici. In altri termini, una repressione più mirata può contrastare la situazione in modo migliore rispetto all’uso del “pugno duro”. Si pensi ai fenomeni connessi all’eccesso di alcol: un’ordinanza del Comune impone orari di chiusura agli esercenti di via Petroni per limitare il consumo di alcolici nelle ore notturne, ma una birra è sempre acquistabile da appositi rivenditori che sottobanco e a prezzi concorrenziali offrono, in Piazza Verdi, una bottiglia in vendita. In questo modo non si contrastano neppure i pericoli dovuti alla presenza di vetri rotti. Oltre al danno, la beffa, specie per i gestori dei locali: l’ordinanza ha inasprito le tensioni tra Comune ed esercenti, senza migliorare la situazione. Ancora, si pensi ad uno dei problemi più evidenti e più indigesti a chi vive la zona universitaria: la presenza di urina in molti angoli delle zone maggiormente frequentate. Anche in questo caso, il fenomeno è dovuto principalmente alle tendenze incontinenti di chi è ubriaco, motivo per cui la sanzione amministrativa (150 euro) è deterrente tanto quanto l’inutile e nauseabondo disinfettante che viene giornalmente spruzzato. Analizziamo il fenomeno sotto una prospettiva differente. Al posto della multa, si potrebbe ipotizzare la realizzazione di un set di bagni chimici (quelli dei cantieri, per intenderci) che siano monitorati da alcuni addetti. In aggiunta a ciò, con un raddoppiamento delle pene, si potrebbe creare un duplice effetto di deterrenza e di incentivo verso la condotta più virtuosa. Al contempo, si potrebbero favorire quegli esercizi che consentono l’ingresso alle toilette anche per i non-clienti, magari sensibilizzando gli stessi gestori a risollevare le sorti della zona universitaria con azioni attive. Due atteggiamenti devono necessariamente cambiare: da un lato quello delle autorità, dall’altro quello dei frequentatori della zona universitaria. La prima deve rifiutare il proposito del “far cassa”, accontentandosi di ricevere i proventi delle multe e sacrificando il benessere della cittadinanza; gli studenti devono percepire via Zamboni e dintorni come un patrimonio comune e impegnarsi non solo a rispettarlo, ma anche a difenderlo. il Resto del Camplus - VITA CAMPLUS Vita esterna Una sfida per l’Italia del futuro: Vita camplus In cerca di Bologna: Spring Hill students di Giovanni Silva di Mary Jane Dempsey, Student Life Assistant for SHC Italy Center salvare la Terra dei fuochi “Tra 20 anni gli abitanti del Casertano saranno tutti morti di cancro: comuni come Casapesenna, Casal di Principe, Castelvolturno non hanno speranze”. Così diceva nel lontano 1997 il pentito Carmine Schiavone, ex boss del clan dei Casalesi, alla Commissione Parlamentare Antimafia. Queste parole crude ed agghiaccianti, rese finalmente note dopo 16 anni, hanno scosso l’opinione pubblica e acceso l’interesse per una questione tra le più gravi esistenti oggi in Italia, quella della “Terra dei fuochi”. Negli ultimi mesi se ne è parlato tanto, sui giornali, in famosi programmi tv, sul web. Cerchiamo di spiegare in modo semplice di cosa si tratta. Il problema rientra in un fenomeno più grande, quello della gestione del settore rifiuti in Campania. Esso, si sa, è da molti anni sotto controllo della camorra; i clan hanno puntato molto su questo business e da tempo gestiscono l’intero ciclo dei rifiuti con le seguenti conseguenze: mancanza di un moderno sistema di smaltimento, discariche abusive e soprattutto roghi di rifiuti urbani misti a rifiuti tossici. Proprio da questi roghi deriva il nome di “Terra dei fuochi”, che indica una vasta area della Campania compresa tra le province di Napoli e Caserta, un territorio un tempo noto come Campania Felix, ovvero una delle regioni più fertili d’Italia,famosa per i prodotti dell’agricoltura e dell’allevamento. Qui la situazione è più grave che altrove perché, oltre alla presenza di discariche e ai continui roghi che inquinano l’aria, la camorra ha sfruttato questa terra per smaltirvi rifiuti speciali provenienti dal Centro Italia, dal Nord, perfino dalla Germania. Rifiuti speciali significa rifiuti industriali, scarti di ogni tipo di lavorazione, fanghi nucleari, amianto, insomma veleni di ogni tipo, sepolti per decenni sotto pascoli e campi coltivati. Tutto ciò sta avendo conseguenze drammatiche soprattutto per le giovani generazioni. Come sappiamo, inquinare aria, suolo, falde acquifere provoca danni a lungo termine e non a caso proprio negli ultimi anni quest’area è diventata una delle prime in Italia per numero di tumori. La malattia ha colpito tutte le fasce d’età, anche molti giovani e neonati, con una frequenza fuori dalla norma, molto più alta della media nazionale; si è calcolato che l’aspettativa di vita di almeno tre generazioni di abitanti rischia di essere gravemente compromessa. Ma come è possibile che nel nostro Paese si sia verificato un disastro ambientale del genere? Le responsabilità sono di molti: in primo luogo di una criminalità organizzata disposta a tutto in nome del profitto, persino a rovinare e ad avvelenare la propria terra, la propria gente; e poi di uno Stato colluso sia a livello locale che nazionale e di tanti imprenditori che si sono liberati dei propri rifiuti affidandoli alla camorra, non curandosi di che destino avrebbero avuto. Nell’ultimo anno, però, qualcosa è cambiato. In Campania sono nati comitati in difesa della Terra dei fuochi remember their Italian semester e si sono svolte manifestazioni di piazza per sollecitare la politica a prendere provvedimenti. Inoltre un gruppo di associazioni, guidate da Legambiente, ha pubblicato un elenco di 10 proposte concrete in difesa della terra dei fuochi, tra cui: la mappatura di tutti i siti contaminati; l’analisi sistematica dei prodotti alimentari, in modo da non mettere in commercio quelli provenienti da terreni avvelenati; l’avvio di opere di bonifica; l’introduzione del Registro Tumori della Regione Campania; la creazione di un piano sanitario pubblico per gestire l’emergenza tumori. E le istituzioni come hanno reagito? Si intravedono segnali positivi: ai primi di dicembre il governo ha emanato un decreto legge che ha introdotto il reato di combustione dei rifiuti; sono inoltre stati sbloccati i primi fondi destinati alle bonifiche e sono partiti i primi controlli dei terreni. C’è però una domanda che tanti cittadini si stanno ponendo e che esige una risposta da parte della politica: come mai nel ’97 il Parlamento decise di tenere segrete le dichiarazioni di Schiavone, senza informare la popolazione su cosa era accaduto in Campania e su quali rischi correva? Perché chi sapeva non ha agito subito per proteggere i residenti e per punire i responsabili? In sostanza, molto, troppo tempo è già stato perso, ma è ancora possibile limitare i danni e rendere le conseguenze meno disastrose. È pero necessario che lo Stato e i cittadini remino dalla stessa parte e che gli interventi vengano fatti in modo trasparente, a cominciare dalle bonifiche, un nuovo business che potrebbe attirare la camorra. In questo cammino lungo e difficile sarà fondamentale il contributo delle nuove generazioni, che rischiano di essere le più coinvolte, e più in generale della gente comune; visti i passi in avanti fatti nel giro di pochi mesi, comunque, è giusto nutrire ancora la speranza che la Terra dei fuochi possa essere ‘salvata’. After flying hours across the world and lugging heaving suitcases, the American students of Spring Hill finally arrived to Bologna, the Italian city that would become their home for three months. Although they took excursions to other European countries, such as Greece and Poland, the students’ main focus was creating new lives in Bologna, where they uncovered a unique culture and witnessed different realities. A few of the Americans decided to share their memories that best exemplify their Bolognese experience. “It may sound simple and boring, but some of my favorite moments have been just walking around different parts of Bologna by myself, especially in the morning. There is something about finding your way in a new place, and taking in all of the sights, sounds, and people around you. I like to call it my ‘Bologna-exercise’ for the day!” Catherine Pugh, Loyola University New Orleans “On an overcast Saturday morning, Urvashi, David, and I walked to the panoramic view at San Michele in Bosco. We spent nearly an hour up there, taking in the physical beauty of Bologna from above. The highlight, however, was an old Bolognese man who shared with us the history of the city in which he was born and raised. He could not stop sharing his love of the city with us and would walk away after a few minutes, only to return moments later to tell us other facets of Bologna’s fascinating story. The tangible pride that the man had, coupled with our ability in the moment to see all of the city he was describing, created a surreal and wonderful moment that has remained a favorite moment for all three of us.” Patrick McDonnell, Santa Clara University “My favorite moment in Bologna was probably climbing the tower with [John], Peter and Joe… Teaching the EFL class [at Centro Zonarelli] was also a life changing experience for me. I’m normally very outgoing and talkative with the people I know well, but getting to know new people who did not speak English well really put me out of my comfort zone and helped me learn more about others and myself.” Ben Fleming, Spring Hill College “The soft gravel underneath my feet With rain pouring down on repeat Moving without direction or ambition Only making the directional decision On towards the end of the road Passing a citizen’s humble abode We move past an ancient wall On the picturesque walk in fall Nothing could beat this, Walking down this Italian driveway” John Zazulak, Spring Hill College “My best Bologna moment was when I had to tell this lady directions in Italian for the first time. In this moment I could finally feel myself becoming a part of the Bologna community.” Coryn Cenzer, St. Louis University “Every Wednesday always reminds me of the community and kinship I have found in this city. Whether I go to mass or have fun with my speaking partner which is always followed by a dinner with new friends, at every turn I am reminded that I am a part of this community. I am a part of Bologna and I have a place here and I wouldn’t have missed this for the world. I am the most thankful I’ve ever been for this opportunity and everything that has lead me to this moment.” Graziella Ioele, St. Joseph’s University il Resto del Camplus - VITA CAMPLUS il Resto del Camplus - VITA CAMPLUS Vita camplus Two is good, four is better In due va bene, ma in quattro è meglio Vita camplus La vita Bolognese di Jerome e Bieke Alessandra Di Vanna, Elizabeth Sabetta, Karissa Hansen, Alberto Acuto qui e non cambierei nulla. Alessandra For my first Speaking Partner program experience I couldn’t have asked more. In fact, not only did I improve my English but also made new amazing friends. I got on well from the start with Elizabeth and the same goes for Alberto with Karissa, so, since our speaking partners were roommates and close friends, we thought that it would have been welcoming and enjoyable to do things all together, rather than in couples. We hung out several times (we visited the church of San Petronio, tasted one of the most delicious ice-creams in Bologna, had lunch at Osteria del Sole) and we spent time together at the campus at dinner or in the study rooms. We went through this experience our own way, like four young people who live together, rather than like four students who are learning another language. The climate was so relaxed and pleasant that the diversity in our linguistic codes spontaneously generated occasions of exchange and encounter rather than resulting in an obstacle for communication. And being a group which formed “off the cuff” really made all the difference. Elizabeth Prima di arrivare in Italia, non avevo aspettative perché ho voluto essere sorpresa con la mia esperienza. Ero delusa perché il programma è iniziato più tardi che mi aspettassi, ma ci ha dato tempo per regolare le nostre vite nuove qui. Mi ricordo che ho visto Alessandra in giro, ma non ci incontravamo. Adesso, due mesi dopo, non posso immaginare la mia esperienza diversamente. Ale ed io abbiamo fatto molte cose insieme come intagliare una zucca, fare un video per il compleanno della mia migliore amica, uscire con i nostri amici e inoltre speaking partner, e abbiamo ovviamente conversato in lingua. Penso che la mia esperienza sia andata benissimo perché Ale è apertissima all’apprendimento e anche al mio apprendimento. Lei mi fa sentire a proprio agio quando sta parlando in italiano e con altri italiani. Con questo programma mi sento immersa nella cultura e nel mondo di studenti italiani. Ho conosciuto altri amici attraverso Alessandra con cui manterrò i contatti dopo la mia partenza. Uno dei miei momenti preferiti era passare del tempo a parlare di tutto con i nostri amici Alberto e Karissa e MJ e Ioana. Inoltre, penso che questo è il migliore modo per imparare nuove parole e modi di fare. In conclusione, questo programma è stato una delle mie migliori esperienze durante il mio tempo Karissa Lo speaking partner program è stata un’esperienza che non dimenticherò. Il mio speaking partner, Alberto, è uno dei miei amici migliori a Camplus adesso. Abbiamo fatto molte cose a Bologna durante il semestre autunnale con Alessandra e Elizabeth. Non avevo nessuna aspettativa quando sono arrivata in Italia. Volevo migliorare il mio italiano e conoscere meglio la cultura. Alberto era la persona perfetta per questi obiettivi. Siamo stati in grado di scambiare le cose che apprezziamo delle nostre culture in italiano e in inglese. Era anche un ottimo modo per imparare le frasi che non si possono imparare in un corso d’italiano. Penso che lo speaking partner program sia importante per gli studenti americani e italiani perché è un ottimo modo per esplorare la città. Ho imparato molto, ci siamo divertiti, e ho incontrato due incredibili nuovi amici con la mia compagna di stanza. Credo che resteremo amici per un lungo periodo. Alberto For me this was the fourth time in a speaking partner project, and I can easily say that this one is my best one. Karissa and I suddenly clicked and we had many chances to stay together talking without any sort of duty, and I think that is the main focus of this type of project. Luckily we had during this, unfortunately short period, two really good mates like Alessandra and Elizabeth that always stayed with us in everything we did, having great fun. That’s the main scope in this, gettin’ friends and having fun together and making this experience unforgettable! Thank you ladies! Siamo arrivati a Bologna all’inizio di settembre. In questo periodo, il Camplus era praticamente vuoto. Quindi i primi studenti con cui abbiamo fatto conoscenza erano degli altri ragazzi Erasmus con i quali facevamo un corso d’italiano all’Università. Durante il mese di settembre, un sacco di studenti sono arrivati alla residenza. Dopo aver incontrato tanti ragazzi di tutta l’Europa grazie alle serate Erasmus, abbiamo infine potuto conoscere alcuni italiani. La vita in questo collegio ci è piaciuta molto. Ti dà la possibilità di incontrare tanta gente e di fare molte cose insieme. La vita in Erasmus è un’esperienza molto particolare. Tanti studenti stranieri, come noi, non hanno molti corsi all’Università. L’anno scorso, io, Jérôme, a Ginevra avevo ottenuto dei crediti in anticipo per poter essere più tranquillo in Italia. Seguire dei corsi all’Università in una lingua che non hai ancora veramente dominato può sembrare complicato. Invece ho avuto la fortuna di avere professori che si esprimevano in modo molto chiaro. Il fatto di studiare una materia che conosci ti aiuta anche molto. Alla fine del mese (gennaio) dovrò dare due esami scritti. Tuttavia i professori hanno la reputazione di essere tolleranti con gli studenti stranieri. Io, Bieke, ho avuto dei corsi sia in inglese, sia in italiano. Ero più a mio agio con l’inglese ma ho anche imparato l’italiano abbastanza velocemente, nonostante faccio ancora un po’ di difficoltà. In Italia ho imparato a giocare a biliardino, ora sono molto brava (più di Simona). Mi piace mangiare un sacco e fare delle foto sotto le due Torri. Dunque a Bologna avevamo molto tempo libero per uscire e usufruire delle attività organizzate dalle associazione Erasmus. Per uno studente straniero, Bologna è vicina al paradiso. Ci sono delle cose da fare ogni sera e tanti viaggi organizzati. Abbiamo potuto scoprire Milano, Siena, Torino, Roma, Napoli a prezzi bassissimi. Il tempo libero ci ha anche dato la possibilità di andare, con alcuni amici dell’Università, a Genova ed alle cinque Terre. Uno scambio universitario è quindi un’esperienza che raccomandiamo a tutti gli studenti del Camplus. Purtroppo questa tappa della nostra vita sta per concludersi. E praticamente l’unico svantaggio che abbiamo incontrato durante questi mesi a Bologna ; in realtà un semestre è corto, troppo corto. Grazie a tutti per questi mesi che abbiamo condiviso insieme, vi lasciamo giudicare da dove viene la migliore cioccolata del mondo. Ci vediamo in paradiso, in Svizzera o in Belgio se volete. Jérôme Cochand & Bieke Deprince Svizzera VS Belgio Cultura Nicolas Winding Refn: Monografia di un delirio di Daniele Licheri è raro trovare un regista capace di sorprendere tanto da farci dubitare di ciò che pensavamo di sapere sui film, pur restando nel territorio del cinema di genere, e Nicolas Winding Refn è senz’altro uno di questi. Il giovane regista danese si è distinto per la sua arte visionaria: orizzonti lugubri e musica classica, situazioni grottesche e atmosfere pop, la ricerca della gloria e la lotta per la sopravvivenza: troviamo tutto questo nei suoi film. In particolare, ho deciso di parlarvi di “Drive”, “Valhalla Rising” e “Bronson”, i lavori che maggiormente ne esemplificano la classe e l’unicità. Drive (2011) Azione / Noir La vicenda si ambienta nella giungla urbana di Los Angeles, dove un silenzioso “driver” (Ryan Gosling) porta avanti una doppia vita: di giorno assistente in un’officina e stuntman part-time, di notte autista per rapine. Grazie all’aiuto del proprietario dell’officina (Bryan Cranston), che ha riconosciuto il suo grande talento al volante, il protagonista entra in contatto con personalità della malavita e del cinema, da cui riceve offerte di lavoro sempre più proficue. Questo finisce quando il nostro driver s’innamora della dolce vicina di casa Irene e, volendo renderla felice, rischia la vita per aiutare suo marito a uscire dal mondo della criminalità. Il film comincia con una coinvolgente fuga dalla polizia, che grazie al leggero battito synth della colonna sonora, al rombo del motore, al ticchettare dell’orologio e alle inquadrature ansiogene sempre all’interno della vettura, dà origine in pochi minuti ad una scarica di adrenalina che finisce dritta nel sangue dello spettatore. Difficile immaginare un esordio migliore. Emerge in particolare il carattere taciturno e apatico del driver, che lo accompagnerà durante tutta la storia, facendolo apparire come uno spietato cavaliere silenzioso che anziché entrare nell’armatura e cavalcare il destriero indossa i guanti da corsa e guida la sua macchina, imponendo le sue regole a chiunque metta in pericolo il precario equilibrio della sua doppia vita. Pur orientandosi nel cinema d’azione, Refn evita un quadro cinematografico troppo votato a seguire l’archetipo del genere, scegliendo di dare spazio allo sviluppo dei personaggi (attraverso sequenze memorabili come quella del discorso fra i due mafiosi sulla gestione degli “affari di famiglia”) o al sottofondo romantico, reso dolcemente ma senza intaccare il tono cupo della vicenda. Refn sceglie di utilizzare un comparto sonoro fatto di musiche sottili e ritmate (molte delle quali dall’album “Night Drive” firmato Chromatics), che incorniciano bene sia i momenti di aggressività del protagonista sia le situazioni di calma e dolcezza, e definiscono l’atmosfera quieta e buia dell’ambiente. Se cercate un film d’azione diverso dal solito, Drive è certamente una risposta, non solo per le ottime sequenze adrenaliniche o per conoscere i segreti della tentacolare Los Angeles, ma perché riscatta il filone dell’action-movie, mostrando quanto può essere superflua la trama davanti all’ottima orchestra delle sequenze visive, del sonoro e degli attori. “Dammi ora e luogo e ti do cinque minuti: qualunque cosa accada in quei cinque minuti sono con te, ma ti avverto, qualunque cosa accada un minuto prima o un minuto dopo sei da solo. Io guido e basta.” Valhalla Rising (2009) Drammatico Lo sfondo del film è senza dubbio il più spettrale e visionario che Refn mette su pellicola: nelle fredde vallate dell’estremo Nord, il vichingo One-Eye (Mads Mikkelsen) uccide i padroni che lo tenevano schiavo, risparmiandone solo il figlio, che si occupava di sfamarlo, e viene assoldato da un pugno di crociati cattolici per riconquistare la Terra Santa, in un viaggio infernale nell’oscurità. L’epoca è quella del progetto di conversione universale al cattolicesimo: i crociati cattolici si presentano come conquistatori votati a portare la parola del Dio cristiano in un mondo ancora selvaggio, ebbro di simbolismo pagano. La scelta di focalizzare l’attenzione su annose questioni religiose si rivela in realtà funzionale alla trama e allo sviluppo dei personaggi: da una parte i crociati, convinti dei loro ideali, ricadono nell’ipocrisia e distruggono ogni forma di società preesistente per erigere l’ennesimo baluardo asservito alla Chiesa; dall’altra One-Eye, attraverso un percorso para-religioso, trova il suo scopo nella vita e trascende se stesso, passando da schiavo a uomo a semidivinità assetata di violenza. Analogamente al protagonista di Drive, One-Eye è un personaggio silenzioso. Questo tratto risalta particolarmente in Valhalla Rising, dove l’interpretazione granitica di Mikkelsen del taciturno guerriero del Nord lo trasforma in un essere quasi monolitico, impassibile di fronte alle questioni religiose che affannano i suoi compagni di viaggio. Le inquadrature preferite da Refn sono le panoramiche, che riprendono le ampie e vuote valli del paesaggio, donando un forte senso di desolazione alle scene. Insieme alla scelta di inserire paesaggi ostili, come fiumi di sangue o cieli coperti dalla nebbia, l’uso di colori accesi e contrastanti e le visioni di morte chiariscono che i personaggi sono dei condannati e possono solo accettare la meta che il destino ha scelto per loro. Valhalla Rising ha la struttura di un’amara profezia, che sprofonda la condizione umana nella perdizione e nella sofferenza. Non è certamente un film per i deboli di cuore, ma senz’altro un lavoro eccellente che spicca per le stupende sequenze visive, impreziosite dagli spazi aperti del panorama scozzese, e per le scene di violenza, la cui crudezza riesce con successo a trasmettere inquietudine e angoscia all’animo dello spettatore. “Ho sentito che mangiano il loro stesso Dio, divorano la sua carne, bevono il suo sangue. Abominevole.” Bronson (2008) Biografico La pellicola racconta la vita di Michael Gordon Peterson (Tom Hardy), un detenuto inglese divenuto famoso per aver trascorso 34 anni in prigione, di cui 30 in isolamento, per cattiva condotta, partendo da una condanna di soli 7 anni per una rapina all’ufficio postale. La storia di Peterson, meglio conosciuto con lo pseudonimo di Charles Bronson, è quella di un uomo radicalmente violento, al punto da essere trasferito in più di cinque diversi penitenziari, poiché nessuno sembrava in grado di contenere la sua aggressività. Le prigioni di sicurezza dell’Inghilterra rappresentano il palcoscenico dove “l’attore” Bronson mette in scena la sua grottesca commedia di sangue e risate. A impreziosire le sequenze di dialogo e di sviluppo della storia sono le colonne sonore che riecheggiano il pop sperimentale degli anni ’70, mentre alle scene di lotta fa da sfondo la musica classica. E proprio queste scene, oltre alla similarità di carattere fra i protagonisti, devono aver convinto i più che Bronson possa essere designato quale erede moderno del superlativo Arancia Meccanica di Kubrick. Nel film, il detenuto si presenta a noi come un personaggio sfacciato e prepotente, ma anche melodrammatico e tragicomico. E’ essenzialmente un uomo che riconosce nella violenza il suo talento e ne fa il mezzo per raggiungere la fama, la gloria e il successo. L’interpretazione di Tom Hardy di questo difficile ruolo conferisce un valore aggiunto al film e da sola è una ragione più che valida per andare a vederlo. Non ci sono eccessi nel melodramma né nella freddezza. L’attore merita certamente un elogio per la classe con cui ha interpretato il megalomane sociopatico inglese ambizioso di gloria. Inoltre, nelle brevi parentesi in cui il protagonista si trova fuori dal contesto della prigione, è interessante osservare la società inglese, che Refn rappresenta piena di opportunisti e approfittatori pronti a vedere nella “bestia Bronson” un animale da circo su cui lucrare. Se Drive e Valhalla Rising erano ottimi film, Bronson è senza dubbio un capolavoro. È davvero difficile spiegare tutto quello che questo film e la sua forza ti lasciano dentro. Consiglio più che vivamente di andare a vederlo e di farsi stupire e disgustare dalla mostruosa personalità di Michael Gordon “Bronson” Peterson. “Tu non vuoi incontrarmi fuori all’aperto. Dentro, sono qualcuno che nessuno vuole fottere, è chiaro? Sono Charlie Bronson, io sono il prigioniero più pericoloso di tutta l’Inghilterra.” Cultura Un uomo, un artista, la genuina semplicità di una complessa personalità Cultura Le novità Hi-Tech 2014 di Davide Scalinci Bologna, “Teatro Duse”, 03/12/2013 - Giovanni Allevi in concerto di Sabrina Tauro Ore 21.00, ecco che Giovanni sale sul palco. Non si vede una sola sedia vuota. Come sempre, ha ottenuto il “tutto esaurito”. Le luci iniziano pian piano a spegnersi e, come per magia, un silenzio cala sulla sala. Che strano, una sottile ironia può essere colta nella vita degli artisti. Siamo di fronte a uno sdoppiamento di prospettiva, con due posizioni antitetiche e complementari: da una parte il pubblico, tranquillo, sereno, impaziente, in attesa di emozioni forti e travolgenti, magari con il desiderio di evadere per qualche ora da una vita tormentata, difficile, piena di affanni, o con la semplice voglia di passare una piacevole serata; dall’altra l’artista, solo, agitato, anch’egli impaziente di regalare un sogno, o anche soltanto un sorriso. E proprio così si sente Giovanni, mentre osserva da dietro le quinte la sala piena di fan che attendono di ascoltare il loro artista preferito. È preso dall’ansia di deludere le loro aspettative. Non può contare su nessuno se non su se stesso e sul suo pianoforte. Ecco perché ogni volta che sale sul palco, prima di cominciare a suonare, si avvicina al pianoforte sussurrandogli “Fai il bravo”. A qualcuno questo rito potrebbe far sorridere, ma per un musicista il rapporto quasi “umano” con lo strumento è l’unico appiglio, forse illusorio, a cui aggrapparsi per poter vincere la timidezza, l’ansia e la “paura di suonare”. Ed è proprio questo, come egli spesso dice, lo stato d’animo abituale del grande Giovanni Allevi, che infatti, dopo un mitico ingresso di corsa e con le braccia aperte (quasi ad imitare un uccello che spicca il volo per lanciarsi in un’avventura incognita e misteriosa ma al tempo stesso coinvolgente), inizia il concerto con un brano che descrive la sua ansia: “Panic”. Il pezzo è stato composto proprio in seguito ad una crisi di panico avvenuta prima di un’esibizione. Quando arrivò l’ambulanza egli giurò che se fosse uscito vivo di lì (perché, ha raccontato scherzando, “non lo sapevo che si sopravvive all’attacco di panico”) avrebbe composto un brano che esprimesse la gioia di vivere. Delle note dolcissime sopraggiunsero alla sua mente, e così nacque “Panic” che, non a caso, è il primo brano dell’album “Joy” (“gioia”, appunto). Ecco che comincia a suonare. E’ terribile “rompere il ghiaccio”. All’inizio del concerto da un lato c’è il pubblico, ricco di aspettative e povero di emozioni, dall’altro l’artista, colmo di emozioni e povero di aspettative. Alla fine del concerto la prospettiva si ribalta. Chiaramente, il compito di realizzare questo rovesciamento spetta principalmente all’artista: a lui e al suo strumento. Per un musicista lo strumento è come un figlio, se non addirittura un prolungamento della propria persona. Ed è tanto più importante per Giovanni, che è un appassionato del linguaggio del corpo. I gesti, le reazioni, i micromovimenti, anche impercettibili, svelano le reali intenzioni di un individuo; è il linguaggio più spontaneo dell’animo umano. Tuttavia c’è il rischio dell’omologazione. Per esempio, racconta Giovanni: “Il mio insegnante mi ripeteva sempre che la posizione corretta per suonare il pianoforte era busto dritto e polso parallelo al suolo. Io non ero in grado di tenerla, costretto da una rigidità esterna che nulla aggiungeva al fatto musicale. Quando suono divento invece una cosa sola con il pianoforte; mi piego quasi a cercare una fusione con i tasti e finisco per assumere posizioni irregolari, e apparentemente scomode, per essere il più vicino possibile all’origine del suono. E’ necessario: solo così riesco a sentire le vibrazioni e a superare la paura di suonare”. Il pubblico, dal canto suo, gioca un ruolo non indifferente, che consiste nell’“aprire il cuore” alla musica. Infatti, bisogna essere particolarmente predisposti per poter cogliere fino in fondo il linguaggio musicale. Ciò non vuol dire necessariamente aver studiato musica, ma semplicemente avere una sensibilità tale da permettere alle note di toccare e far vibrare le corde più profonde della propria anima. E per riuscirci non servono “pezzi cervellotici”, “concettismi musicali” particolarmente ricercati, un’esasperata ricerca della difficoltà nella partitura scritta. La musica classica è così grande perché parla al cuore delle persone. E lo stesso vuole fare anche la musica classico-contemporanea di Allevi. Ecco allora che improvvisamente le note iniziano a sgorgare, fresche e leggere, e quelle melodie incredibili penetrano nell’animo degli spettatori, tanto da generare una vera e propria standing ovation. In tutto questo c’è un piccolo segreto: la musica è insieme celestiale e terrena, proietta verso l’infinito ma, nello stesso tempo, ognuno in essa può riconoscersi. E ciò non può che essere la profonda espressione di un’identità molto articolata come quella di questo pianista, il quale riesce a tradurla con spontanea naturalezza, in termini chiari e vicini alla sensibilità di ogni persona. E’ proprio questa la grandezza di Giovanni Allevi: “la genuina semplicità di una complessa personalità”. Il CES di Las Vegas (tenutosi dal 7 al 10 gennaio scorso in uno spazio di 176 km2) è lo show tecnologico di inizio anno che ci lascia sbirciare da uno scorcio aperto direttamente sul futuro. Dei numerosi dispositivi presentati, hanno attirato particolarmente l’attenzione le stampanti 3D, rese accessibili anche ad un’utenza media. Se fino ad oggi la stampa rappresentava solo la possibilità di vedere su carta un’immagine o un testo, da domani grazie a questi nuovi strumenti potremo costruirci da soli qualsiasi cosa ci venga in mente (purché entri nella stampante stessa!). Potremo realizzare facilmente una nuova cover per il nostro smartphone, delle sculture artistiche, dei plastici e perché no…anche il casco di Iron Man! L’altro punto focale della manifestazione è stata la “wearable technology”, ovvero la tecnologia indossabile, che dopo la presentazione degli occhiali a realtà aumentata di Google ha ottenuto sempre più consensi. Alcuni produttori, come Epson, hanno seguito la scia dell’azienda di Mountain View, proponendo la loro idea di occhiali a realtà aumentata. Una moltitudine di aziende e start-up (anche italiane) si sono lanciate invece nell’ideazione di orologi con display touch e connessione bluetooth per utilizzare le app presenti sugli smartphone; tra le varie cose, è possibile gestire le chiamate, gli SMS, il calendario e le diverse notifiche che si ricevono. Altri ancora hanno pensato di inserire le più svariate tipologie di sensori all’interno di braccialetti ed altri accessori da polso destinati agli appassionati di fitness: essi possono misurare la distanza percorsa, il battito cardiaco, la temperatura corporea, le calorie bruciate, l’ossigenazione del sangue e tantissima altra roba! Non potevano mancare, poi, gli smartphone. Anche se a loro è riservato un evento specifico che si terrà a fine febbraio (il Mobile World Congress), alcuni produttori come LG hanno presentato la tecnologia che andrà a sostituire i nostri attuali schermi – siano essi di smartphone o tv – ovvero i display curvi. I continui tentavi fatti dalle grandi industrie per aumentare sempre più la curvatura dei display mirano ad un obiettivo ambizioso: si vuole costruire un tipo di tecnologia non solo indossabile, ma perfettamente flessibile, che consenta di utilizzare un display come se fosse un foglio di carta, e quindi di piegarlo senza romperlo. Il Consumer Electronics Show di quest’anno si è chiuso in rialzo, infatti, a differenza delle ultime due edizioni, ha visto un ritorno dei produttori alla realizzazione di nuove idee. Questo significa che la tecnologia che vediamo nei film di fantascienza è un passo più vicina a divenire realtà. Cultura Recensione libro: Misteri, crimini e storie insolite di Bologna Cultura Angolo delle Poesie di Jolanda Pappalardo di Chiara Cordella Barbara Baraldi è una scrittrice e sceneggiatrice emiliana. Ha pubblicato nove romanzi tradotti in varie lingue. Si occupa di noir e thriller e attualmente è impegnata in una serie fantasy. “Misteri, crimini e storie insolite di Bologna” fa parte di una collana che la casa editrice Newton Compton ha dedicato ai misteri italiani; nella stessa collana si possono trovare libri dedicati ad altre città. Misteri, crimini e storie insolite di Bologna (Barbara Baraldi, Newton Compton, 2013, 252 pp., 9,90 €; 4,99 € e-book) è un libro apparso da pochi giorni sugli scaffali delle librerie. L’autrice si propone di curiosare nella storia di Bologna alla ricerca di miti, leggende e avvenimenti strani che riguardano la città - cosa abbastanza interessante per chi, da non bolognese, vuole avvicinarsi all’immaginario del luogo in cui vive. Si parte dall’origine, dal ‘mistero’ intorno alla fondazione e al nome, Felsina (cui gli storici hanno dato varie interpretazioni), e si incontrano, secolo dopo secolo, ordini monastici vicini ai templari, cardinali sanguinari, donne accusate di stregoneria, ricerche alchemiche e miracoli, la nascita dello Studium e le rivolte dei primi studenti, fino ad arrivare, in tempi più recenti, alle bande criminali e agli efferati crimini che hanno insanguinato le pagine di cronaca. E se, da una parte, molto si può attribuire alla fervente immaginazione popolare, dall’altra è pur vero che alcuni enigmi restano insoluti. Come quelli legati ad alcuni fatti criminosi. Ne sono un esempio i cosiddetti ‘gialli del DAMS’, una serie di delitti sui quali non si è ancora pienamente fatto luce e che non hanno niente in comune se non il fatto, casuale, che le vittime facessero o avessero fatto parte del famoso corso di Discipline delle arti, della musica e dello spettacolo. Da segnalare poi le brevi dissertazioni sulla nascita dei portici, vero e proprio elemento costitutivo bolognese, e su quei monumenti che un tempo trovavano posto in città e poi per vari motivi sono stati distrutti (non solo le numerose torri ma, ad esempio, la statua in bronzo raffigurante Giulio II realizzata da Michelangelo e fatta a pezzi dai Bentivoglio al loro ritorno). Insomma, se qualcuno ha la curiosità di sapere cosa accadeva secoli fa all’ombra dei portici, quali macchinazioni toglievano il sonno ai signori, se si è mai chiesto a cosa servissero certi strani arnesi che si possono ancora vedere in alcuni punti della città (come gli anelli in ferro di via Castiglione) o che significato Soffio, Suono,Sogno abbiano certi bizzarri nomi della toponomastica bolognese, potrebbe essere il libro giusto per risolvere questi dubbi. Ha un taglio divulgativo, molto scorrevole, con capitoli brevi e appassionanti. Ovviamente non è un libro sulla storia o sulle bellezze artistiche di Bologna ma semplicemente un libretto di ‘cose notevoli’ che, mescolando leggende e fatti di cronaca, è capace di farci guardare con occhi diversi a monumenti e luoghi che magari frequentiamo spesso ma di cui non conosciamo la storia (vera o inventata poco importa) o addirittura di farci scoprire nuove meraviglie. La vita è una rosa La vita è una rosa, che non ha alcun eguale. Ti mostra la sua bellezza E la sua più grande debolezza. La vita è una danza, che assieme alla musica Ti risolleverà dalle cadute e dagli sbagli Che farai. La tua vita è un dipinto non ancora finito. Continua a dipingerla. Ma Non lasciarla rovinare. Un soffio. Un leggero soffio Ho emesso Su una finestra. Ho scritto frasi, Ho disegnato figure bizzarre, Ho liberato la noia. Una noia che invadeva I miei pensieri, che li bloccava in uno schermo rarefatto. Un suono. Ho emesso un suono. L’ho diretto In un angolo della stanza. Immaginavo che tu fossi lì, immaginavo che ti avvolgesse, come una spira. Per un momento Ho visto lo stupore Calare sul tuo viso. Ma era solo una proiezione Di un sogno passato, un’ironia muta del tempo. Eppure eri lì. Eppure mi guardavi. Eppure mi sorridevi Senza inganni sul viso. Eppure i tuoi occhi diventavano Luccichii di diamante. Cercavo di raccogliere Quei luccichii. Ma le mie mani toccavano Solo fantasmi. Un sogno. Ho mostrato un sogno A te. Conservalo nelle stanze dei tuoi occhi. E curalo, come tu hai curato me. Cultura NBA, Made in Italy Le leccornie del nostro paese di Gabriele Pruneddu Ricette di Sicilia: “a pasta chi sardi” La NBA (National Basketball Association) è la lega americana di pallacanestro formata da 30 squadre (dette “franchigie”) dove giocano i migliori atleti del globo. A tenere alta la bandiera italiana, tra questi giganti di 220cm, vi sono quattro giocatori che sono riusciti a compiere “il grande salto” direttamente dall’Europa agli USA. Primo, in ordine di tempo, è stato Andrea Bargani (il primo da sinistra) detto “il Mago”, perché riesce a coniugare una ragguardevole altezza ad una grande precisione di tiro dalla distanza, che,dopo aver vinto da trascinatore il campionato italiano con Treviso, ed essere stato nominato il miglior giovane europeo, nel lontano 2006 divenne non solo il primo italiano ma anche il primo europeo ad essere nominato prima scelta assoluta del Draft (evento annuale nel quale tutte le squadre possono scegliere nuovi giocatori provenienti dai College o giocatori internazionali). Andrea Bargnani venne scelto dai Toronto Raptors con cui giocò fino alla scorsa stagione, mentre attualmente milita in una delle squadre più importanti della lega,New York. Il secondo scudiero è Marco Belinelli (il terzo da sinistra) da San Giovanni in Persiceto, provincia di Bologna. In Italia fece le fortune della Fortitudo Bologna con cui vinse lo scudetto nel 04-05 ove poi continuò ad inanellare grandi prestazioni sia in Italia che all’estero con la maglia azzurra della Nazionale. Non ci mise molto ad attirare le attenzioni d’oltreoceano ed infatti anche lui venne scelto al Draft con la diociottesima chiamata dai Golden State Warrios, la squadra della Baia di San Fransisco. Dopo diversi periodi trascorsi tra altri e bassi l’anno scorso giocò nella storica squadra dei Chicago Bulls dove si mise in luce con delle grandi prestazioni anche nei Playoff (gli scontri diretti che decidono la squadra campione). Con le sue doti da assoluto “cecchino” dei parquet ad oggi fa parte dei vice-campioni in carica i San Antonio Spurs. Il terzo cestista oltreoceano è Danilo Gallinari (il secondo da sinistra) detto “il Gallo”, a detta di molti il più talentuoso italiano in NBA. Sviluppatosi cestisticamente nell’Olimpia Milano venne eletto per due anni consecutivi miglior giovane del campionato italiano e successivamente “European Rising Star” nel 07-08. Nonostante la carta d’identità reciti quasi 210cm “Danilone” coniuga una grandissima velocità nell’attaccare il canestro ad un tiro mortifero dalla lunga distanza, qualità che i New York Knicks non si sono lasciati sfuggire accaparrandoselo nel Draft del 2008 con la sesta scelta assoluta. Dopo la parentesi nella “Grande Mela” si trasferisce in quel di Denver dove sfodera tutto il tuo talento e porta la squadra a segnare il record della franchigia di ben 15 vittorie consecutive. Prima del brutto infortunio al ginocchio subito a metà della scorsa stagione Gallinari viaggiava verso la nomina per l’ All Star Game e cioè la partita dove i migliori giocatori della Lega, e aggiungerei del mondo, danno letteralmente spettacolo. Last but not least Gigi Datome (primo da destra) è stato l’ultimo ad aggregarsi alla truppa italiana. Dopo un’annata favolosa con la Virtus Roma portata ad un passo dallo scudetto ed aver vinto il titolo di MVP (Most Valuable Player) della Lega italiana si è accasato con la maglia dei Detroit Pistons dove sta cercando di mettersi in mostra. L’unico rammarico che noi amanti della palla a spicchi abbiamo è il non averli potuti ammirare mai tutti insieme, per svariate ragioni,con la canottiera azzurra della nostra nazionale. Il rammarico però si trasforma in speranza pensando che i nostri “Quattro Cavalieri” possano strappare il pass per i Mondiali che si svolgeranno in Spagna questa estate, augurandoci che possano ancora una volta farci dire “I LOVE THIS GAME”. di Martina Caruso La Sicilia è terra di tradizioni, tradizioni sia folkloristiche che culinarie; e quando l’una incontra l’altra, il risultato è un vorticoso insieme di colori, musiche e sapori. La pasta con le sarde è un capolavoro della cucina sicana, e nella mia città è d’obbligo gustare questo piatto ogni venerdì santo, giorno in cui (per chi si attiene alle regole cattoliche) non è possibile consumare la carne. La ricetta presenta molte varianti: ad esempio quella agrigentina, che vi proporrò, prevede l’aggiunta della passata di pomodoro e del pan grattato al posto di uva passa e pinoli, presenti invece nella formula classica. INgredienti per 4: Procedimento - 400 gr. di spaghetti grossi Come prima cosa, lessate in acqua salata i gambi e i germogli teneri del finocchio selvatico; una volta pronti, fateli scolare e triturateli finemente. Non gettate l’acqua di cottura del finocchio, verrà successivamente utilizzata per cuocere la pasta! o bucatini - 700 gr. di sarde - 2 mazzetti di finocchi selvatici - 1400 gr. di passata di pomodoro - Pan grattato - Olio - Aglio - Sale o zucchero Adesso iniziate a pulire le sarde, deliscandole con cura e tagliando loro sia la testa che la coda, quindi apritele “a libro”; lavatale sotto l’acqua corrente e mettetele a scolare. In una pentola capiente fate rosolare l’aglio con un filo d’olio e aggiungete la passata di pomodoro: cuocete, aggiungete il sale e mescolate di tanto in tanto, finché la passata non sarà ristretta (se necessario, aggiustate il sapore troppo insipido con del sale, o troppo acido con dello zucchero). Infine aggiungete il finocchio, le sarde e continuate la cottura per altri 5-8 minuti. Il sugo è così pronto. A parte, in una padella antiaderente, fate abbrustolire il pan grattato. Attenzione a non farlo bruciare: sarà pronto quando avrà raggiunto una colorazione bruno-dorata. Cuocete la pasta nell’acqua di cottura del finocchio come detto prima. Una volta pronta, condite con la salsa che avete preparato (non preoccupatevi se le sarde inizieranno a spezzettarsi, è una conseguenza della cottura). Spolverate il tutto con il pan grattato e aggiungete parmigiano a piacere. Buon appetito! Le leccornie del nostro paese Torta tenerina di Raffaella Dicuonzo Ben ritrovati cari lettori! Natale è passato da un pezzo e immagino che tutti siamo tornati col pensiero “Oddio sono ingrassato/a….devo mettermi a dieta!” Suppongo che molti di noi siano tornati in Camplus con l’idea di avviare una ferrea e dura lotta contro il cibo ipercalorico o per lo meno di mantenersi! Ecco se questo è il vostro intento…. non continuate a leggere quest’articolo: potrebbe essere INgredienti: (non vi dico per quante persone perché dipende da quanto riuscite a trattenervi) - 200 gr di cioccolato fondente - 200 gr di burro - 200 gr di zucchero - 4 uova - Circa 4 cucchiai di farina - Un goccino di acqua - Zucchero a velo una tentazione a cui non proteste rinunciare. Ebbene sì! Perché ammettiamolo: nessuno di noi è immune a certe prelibatezze. Detto tra noi, non sono un’amante dei dolci ma dinanzi a cotanta bontà non resisto nemmeno io. Ormai siete a Bologna da qualche mese e di certo avrete notato che la cucina locale non è proprio tra le più dietetiche…e non lo è nemmeno questo dolce! Ma è tanto buono e facile da preparare! Procedimento 1) In un pentolino aggiungete un goccio d’acqua e fate sciogliere il cioccolato, ma non portatelo ad ebollizione ( la fiamma deve essere bassa); 2) Quando il cioccolato si è sciolto, aggiungete il burro e poi lo zucchero. Mescolate e lasciate freddare; 3) Prendete le uova e dividete i tuorli dall’albume. Montate i bianchi a neve. I rossi, invece, aggiungeteli al cioccolato quando sarà freddo (altrimenti si cuociono e fanno tipo fritatta) e mescolate di nuovo; 4) Incorporate i bianchi montati ( il movimento deve essere dal basso verso l’alto); 5) Quando avrete ottenuto un “impasto” omogeneo, aggiungete la farina; 6) Versare in una teglia e mettere in forno a 180 gradi per circa 20/25 min; 7) Finita la cottura, spolverare la torta con dello zucchero a velo. Buon appetito Vignette Elena Baldi